n. 13 Il Ridotto de I Antichi - Compagnia de Calza «I Antichi
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n. 13 Il Ridotto de I Antichi - Compagnia de Calza «I Antichi
IL RIDOTTO ORGANO UFFICIALE DELLA COMPAGNIA DE CALZA I ANTICHI - BOLLETTINO MENSILE S anno 2 numero 13 settembre 2008 empre più grosso! Il Ridotto, il nostro organo ufficiale a tiratura limitata è ora a sedici pagine, anzi diciotto: ed ecco perché. Sollecitati e costretti dal Procurator Grando uomini e donne meravigliosi iniziano con questo numero la loro preziosa collaborazione alla nostra testata. Da ognuno secondo le sue possibilità, sfruttando sfacciatamente inclinazioni e capacità, ecco dunque delle guide al lettore, mensili e molto personali. In ordine alfabetico cognominale: Lucas Christ illustra (in compagnia dei suoi alter ego Rudolf Stainer & Professor Hainz)) gli appuntamenti musicali (a pagina 10); Michael Krondl,, scrittore e cuoco, europeo e americano, caro amico de I Antichi, racconta di cibi e avventure nel mondo (a pagina 12); Leonardo Mello, impavido direttore di Venezia Musica, scrive di teatri antichi e moderni, lagunari e di terra (a pagina 11); Maria Luisa Pavanini Zennaro (cui vanno i nostri auguri di rapida guarigione dall’intervento di meccanica ossea) guida all’arte in città (a pagina 9). Ve par poco? Queste sono le quattro nuove pagine, che unite ai soliti farneticanti deliri di Colo de Fero (oltre a tutto, terza puntata del Marinaio Johnny!) e Bob R. White (ha scritto tantissimo in questo numero) raggiungono le sedici pagine. E le altre due? Geniale! Le altre due, quasi un inserto (anzi proprio un inserto per i lettori di carta) sono il calendario del mese, da ta- IL CIRCOLO È APERTO DAL MARTEDÌ AL SABATO DALLE ORE 17 ALLE ORE 21 venezia san marco 2674 campo san maurizio IN QUESTO NUMERO La Fiera di San Maurizio – Una Cartolina da Nizza – Ritorna Cuginomichele – Alduccio Colferai – Nuove Avventure del Marinaio Johnny – Circolo Scatenato – Enzo Rossi Ròiss – NUOVE RUBRICHE: Arte, Musica, Teatro, Avventure nel Mondo! Inserto: calendario di settembre IN PROGRAMMA IN AGOSTO Venerdì 5 e 19 e 26 co’ fa scuro (dalle ore 19,30) Circolo de I Antichi - Campo San Maurizio A Tavola con I Antichi Cena a menu fisso su prenotazione Sabato 13 settembre 2008 co’ fa scuro (dalle ore 19) Circolo de I Antichi - Campo San Maurizio Ore Felici Evento Speciale Enzo Rossi Ròiss presenta «Ròiss Poemi Doping» Lunedì 22 settembre 2008 co’ fa scuro (dalle ore 19.30) Circolo de I Antichi - Campo San Maurizio Fiera di San Maurizio Cena in Onor de San Mauritio - Tombola de I Antichi car anca sul muro muro. Da una parte, davanti, tutti i giorni, con i santi, le lune, le albe, i tramonti, e perfino le maree; con gli appuntamenti importanti e anche no. Dall’altra parte, di dietro, i fatti salienti della storia veneziana accaduti nel mese in corso, trascelti secondo imperscrutabili ragioni da Colo de Fero. L’inserto si può appendere al muro, infilzato in un chiodino, nell’apposito cerchio al centro in alto. In questo mese. Apertura furiosa del Circolo: quotidianamente con ombre e cicheti eti, settimanalmente con A Tavola con I Antichi (a pagina 2 orari e menù). Nascita della Fiera di San Maurizio Maurizio: abbiamo deciso, perché non potevamo farne a meno, di incominciare un lungo (più o meno) cammino teso a realizzare ogni anno nei giorni attorno al 22 settembre una festa popolare dedicata al santo eponimo del nostro campo. Intanto cominciamo con una Cena in Campo in Onor de San Mauritio, lunedì 22 settembre, con tombola! Dettagli e amenità a pagina 3. Nuovo libro de I Antichi: Enzo Rossi Ròiss, diversamente anziano e diversamente in versi, ha scritto «Ròiss Poemi Doping» canzoniere erotico di settant’anni d’amore e di eros (l’eros è cominciato qualche anno dopo, però) presentazione ufficiale sabato 13 settembre nelle Ore Felici evento speciale (intervista a pagina 8). Basta così. Buona lettura. AVVISO – AVVISO I Compagni de Calza che hanno ordinato le calze 2008 si mettano subito in contatto con la Priora ad vitam Jurubeba pagina 2 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio I l Circolo de I Antichi festeggia il suo primo compleanno con rinnovato slancio e alta lena. Assume sempre più l’aspetto conviviale, oltre che naturalmente culturale, per cui è nato. Indi: apertura quotidiana, dal martedì al sabato, con orario 17 – 21 (indicativamente) con servizio, per i soci, di ombre e cicheti; con il penetrar dei giorni nei rigori invernali si introdurranno vieppiù bevande calde di nobilissima origine, quali cioccolatte e tè, con pasticcini. Si inizia anche un progetto follemente culturale e culinario intitolato A Tavola con I Antichi, che differisce (ocio!) dalle iniziative intitolate A Cena con I Antichi. Mentre le Cene servono a festeggiare sconsideratamente avvenimenti di vario tipo e solitamente avvengono fuori, il ciclo A Tavola con I Antichi si compone altrimenti di una serie di ce- In Circolo: A Tavola con I Antichi e novità Menu (un piatto esclude l’altro, a scelta del cuoco) Primo Piatto Risi e Suca – Ravioli di Zucca Secondo Piatto Cievoli alla Sant’Erasmo – Strogonoff del Priore Dolce Pudim de Leite, com Coco – Torta d’Uva, bianca e nera Vino & Spiriti Bianco e Rosso – Grappa Alexander Anche I Antichi alla LXV Mostra del Cinema A nche i soci del Circolo de I Antichi vanno alla Mostra del Cinema, ma con i loro film. Nel pomeriggio di sabato 30 agosto la documentarista Anny Carraro ha presentato in Sala Volpi la sua ultima produzione «Il Carnevale di Karin» frutto del suo sguardo acuto e disincantato sulla nostra città. Lunedì 1° settembre Elia Romanelli ha invece aperto al cinema Astra il Venice Film Meeting con «Chi crea Venezia», una serie di otto ritratti di artisti cittadini del secondo Novecento, cui I Antichi (auspice SebaZorzi) hanno in parte contribuito. Ne parleremo e ne vedremo, e festeggeremo. ◉ ne a menu e a prezzi entrambi fissi, decisi senza appello né cangiamenti dalla Cucina, basati sulla stagione e sull’estro del momento, che si svolgono dentro; i posti sono limitatissimi e pertanto riservati ai soci e necessitati di prenotazione. Di tal fatta gli appuntamenti di A Tavola con I Antichi non si sovrappongono agli altri cicli del Circolo. Essi, i convivi di A Tavola con I Antichi, si tengono di preferenza ogni venerdì, quando appunto non coincidano o non si sovrappongano con altre attività. Essendo anima e corpo dell’iniziativa la Gran Priora ad vitam Jurubeba sottolineiamo che menu e cicheti saranno inevitabilmente compendio delizioso di cucina veneziana e brasiliana. Prezzo fisso 25 euro a testa; estremamente consigliata la prenotazione. Si rilasciano iscrizioni a scotadeo. ◉ Ilze Jaunberga all’Hotel Des Bains T ra i Grandi Eventi Estate 2008 negli spazi dell’Hotel Des Bains al Lido di Venezia si è distinta l’esposizione della pittrice lettone Ilze Jaunberga, con opere scelte tra le cento del ciclo intitolato «Italia Picta in Latvia». Organizzata dalla Compagnia De Calza «I Antichi», sponsorizzata dalla Pagoda Circus dei Antonio Giarola, suppor- to dell’Associazione culturale Italo-Baltica, la mostra è stata spettacolarmente allestita nella Sala Visconti dall’1 al 15 agosto. Nella sala, un concerto e due melodrammi comici dell’ensemble dell’Accademia Musicale Italiana presieduta e diretta dal supremo Maestro Claudio Gasparoni, a cui va tutto il nostro affetto di uomini e di donne Antichi. ◉ venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 3 P artiamo con l’intenzione di andare lontano. Cominciano da quest’anno i festeggiamenti per il santo a cui è intitolato il nostro campo, e che per questa ragione, ma anche moltissime altre, ci è particolarmente caro. (A fianco: El Greco, Martirio di S. Maurizio, 1580-81, Monastero di S. Lorenzo, El Escorial, Madrid) Cominciano con una Cena in Campo in Onor de San Mauritio, lunedì 22 settembre co’ fa scuro, cui farà seguito di stecca una Tombola de I Antichi (con tanto de tabeon, balote e cartele) per i partecipanti. Piano piano, anno dopo anno, la cena e la tombola diventeranno una Fiera di San Maurizio che nelle nostre fervide e scatenate fantasie prevede, in futuro, cortei in armi e costumi, sacre rappresentazioni, banchetti gastronomici e tutto quanto pertiene ad una vera e propria festa in campo, sagra e fiera. L’unica a San Marco, ciàpa! San Maurizio San Maurizio, noto anche come Moritz, Morris, o Mauritius sarebbe stato un generale dell’impero romano attorno al 300, a capo della leggendaria legione Tebea (Tebe in Egitto non in Grecia) appunto egiziano-romana, prima in Mesopotamia e poi nell’Europa centrale, a Colonia ed a nord delle Alpi. Dopo aver sconfitto Quadi e Marcomanni, furiosi barbari che dal fiume Reno premevano in Gallia il console Massimiano decise di usarli per una pulizia etnica contro i cristiani della zona. Per essersi ripetutamente rifiutati di farlo, nonostante ripetute flagellazioni e decimazioni, i legionari di Maurizio (in tutto seimilaseicentosessantasei) sarebbero stati infine sterminati per ordine dell’imperatore Diocleziano. Il luogo dell’eccidio, Agaunum in Raetia, è oggi Saint Maurice-en-Valais, in Svizzera. Altre La Fiera di San Maurizio versioni raccontano similmente che la legione si rifiutò di eseguire gli ordini dopo aver scoperto che un villaggio che avevano appena distrutto era di poveri e innocenti contadini cristiani; oppure che l’imperatore aveva ordinato la loro esecuzione al rifiuto ripetuto di offrire sacrifici agli dei pagani. In ogni caso è quasi certo trattarsi di leggenda, ma ciò non ha importanza. Per complicate questioni geopolitiche, alcuni decenni prima dell’anno Mille, San Maurizio divenne patrono del Sacro Romano Impero, e la sua spada e la sua lancia furono per secoli considerate reliquie potenti. La spada faceva parte del corredo degli imperatori austroungarici fino alla fine (dell’Impero Austrungarico) e si voleva che la lancia con il suo nome scritto sopra fosse proprio quella che ferì il costato di Gesù sulla croce. Secondo l’etimologia, e la leggenda, san Maurizio era moro: Mauritius (in copto Maurikios) deriva da Maurus, originariamente «abitante della Mauretania», la regione dell’Africa che oggi va dall’Algeria fino al Marocco e alla parte settentrionale della Mauritania, perciò molto spesso è raffigurato con tratti africani e qualcuno suppone un’origine nubiana, o di discendenza mista egiziana e nubiana. Francese: Maurice; inglese: Maurice, Morris; olandese: Maurtiz; russo: Movr; spagnolo: Mauricio; tedesco: Moritz; popolare: Mòri(s); femminile: Maurizia. I Antichi e San Maurizio Per esempio, rapidi: il Principe Maurice Agosti incredibile interprete di Giacomina Casanova e Marchetta Polo, il grande amico e regista Maurizio Scaparro che ci ama sfrenatamente ricambiato; e poi Maurizio Bastianetto che anche se non ci ama più ha pur sempre creato cose indimenticabili; e poi, tremenda, Maurizia Paradiso senza la quale non avremmo con enorme soddisfazione litigato a mezzo stampa con la Zia Marina. E poi, la vicenda di San Maurizio, leggendaria o reale che sia, tocca uno dei punti fondamentali dell’etica de I Antichi: può lo Stato decidere la Morale dei suoi sudditi, oggi cittadini? Secondo noi, e secondo San Maurizio, no. Fede, pensiero, sfera sessuale, orientamento politico sono affari privati. Ma di questo un’altra volta. Ricordiamo infine che miglior santo non avrebbe potuto darsi come levatrice alla nascita della Compagnia, data la bellicosissima e pugnace natura del nostro Priore Fondatore Paolo Emanuele Zane Cope Zancopè, uomo d’armi e di sogni. La chiesa di San Maurizio La geometrica e