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FRANCO DALLA SEGA
IL CONCETTO DI VALORE AGGIUNTO
NELLA DOTTRINA
ECONOMICO-AZIENDALE TEDESCA
Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolica
FRANCO DALLA SEGA
IL CONCETTO DI VALORE AGGIUNTO
NELLA DOTTRINA
ECONOMICO-AZIENDALE TEDESCA
Milano 2000
© 2000 I.S.U. Università Cattolica – Largo Gemelli, 1 – Milano
http://editoriale.cjb.net
ISBN 88-8311-076-5
INDICE
Presentazione ....................................................................................... 7
di Gilberto Mazza
Introduzione.......................................................................................... 9
CAPITOLO I
L’EVOLUZIONE DEGLI STUDI SUL BILANCIO
D’ESERCIZIO
1. Da una visione statica a un’interpretazione dinamica del
bilancio d’esercizio ................................................................... 13
1.1 L’interpretazione statica del bilancio di esercizio.............. 14
1.2 L’interpretazione dinamica del bilancio di esercizio ......... 15
1.3 Le nozioni statiche e dinamiche......................................... 20
2. Il concetto di reddito nel pensiero scientifico di Eugen
Schmalenbach ........................................................................... 22
2.1 Le nozioni affini di reddito ................................................ 22
2.2 Il reddito di esercizio nella Privatwirtschaft...................... 24
2.3 Il reddito di esercizio quale parte del reddito totale........... 25
2.4 Il reddito di esercizio come differenza tra capitale
iniziale e capitale finale ..................................................... 27
2.5 Il reddito di esercizio come differenza tra
“produzione” e “consumo” ................................................ 27
2.6 Le fonti del reddito di esercizio ......................................... 28
3. L’interpretazione di M. R. Lehmann ........................................ 29
3.1 Umzatz versus Absatz......................................................... 29
3.2 Il capitale............................................................................ 30
3.3 Il risultato di esercizio........................................................ 33
3
4. L’economia dei valori di H. Nicklisch ..................................... 36
4.1 Le fasi della gestione aziendale ......................................... 38
4.2 Le grandezze economiche costituenti il Wertumlauf ......... 39
CAPITOLO II
L’ECONOMICITÀ SOCIALE DELL’IMPRESA
E IL VALORE AGGIUNTO
1. Il valore aggiunto: possibili definizioni .................................... 43
2. Le diverse logiche di osservazione ........................................... 49
2.1 Aspetti macro-economici ................................................... 50
2.2 Aspetti economico-aziendali.............................................. 55
CAPITOLO III
LA DETERMINAZIONE DEL VALORE AGGIUNTO
1. Le metodologie di calcolo......................................................... 71
1.1 Il procedimento di calcolo del valore aggiunto.................. 72
1.2 La componente positiva del calcolo del valore aggiunto ................................................................................. 80
1.3 La componente negativa del calcolo del valore aggiunto ................................................................................. 83
1.4 Il valore aggiunto come risultato della differenza
tra la componente positiva e quella negativa ..................... 86
2. L’origine dei dati....................................................................... 89
2.1 Il calcolo del valore aggiunto in base alla contabilità industriale....................................................................... 89
2.2 Il calcolo del valore aggiunto in base alla contabilità generale .......................................................................... 91
2.3 Valore aggiunto lordo e valore aggiunto netto .................. 96
3. Il calcolo del valore aggiunto in alcuni settori.......................... 99
3.1 Il valore aggiunto nel settore commerciale ...................... 100
3.2 Il valore aggiunto nel settore bancario............................. 106
4. Il significato informativo del valore aggiunto ........................ 108
4.1 Nella produzione dell’impresa......................................... 109
4.2 Nella dimensione della stessa .......................................... 114
4.3 Quale indice di economicità e produttività ...................... 117
4.4 Valore aggiunto e distribuzione del reddito..................... 118
4
CAPITOLO IV
VALORE AGGIUNTO E RENDICONTO “SOCIALE”
1. Significato di un rendiconto non soltanto economico............. 125
2. Motivi per successive indagini................................................ 135
APPENDICE
1. Lo studio di un caso aziendale. La società XYZ..................... 139
2. Lo studio di un caso aziendale. L’impresa Migros ................. 162
Riferimenti bibliografici ................................................................... 167
5
PRESENTAZIONE
È comprensibile il compiacersi, di chi ha dedicato una vita
all’insegnamento, nel ritrovare alcuni suoi studenti che, dopo la laurea, siano andati a leggere alcuni dei libri segnalati alla loro attenzione per approfondire conoscenze di dottrina, avendo deciso di percorrere il non facile sentiero della ‘ricerca’ quale conquisitio e, nel
tempo disputatio, indagando fenomeni attinenti la realtà di una certa
disciplina. Franco Dalla Sega ha operato questa scelta, conseguendo
così il Dottorato di ricerca in Economia Aziendale, trascorrendo anche un biennio all’Università di Monaco di Baviera.
