549-551_art irlanda:Layout 2
Transcript
549-551_art irlanda:Layout 2
549-551_art irlanda:Layout 2 30-09-2011 10:46 Pagina 549 Violenza sui minori I R L A N DA - S A N TA S E D E p referire la verità S olo pochi mesi fa qui nella pro-cattedrale di Dublino celebravamo una liturgia del lamento penitenziale (cf. Regno-att. 6,2011,159; Regno-doc. 7,2011,224), ripensando alle sconvolgenti violenze d’ogni genere compiute su minori da sacerdoti e religiosi in questa diocesi (...). Per me è stato un momento di speranza. La liturgia era stata preparata da sopravvissuti alle violenze e alcuni di essi sono stati parte attiva nella sua conduzione. Coraggiosamente, uomini e donne che avevano subìto violenze hanno espresso il proprio dolore e le proprie speranze. Ritengo sia stato un momento che ha contribuito alla guarigione di molti e ha dato loro una rinnovata fiducia di sé e un sentimento di rinnovata speranza nella Chiesa che non aveva creduto loro o, addirittura, che li aveva traditi. A quella liturgia ho visto molti volti noti in lacrime; ne ho notati altri, il cui nome non saprò mai, seduti da soli, in silenzio, tristi. Il mio primo pensiero leggendo il Rapporto Cloyne è riandato subito a quella liturgia e a coloro che l’avevano organizzata e vi avevano preso parte. Mi sono chiesto: che cosa stanno pensando oggi? Si stanno domandando se tutta la liturgia non sia stata solo un vuoto spettacolo? Se erano stati sfruttati per rilanciare l’immagine della Chiesa? Le loro rinnovate speranze erano solo un’altra delusione data da una Chiesa che sembra incapace di riformare se stessa?». Sono le parole che mons. Diar- Il Rappor to Cloyne, le reazioni del gover no, la risposta vaticana muid Martin, arcivescovo di Dublino e primate d’Irlanda, ha pronunciato in un’omelia il 17 luglio, quattro giorni dopo che è stato reso noto il rapporto d’indagine sulla diocesi di Cloyne, guidata dal 1987 sino al marzo 2009 da mons. John Magee, già segretario personale di tre papi, Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II.1 Sono 19 i casi presi in esame dalla medesima commissione che si era occupata anche della diocesi di Dublino; il mandato chiedeva d’analizzare come le denunce di violenze erano state gestite sia dallo stato sia dalla Chiesa nel lasso di tempo tra il 1o gennaio 1996 e il 1o febbraio 2009. A parte 4 sacerdoti nel frattempo deceduti, gli altri 15 sono tutti rimasti nel ministero. Il rapporto ha concluso che nonostante mons. Magee abbia dichiarato di aver dato seguito alle normative della conferenza episcopale – contenute nel Framework document – approvate nel 1996, egli ha avuto uno «scarso interesse nel gestire i casi di violenze sessuali su minori sino al 2008, ossia 12 anni dopo che il Framework document era stato adottato». Al suo posto se ne occupava il vicario generale, mons. O’Callaghan, ossia la persona che per prima nel 1997 aveva espresso apertamente riserve sul testo, in particolare laddove esso sottolineava la necessità di riferire alle autorità civili i fatti di cui il vescovo fosse venuto a conoscenza. Non solo. In una lettera citata dal Rapporto, mons. O’Callaghan ha dichiarato d’essere preoccupato che si «compromettesse seriamente la relazione con il sacerdote che veniva accusato», mettendo chiaramente in secondo piano la tutela delle vittime. In questo modo nella diocesi «le procedure stabilite nei protocolli della Chiesa per affrontare le accuse di violenza sessuale su minori nel periodo preso in considerazione (…) non sono state messe in opera» – ha rimarcato l’attuale amministratore apostolico della diocesi, mons. Dermot Clifford. E questo in un tempo a noi vicino. Così ha preso corpo uno dei sentimenti più difficilmente governabili: la rabbia. Da parte della gerarchia locale, ha detto mons. Martin nella medesima omelia, perché l’impegno di tanti – clero e laici – profuso almeno dal 1996 in poi è stato vanificato da qualcuno che si riteneva fuori e al di sopra del regime di salvaguardia nel quale la propria diocesi e i vescovi irlandesi si erano impegnati a stare. «Paradossalmente, appellandosi a una propria interpretazione del Codice di diritto canonico [queste persone] si sono persino poste al di sopra e oltre le norme che l’attuale papa stesso ha promulgato per la Chiesa intera». Rabbia, inoltre, nel prendere atto che purtroppo nella Chiesa vi è ancora chi «preferirebbe che la verità non venisse fuori», affermazione per la quale qualche anno fa sempre Martin era stato aspramente criticato. Dal risentimento alla crisi diplomatica Il culmine però dell’espressione di questo sentimento l’ha raggiunto il IL REGNO - AT T UA L I T À 16/2011 549 549-551_art irlanda:Layout 2 30-09-2011 10:46 Pagina 550 Mons. Diarmuid Martin. giovane (e cattolico) primo ministro irlandese in un infuocato discorso tenuto alla Camera bassa del Parlamento il 20 luglio. Enda Kenny ha infatti definito le conclusioni di questo rapporto «di diverso ordine. Infatti per la prima volta in Irlanda un rapporto sulle violenze sessuali su minori manifesta un tentativo da parte della Santa Sede di far fallire un’indagine in una repubblica sovrana e democratica e questo tre anni fa, non trent’anni fa. E nel fare questo il Rapporto Cloyne porta alla superficie disfunzioni, disconnessioni, elitarismi… e il narcisismo che domina la cultura vaticana ai nostri giorni. La violenza sessuale e la tortura di minori sono state declassate o gestite per 550 IL REGNO - AT T UA L I T À 16/2011 sottolineare invece il primato dell’istituzione, il suo potere, il suo status, la sua reputazione. Invece d’ascoltare le testimonianze di umiliazione e di tradimento con “l’orecchio del cuore” di san Benedetto… la reazione del Vaticano è stata quella di parcellizzare e d’analizzare tutto con l’acribia del canonista». Per non parlare – secondo Kenny – del fatto che i sacerdoti accusati sono ancora nel ministero; addirittura uno avrebbe celebrato le nozze della propria vittima. Quando poi il ministro ha esaltato la superiorità morale delle leggi della Repubblica irlandese a difesa dei minori rispetto alle leggi canoniche, «che non hanno né legittimità né spazio nelle questioni di questo paese»; quando ha chiuso il suo discorso piegando un passaggio della Donum veritatis, firmata nel 1990 dall’allora card. Ratzinger, a riprova che la Santa Sede ritiene che la legge canonica possa prescindere da quella civile, allora è divenuto chiaro che, oltre il sentimento e la retorica, si è aperta una breccia per un disegno politico di matrice anticlericale e laicista. Il medesimo che guida tutti coloro che, a partire dalla rabbia e dal dolore delle vittime, istruiscono improbabili cause legali contro il papa (assieme ai cardd. Levada, Bertone e Sodano) presso la Corte penale internazionale, come è avvenuto a metà settembre. Di uguale tenore è stata la boutade del ministro irlandese della Giustizia, Alan Shatter, che ha chiesto una legge che obblighi i sacerdoti a riportare alle autorità giudiziarie le notizie di reato di cui vengono a conoscenza durante la confessione. Nel frattempo il nunzio in Irlanda, mons. Giuseppe Leanza, ha incontrato il vice primo ministro e ministro degli Esteri, Eamon Gilmore, che gli ha consegnato copia del Rapporto Cloyne e ha chiesto formalmente alla Santa Sede una risposta. Anche in questa occasione il ministro ha ribadito l’idea che «le autorità vaticane avessero ostacolato gli sforzi della Chiesa d’Irlanda». Così la Santa