libretto del campo di palermo
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UNO, DUE, TRE QUATTRO, CINQUE , DIECI, 100 PASSI.... camminiamo insieme verso la giustizia e la pace Dalla terra stremata al giardino dell’Eden Famiglia Comboniana Campo di lavoro, San Giuseppe Jato (PA) dal 30 Luglio al 10 Agosto 1 La terra fu creata con l'aiuto del sole, e tale dovrebbe restare... La terra fu fatta senza linee di demarcazione, e non spetta all'uomo dividerla... Io non ho mai detto che la terra è mia per farne ciò che mi pare. L'unico che ha il diritto di disporne è chi l'ha creata. Io chiedo il diritto di vivere sulla mia terra e di accordare a voi il privilegio di vivere sulla vostra. (Heinmont Tooyalaket (Capo Giuseppe) dei Nez Percés) 2 Sabato 31 luglio IL GIARDINO DELL'EDEN (Gen 2) LA GIUSTIZIA E' ANCHE AMBIENTALE Parlami dell’albero! L’uomo occidentale chiese che gli portassero un ramo in laboratorio. Ne staccò la corteccia e me la mostrò al microscopio. Sminuzzò una foglia e mi parlò della clorofilla, della fotosintesi e dei virus che l’avevano intaccata. L’indigeno Yanomami mi portò con sé nella foresta, ci stendemmo ai piedi di uno delle piante più alte ed intricate e ne ascoltammo la vita: il vento tra le foglie, il concerto degli uccelli, gli sprazzi di luce e le gocce che ci cadevano in fronte. Una donna mi chiese dei semi, li piantò e se ne prese cura. La nostra cultura ormai ha perso la visione di “Madre Natura”. La consideriamo sì al femminile, ma perché ne sfruttiamo la fragilità, vinta da un aggressivo potere maschile. Un tempo forse Natura era un essere vivente, una madre che nutre. Ma una madre non può essere tranquillamente uccisa, sventrata e fatta a pezzi. Siccome questo è oggi l’imperativo, sfruttamento tipico della crescita capitalistica, è diventato “naturale” pensare la creazione come un insieme di particelle morte, inerti, mossa da forze esterne anziché interne. 1. Ascoltiamo la terra I popoli indigeni del Perù conservano una relazione molto speciale con la terra. Per occuparla, non la dividono in lotti o titoli di proprietà, ma la gestiscono collettivamente. La terra è proprietà di tutto il popolo (un capitolo particolare della Costituzione Peruviana per gli indios lo garantisce) La terra per l’indio è un “suolo culturale”, è abitata dalle sue tradizioni, punto di riferimento essenziale per i suoi valori vitali, impregnata di miti e di storia. E’ come per il popolo di Israele la Terra Promessa: fuori di essa era inconcepibile celebrare una liturgia, una festa, anche solo un cantico di Sion! (2Re 5,17) Allo stesso modo, i popoli indigeni hanno i loro luoghi sacri, spazi rituali, dove si concentrano la fede e la forza degli antenati. La terra è storia, cultura, coesione, sopravvivenza. 3 “Come si può comprare il cielo, il calore della terra? Un’idea che ci è estranea: noi non siamo i padroni della purezza dell’aria, né dello splendore dell’acqua. Come potete comprarli da noi? Tutta la terra è sacra per il mio popolo. Ogni foglia che brilla, tutte le spiagge arenose, ogni velo di nebbia nelle scure foreste, ogni chiarore e tutti gli insetti che ronzano sono sacri nelle tradizioni e nella coscienza del mio popolo. Sappiamo che l’uomo bianco non comprende il nostro modo di vivere. Per lui un pezzetto di terra è uguale ad un altro, poiché lui è un estraneo che arriva di notte e ruba dalla terra tutto ciò di cui ha bisogno. La terra non è sua sorella, ma sua nemica e, dopo essersela succhiata tutta, se ne va via… La sua avidità impoverirà la terra, si lascerà dietro i deserti. Una cosa sappiamo che forse un giorno l’uomo bianco arriverà a scoprire: il nostro Dio è lo stesso Dio. Forse ritieni che lo puoi possedere allo stesso modo con cui possiedi la nostra terra. Ma non puoi. Lui è Dio dell’umanità intera. E vuole bene ugualmente all’indio e al bianco. La terra è amata da lui. Causar danno alla terra è dimostrar disprezzo per il suo Creatore… Noi amiamo la terra come un neonato ama il battito del cuore di sua mamma… Il nostro Dio è lo stesso Dio e questa terra è amata da Lui”. (dalla lettera scritta nel 1855 dal Cacique Seathe, del popolo Duwamish, al presidente USA) “Arriverò fino ad essere concime per la mia terra, ma da essa io non me ne vado” (Samado, líder Pataxó Hã-Hã-Hãe, +09.09.1998) Negli ultimi decenni ci rendiamo conto che NON C’È TEMPO DA PERDERE. Ogni anno estinguiamo circa 10mila specie animali e vegetali. Tutto ciò è irreversibile, è “l’azione più assoluta che noi umani posiamo compiere”. E’ vicino il punto di non ritorno! Per esempio, se i progetti governativi brasiliani continuano come stabilito, tra 20 4 anni sarà stato distrutto il 42% della foresta amazzonica. L’area di foresta che resterà intatta sarà meno del 5% del totale. Dobbiamo frenare questa corsa! E allora cambiamo! Da un sistema centrato sull’eco-nomia (imporre leggi alla terra) a una vita di eco-logia (entrare in dialogo con la creazione). Per questo cambio, è necessario abbandonare punti di vista vecchi e pesanti: •Stiamo guardando con gli occhi di un sistema coloniale. Dal punto di vista di secoli di resistenza indigena, nera e popolare, invece, tutti i popoli del sud passano da debitori a creditori: abbiamo con loro un debito etico-storico e un debito ecologico. •Il nostro paradigma è antropocentrico (l’essere umano misura di tutte le cose). Da un punto di vista eco-logico, scopriamo che la natura non è completamente fuori, ma dentro gli esseri umani. Se lasciamo spazio a Dio, l’integrità e la dignità di ogni essere non dipendono più dal riferimento all’uomo, ma dall’amore del Padre per ciascuna creatura. •Nel nostro impegno manteniamo un’opzione preferenziale per i poveri. A questa dobbiamo aggiungere l’opzione urgente per le generazioni future. Tutto questo ci rimbomba dentro quando ci poniamo in ascolto della Terra. Come rispondere a questa urgenza? 2. Ascoltiamo la Bibbia “In principio…”. Torniamo al principio, per scoprire i passi falsi! Cantano i sem-terra del Brasile: “Se não houver o amanhã brindaremos do ontem, e saberemos então onde està o horizonte!” (Se non c’è un domani, brinderemo a ieri, e sapremo allora dove si trova l’orizzonte: il futuro è stato abbozzato nel vissuto che abbiamo condiviso). Il Sogno di Dio ha la sua radice nell’infinito, ma è così intenso che non si è ancora consumato: Leggiamo Gn 2,4-20. Il Signore ha fatto fiorire il deserto per l’umanità; il racconto della creazione è il passaggio dal deserto (sadeh) alla terra da coltivare (’adamah). E noi siamo ’adam min ’adamah, “uomini/donne dalla terra”, persone a cui è stato affidato il mondo perché lo mantenessimo tale: puro, vivente, fiorito (mondo è il contrario di immondo). Tre verbi per capire cosa ci chiede Dio: il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo COLTIVASSE e lo CUSTODISSE; Dio condusse ogni 5 vivente all’uomo per vedere come li avrebbe CHIAMATI. Coltivare è prendersi cura, trasformare, far vivere. Custodire è proteggere, conoscerne la debolezza, consegnarlo a chi viene dopo. Dare il nome è stringere un’alleanza nuova (come Dio ha fatto con tante persone a cui ha cambiato nome: Abramo, Giacobbe, Pietro, Paolo…), appartenersi l’un l’altro. Dare il nome è molto più che dominare (Gn 1,28). Dare il nome è eco-logia, dialogo costante con il creato; dominare è eco-nomia, amministrare e imporre norme. Il Sogno di Dio è la piena comunione degli esseri umani con la natura (“non è bene che l’uomo sia solo”). Se questa comunione si mantiene, allora realmente le risorse naturali potranno risorgere, cioè rigenerarsi, senza intaccare il ciclo della vita. La resurrezione si avvicinerebbe un po’ di più a noi e scopriremmo che il giardino di cui ci parla la Bibbia non è in cielo, ma “a oriente” (2,3), cioè soltanto un po’ più vicino al sole. Ma l’umanità questo non l’ha capito, sembra preferire i deserti ai giardini. La Bibbia ha parole pesanti per tutti i deserti che il popolo di Dio ha attraversato o generato: il deserto è un luogo non umanizzato, vi regna il “disordine urlante della solitudine”, “landa di ululati solitari” (Dt 32,10), è “terra assetata, luogo di serpenti e scorpioni”. Non è questo il Sogno di Dio per gli esseri umani: “Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alle valli; farò cambiare il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in sorgenti. Pianterò cedri nel deserto, acacie, mirti e ulivi, olmi insieme con abeti” (Is 41,19) Dobbiamo aspettare fino alla resurrezione di Gesù per capire che Dio lo crede ancora possibile: Gesù risorge in un giardino! Maria di Magdala si era fermata al sepolcro, nel giardino, quasi trattenuta oltre la morte dalla bellezza di una tomba vuota e della natura lì attorno. Ma Gesù non c’era. O meglio, era lì, e lei lo scambia per il custode del giardino. Il custode del giardino: c’è ancora un giardino da custodire, una resurrezione da garantire, da testimoniare non solo agli esseri umani, ma alla creazione intera! C’è ancora un albero della vita al centro, non si è mai seccato… il Vangelo di Giovanni si chiude proprio così: “Questi segni sono stati scritti perché credendo abbiate la vita”. Da un estremo all’altro della Bibbia, la vita del mondo ci è posta tra le mani. Sopravviverà? 6 3. Trasformiamo la vita “Gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione” Quali spunti concreti è necessario rilanciare? La responsabilità e la coerenza di ciascuno risponderanno; noi accenniamo solo ad alcuni ambiti. •stile di vita personale: Lasciamoci ispirare dallo sport: “più veloce, più in alto, più forte” è lo slogan delle competizioni atletiche. Noi dobbiamo cercare esattamente il contrario: “Più lento. Più profondo. Più delicato”. Il nostro stile di vita deve saper vincere la frenesia dei ritmi anti-umani e anti-ecologici, recuperare il quotidiano come occasione di incontro in profondità, riscoprire la bellezza e la semplicità al di là della produzione e del consumo. Invece degli sport competitivi individuali, poi, giochiamo sport di squadra: se non rifondiamo la nostra vita sulla condivisione dei beni, gli artigli della proprietà privata a tutti i costi faranno sanguinare la terra. •Vocazione e futuro professionale: Ormai anche l’ecologia è un discorso da salotto. Ma la vita ce la giochiamo sì o no? E per chi sceglie di scendere in campo nel nostro contesto sociale, ecco il passaggio che lo sfida: da ingegnere, industriale, imprenditore (modello economico) a ingegnoso, industrioso, intraprendente (modello eco-logico). •Itinerari politici e economici: Come sempre, se non ci organizziamo, non cambiamo nulla. Alcuni esempi, fin dal livello locale: ecotasse, agevolazioni fiscali mirate, gestione del traffico urbano, piani regolatori locali, politiche energetiche, scambio di informazioni ed esperienze… E sul piano internazionale: pressione sulle istituzioni, boicottaggi e campagne, rafforzamento del binomio giustizia sociale-giustizia ambientale, insistenza sul trattato di Kyoto… … e ora tocca a noi! Fermatevi e ascoltate il canto della creazione 7 Noi, i popoli rossi, abbiamo imparato molte cose. A volte per scelta, a volte per dolore. Miei fratelli bianchi, noi siamo uguali, in tanti modi: E’ stato un solo Creatore a renderci tutti umani; condividiamo gli stessi quattro venti e tutti guardiamo lo stesso cielo, lo stesso sole, la stessa luna. Beviamo le stesse acque, corpo e spirito degli stessi oceani. Sì, in più di una maniera siamo uguali. Ma come il Creatore ci ha fatti uguali, in vari modi ci ha anche resi diversi: come gli uccelli, diversi nei colori, nei canti e ne modi, così sono distinti i popoli, ognuno con colori, lingue, canti e comprensioni differenti. Noi abbiamo sempre preservato per i nostri figli l’eredità della creazione. Abbiamo occupato la terra-madre e, ciclo dopo ciclo, ce ne siamo presi cura. Ma, in un batter d’occhio, solo cinquecento anni, i vostri popoli hanno causato molta sofferenza, distruzione e morte per noi e la nostra terra-madre. Per questo, chiediamo che voi vi fermiate ed ascoltiate il canto della creazione, con la mente e col cuore. Rispettate profondamente e sentite il profumo dell’aria pura che ancora avanza e pensate! Assaporate il cibo e il sapore della creazione e siate contenti. Toccate la nostra terra-madre e pensate ai suoi figli, i popoli diversi, e pensate a quanti già sono scomparsi per sempre. Guardate la bellezza del Creatore nelle diverse grandezze, colori, forme, disegni, energie e varietà offerte a tutti noi. Aiutate voi stessi, i vostri figli e quelli che ancora dovranno nascere, a sopravvivere nella nostra terra-dimora. Pensate a loro e diventate di nuovo un Popolo! (testo di Juan Reyna, Campanha Fraternidade e Povos Indígenas “Por uma terra sem males”) 8 Lunedì 02 agosto IL GIUBILEO: LA TERRA APPARTIENE A DIO (Lev 25) Breve