abbagliante facciata della chiesa, candeggiata da un non più recente restauro che ha dimenticato da qualche parte santo e angeli soprastanti il frontone, nasconde una storia interessantissima. Scrive Giulio Lecomte, ufficiale di marina e scrittore francese, nel suo Venezia, colpo d’occhio letterario, artistico, storico, poetico e pittoresco sui monumenti e curiosità di questa città del 1844: «È una chiesa nuova. Il patrizio Pietro Zaguri, morto nel 1806, proponendosi d’imitare la demolita chiesa di s. Geminiano del Sansovino, la quale sorgeva alcuni anni prima in piazza s. Marco ov’è adesso il nuovo Palazzo reale, diede il primo disegno di questa. Morto lo Zaguri, il nob. Antonio Diedo (segretario dell’Accademia delle Belle Arti) e l’architetto Selva (moto nel 1819) lo posero in esecuzione, facendovi quelle riforme ed aggiunte che parvero opportune. La facciata è di semplice ed elegante disegno del Selva, riformato dal Diedo. Le stature e i bassi rilievi furono scolpiti dal professore Zandomeneghi e da B. Ferrari. Tutte le scolture dell’interno sono buoni lavori del valente Domenico Fadiga veneziano, il quale si occupò altresì dell’esecuzione della facciata. [...] In mezzo alla chiesa è la tomba di Pietro Zaguri, autore del primo disegno». Accanto al patrizio (di cui parleremo diffusamente un’altra volta) fu sepolto anche, nell’agosto del 1768, «senza pompa alcuna di stemmi, o iscrizioni» il titanico Zorzi Alvise Baffo. La tombola Parente povera e familiare del Lotto è comunque tecnicamente un gioco d’azzardo anche se blando. Il Lotto a Venezia ha storia antica e appassionante, fu governativamente proibitissimo e poi sfruttatissimo per la sua peculiarità di dilapidare patrimoni, capacità in ogni tempo considerata legittima e sana quando esercitata dagli Stati per loro beneficio. Scrive Giovanni Grevembroch nel suo Gli abiti de’ Veneziani di quasi ogni età con diligenza raccolti e dipinti nel secolo xviii da cui è tratta la figura dell’Impressario del Lotto qui a fianco: «Sia come si voglia, il rischio di minuto esborso ridonda più della Grazia anelata negli antichi Lotti di Elagabalo, appresso cui (secondo il Detto di Lampridio) taluno guadagnava dieci famelici Camelli, alcuno dieci sfrenati Cavalli, altro dieci Grilli, o Mosch e». ◉ pagina 4 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio Echi massmediologici: culinmaschera R iceviamo e lietamente ratto pubblichiamo questo lacerto poetico dedicato al nostro grandissimo Carlo R. Bullo che rientra (il lacerto poetico) nel poderoso genere dei calembour, non-sense, paronomàsie e in senso lato di tutti i giochi di parole. Nel caso in questione si può parlare senza meno e senza fallo di un nuovo stile: la poesia bullesca dett’anche bulleada. La ballata di Bullo ovvero la bullonata dell’Inconsolabile Console H a goduto di immeritatamente breve successo la singolare protesta estiva di alcuni lavoratori di entrambi i sessi nella bella città di Bologna. Eppure varrebbe un lungo esame antropologico e anche semiologico. Per la prima volta a memoria d’uomo gli arguti dimostranti hanno messo in scena un calabrache mascherato. Non potendo o non volendo esibire al naturale le rotonde posteriorità in segno di sberlef- fo amichevole ai destinatari della loro protesta, gli scioperanti hanno optato per dei culi di plastica con un effetto moltiplicatore dei significati: ad esempio il nesso tra maschera e volto e qui tra faccia e culo. Avessero mostrato le chiappe vere sarebbero magari stati multati ma sarebbero stati eroi, però almeno sono stati patafisici. Al termine pare abbiano detto sconclusionatamente: «se continua così, restiamo in mutande». ◉ QUANDO LE PAROLE NON SERVONO Carlo, amante del basebull, visto il bullettino meteo, prese il bullover ed uscì coi suoi cani: un bulldog e un pittbull di nome Pecos e Bufalo bull sembravano tre bulldozer. Carlo, come un vero bullo tirava bulloni, bevendo una redbull bullente, come in bulli e Pupe, mangiando specialità cinesi, con bullo e marmellata. Dopo aver preso a pugni un pungibull guardata l’ora sul bulova, andò a bullare a Genova all’hotel bullavista dove lo chiamavano bulin. Alle elezioni di bullinzona , andò al bullottaggio, facendo un salto nel bulo, un bulo nell’acqua‼ …ma il bullo deve ancora venire….. Carlo compilò le bulle d’accompagnamento, fece il bullino blu, andò al bulla, acquistò un francobullo, ma tutto si risolse in una bulla di sapone. Ai murazzi: invocazioni poco propiziatorie M Fegato alla Veneziana anitù, conosciuto anche come Wakan Tanka, Gitchi Manitou, Oki, è il Grande Spirito onnipotente creatore di ogni cosa materiale che secondo i Pellerossa regna nel paradiso chiamato il Felice Mondo della Caccia, o qualcosa del genere. Il grande Carlo Bullo, in occasione della murazzata preferragosto organizzata splendidamente da Bruno e Lisa, invaso prepotentemente dal- l’ascesi mistica nel momento culminante della cottura cui si era gioiosamente prodigato, ha invocato la divinità panteistica in un impeto orgasmico sollevando alla volta celeste un tronco all’uopo arroventato. L’effetto immediato è stato un subitaneo altissimo incendio del barbecue, con fiamme spropositate: solo il rapidissimo intervento di Jacopo Bullo ha evitato la carbonizzazione totale delle carni appena cotte. ◉ venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 5 A bbiamo ricevuto una cartolina da Nizza. È in bianco e nero. Si vede il mare quieto. Sullo sfondo, un cielo limpido e una giornata chiara e senza nuvole. Un gruppetto di persone passeggia lentamente, si direbbe senza fretta, sulla Promenade des Anglais. Le donne portano gonne lunghe, con disegni di fiori, che una brezza leggera muove appena. Gli uomini indossano completi di lino bianco e hanno in testa dei panama a tesa larga con la fascia nera. Alcuni si appoggiano a eleganti bastoncini da passeggio di bambù con il manico di avorio. La cartolina è indirizzata ai «meravigliosi amici di sempre» della Compagnia de Calza «I Antichi». La data non si legge bene, è mezza cancellata dall’inchiostro color seppia del timbro postale. La firma invece, uno svolazzo arioso, è perfettamente leggibile. Come anche le parole di saluto. C’è scritto che il viaggio è andato bene, che il tempo è buono, e che si tratterrà laggiù (o lassù, una macchiolina di inchiostro è scivolata proprio sulla doppia consonante) per un po’ di tempo. Quello che serve, spiega, per sistemare alcune faccenduole. Dopo di che, aggiunge, «sarà una gioia rivederci». «Vi abbraccio tutti», conclude. La grafia è riconoscibile. La stessa di sempre. Uguale. Anche se, a ben guardare, una piccola differenza c’è, che la rende sorprendentemente uguale ma diversa. Appare come più sicura, meno incerta e tremolante di quella degli ultimi tempi. Come se la mano avesse ripreso un inaspettato vigore. Una nuova sicurezza. Come fosse guidata da una forza superiore. Anche la firma, «il Vostro Priore Onorario Conte Emile», sembra più marcata, più decisa. Ma forse è solo un’impressione. Racconta che l’ha fatto di notte il suo ultimo viaggio, il Conte Emile Targhetta d’Audiffret, Priore Onorario della Compagnia de Calza «I Antichi». «Staremo più freschi», aveva detto al suo fido scudiero Michele Neguse. In auto, di notte, nel silenzio del tempo delle stel- L’ultimo viaggio del Conte Emile . – di BOB R WHITTE GRAN PRIORE DE I ANTICHI le cadenti, sull’autostrada deserta, traversando l’Italia addormentata, da un mare all’altro, da Venezia a Nizza. Dalla città che si era scelto come palcoscenico, alcova e rifugio, alla città dove novantaquattro anni or sono aveva aperto gli occhi ridenti al mondo. Così aveva voluto. E così è stato. Michele gli aveva preparato per il viaggio il suo vestito più bello. Perché tornasse elegante alla sua terra natale. Perché si sentisse a suo agio. Perché fosse all’altezza, come sempre, davanti agli amici che lo aspettavano sulla costa. Aveva preparato tutto con cura, Michele, come faceva ogni volta che partivano per andare in riviera, proprio lo stesso viaggio, quando i tepori della costa addolcivano il rigore degli inverni e l’umidità delle estati veneziane. Tutto come sempre. Immutabile. Solo una cosa, stavolta, rendeva diverso il viaggio che sembrava sempre uguale. Michele nell’auto sedeva davanti. Il Conte stava dietro. Di solito accadeva il contrario. Michele non poté non avvertire la differenza. Ma il viaggio fu identico. Il Conte e il suo scudiero si parlarono per tutta la notte. Come facevano sempre, quando discorrevano del tempo, degli incontri che avevano e che avrebbero fatto, degli appuntamenti per il bridge, per il the e la cioccolata, dei nuovi vestiti e cappelli da preparare per il carnevale che verrà, dei vecchi abiti da sistemare, delle feste e delle cene con i compagni de calza, delle nuove esilaranti storielle da raccontare nei pomeriggi a palazzo alla marchesa Cadavàl. Ma anche nel loro dialogo, che sembrava sempre uguale, stavolta c’era qualcosa di diverso. Il colloquio fu costante, sì, come sempre, ma per la prima volta dopo tanti anni fu silenzioso. Le parole del Conte, le sue erre vellutate, la sua meravigliosa cadenza francese, arrivavano all’orecchio di Michele senza fare alcun rumore. Michele le percepiva tutte benissimo, nitide e precise, anche se non ne sentiva il suono. Curioso, si disse, parlare senza l’eco delle parole. Si parlavano con la mente senza bisogno dei suoni. E parlandosi così, stando in silenzio, mentre guardavano il volo delle stelle morenti e dai campi tagliati dalla strada saliva il canto d’amore dei grilli, rividero il film di tutta una vita nel viaggio lungo e lento attraverso lo spazio della notte. Arrivarono a Nizza che un’alba nuova era spuntata e colorava la costa di azzurro. C’era una brezza leggera che muoveva appena la cima dei palmizi e l’aria profumava di lavanda. Michele aveva avuto il suo bel daffare quand’era andato in sopralluogo, alcuni giorni prima, come faceva sempre, per far trovare ogni cosa al suo posto all’arrivo del Conte. Stavolta aveva dovuto faticare più del dovuto per trovare e sistemare a dovere la nuova dimora del Conte che aveva scelto di andare a stare vicino agli altri membri della sua famiglia che lo avevano preceduto in quel lembo di terra di Francia. Aveva fatto del suo meglio, avanti e indietro, da un ufficio all’altro, con passione e precisione. Ma adesso tutto era finalmente a posto. Gli ostacoli burocratici abbattuti, il posto preparato, il nome con le date, i fiori freschi che gli piacevano tanto. Adesso Emile era tornato a casa. Sul suo volto disteso, la pelle liscia e rosea, si disegnava un sorriso tranquillo. Ci siamo dati appuntamento per il tredici di ottobre, lunedì. Nella ricorrenza dei tre mesi dalla partenza. Per una specialissima «Soirée d’Audiffret», che poi celebreremo il tredici di luglio di ogni anno a venire. Nel suo palazzo alle Fondamente Nove, pensavamo. Come una volta. Come tante volte. Padre Angelo e il Conte Marino Zorzi, grande amico di Emile, diranno parole alate. Michele preparerà la cena, come al solito, con i piatti che gli piacevano tanto. Noi compagni de calza indosseremo i nostri costumi più belli. Lasceremo a Emile il suo posto preferito al centro della tavola imbandita. E impareremo anche noi a parlare con lui senza sentire il suono delle sue parole. Sfoglieremo insieme l’album delle vecchie foto e vedremo il filmato che amava tanto della celebre gita in burchiello lungo il Brenta. Racconteremo le sue storie predilette, dal venerdì all’agnello sacrificale, dai capelli lavati tutti i giorni all’uccellino della chiesa, dall’adultera alla mezzana, da Ca’ Gava ai soffitti di Montecarlo, dagli