libretto del campo di palermo

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libretto del campo di palermo
UNO, DUE, TRE QUATTRO,
CINQUE , DIECI, 100
PASSI....
camminiamo insieme verso la giustizia e la pace
Dalla terra stremata al giardino dell’Eden
Famiglia Comboniana
Campo di lavoro, San Giuseppe Jato (PA)
dal 30 Luglio al 10 Agosto
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La terra fu creata con l'aiuto del sole, e tale dovrebbe
restare... La terra fu fatta senza linee di demarcazione, e
non spetta all'uomo dividerla... Io non ho mai detto che la
terra è mia per farne ciò che mi pare. L'unico che ha il
diritto di disporne è chi l'ha creata. Io chiedo il diritto di
vivere sulla mia terra e di accordare a voi il privilegio di
vivere sulla vostra.
(Heinmont Tooyalaket (Capo Giuseppe) dei Nez Percés)
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Sabato 31 luglio
IL GIARDINO DELL'EDEN (Gen 2)
LA GIUSTIZIA E' ANCHE AMBIENTALE
Parlami dell’albero!
L’uomo occidentale chiese che gli portassero un ramo in laboratorio.
Ne staccò la corteccia e me la mostrò al microscopio.
Sminuzzò una foglia e mi parlò della clorofilla,
della fotosintesi e dei virus che l’avevano intaccata.
L’indigeno Yanomami mi portò con sé nella foresta,
ci stendemmo ai piedi di uno delle piante più alte ed intricate
e ne ascoltammo la vita: il vento tra le foglie, il concerto degli uccelli,
gli sprazzi di luce e le gocce che ci cadevano in fronte.
Una donna mi chiese dei semi, li piantò e se ne prese cura.
La nostra cultura ormai ha perso la visione di “Madre Natura”. La consideriamo sì
al femminile, ma perché ne sfruttiamo la fragilità, vinta da un aggressivo potere
maschile.
Un tempo forse Natura era un essere vivente, una madre che nutre. Ma una madre
non può essere tranquillamente uccisa, sventrata e fatta a pezzi. Siccome questo è
oggi l’imperativo, sfruttamento tipico della crescita capitalistica, è diventato
“naturale” pensare la creazione come un insieme di particelle morte, inerti, mossa
da forze esterne anziché interne.
1. Ascoltiamo la terra
I popoli indigeni del Perù conservano una relazione molto speciale con la terra.
Per occuparla, non la dividono in lotti o titoli di proprietà, ma la gestiscono
collettivamente. La terra è proprietà di tutto il popolo (un capitolo particolare
della Costituzione Peruviana per gli indios lo garantisce)
La terra per l’indio è un “suolo culturale”, è abitata dalle sue tradizioni, punto di
riferimento essenziale per i suoi valori vitali, impregnata di miti e di storia. E’
come per il popolo di Israele la Terra Promessa: fuori di essa era inconcepibile
celebrare una liturgia, una festa, anche solo un cantico di Sion! (2Re 5,17)
Allo stesso modo, i popoli indigeni hanno i loro luoghi sacri, spazi rituali, dove si
concentrano la fede e la forza degli antenati. La terra è storia, cultura, coesione,
sopravvivenza.
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“Come si può comprare il cielo, il calore della terra?
Un’idea che ci è estranea: noi non siamo i padroni della purezza dell’aria,
né dello splendore dell’acqua. Come potete comprarli da noi?
Tutta la terra è sacra per il mio popolo.
Ogni foglia che brilla, tutte le spiagge arenose,
ogni velo di nebbia nelle scure foreste,
ogni chiarore e tutti gli insetti che ronzano sono sacri
nelle tradizioni e nella coscienza del mio popolo.
Sappiamo che l’uomo bianco non comprende il nostro modo di vivere.
Per lui un pezzetto di terra è uguale ad un altro,
poiché lui è un estraneo che arriva di notte
e ruba dalla terra tutto ciò di cui ha bisogno.
La terra non è sua sorella, ma sua nemica
e, dopo essersela succhiata tutta, se ne va via…
La sua avidità impoverirà la terra, si lascerà dietro i deserti.
Una cosa sappiamo che forse un giorno
l’uomo bianco arriverà a scoprire:
il nostro Dio è lo stesso Dio.
Forse ritieni che lo puoi possedere allo stesso modo
con cui possiedi la nostra terra.
Ma non puoi. Lui è Dio dell’umanità intera.
E vuole bene ugualmente all’indio e al bianco.
La terra è amata da lui.
Causar danno alla terra è dimostrar disprezzo per il suo Creatore…
Noi amiamo la terra come un neonato
ama il battito del cuore di sua mamma…
Il nostro Dio è lo stesso Dio e questa terra è amata da Lui”.
(dalla lettera scritta nel 1855 dal Cacique Seathe, del popolo Duwamish, al presidente
USA)
“Arriverò fino ad essere concime per la mia terra,
ma da essa io non me ne vado”
(Samado, líder Pataxó Hã-Hã-Hãe, +09.09.1998)
Negli ultimi decenni ci rendiamo conto che NON C’È TEMPO DA PERDERE.
Ogni anno estinguiamo circa 10mila specie animali e vegetali. Tutto ciò è
irreversibile, è “l’azione più assoluta che noi umani posiamo compiere”. E’ vicino
il punto di non ritorno!
Per esempio, se i progetti governativi brasiliani continuano come stabilito, tra 20
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anni sarà stato distrutto il 42% della foresta amazzonica. L’area di foresta che
resterà intatta sarà meno del 5% del totale.
Dobbiamo frenare questa corsa!
E allora cambiamo! Da un sistema centrato sull’eco-nomia (imporre leggi alla
terra) a una vita di eco-logia (entrare in dialogo con la creazione).
Per questo cambio, è necessario abbandonare punti di vista vecchi e pesanti:
•Stiamo guardando con gli occhi di un sistema coloniale. Dal punto di vista di
secoli di resistenza indigena, nera e popolare, invece, tutti i popoli del sud
passano da debitori a creditori: abbiamo con loro un debito etico-storico e un
debito ecologico.
•Il nostro paradigma è antropocentrico (l’essere umano misura di tutte le cose).
Da un punto di vista eco-logico, scopriamo che la natura non è completamente
fuori, ma dentro gli esseri umani. Se lasciamo spazio a Dio, l’integrità e la dignità
di ogni essere non dipendono più dal riferimento all’uomo, ma dall’amore del
Padre per ciascuna creatura.
•Nel nostro impegno manteniamo un’opzione preferenziale per i poveri. A questa
dobbiamo aggiungere l’opzione urgente per le generazioni future.
Tutto questo ci rimbomba dentro quando ci poniamo in ascolto della Terra. Come
rispondere a questa urgenza?
2. Ascoltiamo la Bibbia
“In principio…”. Torniamo al principio, per scoprire i passi falsi!
Cantano i sem-terra del Brasile: “Se não houver o amanhã brindaremos do ontem,
e saberemos então onde està o horizonte!” (Se non c’è un domani, brinderemo a
ieri, e sapremo allora dove si trova l’orizzonte: il futuro è stato abbozzato nel
vissuto che abbiamo condiviso).
Il Sogno di Dio ha la sua radice nell’infinito, ma è così intenso che non si è
ancora consumato:
Leggiamo Gn 2,4-20.
Il Signore ha fatto fiorire il deserto per l’umanità; il racconto della creazione è il
passaggio dal deserto (sadeh) alla terra da coltivare (’adamah). E noi siamo
’adam min ’adamah, “uomini/donne dalla terra”, persone a cui è stato affidato il
mondo perché lo mantenessimo tale: puro, vivente, fiorito (mondo è il contrario di
immondo).
Tre verbi per capire cosa ci chiede Dio: il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel
giardino di Eden perché lo COLTIVASSE e lo CUSTODISSE; Dio condusse ogni
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vivente all’uomo per vedere come li avrebbe CHIAMATI.
Coltivare è prendersi cura, trasformare, far vivere.
Custodire è proteggere, conoscerne la debolezza, consegnarlo a chi viene dopo.
Dare il nome è stringere un’alleanza nuova (come Dio ha fatto con tante persone a
cui ha cambiato nome: Abramo, Giacobbe, Pietro, Paolo…), appartenersi l’un
l’altro.
Dare il nome è molto più che dominare (Gn 1,28). Dare il nome è eco-logia,
dialogo costante con il creato; dominare è eco-nomia, amministrare e imporre
norme.
Il Sogno di Dio è la piena comunione degli esseri umani con la natura (“non è
bene che l’uomo sia solo”). Se questa comunione si mantiene, allora realmente le
risorse naturali potranno risorgere, cioè rigenerarsi, senza intaccare il ciclo della
vita. La resurrezione si avvicinerebbe un po’ di più a noi e scopriremmo che il
giardino di cui ci parla la Bibbia non è in cielo, ma “a oriente” (2,3), cioè soltanto
un po’ più vicino al sole.
Ma l’umanità questo non l’ha capito, sembra preferire i deserti ai giardini. La
Bibbia ha parole pesanti per tutti i deserti che il popolo di Dio ha attraversato o
generato: il deserto è un luogo non umanizzato, vi regna il “disordine urlante della
solitudine”, “landa di ululati solitari” (Dt 32,10), è “terra assetata, luogo di
serpenti e scorpioni”.
Non è questo il Sogno di Dio per gli esseri umani: “Farò scaturire fiumi su brulle
colline, fontane in mezzo alle valli; farò cambiare il deserto in un lago d’acqua, la
terra arida in sorgenti. Pianterò cedri nel deserto, acacie, mirti e ulivi, olmi
insieme con abeti” (Is 41,19)
Dobbiamo aspettare fino alla resurrezione di Gesù per capire che Dio lo crede
ancora possibile: Gesù risorge in un giardino! Maria di Magdala si era fermata al
sepolcro, nel giardino, quasi trattenuta oltre la morte dalla bellezza di una tomba
vuota e della natura lì attorno. Ma Gesù non c’era. O meglio, era lì, e lei lo
scambia per il custode del giardino.
Il custode del giardino: c’è ancora un giardino da custodire, una resurrezione da
garantire, da testimoniare non solo agli esseri umani, ma alla creazione intera! C’è
ancora un albero della vita al centro, non si è mai seccato… il Vangelo di
Giovanni si chiude proprio così: “Questi segni sono stati scritti perché credendo
abbiate la vita”.
Da un estremo all’altro della Bibbia, la vita del mondo ci è posta tra le mani.
Sopravviverà?
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3. Trasformiamo la vita
“Gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla
distruzione”
Quali spunti concreti è necessario rilanciare? La responsabilità e la coerenza di
ciascuno risponderanno; noi accenniamo solo ad alcuni ambiti.
•stile di vita personale:
Lasciamoci ispirare dallo sport: “più veloce, più in alto, più forte” è lo slogan
delle competizioni atletiche. Noi dobbiamo cercare esattamente il contrario: “Più
lento. Più profondo. Più delicato”. Il nostro stile di vita deve saper vincere la
frenesia dei ritmi anti-umani e anti-ecologici, recuperare il quotidiano come
occasione di incontro in profondità, riscoprire la bellezza e la semplicità al di là
della produzione e del consumo.
Invece degli sport competitivi individuali, poi, giochiamo sport di squadra: se non
rifondiamo la nostra vita sulla condivisione dei beni, gli artigli della proprietà
privata a tutti i costi faranno sanguinare la terra.
•Vocazione e futuro professionale:
Ormai anche l’ecologia è un discorso da salotto. Ma la vita ce la giochiamo sì o
no? E per chi sceglie di scendere in campo nel nostro contesto sociale, ecco il
passaggio che lo sfida: da ingegnere, industriale, imprenditore (modello economico) a ingegnoso, industrioso, intraprendente (modello eco-logico).
•Itinerari politici e economici:
Come sempre, se non ci organizziamo, non cambiamo nulla. Alcuni esempi, fin
dal livello locale: ecotasse, agevolazioni fiscali mirate, gestione del traffico
urbano, piani regolatori locali, politiche energetiche, scambio di informazioni ed
esperienze…
E sul piano internazionale: pressione sulle istituzioni, boicottaggi e campagne,
rafforzamento del binomio giustizia sociale-giustizia ambientale, insistenza sul
trattato di Kyoto…
… e ora tocca a noi!
Fermatevi e ascoltate il canto della creazione
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Noi, i popoli rossi, abbiamo imparato molte cose.
A volte per scelta, a volte per dolore.
Miei fratelli bianchi, noi siamo uguali, in tanti modi:
E’ stato un solo Creatore a renderci tutti umani;
condividiamo gli stessi quattro venti
e tutti guardiamo lo stesso cielo, lo stesso sole, la stessa luna.
Beviamo le stesse acque, corpo e spirito degli stessi oceani.
Sì, in più di una maniera siamo uguali.
Ma come il Creatore ci ha fatti uguali,
in vari modi ci ha anche resi diversi:
come gli uccelli, diversi nei colori, nei canti e ne modi,
così sono distinti i popoli,
ognuno con colori, lingue, canti e comprensioni differenti.
Noi abbiamo sempre preservato per i nostri figli l’eredità della creazione.
Abbiamo occupato la terra-madre e, ciclo dopo ciclo, ce ne siamo presi cura.
Ma, in un batter d’occhio, solo cinquecento anni,
i vostri popoli hanno causato molta sofferenza,
distruzione e morte per noi e la nostra terra-madre.
Per questo, chiediamo che voi vi fermiate ed ascoltiate
il canto della creazione, con la mente e col cuore.
Rispettate profondamente e sentite il profumo dell’aria pura che ancora avanza e
pensate!
Assaporate il cibo e il sapore della creazione e siate contenti.
Toccate la nostra terra-madre e pensate ai suoi figli, i popoli diversi,
e pensate a quanti già sono scomparsi per sempre.