spiegazione del significato del Giubileo: Cerchiamo di comprenderne il significato biblico per sapere che cosa esso comporti per un credente. Il termine giubileo deriva dall’ebraico yôbêl (che letteralmente significa “montone”, ma veniva adoperato per significare il corno del montone) e trae il suo nome dal suono del corno col quale s’inaugurava questo particolare tempo (Lv 25,9). La motivazione che sta alla base del giubileo è la volontà del Signore come viene espressa nel libro del Deuteronomio: “non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi” (Dt 15,4). Israele si sarebbe distinta tra le altre nazioni circostanti per il fatto straordinario che in questa nazione no vi sarebbe stato nessun bisognoso. Ciò era motivato dal fatto che Israele, a differenza dei popoli vicini, era governata dal vero unico Dio, padre per tutti. Per garantire a tutti la possibilità di una vita dignitosa ed evitare di finire in situazioni di povertà si stabilì la legge dell’anno sabbatico. In questo anno tutti i debiti dovevano essere cancellati per evitare che diventassero cronici e portassero alla rovina le famiglie. (Dt 15,1-11) Secondo quanto prescritto dal Libro dell’Esodo e dal Levitico in questo settimo anno era inoltre prescritto di lasciare la terra incolta: Es. 23, 10 – 11; Lev. 25, 3 – 17. Utopia del Giubileo Il recupero della libertà e dei possedimenti si chiama riscatto: se un fratello si impoverisce e vende la terre, la casa o la propria vita, un "Goel" (riscattatore o liberatore) può riscattare ciò che si è perso. Se non ha risorse, deve aspettare l'anno giubilare e allora si avrà riscatto senza Goel né denaro. Intenzione dell'anno sabbatico e giubilare è ristabilire la vita e l'uguaglianza distrutte da problemi di debiti o dall'ingiustizie. Queste leggi 9 non si trovano presso gli altri popoli dell'epoca. Sono proprie di Israele. Gli storici pensano che l'anno sabbatico e giubilare non fu mai attuato. Fu piuttosto una rivendicazione profetica che una realtà. In ogni caso, appartiene all'essenza della fede del popolo di Dio. I testi rivelano che la terra, la vita e la libertà sono di Dio; nessun essere umano può disporre di questi beni a suo piacimento. Mentre la legge del condono dei debiti venne subito raggirata, quella del giubileo ogni cinquanta anni fu una legge talmente utopica che non venne mai realizzata per motivi abbastanza semplici. Nata per evitare che nel popolo ci fossero bisognosi l’applicazione di una legge del genere avrebbe ridotto alla povertà l’intero popolo. Infatti se ogni 49° anno (per via della legge del settimo anno) e ogni 50° anno non si semina né raccoglie, la carestia è garantita, e bisognoso diventa tutto Israele. Di fatto, un evento di tale portata non ha alcuna risonanza nella storia biblica e di Israele. Negli elenchi degli anni dei re non si accenna mai a questo giubileo e non s’individua traccia alcuna neanche presso i profeti così pronti a scagliarsi contro quei meccanismi economici ingiusti che riducono in miseria la popolazione (Mi 2,2-1; Am 8,4-6). La tradizione del giorno di sabato, dell'anno sabbatico, e dell'anno giubilare, è una tradizione antica, che cerca di proteggere la vita del clan dall'eccessivo sfruttamento, dalla concentrazione della terra e dall'accumulo della ricchezza, e che pone un limite preciso ad ogni schiavitù per debiti. La tradizione sabbatica e giubilare esige una rottura storica che permette alla terra e alle persone di recuperare la loro libertà. Nella teologia di questa tradizione, la terra e le persone sono di Dio e nessuno può appropriarsene in forma illimitata o ingiusta. (vedi discorso di Capo Seattle) La tradizione del Giubileo si oppone direttamente al modo di produzione tributario, dominante nell'antichità. Nel sistema tributario, la terra e la gente erano proprietà del Re. Le tribù dovevano pagare alla casa del Re un triplice tributo: in alimenti, in servi e in soldati. Al tempo dei giudici (1200-1030 a.C.) si superò totalmente questo sistema tributario e si costruì un nuovo modello di produzione senza re, senza casa del re (senza burocrazia reale: ministri e sacerdoti) e senza esercito, il che significò abolizione radicale del tributo. Al tempo della monarchia, quando si giunse nuovamente al sistema tributario (con Davide, Salomone e i successori), l'istituzione dell'anno sabbatico fu quella che permise al popolo di resistere 10 e mantenere la coscienza critica di fronte al sistema monarchico tributario. Il Giubileo mantiene viva l'utopia delle origini contro il sistema tributario, ricostruito dalla monarchia davidica. I profeti pre-esilici lottarono per mantenere viva la tradizione dell'anno sabbatico, ma senza esito. La distruzione di Samaria, e posteriormente quella di Gerusalemme e del tempio, sarà la conseguenza di queste disobbedienze dei Re di Giuda e di Israele alla tradizione dell'anno sabbatico e giubilare. Dopo l'esilio c'è una volontà profetica di restaurare il popolo di Dio a partire da queste tradizioni (come abbiamo visto in Is 61 e Nem 5). Il sabato, l'anno sabbatico e l'anno giubilare, esprime il potere di Dio e la sua volontà liberatrice, che interviene nella nostra storia, nel tempo e nello spazio, i favore dei poveri, degli indebitati, degli schiavi, degli schiacciati e dei falliti per le strutture della dominazione. Questa tradizione biblica del Giubileo anticipa la proclamazione del Regno di Dio, che sarà un asse centrale del N.T. Anno sabbatico, Giubileo, e Regno di Dio appartengono alla medesima tradizione e teologia e sono un riferimento basilare per l'interpretazione di tutta la Storia della Salvezza. Nonostante questo giubileo non fosse mai stato praticato, il suo ideale di particolare anno del Signore, quale tempo ristabilimento di ogni forma di giustizia è stato comunque tramandato e viene proclamato da Gesù nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,18-19; Is 61,1-2): “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacra-to con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto mes-saggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore”. Gesù proclama l’anno di grazia del Signore con una caratteristica. Questo tempo nel quale ognuno deve sperimentare l’amore del Signore non viene limitato al cinquantesimo anno, ma diventa attuale con Gesù, per cui ogni giorno è tempo di liberazione: “Oggi si è adempiuta questa scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi” (Lc 4,21). I presenti nella sinagoga non gradiscono l’annuncio dell’attuazione di questo anno giubilare. Fintanto che il giubileo restava una legge uto-pica andava bene a tutti, ma quando Gesù annuncia la sua realizzazione tutti gli si rivoltano contro: “All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù 11 dal precipizio” (Lc 4,29). Non vogliono che con l’anno giubilare si restauri l’uguaglianza tra tutti i figli d’Israele, ristabilendo tra loro la giustizia sociale. Gesù, venuto non ad abolire ma a realizzare la volontà del Padre suo (Mt 5,1), non viene meno al suo proposito e continua a proporre la realtà del giubileo slegandolo dalla sua scadenza cronologica e renden-dolo caratteristica della comunità del regno di Dio. Per questo, nel Padre nostro, formula con la quale la comunità si impegna ad accettare le Beatitudini, Gesù rende quotidiano il giubileo con la richiesta: “Condona i nostri debiti come noi li abbiamo cancellati ai nostri debitori” (Mt 6,12). Gesù non parla di peccati, ma ha scelto il termine debiti che va al di là della trasgressione di precetti o comandamenti. Mentre è possibile perdonare le colpe e restare in possesso dei propri averi, il condono dei debiti esige la rinuncia a questi. Mentre “peccato” è un vocabolo appartenente alla sfera religiosa e si richiama a una norma trasgredita, “debito” è un termine riguardante concretamente il campo economico e figuratamente le relazioni interpersonali (essere in debito di qualcosa). - Il debito nei confronti di Dio si deve al fatto che l’uomo veniva considerato debitore nei confronti di Dio dei beni della creazione. Dio non chiedeva il pagamento di questo debito, ma chiedeva che gli uomini se ne rendessero conto per i debiti che altri potevano aver contratto nei loro confronti. - Il condono di questo debito viene dal Padre concesso unicamente in base alla sua misericordia e non è condizionato da alcun tipo di prestazione umana. Il condono agli altri deve essere una conseguenza del condono del Padre. Gesù scegliendo il termine “debiti” intende richiamarsi a quanto prescritto nel Libro del Deuteronomio (Dt 15,2, LXX), dove appare il verbo “essere debitore” in riferimento alla "legge del settimo anno". Ci sono due modi di pensare il tempo del Giubileo: - il tempo ufficiale: giorni, settimane, mesi e anni. Sono scritti nel calendario stabilito. - il tempo giubilare: il tempo della liberazione della terra, del povero, dello schiavo. Non lo si trova nel calendario, ma quando si ascolta il grido e il 12 clamore, quando suona lo yobel, quando il povero ci viene incontro. Il tempo giubilare è quotidiano, in ogni momento. Lo spirito del Giubileo deve essere vissuto tutti i giorni. Il ciclo giubilare ufficiale di sabati, anno sabbatico e anno giubilare è il riconoscimento e la garanzia pubblica del tempo esigito dal grido della terra e del povero. GIUBILEO NELL'EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE. In antico il GIUBILEO è pensato da Dio per rimettere dentro il cammino della vita chi era rimasto indietro, e aveva perso tutto, casa campo libertà. Oggi il GIUBILEO DELL’INCARNAZIONE fa riferimento a Gesù tra noi. Gesù è il SI’ di Dio alle sue promesse, Parola che si fa carne, attuazione di ciò che Dio ha sempre desiderato. Gesù lo sa. Gesù proclama l’anno di grazia del Signore, l’anno del GIUBILEO. Oggi la Chiesa vive e attualizza il GIUBILEO in epoca di globalizzazione. In antico la ricchezza era la terra: il ricco ne aveva tanta. Poi la ricchezza si è fatta denaro: puoi accumulare senza limiti. Il mercante sa che profitto = differenza tra vendere e comprare. Poi il mercante si fa imprenditore, ed è già l'industria. In antico l'economia era statica, aprendo i magazzini di grano del ricco si dava una scodella a Lazzaro. Oggi l'economia è dinamica, a rapido cambiamento, con una concentrazione delle risorse della terra in mano a pochi, con una concentrazione del potere in mano a sempre meno persone. I containers portati a migliaia dalle supernavi spostano il lavoro dove l'uomo costa poco (e costa meno se è un bambino o donna). La rivoluzione del silicio e dei computers snellisce i lavori e gli uomini vanno in panchina: si chiamano esuberi. Disoccupati. Oggi ci sono forze centrifughe che spingono i popoli deboli sempre più ai margini. Il futuro non ha bisogno di loro. Sono popoli inutili. L'economia governa la politica e le scelte sono per il profitto. Per fare profitti devi comprimere i costi di lavoro e materie prime. Ridurre costo-lavoro: la prima tappa è stata la schiavitù, la seconda lo sfruttamento dei lavoratori mal pagati, la terza di oggi è la disoccupazione come progetto a favore del profitto. 13 Ridurre costo materie prime: conquisti colonie e prendi del tuo; dopo l'indipendenza controlli le risorse e non sai cosa fare degli abitanti. Ti interessa il territorio e non la gente. Potere e ricchezza si concentrano in un piccolo nucleo di persone. Poi ci sono periferie sempre più lontane, sempre più abbandonate. Il libero mercato è un torneo dove giocano l’inter (in rappresentanza delle multinazionali) e l'oratorio. La Deregulation invocata è un'economia darwiniana, a eliminatorie. Al circo ci sono i leoni e i cristiani in libera concorrenza. Guai ai vinti: chi è fuori del giro non rientra, non recupera. Diceva Paolo VI: oggi Lazzaro sono popoli interi. Secondo l'UNESCO, oggi un miliardo e 400 milioni di persone sono totalmente tagliati fuori: non c’è posto per loro dentro la vita. Per loro non c’è lavoro né pensione, né ospedale né scuola. L’economia mondiale spinge verso la globalizzazione della miseria. Un economista, Paul Samuelson ebbe a dire: “La guerra contro la povertà è terminata e i poveri hanno perso”. Il Giubileo pensato dai profeti, confidenti di Dio, traduce la premura di Dio verso l'uomo debole, verso i perdenti della storia. Il Giubileo fa parte del movimento missionario di Dio verso l'uomo così come la premura verso l'orfano, la vedova, il forestiero. Gesù negli anni di Nazaret ha imparato cosa significa essere uomo. Il suo sangue è rosso come il nostro. Respira i nostri sentimenti e le nostre speranze. E' lieto di essere dalla parte degli uomini. A Nazaret lavora con le sue mani, come fanno tutti i suoi amici, e partecipa al sentire degli uomini rudi e semplici, così lontani da chi passeggia in lunghe vesti e divora i campi di orfani e vedove, fa dotte discussioni sulla legge e dimentica l'essenziale: “la verità la giustizia e la misericordia”. I poveri ci insegnano l'essenziale. Dopo Gesù, Giacomo riassume la legge e i profeti: "La religione gradita a Dio è questa: Soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro necessità, e mantenersi puri dagli idoli del mondo". Gc.1,27. E' disumanizzante la ricchezza che dà un cuore grasso. E’ disumanizzante la miseria che dà un cuore affranto. Siamo chiamati a guarire insieme. E’ questo che Dio vuole. 