L’argomento oggetto di questa pubblicazione trova radici negli
studi sul valore condotti attorno a questa ‘entità’ nell’ambito
dell’economia delle imprese, soprattutto in quel tessuto di rigorosa
dottrina mitteleuropea, spesse volte soverchiata da una letteratura
d’Oltreoceano improntata (salvo ben conosciute e ben significative
eccezioni) da un diffuso e convinto pragmatismo.
Non posso non ricordare (mi si perdoni) un lavoro che ho pubblicato nell’ormai lontano 1969 sullo studio del valore nelle discipline
economiche di azienda (in generale) attingendo da molte fonti della
dottrina di lingua tedesca, fonti alle quali è riandato il nostro Autore,
arrivando a risultati ottenuti con acume, attraverso un filtro affatto
personale.
Se l’entità-valore è già di per sé di non facile ‘quantificazione’ (vi
si interpongono inevitabili giudizi di qualità), delineare delle aree di
incremento per motivate applicazioni è un problema che presenta ulteriori difficoltà. Si annoti – pur marginalmente – come la grandezza
del ‘valore aggiunto’ sia divenuta oggetto di rilievo persino
nell’ambito delle Amministrazioni pubbliche che, a livello europeo,
hanno ritenuto di applicare un’imposta per sostituire quella
‘sull’entrata’ palesatasi non equa poiché ‘a cascata’ (introducendo
7
però un’imposta sostanzialmente ‘a catena’ dove l’ultimo anello – il
consumatore finale – subisce il peso maggiore della stessa catena).
Il saggio di Franco Dalla Sega merita un apprezzamento per le
analisi che ha saputo condurre, svolgendole con rigore di metodo e
con la consueta chiarezza di linguaggio.
Nella convinzione che queste pagine saranno motivo di interessante lettura per chi si occupa di discipline economico-aziendali, mi auguro che l’Autore altre ne aggiunga con l’abituale suo impegno di lavoro.
Gilberto Mazza
Ordinario di Economia aziendale
Università Cattolica - Milano
8
INTRODUZIONE
La disciplina ragionieristica si è evoluta in primo luogo nel campo
delle tecniche contabili e, in seguito, nello studio delle operazioni
aziendali oggetto di misura di quelle tecniche, considerando quantità
monetarie denominate valori di conto o valori di negoziazione.
Il presente lavoro costituisce una “tappa” del percorso di studio del
valore nell’economia d’azienda intrapreso da chi scrive, che trova
origine nei primi anni universitari e che si è arricchito di premesse sistematiche in approfondimenti successivi. Grazie anche a un periodo
di studio svolto in occasione del dottorato di ricerca presso la Ludwig
Maximilians Universität di Monaco di Baviera, ci si è avvicinati al
pensiero di alcuni Autori di lingua tedesca che, nella prima metà del
XX secolo, pur non ignorando la funzione economico-privata
dell’impresa attuata a fini di lucro dall’imprenditore, hanno considerato la stessa sostanzialmente come uno strumento di produzione nella
società.