Guardate la bellezza del Creatore nelle diverse grandezze,
colori, forme, disegni, energie e varietà offerte a tutti noi.
Aiutate voi stessi, i vostri figli e quelli che ancora dovranno nascere,
a sopravvivere nella nostra terra-dimora.
Pensate a loro e diventate di nuovo un Popolo!
(testo di Juan Reyna, Campanha Fraternidade e Povos Indígenas “Por uma terra
sem males”)
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Lunedì 02 agosto
IL GIUBILEO: LA TERRA APPARTIENE A DIO
(Lev 25)
Breve spiegazione del significato del Giubileo:
Cerchiamo di comprenderne il significato biblico per sapere che cosa esso
comporti per un credente.
Il termine giubileo deriva dall’ebraico yôbêl (che letteralmente significa
“montone”, ma veniva adoperato per significare il corno del montone) e
trae il suo nome dal suono del corno col quale s’inaugurava questo
particolare tempo (Lv 25,9).
La motivazione che sta alla base del giubileo è la volontà del Signore come
viene espressa nel libro del Deuteronomio: “non vi sarà alcun bisognoso
in mezzo a voi” (Dt 15,4). Israele si sarebbe distinta tra le altre nazioni
circostanti per il fatto straordinario che in questa nazione no vi sarebbe
stato nessun bisognoso. Ciò era motivato dal fatto che Israele, a differenza
dei popoli vicini, era governata dal vero unico Dio, padre per tutti.
Per garantire a tutti la possibilità di una vita dignitosa ed evitare di finire in
situazioni di povertà si stabilì la legge dell’anno sabbatico. In questo anno
tutti i debiti dovevano essere cancellati per evitare che diventassero cronici
e portassero alla rovina le famiglie. (Dt 15,1-11)
Secondo quanto prescritto dal Libro dell’Esodo e dal Levitico in questo
settimo anno era inoltre prescritto di lasciare la terra incolta: Es. 23, 10 –
11; Lev. 25, 3 – 17.
Utopia del Giubileo
Il recupero della libertà e dei possedimenti si chiama riscatto: se un fratello
si impoverisce e vende la terre, la casa o la propria vita, un
"Goel" (riscattatore o liberatore) può riscattare ciò che si è perso. Se non ha
risorse, deve aspettare l'anno giubilare e allora si avrà riscatto senza Goel
né denaro. Intenzione dell'anno sabbatico e giubilare è ristabilire la vita e
l'uguaglianza distrutte da problemi di debiti o dall'ingiustizie. Queste leggi
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non si trovano presso gli altri popoli dell'epoca. Sono proprie di Israele. Gli
storici pensano che l'anno sabbatico e giubilare non fu mai attuato. Fu
piuttosto una rivendicazione profetica che una realtà. In ogni caso,
appartiene all'essenza della fede del popolo di Dio. I testi rivelano che la
terra, la vita e la libertà sono di Dio; nessun essere umano può disporre di
questi beni a suo piacimento.
Mentre la legge del condono dei debiti venne subito raggirata, quella del
giubileo ogni cinquanta anni fu una legge talmente utopica che non venne
mai realizzata per motivi abbastanza semplici. Nata per evitare che nel
popolo ci fossero bisognosi l’applicazione di una legge del genere avrebbe
ridotto alla povertà l’intero popolo. Infatti se ogni 49° anno (per via della
legge del settimo anno) e ogni 50° anno non si semina né raccoglie, la
carestia è garantita, e bisognoso diventa tutto Israele.
Di fatto, un evento di tale portata non ha alcuna risonanza nella storia
biblica e di Israele. Negli elenchi degli anni dei re non si accenna mai a
questo giubileo e non s’individua traccia alcuna neanche presso i profeti
così pronti a scagliarsi contro quei meccanismi economici ingiusti che
riducono in miseria la popolazione (Mi 2,2-1; Am 8,4-6).
La tradizione del giorno di sabato, dell'anno sabbatico, e dell'anno
giubilare, è una tradizione antica, che cerca di proteggere la vita del clan
dall'eccessivo sfruttamento, dalla concentrazione della terra e
dall'accumulo della ricchezza, e che pone un limite preciso ad ogni
schiavitù per debiti. La tradizione sabbatica e giubilare esige una rottura
storica che permette alla terra e alle persone di recuperare la loro libertà.
Nella teologia di questa tradizione, la terra e le persone sono di Dio e
nessuno può appropriarsene in forma illimitata o ingiusta. (vedi discorso di
Capo Seattle)
La tradizione del Giubileo si oppone direttamente al modo di produzione
tributario, dominante nell'antichità. Nel sistema tributario, la terra e la
gente erano proprietà del Re. Le tribù dovevano pagare alla casa del Re un
triplice tributo: in alimenti, in servi e in soldati. Al tempo dei giudici
(1200-1030 a.C.) si superò totalmente questo sistema tributario e si costruì
un nuovo modello di produzione senza re, senza casa del re (senza
burocrazia reale: ministri e sacerdoti) e senza esercito, il che significò
abolizione radicale del tributo. Al tempo della monarchia, quando si giunse
nuovamente al sistema tributario (con Davide, Salomone e i successori),
l'istituzione dell'anno sabbatico fu quella che permise al popolo di resistere
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e mantenere la coscienza critica di fronte al sistema monarchico tributario.
Il Giubileo mantiene viva l'utopia delle origini contro il sistema tributario,
ricostruito dalla monarchia davidica. I profeti pre-esilici lottarono per
mantenere viva la tradizione dell'anno sabbatico, ma senza esito. La
distruzione di Samaria, e posteriormente quella di Gerusalemme e del
tempio, sarà la conseguenza di queste disobbedienze dei Re di Giuda e di
Israele alla tradizione dell'anno sabbatico e giubilare. Dopo l'esilio c'è una
volontà profetica di restaurare il popolo di Dio a partire da queste
tradizioni (come abbiamo visto in Is 61 e Nem 5).
Il sabato, l'anno sabbatico e l'anno giubilare, esprime il potere di Dio e la
sua volontà liberatrice, che interviene nella nostra storia, nel tempo e nello
spazio, i favore dei poveri, degli indebitati, degli schiavi, degli schiacciati e
dei falliti per le strutture della dominazione. Questa tradizione biblica del
Giubileo anticipa la proclamazione del Regno di Dio, che sarà un asse
centrale del N.T. Anno sabbatico, Giubileo, e Regno di Dio appartengono
alla medesima tradizione e teologia e sono un riferimento basilare per
l'interpretazione di tutta la Storia della Salvezza.
Nonostante questo giubileo non fosse mai stato praticato, il suo ideale di
particolare anno del Signore, quale tempo ristabilimento di ogni forma di
giustizia è stato comunque tramandato e viene proclamato da Gesù nella
sinagoga di Nazaret (Lc 4,18-19; Is 61,1-2):
“Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacra-to con
l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto mes-saggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per
rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del
Signore”.
Gesù proclama l’anno di grazia del Signore con una caratteristica. Questo
tempo nel quale ognuno deve sperimentare l’amore del Signore non viene
limitato al cinquantesimo anno, ma diventa attuale con Gesù, per cui ogni
giorno è tempo di liberazione: “Oggi si è adempiuta questa scrittura che
voi avete udita con i vostri orecchi” (Lc 4,21).
I presenti nella sinagoga non gradiscono l’annuncio dell’attuazione di
questo anno giubilare. Fintanto che il giubileo restava una legge uto-pica
andava bene a tutti, ma quando Gesù annuncia la sua realizzazione tutti gli
si rivoltano contro: “All’udire queste cose, tutti nella sinagoga furono
pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero
fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù
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dal precipizio” (Lc 4,29).
Non vogliono che con l’anno giubilare si restauri l’uguaglianza tra tutti i
figli d’Israele, ristabilendo tra loro la giustizia sociale.
Gesù, venuto non ad abolire ma a realizzare la volontà del Padre suo (Mt
5,1), non viene meno al suo proposito e continua a proporre la realtà del
giubileo slegandolo dalla sua scadenza cronologica e renden-dolo
caratteristica della comunità del regno di Dio.
Per questo, nel Padre nostro, formula con la quale la comunità si impegna
ad accettare le Beatitudini, Gesù rende quotidiano il giubileo con la
richiesta: “Condona i nostri debiti come noi li abbiamo cancellati ai
nostri debitori” (Mt 6,12).
Gesù non parla di peccati, ma ha scelto il termine debiti che va al di là
della trasgressione di precetti o comandamenti. Mentre è possibile
perdonare le colpe e restare in possesso dei propri averi, il condono dei
debiti esige la rinuncia a questi.
Mentre “peccato” è un vocabolo appartenente alla sfera religiosa e si
richiama a una norma trasgredita, “debito” è un termine riguardante
concretamente il campo economico e figuratamente le relazioni interpersonali (essere in debito di qualcosa).
- Il debito nei confronti di Dio si deve al fatto che l’uomo veniva
considerato debitore nei confronti di Dio dei beni della creazione. Dio non
chiedeva il pagamento di questo debito, ma chiedeva che gli uomini se ne
rendessero conto per i debiti che altri potevano aver contratto nei loro
confronti.
- Il condono di questo debito viene dal Padre concesso unicamente in base
alla sua misericordia e non è condizionato da alcun tipo di prestazione
umana. Il condono agli altri deve essere una conseguenza del condono del
Padre.
Gesù scegliendo il termine “debiti” intende richiamarsi a quanto prescritto
nel Libro del Deuteronomio (Dt 15,2, LXX), dove appare il verbo “essere
debitore” in riferimento alla "legge del settimo anno".
Ci sono due modi di pensare il tempo del Giubileo:
- il tempo ufficiale: giorni, settimane, mesi e anni. Sono scritti nel
calendario stabilito.
- il tempo giubilare: il tempo della liberazione della terra, del povero, dello
schiavo. Non lo si trova nel calendario, ma quando si ascolta il grido e il
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clamore, quando suona lo yobel, quando il povero ci viene incontro. Il
tempo giubilare è quotidiano, in ogni momento. Lo spirito del Giubileo
deve essere vissuto tutti i giorni. Il ciclo giubilare ufficiale di sabati, anno
sabbatico e anno giubilare è il riconoscimento e la garanzia pubblica del
tempo esigito dal grido della terra e del povero.
GIUBILEO NELL'EPOCA DELLA GLOBALIZZAZIONE.
In antico il GIUBILEO è pensato da Dio per rimettere dentro il cammino
della vita chi era rimasto indietro, e aveva perso tutto, casa campo libertà.
Oggi il GIUBILEO DELL’INCARNAZIONE fa riferimento a Gesù tra noi.
Gesù è il SI’ di Dio alle sue promesse, Parola che si fa carne, attuazione
di ciò che Dio ha sempre desiderato. Gesù lo sa.
Gesù proclama l’anno di grazia del Signore, l’anno del GIUBILEO.
Oggi la Chiesa vive e attualizza il GIUBILEO in epoca di
globalizzazione.
In antico la ricchezza era la terra: il ricco ne aveva tanta.
Poi la ricchezza si è fatta denaro: puoi accumulare senza limiti.
Il mercante sa che profitto = differenza tra vendere e comprare.
Poi il mercante si fa imprenditore, ed è già l'industria.
In antico l'economia era statica, aprendo i magazzini di grano del ricco si
dava una scodella a Lazzaro.
Oggi l'economia è dinamica, a rapido cambiamento, con una
concentrazione delle risorse della terra in mano a pochi, con una
concentrazione del potere in mano a sempre meno persone.
I containers portati a migliaia dalle supernavi spostano il lavoro dove
l'uomo costa poco (e costa meno se è un bambino o donna).
La rivoluzione del silicio e dei computers snellisce i lavori e gli uomini
vanno in panchina: si chiamano esuberi. Disoccupati.
Oggi ci sono forze centrifughe che spingono i popoli deboli sempre più
ai margini.
Il futuro non ha bisogno di loro. Sono popoli inutili.
L'economia governa la politica e le scelte sono per il profitto.
Per fare profitti devi comprimere i costi di lavoro e materie prime.
Ridurre costo-lavoro: la prima tappa è stata la schiavitù, la seconda lo
sfruttamento dei lavoratori mal pagati, la terza di oggi è la disoccupazione
come progetto a favore del profitto.
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Ridurre costo materie prime: conquisti colonie e prendi del tuo; dopo
l'indipendenza controlli le risorse e non sai cosa fare degli abitanti.
Ti interessa il territorio e non la gente.
Potere e ricchezza si concentrano in un piccolo nucleo di persone.
Poi ci sono periferie sempre più lontane, sempre più abbandonate.
Il libero mercato è un torneo dove giocano l’inter (in rappresentanza delle
multinazionali) e l'oratorio.
La Deregulation invocata è un'economia darwiniana, a eliminatorie.
Al circo ci sono i leoni e i cristiani in libera concorrenza.
Guai ai vinti: chi è fuori del giro non rientra, non recupera.
Diceva Paolo VI: oggi Lazzaro sono popoli interi.
Secondo l'UNESCO, oggi un miliardo e 400 milioni di persone sono
totalmente tagliati fuori: non c’è posto per loro dentro la vita.
Per loro non c’è lavoro né pensione, né ospedale né scuola.
L’economia mondiale spinge verso la globalizzazione della miseria. Un
economista, Paul Samuelson ebbe a dire: “La guerra contro la povertà è
terminata e i poveri hanno perso”.
Il Giubileo pensato dai profeti, confidenti di Dio, traduce la premura di
Dio verso l'uomo debole, verso i perdenti della storia.
Il Giubileo fa parte del movimento missionario di Dio verso l'uomo così
come la premura verso l'orfano, la vedova, il forestiero.
Gesù negli anni di Nazaret ha imparato cosa significa essere uomo.
Il suo sangue è rosso come il nostro.