14 Il nostro papa dice: "Un meccanismo difettoso sta alla base dell'economia contemporanea, e non consente alla famiglia umana di staccarsi da situazioni radicalmente ingiuste. Quando l'egoismo e il profitto divengono le principali motivazioni dell'attività economica, allora tutto è possibile e la barbarie non è lontana". “L’impegno per la giustizia e per la pace in un mondo come il nostro, segnato da tanti conflitti e da intollerabili disuguaglianze, è un aspetto qualificante della preparazione al Giubileo”. (Tertio millennio adveniente, 51). Tanti conflitti vengono dalla rabbia di chi non ha più niente da perdere. Le disuguaglianze sono intollerabili per i poveri esclusi da ogni dignità e da ogni futuro. Le disuguaglianze sono intollerabili per Dio che “ha udito il grido del suo popolo”. Il papa ha detto che la strada della pace è il rispetto dei diritti umani, affermando che "la persona umana è trascendente". Vale più di tutto. Ha un valore divino. Allora ogni scelta, anche economica, ha al centro la persona. Questo mette in crisi tutti i se e i ma che vanificano le scelte. Una economia che uccide va cambiata. Bisogna gridarlo dai tetti. Certe prudenze ecclesiali sono parenti della saggezza diplomatica. Cerchiamo profeti imprudenti che respirano follia evangelica. Cerchiamo chi ci faccia intravedere il sogno di Dio per l'uomo dentro la storia e oltre la storia, come in cielo così in terra. Giubileo è vivere l’esperienza della bontà misericordiosa del nostro Dio. Tale esperienza deve farsi concreta, cioè vista con gli occhi e toccata con mano. “Dio nessuno l’ha mai visto, ma il figlio unigenito ce lo ha fatto conoscere”. Gv.1,18. La misericordia che salva deve entrare potentemente nella storia umana di oggi. Giubileo nel tempo della globalizzazione è Dio che si mette dalla parte degli sconfitti. Tutti gli sconfitti del mercato mondiale trovano in Dio il garante dei loro diritti. 15 Dio comincia dagli ultimi, dai bisogni e dalle speranze degli emarginati del mondo. Il Giubileo più che una teologia è un grido: un grido di "soccorso". Un "ora basta". Un "mai più". Qui prendo in prestito la teologia della liberazione che ispira il senso di resistenza in America Latina. E' la teologia soggiacente ad alcuni rapporti sulla violenza in alcuni paesi, per esempio il rapporto "Guatemala Nunca Mas", pubblicato dall'ufficio dei diritti umani dell'Arcivescovado del Guatemala. Il sottotitolo è importante: "rapporto progetto interdiocesano di recupero della memoria storica". In questi rapporti traspare lo spirito del Giubileo. Il Giubileo è una teologia scritta più dai martiri che dai teologi. Mons. Juan José Gerardi ratificò con il suo martirio, tre giorni dopo dalla pubblicazione, il rapporto della Chiesa del Guatemala. Il Giubileo è una teologia con energia, con spirito, con forza, con potere. Non è una teologia per essere letta, bensì annunciata, proclamata, gridata a gran voce. Il manifesto del Foro Internazionale delle Alternative ha questo stile dei testi del Giubileo. Dicono cosi alcuni dei suoi titoli: E' tempo di ripristinare il corso della storia E' tempo di porre l'economia a servizio dei popoli E' tempo di abbattere il muro tra Nord e Sud E' tempo di affrontare la crisi della civiltà E' tempo di rifiutare il potere del denaro E' tempo di mondializzare le lotte sociali E' tempo di risvegliare le speranze dei popoli E' giunto il tempo delle convergenze Il tempo dell'azione è già iniziato Cosi il profeta Isaia annuncerebbe oggi il tempo del Giubileo. Chi parla in questo modo può dire in tutta verità: "lo Spirito del Signore sta sopra di me, per questo mi ha inviato ad annunciare una lieta notizia ai poveri". Anawim sono i poveri che confidano in Dio. Non sono poveri poetici. "Guai a coloro che aggiungono casa a casa, campo a campo, e non lasciano posto per i miei poveri nel paese!" Is.5,8. Un povero perde sempre. Un proverbio africano dice: "Il chicco di mais ha sempre torto davanti alla gallina". Anche ai tempi di Gesù certi scribi -immancabili al tempio-privavano di 16 casa e di campo orfani e vedove: e Gesù non tace. La tecnica consiste nei cavilli legali e nelle firme. Anche oggi il grande latifondo prende a suon di mance e di firme e i poveri non hanno mai il documento giusto. E così abbiamo tanta terra senza gente e tanta gente senza terra. Non soltanto in Brasile, o nel Chiapas: il sistema si è esteso. L'aggiornamento della povertà chiede l'aggiornamento del giubileo, senza scansare le situazioni tenute in mano dai ricchi. Dio "abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili. Ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote". Brava Maria! Anche noi stiamo dalla parte degli affamati e degli umili. Grazie a Dio ci hanno consolato dicendo “basta essere poveri in spirito”, cioè senza toccare le nostre cose, le case, le ferie. "I farisei, che amavano il denaro, sentivano queste cose e ridevano di Gesù". Lc.16,14. Ci sono cose importanti che sfuggono ai sapienti e agli intelligenti, mentre i piccoli e i semplici se le vedono rivelare. Lo Spirito ci dona gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, cambia i nostri gusti e il peso che diamo alle cose. "Si può vivere in una villa medicea senza abitarla, se la persona è inquieta e annoiata e passeggia per le stanze cercando dove depositare tristezza e noia" (A. Paoli). Gesù da ricco che era poteva restare figlio di papà e fare la beneficenza guadagnandosi l'applauso e la simpatia dei poveri. Invece Gesù da ricco che era si è fatto povero facendo causa comune coi poveri, e scegliendo la debolezza è finito in croce. Il Giubileo non è vendere i beni e darli ai poveri. E' di più. Il Giubileo è raddrizzare un meccanismo, correggere una tendenza. Ieri bastava condividere, oggi condivisione rima con liberazione. Per molto tempo abbiamo letto la parabola del tesoro nascosto e abbiamo dato valore a questo e non alla terra (Mt. 13,44 Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.): compra il campo non per impossessarsi del tesoro, secondo 17 la legge giudaica, ma perché vuole togliere al ricco la possibilità di sfruttare la terra. Lo fa per vivere in un modo alternativo al sistema, non per arricchirsi ma per mettere in comunione la terra, affinché dia il sostentamento alla comunità. Ci troviamo a lavorare nelle terre di LIBERA, confiscate ai mafiosi che hanno sostituito i vecchi latifondisti, non esitando ad uccidere per entrare in possesso delle terre. LIBERA ci da un esempio concreto. Le terre erano sfruttate per arricchire qualcuno, oggi sono lavorate dai giovani a cui era stato negato il futuro. Non basta mandare aiuti ai miseri del Sudan: bisogna combattere contro la guerra, le sue cause, i suoi sponsor. Oggi la globalizzazione spalanca il mondo allo straripamento della legge del più forte. In questi ultimi anni si assiste a una nuova forma di neocolonialismo, una variante di un virus. Che cosa hanno in comune Madagascar e Corea del Sud ? L' Africa ha la maggior parte della terra fertile non coltivata del mondo e la maggior parte dei morti di fame. Una ragione ci sarà. “Solo quando l'ultimo fiume sarà prosciugato, quando l'ultimo albero sarà abbattuto, quando l'ultimo animale sarà ucciso, solo allora capirete che il denaro non si mangia." (Capo Toro Seduto dei Sioux Lakota) Saremo Terra-Azienda o Terra-Famiglia? Il Dio che regna è il Padre “nostro” o Mammona-Profitto? Dio ci ha fatto famiglia sua, facendoci figli nel Figlio. La chiesa dà nome, dà volto al sogno che Dio ha confidato a tanti. Dio è il Dio di tutti, il suo Spirito soffia su tutta l'umanità. "Vi invierò lo Spirito che vi conduce alla verità intera". Il Card. Martini ha detto che lo Spirito è arrivato prima di noi, lavora più di noi e fa meglio di noi. Dice il vescovo del Brasile Pedro Casaldàliga: “La colomba dello Spirito ha due ali, la destra e la sinistra; sono l’esperienza dell’amore di Dio, e l’esperienza dei poveri. Con un’ala sola lo Spirito non vola”. Nel Cile di Pinochet la grande celebrazione di Papa Woytila ha radunato 18 una folla immensa di gente che cercava le ragioni della speranza. Per il canto del Magnificat avevano ciclostilato i fogli, e per un piccolo “errore” di stampa mancavano le parole: "Ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote". Nel Giubileo che vogliamo vivere quotidianamente non vogliamo simili dimenticanze. Non spostiamo a dopo la fine del mondo la beatitudine dei poveri. Guai a voi ricchi che impedite a tanta gente di vivere! Guai a voi che negate la gioia agli altri e restate senza gioia! Mi spiace per voi, che non entrate e impedite di entrare! Condoglianze a voi, che soffocate la vita e andate verso morte! Vi siete fatti grandi comprimendo lo spazio degli altri! Volete limitare le nascite dei poveri, incolpandoli della povertà; ma era meglio se voi non foste mai nati! Lo Spirito del Signore mi ha spinto a proclamare l'anno di grazia. I poveri non possono più aspettare, Dio non vuole più aspettare. Oggi le parole che avete udito sono diventate vere. Il Giubileo è la fretta di Dio che la salvezza veda il mattino. E' la protesta di Dio contro chi rimanda la sua salvezza a domani. Il Giubileo proclamato dai profeti e da Gesù abbisogna di nuovi profeti che lo proclamino oggi. Il punto di partenza è fare esperienza del Padre. Nel cuore del Padre vedremo scritto il nostro nome, e il nome dei nostri fratelli, delle nostre sorelle. Ci scopriremo famiglia. Per vivere nel mondo come famiglia. Noi, uniti a Gesù, siamo con lui un popolo profetico e regale. Un popolo profetico intuisce-conosce il progetto di Dio per noi. Un popolo regale si impegna perché il Regno di Dio venga e si attui secondo il sogno di Dio senza fermarsi alla saggezza umana. Non basta mettere vernice nuova per dire che la macchina è nuova. Non basta mediare con gli strumenti del potere e dell'economia. In questa saggezza delle mediazioni c'è una verità incompiuta. Non basta una saggezza senza profezia. I tempi urgono, non c’è tempo. Dio ha fretta, i poveri hanno fretta. La saggezza della diplomazia ceda il passo alla stoltezza della predicazione. 19 L'ago della bilancia nella mediazione è attratto dalla calamita del mondo, nella profezia l'ago è attratto dalla calamita di Dio. Abbiamo il compito profetico di leggere il senso dell'agire umano. Dobbiamo fare un discernimento, leggere e valutare al modo di Dio. Non ci basta raccontare la cronaca di ciò che accade nel mondo. Domandiamo: Globalizzazione e legge di mercato servono la vita o la morte? Superiamo i meccanismi darwiniani di una economia "fai-da-te". Il pessimismo è saggezza amara che dà ragione al lasciar andare. L'uomo è uomo perché capisce, sceglie e non sta a rimorchio. Dice il Concilio: "L'attività umana, come deriva dall'uomo, così è ordinata all'uomo. L'uomo vale di più per quello che è che per quello che ha.. Tutto ciò che gli uomini compiono per conseguire una maggiore giustizia e un ordine più umano nei rapporti sociali ha più valore dei progressi in campo tecnico". Noi oggi, dentro una società potente, vediamo i deboli della terra così come ieri i nobili che stavano a palazzo vedevano i plebei. L'abitudine rende tutto normale e noi ci adattiamo all'ambiente. Chi è da tanto tempo in una stanza chiusa non sente l’odore di chiuso, ma chi entra da fuori se ne accorge. Un missionario, prete, suora o laico che sia, che viene dal sud del mondo sente urgenza di giubileo. Il giubileo serviva a correggere un’economia, una società che rotolava verso spontaneità mondane dove vince il ricco e il forte. Chi sta a palazzo vede il mondo con occhi diversi da chi sta in baracca. Per capire partiamo dai perdenti; con Gesù partiamo dagli ultimi. Se c'è una vittima c'è anche un aguzzino, e mica sempre il boia lo conosciamo dal cappuccio in testa. Oggi il ricco e il forte non hanno volto, sono le multinazionali, sono la finanza che specula in borsa. Non vediamo volti precisi ma sono strutture di peccato che governano l'economia mondiale. Il frutto del peccato è la morte, una struttura di peccato crea morte, la sofferenza dei dannati della terra denuncia la presenza del peccato. Un poveraccio le capisce come situazioni ingiuste. Quello che in piazza chiamano ingiustizia, in chiesa lo chiamano peccato, ma per Dio chiamarla ingiustizia o chiamarla peccato fa lo stesso. 