L’economicità sociale (Wirtschaftlichkeit) del Betrieb e non la sua
redditività rappresenta per tali Autori il principio di convenienza economica in nome del quale l’impresa dovrebbe essere gestita e giudicata. L’obiettivo per l’impresa è costituito dal raggiungimento
dell’economicità rappresentata non tanto da massimi livelli di profitto
o di redditività del capitale, ma da riduzioni nei costi unitari di produzione in modo da rendere possibile il contemporaneo accrescimento
della produzione, della remunerazione della forza lavoro e la diminuzione dei prezzi di vendita. L’economicità così definita è condizione
necessaria e sufficiente per il conseguimento di una congrua redditività, mentre non è detto valga l’affermazione inversa. Il reddito del Betrieb dovrebbe esprimere l’efficienza dello stesso rispetto
all’economia collettiva e non all’economia privata dell’imprenditore;
costi e prodotti del Betrieb andrebbero quindi misurati sulla base del
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loro valore “economico-sociale” anziché in base ai prezzi negoziati
che determinano a loro volta i costi e i ricavi.
Dato che l’economicità sociale del Betrieb costituisce per tali Autori il principio di convenienza economica, il risultato d’esercizio dovrebbe essere determinato a sua volta sulla base di principî e criteri di
valutazione ispirati alla Wirtschaftlichkeit. Il risultato d’esercizio dovrebbe esprimere il “plusvalore” (Mehrwert) che scaturisce dal confronto tra la ricchezza consumata dalla collettività e quella prodotta e
destinata alla collettività stessa. Si intravedono in questo concetto le
caratteristiche fondamentali del “valore aggiunto”, che può essere definito come la differenza tra quanto l’impresa ha prodotto nell’arco di
tempo considerato e quanto ha consumato, ovvero utilizzato in termini
di beni e servizi apportati da terze economie; il rendiconto che ne
quantifica l’ammontare individua nel contempo anche la sua distribuzione fra le categorie di aventi diritto. Il valore aggiunto costituisce
altresì “l’anello di congiunzione” tra la contabilità d’impresa e la contabilità economica nazionale e può pertanto assumere anche la funzione di indicatore dell’efficacia macro del sistema-impresa.
La ricerca ha per oggetto l’analisi delle differenti concezioni di valore aggiunto formulate nella dottrina economico-aziendale tedesca,
allo scopo di dimostrare come tale indicatore possa costituire una risposta agli interrogativi di fondo collegati all’economicità sociale del
Betrieb. Tale finalità richiede un rapporto evoluto tra impresa e società, che mette in risalto l’importanza e la responsabilità della prima nei
confronti della seconda. Alle imprese viene richiesto il perseguimento
di obiettivi economico-sociali, il cui raggiungimento non può essere
evidenziato solamente prendendo in considerazione il reddito di esercizio. Di conseguenza vanno elaborati strumenti informativi idonei a
fornire risposte alle esigenze informative delle diverse classi di interesse partecipanti al processo economico.
Nel primo capitolo si presenta il pensiero di tre Autori con riferimento all’evoluzione del concetto di reddito nell’economia
dell’impresa. Gli aspetti del pensiero di Schmalenbach, Lehmann e
Nicklisch che saranno oggetto di approfondimento riguardano sostanzialmente l’evoluzione del concetto di reddito nel tentativo di dare risposta agli interrogativi derivanti dalla concezione del finalismo
10
“sociale” d’impresa: che cosa conviene produrre per realizzare il massimo di economicità sociale? Quanto, quando e come giova produrre
allo stesso fine?
Il secondo e il terzo capitolo cercano di definire delle risposte adeguate agli interrogativi ricordati. Sulla base soprattutto dei contributi
di Lehmann e di Nicklisch si presentano le diverse concezioni di valore aggiunto elaborate dalla dottrina, che vanno inquadrate nella
Wertschöpfungsdenken, intesa come la “creazione di valore nell’economia sociale”. Le diverse metodologie di determinazione e di rappresentazione del valore aggiunto trovano origine in procedimenti di calcolo e fonti dei dati che variano a seconda del tipo di impresa, dei dati
a disposizione e degli aspetti gestionali che si intendono rappresentare.
Il significato informativo del valore aggiunto riflette le diverse prospettive di studio e di determinazione da cui lo stesso origina.