Respira i nostri sentimenti e le nostre speranze.
E' lieto di essere dalla parte degli uomini.
A Nazaret lavora con le sue mani, come fanno tutti i suoi amici, e
partecipa al sentire degli uomini rudi e semplici, così lontani da chi
passeggia in lunghe vesti e divora i campi di orfani e vedove, fa dotte
discussioni sulla legge e dimentica l'essenziale: “la verità la giustizia e la
misericordia”.
I poveri ci insegnano l'essenziale.
Dopo Gesù, Giacomo riassume la legge e i profeti:
"La religione gradita a Dio è questa: Soccorrere gli orfani e le vedove
nelle loro necessità, e mantenersi puri dagli idoli del mondo". Gc.1,27.
E' disumanizzante la ricchezza che dà un cuore grasso.
E’ disumanizzante la miseria che dà un cuore affranto.
Siamo chiamati a guarire insieme. E’ questo che Dio vuole.
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Il nostro papa dice: "Un meccanismo difettoso sta alla base
dell'economia contemporanea, e non consente alla famiglia umana di
staccarsi da situazioni radicalmente ingiuste.
Quando l'egoismo e il profitto divengono le principali motivazioni
dell'attività economica, allora tutto è possibile e la barbarie non è
lontana".
“L’impegno per la giustizia e per la pace in un mondo come il nostro,
segnato da tanti conflitti e da intollerabili disuguaglianze, è un aspetto
qualificante della preparazione al Giubileo”.
(Tertio millennio adveniente, 51).
Tanti conflitti vengono dalla rabbia di chi non ha più niente da perdere.
Le disuguaglianze sono intollerabili per i poveri esclusi da ogni dignità e
da ogni futuro.
Le disuguaglianze sono intollerabili per Dio che “ha udito il grido del suo
popolo”.
Il papa ha detto che la strada della pace è il rispetto dei diritti umani,
affermando che "la persona umana è trascendente".
Vale più di tutto. Ha un valore divino.
Allora ogni scelta, anche economica, ha al centro la persona.
Questo mette in crisi tutti i se e i ma che vanificano le scelte.
Una economia che uccide va cambiata. Bisogna gridarlo dai tetti.
Certe prudenze ecclesiali sono parenti della saggezza diplomatica.
Cerchiamo profeti imprudenti che respirano follia evangelica.
Cerchiamo chi ci faccia intravedere il sogno di Dio per l'uomo dentro la
storia e oltre la storia, come in cielo così in terra.
Giubileo è vivere l’esperienza della bontà misericordiosa del nostro
Dio.
Tale esperienza deve farsi concreta, cioè vista con gli occhi e toccata con
mano.
“Dio nessuno l’ha mai visto, ma il figlio unigenito ce lo ha fatto
conoscere”. Gv.1,18.
La misericordia che salva deve entrare potentemente nella storia umana di
oggi.
Giubileo nel tempo della globalizzazione è Dio che si mette dalla parte
degli sconfitti.
Tutti gli sconfitti del mercato mondiale trovano in Dio il garante dei loro
diritti.
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Dio comincia dagli ultimi, dai bisogni e dalle speranze degli emarginati del
mondo.
Il Giubileo più che una teologia è un grido: un grido di "soccorso". Un "ora
basta". Un "mai più".
Qui prendo in prestito la teologia della liberazione che ispira il senso di
resistenza in America Latina.
E' la teologia soggiacente ad alcuni rapporti sulla violenza in alcuni paesi,
per esempio il rapporto "Guatemala Nunca Mas", pubblicato dall'ufficio
dei diritti umani dell'Arcivescovado del Guatemala. Il sottotitolo è
importante: "rapporto progetto interdiocesano di recupero della memoria
storica". In questi rapporti traspare lo spirito del Giubileo. Il Giubileo è una
teologia scritta più dai martiri che dai teologi. Mons. Juan José Gerardi
ratificò con il suo martirio, tre giorni dopo dalla pubblicazione, il rapporto
della Chiesa del Guatemala. Il Giubileo è una teologia con energia, con
spirito, con forza, con potere. Non è una teologia per essere letta, bensì
annunciata, proclamata, gridata a gran voce.
Il manifesto del Foro Internazionale delle Alternative ha questo stile dei
testi del Giubileo. Dicono cosi alcuni dei suoi titoli:
E' tempo di ripristinare il corso della storia
E' tempo di porre l'economia a servizio dei popoli
E' tempo di abbattere il muro tra Nord e Sud
E' tempo di affrontare la crisi della civiltà
E' tempo di rifiutare il potere del denaro
E' tempo di mondializzare le lotte sociali
E' tempo di risvegliare le speranze dei popoli
E' giunto il tempo delle convergenze
Il tempo dell'azione è già iniziato
Cosi il profeta Isaia annuncerebbe oggi il tempo del Giubileo. Chi parla in
questo modo può dire in tutta verità: "lo Spirito del Signore sta sopra di
me, per questo mi ha inviato ad annunciare una lieta notizia ai poveri".
Anawim sono i poveri che confidano in Dio. Non sono poveri poetici.
"Guai a coloro che aggiungono casa a casa, campo a campo, e non
lasciano posto per i miei poveri nel paese!" Is.5,8.
Un povero perde sempre. Un proverbio africano dice: "Il chicco di mais
ha sempre torto davanti alla gallina".
Anche ai tempi di Gesù certi scribi -immancabili al tempio-privavano di
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casa e di campo orfani e vedove: e Gesù non tace.
La tecnica consiste nei cavilli legali e nelle firme.
Anche oggi il grande latifondo prende a suon di mance e di firme e i poveri
non hanno mai il documento giusto.
E così abbiamo tanta terra senza gente e tanta gente senza terra.
Non soltanto in Brasile, o nel Chiapas: il sistema si è esteso.
L'aggiornamento della povertà chiede l'aggiornamento del giubileo,
senza scansare le situazioni tenute in mano dai ricchi.
Dio "abbatte i potenti dai troni e innalza gli umili. Ricolma di beni gli
affamati e rimanda i ricchi a mani vuote".
Brava Maria! Anche noi stiamo dalla parte degli affamati e degli umili.
Grazie a Dio ci hanno consolato dicendo “basta essere poveri in spirito”,
cioè senza toccare le nostre cose, le case, le ferie.
"I farisei, che amavano il denaro, sentivano queste cose e ridevano di
Gesù". Lc.16,14.
Ci sono cose importanti che sfuggono ai sapienti e agli intelligenti, mentre
i piccoli e i semplici se le vedono rivelare.
Lo Spirito ci dona gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
cambia i nostri gusti e il peso che diamo alle cose.
"Si può vivere in una villa medicea senza abitarla, se la persona è inquieta
e annoiata e passeggia per le stanze cercando dove depositare tristezza e
noia" (A. Paoli).
Gesù da ricco che era poteva restare figlio di papà e fare la beneficenza
guadagnandosi l'applauso e la simpatia dei poveri.
Invece Gesù da ricco che era si è fatto povero facendo causa comune coi
poveri, e scegliendo la debolezza è finito in croce.
Il Giubileo non è vendere i beni e darli ai poveri. E' di più.
Il Giubileo è raddrizzare un meccanismo, correggere una tendenza.
Ieri bastava condividere, oggi condivisione rima con liberazione.
Per molto tempo abbiamo letto la parabola del tesoro nascosto e abbiamo
dato valore a questo e non alla terra (Mt. 13,44 Il regno dei cieli è simile
a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde
di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra
quel campo.): compra il campo non per impossessarsi del tesoro, secondo
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la legge giudaica, ma perché vuole togliere al ricco la possibilità di
sfruttare la terra. Lo fa per vivere in un modo alternativo al sistema, non
per arricchirsi ma per mettere in comunione la terra, affinché dia il
sostentamento alla comunità.
Ci troviamo a lavorare nelle terre di LIBERA, confiscate ai mafiosi che
hanno sostituito i vecchi latifondisti, non esitando ad uccidere per entrare
in possesso delle terre.
LIBERA ci da un esempio concreto. Le terre erano sfruttate per arricchire
qualcuno, oggi sono lavorate dai giovani a cui era stato negato il futuro.
Non basta mandare aiuti ai miseri del Sudan: bisogna combattere contro la
guerra, le sue cause, i suoi sponsor.
Oggi la globalizzazione spalanca il mondo allo straripamento della legge
del più forte.
In questi ultimi anni si assiste a una nuova forma di neocolonialismo, una
variante di un virus.
Che cosa hanno in comune Madagascar e Corea del Sud ?
L' Africa ha la maggior parte della terra fertile non coltivata del mondo e
la maggior parte dei morti di fame. Una ragione ci sarà.
“Solo quando l'ultimo fiume sarà prosciugato, quando l'ultimo albero sarà
abbattuto, quando l'ultimo animale sarà ucciso, solo allora capirete che il
denaro non si mangia." (Capo Toro Seduto dei Sioux Lakota)
Saremo Terra-Azienda o Terra-Famiglia?
Il Dio che regna è il Padre “nostro” o Mammona-Profitto?
Dio ci ha fatto famiglia sua, facendoci figli nel Figlio.
La chiesa dà nome, dà volto al sogno che Dio ha confidato a tanti.
Dio è il Dio di tutti, il suo Spirito soffia su tutta l'umanità.
"Vi invierò lo Spirito che vi conduce alla verità intera".
Il Card. Martini ha detto che lo Spirito è arrivato prima di noi, lavora più di
noi e fa meglio di noi.
Dice il vescovo del Brasile Pedro Casaldàliga: “La colomba dello Spirito
ha due ali, la destra e la sinistra; sono l’esperienza dell’amore di Dio, e
l’esperienza dei poveri.
Con un’ala sola lo Spirito non vola”.
Nel Cile di Pinochet la grande celebrazione di Papa Woytila ha radunato
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una folla immensa di gente che cercava le ragioni della speranza.
Per il canto del Magnificat avevano ciclostilato i fogli, e per un piccolo
“errore” di stampa mancavano le parole: "Ha rovesciato i potenti dai troni
e ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i
ricchi a mani vuote".
Nel Giubileo che vogliamo vivere quotidianamente non vogliamo simili
dimenticanze.
Non spostiamo a dopo la fine del mondo la beatitudine dei poveri.
Guai a voi ricchi che impedite a tanta gente di vivere!
Guai a voi che negate la gioia agli altri e restate senza gioia!
Mi spiace per voi, che non entrate e impedite di entrare!
Condoglianze a voi, che soffocate la vita e andate verso morte!
Vi siete fatti grandi comprimendo lo spazio degli altri!
Volete limitare le nascite dei poveri, incolpandoli della povertà; ma era
meglio se voi non foste mai nati!
Lo Spirito del Signore mi ha spinto a proclamare l'anno di grazia.
I poveri non possono più aspettare, Dio non vuole più aspettare.
Oggi le parole che avete udito sono diventate vere.
Il Giubileo è la fretta di Dio che la salvezza veda il mattino.
E' la protesta di Dio contro chi rimanda la sua salvezza a domani.
Il Giubileo proclamato dai profeti e da Gesù abbisogna di nuovi profeti che
lo proclamino oggi.
Il punto di partenza è fare esperienza del Padre.
Nel cuore del Padre vedremo scritto il nostro nome, e il nome dei nostri
fratelli, delle nostre sorelle.
Ci scopriremo famiglia. Per vivere nel mondo come famiglia.
Noi, uniti a Gesù, siamo con lui un popolo profetico e regale.
Un popolo profetico intuisce-conosce il progetto di Dio per noi.
Un popolo regale si impegna perché il Regno di Dio venga e si attui
secondo il sogno di Dio senza fermarsi alla saggezza umana.
Non basta mettere vernice nuova per dire che la macchina è nuova.
Non basta mediare con gli strumenti del potere e dell'economia.
In questa saggezza delle mediazioni c'è una verità incompiuta.
Non basta una saggezza senza profezia.
I tempi urgono, non c’è tempo. Dio ha fretta, i poveri hanno fretta.
La saggezza della diplomazia ceda il passo alla stoltezza della
predicazione.
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L'ago della bilancia nella mediazione è attratto dalla calamita del mondo,
nella profezia l'ago è attratto dalla calamita di Dio.
Abbiamo il compito profetico di leggere il senso dell'agire umano.
Dobbiamo fare un discernimento, leggere e valutare al modo di Dio.
Non ci basta raccontare la cronaca di ciò che accade nel mondo.
Domandiamo: Globalizzazione e legge di mercato servono la vita o la
morte?
Superiamo i meccanismi darwiniani di una economia "fai-da-te".
Il pessimismo è saggezza amara che dà ragione al lasciar andare.
L'uomo è uomo perché capisce, sceglie e non sta a rimorchio.
Dice il Concilio: "L'attività umana, come deriva dall'uomo, così è
ordinata all'uomo. L'uomo vale di più per quello che è che per quello che
ha.. Tutto ciò che gli uomini compiono per conseguire una maggiore
giustizia e un ordine più umano nei rapporti sociali ha più valore dei
progressi in campo tecnico".
Noi oggi, dentro una società potente, vediamo i deboli della terra così
come ieri i nobili che stavano a palazzo vedevano i plebei.
L'abitudine rende tutto normale e noi ci adattiamo all'ambiente.
Chi è da tanto tempo in una stanza chiusa non sente l’odore di chiuso, ma
chi entra da fuori se ne accorge.
Un missionario, prete, suora o laico che sia, che viene dal sud del mondo
sente urgenza di giubileo.
Il giubileo serviva a correggere un’economia, una società che rotolava
verso spontaneità mondane dove vince il ricco e il forte.
Chi sta a palazzo vede il mondo con occhi diversi da chi sta in baracca.
Per capire partiamo dai perdenti; con Gesù partiamo dagli ultimi.
Se c'è una vittima c'è anche un aguzzino, e mica sempre il boia lo
conosciamo dal cappuccio in testa.
