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Senza titolo
TIZIANO: …Sai, ho avuto due grandi regali, il cancro e la pensione, che mi sono arrivati nello
stesso momento. E’ allora che ho mollato il mondo. A cuore leggerissimo ho lasciato il giornalismo,
gli amici, la società e sono andato a vivere in un ashram1 con questo maestro, il Swami, che mi
insegnava non solo il sanscrito, ma il senso della filosofia indiana, se vuoi religiosa….
Sono vissuto in quell’ashram per tre mesi senza mai parlare del mio passato, senza mai dire chi ero
stato, cosa avevo fatto. Perché l’identità, qualunque identità tu possa desiderare – fisica,
psicologica, del nome – è limitativa, non puoi essere nient’altro. Se sei il direttore delle Poste, anche
quando sei in pensione, sul treno “Ma lei…?” “Ah, io ero il direttore delle Poste!”. E allora? Ha-haha! Lo scompartimento dovrebbe schiantare dal ridere. Un altro dice “Lei non sa chi sono io, ero
colonnello”. Ha-ha ha!
Poi lentamente via, sei stanco, ti allontani per diventare Anam, il Senzanome. Che scoperta è stata,
questa di non avere più nome. Per cui Anam nasce proprio come il fiore di loto da uno stagno di
merda, no? Via tutto il resto, via tutto il resto! Io non sono più quel Tiziano Terzani, non lo sono
più.
FOLCO: Ma tu, Babbo, chi sei?
Il Babbo ride.
TIZIANO: Me la sono inventata un po’ questa vita, no? Sono stato mille cose, alcune vere, alcune
potenziali. Sono stato gigione2, sono stato attore, assassino, pedofilo, adultero, tutto sono stato,
come tutti. Sono stato tante cose in tempi diversi. Tante cose vere, intense. E ogni volta una
sostituiva l’altra, entrava nell’altra come in un cannocchiale. Mamma mia, quante parti ho fatto,
quante maschere ti metti che alla fine ti soffocano. Fino a che un giorno dici “Io, questa – pfft! La
butto via”. E alla fine sono Anam, uno senza nome, senza storia, senza passato. Perché tutta quella
roba lì è frattaglia3 e al cuculo non gliene importa proprio nulla. Ma non per cattiveria, non è che mi
vuole male. Anzi, magari canta anche per me.
Tu mi chiedi chi sono. Bene, sono stato innanzitutto tante maschere, ognuna vera, ognuna falsa
perché cambia col tempo e diventa altra. E qui dico una verità che tutti i saggi hanno capito, che
non c’è permanenza. Niente è permanente, niente è permanente in questa vita. Che vuoi essere
permanente tu? Oh, ma chi l’ha detto?
FOLCO: Ora non senti più di portare una maschera?
TIZIANO: No, proprio no, proprio no. Ed è questo che mi dà questa grande libertà. Mi sento
leggero. Ho il senso che non mi tocca più nulla, perché non sono quella maschera, non sono questo
corpo, non sono i miei ricordi, non sono… Sono una cosa molto più grande, molto più piccola,
molto più particolare, ma non sono niente di tutto quello. E proprio perché non sono niente di
specifico, mi posso permettere di pensare che sono tutto.
[da Tiziano Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi 2006
1
ashram: termine sanscrito che indica il luogo dell’attività religiosa, di studio e meditazione in India; anche
dottrina che allo stadio più alto prevede la liberazione da ogni desiderio ed il raggiungimento della serenità.
2
gigione: persona vanitosa che cerca di porsi al centro dell’attenzione e di farsi ammirare sottolineando
vistosamente ogni sua azione e parola.
3
frattaglia: le interiora commestibili dell’animale macellato.
1. Presenta Tiziano e sintetizza le sue riflessioni (80 – 100 parole).
2. Svolgi uno dei seguenti esercizi (100 – 150 parole).
a) Prosegui di qualche battuta l’intervista di Folco al padre.
b) Immagina una continuazione della vicenda personale di Tiziano Terzani.
3. Svolgi uno dei seguenti esercizi.
a) Il motivo della “maschera” è stato affrontato soprattutto da Pirandello: esponi il suo pensiero
su questa tematica e analizza almeno un esempio tratto dai testi letti (circa 200 parole).
b) Succede anche a te, a volte, di sentirti imprigionato in un ruolo oppure in un aspetto del tuo
carattere che identifica, poi, tutta la tua persona? Esprimi i tuoi pensieri in un testo di circa
200 parole.