20 Sono zuppa e pan bagnato. Quali correzioni sogna Dio a favore dei poveri e dei deboli? Noi che siamo dentro una società ricca e forte godendone i frutti, accetteremo il cambiamento? Oggi dobbiamo partire dai diritti e dalle speranze dei poveri per capire il senso del Giubileo che Dio ha pensato per i poveri. O la nostra saggezza troverà ancora le mediazioni giuste per fermare fame e sete di giustizia alle soglie del nostro benessere? Diceva Napoleone: “Siamo fortunati ad avere una chiesa che dice beati i poveri; perché quel giorno che i poveri non si sentiranno più beati ribalteranno su il mondo.” Dio sogna cieli nuovi e terra nuova. I cieli nuovi ci illuminano dentro se ascoltiamo le confidenze di Dio, la terra nuova è il mondo quale lo sistema Dio con le mani dell'uomo. Il progetto di Dio riguarda la storia e va oltre la storia. Ma comincia da questa parte. Da soli non possiamo far niente; e Dio ha deciso che da solo non fa niente. Per la riflessione personale: Ho sperimentato nella mia vita l’esperienza del Giubileo? “Per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai i frutti; ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra, un sabato in onore del Signore”. Che valore do al riposo? Cosa ne faccio del tesoro che trovo? Globalizzazione e legge di mercato servono la vita o la morte? Un pezzo di una canzone di Francesco De Gregori recita: “tu da che parte stai? Dalla parte di chi ruba nei supermercati o dalla parte di chi li ha costruiti, rubando?” Io, concretamente, da che parte sto? Quali sono i comportamenti che caratterizzano la mia vita? Riferimenti biblici per l’approfondimento: Dt 15,1-11; Es. 23,10-11; Lev. 25,3-17; Mi 2,2-1; Am 8,4-6; Is 61; Nem 5; Lc 4,18-19; 21-29; Is 61,1-2; Mt 6,12; Gc.1,27; Is.5,8; Mt. 13.44 21 Martedì 03 agosto LA RICHIESTA DI UN RE (1 Sam 8,4-22) La richiesta di un re 1 sam. 8,4-22 La storia di fede di Israele, si sviluppa nel confronto diretto con le economie, ideologie e politiche degli antichi imperi e “città- stato” del medio oriente. Queste erano caratterizzate internamente da strutture classiste ed esternamente da un desiderio di conquista (producendo un surplus economico attraverso il lavoro degli schiavi, l’accumulazione della terra e i tributi) Ideologicamente la elite della società era legittimata dagli dei. la ideologia monarchica spesso esaltava la funzione sociale del re, e il suo essere baluardo per i poveri di fronte ai ricchi. Israele invece aveva sviluppato un sistema autonomo in alternativa e in antagonismo alle città stato a agli imperi.(levitico)”Economia di sussistenza” Aveva Dio come legislatore, egli assume questa funzione al posto degli antichi sovrani del medio oriente. la giustizia dall’ambito sociale e politico era passata a quello teologico e la sua diretta subordinazione alla volontà di Dio. La solidarietà all’interno e nei gruppi famigliari dette origine all’ordine sociale e legale del periodo anarchico dei giudici,i quali costituivano un’assemblea di patriarchi legalmente liberi ed economicamente indipendenti .(libro dei giudici) proprio durante questo tempo che si situa il testo che vogliamo considerare. 1 sam. 8,4-22 Gli anziani chiedono un re che governi, come avviene con tutti i popoli…… Samuele,(giudice e liberatore ,cap.7) è ormai vecchio, i suoi figli, non operano con rettitudine e onestà, per cui gli anziani riuniti in assemblea (Gli anziani erano rappresentanti e portavoce di tutte le tribù nell’assemblea del popolo)chiedono a Samuele che stabilisca su di loro un 22 re. Perché? Quali sono le ragioni? Sino ad allora In caso di minacce esterne leaders carismatici prendevano il comando in guerre comuni di difesa e liberazione. E il popolo sperimentava in Dio, un alleato fedele nel momento di difficoltà. Volta a volta Dio interveniva a liberare il suo popolo (gdc), ma con una modalità del tutto libera, e gratuita, la liberazione non dipendeva dalla forza del popolo, ma dal suo “grido” (1sam.7,2-17). Centrale in questa relazione con Dio è il distacco dall’idolatria, la preghiera e l’altare. Ma in questi tempi, Il crescente conflitto con i filistei, con nuove armi e percepiti più forti,faceva nascere la paura di soccombere ,di perdere la propria libertà, ritornare ad essere schiavi e perdere cosi la propria cultura, tradizione e religione, pertanto bisognava rafforzarsi più saldamente sotto un re per solidificare la propria potenza militare. Ma non è questa la sola ragione, vi erano anche pressioni interne, disgregazione e poca autorevolezza dei capi della confederazione (dovuta all’espansione numerica e territoriale) e sviluppi socio- economici (commercio con altre regioni) Agli occhi di Samuele, abituato al discernimento questa richiesta, pur essendo una domanda lecita, nasconde il “rigetto” di Dio e Dio stesso lo espliciterà: “non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me perché io non regni più su di essi.” Che tipo di re era Jahweh? liberatore degli oppressi e degli schiavi. “ Il libro dell’Esodo, racconta in vari modi come questo gruppo di lavoratori forzati stranieri, conformista, frammentato, oppresso e politicamente inetto, scopre attraverso l’iniziativa di Dio un leader politico e una nuova speranza per il futuro. Questo li rende capaci di cementare la solidarietà fra di loro e liberarsi dai legami sociali esterni e cosi li rende capaci di una azione comune per la liberazione politica.”(R. Albertz) Dio rivela a Mosè il mistero del nome Jahweh “Io sarò con voi”, con voi, gli oppressi.” Un Dio che nel conflitto sociale sta dalla parte degli esclusi della società, che in una città-stato, sceglie di stare decisamente dalla parte di coloro che sono alla base e non all’apice. Avere Dio come re, non era solo la protezione dei deboli e 23 degli oppressi, ma un dio che libera dall’oppressione, non era separabile dalla giustizia all’interno della comunità liberata e protetta (es.15; Gdc. 5, Lc.1,46ss) Dio che cammina segue il suo popolo ovunque e comunque, il culto deve rimanere mobile una “arca” da trasportare, una “tenda” al di fuori di ogni sfera di potere o di influenza dello stato. Di fronte ad una scelta da fare, bisogna sempre considerare quello che si lascia e quello….che si prende. Samuele illustra chiaramente cosa accadrà al popolo se scelgono avere un re, quali saranno le sue pretese….. ritorno a una città- stato, alla burocrazia, alle differenze fra ricchi e poveri. Mostra le ragioni del fallimento di un progetto umano. Nonostante questo gli israeliti scelgono il re. Voltano le spalle alla originalità che li ha caratterizzati per avere adottato la legge di Dio come sistema che regola anche le relazioni sociali ed economiche. Rigettano la loro originalità e la loro missione nella storia. “Ci sia un re su di noi, saremo anche noi come tutti i popoli.” Cosa guida la scelta? Le paure: personali, comunitarie, dittatori, dipendenza, ritorno all’oppressione, alla schiavitù…. Lasciare le proprie sicurezze… (tradizione)(possiamo pensare a come incide la paura nelle nostre relazioni e come influisce sulle politiche (cittadini armati, aggressioni, respingimento, caccia allo straniero, mafia….) Delega di responsabilità: accentrando in una sola persona la decisione e non partendo da una riflessione dalla base. Ricerca di qualcuno che dia le risposte al nostro posto. Sfiducia: in se stessi, In Dio….il nostro Dio non è poi cosi forte. La Sua logica è diversa……. Orgoglio e delirio di onnipotenza: Non si vedono le sconfitte, come un’opportunità di imparare, di trovare nuovi cammini, ma troviamo noi una soluzione, (progetto esclusivamente umano) non possiamo accettare di non essere quel “gran popolo” che vorremmo essere e “nel modo” in cui lo vogliamo essere o secondo i modelli (come gli altri popoli e le aspettative della società). Rifiuto di pagare un prezzo per le proprie scelte e per essere unico nel seguire non una struttura ma Dio e il farsi carico dell’incertezza che questo 24 fa sperimentare. Israele sarebbe potuto sopravvivere rinunciando alla monarchia? È difficile esprimere un giudizio, solo la storia ci dice che gli antichi ideali sopravvissero come una sorta di “memoria pericolosa” che continuò a ispirare e guidare la lotta delle future generazioni. Nei successivi quattrocento anni, di regime monarchico, anche se il prezzo pagato dal singolo israelita fu alto, quegli ideali vennero mantenuti vivi in mezzo al popolo, al nord e al sud, soprattutto dalla possente voce dei profeti di Israele. I profeti (singole persone, comunità alternative, popoli indios, CEBS….), continuano a cercare, ad esprimere e precisare, approfondire e ampliare quegli ideali di giustizia e di bene comune, a partire dalla presenza e dell’azione del divino nella vita del popolo e delle singole persone. Quali sono i profeti del mio tempo? Mi rendo conto che anche nelle scelte quotidiane c’è un una domanda da farsi: Dio dov’è? 25 LA VIGNA DI NABOT: 1 RE 21 IL LIBRO DEI RE E LA MONARCHIA La storia della monarchia comprende i circa 430 anni che vanno dal riconoscimento di Saul come capo (1020-1000 a.C.) alla caduta di Gerusalemme nel 587 a.C. e al conseguente esilio babilonese. Con la monarchia assistiamo al passaggio di Israele da una confederazione di trib socialmente ed economicamente egualitaria a una monarchia gerarchicamente organizzata e socialmente stratificata. Questa esperienza viene raccontata soprattutto nei due libri dei Re, la redazione definitiva, ad opera di autore ignoto, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea, sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. Una delle caratteristiche dell'autore è il continuo ricorso a formule fisse per delineare i regni dei vari sovrani che, dalla successione al trono di Davide fino alla distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dei Babilonesi di re Nabucodonosor e quindi dalla vecchiaia di Davide fino a Sedecia, si sono succeduti sul regno d'Israele. I DUE LIBRI DEI REI Il Primo libro dei Re rappresenta la continuazione ideale dei due Libri di Samuele, descrivendo la vicenda del popolo ebraico dal X alla metà del IX secolo a.C., cioè dalla fine del regno di Davide (circa 970 a.C.) fino al termine del regno di Acab nell' 852 a.C.. Il giudizio dell'autore è severissimo nei confronti della maggior parte dei sovrani, soprattutto contro quelli del Regno Settentrionale, colpevoli di aver posto due vitelli d'oro nei santuari di Betel e Dan (1 Re 12,26-31), alle due estremità opposte del regno, onde impedire i pellegrinaggi delle 10 tribù settentrionali a Gerusalemme, e quindi il loro ritorno nella sfera d'influenza giudaica. Questi sovrani sono esclusi dalla promessa divina di un Regno Eterno fatta alla dinastia davidica proprio in virtù di questo peccato d'idolatria. Importante, dal punto di vista storico, è la menzione del sovrano egizio Sisach che con la sua campagna in Palestina tentò di riaffermare il predominio egiziano su questa regione. Il testo biblico dice che egli si impossessò degli arredi d'oro del Tempio di Salomone e evidentemente ciò significa che egli sottopose il Regno di Giuda a un pesante tributo. Il Secondo libro dei Re rappresenta la continuazione ideale del Primo, 26 descrivendo la vicenda del popolo ebraico dal IX al VI secolo a.C., cioè dalla fine del regno di Acazia (circa 852 a.C.) fino alla distruzione del regno di Giuda nel 587 a.C. e alla deportazione. Quattro sono gli eventi più importanti descritti da questo libro: • • • la caduta di Samaria in mani assire (722 a.C.), dopo un lungo periodo di decadenza del regno settentrionale, segnato dal turbinoso susseguirsi di cinque re in quattordici anni, tutti morti ammazzati in seguito a congiure. Le dieci tribù settentrionali vengono di conseguenza deportate dai vincitori, com'era loro costume per sradicare i popoli e sottometterli meglio, e sostituite da altri popoli pagani, a loro volta deportati da altri angoli del vasto impero. Ha così origine la stirpe dei Samaritani, che si convertono al culto di JHWH, ma realizzano un sincretismo pagano-giudaico ed adorano Dio sul monte Garizim anziché a Gerusalemme. Ciò spiega l'odio razziale manifestato dai Giudei nei loro confronti, e testimoniato ancora dal Vangelo di Giovanni. la riforma religiosa voluta da re Giosia, dopo aver rinvenuto il "Libro della Legge" durante lavori di restauro del Tempio di Salomone (2 Re 22,8-13). Leggendo questo testo, il re si straccia le vesti e decide di tornare alla purezza del culto di JHWH, eliminando ogni traccia di paganesimo. la duplice invasione del regno di Giuda da parte di Nabucodonosor. La prima ha luogo nel 597 a.C.. Mentre re Ioiakim è sul suo letto di morte le truppe straniere assediano la città; Nabucodonosor depone allora suo figlio Ioiachin (nome equivalente al nostro Gioacchino) dopo