Nell’ultimo capitolo si affronterà – in via sintetica – il problema della
costruzione di modelli di contabilità “sociale”, nel tentativo di definire
un articolato quali-quantitativo entro cui collocare le informazioni dirette ai diversi soggetti che entrano in contatto con l’impresa. Il rendiconto “sociale”, che si sviluppa dal calcolo del valore aggiunto, rappresenta infatti, ad oggi, il modello più diffuso di contabilità “sociale”.
Da ultimo, nell’appendice si intendono rappresentare – avvalendosi
di casi concreti – le modalità operative attraverso le quali è possibile
quantificare il valore aggiunto.
Milano, giugno 2000
11
CAPITOLO I
L’EVOLUZIONE DEGLI STUDI
SUL BILANCIO D’ESERCIZIO
SOMMARIO: 1. Da una visione statica a un’interpretazione dinamica del
bilancio d’esercizio. – 2. Il concetto di reddito nel pensiero scientifico di
Eugen Schmalenbach. – 3. L’interpretazione di M. R. Lehmann. – 4.
L’economia dei valori di H. Nicklisch.
1. Da una visione statica a un’interpretazione dinamica del bilancio d’esercizio
La discussione sulla forma e sul contenuto dei bilancio d’esercizio
sono di lunga tradizione nella dottrina tedesca. Tale processo viene riassunto con il termine di Bilanztheorien, ossia teorie del bilancio
d’esercizio. In tale contesto è possibile evidenziare tre fasi evolutive
delle stesse1.
La prima fase trova inizio con il passaggio dal diciannovesimo al
ventesimo secolo con la costituzione delle prime Handelshochschulen;
culmine di questa fase sono stati gli anni Venti in cui Schmalenbach è
giunto alla completa teorizzazione della dinamicità del bilancio2.
Schmidt3 frattanto ha concepito la teoria dell’organischen Bilanz e
Rieger4 ha presentato la teoria del nominalen Bilanz.
Alla metà degli anni Trenta inizia la seconda fase evolutiva in cui la
dottrina tenta di applicare le nozioni teoriche alla realtà aziendale. Risultato di questo tentativo sono le pubblicazioni della Scuola di
Schmalenbach (Schmalenbach-Vereinigung), aventi per oggetto i
1
COENENBERG, Jahresabschluß und Jahresabschlußanalyse, 14. Aufl., 1993,
pag. 627.
2
SCHMALENBACH, Dynamische Bilanz, Leipzig, 1931.
3
SCHMIDT, Die organische Tageswertbilanz, Leipzig, 1929.
4
RIEGER, Einführung in die Privatwirtschaftslehre, Erlangen, 1928.
13
principi contabili e gli aspetti contabili delle singole classi di valore
del bilancio d’esercizio.
La terza ed ultima fase evolutiva incomincia negli anni Sessanta
con la ricerca di soluzioni di questioni attuali come la determinazione
fiscale del reddito, la riforma della legislazione del bilancio delle società per azioni e, soprattutto, l’internazionalizzazione dei mercati e
quindi lo sforzo per individuare una normativa contabile unitaria per
l’Europa.
1.1 L’interpretazione statica del bilancio di esercizio
Il termine di “bilancio statico” è stato formulato da Schmalenbach
per differenziare tutte le interpretazioni statiche del bilancio dalla sua
interpretazione dinamica. Schmalenbach intende quindi per bilancio
statico il bilancio che ha lo scopo di evidenziare uno stato (una situazione) dell’impresa, sia esso destinato a perdurare o temporaneo, avuto
riguardo ad un certo istante temporale5.