anni che passano ai bambini che calpestano lo strascico del vestito, da chi è questo Michele a non ricordo più nulla, da lei lavora qui a non riesco a capire il significato di questa parola, me la dicono fin da quando ero ragazzo. Poi forse, se Michele vorrà, se ce lo chiederà, riproporremo in suo onore la meravigliosa e inimitabile sfilata dei celebri cappelli. Sarà come se non fosse cambiato nulla. Sarà tutto come sempre. Bellissimo. ◉ pagina 6 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio Quando partì, nell’estate di due anni fa, e sinceramente non sapevamo se l’avremmo mai più rivisto, fu data festa grande nel giardino del Priore sull’isola della Giudecca. Ci furono frizzi e lazzi, aneddoti e storielle, ricordi e battute, tappi stappati in quantità e progetti impossibili sognati in libertà. Fu festa araba e alcolica. Musiche sinuose e insinuanti, tuniche, turbanti e jalabie, quelle originali, quelle provenienti dal sacco di Khartoum perpetrato dagli Antichi in una delle più folli e memorabili tournée della Compagnia de Calza. Si festeggiava «l’addio», sì l’addio, perché a noi piace un po’ di melodramma, sia pure condito dal prezioso e sempre più raro sale dell’ironia, l’addio – dicevamo – del Cuginomichele, nome d’arte del compagno de calza ingegner Michele Busetto, veneziano doc di palesi origini pellestrinotte come inequivocabilmente tradisce il cognome, cugino per l’appunto di un’altra prestigiosa compagna de calza, la dottoressa-cavalieredellarepubblica-vicecaporedattoredellarairadiotelevisioneitaliana Monica Mobu Busetto altrimenti detta anche Little Hole e Petit Trou, consorte legittima del nostro amato Gran Priore Roberto Bob R. White Bianchin. Cuginomichele, per impegni legati al suo lavoro di grosso dirigente di una nota industria internazionale produttrice di telefonini cellulari e apparecchi similari (la Gnochia), lasciava dunque le amate sponde italiche per trasferirsi armi e bagagli in una terra esotica lontana e misteriosa: Dubai, Emirati Arabi, o Evira- Due ammiratori di Cuginomichele Il Ritorno del Cugino dal Dubai . – di BOB R WHITTE GRAN PRIORE DE I ANTICHI ti Arabi come preferiamo chiamarli noi. Inutile dire che avevamo il cuore spezzato mentre versavamo calde lacrime di prosecco. E non solo per l’affetto, di cui venivamo privati, che ci legava e ci lega all’impareggiabile Cugino, ma anche perché sul piano artistico venivamo spogliati di uno dei personaggi più carismatici che si era rivelato fin da subito uno dei migliori acquisti fatti dalla Compagnia negli ultimi anni. Facemmo il possibile, e anche un po’ di più, per alleviare il nostro dolore con possenti libagioni, e soprattutto col conforto del pensiero delle prospettive tinte tutte di rosa che ci piaceva immaginare per il nostro amato Cugino. Già lo vedevamo, elegantissimo e perfettamente a suo agio, proprio perché dotato del necessario physique du rôle, nel tunicone orientale ampio e ricamato «che se sta bei freschi parché l’aria passa da soto e respira anca i cogioni». Lo vedevamo vestire appunto con meravigliosa nonchalance e assoluta consapevolezza i panni dell’emiro sotto una tenda nel deserto riccamente addobbata, profumata di spezie, di incensi e di unguenti. Già ce lo immaginavamo a tracannare vino profumato di cannella, vezzeggiato e coccolato da premurose, generose e procaci danzatrici del ventre, e amorevolmente accudito da stormi di giovani efebici e disponibilissimi eunuchi. E già sognavamo per gli Antichi favolose tournée da Mille e una notte, e cene di Eliogabalo, e spettacoli di Sardanapalo, nei palazzi scintillanti dei sultani di quelle terre affascinanti e magiche. Niente di tutto questo è successo. E noi Antichi per giunta siamo stati così stolti da ignorare colpevolmente i ripetuti inviti del Cugino che generosamente ci aveva più e più fiate offerto i doni preziosi della sua munifica ospitalità. Così è stato. E ora ci mordiamo le di- ta per non dire di altro. Ma il nostro rimpianto, proprio perché le cose del mondo a volte prendono delle pieghe impreviste e ristabiliscono rapporti e relazioni che si credevano perduti, è destinato a tramutarsi ben presto in rinnovata allegranza. No, l’esuberante Luigina, che di cognome fa Allegranzi, appunto, non c’entra. Qui si tratta di altro. Gioia pura. Già. Perché sappiate che se noi non siamo andati al Cugino, sarà il Cugino che viene a noi. Un po’ come Maometto e la montagna. La storia, vedete, si ripete. L’ingegner Busetto, per motivi che no stago a dirve qua, si avvia difatti a concludere positivamente, e ciò che più conta serenamente, la sua esperienza di lavoro (e di vita) in quel di Dubai, e dal prossimo mese di settembre tornerà nuovamente a rimettere piede (e anche il resto, si suppone) sul mai dimenticato suolo italico. E, sembra, per rimanervi. Almeno per un po’. O fino a nuova destinazione. Chissà. Comunque, riprenderà possesso della sua casa milanese in quel della Bicocca, dei suoi dischi a 45 giri di Little Tony, delle videocassette di Linda Lovelace, e dei pacchettini di formaggini Tigre che aveva dimenticato sparpagliati per la casa nella fretta di partire. Inutile dire che ne siamo particolarmente felici. Si capisce. Non solo perché ritroviamo a tempo pieno, o quasi, un caro amico di cui in più occasioni avevamo sentito la mancanza. Specialmente il Priore, che solo soletto in quel di Milano non trovava più nessuno disposto ad andare con lui ai concerti dei Gang, di Shel Shapiro e degli Olodum, o a bere cachaça e ad ammirare la camminata ancheggiante delle jinetere al festival latinoamericano. Ma anche perché recuperiamo un personaggio importante per la Calza e i suoi spettacoli. Anche se, a dire il vero, il Cugino non ci ha mai dimenti- cato neanche dalla lontana Dubai. Tanto è vero che tutte le volte che ha potuto, come a Carnevale e in alcune altre occasioni, mica ha fatto come noi, ha preso il primo aereo, si è cambiato in volo, e appena sbarcato è corso sui nostri palcoscenici a riprendere il suo posto. Così come ha seguito con amore tutte le nostre imprese dal sito della Calza e dal Ridotto, e di tanto in tanto ha anche alimentato il suo blog con meditazioni profonde e meditati quanto divertenti raccontini di viaggio. Si deve al Cugino anche il filmato e il lancio planetario su You Tube dell’ormai celeberrimo monologo del Gran Priore «Basta con queste anticaglie» ripreso in una memorabile e alcolica serata al Circolo degli Antichi. Adesso che torna davvero tra noi, sarà tutta un’altra musica. Sarà come riprendere il filo di un discorso interrotto e iniziarne uno di nuovo. Intanto daremo una gran festa per il suo ritorno, naturalmente in stile arabo, proprio come avevamo fatto in occasione del suo addio. E poi lo faremo immediatamente rientrare negli amatissimi panni dei suoi folgoranti personaggi, da quelli del misterioso Onfalomante a quelli del temibilissimo Gran Khan Khan Kubilai, fino a quelli, modernissimi, dell’inquietante Cuginomicheledj specializzato in rock lappone. Ma soprattutto potrà finalmente dedicarsi, d’intesa col Priore con cui ha già messo le basi del progetto, alla realizzazione del suo sogno più ambizioso e più segreto: la spettacolare invenzione de «Il ritorno dell’uomo cannone». Bentornato Cugino! ◉ Cuginomichele venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 7 A qualcuno piace Aldo, si potrebbe dire parafrasando un celebre film americano di qualche lustro fa. Ma sarebbe ingeneroso. Perché Aldo Colferai, Alduccio per gli intimi, Decano della Compagnia de Calza «I Antichi», non piace solo a qualcuno. Piace, e molto, a tantissimi. A noi per primi. E per svariati motivi che ora stago a dirve qua. Il primo è che si tratta dell’unico caso conosciuto al mondo in cui una tradizione – in questo caso quella della Compagnia de Calza – si sia tramandata non di padre in figlio, come normalmente avviene, ma di figlio in padre. Cosa che può avvenire solo in una combriccola alquanto singolare e decisamente unica quale la nostra. Difatti Aldo Alduccio Colferai, oltre che sposo felice dell’incomparabile «Sirena» della Calza nonché Mamma di tutti i Casanova, Cleonice Nice Silvestri, è anche padre sereno di quel Luca Colo de Fero Colferai, Procurator Grando e già Gran Priore degli Antichi, che per l’appunto incappò nella Calza prima del di lui genitore e quindi gliela trasmise, pur senza fatica, per partenogenesi filiale. Il fatto, pure assolutamente inconsueto, non sembra, in un bilancio a lungo termine, aver arrecato danni visibili o signi- Aldo Alduccio Colferai visto da Bob R. White ficative turbative né all’uno né all’altro. Il secondo motivo è che Alduccio, detto anche Nicotina («Un camino sempre acceso», si autodefinisce), è l’uomo dei record: egli infatti detiene all’unisono gli ambiti primati di pensionato più giovane d’Italia e di pensionato più abbronzato d’Italia. Quanto al primo aspetto, relativamente agli anni ormai lontani in cui si esibiva in qualità di mastro tipografo al soldo del quotidiano lagunare più antico, egli è solito teorizzare che «il lavoro è un tumore maligno dal quale fortunatamente sono guarito presto». Lezione, questa sì, che è riuscito a trasmettere, anch’egli senza fatica, di padre in figlio, stavolta in ossequio alla tradizione più ortodossa. Quanto al secondo aspetto, quello dell’abbronzatura perenne, egli fa spallucce, sostenendo che non si mette mai a prendere il sole volontariamente e tanto meno frequenta centri specializzati né si abbevera al flusso inquietante di lampade abbronzanti. Semplicemente, spiega, è fratel sole a baciarlo volontariamente nel tempo, sia estivo che invernale, sia primaverile che autunnale, in cui la fida cagnetta Lilli lo accompagna in lunghe passeggiate sulla sabbia dorata del Lido di Venezia, stando bene attenta – la cagnetta – a non perderlo di vista, come una volta le è successo, e a ricondurlo puntualmente a casa per l’ora del pranzo o della cena, evitando così di incorrere nelle ire, peraltro non frequenti, della sua sposa sirena. Alduccio, depositario della pietra filosofale degli Antichi, è la ragione e la coerenza della Compagnia. È il suo pensiero nobile. È la barra sempre diritta del timone: «Non siamo e non saremo mai figuranti né attori. Noi siamo. Siamo i personaggi ai quali diamo vita. E i nostri personaggi sono noi». Colonna portante degli Antichi fin dagli albori, consigliere segreto e ascoltato di tutti i Priori, ha sempre rifiutato incarichi e prebende, ma ha sempre dispensato perle di autentica saggezza. Come quando, in antiche e agitate stagioni, al fondo di accesissimi consulti, ammoniva severamente il fondatore Zan- copè: «Paolo, non facciamoci fuorviare da questo o da quello. Restiamo quelli che siamo. E pensiamo a fare le cose per la gente». Animato da insuperabile spirito di gruppo, d’indole pacifica e temperamento tranquillo, mai polemico anche quando ne avrebbe avuto donde, mai rissoso, mai separatista, mai eversivo, al contrario sempre presente e sempre disponibile a ogni ruolo e a ogni nuova avventura, Alduccio è certezza e sicurezza. È affetto e lealtà e attaccamento ai colori. E se a volte sembra assente, non lasciatevi ingannare. Sta meditando. I suoi molti personaggi, nei suoi costumi sempre filologici e impeccabili, portati con nonchalance anche quando erano pesantissimi e dov’eravamo faceva caldissimo, hanno segnato la storia della Compagnia. Da quello del Compagno de Calza per eccellenza, il primo per importanza ed eleganza, a quello dal rosso accesissimo del «Pitima» (uno dei suoi preferiti), da quello da Doge (che invece non ama affatto ma accetta di buon grado di indossare quando serve) a quello, superbo, da