Sede il 25 luglio ha deciso di richiamare il nunzio a Roma; due giorni dopo, il 27, le due Camere del Parlamento hanno approvato una mozione sul Rapporto nella quale si «deplora l’intervento del Vaticano che ha contribuito a ostacolare» le azioni sia dello stato sia dei vescovi irlandesi. A questo punto si è rischiato l’incidente diplomatico. La risposta L’estate ha in parte sopito le polemiche e ha dato modo alla Santa Sede di stendere un’articolata risposta, presentata dal sottosegretario per i rapporti con gli stati, mons. Ettore Balestrero, all’ambasciata irlandese presso la Santa Sede il 3 settembre. In apertura due considerazioni fondamentali: da un lato, «la Santa Sede desidera riaffermare, innanzi- 549-551_art irlanda:Layout 2 30-09-2011 tutto, il proprio orrore verso i crimini di violenza sessuale che sono avvenuti nella diocesi, come d’altronde per quelli avvenuti nelle altre diocesi irlandesi». Dall’altro, prende atto delle «gravi mancanze nel governo della diocesi e il trattamento inadeguato delle accuse di violenza. È particolarmente inquietante che tali mancanze siano potute accadere nonostante i vescovi e i superiori religiosi avessero assunto l’impegno di applicare le linee guida sviluppate dalla Chiesa in Irlanda per garantire la protezione dei minori, e nonostante le norme e le procedure della Santa Sede relative ai casi di violenza sessuale». Nel prosieguo del corposo documento (che consta di ben 70.000 caratteri; la nostra traduzione integrale su uno dei prossimi numeri de Il Regno-documenti), si analizzano con meticolosità tre grandi questioni: per prima la lettera del gennaio 1997 nella quale il nunzio del tempo – mons. Luciano Storero – informava i vescovi irlandesi della reazione della Congregazione per il clero (guidata allora dal card. Dario Castrillón Hoyos) sul Framework document. In essa si evidenziavano le differenze tra il diritto canonico e quello civile e in particolare la vexata quaestio delle modalità con cui le autorità ecclesiastiche possono/debbono o meno riferire all’autorità giudiziaria dei casi di cui vengono a conoscenza. D’altra parte, nota la risposta vaticana, l’obbligatorietà della denuncia per le violenze sessuali non esisteva neppure per lo stesso diritto civile irlandese e se ne è parlato per la prima volta tra il 1996 e il 1997. Poi la ricostruzione della genesi del Framework document e un rapido excursus sul meccanismo della recognitio, punto in cui la lettera entra nel merito del rapporto tra conferenze episcopali e sede apostolica e sul diverso livello di normatività dei documenti prodotti dalle une o dall’altra. Il documento degli irlandesi non ebbe una recognitio per il semplice fatto che non la chiese, non altro. E questo va letto – afferma – anche «nel contesto della decisione della Santa Sede del 1996 di estendere all’Irlanda le normative particolari che erano già 10:46 Pagina 551 state concesse ai vescovi degli Stati Uniti nel 1994»: e cioè l’allargamento della prescrizione fino a 10 anni dopo la maggiore età della vittima e l’innalzamento dell’età per definire il delitto di violenza sessuale da 16 a 18 anni della vittima (cf. Regno-doc. 15,2010,457). Infine le attuali normative vaticane, volute con molta forza da papa Benedetto XVI sin da quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede; su di lui la lettera compie un’ultima precisazione: non si può citare – come ha fatto il ministro Kenny – il passo della Donum veritatis (1990) a firma dell’allora card. Ratzinger, dove si dice che non si possono applicare alla Chiesa, «puramente e semplicemente, dei criteri di condotta che hanno la loro ragion d’essere nella società civile o nelle regole di funzionamento di una democrazia» (n. 