Oggi il ricco e il forte non hanno volto, sono le multinazionali, sono la
finanza che specula in borsa.
Non vediamo volti precisi ma sono strutture di peccato che governano
l'economia mondiale.
Il frutto del peccato è la morte, una struttura di peccato crea morte, la
sofferenza dei dannati della terra denuncia la presenza del peccato.
Un poveraccio le capisce come situazioni ingiuste.
Quello che in piazza chiamano ingiustizia, in chiesa lo chiamano
peccato, ma per Dio chiamarla ingiustizia o chiamarla peccato fa lo stesso.
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Sono zuppa e pan bagnato.
Quali correzioni sogna Dio a favore dei poveri e dei deboli?
Noi che siamo dentro una società ricca e forte godendone i frutti,
accetteremo il cambiamento?
Oggi dobbiamo partire dai diritti e dalle speranze dei poveri per
capire il senso del Giubileo che Dio ha pensato per i poveri.
O la nostra saggezza troverà ancora le mediazioni giuste per fermare fame
e sete di giustizia alle soglie del nostro benessere?
Diceva Napoleone: “Siamo fortunati ad avere una chiesa che dice beati i
poveri; perché quel giorno che i poveri non si sentiranno più beati
ribalteranno su il mondo.”
Dio sogna cieli nuovi e terra nuova.
I cieli nuovi ci illuminano dentro se ascoltiamo le confidenze di Dio, la
terra nuova è il mondo quale lo sistema Dio con le mani dell'uomo.
Il progetto di Dio riguarda la storia e va oltre la storia.
Ma comincia da questa parte.
Da soli non possiamo far niente; e Dio ha deciso che da solo non fa niente.
Per la riflessione personale:
Ho sperimentato nella mia vita l’esperienza del Giubileo?
“Per sei anni seminerai il tuo campo e poterai la tua vigna e ne raccoglierai
i frutti; ma il settimo anno sarà come sabato, un riposo assoluto per la terra,
un sabato in onore del Signore”. Che valore do al riposo?
Cosa ne faccio del tesoro che trovo?
Globalizzazione e legge di mercato servono la vita o la morte?
Un pezzo di una canzone di Francesco De Gregori recita: “tu da che parte
stai? Dalla parte di chi ruba nei supermercati o dalla parte di chi li ha
costruiti, rubando?” Io, concretamente, da che parte sto? Quali sono i
comportamenti che caratterizzano la mia vita?
Riferimenti biblici per l’approfondimento:
Dt 15,1-11; Es. 23,10-11; Lev. 25,3-17; Mi 2,2-1; Am 8,4-6; Is 61; Nem 5;
Lc 4,18-19; 21-29; Is 61,1-2; Mt 6,12; Gc.1,27; Is.5,8; Mt. 13.44
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Martedì 03 agosto
LA RICHIESTA DI UN RE (1 Sam 8,4-22)
La richiesta di un re
1 sam. 8,4-22
La storia di fede di Israele, si sviluppa nel confronto diretto con le
economie, ideologie e politiche degli antichi imperi e “città- stato” del
medio oriente. Queste erano caratterizzate internamente da strutture
classiste ed esternamente da un desiderio di conquista (producendo un
surplus economico attraverso il lavoro degli schiavi, l’accumulazione
della terra e i tributi) Ideologicamente la elite della società era legittimata
dagli dei. la ideologia monarchica spesso esaltava la funzione sociale del
re, e il suo essere baluardo per i poveri di fronte ai ricchi.
Israele invece aveva sviluppato un sistema autonomo in alternativa e in
antagonismo alle città stato a agli imperi.(levitico)”Economia di
sussistenza”
Aveva Dio come legislatore, egli assume questa funzione al posto degli
antichi sovrani del medio oriente. la giustizia dall’ambito sociale e
politico era passata a quello teologico e la sua diretta subordinazione alla
volontà di Dio.
La solidarietà all’interno e nei gruppi famigliari dette origine all’ordine
sociale e legale del periodo anarchico dei giudici,i quali costituivano
un’assemblea di patriarchi legalmente liberi ed economicamente
indipendenti .(libro dei giudici)
proprio durante questo tempo che si situa il testo che vogliamo
considerare.
1 sam. 8,4-22
Gli anziani chiedono un re che governi, come avviene con tutti i
popoli…… Samuele,(giudice e liberatore ,cap.7) è ormai vecchio, i suoi
figli, non operano con rettitudine e onestà, per cui gli anziani riuniti in
assemblea (Gli anziani erano rappresentanti e portavoce di tutte le tribù
nell’assemblea del popolo)chiedono a Samuele che stabilisca su di loro un
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re.
Perché? Quali sono le ragioni?
Sino ad allora In caso di minacce esterne leaders carismatici prendevano
il comando in guerre comuni di difesa e liberazione. E il popolo
sperimentava in Dio, un alleato fedele nel momento di difficoltà. Volta a
volta Dio interveniva a liberare il suo popolo (gdc), ma con una modalità
del tutto libera, e gratuita, la liberazione non dipendeva dalla forza del
popolo, ma dal suo “grido” (1sam.7,2-17). Centrale in questa relazione
con Dio è il distacco dall’idolatria, la preghiera e l’altare.
Ma in questi tempi, Il crescente conflitto con i filistei, con nuove armi e
percepiti più forti,faceva nascere la paura di soccombere ,di perdere la
propria libertà, ritornare ad essere schiavi e perdere cosi la propria
cultura, tradizione e religione, pertanto bisognava rafforzarsi più
saldamente sotto un re per solidificare la propria potenza militare. Ma
non è questa la sola ragione, vi erano anche pressioni interne,
disgregazione e poca autorevolezza dei capi della confederazione (dovuta
all’espansione numerica e territoriale) e sviluppi socio- economici
(commercio con altre regioni)
Agli occhi di Samuele, abituato al discernimento questa richiesta, pur
essendo una domanda lecita, nasconde il “rigetto” di Dio e Dio stesso lo
espliciterà: “non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me perché io
non regni più su di essi.”
Che tipo di re era Jahweh?
liberatore degli oppressi e degli schiavi. “ Il libro dell’Esodo, racconta in
vari modi come questo gruppo di lavoratori forzati stranieri, conformista,
frammentato, oppresso e politicamente inetto, scopre attraverso
l’iniziativa di Dio un leader politico e una nuova speranza per il futuro.
Questo li rende capaci di cementare la solidarietà fra di loro e liberarsi
dai legami sociali esterni e cosi li rende capaci di una azione comune per
la liberazione politica.”(R. Albertz) Dio rivela a Mosè il mistero del nome
Jahweh “Io sarò con voi”, con voi, gli oppressi.” Un Dio che nel conflitto
sociale sta dalla parte degli esclusi della società, che in una città-stato,
sceglie di stare decisamente dalla parte di coloro che sono alla base e
non all’apice. Avere Dio come re, non era solo la protezione dei deboli e
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degli oppressi, ma un dio che libera dall’oppressione, non era separabile
dalla giustizia all’interno della comunità liberata e protetta (es.15; Gdc.
5, Lc.1,46ss)
Dio che cammina segue il suo popolo ovunque e comunque, il culto deve
rimanere mobile una “arca” da trasportare, una “tenda” al di fuori di
ogni sfera di potere o di influenza dello stato.
Di fronte ad una scelta da fare, bisogna sempre considerare quello che si
lascia e quello….che si prende. Samuele illustra chiaramente cosa accadrà
al popolo se scelgono avere un re, quali saranno le sue pretese….. ritorno
a una città- stato, alla burocrazia, alle differenze fra ricchi e poveri.
Mostra le ragioni del fallimento di un progetto umano. Nonostante questo
gli israeliti scelgono il re. Voltano le spalle alla originalità che li ha
caratterizzati per avere adottato la legge di Dio come sistema che regola
anche le relazioni sociali ed economiche. Rigettano la loro originalità e la
loro missione nella storia. “Ci sia un re su di noi, saremo anche noi
come tutti i popoli.”
Cosa guida la scelta?
Le paure: personali, comunitarie, dittatori, dipendenza, ritorno
all’oppressione, alla schiavitù…. Lasciare le proprie sicurezze…
(tradizione)(possiamo pensare a come incide la paura nelle nostre relazioni
e come influisce sulle politiche (cittadini armati, aggressioni,
respingimento, caccia allo straniero, mafia….)
Delega di responsabilità: accentrando in una sola persona la decisione e
non partendo da una riflessione dalla base. Ricerca di qualcuno che dia le
risposte al nostro posto.
Sfiducia: in se stessi, In Dio….il nostro Dio non è poi cosi forte. La Sua
logica è diversa…….
Orgoglio e delirio di onnipotenza: Non si vedono le sconfitte, come
un’opportunità di imparare, di trovare nuovi cammini, ma troviamo noi
una soluzione, (progetto esclusivamente umano) non possiamo accettare di
non essere quel “gran popolo” che vorremmo essere e “nel modo” in cui
lo vogliamo essere o secondo i modelli (come gli altri popoli e le
aspettative della società).
Rifiuto di pagare un prezzo per le proprie scelte e per essere unico nel
seguire non una struttura ma Dio e il farsi carico dell’incertezza che questo
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fa sperimentare.
Israele sarebbe potuto sopravvivere rinunciando alla monarchia? È difficile
esprimere un giudizio, solo la storia ci dice che gli antichi ideali
sopravvissero come una sorta di “memoria pericolosa” che continuò a
ispirare e guidare la lotta delle future generazioni. Nei successivi
quattrocento anni, di regime monarchico, anche se il prezzo pagato dal
singolo israelita fu alto, quegli ideali vennero mantenuti vivi in mezzo al
popolo, al nord e al sud, soprattutto dalla possente voce dei profeti di
Israele.
I profeti (singole persone, comunità alternative, popoli indios, CEBS….),
continuano a cercare, ad esprimere e precisare, approfondire e ampliare
quegli ideali di giustizia e di bene comune, a partire dalla presenza e
dell’azione del divino nella vita del popolo e delle singole persone.
Quali sono i profeti del mio tempo? Mi rendo conto che anche nelle scelte
quotidiane c’è un una domanda da farsi: Dio dov’è?
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LA VIGNA DI NABOT: 1 RE 21
IL LIBRO DEI RE E LA MONARCHIA
La storia della monarchia comprende i circa 430 anni che vanno dal
riconoscimento di Saul come capo (1020-1000 a.C.) alla caduta di
Gerusalemme nel 587 a.C. e al conseguente esilio babilonese. Con la
monarchia assistiamo al passaggio di Israele da una confederazione di
trib socialmente ed economicamente egualitaria a una monarchia
gerarchicamente organizzata e socialmente stratificata.
Questa esperienza viene raccontata soprattutto nei due libri dei Re, la redazione
definitiva, ad opera di autore ignoto, è collocata al VI-V secolo a.C. in Giudea,
sulla base di precedenti tradizioni orali e scritte. Una delle caratteristiche
dell'autore è il continuo ricorso a formule fisse per delineare i regni dei vari
sovrani che, dalla successione al trono di Davide fino alla distruzione del Tempio
di Gerusalemme da parte dei Babilonesi di re Nabucodonosor e quindi dalla
vecchiaia di Davide fino a Sedecia, si sono succeduti sul regno d'Israele.
I DUE LIBRI DEI REI
Il Primo libro dei Re rappresenta la continuazione ideale dei due Libri di
Samuele, descrivendo la vicenda del popolo ebraico dal X alla metà del IX secolo
a.C., cioè dalla fine del regno di Davide (circa 970 a.C.) fino al termine del regno
di Acab nell' 852 a.C.. Il giudizio dell'autore è severissimo nei confronti della
maggior parte dei sovrani, soprattutto contro quelli del Regno Settentrionale,
colpevoli di aver posto due vitelli d'oro nei santuari di Betel e Dan (1 Re
12,26-31), alle due estremità opposte del regno, onde impedire i pellegrinaggi
delle 10 tribù settentrionali a Gerusalemme, e quindi il loro ritorno nella sfera
d'influenza giudaica. Questi sovrani sono esclusi dalla promessa divina di un
Regno Eterno fatta alla dinastia davidica proprio in virtù di questo peccato
d'idolatria. Importante, dal punto di vista storico, è la menzione del sovrano
egizio Sisach che con la sua campagna in Palestina tentò di riaffermare il
predominio egiziano su questa regione. Il testo biblico dice che egli si impossessò
degli arredi d'oro del Tempio di Salomone e evidentemente ciò significa che egli
sottopose il Regno di Giuda a un pesante tributo.
Il Secondo libro dei Re rappresenta la continuazione ideale del Primo,
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descrivendo la vicenda del popolo ebraico dal IX al VI secolo a.C., cioè dalla fine
del regno di Acazia (circa 852 a.C.) fino alla distruzione del regno di Giuda nel
587 a.C. e alla deportazione. Quattro sono gli eventi più importanti descritti da
questo libro:
•
•
•
la caduta di Samaria in mani assire (722 a.C.), dopo un lungo periodo di
decadenza del regno settentrionale, segnato dal turbinoso susseguirsi di
cinque re in quattordici anni, tutti morti ammazzati in seguito a congiure. Le
dieci tribù settentrionali vengono di conseguenza deportate dai vincitori,
com'era loro costume per sradicare i popoli e sottometterli meglio, e sostituite
da altri popoli pagani, a loro volta deportati da altri angoli del vasto impero.
Ha così origine la stirpe dei Samaritani, che si convertono al culto di JHWH,
ma realizzano un sincretismo pagano-giudaico ed adorano Dio sul monte
Garizim anziché a Gerusalemme. Ciò spiega l'odio razziale manifestato dai
Giudei nei loro confronti, e testimoniato ancora dal Vangelo di Giovanni.
la riforma religiosa voluta da re Giosia, dopo aver rinvenuto il "Libro della
Legge" durante lavori di restauro del Tempio di Salomone (2 Re 22,8-13).