bagnino dei primi del Novecento col suo costumino a righe, la paglietta in testa, e i meravigliosi baffi a manubrio, fino a quelli del potente Sultano e dell’allucinato fumatore di narghilè che fu molto lodato dal grande regista Maurizio Scaparro ☞ continua a pagina 14 Dall’alto, Alduccio con Bob R. White, con Mafalda Malpighi e in versione bagnino di salvataggio pagina 8 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio Fresco di stampa: Enzo Rossi Ròiss «Poemi Doping» uno scrittore settantenne diversamente anziano Pubblica presentazione sabato 13 co’ fa scuro – Ore Felici in Circolo H a le caratteristiche di un Meridiano Mondadori il libro edito da «I Antichi» a Venezia col titolo «Poemi Doping». Ha tali caratteristiche perché contiene in 350 pagine tutta l’opera poetica edita e inedita di un solo autore: Enzo Rossi-Ròiss nato nel 1937. Con testimonianze esegetiche di Autori Diversi, la gran parte noti ai lettori di testi poetici moderni e contemporanei. Tanto che alcuni meritano di essere citati (in ordine alfabetico); Vincenzo Accame, Elio Filippo Accrocca, Ercole Bellucci, Gianni Celati, Gualtiero De Santi, Joice Lussu, Eugenio Miccini, Luciano Nanni (anche Menetti), Roberto Roversi, Sarenco. Il libro è sottotitolato «Canzoniere 1964-2007», perchè l’Autore ha ordinato la sua scrittura poetica in versi trascorrendo il suo 70° anno: come Francesco Petrarca (1304-1374) che non riuscì a compierlo perché morì un giorno prima. L’ordine di pubblicazione e lettura, però, non rispetta l’ordine di scrittura, poiché i vari testi risultano accorpati in sezioni (dieci) omologanti e monologanti. Poiché a quasi tutti i testi pubblicati si addice l’oralità dell’Autore, più che la dicitura degli attori di teatro, così come si addice l’esegesi di chi li ha concepiti, propedeutica a ogni esegesi professorale, una conversazione con Rossi-Ròiss, a questo punto, è quanto di meglio per i lettori de Il Ridotto. i antichi - Cominciamo dalla copertina aniconica e tricolore: perché? roiss - Perché è stata concepita come opera visuale, la cui decodificazione o deambiguazione è consentita soltanto a chi si predispone ad esaminare i suoi diversi liveli di significazione. i. a. - Che sarebbero...? roiss – I livelli di significazione risultano stratificati a cominciare dalla successione (sovrapposizione) delle tre parole tricolorizzate su fondo nero: roiss (verde) POEMI (bianco) DOPING (rosso). Esaminando il primo livello di significazione si connota la nazionalità italiana dell’Autore e del suo linguaggio originario. Esaminando il secondo livello di significazione si identifica la carica simbolica di ogni colore: nero (l’ideologia referente dell’anarco-libertarismo), verde (il colore della candela verde che illumina il sapere patafisico), bianco ( le polverine stupefacenti), rosso (la passionalità espressiva). L’esame di altri livelli di significazione consente l’accesso ad altre aree metaforiche a chi dispone dei password sapiensiali idonei. i. a. - Il Doping del titolo significa scrittura stupefacente? roiss – Significa scrittura poetica assunta come medicinale per positivizzare il negativo, smascherare le ipocrisie, esaltare le stupefazioni, connotare gli innamoramenti, deridere l’esibizione di eccellenze soltanto presunte, stigmatizzare la mediocripositività conclamata, disdegnare la creatività episodica e l’artisticità domenicale…ecc. i. a. – La doppia significanza è diffusa in tutto il libro, l’allego- ria e la metafora spadroneggiano quasi in ogni testo, la sentenziosità risulta ricorrente, qua e là profetizzi con disinvoltura: ironico, sarcastico, raffinatamente crudele, inequivocabilmente laico e agnostico. Ti riconosci come poeta e come persona in tutto ciò? roiss – Così come mi riconosco in tant’altro «dicibile» dopo aver letto i miei «Poemi Doping». i. a. – Spiega ora la presenza nei tuoi testi di tante parole, alcune sprovviste di etimo cruscacclarato, irrintracciabili nel vocabolario: ibridi semantici, ircocervi linguistici, insiemi sfingici, fonemi chimerici, generati da accoppiamenti trasgressivi di notissime parole durante la tue orge creative. roiss – Lo spiego col dire, semplificando, che le concepisco per significare più compiutamente (o completamente) ciò che è nelle mie intenzioni poetiche. Facilitato dalle mie frequentazioni patafisiche , oltre che dalla conoscenza degli esercizi di stile scrittòrio «oulipienne» (ou. li.po). i. a. – Un glossarietto finale prima dell’indice, però, avrebbe ben figurato. roiss – È una buona idea. Suggerisco di esemplificarlo impaginando in un riquadro alcuni dei miei neosememi. Per es:carmepilogus, deufemismazione, ficofora, gidugliata, iconovulvata, lauramplessi, piedilavori, postchiaraggiunta, tergiversificatori, ubunide, vulvaepistolata, vulvautorale, vulveide, vulvindex. i. a. – La sezione erotica del tuo libro s’impone per qualità e quantità dei testi. Tanto che puoi essere considerato e indicato come poeta plurivulvato confesso e documentato, inviso a ogni altro poeta monovulvato, avulvato, devulvato, sia poeta o no. Condividi questa opinione? roiss – La condivido a condizione che mi si consideri scrittore vulvologo virtuoso ed erudito, alternativo a ogni scrittore vulvomane approssimativo e maldestro. i. a. – Hai tradotto in versi tutti i tuoi innamoramenti? roiss – Soltanto i più significativi, a prescindere dal loro epilogo. i. a. – Ti hanno arricchito tutti? roiss – A conti fatti, tutti tranne uno che mi ha impoverito. Poiché l’ho condiviso a lungo con una donna mediocripositiva che si è rapportata a me applicando la formula: costi tuoi benefici miei / lavoro tuo plus valore mio / capitale tuo rendita mia / conoscenze tue per nuove relazioni mie. i. a. – Concludi con una dichiarazione. roiss – Dichiaro che i miei «Poemi Doping» costituiscono un prezioso campionario del mio vissuto e che li ho così ordinati a futura memoria della mia attività scrittòria, per connotarmi «diversamente anziano» trascorrendo gli anni successivi al mio 70°. ◉ Il libro può essere ordinato a www.iantichi.org, oppure a www.libreriaparolini.com venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 9 G iovambattista Tiepolo (1696-1770) fu artista veneziano, pittore di luce, di rosa e di azzurri pastello e nei suoi dipinti rappresentò l’ultimo soffio di felicità in Europa. Rapido nell’esecuzione (con nove figli da sfamare è più che comprensibile), mascherava col suo pennello veloce ciò che dipingeva fino al punto da far credere facile e divagante la sua opera, che invece è complessa ed enigmatica. Dalle sue mani tutto sembrava uscire senza fatica, ma tale facilità di esecuzione non gli venne perdonata. Per molto tempo i suoi affreschi furono considerati fuochi d’artificio, luce e colore senza sostanza come i botti del Redentore. I critici più benevoli dissero che era un Veronese redivivo, ma senza l’anima e la vitalità dell’illustre maestro. Fin da giovane capì che solo assecondando i capricci e il gusto di coloro che avevano potere e denaro avrebbe potuto avere importanti commissioni. La sua vita sembrò essere una successione di soffitti dipinti, più o meno vasti, di pale d’altare più o meno imponenti, di scene mitologiche molto maliziose e di ritratti che non presentavano il profilo migliore del proprietario. Della sua vita privata poco o nulla sappiamo, Tiepolo è la disperazione del biografo. Non era discendente dell’illustre omonima famiglia e forse per distinguerlo da costoro ebbe il soprannome di Tiepoletto, o per accennare al fatto che era noto a tutti come una maschera del luogo. Quando l’artista si trovò di fronte ad inviti di corte straniere fu costretto a scelte che cambiarono l’ordine della sua vita. Andò tuttavia (per la sopravvivenza della numerosa famiglia) a Wurzburg a dipingere la Residenz del principe vescovo, (580 mq di superficie da Arte da vedere: il veloce Tiepoletto di MARIA LUISA MARILÙ PAVANINI ZENNARO affrescare non potevano essere rifiutati con leggerezza); non volle invece andare in Svezia (troppo distante e troppo freddo o forse poco lauto il compenso). A Venezia lasciò la sua originale impronta alla Scuola dei Carmini, nella chiesa dei Gesuati ovvero Santa Maria del Rosario alle Zattere, a Palazzo Labia ma soprattutto suoi pregevoli affreschi si possono ammirare a Ca’ Rezzonico che è il museo del settecento veneziano. Tutta la pittura del Tiepolo è teatrale, il suo mondo è fatto di Veneri e Madonne con lo stesso profilo ed esse poggiano con leggerezza su nubi vaporose ed infinite. Le dee del Tiepolo appaiono, si mostrano con sovrana facilità. In quei cieli il nostro artista accoglieva tutto (aveva grandi spazi da riempire): dei, uomini, santi, ninfe, nani, Pul- cinella, angeli e draghi. L’ultima sua impresa fu la decorazione del Palazzo Reale a Madrid dove non voleva proprio andare, si fece molto pregare adducendo le scuse più svariate quali: «che doveva sistemare la sua numerosa famiglia» e che provava terrori panici sia delle Alpi, che del mare. Forse aveva avuto un oscuro presentimento perché a Madrid morì nel 1770. Tutta la sua vita ebbe il cruccio di finire le commissioni in tem- po, di far contenti i committenti. Nonostante però si mostrasse servitore ossequioso e deferente non mancò di disseminare i suoi affreschi di dettagli irridenti e corrosivi nei confronti di quella stessa nobiltà che con premura serviva. Nato nella città dove le donne usavano la maschera per fare tutto quello che volevano, la sua abilità metamorfica non apparve innaturale. ◉ Sopra: Bellerofonte cavalca Pegaso (1746-47, affresco, diametro c. 600 cm, Palazzo Labia, Venezia) A sinistra: Allegoria con Venus e il Tempo (175458 olio su tela 292 x 190 cm Londra, National Gallery) pagina 10 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio C arissime lettrici e amabili lettori, eccoci finalmente giunti a questa prima piccola (e unica nel suo genere) guida agli eventi musicali che ci allieteranno il mese di settembre in questa meravigliosa Città. Per non inciampare in inutili equivoci mi sento in dovere di illustrarvi un attimino come funziona questa rubrica-musicale: verranno menzionati solo quelle manifestazioni che si possono anche effettivamente considerare di valore musicale degno di questo termine. Dunque sono esclusi tutti quei terribili concerti in maschera (il termine corretto è «prostituzione musicale»), tutte quelle cose che vengono spacciate per musica ma che in realtà mirano solo a rimbecillire la giovane popolazione veneziana (ma anche quella un po’ più matura). Non verranno privilegiati i grandi eventi dei nostri grandiosi e gloriosi teatri, ma saranno posti allo stesso livello di tutte quelle piccole ma- nifestazioni e concerti che si tengono nei posti più disparati di questa città e di cui spesso nessuno ne è a conoscenza (neppure il sottoscritto)! Quindi per far fronte a questo vuoto tristissimo e poter fornire finalmente una guida per orientarsi in questa giungla di note mi sono avvalso della collaborazione di due illustri esperti del settore. Si tratta del coltissimo Rudof Stainer, e del Professor Hainz. La grande fama dei due non necessita altre presentazioni. E quindi non ne farò! Ai meravigliosi lettori basterà sapere che saranno i loro commenti, le loro analisi, le loro descrizioni e i loro consigli che vi accompagneranno da un concerto all’altro. Meraviglioso‼ Che dire ancora? Tante cose.. ma ve le risparmio! Iniziamo. Rudof Stainer: «dunque meine herren, per questo mese di settembre abbiamo qualkosi- Da sentire: corni, ottavini e zar di LUCAS CHRIST CON RUDOLF STAINER & PROFESSOR HAINZ na da segnalare. Il 13, di sabato, alle ore 20 le vanitose