39; EV 12/299). Esso si riferisce «al servizio del teologo alla comunità ecclesiale (…) e non al modo in cui la Chiesa dovrebbe agire in una società democratica in senso ampio e nemmeno alle questioni della protezione dei minori». Il documento ha quindi gioco abbastanza facile nel dimostrare che la Santa Sede in quanto tale non ha ostacolato il lavoro della Commissione d’inchiesta né quello della locale conferenza episcopale; che a partire dal 2001 la Santa Sede si è dotata di strumenti più efficaci per rispondere alla crisi delle violenze sessuali, quantificando (cf. l’intervista al promotore di giustizia della Santa Sede, mons. A. Scicluna, in Regno-att. 7,2010,196) in 3.000 i casi che tra il 2001 e il 2010 la Congregazione per la dottrina della fede ha trattato di sacerdoti diocesani e religiosi accusati di violenze sessuali commesse lungo 50 anni. La risposta vaticana sarà riuscita a convincere gli irlandesi? In prima battuta il ministro Gilmore ha detto che essa getta «basi su cui possiamo costruire»; poi ha aggiunto: «alcune delle argomentazioni (…) sono molto tecniche e concentrate su tematiche giuridiche», mentre il governo è più preoccupato del benessere dei minori. Inoltre, esiste un «senso di tradimento che è stato avvertito dal popolo irlan- dese su questo argomento» anche per la «particolare posizione di cui gode la Chiesa cattolica in questo paese». La Santa Sede, ribattendo punto su punto con pacatezza e precisione, ha difeso il proprio operato, anche se la crisi di credibilità della Chiesa provocata dalle rivelazioni sulle violenze lascia ancora aperto un interrogativo: perché? Perché è stato possibile che in tanti anni una diocesi abbia potuto essere così governata senza che ciò concretizzasse un intervento da parte di Roma, se non le dimissioni chieste nel 2009, a cose ormai compiute? Sicuramente oggi esistono linee di condotta per i casi di violenza sessuale migliori rispetto al passato; ma il fatto che sia incerto il come applicarle configura la necessità di un ulteriore approfondimento sul rapporto tra vescovo, conferenza episcopale e sede apostolica. Il fatto poi che in un paese di forte tradizione cattolica si sia aperta una discussione – per quanto in alcuni tratti urlata e sgrammaticata – sui rapporti tra stato e Chiesa, fa della questione della violenza sui minori un crocevia a cui né stato né Chiesa si possono sottrarre. In esso sono in campo più direzioni: oltre a quella intraecclesiale anche quella di un rinnovato rapporto tra le istituzioni. Se si attraversa l’incrocio senza rispettare le precedenze o guidando distrattamente, l’incidente è quasi una certezza. Maria Elisabetta Gandolfi 1 Con il Rapporto Cloyne, sono quattro i rapporti relativi alle violenze compiute all’interno di istituzioni della Chiesa cattolica irlandese. Il primo risale al 2005 e ha riguardato la diocesi di Ferns; il secondo è il Rapporto Ryan, sulle scuole «industriali» gestite da congregazioni cattoliche, reso noto nel maggio 2009 (cf. Regno-doc. 13,2009,436); il terzo è il Rapporto Murphy sulla diocesi di Dublino, reso noto nel novembre dello stesso anno (cf. Regnoatt. 22,2009,736). In seguito alla pubblicazione nel dicembre 2008 di un rapporto (Elliott Report) dell’organismo istituito a livello di conferenza episcopale per sovrintendere all’applicazione delle norme che essa si era data – il National Board of Safeguarding Children – il mandato della Commissione Murphy, dal nome del giudice che la presiedeva, è stato allargato alla diocesi di Cloyne. La pubblicazione del Rapporto uscito a luglio ha subito un forte rallentamento dovuto al fatto che per alcuni dei casi trattati era in corso il processo. IL REGNO - AT T UA L I T À 16/2011 551