Leggendo questo testo, il re si straccia le vesti e decide di tornare alla purezza
del culto di JHWH, eliminando ogni traccia di paganesimo.
la duplice invasione del regno di Giuda da parte di Nabucodonosor. La
prima ha luogo nel 597 a.C.. Mentre re Ioiakim è sul suo letto di morte le
truppe straniere assediano la città; Nabucodonosor depone allora suo figlio
Ioiachin (nome equivalente al nostro Gioacchino) dopo appena tre mesi di
regno, e lo sostituisce con suo zio Mattania, cui cambia nome in Sedecia.
Sedecia tuttavia ignora gli avvertimenti del profeta Geremia e cerca di
stringere alleanza con l'Egitto contro i Caldei. Nabucodonosor non glielo
perdona e nel 587 a.C. Gerusalemme è conquistata e rasa al suolo, ed i
maggiorenti della nazione giudaica deportati a Babilonia. Questa è la fine del
glorioso Tempio di Salomone e dell'antico Regno d'Israele fondato da Saul e
Davide. Al ritorno da Babilonia nel 539 a.C., i Giudei non parleranno più
ebraico ma aramaico.
Non è male dedicare un po’ di tempo alla lettura del Primo e Secondo
Libro dei Re (1-2 Re) poiché ci narrano le vicende di quattro secoli di
monarchia, dagli iniziali splendori di re Salomone fino alla tragica estate
del 587 che vide la distruzione di Gerusalemme, del tempio e la
deportazione in Babilonia della parte più valida di Israele. Il grande re
Salomone, che succedette a Davide, ebbe la bella idea – per realizzare la
sua ambizione imperiale in economia e politica – di obbligare ai lavori
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forzati, non solo gli schiavi o i nemici vinti, ma anche gli uomini d’Israele.
Egli costruì il tempio, il palazzo, e città fortezze sparse in tutto il territorio
(cfr. 1 Re 5,27; 11,28) e il risultato della sua politica fu una fortissima
degenerazione sociale e religiosa che provocò, l’insurrezione di dieci delle
dodici tribù d’Israele che si staccarono da Gerusalemme e costituirono il
regno del Nord. Il regno del Nord si consolidò presto, tra alleanze
opportune o suicide con popoli stranieri, tra guerre inutili o inevitabili. In
brevissimo tempo esplosero quei segni del declino e della rovina di tutta
una nazione che solo i profeti seppero interpretare. La lettura, che nei due
libri dei Re viene fatta della monarchia, dà su molti re d’Israele un giudizio
negativo e indica le cause del male della popolazione nell’abbandono della
tradizione religiosa e della fede nel Dio d’Israele per seguire culti ed
abitudini pagane e straniere, ma anche nell’avidità spregiudicata e
nell’ambizione cinica di chi deteneva il potere.
LA MONARCHIA: CONTESTO STORICO
Cos’è avvennuto in Israele tanto da chiedere un re? Alcune cause:
•
•
•
•
•
•
•
•
L’esperienza di organizzazione popolare di Israele aveva molte
difficoltà. La geografia del territorio ed altre differenze rendevano
difficile l’unione tra le due tribù del Sud con le 10 del Nord. E ciò
determinava divisione e conflitti interni
L’aumento della popolazione
Corruzione dei giudici (1250 - 1050)
La pressione che veniva dai piccoli regni vicini, così come quella dei potenti
che volevano controllare il corridoio così strategico per il commercio e per la
guerra.
La caduta degli ideali.
Invasione dell’Egitto da parte dei popoli mediterranei che alla fine
rimarranno comunque sconfitti. Alcuni di questi gruppi tenteranno di
invadere Canaan dove si scontreranno con la confederazione delle dodici
tribù.
La pressione esercitata sulla confederazione da parte dei Filistei.
La domanda sempre più pressante di una maggiore sicurezza e di una più
efficace difesa da parte del territorio e della popolazione che lo abita.
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Davanti a tutto ciò si impose poco a poco l’idea della monarchia. Il potere
nelle mani di una sola persona e non condiviso più dalle famiglie, dai
clan, dalle tribù.
ELEMENTI IMPORTANTI DELLA MONARCHIA
•
Cambiamenti politici. C’è il passaggio da una federazione piuttosto sciolta
di tribù, unite dal loro ideale di una ben determinata concezione della
comunità, a uno stato territoriale unitario comprendente l’antica
confederazione delle tribù e la nuova popolazione cananea. Al tempo della
confederazione delle tribù, le decisioni politiche e sociali venivano prese a
livello di villaggio, di clan e di tribù (assemblee degli anziani). Le assemblee
degli anziani cercavano di rappresentare e raggiungere il consenso fra i
membri del popolo di cui facevano parte e con i quali intrattenevano contatti
frequenti e diretti. Al tempo della monarchia, invece, le decisioni erano prese
da una ristretta cerchia di persone, se non addirittura da una sola persona, che
potevano/poteva imporle alla stragrande maggioranza della popolazione,
anche con la forza.
•
Cambiamenti militari. Al tempo della monarchia la classe dirigente
disponeva di un esercito permanente di soldati professionisti, compresi
mercenari stranieri, sempre pronti a intervenire per imporre la sua volontà e
fare rispettare le sue decisioni.
•
Cambiamenti socio economici. Yahvè voleva nutrire e proteggere il suo
popolo attraverso un’economia centralizzata, controllata e regolamentata dal
re e dai suoi funzionari (economia tributaria), o attraverso un’economia
decentrata, così com’era stata praticata dalle tribù delle città e dei villaggi
dell’altopiano in epoca premonarchica (economia comunitaria)? Il sistema
delle città stato cananee era esattamente l’opposto di ciò che voleva essere la
confederazione delle tribù: accumulazione della terra (la monarchia non
riconosceva il diritto permanente della famiglia alla propria terra e alla
propria casa, la proprietà poteva essere comprata, venduta e accumulata), così
come una società gerarchicamente e socialmente stratificata. La
disuguaglianza economica cresceva tanto più quanto più la classe dirigente
riusciva a influenzare e addirittura a controllare le risorse della società
mediante l’imposizione di tasse e di lavoro forzato, sottraendo la produzione
eccedente alla maggioranza della popolazione costituita da allevatori e
agricoltori. Gli introiti della produzione eccedente permettevano ai membri
29
della classe dirigente di condurre uno stile di vita stravagante e assicuravano
loro le risorse necessarie per accrescere ulteriormente il loro potere sociale,
politico ed economico. Questo sistema era difeso da un esercito professionale
(ribellioni al nord)
•
Cambiamenti religiosi. Con l’avvento della monarchia, nello jahvismo (la
confederazione delle tribù) entrava un nuovo elemento. Jahvè diventava la
divinità protettrice di uno stato nazionale, con un santuario reale situato nella
capitale e posto sotto il controllo e la protezione del re. Una casta
sacerdotale professionale, assistita da corporazioni di musici, cantori e
attendenti presiedeva un culto costoso e fastoso. Inoltre nel tempio c’erano
scribi che avevano il compito di comporre, cantare e scrivere i testi dei riti. In
tal modo si aggiunse tutta una nuova serie di termini, concetti e immagini (la
simbologia reale) alle antiche tradizioni tribali, arricchendo e ampliando la
possibilità espressive della fede e delle tradizioni di Israele. I temi
dell’alleanza mosaica vennero integrati nella teologia reale, basata sull’idea di
una relazione speciale fra Dio e il suo re, “che Egli aveva scelto” (Sal 89,
4-5). E c’era, inoltre, la promessa di una dinastia reale perenne e
l’assicurazione di una continua presenza nel santuario reale da parte della
divinità.
•
Non si può nascondere che specialmente sotto Salomone, la classe dirigente
si servì del proprio potere per garantirsi uno stile di vita stravagante e
privilegiato. La leggendaria ricchezza e prosperità del regno di Salomone (1
Re, 10, 14-25) era, in realtà, appannaggio di un ristrettissimo numero di
persone. La stragrande maggioranza della popolazione soffriva sotto il peso
delle tasse e del lavoro forzato imposto dalle errate politiche economiche e
sociali di Salomone. Alla sua morte il risentimento e il malcontento della
maggior parte della popolazione provocarono il rapido crollo del suo modesto
impero.
•
La nuova realtà della monarchia, con le sue strutture e le sue implicazioni,
avrebbe dominato la storia d’Israele dei successivi 400 anni. Comunque gli
antichi ideali sopravvissero come una sorta di “memoria pericolosa” che
continuò a ispirare e guidare la lotta delle future generazioni. Nei successivi
400 anni di regime monarchico, quegli ideali vengono mantenuti vivi in
mezzo al popolo, al nord e al sud, soprattutto dalla possente voce dei profeti
di Israele. I profeti continuarono a esprimere e precisare, approfondire e
ampliare quegli ideali di giustizia e il senso della presenza e dell’azione del
30
divino nella vita del popolo e delle singole persone.
•
La letteratura profetica di questo periodo ci permette di intravedere quelle
che possono essere state allora le esperienze e le condizioni di vita della
stragrande maggioranza del popolo di Israele. II netto contrasto con la
prosperità e il lusso di cui godevano i re e le classi dirigenti, la vita del
comune israelita era generalmente dura e precaria. le antiche tradizioni e
strutture della confederazione delle tribù continuavano a resistere a livello di
clan e di villaggio, e con esse la protezione della terra delle famiglie allargate
e i meccanismi di mutuo sostegno. La Bibbia presenta gli scontri fra profeta e
re soprattutto come scontri religiosi tra baalismo e jahvismo. Ma, in realtà, lo
scontro era molto più vasto e profondo e ruotava attorno a due visioni
contrapposte in materia di organizzazione e conservazione della comunità e
della società. Le fonti storiche deuteronomistiche pongono l’accento
soprattutto sui loro errori teologici e sulle loro errate concezioni cultuali, ad
esempio in materia di santuario per il vero culto di Jahvè. Ma il conflitto a
livello teologico e cultuale è solo la punta dell’iceberg. Infatti, baalismo e
jahvismo costituivano il fondamento ideologico di concezioni e pratiche
molto più vaste. Il baalismo preferiva e promuoveva una comunità e una
società basate sulla gerarchizzazione e stratificazione sociale e un’economia
centralizzata o “TRIBUTARIA”. Lo jahvismo invece preferiva e promuoveva gli
ideali egualitari dell’antica confederazione delle tribù, con le sue soluzioni
economiche decentrate o “COMUNITARIE”. Nelle campagne e nei villaggi la
maggioranza della popolazione israelitica restava saldamente aggrappata a
queste tradizioni. La divisione in due regni fu determinata dal rifiuto di
Roboamo, figlio di Salomone, di accondiscendere alla richiesta degli anziani
delle tribù del nord di mitigare le dure politiche economiche del Padre.
Geroboamo, ufficiale di Salomone e direttore dei lavori forzati in territorio
efraimita, aveva organizzato una rivolta. La rivolta era fallita ed egli era
fuggito in Egitto, dove il faraone gli aveva accordato asilo politico. Le
secessioniste tribù del nord invitarono proprio lui a ritornare dall’Egitto e a
regnare su di loro.
CONTESTO IMMEDIATO DEL TESTO
Nell’876 a.C. Omri, un comandante militare dell’esercito israelitico, riuscì
a impadronirsi del potere dopo quattro lunghi anni di guerra civile,
fondando una dinastia che ebbe quattro re. Probabilmente non era israelita,
31
per cui non ebbe nessuna difficoltà a regnare secondo lo stile tipico dei re
del Medio Oriente antico. Costruì la nuova capitale e un lussuoso palazzo
reale a Samaria e si lanciò in una serie di imprese, sia militari che
commerciali, con gli stati vicini. Omri e soprattutto il figlio Acab
riuscirono a far riconoscere e accettare il loro regno da parte delle altre
città stato del tempo. Sotto il loro governo Israele raggiunse probabilmente
una posizione equivalente, se non superiore, a quella raggiunta dal regno di
Salomone.
Naturalmente, dal punto di vista della fede e della società giudaica, stavano
attraversando un periodo di profonda crisi. Durante questo periodo furono distrutti
- ma non era una novità - gli altari del Dio d’Israele e furono introdotti nuovi culti
di divinità straniere: quelle di altri popoli, più evoluti, e di altri re, più potenti.
Correvano tempi nuovi, segnati dall’illusione e dall’ebbrezza di aver raggiunto un
posto apprezzabile a livello internazionale. Tempi segnati, nel nord ricco e
intraprendente, da grandi scambi commerciali e culturali e da alleanze politiche e
militari. Il benessere dilagava, ma a vantaggio del re e della classe dirigente:
lusso, crescita del latifondo e concentrazione delle proprietà in mano di pochi.
Tempi nuovi ma ad altissimo prezzo: il tradimento di ciò che dava dignità e
sicurezza a tutto il popolo d’Israele, ovverosia l’abbandono della fede e delle
tradizioni religiose d’Israele, il disprezzo e l’incuranza del bene comune e dei più
deboli in modo particolare. Tempi nuovi che si imponevano per l’ambizione e i
sogni di potere del re e della classe dominante.
Ma è proprio sotto questi due re che cominciarono a risuonare le critiche
profetiche, a riprova dell’impatto negativo delle ambizioni imperiali sulle
condizioni di vita della maggior parte della popolazione. La scarsa
considerazione in cui Omri e Acab tenevano la tradizionale religione
jahvista del loro regno è attestata dal matrimonio di quest’ultimo con una
principessa fenicia, Gezabele di Tiro. Lo zelo di Gezabele per la religione
cananea è evidenziato dalla costruzione, nella nuova capitale Samaria, di
un tempio dedicato a Baal di Tiro. Lo zelo religioso della regina andava di
pari passo con il suo entusiasmo per i risvolti economici del baalismo
cananeo, come dimostra il suo ruolo nella vicenda di Nabot raccontata in 1
Re 21. Per Nabot, vendere quella terra sarebbe stato tradire uno degli
elementi fondamentali della struttura socio-economica e dell’ethos
religioso di Israele.