sale apollinee del GranTeatro la Fenice ospiteranno un concerto con un cornista pazzo furioso! Alessio Allegrini. (si racconta che una delle migliori orchestre del nostro piane- ta, i Berliner, lo volevano con loro ma lui rifiutò – perché suonare in orchestra se sono il solista più devastante?). Si esibirà in qualità di Corno solista e come direttore d’orchestra con il «Sabina International Ensemble», affiancato da Loris Antiga (corno), Edisher Savitski (pianoforte) e Vinicio Allegrini (tromba). Suoneranno le stupende musiche di Haydn (‼!), Mozart, Barber, Sostakovic, Márquez (e direi che può bastare!). e poi, Hainz, che abbiamo?» Professor Hainz: «ja, poi sempre in Fenice habbiamo il 14, 16, 18, 20 e 23 settembre la grande opera «Boris Godunov» (un prologo e quattro Atti‼, vi spiego..) di Modest (modesto!) Musorgskij basato sul dramma del grande Puskin. Come non farsi prendere da queste vicende di Zar, Re, nobili fanciulle, omicidi di eredi al trono, giochi di potere, invasioni di eserciti foresti?! Straordinario.. peccato che non si ca- pisce una mazza perché è in lingua russa! Ma sapendolo ci si può preparare prima. Il tutto sarà diretto dalla bacchetta del carismatico Inbal davanti ad un allestimento che ha vinto anche il prestigioso premio Abbiati 2006. Dopo abbiamo una piccola cosa per curiosi più accaniti..» – «aspetta Hainz, di questo parlo io!» – «perché?» – «perché si! Dunque, si tratta di un corso dedicato a strumentisti ma l’accesso è consentito anche come soli uditori. Tra le storiche mura del Gran Teatro la Fenice (Ancora..!), ma organizzato dal Conservatorio di musica veneziano «Benedetto Marcello», si svolgerà nei giorni 8 e 29 settembre (poi cont i- nuerà ad ottobre) dalle 14.00 alle 18.00 il corso «L’Ottavino nella letteratura orchestrale» tenuto dall’affermato flautista Franco Massaglia. Quindi, chiunque avesse sempre desiderato e non freme altro che sapere tutto e di più su questo particolare strumento musicale non può assentarsi da questi incontri. Iscrizione obbligatoria entro il 31 agosto. Informazioni presso il Conservatorio B. Marcello.» – «E poi che abbiamo?» – « Per questo mese Basta!» – «basta?» – «ja, gli altri sono ancora tutti in riabilitazione post vacanza!» – « molto bene, allora alla prossima edizione, che (lo posso già annunciare) sarà molto più ricca e folta di piccoli appuntamenti da non perdere!» – «Hainz!». ◉ venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 11 In teatro: Edipo e Pornobboy di LEONARDO MELLO S ettembre e il teatro non sono certamente una coppia felice, almeno a Venezia. Diciamo ecco anzi che sono quasi prossimi al divorzio, dato che le (poche) manifestazioni estive sono fatalmente tramontate e le stagioni regolari sono ben al di là da venire, con buona pace di chi – proprio nel crepuscolo di questa strana estate – volesse godersi il sospirato fresco assistendo a una qualsiasi rappresentazione di buon livello, non importa se tradizionale o come si usa dire oggi sperimentale, implicitamente legando i due termini il primo al concetto di noia mortale e il secondo a quello di incomprensibilità totale. Ma lasciando perdere le premesse terminologiche, il panorama teatrale del territorio veneto propone comunque almeno due diverse serie di appuntamenti che si preannunciano succose, per gli appassionati del teatro che non disdegnano di muoversi un po’ all’interno dei confini regionali. Per costoro sembra interessante il LXI ciclo di spettacoli classici organizzato al Teatro Olimpico di Vicenza, un gioiello ineguagliato di architettura rinascimentale che festeggia in solitudine i cinquecento anni dalla nascita di Edipo Interroga la Sfinge, dipinto di Jean Auguste Dominique Ingres, c. 1805. Andrea Palladio. Soprattutto l’Edipo da Lluís Pasqual – regista raffinato e inventivo applaudito alla scorsa Biennale per una riuscitissima «Famiglia dell’antiquario» goldonia- na – nasce sotto i migliori auspici, potendo contare, oltre a un cast di tutto rispetto, anche su un fuoriclasse come Massimo Popolizio (dal 25 al 29 settembre). La seconda proposta invece, che sconfina in ottobre (10-12 ottobre), è un nuovo allestimento di Peccato che sia una sgualdrina di John Ford, che al di là del titolo lontanamente gaudente porta in scena uno dei più foschi e incestuosi snodi del teatro elisabettiano, ripreso dal direttore dello Stabile veneziano Luca De Fusco a qualche anno di distanza dalla magnifica versione di Luca Ronconi. Chi invece preferisce il filone appunto sperimentale, cioè il teatro più improntato alla ricerca di nuove potenzialità espressive, può con qualche fatica in più arrivare fino a Bassano, dove – all’interno dell’Opera Estate Festival Veneto – il 5 settembre viene presentato Pornobboy, lo studio dell’inedito lavoro del gruppo veronese Babilonia Teatri, che con l’estremamente indovinato e divertente (anche se un po’ scurrile e tendenzialmente blasfemino) «Made in Italy» nel 2007 ha raccontato i disastri del Belpaese (o di quello che resta di lui), aggiudicandosi il Premio Scenario, cioè il più autorevole riconoscimento al teatro giovane e d’avanguardia. A ottobre però si prevede qualche novità interessante anche al di qua del ponte della Libertà… ◉ pagina 12 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio N on ho neanche fatto in tempo ad appoggiare la valigia sulla moquette della mia stanza al New Iberia Holiday Hotel che già mi bussavano alla porta. «Vuole guidare da solo o sedersi con la famiglia reale?» Che cosa avreste fatto? È ovvio: dieci minuti dopo ero seduto, strucà tipo tramezin tra re regine e principi Cajun, in un suv bianco scintillante, giù per la superstrada 90. Al volante l’assistente sceriffo, di scorta una dozzina di motociclette della polizia, di quelle grosse, con le luci lampeggianti: stavamo andando, entro i limiti di velocità, dritti dritti all’imminente incoronazione di Re Saccarosio LXVI. L’evento inaugurale dell’annuale Festival della Canna da Zucchero della Lousiana: una festa di tre giorni, con parate, cortei, costumi e zydeco. Ero arrivato a New Iberia al momento giusto: il raccolto del 2007 si preannunciava migliore di tutti i precedenti. Gli ultimi anni non erano stati per niente buoni; una volta addirittura, anche no, l’arrivo dell’Uragano Rita aveva mandato all’aria il Festival proprio quando le concorrenti al titolo di Regina dello Zucchero si stavano aggiustando i corpetti e le crinoline. Ma stavolta le loro Altezze Reali stipate nel suv dello sceriffo sfoggiavano dolcissimi sorrisi. Davanti sedeva la Regina dello Zucchero dell’anno prima: una ragazzona dinoccolata strizzata nel vestito di satin verde smeraldo, i capelli perfettamente acconciati ad accogliere la corona, ovviamente verde, che ricorda nella forma la canna da zucchero. Guardava il mondo intero come se fosse appena scesa dal Regno delle Fate, o appunto, dalla Città di Smeraldo di Oz. Sua Altezza raccontava come avesse passato l’anno presenziando in un tour ininterrotto tutti i festival della zona, accompagnandosi con le altre Maestà locali. Da queste parti ogni città, per piccola che sia, ha il suo festival o forse meglio Dal Mondo: nel Reame dello Zucchero da New York MICHAEL KRONDL sagra, dedicata ai più disparati generi o prodotti agricoli e alimentari: si celebrano gli Astici, le Rane e i Porcelli; si onorano le Andouille (delizio- stufato sugoso o anche una zuppa bella fissa). E ognuno ha la sua Regina e la sua Corte reale. Ogni anno si spendono dei patrimoni tra ve- Sopra: concorrenti al titolo di Regina dello Zucchero a New Iberia, Lousiana (Usa). Sotto: canne da zucchero nel tipico panorama della zona. se salsicce speziate e affumicate al fumo di canna da zucchero) ; si incensano la Jambalaya (una versione Nuovo Mondo della paella) e il Gumbo (uno stiti di raso e corone. La corona della Regina dei Gamberi e del Petrolio è decisamente fantastica: una scultura ingioiellata e molto aggrovigliata che unisce e protende un impianto di estrazione petrolifera offshore con un gambero gigante e rampante. Sembra, pare, eppure è proprio così: all’inizio i pescatori ce l’avevano a morte con le piattaforme perché erano convinti che avrebbero fatto strage dell’ecosistema, devastando le zone di pesca; e invece poi è venuto fuori che i gamberi adorano gli impianti d’estrazione, li usano come zone di riproduzione, e la pesca attorno alle piattaforme è un affare d’oro. Il che è un’ottima ragione per una festa. Non è per niente facile diventare Regina dello Zucchero. Prima bisogna vincere il concorso, che è una via di mezzo tra l’elezione di Miss America e una festa delle debuttanti, e poi bisogna combattere per tutto lo stato contro le armate degli adepti e dei sostenitori dei Dolcificanti Alternativi, dato che bisogna pur difendere gli interessi dei produttori di zucchero. Per il Re è più facile. Lui è solo un portavoce con in testa una corona. Re Saccarosio uscente è seduto proprio davanti a me, accanto alla consorte, Regina «B». B Per sta per Bagasse «ma l’abbiamo accorciato – dice la regina – non suona per niente bene». E te credo: non solo in italiano ricorda tanto il mestiere più antico del mondo, ma in inglese (che negli Usa lo parlano di più dell’italiano) suona come «bag ass»: culona, con l’accento sulla seconda «a». Io, per me, incuneato come ero tra il Principe Ereditario (un sessantenne un po’ troppo serioso per il ruolo) e la sua consorte (Bagasse) li trovavo tutti semplicemente spettacolari. Se guidate giù per la superstrada tra New Iberia e Lafayette vi par di essere una formica sperduta in un oceanico prato all’inglese, di quelli che stanno davanti ad ogni villa dei quartieri residenziali, ma grande da un orizzonte all’altro. Siete circondati da steli giganti d’erba (le canne da zucchero sono alte un metro e ottanta) e in fondo c’è un enor☞ continua a pagina 14 venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 13 T empo di zuca baruca. Tipica verdura settembrina che ha nelle fertili campagne intorno all’inclita Chioggia il suo terreno d’elezione. Un tempo, chiamata per la sua economica abbondanza e bontà el vedelo de Cioza, veniva portata alla vendita su delle tavolette, da indomiti e intrepidi chioggiotti non solo nelle calli e nei campi veneziani, ma in tutto il Veneto. Ora si trova comunemente nei banchi dei supermercati, anche già tagliata. Ocio però: di zucche ve ne sono un’infinità, tutte più o meno buone, ma solo la zuca baruca si merita la cucina, le altre i porsei. Il conte Marc’Antonio Cavanis, sacerdote, che al tramonto della Serenissima Repubblica fondò con il fratello la congregazione per educare fanciulli in cui molti hanno studiato, scrisse per celia un poemetto di cui vi facciam venia tranne che di questo verso: «La ga el color de l’oro, e tanto basta». La zucca ha una storia briosa e curiosa. Era conosciuta già agli antichi Romani che la usavano come esempio di testa durissima di comprendonio, oltre che come cibo; forse proprio da testona nel senso di zuccona (*tucca, latino popolare) potrebbe venire la nostra parola zucca. La zucca venne importata dalle Americhe dopo la loro scoperta. Zucche aborigene e zucche foreste si mescidarono quindi a tal punto che tracciare una storia completa delle loro botanica e biologia è qui impossibile. Diciamo, ecco. Parente stretta del melone e del cetriolo, un po’ meno dell’anguria che più vicina a quest’ultimo, la zucca è la forma adulta della zucchina, che è stata selezionata qualche decennio fa come zucchino che rimane sempre piccolo, sebben lungo, e maschio, almeno a parole. Ci limitiamo pertanto alla zuca baruca. Il suo nome latino è Cucurbita maxima, e viene dalla Mesoamerica; data la forma era anche chiamata zucca moresca oppure a turbante; molti di primo acchito pensano e hanno sempre pensato che sia arrivata chissà come dall’Oriente, un po’ come il tac- A Tavola con I Antichi: zuca baruca chino1: che la zuca baruca sia una «zucca benedetta» da ll ’ebr a ic o Baruch che significa appunto Benedetto, in italiano reso con Ba r uc c o, onomastico il 15 novembre; in questo aiutati anche da qualche vecchio bacucco, così detto dal profeta (vecchissimo) Habacuc. Ciò però, non è. Altri ancora, più sgagi che saggi, propongono l’origine spagnola, dato che dopo aver invaso le Americhe gli spagnoli portarono indietro con le buone e più con le cattive molte cose. La zuca baruca è tutta gropolosa: piena di verruche, e verruca in spagnolo era detta «berrueca» come anche attestato nel Dizionario Inglese Spagnolo scritto nel 1794 dal viaggiatore e giornalista Giuseppe Baretti2; ma ci convince poco. Ci convince invece moltissimo la tesi più semplice: c’era un termine aborigeno e plebeo dell’Italia del nord «baroco» con il significato di «balordo strano irregolare bizzarro» che avrebbe dato anche origine all’artistico «Barocco» ma che poteva, con semplice apofonia vocalica qualitativa oscurativa3, diventar «baruco». La scena sarebbe ordunque così: il conquistador spagnolo dice al contadino chioggiotto: «mira la zuca berreuca!» e il contadino risponde: 1 Del tacchino, detto dindio, parleremo un’altra volta. 