appena tre mesi di regno, e lo sostituisce con suo zio Mattania, cui cambia nome in Sedecia. Sedecia tuttavia ignora gli avvertimenti del profeta Geremia e cerca di stringere alleanza con l'Egitto contro i Caldei. Nabucodonosor non glielo perdona e nel 587 a.C. Gerusalemme è conquistata e rasa al suolo, ed i maggiorenti della nazione giudaica deportati a Babilonia. Questa è la fine del glorioso Tempio di Salomone e dell'antico Regno d'Israele fondato da Saul e Davide. Al ritorno da Babilonia nel 539 a.C., i Giudei non parleranno più ebraico ma aramaico. Non è male dedicare un po’ di tempo alla lettura del Primo e Secondo Libro dei Re (1-2 Re) poiché ci narrano le vicende di quattro secoli di monarchia, dagli iniziali splendori di re Salomone fino alla tragica estate del 587 che vide la distruzione di Gerusalemme, del tempio e la deportazione in Babilonia della parte più valida di Israele. Il grande re Salomone, che succedette a Davide, ebbe la bella idea – per realizzare la sua ambizione imperiale in economia e politica – di obbligare ai lavori 27 forzati, non solo gli schiavi o i nemici vinti, ma anche gli uomini d’Israele. Egli costruì il tempio, il palazzo, e città fortezze sparse in tutto il territorio (cfr. 1 Re 5,27; 11,28) e il risultato della sua politica fu una fortissima degenerazione sociale e religiosa che provocò, l’insurrezione di dieci delle dodici tribù d’Israele che si staccarono da Gerusalemme e costituirono il regno del Nord. Il regno del Nord si consolidò presto, tra alleanze opportune o suicide con popoli stranieri, tra guerre inutili o inevitabili. In brevissimo tempo esplosero quei segni del declino e della rovina di tutta una nazione che solo i profeti seppero interpretare. La lettura, che nei due libri dei Re viene fatta della monarchia, dà su molti re d’Israele un giudizio negativo e indica le cause del male della popolazione nell’abbandono della tradizione religiosa e della fede nel Dio d’Israele per seguire culti ed abitudini pagane e straniere, ma anche nell’avidità spregiudicata e nell’ambizione cinica di chi deteneva il potere. LA MONARCHIA: CONTESTO STORICO Cos’è avvennuto in Israele tanto da chiedere un re? Alcune cause: • • • • • • • • L’esperienza di organizzazione popolare di Israele aveva molte difficoltà. La geografia del territorio ed altre differenze rendevano difficile l’unione tra le due tribù del Sud con le 10 del Nord. E ciò determinava divisione e conflitti interni L’aumento della popolazione Corruzione dei giudici (1250 - 1050) La pressione che veniva dai piccoli regni vicini, così come quella dei potenti che volevano controllare il corridoio così strategico per il commercio e per la guerra. La caduta degli ideali. Invasione dell’Egitto da parte dei popoli mediterranei che alla fine rimarranno comunque sconfitti. Alcuni di questi gruppi tenteranno di invadere Canaan dove si scontreranno con la confederazione delle dodici tribù. La pressione esercitata sulla confederazione da parte dei Filistei. La domanda sempre più pressante di una maggiore sicurezza e di una più efficace difesa da parte del territorio e della popolazione che lo abita. 28 Davanti a tutto ciò si impose poco a poco l’idea della monarchia. Il potere nelle mani di una sola persona e non condiviso più dalle famiglie, dai clan, dalle tribù. ELEMENTI IMPORTANTI DELLA MONARCHIA • Cambiamenti politici. C’è il passaggio da una federazione piuttosto sciolta di tribù, unite dal loro ideale di una ben determinata concezione della comunità, a uno stato territoriale unitario comprendente l’antica confederazione delle tribù e la nuova popolazione cananea. Al tempo della confederazione delle tribù, le decisioni politiche e sociali venivano prese a livello di villaggio, di clan e di tribù (assemblee degli anziani). Le assemblee degli anziani cercavano di rappresentare e raggiungere il consenso fra i membri del popolo di cui facevano parte e con i quali intrattenevano contatti frequenti e diretti. Al tempo della monarchia, invece, le decisioni erano prese da una ristretta cerchia di persone, se non addirittura da una sola persona, che potevano/poteva imporle alla stragrande maggioranza della popolazione, anche con la forza. • Cambiamenti militari. Al tempo della monarchia la classe dirigente disponeva di un esercito permanente di soldati professionisti, compresi mercenari stranieri, sempre pronti a intervenire per imporre la sua volontà e fare rispettare le sue decisioni. • Cambiamenti socio economici. Yahvè voleva nutrire e proteggere il suo popolo attraverso un’economia centralizzata, controllata e regolamentata dal re e dai suoi funzionari (economia tributaria), o attraverso un’economia decentrata, così com’era stata praticata dalle tribù delle città e dei villaggi dell’altopiano in epoca premonarchica (economia comunitaria)? Il sistema delle città stato cananee era esattamente l’opposto di ciò che voleva essere la confederazione delle tribù: accumulazione della terra (la monarchia non riconosceva il diritto permanente della famiglia alla propria terra e alla propria casa, la proprietà poteva essere comprata, venduta e accumulata), così come una società gerarchicamente e socialmente stratificata. La disuguaglianza economica cresceva tanto più quanto più la classe dirigente riusciva a influenzare e addirittura a controllare le risorse della società mediante l’imposizione di tasse e di lavoro forzato, sottraendo la produzione eccedente alla maggioranza della popolazione costituita da allevatori e agricoltori. Gli introiti della produzione eccedente permettevano ai membri 29 della classe dirigente di condurre uno stile di vita stravagante e assicuravano loro le risorse necessarie per accrescere ulteriormente il loro potere sociale, politico ed economico. Questo sistema era difeso da un esercito professionale (ribellioni al nord) • Cambiamenti religiosi. Con l’avvento della monarchia, nello jahvismo (la confederazione delle tribù) entrava un nuovo elemento. Jahvè diventava la divinità protettrice di uno stato nazionale, con un santuario reale situato nella capitale e posto sotto il controllo e la protezione del re. Una casta sacerdotale professionale, assistita da corporazioni di musici, cantori e attendenti presiedeva un culto costoso e fastoso. Inoltre nel tempio c’erano scribi che avevano il compito di comporre, cantare e scrivere i testi dei riti. In tal modo si aggiunse tutta una nuova serie di termini, concetti e immagini (la simbologia reale) alle antiche tradizioni tribali, arricchendo e ampliando la possibilità espressive della fede e delle tradizioni di Israele. I temi dell’alleanza mosaica vennero integrati nella teologia reale, basata sull’idea di una relazione speciale fra Dio e il suo re, “che Egli aveva scelto” (Sal 89, 4-5). E c’era, inoltre, la promessa di una dinastia reale perenne e l’assicurazione di una continua presenza nel santuario reale da parte della divinità. • Non si può nascondere che specialmente sotto Salomone, la classe dirigente si servì del proprio potere per garantirsi uno stile di vita stravagante e privilegiato. La leggendaria ricchezza e prosperità del regno di Salomone (1 Re, 10, 14-25) era, in realtà, appannaggio di un ristrettissimo numero di persone. La stragrande maggioranza della popolazione soffriva sotto il peso delle tasse e del lavoro forzato imposto dalle errate politiche economiche e sociali di Salomone. Alla sua morte il risentimento e il malcontento della maggior parte della popolazione provocarono il rapido crollo del suo modesto impero. • La nuova realtà della monarchia, con le sue strutture e le sue implicazioni, avrebbe dominato la storia d’Israele dei successivi 400 anni. Comunque gli antichi ideali sopravvissero come una sorta di “memoria pericolosa” che continuò a ispirare e guidare la lotta delle future generazioni. Nei successivi 400 anni di regime monarchico, quegli ideali vengono mantenuti vivi in mezzo al popolo, al nord e al sud, soprattutto dalla possente voce dei profeti di Israele. I profeti continuarono a esprimere e precisare, approfondire e ampliare quegli ideali di giustizia e il senso della presenza e dell’azione del 30 divino nella vita del popolo e delle singole persone. • La letteratura profetica di questo periodo ci permette di intravedere quelle che possono essere state allora le esperienze e le condizioni di vita della stragrande maggioranza del popolo di Israele. II netto contrasto con la prosperità e il lusso di cui godevano i re e le classi dirigenti, la vita del comune israelita era generalmente dura e precaria. le antiche tradizioni e strutture della confederazione delle tribù continuavano a resistere a livello di clan e di villaggio, e con esse la protezione della terra delle famiglie allargate e i meccanismi di mutuo sostegno. La Bibbia presenta gli scontri fra profeta e re soprattutto come scontri religiosi tra baalismo e jahvismo. Ma, in realtà, lo scontro era molto più vasto e profondo e ruotava attorno a due visioni contrapposte in materia di organizzazione e conservazione della comunità e della società. Le fonti storiche deuteronomistiche pongono l’accento soprattutto sui loro errori teologici e sulle loro errate concezioni cultuali, ad esempio in materia di santuario per il vero culto di Jahvè. Ma il conflitto a livello teologico e cultuale è solo la punta dell’iceberg. Infatti, baalismo e jahvismo costituivano il fondamento ideologico di concezioni e pratiche molto più vaste. Il baalismo preferiva e promuoveva una comunità e una società basate sulla gerarchizzazione e stratificazione sociale e un’economia centralizzata o “TRIBUTARIA”. Lo jahvismo invece preferiva e promuoveva gli ideali egualitari dell’antica confederazione delle tribù, con le sue soluzioni economiche decentrate o “COMUNITARIE”. Nelle campagne e nei villaggi la maggioranza della popolazione israelitica restava saldamente aggrappata a queste tradizioni. La divisione in due regni fu determinata dal rifiuto di Roboamo, figlio di Salomone, di accondiscendere alla richiesta degli anziani delle tribù del nord di mitigare le dure politiche economiche del Padre. Geroboamo, ufficiale di Salomone e direttore dei lavori forzati in territorio efraimita, aveva organizzato una rivolta. La rivolta era fallita ed egli era fuggito in Egitto, dove il faraone gli aveva accordato asilo politico. Le secessioniste tribù del nord invitarono proprio lui a ritornare dall’Egitto e a regnare su di loro. CONTESTO IMMEDIATO DEL TESTO Nell’876 a.C. Omri, un comandante militare dell’esercito israelitico, riuscì a impadronirsi del potere dopo quattro lunghi anni di guerra civile, fondando una dinastia che ebbe quattro re. Probabilmente non era israelita, 31 per cui non ebbe nessuna difficoltà a regnare secondo lo stile tipico dei re del Medio Oriente antico. Costruì la nuova capitale e un lussuoso palazzo reale a Samaria e si lanciò in una serie di imprese, sia militari che commerciali, con gli stati vicini. Omri e soprattutto il figlio Acab riuscirono a far riconoscere e accettare il loro regno da parte delle altre città stato del tempo. Sotto il loro governo Israele raggiunse probabilmente una posizione equivalente, se non superiore, a quella raggiunta dal regno di Salomone. Naturalmente, dal punto di vista della fede e della società giudaica, stavano attraversando un periodo di profonda crisi. Durante questo periodo furono distrutti - ma non era una novità - gli altari del Dio d’Israele e furono introdotti nuovi culti di divinità straniere: quelle di altri popoli, più evoluti, e di altri re, più potenti. Correvano tempi nuovi, segnati dall’illusione e dall’ebbrezza di aver raggiunto un posto apprezzabile a livello internazionale. Tempi segnati, nel nord ricco e intraprendente, da grandi scambi commerciali e culturali e da alleanze politiche e militari. Il benessere dilagava, ma a vantaggio del re e della classe dirigente: lusso, crescita del latifondo e concentrazione delle proprietà in mano di pochi. Tempi nuovi ma ad altissimo prezzo: il tradimento di ciò che dava dignità e sicurezza a tutto il popolo d’Israele, ovverosia l’abbandono della fede e delle tradizioni religiose d’Israele, il disprezzo e l’incuranza del bene comune e dei più deboli in modo particolare. Tempi nuovi che si imponevano per l’ambizione e i sogni di potere del re e della classe dominante. Ma è proprio sotto questi due re che cominciarono a risuonare le critiche profetiche, a riprova dell’impatto negativo delle ambizioni imperiali sulle condizioni di vita della maggior parte della popolazione. La scarsa considerazione in cui Omri e Acab tenevano la tradizionale religione jahvista del loro regno è attestata dal matrimonio di quest’ultimo con una principessa fenicia, Gezabele di Tiro. Lo zelo di Gezabele per la religione cananea è