Appellando al "diritto del re" (1 Re 21,7), Acab e Gezabele calpestavano i
poveri, rubavano le loro terre e uccidevano i contadini per arricchirsi e
vivere circondati di lusso, come se loro fossero i padroni della vita e della
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morte dei loro sudditi (1 Re 21,1-16). Per raggiungere tali scopi potevano
contare con l'aiuto dei "Nobili" e degli "anziani" (1 Re 21,8) e dei capi
militari (2 Re 1,9-11). E' il tempo in cui sorgono i "falsi profeti" che
mangiavano alla tavola di Gezabele (1 Re 18,19)
LA STORIA DI NABOT: 1RE 21
Acab, volendo ampliare i suoi possedimenti, propone a Nabot, piccolo contadino,
una transazione economica ossia una compravendita in denaro della sua vigna
attigua al palazzo reale di Izreel, (una località che domina la valle omonima nel
nord d’Israele) o una permuta di terreni. Acab voleva annettere la vigna al palazzo
per trasformarla in un orto, letteralmente in "un giardino di erbaggi". Trasformare
un vigna, simbolo della fertilità della terra promessa e della benedizione divina, in
un "giardino di erbaggi", mostra il capriccio del re e la sua stoltezza. Per di più la
proprietà di Nabot era legata all’eredità della famiglia e quindi alienarla era non
solo cosa vergognosa, ma quasi sacrilega. Nabot si oppone fermamente in nome
delle consuetudini e del rispetto della tradizione che vede nella piccola proprietà
una fonte di sopravvivenza e di libertà e la considera qualcosa di sacro, di
ricevuto da Dio. Il re Acab resta amareggiato e sconvolto dalla risposta di Nabot,
ma non per via della motivazione addotta, infatti egli e incurante delle tradizioni e
del diritto consuetudinario, quanto per il solo fatto che un semplice contadino dica
"no" al re e alla sua avidità. A prendere in mano la questione sarà Gezabele,
moglie straniera e senza scrupoli, la quale ordisce un piano ignobile per eliminare
Nabot, affinché sia chiaro che al volere del re non si può opporre un rifiuto.
L’arroganza spinge Gezabele a trovare complici per istruire un processo
apparentemente legale che porterà alla morte di Nabot. A partire dall’usanza che
prevedeva, ogni qual volta si verificasse qualche calamità pubblica, di convocare
un’assemblea popolare per conoscerne le cause ed eliminarle e da una forte siccità
che si abbatté in quel periodo sulla regione, con la complicità di giudici corrotti e
testimoni malvagi e prezzolati, Nabot viene accusato falsamente di avere
"maledetto Dio e il re" e viene giudicato e condannato dalla gente del suo
villaggio alla morte mediante lapidazione ed ovviamente alla confisca dei beni a
vantaggio del re. Così Nabot viene lapidato e il possesso della vigna, finalmente,
appaga la prepotenza e l’avidità del re, l’ambizione della regina Gezabele e
l’ignavia di tutto un villaggio. L’ambizione e il cinismo della regina trova dunque
la complicità degli alti funzionari corrotti, ma anche dell’intero popolo che si
lascia convincere determinando così l’uccisone di un innocente. Il male è forte ed
assieme abile: sa ordire legami di complicità che riescono a tessere una rete
insidiosa che porta, come in questo caso, alla morte di un giusto. E’ una vicenda
che richiama in maniera incredibile anche quello che avverrà a Gesù, condannato
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a morte ingiustamente al termine di un falso processo. L’assassinio di Nabot, un
povero contadino, un uomo qualunque, è comunque la classica goccia che fa
traboccare il vaso. Infatti, sulla vicenda, cala – terribile - il verdetto di Dio per
bocca del profeta: "Hai assassinato – riferisce Elia al re Acab – e ora usurpi! …
Nel punto ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo
sangue…Ti sei venduto per fare ciò che è male agli occhi del Signore…". Una
reazione durissima verso un assassinio calcolato con disprezzo e perfidia e che si
leva come offesa profonda a Dio e agli uomini. Tutto questo è frutto di passioni
che accompagnano troppo spesso il potere: ambizione, opportunismo, servilismo,
cinismo, disprezzo del povero e del diritto non scritto di popoli e individui,
avidità. La fedeltà al progetto iniziale di Dio e ciò che garantisce vita e dignità al
povero e al potente, al piccolo e al grande, mentre ogni cambiamento che avviene
all’ombra di falsi dei porta rovina: siano essi il piacere, la ricchezza, il potere…
divinità di ieri e di oggi!
IL SIGNIFICATO ...
La storia di Acab e Nabot sembra apparentemente una storia di facile lettura. E’ la
storia antica, seppure attuale, del potente che schiaccia il debole, ma è anche la
storia di milioni di persone sacrificate sull’altare degli interessi economici e
politici di pochi! È la storia di un uomo…ma al tempo stesso la storia di un
popolo che vede calpestati i più elementari diritti, che vede distrutto tutto ciò in
cui ha creduto e che a fatica è riuscito a costruire. (Chi è vittima dell’usura o chi
ogni giorno è costretto a pagare il pizzo, vive oggi la stessa situazione!) Ma
perché narrare la storia di un uomo quando si può raccontare quella di un intero
popolo? Perché coloro che vengono schiacciati non sono un numero
all’interno di un tutto, ma persone reali, con un NOME, con una loro storia,
un volto, un passato, degli affetti e dei valori…persone in carne ed ossa! A
volte parliamo degli ultimi come se non fossero reali, come una massa
indifferenziata, e il nostro atteggiamento si riduce ad un empatica compassione di
principio.
Nabot è un uomo schiacciato dal potere e accusato ingiustamente da un sistema
che sa essere una perfetta ed efficiente macchina di morte che si regge sulla
complicità di coloro che per paura e per convenienza ne diventano schiavi! Tutto
questo genera un vortice di omertà e di collusione che spesso diventa difficile
smantellare. Siamo capaci di ribellarci a questo sistema di morte o ci lasciamo
vincere dalla paura che ci porta all’omertà e all’indifferenza?
Spesso senza accorgercene, nel nostro piccolo mondo, ogni giorno ci imbattiamo
in tanti Nabot. In migliaia abitano questi nostri tempi…la storia di questa
umanità…e vivono, lottano e soffrono non molto lontano da noi. Oggi ci sono,
domani non ci saranno…e nessuno si chiederà il perché, tranne – forse – qualche
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piccolo, solitario Elia! L’adesione al progetto del regno di Dio ci chiama tuttavia a
prendere posizione, ci chiama a stare dalla parte degli ultimi…a generare la vita…
ad essere persone attente e dalla coscienza sveglia…ci chiama a risvegliare
coscienze sopite, consapevoli che tutto questo chiederà un prezzo a volte
altissimo.
Un semplice contadino ha dato l’esempio…un semplice contadino ha avuto il
coraggio di ribellarsi…ma il suo nome è passato alla storia non solo come colui
verso il quale si è scatenata l’ira del sovrano, ma anche come colui che è stato
capace di dire NO! Chi tra Nabot e Acab è il vero schiavo? Nabot ha avuto il
coraggio di fare una scelta, che su Acab ha avuto un effetto devastante! Quante
realtà anche piccole ci sono nel mondo che con le loro scelte riescono a mettere in
crisi i potenti: e noi siamo disposti e siamo capaci di compiere scelte
profetiche?
Nabot ha agito sapendo che questa scelta avrebbe portato a delle conseguenza
durissime: siamo disposti a pagare questo prezzo? Quando il prezzo viene
pagato anche da coloro che amiamo diventa ancora più difficile dire no! Oggi
coloro che denunciano spesso vivono sotto scorta...le loro famiglie vivono sotto
scorta…la loro vita e quella dei loro cari è una vita blindata. Chi è sotto
protezione è costretto spesso a scappare, a lasciare tutto, a dimenticare volti e
affetti…luoghi familiari e il proprio passato. Si diventa uomini senza storia…si è
costretti a cambiare nome: è un viaggio di sola andata!
Sia Nabot che Gezabele usano il nome di Dio. Sarà lo stesso Dio? Quante volte
nella nostra vita strumentalizziamo Dio e quante volte invece ci mettiamo in
cerca del vero volto di Dio? E di fronte a questa strumentalizzazione siamo
capaci di gridare che dichiararsi credenti è peccato quando si uccide, si ruba,
si affama, si toglie la vita al fratello?
Durante il giudizio Nabot non dice nemmeno una parola; chi lo condanna? Chi
collabora? Chi lo uccide fisicamente? A chi rimane la sua vigna? Siamo capaci di
leggere la realtà e di riconoscere gli attori di questa storia di morte e il loro
ruolo?
Nel fare memoria della storia di Nabot è facile ricordare tutti coloro che in Sicilia
hanno lottato e pagato per restituire libertà e dignità a questa terra e a coloro che
la abitano: Libero Grassi, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Placido
Rizzotto…ma anche tutti coloro che ogni giorno dicono "no" a chi chiede loro il
pizzo e tutti coloro che ogni giorno operano per creare una nuova coscienza
politica e sociale e una nuova mentalità…tutti coloro che con le loro scelte non si
compromettono con la mafia!
Il mondo è pieno di Nabot capaci di costruire con le coraggiose scelte di ogni
giorno una storia nuova!
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Giovedi 05 agosto
UN CONTADINO E UN INTELLETUALE
DENUNCIANO I LATIFONDISTI
Michea 2,1-5 e Isaia 5, 1-12
1.Partiamo dalla realtà attuale.
I potenti accumulano sempre più terra nelle loro mani. E ci vogliono far
credere che tutto questo sia normale. Ma cosa dicono i profeti a proposito
dell'accaparramento delle terre?
Proviamo a vederlo insieme.
Esistono in queste zone grandi estensioni di terre? A chi appartengono
oggi? A chi sono appartenute? Nominiamone i padroni. Facciamoci aiutare
da coloro che abitano in queste terre; sono terre che parlano, gridano nomi
di padroni, nomi di persone scomparse, di latitanti e persone sequestrate,
nomi di braccianti anonimi e di parrini potenti.
Anche nel sud del mondo si sono grandi estensioni di terre che
appartengono a pochi padroni, e tante persone, poveri braccianti messi ai
margini, nelle zone più dure da dissodare e lavorare. Conosci alcuni dei
paesi dove questo fenomeno assume dimensioni di ingiustizia colossale?
Conosci i sem terra? Sai chi sono?
A proposito di terra abitabile …. Sai cosa è successo in Sudafrica durante i
mondiali di calcio? Hai sentito parlare dei “Mondiali al Contrario”?
Che mezzi usano i potenti per prendersi le terre?
Senza terra, senza spazio vitale, senza soldi, con una famiglia da
mantenere.... tu cosa faresti
2.la PAROLA: vediamo cosa hanno fatto i profeti che oggi conosciamo.
Parliamo di due profeti, Michea e Isaia. I due sono contemporanei e hanno
vissuto nello stesso territorio, ed hanno analizzato lo stesso fenomeno
dell'accaparramento delle terre da parte dei ricchi del paese. Però la loro
visione della realtà è alquanto diversa perché uno, Isaia, che vive nella città
di Gerusalemme, è una persona molto istruita, Michea invece è un
contadino senza terra, che ha dovuto rifugiarsi in città perché gli eserciti
dell'impero assiro hanno invaso la zona dove viveva
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Compara il messaggio dei due profeti:
•in cosa si assomigliano le parole di Isaia e di Michea?
•In cosa invece si differenziano?
•In cosa si complementano l'uno con l'altro?
1 Guai a quelli che meditano
l'iniquità e tramano il male sui loro
letti, per eseguirlo allo spuntar del
giorno, quando ne hanno il potere in
mano! 2 Desiderano dei campi, e se
ne impadroniscono; delle case, e se
le prendono; così opprimono l'uomo
e la sua casa, l'individuo e la sua
proprietà.
1 Io voglio cantare per il mio amico
il cantico del mio amico per la sua
vigna. Il mio amico aveva una
vigna sopra una fertile collina.
3 Perciò così dice il Signore: «Ecco,
contro questa razza io medito un
male a cui non potrete sottrarre il
collo; non camminerete più a testa
alta, perché saranno tempi cattivi.
4 In quel giorno si farà un proverbio
su di voi, si canterà un lamento, e si
dirà: "È finita! Noi siamo
interamente rovinati! Egli passa ad
altri l'eredità del mio popolo! Vedete
come egli me la toglie! I nostri
campi li distribuisce agli infedeli!"»
2 La dissodò, ne tolse via le pietre,
vi piantò delle viti scelte, vi costruì
in mezzo una torre, e vi scavò uno
strettoio per pigiare l'uva. Egli si
aspettava che facesse uva, invece
fece uva selvatica.
3 Ora, abitanti di Gerusalemme e
voi, uomini di Giuda, giudicate fra
me e la mia vigna!
4 Che cosa si sarebbe potuto fare
alla mia vigna più di quanto ho
fatto per essa? Perché, mentre mi
aspettavo che facesse uva, ha fatto
uva selvatica?
5 Perciò nell'assemblea del Signore
non ci sarà nessuno che misuri con
la cordicella i lotti di terreno.
5 Ebbene, ora vi farò conoscere ciò
che sto per fare alla mia vigna: le
toglierò la siepe e vi pascoleranno
le bestie; abbatterò il suo muro di
cinta e sarà calpestata.
6 Ne farò un deserto; non sarà più
né potata né zappata, vi cresceranno
i rovi e le spine; darò ordine alle
nuvole che non vi lascino cadere
pioggia.