2 Baretti è famoso per aver editato la rivista Frusta Letteraria ed è anche noto per essere stato l’unico testimone auricolare, cento e venticinque anni dopo, della famosa frase di Galileo Galilei «Eppur si muove». Che recia! 3 Parole difficili in omaggio per John Matthews. «ma quala berueca, la xè ‘na zuca baruca!». Per la sua abbondanza, e per essere un vegetale, essa è sempre stata considerata a torto cibo da poareti. La zucca reti aborre le spezie, ma adora la cannella e un poco di zucchero. ◉ ⓵ Zuca Baruca in forno Se volete servirla così dovete prima scorticarla a freddo, squartarla o tagliarla a spicchi e ripulirla dei semi ancora cruda; ma per usarla come ingrediente la pulizia è meglio farla dopo averla cotta, semplicemente tagliata a metà. ⓶ Zuca col late Appena finito di cuocerla al forno, pulita prima o dopo, si può servire in ciotola bagnata di latte, condita con zucchero e cannella. ⓷ Risi e zuca Preparate un ricco soffritto di cipolla, con una cipolla per due, evitate l’aglio; meglio l’olio di semi o di più ancora il burro. Se usate la zucca cruda è necessario tagliarla a dadini senza scorza né semi prima di unirla al soffritto; se la zucca è già cotta al forno, sarà nella versione integrale, per cui pulitela ugualmente: il colore e il sapore della minestra, o risotto, saranno però alla fine più intensi. Calcolate un etto e mezzo quasi due, suvvia, di zucca cruda a testa. Aggiungete del brodo, anche di dado non siamo qua a sottilizzare, e remenate fino ad ottenere una bella crema. Ora aggiungete il riso nella misura che più vi piace, commisurato al desiderio. Non aggiungete per l’amor di dio nessuna spezia, solo un ramo di osmarin se proprio ne avete bisogno. Alla fine però fa un figuron un poco di prezzemo- lo tritato raccolto in un mucchietto al centro del risotto versato nel piatto di portata. Potete stare più o meno lunghi di brodo. È buono anche il giorno dopo, impanato e fritto, e buonissimo in doppia. ⓸ Crema de zuca Se invece di mettere il riso, allungate di brodo, magari anche con del latte a ocio: ecco la crema di zucca. Da servire, già versata nei piatti, con crostoni di pane furiosamente raspati d’aglio; potete cospargere zucchero e cannella; potete anche versare a spirale un riccio di crema, dal centro del piatto all’esterno; potete anche cavarvela con il prezzemolo. ⓹ Gnocchi de zuca Da una bella zucca di un chilo e mezzo cotta al forno e in questo, spento, tenuta ad asciugare, ricaverete, ocio a no scotarve curandola, un passato (come per le patate) adagiato in una terrina, non di plastica. Due uova e semolino di grano accortamente aggiunto (un po’ alla volta e solo fino a quando serve) vi daranno l’impasto, sodo ma non duro, che poi trasformerete in gnocchi. Passate gli gnocchi così ottenuti nel retro della gratacasa, spingendoli (delicatamente!) con il fianco esterno del pollice destro come se suonaste una balalaika. Fate in furia perché dovete immergerli appena sono tutti pronti, in una grande pentola a trequarti piena di acqua ribollente e salata. Con una cazza da spiumar (mestolo forato) raccoglieteli quando vengono a galla: è perché sono cotti. Servite subito con burro fuso e salvia in esso scottata. Il cuoco o cuoca mangia per ultima. ⓺ Zuca frita & Zuca in Saor Cuocete, ma non troppo, la zucca. Mondatela dentro e fuori. Tagliate delle fette rettangolari e regolari non troppo grandi ma spesse mezzo centimetro (avete molti scarti, ma potete mangiarli durante la preparazione). Passatele nella farina de fior e friggetele in olio di semi. Servite con zucchero e cannella (ciàpa qua!). Invece di servirle subito, potete usarle, come se fossero delle sardele, per fare la zuca in saor, al modo appunto che si usa delle sardele (vedi ricetta nel n. 11 de Il Ridotto), non come alle sardele alla zucca potete aggiungere zucchero e cannella; come alle sardele, dell’uvetta passa. ◉ pagina 14 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio Aldo Alduccio Colferai visto da BRW ☛ continua da pagina 7 quando andò in scena sui palcoscenici illustri della Biennale teatro. Ballerino sopraffino, astuto giocatore d’azzardo, abile manipolatore di cocktail ad altissimo tasso alcolico, Alduccio ha doti naturali di grande comunicatore. Alla sua affabulazione, spesso praticata nell’idioma d’origine, è affidato l’ingrato compito di rispondere urbi et orbi, praticamente ad ogni manifestazione, alla domanda che continuiamo a sentirci fare da ventisette anni e alla quale francamente noi non abbiamo più alcuna voglia di rispondere: «Ma cos’è la Compagnia de Calza?». Alduccio, affabile, affabula e spiega, spesso con l’aiuto di un medaglione-amuleto dalla scritta misteriosa, che porNel Reame dello Zucchero ☛ continua da pagina 12 me mostruoso tosaerba giallo che avanza verso di voi. Guardando lo sconfinato mare d’erba gigante ho provato ad immaginare come questi agricoltori in ghingheri siano cresciuti in questo isolamento più che campestre, figli e figlie inzaccherati di generazioni secolari di coltivatori di canna da zucchero. Da queste parti l’elettricità era cosa rara fino agli anni Cinquanta. Lo zucchero era una cosa da vendere per tirare avanti fino alla fine del mese, non qualcosa da sprecare come dessert. Ho chiesto loro cosa mangiavano da piccoli come dolce. «Dolci? Non c’erano dolci.» ha risposto la Regina. «Eravamo poveri. La merenda era patate dolci e latte.» ha aggiunto sua Altezza Reale Re Saccarosio LXV. «Non gli badi: loro erano ricchi – ha puntualizzato la consorte – sono stati i primi ad avere l’elettricità. E potevano anche permettersi le orecchie di maiale». Un sorriso increspa il suo lieve imbarazzo al ricordo delle oreilles de cochon, le pig’s ears: una specie di frit- ta al collo da decenni. A volte comunica anche con segnali di fumo. Questa attività gli consente talora di esplorare, insieme ai misteri dell’animo umano, anche certe meraviglie del creato. Egli è infatti dotato di spiccato senso estetico, scambiato talvolta da certi malintenzionati per volgare interesse di natura più vile. Non è raro infatti incrociarlo nelle toilette femminili come anche in quelle maschili. Esiste una precisa casistica al riguardo. Lui spiega che non c’è nulla di strano. Che da sempre il veneziano doc è stato equivocato, nella sua prorompente virilità, a causa di certe movenze all’apparenza effeminate, nonché per una qual certa andatura dinoccolata da tipo da spiaggia, di cui anch’egli è dotato. Ma «trattasi di ingan- no», spiega, perpetrato per ingannare appunto nobildonne e giovincelle, e per rallegrarle a sazietà dopo averle ingannate. Così la sorpresa e la felicità saranno maggiori. Dispensatore professionista di felicità, Alduccio è altresì dispensatore professionista di storie introvabili e meravigliose. Da «Tenele pule pesce» a quella «Ma prima fare un po’ di bumba» che è diventata un classico degli Antichi al pari della Priorale «Basta con queste anticaglie». Spesso gliela richiediamo. Lui finge di stupirsi. «Ancora? Ma se la sapete a memoria!». Allora per convincerlo gli diciamo che c’è sempre qualcuno di nuovo che non la conosce. Lui fa finta di crederci. In realtà è contentissimo di raccontarla per l’ennesima volta. Come noi siamo contentissimi di riascoltarla per l’en- nesima volta. Perché ci piace davvero. E ci divertiamo a scoprire che ogni volta aggiunge un particolare o addirittura un aggiornamento legato ai fatti di cronaca. Anche se, per fortuna, alcuni passaggi-chiave restano sempre memorabilmente identici. Come le mosse e le smorfie che fa quando spiega come si pratica la bumba, quando racconta che il capo tribù «si erse» in tutta la sua statura, e quando disse «cosa credi, io studiato Harvard», per poi concludere: «Bene, bene, avere scelto morte. Ma prima fare un po’ di bumba». Negli ultimi tempi Alduccio sta subendo una strana metamorfosi. Non che la cosa ci inquieti. Ma è convinto di essere l’erede spirituale del Conte Emile Targhetta d’Audiffret. Non abbiamo alcun motivo per contraddirlo. ◉ telle ripiene ripiegate per assomigliare ovviamente alle orecchie del maiale ed impregnate di sciroppo di canna marca «Steens». «Steens» è una figura prominente della locale mitologia. Sono gli ultimi produttori locali dello sciroppo di canna. Questo sciroppo denso, scuro, che ricorda la melassa ma che è molto più dolce perché non gli si toglie lo zucchero da raffinare, è prodotto bollendo dolcemente il succo della canna fino ad ottenere la consistenza del caramello. «Ma non lo fanno più come una volta – ha spiegato più tardi, durante il ricevimento, un Re di una passata edizione – un tempo tagliavano la canna a mano e la lavoravano nei mulini qui; adesso portano su le cisterne di sciroppo già pronto dall’America Centrale». Gli ho chiesto se ha lo stesso gusto. Ha annuito, anche se si vedeva benissimo che odiava ammetterlo. La festa per l’incoronazione è andata avanti tutta la notte, ho incontrato il sindaco, gli asses- sori, i notabili della città e più Re e Regine di quanti potessi contare. Si godevano il momento migliore delle loro vite; e sembravano persino compiaciuti di avermi con loro. ◉ Note I Cajun, o Acadiani, sono gli abitanti della Lousiana che parlano una specie di francese (detto, varda ti, cajun) e hanno usanze e costumi peculiari. Sarebbero i discendenti dei francesi che vivono in Lousiana, stato statunitense del Sud che appunto si chiama così da Luigi XIV di Francia (Re Sole, sempre lui!) e che ha per capitale New Orleans. La Louisiana è stata più volte passata di mano tra francesi, inglesi, americani e anche spagnoli. Sarebbero i discendenti perché ai primi francesi si sono aggiunti nell’Ottocento numerosi canadesi francofoni e altri europei non anglofoni, più i neri africani importati come schiavi. Come per i creoli (di cui chissà quando parleremo) il termine non indica quindi una razza ma una unità culturale e linguistica che ha ben poco a che fare con la discendenza anche se in molti pensano il contrario. Lo zydeco è una musica da ballo molto divertente e un poco malinconica a base di fisarmoniche, tavole per lavare i panni modificate in alluminio dal suono più che caratteristico, violino, corni, chitarre elettriche e tutto il resto compresa la batteria; che si suona appunto nei territori Cajun. Assomiglia un poco al blues soul et cetera ma neanche tanto e accoglie influenze da tutti i generi da ballo, passati presenti e forse anche futuri. Il termine zydeco è la distorsione inglese del francese «les haricots» (i fasioi in venexian). A metà degli anni ‘50 ebbe un momento di grande popolarità con Clifton Chenier con primi successi quali «Les Haricots Sont Pas Salés» (appunto). Della canna da zucchero e della sua metamorfosi in zucchero di canna parleremo diffusamente in una prossima puntata di A Tavola con I Antichi.