evidenziato dalla costruzione, nella nuova capitale Samaria, di un tempio dedicato a Baal di Tiro. Lo zelo religioso della regina andava di pari passo con il suo entusiasmo per i risvolti economici del baalismo cananeo, come dimostra il suo ruolo nella vicenda di Nabot raccontata in 1 Re 21. Per Nabot, vendere quella terra sarebbe stato tradire uno degli elementi fondamentali della struttura socio-economica e dell’ethos religioso di Israele. Appellando al "diritto del re" (1 Re 21,7), Acab e Gezabele calpestavano i poveri, rubavano le loro terre e uccidevano i contadini per arricchirsi e vivere circondati di lusso, come se loro fossero i padroni della vita e della 32 morte dei loro sudditi (1 Re 21,1-16). Per raggiungere tali scopi potevano contare con l'aiuto dei "Nobili" e degli "anziani" (1 Re 21,8) e dei capi militari (2 Re 1,9-11). E' il tempo in cui sorgono i "falsi profeti" che mangiavano alla tavola di Gezabele (1 Re 18,19) LA STORIA DI NABOT: 1RE 21 Acab, volendo ampliare i suoi possedimenti, propone a Nabot, piccolo contadino, una transazione economica ossia una compravendita in denaro della sua vigna attigua al palazzo reale di Izreel, (una località che domina la valle omonima nel nord d’Israele) o una permuta di terreni. Acab voleva annettere la vigna al palazzo per trasformarla in un orto, letteralmente in "un giardino di erbaggi". Trasformare un vigna, simbolo della fertilità della terra promessa e della benedizione divina, in un "giardino di erbaggi", mostra il capriccio del re e la sua stoltezza. Per di più la proprietà di Nabot era legata all’eredità della famiglia e quindi alienarla era non solo cosa vergognosa, ma quasi sacrilega. Nabot si oppone fermamente in nome delle consuetudini e del rispetto della tradizione che vede nella piccola proprietà una fonte di sopravvivenza e di libertà e la considera qualcosa di sacro, di ricevuto da Dio. Il re Acab resta amareggiato e sconvolto dalla risposta di Nabot, ma non per via della motivazione addotta, infatti egli e incurante delle tradizioni e del diritto consuetudinario, quanto per il solo fatto che un semplice contadino dica "no" al re e alla sua avidità. A prendere in mano la questione sarà Gezabele, moglie straniera e senza scrupoli, la quale ordisce un piano ignobile per eliminare Nabot, affinché sia chiaro che al volere del re non si può opporre un rifiuto. L’arroganza spinge Gezabele a trovare complici per istruire un processo apparentemente legale che porterà alla morte di Nabot. A partire dall’usanza che prevedeva, ogni qual volta si verificasse qualche calamità pubblica, di convocare un’assemblea popolare per conoscerne le cause ed eliminarle e da una forte siccità che si abbatté in quel periodo sulla regione, con la complicità di giudici corrotti e testimoni malvagi e prezzolati, Nabot viene accusato falsamente di avere "maledetto Dio e il re" e viene giudicato e condannato dalla gente del suo villaggio alla morte mediante lapidazione ed ovviamente alla confisca dei beni a vantaggio del re. Così Nabot viene lapidato e il possesso della vigna, finalmente, appaga la prepotenza e l’avidità del re, l’ambizione della regina Gezabele e l’ignavia di tutto un villaggio. L’ambizione e il cinismo della regina trova dunque la complicità degli alti funzionari corrotti, ma anche dell’intero popolo che si lascia convincere determinando così l’uccisone di un innocente. Il male è forte ed assieme abile: sa ordire legami di complicità che riescono a tessere una rete insidiosa che porta, come in questo caso, alla morte di un giusto. E’ una vicenda che richiama in maniera incredibile anche quello che avverrà a Gesù, condannato 33 a morte ingiustamente al termine di un falso processo. L’assassinio di Nabot, un povero contadino, un uomo qualunque, è comunque la classica goccia che fa traboccare il vaso. Infatti, sulla vicenda, cala – terribile - il verdetto di Dio per bocca del profeta: "Hai assassinato – riferisce Elia al re Acab – e ora usurpi! … Nel punto ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue…Ti sei venduto per fare ciò che è male agli occhi del Signore…". Una reazione durissima verso un assassinio calcolato con disprezzo e perfidia e che si leva come offesa profonda a Dio e agli uomini. Tutto questo è frutto di passioni che accompagnano troppo spesso il potere: ambizione, opportunismo, servilismo, cinismo, disprezzo del povero e del diritto non scritto di popoli e individui, avidità. La fedeltà al progetto iniziale di Dio e ciò che garantisce vita e dignità al povero e al potente, al piccolo e al grande, mentre ogni cambiamento che avviene all’ombra di falsi dei porta rovina: siano essi il piacere, la ricchezza, il potere… divinità di ieri e di oggi! IL SIGNIFICATO ... La storia di Acab e Nabot sembra apparentemente una storia di facile lettura. E’ la storia antica, seppure attuale, del potente che schiaccia il debole, ma è anche la storia di milioni di persone sacrificate sull’altare degli interessi economici e politici di pochi! È la storia di un uomo…ma al tempo stesso la storia di un popolo che vede calpestati i più elementari diritti, che vede distrutto tutto ciò in cui ha creduto e che a fatica è riuscito a costruire. (Chi è vittima dell’usura o chi ogni giorno è costretto a pagare il pizzo, vive oggi la stessa situazione!) Ma perché narrare la storia di un uomo quando si può raccontare quella di un intero popolo? Perché coloro che vengono schiacciati non sono un numero all’interno di un tutto, ma persone reali, con un NOME, con una loro storia, un volto, un passato, degli affetti e dei valori…persone in carne ed ossa! A volte parliamo degli ultimi come se non fossero reali, come una massa indifferenziata, e il nostro atteggiamento si riduce ad un empatica compassione di principio. Nabot è un uomo schiacciato dal potere e accusato ingiustamente da un sistema che sa essere una perfetta ed efficiente macchina di morte che si regge sulla complicità di coloro che per paura e per convenienza ne diventano schiavi! Tutto questo genera un vortice di omertà e di collusione che spesso diventa difficile smantellare. Siamo capaci di ribellarci a questo sistema di morte o ci lasciamo vincere dalla paura che ci porta all’omertà e all’indifferenza? Spesso senza accorgercene, nel nostro piccolo mondo, ogni giorno ci imbattiamo in tanti Nabot. In migliaia abitano questi nostri tempi…la storia di questa umanità…e vivono, lottano e soffrono non molto lontano da noi. Oggi ci sono, domani non ci saranno…e nessuno si chiederà il perché, tranne – forse – qualche 34 piccolo, solitario Elia! L’adesione al progetto del regno di Dio ci chiama tuttavia a prendere posizione, ci chiama a stare dalla parte degli ultimi…a generare la vita… ad essere persone attente e dalla coscienza sveglia…ci chiama a risvegliare coscienze sopite, consapevoli che tutto questo chiederà un prezzo a volte altissimo. Un semplice contadino ha dato l’esempio…un semplice contadino ha avuto il coraggio di ribellarsi…ma il suo nome è passato alla storia non solo come colui verso il quale si è scatenata l’ira del sovrano, ma anche come colui che è stato capace di dire NO! Chi tra Nabot e Acab è il vero schiavo? Nabot ha avuto il coraggio di fare una scelta, che su Acab ha avuto un effetto devastante! Quante realtà anche piccole ci sono nel mondo che con le loro scelte riescono a mettere in crisi i potenti: e noi siamo disposti e siamo capaci di compiere scelte profetiche? Nabot ha agito sapendo che questa scelta avrebbe portato a delle conseguenza durissime: siamo disposti a pagare questo prezzo? Quando il prezzo viene pagato anche da coloro che amiamo diventa ancora più difficile dire no! Oggi coloro che denunciano spesso vivono sotto scorta...le loro famiglie vivono sotto scorta…la loro vita e quella dei loro cari è una vita blindata. Chi è sotto protezione è costretto spesso a scappare, a lasciare tutto, a dimenticare volti e affetti…luoghi familiari e il proprio passato. Si diventa uomini senza storia…si è costretti a cambiare nome: è un viaggio di sola andata! Sia Nabot che Gezabele usano il nome di Dio. Sarà lo stesso Dio? Quante volte nella nostra vita strumentalizziamo Dio e quante volte invece ci mettiamo in cerca del vero volto di Dio? E di fronte a questa strumentalizzazione siamo capaci di gridare che dichiararsi credenti è peccato quando si uccide, si ruba, si affama, si toglie la vita al fratello? Durante il giudizio Nabot non dice nemmeno una parola; chi lo condanna? Chi collabora? Chi lo uccide fisicamente? A chi rimane la sua vigna? Siamo capaci di leggere la realtà e di riconoscere gli attori di questa storia di morte e il loro ruolo? Nel fare memoria della storia di Nabot è facile ricordare tutti coloro che in Sicilia hanno lottato e pagato per restituire libertà e dignità a questa terra e a coloro che la abitano: Libero Grassi, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Placido Rizzotto…ma anche tutti coloro che ogni giorno dicono "no" a chi chiede loro il pizzo e tutti coloro che ogni giorno operano per creare una nuova coscienza politica e sociale e una nuova mentalità…tutti coloro che con le loro scelte non si compromettono con la mafia! Il mondo è pieno di Nabot capaci di costruire con le coraggiose scelte di ogni giorno una storia nuova! 35 Giovedi 05 agosto UN CONTADINO E UN INTELLETUALE DENUNCIANO I LATIFONDISTI Michea 2,1-5 e Isaia 5, 1-12 1.Partiamo dalla realtà attuale. I potenti accumulano sempre più terra nelle loro mani. E ci vogliono far credere che tutto questo sia normale. Ma cosa dicono i profeti a proposito dell'accaparramento delle terre? Proviamo a vederlo insieme. Esistono in queste zone grandi estensioni di terre? A chi appartengono oggi? A chi sono appartenute? Nominiamone i padroni. Facciamoci aiutare da coloro che abitano in queste terre; sono terre che parlano, gridano nomi di padroni, nomi di persone scomparse, di latitanti e persone sequestrate, nomi di braccianti anonimi e di parrini potenti. Anche nel sud del mondo si sono grandi estensioni di terre che appartengono a pochi padroni, e tante persone, poveri braccianti messi ai margini, nelle zone più dure da dissodare e lavorare. Conosci alcuni dei paesi dove questo fenomeno assume dimensioni di ingiustizia colossale? Conosci i sem terra? Sai chi sono? A proposito di terra abitabile …. Sai cosa è successo in Sudafrica durante i mondiali di calcio? Hai sentito parlare dei “Mondiali al Contrario”? Che mezzi usano i potenti per prendersi le terre? Senza terra, senza spazio vitale, senza soldi, con una famiglia da mantenere.... tu cosa faresti 2.la PAROLA: vediamo cosa hanno fatto i profeti che oggi conosciamo. Parliamo di due profeti, Michea e Isaia. I due sono contemporanei e hanno vissuto nello stesso territorio, ed hanno analizzato lo stesso fenomeno dell'accaparramento delle terre da parte dei ricchi del paese. Però la loro visione della realtà è alquanto diversa perché uno, Isaia, che vive nella città di Gerusalemme, è una persona molto istruita, Michea invece è un contadino senza terra, che ha dovuto rifugiarsi in città perché gli eserciti dell'impero assiro hanno invaso la zona dove viveva 36 Compara il messaggio dei due profeti: •in cosa si assomigliano le parole di Isaia e di Michea? •In cosa invece si differenziano? •In cosa si complementano l'uno con l'altro? 1 Guai a quelli che meditano l'iniquità e tramano il male sui loro letti, per eseguirlo allo spuntar del giorno, quando ne hanno il potere in mano! 2 Desiderano dei campi, e se ne impadroniscono; delle case, e se le prendono; così opprimono l'uomo e la sua casa, l'individuo e la sua proprietà. 1 Io voglio cantare per il mio amico il cantico del mio amico per la sua vigna. Il mio amico aveva una vigna sopra una fertile collina. 3 Perciò così dice il Signore: «Ecco, contro questa razza io medito un male a cui non potrete sottrarre il collo; non camminerete più a testa alta, perché saranno tempi cattivi. 4 In quel giorno si farà un proverbio su di voi, si canterà un lamento, e si dirà: "È finita! Noi siamo interamente rovinati! Egli passa ad altri l'eredità del mio popolo! Vedete come egli me la toglie! I nostri campi li distribuisce agli infedeli!"» 2 La dissodò, ne tolse via le pietre, vi piantò delle viti scelte, vi costruì in mezzo una torre, e vi scavò uno strettoio per pigiare l'uva. Egli si aspettava che facesse uva, invece fece uva selvatica. 3 Ora, abitanti di Gerusalemme e voi, uomini di Giuda, giudicate fra me e la mia vigna! 4 Che cosa si sarebbe potuto fare alla mia vigna più di quanto ho fatto per essa? Perché, mentre mi aspettavo che facesse uva, ha fatto uva selvatica? 5 Perciò nell'assemblea del Signore non ci sarà nessuno che misuri con la cordicella i lotti di terreno. 