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7 Infatti la vigna del Signore degli
eserciti è la casa d'Israele, e gli
uomini di Giuda sono la sua
piantagione prediletta; egli si
aspettava rettitudine, ed ecco
spargimento di sangue; giustizia, ed
ecco grida d'angoscia!
8 Guai a quelli che aggiungono
casa a casa, che uniscono campo a
campo, finché non rimanga più
spazio, e voi restiate soli ad abitare
nel paese!
9 Questo mi ha detto all'orecchio il
Signore degli eserciti: «In verità
case numerose saranno desolate,
queste case grandi e belle saranno
private d'abitanti;
10 dieci iugeri di vigna non
daranno che un bato, e un comer di
seme non darà che un efa». 11 Guai
a quelli che la mattina si alzano
presto per correre dietro alle
bevande alcoliche e fanno tardi la
sera, finché il vino li infiammi!
12 La cetra, il saltèro, il tamburello,
il flauto e il vino rallegrano i loro
banchetti! Ma non pongono mente
a ciò che fa il Signore, e non
considerano l'opera delle sue mani.
Dividetevi in gruppi e analizzate i due testi. Un aiuto per i gruppi:
Un aiuto per i gruppi:
I due profeti sono della stessa epoca, (fine del sec VIII . C.), vivono a
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Gerusalemme e denunciano la stessa realtà. Però uno è un contadino senza
terra e l'altro è un uomo colto di città.
Michea conosceva per il suo proprio sofferto vissuto i prbelmi dei
contadini. Il suo villaggio di origine, Morasti, a 35 km da Gerusalemme gli
fece sperimentare i problemi dei piccoli agricoltori, vittime del latifondo,
delle tasse e dei lavori forzati. Poco prima del suo agire profetico, gli
eserciti assiri avevano invaso e distrutto la regione e Michea si vide
obbligato a emigrare senza niente verso la capitale.
Il profeta Isaia, in cambio, era un giovane di Gerusalemme, molto colto,
appartenente ad un ceto sociale alto.
Fu un'epoca di apparente prosperità economica, nella quale sembrava che
tutto marciasse per il verso giusto. Però i due profeti, a partire dalla loro
fede in Dio, scoprono la situazione reale del loro popolo, ben diversa da
quello che invece appariva dall'esterno.
Vediamo Michea:
–in lui troviamo tre parti: la denuncia del peccato, l'annuncio del castigo e
il castigo in sé.
–In primo luogo denuncia il peccato: “Guai a quelli che meditano
l'iniquità e tramano il male sui loro letti per eseguirlo allo spuntar del
giorno, quando ne hanno il potere in mano! Desiderano dei campi, e se ne
impadroniscono; delle case, e se le prendono; così opprimono l'uomo e la
sua casa, l'individuo e la sua proprietà.”. Il profeta non si limita a dire ciò
che fanno i potenti, ma da valore a ciò che pensano e desiderano. Con ciò
fa capire che l'avidità è il motore di ogni ingiustizia. Sottolinea pure la
facilità e la rapidità con cui passano dal pensiero all'azione. La causa che
da adito a tanta rapidità è “perché lo possono fare”, dato che detengono
nelle loro mani il potere. Michea non si limita a denunciare il furto dei
campi e delle case: egli vede attraverso le cose le persone, le famiglie
contadine, oppresse da queste ruberie. Questo aspetto personale ed umano
dell'ingiustizia è un dato importante al quale Michea presta particolare
attenzione.
–Poi annunzia il castigo: “Perciò così dice il Signore: Ecco, contro questa
razza io medito un male a cui non potrete sottrarre il collo; non
camminerete più a testa alta, perché saranno tempi cattivi”. Qui si esprime
la relazione tra il peccato e il castigo: la condanna non è frutto della forza
cieca della storia, ma risposta di Dio, che reprime l'ingiustizia e castiga che
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“pianifica il male”, pianificando così anche la sua disgrazia. C'è una
relazione tra il versetto 1 e il 3, però con una differenza: i potenti eseguono
immediatamente i loro piani, però nel caso di Dio, lui sa aspettare.
–Terzo, Michea presenta il castigo dal punto di vista dei latifondisti,
ripetuto dai canti di burla dei contadini: “In quel giorno si farà un
proverbio (burla) su di voi, si canterà un lamento, e si dirà: "È finita! Noi
siamo interamente rovinati! Egli passa ad altri l'eredità del mio popolo!
Vedete come egli me la toglie! I nostri campi li distribuisce agli infedeli!";
poi presenta il castigo interpretato invece da Dio: “Perciò nell'assemblea
del Signore non ci sarà nessuno che misuri con la cordicella i lotti di
terreno”. La maggior novità di Michea è presentare successivamente il
punto di vista dei latifondisti e di Dio. Di più, le parole degli oppressori
sono cantate ironicamente dagli oppressi. I latifondisti interpetano la
perdita delle terre come:
–qualcosa che li distrugge totalmente al togliere loro la base economica
–è una disgrazia per tutto il paese
–è un 'ingiustizia
–beneficia gli “infedeli”, ossia coloro che non credono in Dio.
Considerano la loro disgrazia come un lutto nazionale!!!! Se vengono
colpiti i ricchi viene colpito tutta la nazione, se vengono colpiti i poveri ….
pazienza, si fa un sospiro, una preghierina, e tutto può procedere come
prima.
–Il versetto 5 parla di una distribuzione per sorteggio all'interno di una
assemblea del Signore. Secondo ciò che comandava la legge Michea
trasmette la speranza che i campi possano finalmente essere restituiti ai
loro antichi proprietari, i contadini, a coloro che con disprezzo erano stati
definiti dagli accaparratori di terreni “infedeli”, “non credenti”,
“trasgressori”. Però Dio vede le cose in maniera molto diversa. Che i
latifondisti perdano il loro terreno non è una ingiustizia, e nemmeno una
disgrazia per il paese. Si tratta semplicemente di una redistribuzione a
beneficio di tutto il popolo, nello stile delle Assemblee dell'anno del
Giubileo (Lev 25). Miche a annuncia un futuro migliore per tutti quelli che
hanno perso le loro terre, apre una porta alla speranza dei senza terra,
parlando loro di una nuova redistribuzione del paese. Dietro di lui c'è
l'esperienza della sofferenza e della speranza del suo popolo.
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Vediamo Isaia:
•“Guai a quelli che aggiungono casa a casa, che uniscono campo a campo,
finché non rimanga più spazio, e voi restiate soli ad abitare nel paese!
Questo mi ha detto all'orecchio il SIGNORE degli eserciti: «In verità case
numerose saranno desolate, queste case grandi e belle saranno private
d'abitanti; dieci iugeri di vigna non daranno che un bato, e un comer di
seme non darà che un efa». Questo testo viene a continuazione del Canto
della Vigna. Si tratta di una serie di maledizioni, tra le quali il latifondismo
appare come il primo “lamento” di Dio, la prima sgridata da parte del suo
amore offeso. Metter su casa su casa, campo su campo è la prima “uva
amara” che Dio riceve come offerta per il suo amore che si prende cura del
suo popolo.
•Isaia non parla della sofferenza dei contadini spogliati delle loro terre.
Non sa dare loro la speranza di una nuova redistribuzione dalla terra. Per
lui, il castigo di Dio si limita alla rovina economica dei latifondisti. Però
non vede che i latifondisti devono perdere almeno parte dei loro
possedimenti come unico cammino perché la terra possa bastare per tutti.
I due vedono con chiarezza che l'accaparramento delle terre offende
gravemente Dio, e che ciò non rimarrà senza castigo. Però Michea arriva
più a fondo nella sua visione della realtà evede un orizzonte di speranza per
coloro che la terra non l'hanno, cosa a cui Isaia non aveva prestato
attenzione. A ciò che Isaia chiama “compera”, Michea chiama “furto”. Per
questo la loro visione del futuro è diversa.
Senza alcun dubbio, il dolore sofferto sulla propria pelle fa vedere più
profondamente e più lontano che la mera contemplazione della realtà
dall'esterno.
Preghiamo:
Grazie Signore, perché ci sono contadini che conoscono con chiarezza il
tuo progetto sulla terra
Sii benedetto, perché alcuni contadini sanno denunciare con forza le
ingiustizie.
Crediamo con fermezza che non ti piacciono i culti religiosi di coloro che
commettono ingiustizie.
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Perdonaci Signore per quando siamo codardi nel denunciare le ingiustizie.
Ti preghiamo perché, Signore, tra noi possano sorgere (ri-sorgere)
contadini profetici.
Per la riflessione personale:
1.nella mia realtà quotidiana sono disposto a condividere “la mia terra” con
i più poveri del mio quartiere/scuola/lavoro?
2.Sono disposto a mettermi in gioco affinché tutti abbiano la possibilità di
accedere alle risorse principali? Come?
3.Cosa vuol dire per me “perdere qualcosa” perché gli altri possano avere il
necessario? Cosa c'è di sovrabbondante o di superfluo nella mia vita?
4.Sono capace di schierarmi dalla parte dei più poveri e sfruttati per essere
segno della presenza di Dio che continua a lottare per il suo popolo?
5.Guardando alla mia vita, da che parte mi metto? Dalla parte del
latifondista o da quella del senza terra? E il mio sguardo è quello di Michea
o di Isaia?
6.Quali sentimenti albergano dentro di me pensando a questo tipo di
ingiustizie? Come mi comporterei sei mi trovassi al posto dei senza terra?
7.Cosa vuol dire per me oggi essere un profeta e portatore di speranze per i
crocifissi della storia?
Appendice: Testi di critica sociale nei libri profetici
•Is. 1,10-17; 1,21-26; 2,6-8; 3,1-12; 3,13-15; 3,16-24; 5,1-7; 5,8-24;
9,7-20; 10,1-4; 28,1-4; 28,16-17a; 29,19-21; 56,10-57,2; 58,1-12; 59.
•Ger. 2,34; 5,26-29; 6,6-7; 7,1-15; 22,13-17.
•Ezech. 18; 22,1-16; 34,1-22.
•Am. 2,6-16; 3,9-11; 4,1-3; 5,7.10-12; 6,1-7; 8,4-7.
•Mic. 2,1-11; 3,1-12; 6,9-16.
•Mal. 3,1-15.
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VENERDI 06 AGOSTO
L'OPERAIO DELL'ULTIMA ORA
(Mt 20,1-16)
Lettura del testo biblico
Per inserire il brano nel suo contesto
Questo brano ci pone all'interno della sezione del Vangelo di Matteo, che
precede direttamente i racconti della passione, morte e risurrezione di
Gesù. Questa sezione inizia in 19, 1, dove si dice che Gesù lascia
definitivamente il territorio della Galilea per recarsi nella Giudea, dando
inizio al suo cammino di avvicinamento a Gerusalemme e si conclude in
25, 46, col quadro sulla venuta e il giudizio del Figlio di Dio. Più in
particolare, il capitolo 20 ci colloca ancora lungo il percorso di Gesù verso
la città santa e il suo tempio, in un contesto di ammaestramento e di
polemica con i sapienti e i potenti del tempo, che egli realizza attraverso
parabole e incontri.
Infatti.. La Parabola si apre con una particella connessiva, "infatti", che è
molto importante, perché ci rimanda al versetto che precede (Mt;19,30: il
ricco, il cammello e la cruna), dove Gesù afferma che "i primi saranno
ultimi e gli ultimi primi", con le stesse parole che ripeterà alla fine di
questa parabola. Parole, dunque, importantissime, fondamentali, che
vogliono indicare la direzione da prendere. Gesù ci indica il cammino del
Regno di Dio, il regno dei cieli; Lui traccia la strada del mondo nuovo, nel
quale siamo invitati ad entrare. Ma il suo è un mondo rovesciato, dove la
nostra logica di potenza, guadagno, ricompense, abilità, accaparramento
sforzo, è sconfitta e sostituita da un'altra logica, quella della gratuità
assoluta, dell'amore misericordioso e sovrabbondante. Questo è il progetto
che Dio ha dell’umanità.
Il Padrone di casa
Gesù si paragona, qui, a un padrone di casa, utilizzando una figura
particolare, che ritorna più volte nei vangeli. Seguiamola, stando attenti
alle caratteristiche che essa presenta e cercando di verificare qual è il
proprio rapporto con Lui. Il padrone di casa è il padrone della vigna, che si
prende cura di essa, circondandola con un muro, scavando in essa un
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frantoio, coltivandola con amore e fatica, perché possa dare i migliori
frutti. È il padrone di casa che offre una grande cena, facendo molti inviti,
chiamando alla sua tavola i più derelitti, gli storpi, gli zoppi, i ciechi. È
colui che torna dalle nozze e che noi dobbiamo aspettare vegliando, perché
non sappiamo l'ora. È il padrone di casa partito per un viaggio, che ci ha
ordinato di vigilare, per essere pronti ad aprirgli, non appena torna e bussa,
alla sera, o a mezzanotte, o al canto del gallo, o al mattino. Ma è necessario
che ciascuno di noi sappia mettersi in attesa, come gli operai sfaccendati
nella piazza che Dio chiama ad ogni ora, come se avesse Lui deciso la
nostra ora, in cui forse non mettevamo nessuna speranza. Oppure stiamo
dormendo, appesantiti da mille altri interessi, schiavizzati da altri padroni
di casa, diversi e lontani da Lui?