◉ (libero adattamento di Colo de Fero) LA STORIA E LE SPEZIE VENEZIA - AMSTERDAM - LISBONA PASSATO E PRESENTE UN LIBRO DI MICHAEL KRONDL IN INGLESE E IN PORTOGHESE LO TROVATE SU www.spicehistory.net venezia san marco 2674 campo san maurizio IL RIDOTTO settembre 2008 anno 2 numero 13 pagina 15 M i sentivo malissimo. Avevo perduto il mio sottomarino il Sommergibile Rapido ed Invisibile. Avevo volato nei cieli dei Tropici dentro un pallone aerostatico. Avevo bevuto cioccolata calda, alla violetta, al gelsomino, ai fiori d’arancio e all’ylang-ylang, in tazze di porcellana finissima, nei cieli dei Tropici. Ero stato edotto su scarpini su misura, giuoco del bridge, e dinastie europee e anche no. Per un marinaio di sottomarini è contro natura, ma tantissimo. Le mongolfiere mi danno il mal d’aria; e l’altezza mi dà le vertigini; la cioccolata calda mi dà acidità di stomaco e i fiori d’arancio il riscaldo. Avevo chiesto molte volte almeno un goccio di cachaça (foss’anche non Cachaça Bebedera, via) ma il fido Fedele Michele aveva finto una totale sordità. Ero a pezzi, disperato e nauseato. Ma come diceva il mio comandante di lungo corso Vasco Moscoso de Aragão, prima di ammutinarsi (ma questa è un’altra storia): «Um marinheiro não se dobra a tristeza», e mi tirai su. Sulla piattaforma del Grande Phinocchio, l’isola galleggiante dell’Invincibile Cilvio, fervevano le attività: bellicosissime. E un piacevole beccheggio mi stava aiutando a liberarmi della cioccolata. Dall’alto della torre di comando l’Invincibile Cilvio mostrava orgoglioso il suo regno di guerrieri, disseminato sull’isola di ferro perfettamente circolare e perfettamente irta di fallocannoni d’acciaio: – Ecco, vedete, nessuno può resistere alla mia forza… un attimo prego… Un piccione viaggiatore tutto rosa, uno delle dozzine che interminabilmente lo circondavano svolazzando, gli portò un nuovo messaggio. Prontamente l’Invincibile lo lesse; vergò una risposta; arrotolò di nuovo il foglietto e, infilatolo nell’apposita cartuccia legata alla zampetta dell’alato messo, lo rispedì al mittente. Questa operazione di leggere, rispondere, scrivere e attendere messaggi portati avanti e indietro dalla flotta aerea di rosei piccioni si ripeteva incessantemente, per cui ROMANZO D’APPENDICE: TERZA PUNTATA Le avventure del Marinaio Johnny: Un terribile spavento! di LUCA COLO DE FERO COLFEAI Riassunto delle puntate precedenti. Vedete, signor conte, questi scarpini? Vedo, vedo... Li ho da tantissimi anni, li ho comprati da un signore bravissimo… E li fanno anche da uomo? Ah, no, assolutamente: questi sono un modello esclusivo solo per me… Ah che belli! Mi ricordo di quella volta che... Michele, per favore, un altro po’ di cioccolata, alla violetta adesso, grazie... dicevamo? ... Ma non ci siamo già incontrati, forse lei gioca al bridge... (io:) Non saprei … Se vuole posso raccontarle della mia prima crociera sul Mar dei Sargassi, quand’ero mozzo del Conte Cadaval… Ah, povero duca, ma lo sa che è morto? Ma come? Ma sì, non ha fatto nemmeno a tempo a sbarcare dopo quaranta giorni di traversata transoceanica che era già morto... Ma come, ma quando? Ma il 22 gennaio del 1808, a Salvador di Bahia, con il Re don João di Portogallo non si ricorda? Ah, ho capito; e a Nizza, invece, avete trovato bel tempo?. E via così: c’erano anche i petit fours. La flotta dei Drakkar delle Vikinghe Valkirye di Enzo il Rossiròiss e l’Idrovolante Invisibile dell’Invincibile Cilvio ve la racconto solo qui, fate finta che interrompa tutti i dialoghi da qui in avanti. – Se avete bisogno di una vera forza d’urto, e con il Terribile Antonio de Jarola ne avrete veramente bisogno, ebbene solo io posso darvela, una forza d’urto vera e bestiale. Ecco vedete, sul Campo di Marte, vedete, quello è il mio Primo dei Sebastiani che sta addestrando i miei Phroci da Combattimento. Non sono bellissimi? Sul ponte circolare detto Campo di Marte, del diametro impossibile di decine e decine e ventine di metri, cinquecentocinquantacinque uomini a torso nudo e in braghette di organza rosa si muovevano sincro- nizzati, in geometriche file e righe, agli ordini di Sebasex, Primo dei Sebastiani, in piedi su un podio floreale. A gambe divaricate, i cinquecentocinquantasei energumeni infilavano lentamente il pugno destro nella mano sinistra, al suono di tamburi e buccine. – Cos’è quello? - esclamò il Corsaro Rosa. – È il Pugno della Morte, una mossa segreta e mortale, pericolosissima – spiegò l’Invincibile – l’ideale contro le guardie dell’Imperatore Carlobullo, le spie della Compagnia delle Indie e gli sgherri di Don Antonio de Jarola. Quasi nessuno sfugge al Pugno della Morte. Un rombo di tuono, un’enor- me scia di fumo pestilenziale (che aiutò moltissimo il beccheggio del Grande Phinocchio nel duro compito di liberarmi dalle cioccolate del Conte Emile) ci travolsero assordandoci e accecandoci. – E questo cos’è adesso? – gridò impaurito il Corsaro Rosa. – È l’Idrovolante Invisibile del mio Primo dei Sebastiani, Sebazorzi. Solo io possiedo un Idrovolante Invisibile armato di fallocannoncini a ripetizione senza rinculo, e qualcuno anche con il rinculo. Devo dire che non sono riuscito ancora a rendere invisibile il fumo e inudibile il rombo, ma ci sto provando, tantissimo tantissimo tantissimo… Approfittando della caligine e del frastuono ero riuscito finalmente a liberarmi di tutta la cioccolata, espellendola fuoribordo con furibondi e liberatori conati, anche il Corsaro Rosa ne approfittò, per chiedermi sottovoce: – Ma cosa sono tutti questi uccelli che gli svolazzano intorno? – Piccioni viaggiatori, portano i messaggi delle sue Settantasette Mogli, le famose Ultime Vergini – risposi. – Ma come Ultime Vergini, se sono Settantasette Mogli? – come al solito senza creanza, invece di chiederlo a me, lo chiese all’Invincibile. – Non vorrete mica che vada a letto con una donna, per di più sposata, no? Per quello ci sono gli Eunuchi! Inutile chiedere spiegazioni, in quel momento tra il fumo che si dissipava apparve come miraggio l’aviatore d’idrovolante, Sebazorzi, in perfetta tenuta di volo, occhialoni e pashmina rosa. – Guardatelo, non è un amore? Questo è il mio capo delle Operazioni Super Segrete, operazioni segrete così segrete che non solo io, ma nemmeno lui, sappiamo che cosa sono. È fantastico! Che uomo! Dietro di lui, a pena nascosto dallo snello Sebazorzi, salutava vezzoso John Matthews, la più Grande Ballerina Uomo dei Sette Mari: – Ciao ragazzi! Sono qui per la Danza dei Sette Veli, in tournée speciale! Sembrava che tutto si fosse pagina 16 settembre 2008 anno 2 numero 13 IL RIDOTTO venezia san marco 2674 campo san maurizio messo finalmente per il meglio: due Primi Sebastiani (Sebasex e Sebazorzi) cinquecentocinquantacinque Phroci da combattimento, con il Pugno della Morte, un Idrovolante Invisibile; e tutta la forza d’urto, ma vera e maschia, dell’Invicibile Cilvio. Ci saremo pappati don Antonio in un sol boccone, avremo liberato il Principe Maurice dalle segrete e dalle torture e, in men che non si dica avremo disseppellito il Tesoro di Zane Cope! E comprato alcune, anzi molte, casse di Cachaça Bebedera! Gli occhi del Corsaro Rosa brillavano di gioia e di anticipazione. E anche i miei. Fu proprio allora che arrivò l’urlo. Non era un proprio urlo, era più come se si fossero spalancate le porte dell’inferno e tutti i diavoli ne stessero uscendo veramente indemoniati, e tutte le anime dei dannati uscissero anch’esse urlando veramente indemoniate: da est, da ovest, da nord e da sud. Ma più da est, dove una nube nera nera copriva l’orizzonte e si alzava contro il cielo come un velo di terrore. E quell’urlo poco a poco, ma non lentamente si articolò, e dalle boc- che dei diavoli e dei dannati, tutti indemoniati, uscirono dei suoni ch’erano parole, e che paura: – Rossi-rossi-rossi rossi-rossi-rossi rossi-ROISS – diceva quel grido. E sotto la nuvola che adesso arrivava a coprire metà cielo si distinguevano vele rosse e teste di drago, veloci veloci e sempre più vicine. Il Corsaro Rosa mi guardò, io guardai il Corsaro Rosa: ci guardammo. Poi John Matthews guardò il Corsaro Rosa e me, e io e il Corsaro Rosa guardammo John Matthews: ci guardammo. L’Invicibile Cilvio sbiancò e gridò: – NO! Enzo! È lui! È qui! È qui per le mie Ultime Vergini, le mie dolci illibatissime Settantasette Mogli! O miei Sebastiani! O miei Phroci da Combattimento! All’armi, all’armi! Difenderemo il Grande Phinocchio fino alla morte! E in un subito la nube nera fu su di noi. La flotta dei Drakkar di Enzo cozzò le prore contro le murate di ferro del Grande Phinocchio, penetrandole come burro. Dalle navi piovvero ovunque vulve infuocate lanciate dalle catapulte e dalle baliste di bordo. E dopo la pioggia di vulve di fuoco, dalle fiancate delle brutali navi dalla testa di drago discesero le biondissime altissime fortissime Vikinghe Valkirye, e in testa, ebbro di guerra e di bottino Enzo, detto il Rossiròiss, gridava: – Ilze! Brunilde! Thrud! Hildr! Sigrdrífa! Sigrún! Sváva! Laura! All’arrembaggio! A me le Vergini! Sterminare! Sterminare! Sterminare! STERMINARE! I cinquecentocinquantacinque Phroci da Combattimento, i due Primi Sebastiani e Cilvio l’Invincibile con tutti i suoi piccioni viaggiatori si gettarono contro le Vikinghe Valkirye e Enzo detto il Rossiròiss. Lo schianto fu immane: Pugni della Morte, Mazze Iconovulvate, ma anche pugnali, scimitarre, spade, fioretti e un plateau di francesine appena arrivate dalle cucine. E i fallocannoni eruttavano ogive testicolate e le baliste rispondevano con altre vulve infuocate. Urla di battaglia si frammischiavano a grida di dolore e anche qualche gemito di piacere. In men che non si dica il Marinaio Johnny (che sono io) e il Corsaro Rosa (che è lui) eravamo a bordo dell’Idrovolante Invisibile. Trovato il pulsante, ac- cesi i motori. – Magnifico! Sai pilotare anche gli aerei! – disse il Corsaro Rosa. – Assolutamente no! – risposi. – Ma allora? – Allora: è invisibile, va su per l’aria. È come un sommergibile, solo al contrario! E decollammo. Una vocina venne da dietro: – Ragazzi. [pausa] Ragazzi. [pausa] Ragazzi. [pausa] Ragazzi‼! Il Corsaro Rosa: – Ma è John Matthews, la più Grande Ballerina Uomo dei Sette Mari! Ma come mai qui? In un turbine di tutù John Matthews disse: – Posso scappare con voi? Ho tanta tanta tanta tantissima paura! Davvero! Quei ferocissimi Phroci, e quelle orribili Vikinghe Valkirye, e quel Rossiruass! Che omaccione! Che paura! Cercai di puntualizzare: – Si dice Rossiròiss, non Rùass! Il Corsaro Rosa chiede: – Ah, non è francese? Risposi: – No, per niente. E per aggiunta è pazzo per la vulva. John Matthews chiese, sbalordito: – La vulva? In coro: – Mammamia, che impressione! (continua..) CONTATORI GEIGER PER OGNI EVENIENZA NON PUOI FARE SENZA I ANTICHI SONO MODERNI NAVIGANO SU INTERNET iantichi.org & iantichieditori.it Il Ridotto è l’Organo Ufficiale della Compagnia de Calza «I Antichi» Fondata da Zane Cope Bollettino Riservato ai Membri Tiratura fisica limitata 100 copie Panoplia in Distribuzione