5 Ebbene, ora vi farò conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: le toglierò la siepe e vi pascoleranno le bestie; abbatterò il suo muro di cinta e sarà calpestata. 6 Ne farò un deserto; non sarà più né potata né zappata, vi cresceranno i rovi e le spine; darò ordine alle nuvole che non vi lascino cadere pioggia. 37 7 Infatti la vigna del Signore degli eserciti è la casa d'Israele, e gli uomini di Giuda sono la sua piantagione prediletta; egli si aspettava rettitudine, ed ecco spargimento di sangue; giustizia, ed ecco grida d'angoscia! 8 Guai a quelli che aggiungono casa a casa, che uniscono campo a campo, finché non rimanga più spazio, e voi restiate soli ad abitare nel paese! 9 Questo mi ha detto all'orecchio il Signore degli eserciti: «In verità case numerose saranno desolate, queste case grandi e belle saranno private d'abitanti; 10 dieci iugeri di vigna non daranno che un bato, e un comer di seme non darà che un efa». 11 Guai a quelli che la mattina si alzano presto per correre dietro alle bevande alcoliche e fanno tardi la sera, finché il vino li infiammi! 12 La cetra, il saltèro, il tamburello, il flauto e il vino rallegrano i loro banchetti! Ma non pongono mente a ciò che fa il Signore, e non considerano l'opera delle sue mani. Dividetevi in gruppi e analizzate i due testi. Un aiuto per i gruppi: Un aiuto per i gruppi: I due profeti sono della stessa epoca, (fine del sec VIII . C.), vivono a 38 Gerusalemme e denunciano la stessa realtà. Però uno è un contadino senza terra e l'altro è un uomo colto di città. Michea conosceva per il suo proprio sofferto vissuto i prbelmi dei contadini. Il suo villaggio di origine, Morasti, a 35 km da Gerusalemme gli fece sperimentare i problemi dei piccoli agricoltori, vittime del latifondo, delle tasse e dei lavori forzati. Poco prima del suo agire profetico, gli eserciti assiri avevano invaso e distrutto la regione e Michea si vide obbligato a emigrare senza niente verso la capitale. Il profeta Isaia, in cambio, era un giovane di Gerusalemme, molto colto, appartenente ad un ceto sociale alto. Fu un'epoca di apparente prosperità economica, nella quale sembrava che tutto marciasse per il verso giusto. Però i due profeti, a partire dalla loro fede in Dio, scoprono la situazione reale del loro popolo, ben diversa da quello che invece appariva dall'esterno. Vediamo Michea: –in lui troviamo tre parti: la denuncia del peccato, l'annuncio del castigo e il castigo in sé. –In primo luogo denuncia il peccato: “Guai a quelli che meditano l'iniquità e tramano il male sui loro letti per eseguirlo allo spuntar del giorno, quando ne hanno il potere in mano! Desiderano dei campi, e se ne impadroniscono; delle case, e se le prendono; così opprimono l'uomo e la sua casa, l'individuo e la sua proprietà.”. Il profeta non si limita a dire ciò che fanno i potenti, ma da valore a ciò che pensano e desiderano. Con ciò fa capire che l'avidità è il motore di ogni ingiustizia. Sottolinea pure la facilità e la rapidità con cui passano dal pensiero all'azione. La causa che da adito a tanta rapidità è “perché lo possono fare”, dato che detengono nelle loro mani il potere. Michea non si limita a denunciare il furto dei campi e delle case: egli vede attraverso le cose le persone, le famiglie contadine, oppresse da queste ruberie. Questo aspetto personale ed umano dell'ingiustizia è un dato importante al quale Michea presta particolare attenzione. –Poi annunzia il castigo: “Perciò così dice il Signore: Ecco, contro questa razza io medito un male a cui non potrete sottrarre il collo; non camminerete più a testa alta, perché saranno tempi cattivi”. Qui si esprime la relazione tra il peccato e il castigo: la condanna non è frutto della forza cieca della storia, ma risposta di Dio, che reprime l'ingiustizia e castiga che 39 “pianifica il male”, pianificando così anche la sua disgrazia. C'è una relazione tra il versetto 1 e il 3, però con una differenza: i potenti eseguono immediatamente i loro piani, però nel caso di Dio, lui sa aspettare. –Terzo, Michea presenta il castigo dal punto di vista dei latifondisti, ripetuto dai canti di burla dei contadini: “In quel giorno si farà un proverbio (burla) su di voi, si canterà un lamento, e si dirà: "È finita! Noi siamo interamente rovinati! Egli passa ad altri l'eredità del mio popolo! Vedete come egli me la toglie! I nostri campi li distribuisce agli infedeli!"; poi presenta il castigo interpretato invece da Dio: “Perciò nell'assemblea del Signore non ci sarà nessuno che misuri con la cordicella i lotti di terreno”. La maggior novità di Michea è presentare successivamente il punto di vista dei latifondisti e di Dio. Di più, le parole degli oppressori sono cantate ironicamente dagli oppressi. I latifondisti interpetano la perdita delle terre come: –qualcosa che li distrugge totalmente al togliere loro la base economica –è una disgrazia per tutto il paese –è un 'ingiustizia –beneficia gli “infedeli”, ossia coloro che non credono in Dio. Considerano la loro disgrazia come un lutto nazionale!!!! Se vengono colpiti i ricchi viene colpito tutta la nazione, se vengono colpiti i poveri …. pazienza, si fa un sospiro, una preghierina, e tutto può procedere come prima. –Il versetto 5 parla di una distribuzione per sorteggio all'interno di una assemblea del Signore. Secondo ciò che comandava la legge Michea trasmette la speranza che i campi possano finalmente essere restituiti ai loro antichi proprietari, i contadini, a coloro che con disprezzo erano stati definiti dagli accaparratori di terreni “infedeli”, “non credenti”, “trasgressori”. Però Dio vede le cose in maniera molto diversa. Che i latifondisti perdano il loro terreno non è una ingiustizia, e nemmeno una disgrazia per il paese. Si tratta semplicemente di una redistribuzione a beneficio di tutto il popolo, nello stile delle Assemblee dell'anno del Giubileo (Lev 25). Miche a annuncia un futuro migliore per tutti quelli che hanno perso le loro terre, apre una porta alla speranza dei senza terra, parlando loro di una nuova redistribuzione del paese. Dietro di lui c'è l'esperienza della sofferenza e della speranza del suo popolo. 40 Vediamo Isaia: •“Guai a quelli che aggiungono casa a casa, che uniscono campo a campo, finché non rimanga più spazio, e voi restiate soli ad abitare nel paese! Questo mi ha detto all'orecchio il SIGNORE degli eserciti: «In verità case numerose saranno desolate, queste case grandi e belle saranno private d'abitanti; dieci iugeri di vigna non daranno che un bato, e un comer di seme non darà che un efa». Questo testo viene a continuazione del Canto della Vigna. Si tratta di una serie di maledizioni, tra le quali il latifondismo appare come il primo “lamento” di Dio, la prima sgridata da parte del suo amore offeso. Metter su casa su casa, campo su campo è la prima “uva amara” che Dio riceve come offerta per il suo amore che si prende cura del suo popolo. •Isaia non parla della sofferenza dei contadini spogliati delle loro terre. Non sa dare loro la speranza di una nuova redistribuzione dalla terra. Per lui, il castigo di Dio si limita alla rovina economica dei latifondisti. Però non vede che i latifondisti devono perdere almeno parte dei loro possedimenti come unico cammino perché la terra possa bastare per tutti. I due vedono con chiarezza che l'accaparramento delle terre offende gravemente Dio, e che ciò non rimarrà senza castigo. Però Michea arriva più a fondo nella sua visione della realtà evede un orizzonte di speranza per coloro che la terra non l'hanno, cosa a cui Isaia non aveva prestato attenzione. A ciò che Isaia chiama “compera”, Michea chiama “furto”. Per questo la loro visione del futuro è diversa. Senza alcun dubbio, il dolore sofferto sulla propria pelle fa vedere più profondamente e più lontano che la mera contemplazione della realtà dall'esterno. Preghiamo: Grazie Signore, perché ci sono contadini che conoscono con chiarezza il tuo progetto sulla terra Sii benedetto, perché alcuni contadini sanno denunciare con forza le ingiustizie. Crediamo con fermezza che non ti piacciono i culti religiosi di coloro che commettono ingiustizie. 41 Perdonaci Signore per quando siamo codardi nel denunciare le ingiustizie. Ti preghiamo perché, Signore, tra noi possano sorgere (ri-sorgere) contadini profetici. Per la riflessione personale: 1.nella mia realtà quotidiana sono disposto a condividere “la mia terra” con i più poveri del mio quartiere/scuola/lavoro? 2.Sono disposto a mettermi in gioco affinché tutti abbiano la possibilità di accedere alle risorse principali? Come? 3.Cosa vuol dire per me “perdere qualcosa” perché gli altri possano avere il necessario? Cosa c'è di sovrabbondante o di superfluo nella mia vita? 4.Sono capace di schierarmi dalla parte dei più poveri e sfruttati per essere segno della presenza di Dio che continua a lottare per il suo popolo? 5.Guardando alla mia vita, da che parte mi metto? Dalla parte del latifondista o da quella del senza terra? E il mio sguardo è quello di Michea o di Isaia? 6.Quali sentimenti albergano dentro di me pensando a questo tipo di ingiustizie? Come mi comporterei sei mi trovassi al posto dei senza terra? 7.Cosa vuol dire per me oggi essere un profeta e portatore di speranze per i crocifissi della storia? Appendice: Testi di critica sociale nei libri profetici •Is. 1,10-17; 1,21-26; 2,6-8; 3,1-12; 3,13-15; 3,16-24; 5,1-7; 5,8-24; 9,7-20; 10,1-4; 28,1-4; 28,16-17a; 29,19-21; 56,10-57,2; 58,1-12; 59. •Ger. 2,34; 5,26-29; 6,6-7; 7,1-15; 22,13-17. •Ezech. 18; 22,1-16; 34,1-22. •Am. 2,6-16; 3,9-11; 4,1-3; 5,7.10-12; 6,1-7; 8,4-7. •Mic. 2,1-11; 3,1-12; 6,9-16. •Mal. 3,1-15. 42 VENERDI 06 AGOSTO L'OPERAIO DELL'ULTIMA ORA (Mt 20,1-16) Lettura del testo biblico Per inserire il brano nel suo contesto Questo brano ci pone all'interno della sezione del Vangelo di Matteo, che precede direttamente i racconti della passione, morte e risurrezione di Gesù. Questa sezione inizia in 19, 1, dove si dice che Gesù lascia definitivamente il territorio della Galilea per recarsi nella Giudea, dando inizio al suo cammino di avvicinamento a Gerusalemme e si conclude in 25, 46, col quadro sulla venuta e il giudizio del Figlio di Dio. Più in particolare, il capitolo 20 ci colloca ancora lungo il percorso di Gesù verso la città santa e il suo tempio, in un contesto di ammaestramento e di polemica con i sapienti e i potenti del tempo, che egli realizza attraverso parabole e incontri. Infatti.. La Parabola si apre con una particella connessiva, "infatti", che è molto importante, perché ci rimanda al versetto che precede (Mt;19,30: il ricco, il cammello e la cruna), dove Gesù afferma che "i primi saranno ultimi e gli ultimi primi", con le stesse parole che ripeterà alla fine di questa parabola. Parole, dunque, importantissime, fondamentali, che vogliono indicare la direzione da prendere. Gesù ci indica il cammino del Regno di Dio, il regno dei cieli; Lui traccia la strada del mondo nuovo, nel quale siamo invitati ad entrare. Ma il suo è un mondo rovesciato, dove la nostra logica di potenza, guadagno, ricompense, abilità, accaparramento sforzo, è sconfitta e sostituita da un'altra logica, quella della gratuità assoluta, dell'amore misericordioso e sovrabbondante. Questo è il progetto che Dio ha dell’umanità. Il Padrone di casa Gesù si paragona, qui, a un padrone di casa, utilizzando una figura particolare, che ritorna più volte nei vangeli. Seguiamola, stando attenti alle caratteristiche che essa presenta e cercando di verificare qual è il proprio rapporto con Lui. Il padrone di casa è il padrone della vigna, che si prende cura di essa, circondandola con un muro, scavando in essa un 43 frantoio, coltivandola con amore e fatica, perché possa dare i migliori frutti. È il padrone di casa che offre una grande cena, facendo molti inviti, chiamando alla sua tavola i più derelitti, gli storpi, gli zoppi, i ciechi. È colui che torna dalle nozze e che noi dobbiamo aspettare vegliando, perché non sappiamo l'ora. È il padrone di casa partito per un viaggio, che ci ha ordinato di vigilare, per essere pronti ad aprirgli, non appena torna e bussa, alla sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o al mattino. Ma è necessario che ciascuno di noi sappia mettersi in attesa, come gli operai sfaccendati nella piazza che Dio chiama ad ogni ora, come se avesse Lui deciso la nostra ora, in cui forse non mettevamo nessuna speranza. Oppure stiamo dormendo, appesantiti da mille altri interessi, schiavizzati da altri padroni di casa, diversi e lontani da Lui? La vigna e gli operai Nella figura della vigna, apparentemente semplice e quotidiana, la Scrittura condensa una realtà molto ricca e profonda, sempre più densa di significato, mano a mano che i testi si avvicinano alla rivelazione piena in Gesù. Per amore della vigna, Nabot, un semplice suddito del