Secondo la concezione statica del bilancio, compito fondamentale
del bilancio è la rappresentazione dello stato patrimoniale in un certo
istante temporale, mentre il rendiconto reddituale ha soltanto
un’importanza subordinata. Il reddito stesso viene determinato dalla
comparazione dei patrimonio iniziale con quello finale e il rendiconto
reddituale, in un primo momento, viene considerato un prospetto particolare a sé stante. Solo con Schär e Nicklisch il rendiconto reddituale
viene collegato con lo stato patrimoniale: Schär considera infatti il
rendiconto reddituale un conto secondario del conto del capitale proprio e quindi “spiega” i costi come riduzione dei capitale proprio e i
ricavi come aumento dei capitale proprio collegando in tal modo il
rendiconto reddituale con lo stato patrimoniale. Nicklisch invece individua un collegamento tra il rendiconto reddituale e lo stato patrimoniale in quanto lo stato patrimoniale dà evidenza delle rimanenze
del patrimonio aziendale in essere alla chiusura dell’esercizio
5
SCHMALENBACH, Dynamische Bilanzen, 13. Aufl., überarbeitet von R. Bauer,
Köln, 1962, p. 45: “Wenn die Bilanz die Aufgabe hat, einen Zustand des Betriebes
zu schildern, sei es ein dauernden oder vorübergehenden Zustand, so nennen wir
eine solche Bilanz eine statische Bilanz”.
14
(Beständebilanz), mentre il rendiconto reddituale dà evidenza dei valori di periodo (Bilanz der Periodenwerte). In questo bilancio dei valori di periodo le rimanenze di beni e servizi consumate e la forza lavoro impiegata vengono considerati costi, mentre i ricavi che si contrappongono a questi ultimi vengono rappresentati dal valore delle
vendite dei beni prodotti nello stesso periodo.
Solo dopo un lungo periodo, durante il quale ha prevalso la dottrina
dello Schmalenbach, un gruppo di studiosi tra cui Le Courte hanno riproposto e riformulato la teoria statica proponendo un sistema
“totale”6 che comprende i vari aspetti del processo economico7. Per Le
Courte il bilancio non evidenzia più il patrimonio ma il capitale, intendendo per capitale non solo la fonte di finanziamento ma anche il
complesso degli impieghi. In tal modo, il bilancio viene a svolgere una
sorta di funzione “di controllo” dell’evoluzione del capitale e, conseguentemente, è strettamente collegato con il rendiconto reddituale in
cui i costi vengono interpretati come deflusso di capitale ed i ricavi
come afflusso di capitale. La differenza tra ricavi e costi se risulta
positiva accresce il capitale (Kapitalzuwachs); se, invece, risulta negativa decresce il capitale (Kapitalvernichtung). Secondo Le Courte il
compito dei bilancio è quello di evidenziare la situazione finanziaria,
la composizione del capitale e, infine, i flussi generati dalla gestione
economica.
1.2 L’interpretazione dinamica del bilancio di esercizio
Se si attribuisce al bilancio di esercizio la funzione di rappresentare
i flussi economici che si sono manifestati durante un intervallo di temporale, si parla di bilancio dinamico e, giacché in tal modo vengono
6
La principale critica di Schmalenbach ai sostenitori della teoria statica era
quella di non tentare di definire un bilancio che soddisfacesse sia lo scopo di rappresentare la situazione patrimoniale che il risultato economico; cfr. SCHMALENBACH,
Dynamische Bilanz, Leipzig, 1931, pag. 79 e segg.
7
La “totale Bilanzauffassung der Bilanztheorie” viene definita da Le Courte come “die alle Beziehungen der Bilanz erfaßt und formal wie materiell logisch in
Eiklang bringt, d.h. zu lückenlosem System zusammenfügt”; cfr. LE COURTE, Bilanztheorien, in: “Handwörterbuch der Betriebswirtschaft”, hrsg. von SEISCHAB und
SCHWANTAG, 3. Aufl., 1956/62, pag. 1172.
15
osservati i flussi che determinano il reddito d’esercizio dell’impresa, il
bilancio dinamico viene anche denominato “bilancio del reddito”
(Erfolgsbilanz)8. Si tratta, tuttavia, di una dinamicità che potremo
chiamare “indiretta” in quanto la stessa deve essere intesa nel senso
che i flussi vengono evidenziati mediante la comparazione tra lo stato
iniziale e lo stato finale del patrimonio.
L’interpretazione dinamica del bilancio, anche se era stata già introdotta da Schäffler e da von Millmowski alla fine del secolo scorso,
ha trovato piena teorizzazione negli studi di Schmalenbach e riceve
ulteriori spunti di approfondimento nelle opere di Walb e Kosiol. Secondo Schmalenbach scopo principale dei bilancio è il calcolo del
reddito d’esercizio (“scopo dinamico”) anche se secondariamente può
assolvere “scopi statici” come evidenziare il valore del patrimonio.