Gratuita in Campo San Maurizio e per Internet Stampa: Enrico Bidischini e Chiara Ferrini a Follonica Direttore irResponsabile: Luca Colo de Fero Colferai E ANCHE SU YOUTUBE Hanno collaborato, chi più e chi meno: Judith Jurubeba Souza Bomfim Zancopè, Michael Krondl, Maria Lusia Pavanini Zennaro, Lucas Christ, Leonardo Mello, Enzo Rossi-Ròiss, Ilze Jaunberga, Andrea Merola, Roberto Bianchin, Carlo Bullo, Sebastiano Casellati, Bruno Dolcetta, Gianni Matteucci, Silvio Giulietti, Marco Bertin. telefoni: 041 5234567 o 041 5265131 e-mail: [email protected] – www.iantichi.org youtube.com/IAntichiVenezia Il Ridotto esce quando è pronto. QUANDO LA SCIENZA È POTENZA RIVENDITORE UNICO AUTORIZZATO ZANZORZI compagnia de calza «i antichi» venezia IL RIDOTTO – CALENDARIO 30124 san marco 2674 campo san maurizio E E 22 settembre Estate fine 23 settembre Autunno inizio SETEMBRE MMVIII g f Vergine 23 agosto 22 settembre Bilancia 23 settembre 22 ottobre LUNI 1 5.43 MARTI 06:06 -31 12:34 +71 2 18.59 Ottaviano B.V. del Sasso – s. Egidio s. 18:37 -09 8 Nascita di Maria s. Sergio – s. Natalia 01:09 +05 13:42 +43 s. MERCORE 3 Elpidio – s. Willi s. Gioventino 00:20 +57 06:28 -24 12:55 +69 19:05 -09 9 Eustachio s. Gorgonio – s. Osanna s. 02:46 -03 11:29 +41 16:25 +33 19:09 +35 ZIOBA Martino s. Gregorio Magno s. 00:49 +51 06:48 -16 s. 13:14 +67 19:34 -08 s. VENERE 4 Rosalia – s. Rosa s. Savino 01:16 +43 07:02 -08 5 Baudo – s. Giordano s. Lorenzo Giustinian s. 13:32 +63 20:06 -05 01:44 +34 07:10 +01 13:48 +59 20:43 -01 SABO DOMENEGA 6 7 Regata Storica s. Donio – s. Vivenzio Saffiro – s. Consolata s. Niva – s. Eva – s. Petronio s. 02:13 +25 07:03 +08 14:01 +54 21:39 +04 02:56 +15 06:01 +13 14:08 +49 10 11 12 13 14 Leonino – s. Pulcheria s. Nedora – s. Nicola 03:16 -10 10:45 +45 15:59 +26 20:40 +41 Diomede – s. Proto Adelfio – s. Vinciana s. s. 03:41 -17 10:40 +51 s. 16:11 +16 21:25 +48 s. Nome di Maria Liliana – s. Verenzio 04:05 -22 10:48 +57 16:31 +07 22:02 +54 s. s. Maura – s. Ligorio Giovanni Crisostomo 04:29 -26 11:02 +63 16:55 -02 22:35 +58 s. Rosella – s. Croce s. Placilla 04:54 -28 11:21 +69 17:21 -10 23:08 +61 15 16 17 18 19 20 21 6.05 18.30 05:19 -28 11:41 +73 17:49 -16 23:40 +61 Cornelio e … Milla – s. Betta s s. B.V. Addolorata s. 05:44 -25 12:04 +75 18:19 -20 s. s. Ilde Roberto Bell… 00:14 +58 06:10 -21 12:29 +75 18:52 -21 s. s. Enna – s. Sofia Centina – s. Giuseppe 00:48 +53 06:35 -14 12:55 +73 19:28 -19 s. Guglielma – s. Gennaro s. Arnolfo – s. Peléo 01:26 +46 07:01 -05 13:23 +68 20:09 -15 s. Filippa – s. Candida s. Eustachio 02:12 +37 07:24 +05 13:52 +61 21:02 -09 s. Bernarda – s. Giona s. Matteo 03:20 +28 07:42 +16 14:24 +53 22:28 -04 22 23 24 25 26 27 28 s. Maurizio s. Rebecca – s. Dono 00:47 -05 09:26 +39 15:16 +42 14:20 +31 18:29 +36 29 30 s. Michele 05:08 -22 11:27 +72 17:43 -19 23:39 +57 s. Girolamo – s. Onorio s. Demiro 05:32 -17 11:47 +72 18:10 -21 s. B.V. della Merc… Pacifico – s. Coprio 02:13 -11 09:36 +49 15:17 +20 20:17 +41 1 s. s. Aurelia Nicolao de F… 03:02 -18 09:57 +57 15:50 +09 21:14 +48 2 Ss. Cosma e Damiano s. Amanzio 03:40 -23 10:20 +64 16:20 -01 21:57 +53 3 Fidenzio Vincenzo s. s. 04:12 -25 10:43 +69 16:49 -09 22:33 +57 4 s. Venceslao – s. Salonio 04:42 -25 11:06 +71 17:16 -15 23:07 +58 5 compagnia de calza «i antichi» venezia IL RIDOTTO DE I ANTICHI 30124 san marco 2674 campo san maurizio Di questi giorni, tanto tanto tanto tempo fa... Settembre 976 – Viene nominato il Settembre 991 – viene eletto Pietro II ventitreesimo doge: Pietro Orseolo I Orseolo (960 circa – 1009) ventiseiesiche rimarrà in carica fino al 978 per mo doge. Era figlio del ventitreesimo poi ritirarsi, non si sa quanto di spondoge Pietro I Orseolo. Fu eletto dall’asQuesto tanea volontà e quanto fortemente semblea popolare quando aveva apmese ricordiamo le consigliato, a vita monastica sui Pirenei. Pietro I Orseopena trent’anni (a quell’epoca di uomini rudi si diventafigure di due dogi medielo fu eletto a doge nella basilica di Olivolo, san Pietro va potenti giovani) ed è considerato uno dei più capaci vali d’importanza capitale nella di Castello, all’età di quarantotto anni. Discendente ed intraprendenti dogi. Senza di lui la storia della Serestoria di Venezia. Uguali ma diverdella romana «gens ursia» che a Venezia era in realnissima sarebbe stata decisamente diversa. Abile disi, l’uno primo e l’altro secondo, uno il plomatico, nel marzo del 992 ottenne dagli imperatotà una famiglia di patrizi, mercanti, guerrieri, condottieri, dogi, patriarchi, vescovi (e poi anche san- padre, l’altro il figlio, l’uno religiosissi- ri d’oriente Basilio e Costantino una crisobolla (bolti) succedette a Pietro IV Candiano, il doge che vole- mo e piissimo, l’altro rudissimo e gran- la d’oro, ossia un trattato con concessioni di oligova trasformare la Repubblica in una monarchia eredissimo, l’uno santo, l’altro guerriero, polio e monopolio più o meno estorte con la persuaditaria legata all’Impero e che per questo fu stanato sione, la forza, l’inganno) che confermava precedenil primo ricostruttore e rinunciatore, dal Palazzo Ducale con il fuoco e poi inevitabilmenti privilegi commerciali ed immunità (soprattutto nel il secondo conquistatore e fondate ucciso assieme al figlioletto tramite profonda incicommercio del sale); lo stesso trattato fu concesso daltore, ma entrambi Orsi. sione della gola di entrambi mediante lama affilata. L’inl’imperatore d’occidente Ottone III il 19 luglio 992 (all’epocendio però si era propagato, fuori controllo, e il fuoco aveca Ottone III aveva dodici anni). Inoltre concluse accordi di va poi distrutto gran parte della città. Pietro I Orseolo s’inpace e commerciali con i vescovi di Belluno, Ceneda, Trevicaricò della ricostruzione cittadina, del palazzo ducaso e con molti stati saraceni, tutte cose di piccolo conle e della Basilica di San Marco, nella quale fece porto ma di grandissimi fastidi. A simboleggiare la ritrore in luogo segreto le ossa dell’evangelista (tanto sevata armonia con l’Impero, Pietro II convinse l’impegreto che andarono poi perse per alcuni secoli). Fece ratore (nel 996 a Verona) a fare da padrino per il batinoltre costruire due ospedali. Dalla moglie Felicia, fortesimo il terzo figlio (che fu chiamato ovviamente Ottose Malipiero o forse Badoer, ebbe due figli un maschio ne). In quell’anno Pietro II Orseolo iniziò le operazioni e una femmina: del primo qui sotto, mentre la figlia anbelliche marine che originarono, nell’arco di alcuni andò in sposa a Giovanni Morosini (altra famiglia di pani, la gloria veneziana e che sono oggi ricordate, un po’ trizi, mercanti, dogi, guerrieri, ma non santi). Mosso da malinconicamente invero, con lo Sposalizio con il Mare. compassione ma più dalla necessità politica, Pietro OrseoNell’Adriatico si affacciava una nuova potenza marittima lo assegnò alla moglie del suo predecessore Waldrada tutsbrigativamente chiamata Pirati Narentani (dal fiume Nato il patrimonio del defunto: la vedova era sfuggita alle esecurenta, in croato Neretva, alla cui foce in Dalmazia si trovazioni sommarie che le avevano estinto la famiglia e si era rifuno isole ed isolette al tempo dette Pagania). Contro di loro Piegiata presso l’imperatrice madre Adelaide, vedova di Ottone I: la tro II organizzò una spedizione navale; i narentani, sconfitti, tentaconcessione aveva lo scopo di ammansire l’impero germanico. Il 12 ottorono l’espansione ai danni delle popolazioni dalmate, che si rivolsero a Venebre 977 Pietro Orseolo ottenne dalla città di Capodistria il rinnovamento dei zia. Stavolta si organizzò alla grande (per la prima volta la flotta veneziana ispatti precedenti, i cui documenti erano andati bruciati nell’incendio del palaz- sò il gonfalone): nel 998 o nel 1000 i narentani furono annientati, messe a ferro e zo ducale (snodo cruciale della storia patria). Nella notte del 1 settembre del 978 a fuoco Lissa, Curzola e Lagosta, risalito persino il fiume Narenta; la Dalmazia il doge, in incognito, fuggì da Venezia. Era un epoca in cui i dogi venivano de- e l’Istria divennero protettorati di Venezia. Il doge assunse il titolo di duca delstituiti brutalmente anche per motivi di minor conto di quelli che posero fine ai la Dalmazia (Dux Dalmatiae) ed ebbe così tra l’altro origine la festa dello Sposogni dinastici dei Candiano, ma nulla si oppone all’ipotesi di una vera ascesi salizio del Mare, poi codificata dal doge Sebastiano Ziani nel secolo successivo. mistica. Pietro Orseolo seguì l’abate Guarino dell’Abbazia benedettina di San Ottenuta la supremazia adriatica, nel 1002 intervenne in soccorso dei bizantiMichele di Cuxa per ritirarsi a vita monastica sui Pirenei Orientali. Qui visse a ni a Bari, assediata dagli Arabi. Si fece riconfermare i privilegi commerciali dal lungo, dedito ad esercizi di penitenza. Morì in qualche data compresa tra il 982 nuovo imperatore d’occidente Enrico II e gli fece tenere a battesimo, ancora a Vee il 997 e fu sepolto nel chiostro della chiesa. Proclamato beato nel 1027, il suo rona (che gera più comodo par tuti e teren neutro) l’ultimo figlio, Enrico. Ottencorpo venne portato all’interno della chiesa di Cuxa. Il 6 dicembre 1644 le sue ne la benedizione del Patriarca di Aquileia, del Patriarca di Grado, e del papa Silossa, chiuse in una cassa di legno dorato, vennero collocate su un altare dedi- vestro II; che con la Chiesa del tempo, diplomaticamente erano un risultato socato a San Romualdo, cui venne aggiunto anche il suo nome. Nel 1731 fu pro- praffino. Di battesimo in matrimonio: riuscì a combinare le nozze tra il figlio Gioclamato santo: a Venezia, come reliquia del doge santo, furono spedite tre os- vanni e Maria Argira, nobildonna bizantina, con presenza dell’imperatore Basa della gamba sinistra; giunsero nel 1732 ed il 7 gennaio 1733 vennero deposte silio II, Βασιλεὺς τῶν Ῥωµαίων. Gloria e vittoria lo convinsero della bontà delin un’urna d’argento, nella Basilica. Il la trasformazione della Repubblica in 7 febbraio 1732 si svolse una sontuosa una monarchia dinastica (anca elo, ma cerimonia, ed alla messa solenne canxè una mania!) ovviamente a benefitò il celebre sopranista Farinelli. Da cio della propria famiglia e nel 1004 si questa data, il senato stabilì che il 14 associò Giovanni come reggente, così gennaio di ogni anno si svolgesse una che gli succedesse nella carica. Ma una « » messa solenne, alla presenza del dobreve e feroce pestilenza, nel 1007, conge, in cui venivano esposte le reliquie dusse ad improvvisa morte Giovanni e di San Pietro Orseolo. Un suo ritratto Maria. Rifece il tentativo con Ottone, è conservato nella chiesa dell’Assunta che fu successivamente eletto doge con È DIVERTENTE annessa alla Ca’ di Dio da lui fondata; effetti disastrosi e anche ridicoli, e perE ANCHE un mosaico del XIII-XIV secolo neltanto cacciato con ignominia e barba INTELLIGENTE la cappella del battistero della basilica rasata. Al figlio più anziano, Orso, ladi San Marco lo raffigura vestito da sciò la cattedra di Patriaca di Torcello, monaco e con il corno ducale in macon uguali risultati negativi e fuga preno. Al suo ritratto, nella galleria dei matura. Ricostruì Grado, la cattedrale dogi del palazzo ducale, fu aggiundi S. Maria a Torcello, abbellì Eraclea, ta l’aureola dopo la canonizzazione. la Basilica e il Palazzo Ducale. Pietro La moglie Felicita non fu dichiaraII Orseolo morì di morte naturale nel ta beata dalla Chiesa, ma è compresettembre del 1009 e fu sepolto nelsa in un elenco di beati veneziani. ◉ la chiesa veneziana di San Zaccaria. ◉ LEGGETE E DIFFONDETE IL RIDOTTO DE I ANTICHI www.iantichi.org
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