corrotto re Acab, perde la vita. Lo abbiamo visto mercoledì Dunque la vigna rappresenta il bene più prezioso, l'eredità della famiglia, per certa parte, l'identità stessa della persona; non la si può svendere, cedere ad altri, barattare con altri beni, che non riuscirebbero a eguagliarla. Essa nasconde una forza vitale, spirituale: l’uva, il vino del sacrificio Isaia nel capitolo 5 ci dice chiaramente che sotto la figura della vigna è significato il popolo di Israele: con questo popolo il Signore ha sigillato da un'alleanza inviolabile;lo abbiamo visto ieri Lui se ne prende cura, proprio come farebbe un vignaiolo con la sua vigna, facendo di tutto perché essa possa dare i frutti più belli. Israele siamo ognuno di noi, tutta la Chiesa è questa terra stremata: il Padre l’ha trovata come terra desolata, riarsa, devastata, ingombrata dai sassi e l’ ha coltivata, vangata, concimata, irrigata ad ogni istante. In Gesù il Signore si è fatto vigna Egli stesso; è diventato la vite vera, di cui noi siamo i tralci; si è unito a noi, così come la vite è unita ai suoi tralci. Il Padre, che è il vignaiolo, continua la sua opera d'amore in noi, perché portiamo frutto e pazientemente aspetta; Lui pota, Lui coltiva, ma poi invia noi a lavorare, a raccogliere i frutti da offrirgli. Siamo inviati al suo popolo, ai suoi figli, quali figli noi stessi, quali suoi discepoli; non 44 possiamo tirarci indietro, rifiutare, perché siamo stati fatti per questo: perché andiamo e portiamo frutto e il nostro frutto rimanga.Il testo ripete più volte i verbi “mandare”, “andare”: entrambi sono rivolti proprio a noi, ci toccano nel profondo, ci chiamano e ci mettono in movimento. La risposta che danno gli ultimi lavoratori al suo invito (“nessuno ci ha ingaggiati”) fa pensare a tanti, giovani e meno giovani, disoccupati non solo nel lavoro remunerato, quanto nel lavoro per costruire una vita solidale. Sono tanti i nostri giovani disoccupati in questo senso: disillusi o soggiogati dal consumismo, che si ripiegano su se stessi , esecutori e vittime allo stesso tempo. Forse dobbiamo dire che sono così anche perché "nessuno li prende a giornata". Ma sono anche tanti adulti in balia solo del proprio egocentrismo, senza che nessuno li richiami alla responsabilità verso gli altri. Eppure quanti giovani e non continuano a vivere le ingiustizie nelle terre in Rondonia (Brasile) dove 40.000 famiglie di agricoltori non hanno terra per coltivare. 20 gruppi indigeni sono minacciati nella loro cultura e sopravvivenza; ciò rappresenta una situazione di ingiustizia sociale assurda e opprimente. La promessa: un danaro Il padrone della vigna stabilisce come ricompensa del lavoro della giornata un denaro: ai tempi di Gesù un denaro era il guadagno minimo giornaliero che permetteva ad una famiglia di mangiare e di vivere degnamente. Gesù non vuole impartire una lezione di giustizia sociale, né presentare un bravo padrone di questo mondo che ricompensa secondo le prestazioni date. Egli presenta un personaggio assolutamente eccezionale, il quale tratta i suoi sottoposti al di fuori delle regole legalitarie. Gesù vuole mostrare l'agire del Padre, la sua bontà, la sua magnanimità, la sua misericordia, che superano il comune modo di sentire degli uomini. E lo superano davvero quanto il cielo dista dalla terra, come scrive Isaia. Purtroppo, ancora oggi, la bontà e misericordia creano mormorazione e scandalo. Ma non è che Dio distribuisca a capriccio la sua ricompensa, donando a chi più e a chi meno. Dio non fa ingiustizia. È la larghezza della sua bontà che lo spinge a donare a tutti secondo il loro bisogno. La giustizia di Dio non opera con un astratto principio di equità, ma sul bisogno dei suoi figli. C'è qui una grande sapienza. E la ricompensa data a 45 tutti è la consolazione che viene dall'essere chiamati a lavorare per la vigna del Signore, non importa se si è da tanto o da poco tempo nella vigna. La mormorazione, il brontolio Parole importantissime, vere e tanto presenti nella nostra esperienza di vita quotidiana; non possiamo negarlo: abitano anche il nostro cuore, i nostri pensieri, a volte ci tormentano, ci sfigurano, ci stancano profondamente, ci allontanano da noi stessi, dagli altri, dal Signore perché in mezzo a quegli operai che si lamentano e brontolano, mormorando contro il padrone, ci siamo anche noi. Il rumore della mormorazione viene da molto lontano, ma ugualmente riesce a raggiungerci e si insinua nel nostro cuore; Israele nel deserto ha mormorato pesantemente contro il suo Signore e noi abbiamo ricevuto in eredità quei pensieri, ed ancora dubitiamo sulla sua capacità di nutrirci, di condurci avanti, di proteggerci. Mormorare significa non ascoltare la voce del Signore, non credere più al suo amore per noi. Allora ci scandalizziamo, ci irritiamo fortemente contro il Signore misericordioso e ci indigniamo contro il suo modo di agire e vorremmo cambiarlo, rimpicciolirlo secondo i nostri schemi. Se ascoltiamo bene, queste sono le mormorazioni segrete del nostro cuore. San Pietro ci suggerisce di praticare l'ospitalità senza mormorare! Solo l'ospitalità, cioè l'accoglienza possono, pian piano, cambiare il nostro cuore e renderlo capace di portare dentro di sé le persone, le situazioni, le realtà che incontriamo nella vita. Dobbiamo imparare ad accogliere, prima di tutto, il Signore Gesù, così com'è, col suo modo di amare e di rimanere, di parlarci e cambiarci, di aspettarci e attirarci. Accogliere Lui e accogliere chi ci sta accanto, chi ci viene incontro; solo questo movimento può sconfiggere l'indurimento della mormorazione. A chi è in rivolta, il Padrone si rivolge non solo chiamandolo "amico", ma facendogli notare che, quanto a giustizia, non c'è proprio nulla da eccepire. Gli è stato dato, fino all'ultimo centesimo, quello che era stato pattuito. Se è vero che istintivamente tutti ci sentiamo solidali con gli operai della prima ora perché ci sembra che il padrone stia commettendo un'ingiustizia... dall'altro lato, se al centro mettiamo quell'uomo concreto, un povero bracciante disoccupato, che non sa come far quadrare i conti di fine mese, con i suoi figli – che come i nostri – hanno fame e hanno bisogno di tutto, allora forse la nostra mormorazione si trasformerà in 46 consenso. La bontà va oltre la giustizia. La giustizia non basta per essere uomini. Tanto meno basta per essere Dio. Neanche l’amore è giusto, è un’altra cosa, è di più. Se, come Lui, metto al centro non il denaro, ma l’uomo; non la produttività, ma la persona; se metto al centro quell’uomo concreto, quello delle cinque del pomeriggio, un bracciante senza terra e senza lavoro, con i figli che hanno fame e la mensa vuota, allora non posso contestare chi intende assicurare la vita d’altri oltre alla mia. Dio è diverso, ma è diversa pienezza. Non è un Dio che conta o che sottrae, ma un Dio che aggiunge continuamente un di più. Che intensifica la tua giornata e moltiplica il frutto del tuo lavoro. Non fermarti a cercare il perché dell’uguaglianza della paga, è un dettaglio, osserva piuttosto l’accrescimento, l’incremento di vita inatteso che si espande sui lavoratori. Se cuore di Dio cerchiamo un perché capiamo che le sue bilance non sono quantitative, davanti a Lui non è il mio diritto o la mia giustizia che pesano, ma il mio bisogno. Allora non calcoliamo più i nostri meriti, ma contiamo sulla sua bontà. Dio non si merita, si accoglie. - Siamo capaci di accogliere questo Dio? - Davanti alle ingiustizie quale è il nostro atteggiamento? - Corriamo il rischio di aderire ad iniziative a favore dei più disagiati e contemporaneamente perpetuiamo un “sistema ingiusto” con le nostre piccole scelte quotidiane, a causa di un rapporto perverso con i beni della terra e con la natura? Conclusione preghiera Ti dispiace che io sia buono? – No, Signore, non mi dispiace, perché sono l’ultimo bracciante e tutto è dono. No, non mi dispiace perché so che verrai a cercarmi anche se si sarà fatto tardi. Non mi dispiace che tu sia buono. Anzi. Sono felice che tu sia così, un Dio buono che sovrasta le pareti meschine del mio cuore fariseo, affinché il mio sguardo opaco diventi capace di gustare il bene. Dio Padre Tu non ti stanchi di chiamarci tutti, in ogni ora della nostra vita, e nella comunione con Te vuoi che, tutti con pari dignità, abbiamo quanto ci è necessario per la vita. 47 SABATO 07 AGOSTO LA PARABOLA DEL SEMINATORE (Mc 4) Disse: “Uscì un seminatore per seminare; nel gettare il seme, parte di esso cadde lungo la via; vennero gli uccelli e lo mangiarono. Parte cadde in un suolo roccioso dove non c’era molta terra; e così per mancanza di terreno profondo nacque subito; ma al sorgere del sole rimase bruciato e, non avendo radici, seccò. Parte cadde fra le spine; ma queste, crescendo, lo soffocarono. Infine, una parte cadde su terreno buono, tanto da dar frutto dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha orecchi, intenda» (Mt. 13, 3a - 9) Con quattro brevi narrazioni il testo interpreta il significato di quattro diversi tipi di terreno dove il seme della Parola del Regno viene sparso. Essi non rappresentano categorie di persone, ma atteggiamenti possibili in ogni individuo di fronte alla Parola. Non esistono individui predestinati né predisposizioni che determinino l’accoglienza o il rifiuto del Vangelo. La mancata penetrazione del Vangelo nel cuore degli uomini e la scarsità dei frutti, non dipende né dal seme né dal seminatore, ma dal tipo di terreno, cioè da come la Parola riesce a fruttificare nel cuore e nella vita dell’uomo . Dapprima il seme incontra il terreno duro. Rappresenta coloro che hanno fatto dell’arrivismo il proprio stile di vita, che rimangono indifferenti ed apatici, che magari hanno accolto il cristianesimo, ma non ne hanno capito il significato, né l'importanza, né la responsabilità. Sono i battezzati non convertiti, i cristiani di nome e per tradizione, gli analfabeti della fede. Il suolo roccioso dove c’è poca terra sono le persone prese dai facili entusiasmi, presi da mille iniziative e dalle facili febbri spirituali ma, passata la momentanea febbre, di fronte alla fatica e alla prima crisi si molla tutto, bruciando la possibilità di crescita. Durano fintanto che il messaggio coincide con le loro aspettative e i loro scopi. Accettano il messaggio di Gesù, ma non le sue conseguenze; esso non penetra in loro modificando la concezione di vita né la scala dei valori. Il seme caduto fra le spine è quello che potrà dare vita ad una pianta, ma mentre essa sta crescendo gli ostacoli pian piano la soffocano. Matteo identifica gli ostacoli con le ricchezze, con l’eccessiva attenzione alle preoccupazioni quotidiane, alle difficoltà economiche, a tutti quegli ostacoli, spine, che non permettono alla Parola di dare frutto, che quindi rimane soffocata. Incentrarsi sui propri interessi, senza aprirsi alla generosità e alla condivisione comporta la morte 48 della Parola. La terra buona. E’ quella che darà buoni frutti, di chi accoglie il messaggio, di chi è chiamato a sviluppare tutte le sue capacità, a realizzarsi in pienezza sino a diventare benedizione per gli altri. E' necessario dunque che la Parola trovi la terra; se c'è. sprigiona una vitalità e un'energia che Matteo identifica subito con il massimo, il “cento”. Se un seme rendeva dieci grani era già un buon risultato, trenta è un risultato più che ottimo, cento significa la totale trasformazione del seme. La parabola insegna che Gesù non è un idealista, un sognatore, sa che c'è un grande spreco a monte di ogni buon raccolto. L'invito è alla fiducia, a continuare nella proclamazione del Regno che Gesù ha iniziato, indipendentemente dagli insuccessi cui si andrà incontro. Seminare comporta un atto di fede nel seme e nella terra. Bisogna avere fiducia e anche rispetto per il terreno dove va a finire, cioè verso chi accoglie la parola del Vangelo. Non siamo autorizzati a chiuderci in una cerchia d'amici e di "benpensanti", ma dobbiamo tenerci aperti a qualsiasi persona. Si può ipotizzare che si tratti di tre successive seminagioni; tre infruttuose, una riuscita. Dopo “tre” fallimenti, la parabola invita a riprovare ancora. 1. Dobbiamo essere certi che la parola sarà accolta. Sono i piccoli, i poveri, i peccatori coloro che l’accolgono. Cosa significa questo per noi? C’è 2. l’insuccesso dell’annuncio! Sappiamo vedere e lodare il progetto di Dio, come faceva Gesù; oppure ci scandalizziamo? Continuiamo ad annunciare? A chi? 2. L’esperienza di fede è accompagnata da fatiche di crescita, se non proprio da defezioni. Sappiamo tenere a bada le preoccupazioni? Sappiamo smascherare l’inganno della ricchezza? Le difficoltà/persecuzioni ci allontanano dalla parola? Ci avvicinano di più ad essa? … Anna Rita e Angelo Campo di lavoro S. Giuseppe Jato 2010 49