La vigna e gli operai
Nella figura della vigna, apparentemente semplice e quotidiana, la Scrittura
condensa una realtà molto ricca e profonda, sempre più densa di
significato, mano a mano che i testi si avvicinano alla rivelazione piena in
Gesù. Per amore della vigna, Nabot, un semplice suddito del corrotto re
Acab, perde la vita. Lo abbiamo visto mercoledì Dunque la vigna
rappresenta il bene più prezioso, l'eredità della famiglia, per certa parte,
l'identità stessa della persona; non la si può svendere, cedere ad altri,
barattare con altri beni, che non riuscirebbero a eguagliarla. Essa nasconde
una forza vitale, spirituale: l’uva, il vino del sacrificio Isaia nel capitolo 5
ci dice chiaramente che sotto la figura della vigna è significato il popolo di
Israele: con questo popolo il Signore ha sigillato da un'alleanza
inviolabile;lo abbiamo visto ieri Lui se ne prende cura, proprio come
farebbe un vignaiolo con la sua vigna, facendo di tutto perché essa possa
dare i frutti più belli. Israele siamo ognuno di noi, tutta la Chiesa è questa
terra stremata: il Padre l’ha trovata come terra desolata, riarsa, devastata,
ingombrata dai sassi e l’ ha coltivata, vangata, concimata, irrigata ad ogni
istante.
In Gesù il Signore si è fatto vigna Egli stesso; è diventato la vite vera, di
cui noi siamo i tralci; si è unito a noi, così come la vite è unita ai suoi
tralci. Il Padre, che è il vignaiolo, continua la sua opera d'amore in noi,
perché portiamo frutto e pazientemente aspetta; Lui pota, Lui coltiva, ma
poi invia noi a lavorare, a raccogliere i frutti da offrirgli. Siamo inviati al
suo popolo, ai suoi figli, quali figli noi stessi, quali suoi discepoli; non
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possiamo tirarci indietro, rifiutare, perché siamo stati fatti per questo:
perché andiamo e portiamo frutto e il nostro frutto rimanga.Il testo ripete
più volte i verbi “mandare”, “andare”: entrambi sono rivolti proprio a noi,
ci toccano nel profondo, ci chiamano e ci mettono in movimento. La
risposta che danno gli ultimi lavoratori al suo invito (“nessuno ci ha
ingaggiati”) fa pensare a tanti, giovani e meno giovani, disoccupati non
solo nel lavoro remunerato, quanto nel lavoro per costruire una vita
solidale. Sono tanti i nostri giovani disoccupati in questo senso: disillusi o
soggiogati dal consumismo, che si ripiegano su se stessi , esecutori e
vittime allo stesso tempo. Forse dobbiamo dire che sono così anche perché
"nessuno li prende a giornata". Ma sono anche tanti adulti in balia solo del
proprio egocentrismo, senza che nessuno li richiami alla responsabilità
verso gli altri.
Eppure quanti giovani e non continuano a vivere le ingiustizie nelle terre
in Rondonia (Brasile) dove 40.000 famiglie di agricoltori non hanno
terra per coltivare. 20 gruppi indigeni sono minacciati nella loro cultura
e sopravvivenza; ciò rappresenta una situazione di ingiustizia sociale
assurda e opprimente.
La promessa: un danaro
Il padrone della vigna stabilisce come ricompensa del lavoro della giornata
un denaro: ai tempi di Gesù un denaro era il guadagno minimo giornaliero
che permetteva ad una famiglia di mangiare e di vivere degnamente.
Gesù non vuole impartire una lezione di giustizia sociale, né presentare un
bravo padrone di questo mondo che ricompensa secondo le prestazioni
date. Egli presenta un personaggio assolutamente eccezionale, il quale
tratta i suoi sottoposti al di fuori delle regole legalitarie. Gesù vuole
mostrare l'agire del Padre, la sua bontà, la sua magnanimità, la sua
misericordia, che superano il comune modo di sentire degli uomini. E lo
superano davvero quanto il cielo dista dalla terra, come scrive Isaia.
Purtroppo, ancora oggi, la bontà e misericordia creano mormorazione e
scandalo. Ma non è che Dio distribuisca a capriccio la sua ricompensa,
donando a chi più e a chi meno. Dio non fa ingiustizia. È la larghezza della
sua bontà che lo spinge a donare a tutti secondo il loro bisogno.
La giustizia di Dio non opera con un astratto principio di equità, ma sul
bisogno dei suoi figli. C'è qui una grande sapienza. E la ricompensa data a
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tutti è la consolazione che viene dall'essere chiamati a lavorare per la vigna
del Signore, non importa se si è da tanto o da poco tempo nella vigna.
La mormorazione, il brontolio
Parole importantissime, vere e tanto presenti nella nostra esperienza di vita
quotidiana; non possiamo negarlo: abitano anche il nostro cuore, i nostri
pensieri, a volte ci tormentano, ci sfigurano, ci stancano profondamente, ci
allontanano da noi stessi, dagli altri, dal Signore perché in mezzo a quegli
operai che si lamentano e brontolano, mormorando contro il padrone, ci
siamo anche noi.
Il rumore della mormorazione viene da molto lontano, ma ugualmente
riesce a raggiungerci e si insinua nel nostro cuore; Israele nel deserto ha
mormorato pesantemente contro il suo Signore e noi abbiamo ricevuto in
eredità quei pensieri, ed ancora dubitiamo sulla sua capacità di nutrirci, di
condurci avanti, di proteggerci.
Mormorare significa non ascoltare la voce del Signore, non credere più al
suo amore per noi. Allora ci scandalizziamo, ci irritiamo fortemente contro
il Signore misericordioso e ci indigniamo contro il suo modo di agire e
vorremmo cambiarlo, rimpicciolirlo secondo i nostri schemi. Se ascoltiamo
bene, queste sono le mormorazioni segrete del nostro cuore.
San Pietro ci suggerisce di praticare l'ospitalità senza mormorare! Solo
l'ospitalità, cioè l'accoglienza possono, pian piano, cambiare il nostro cuore
e renderlo capace di portare dentro di sé le persone, le situazioni, le realtà
che incontriamo nella vita. Dobbiamo imparare ad accogliere, prima di
tutto, il Signore Gesù, così com'è, col suo modo di amare e di rimanere, di
parlarci e cambiarci, di aspettarci e attirarci. Accogliere Lui e accogliere
chi ci sta accanto, chi ci viene incontro; solo questo movimento può
sconfiggere l'indurimento della mormorazione.
A chi è in rivolta, il Padrone si rivolge non solo chiamandolo "amico", ma
facendogli notare che, quanto a giustizia, non c'è proprio nulla da eccepire.
Gli è stato dato, fino all'ultimo centesimo, quello che era stato pattuito.
Se è vero che istintivamente tutti ci sentiamo solidali con gli operai della
prima ora perché ci sembra che il padrone stia commettendo
un'ingiustizia... dall'altro lato, se al centro mettiamo quell'uomo concreto,
un povero bracciante disoccupato, che non sa come far quadrare i conti di
fine mese, con i suoi figli – che come i nostri – hanno fame e hanno
bisogno di tutto, allora forse la nostra mormorazione si trasformerà in
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consenso. La bontà va oltre la giustizia. La giustizia non basta per essere
uomini. Tanto meno basta per essere Dio. Neanche l’amore è giusto, è
un’altra cosa, è di più.
Se, come Lui, metto al centro non il denaro, ma l’uomo; non la produttività, ma la persona; se metto al centro quell’uomo concreto, quello
delle cinque del pomeriggio, un bracciante senza terra e senza lavoro, con i
figli che hanno fame e la mensa vuota, allora non posso contestare chi
intende assicurare la vita d’altri oltre alla mia.
Dio è diverso, ma è diversa pienezza. Non è un Dio che conta o che sottrae,
ma un Dio che aggiunge continuamente un di più. Che intensifica la tua
giornata e moltiplica il frutto del tuo lavoro. Non fermarti a cercare il
perché dell’uguaglianza della paga, è un dettaglio, osserva piuttosto l’accrescimento, l’incremento di vita inatteso che si espande sui lavoratori.
Se cuore di Dio cerchiamo un perché capiamo che le sue bilance non sono
quantitative, davanti a Lui non è il mio diritto o la mia giustizia che
pesano, ma il mio bisogno.
Allora non calcoliamo più i nostri meriti, ma contiamo sulla sua bontà. Dio
non si merita, si accoglie.
- Siamo capaci di accogliere questo Dio?
- Davanti alle ingiustizie quale è il nostro atteggiamento?
- Corriamo il rischio di aderire ad iniziative a favore dei più disagiati
e contemporaneamente perpetuiamo un “sistema ingiusto” con le
nostre piccole scelte quotidiane, a causa di un rapporto perverso
con i beni della terra e con la natura?
Conclusione preghiera
Ti dispiace che io sia buono? – No, Signore, non mi dispiace, perché sono
l’ultimo bracciante e tutto è dono. No, non mi dispiace perché so che verrai
a cercarmi anche se si sarà fatto tardi. Non mi dispiace che tu sia buono.
Anzi. Sono felice che tu sia così, un Dio buono che sovrasta le pareti
meschine del mio cuore fariseo, affinché il mio sguardo opaco diventi
capace di gustare il bene. Dio Padre Tu non ti stanchi di chiamarci tutti, in
ogni ora della nostra vita, e nella comunione con Te vuoi che, tutti con pari
dignità, abbiamo quanto ci è necessario per la vita.
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SABATO 07 AGOSTO
LA PARABOLA DEL SEMINATORE (Mc 4)
Disse: “Uscì un seminatore per seminare; nel gettare il seme, parte di esso cadde
lungo la via; vennero gli uccelli e lo mangiarono. Parte cadde in un suolo
roccioso dove non c’era molta terra; e così per mancanza di terreno profondo
nacque subito; ma al sorgere del sole rimase bruciato e, non avendo radici,
seccò. Parte cadde fra le spine; ma queste, crescendo, lo soffocarono. Infine, una
parte cadde su terreno buono, tanto da dar frutto dove il cento, dove il sessanta,
dove il trenta. Chi ha orecchi, intenda» (Mt. 13, 3a - 9)
Con quattro brevi narrazioni il testo interpreta il significato di quattro diversi tipi
di terreno dove il seme della Parola del Regno viene sparso. Essi non
rappresentano categorie di persone, ma atteggiamenti possibili in ogni individuo
di fronte alla Parola. Non esistono individui predestinati né predisposizioni che
determinino l’accoglienza o il rifiuto del Vangelo. La mancata penetrazione del
Vangelo nel cuore degli uomini e la scarsità dei frutti, non dipende né dal seme né
dal seminatore, ma dal tipo di terreno, cioè da come la Parola riesce a fruttificare
nel cuore e nella vita dell’uomo .
Dapprima il seme incontra il terreno duro. Rappresenta coloro che hanno fatto
dell’arrivismo il proprio stile di vita, che rimangono indifferenti ed apatici, che
magari hanno accolto il cristianesimo, ma non ne hanno capito il significato, né
l'importanza, né la responsabilità. Sono i battezzati non convertiti, i cristiani di
nome e per tradizione, gli analfabeti della fede.
Il suolo roccioso dove c’è poca terra sono le persone prese dai facili entusiasmi,
presi da mille iniziative e dalle facili febbri spirituali ma, passata la momentanea
febbre, di fronte alla fatica e alla prima crisi si molla tutto, bruciando la possibilità
di crescita. Durano fintanto che il messaggio coincide con le loro aspettative e i
loro scopi. Accettano il messaggio di Gesù, ma non le sue conseguenze; esso non
penetra in loro modificando la concezione di vita né la scala dei valori.
Il seme caduto fra le spine è quello che potrà dare vita ad una pianta, ma mentre
essa sta crescendo gli ostacoli pian piano la soffocano. Matteo identifica gli
ostacoli con le ricchezze, con l’eccessiva attenzione alle preoccupazioni
quotidiane, alle difficoltà economiche, a tutti quegli ostacoli, spine, che non
permettono alla Parola di dare frutto, che quindi rimane soffocata. Incentrarsi sui
propri interessi, senza aprirsi alla generosità e alla condivisione comporta la morte
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della Parola.
La terra buona. E’ quella che darà buoni frutti, di chi accoglie il messaggio, di chi
è chiamato a sviluppare tutte le sue capacità, a realizzarsi in pienezza sino a
diventare benedizione per gli altri. E' necessario dunque che la Parola trovi la
terra; se c'è. sprigiona una vitalità e un'energia che Matteo identifica subito con il
massimo, il “cento”. Se un seme rendeva dieci grani era già un buon risultato,
trenta è un risultato più che ottimo, cento significa la totale trasformazione del
seme.
La parabola insegna che Gesù non è un idealista, un sognatore, sa che c'è un
grande spreco a monte di ogni buon raccolto. L'invito è alla fiducia, a continuare
nella proclamazione del Regno che Gesù ha iniziato, indipendentemente dagli
insuccessi cui si andrà incontro. Seminare comporta un atto di fede nel seme e
nella terra. Bisogna avere fiducia e anche rispetto per il terreno dove va a finire,
cioè verso chi accoglie la parola del Vangelo. Non siamo autorizzati a chiuderci in
una cerchia d'amici e di "benpensanti", ma dobbiamo tenerci aperti a qualsiasi
persona. Si può ipotizzare che si tratti di tre successive seminagioni; tre
infruttuose, una riuscita. Dopo “tre” fallimenti, la parabola invita a riprovare
ancora.
1. Dobbiamo essere certi che la parola sarà accolta. Sono i piccoli, i poveri, i
peccatori coloro che l’accolgono. Cosa significa questo per noi? C’è
2. l’insuccesso dell’annuncio! Sappiamo vedere e lodare il progetto di Dio,
come faceva Gesù; oppure ci scandalizziamo? Continuiamo ad
annunciare? A chi?
2. L’esperienza di fede è accompagnata da fatiche di crescita, se non proprio
da defezioni. Sappiamo tenere a bada le preoccupazioni? Sappiamo
smascherare l’inganno della ricchezza? Le difficoltà/persecuzioni ci
allontanano dalla parola? Ci avvicinano di più ad essa? …
Anna Rita e Angelo
Campo di lavoro
S. Giuseppe Jato 2010
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