Ciò in quanto è più importante misurare periodicamente il risultato
ottenuto piuttosto che il valore del patrimonio. Per l’impresa è fondamentale sapere se è caratterizzata da un andamento economico positivo e quindi dalla capacità di creare ricchezza, oppure se è caratterizzata da un andamento costante e stagnante o addirittura negativo. In
quest’ultima situazione anziché produrre ricchezza, l’impresa distrugge ricchezza. L’andamento positivo della gestione presuppone
l’esistenza di un plusvalore (Mehrwert), ossia di una differenza positiva tra ricavi e costi. Scopo principale del bilancio d’esercizio non può
che essere il calcolo del reddito d’esercizio (Erfolg) ossia la somma
algebrica dei costi (Aufwand) e dei ricavi (Ertrag). In tal modo, non è
lo stato patrimoniale (Bilanz) che gioca il ruolo principale all’interno
dei bilancio d’esercizio (Jahresabschluß), bensì è il rendiconto reddituale9.
Al fine del calcolo economico del reddito (Erfolgsrechnung)
Schmalenbach distingue tra i componenti negativi e positivi di reddito
come segue: costi (Aufwand), ricavi (Ertrag), spese (Ausgaben), introiti (Einnahmen). In particolare, spese ed introiti sono componenti
8
SCHMALENBACH, op.cit., Leipzig, 1931, pag. 80.
SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1962, pag. 51: “Die Gewinn- und Verlustrechnung hat den Inhalt der Bilanz zu bestimmen und nicht die Bilanz den Inhalt der
Gewinn- und Verlustrechnung. Das ist der Sinn der Erfolgsbilanz, daß sie nicht
Herrin, sondern die Dienerin des Abschlusses ist”.
9
16
del calcolo dei reddito “totale”, ossia riguardante l’intera vita
dell’impresa (Totalerfolgsrechnung), per cui il reddito totale risulta
dalla differenza tra tutte le spese e tutti gli introiti. Tale nozione di
Totalerfolgsrechnung è interessante dal punto di vista teorico, ma è
irrilevante per la realtà aziendale. È noto che l’impresa normalmente è
caratterizzata dal principio di perdurabilità e quindi la sua vita non si
esaurisce entro un esercizio ma, di regola, si estende a più esercizi.
Nella realtà quindi è necessario dividere la vita complessiva in periodi
parziali al termine dei quali procedere al calcolo del reddito prodotto
dall’impresa. Diventa pertanto rilevante determinare correttamente i
costi ed i ricavi di competenza del singolo periodo considerato. Problema fondamentale diviene quindi l’evidenziazione delle possibili
differenze tra spese/costi e tra introiti/ricavi (denominate da Schmalenbach schwebende Kräfte), ossia distinguere costi e ricavi di competenza da quelli che non sono ancora maturati o, al contrario, che sono
già maturati10.
Deve infatti essere chiaro che la spesa sostenuta nel periodo può essere considerata costo di competenza del periodo di cui si vuole determinare il reddito (come, ad esempio, il costo per salari e stipendi),
costo di competenza del periodo successivo (materie prime in rimanenza in attesa di essere economicamente impiegati nel processo produttivo), costo del periodo precedente (canoni di locazione posticipati). Similmente, gli introiti del periodo possono essere ricavi di competenza del periodo oggetto di esame (vendite del periodo), ricavi di
competenza del periodo successivo (acconti), ricavi di competenza del
periodo precedente (canoni di locazione riscossi posticipatamente).
Occorre poi tener conto degli incrementi di immobilizzazioni per lavori interni: i costi sostenuti internamente possono essere di piena
competenza dell’esercizio in chiusura o di competenza dell’esercizio
successivo o di quello precedente; lo storno indistinto di costi, che
rappresenta un ricavo, conseguente alla capitalizzazione (parziale o
totale) degli stessi, può essere considerato di competenza
dell’esercizio in corso, di quello successivo o, infine, di quello precedente.
10
“Die Bilanz ist mithin die Darstellung des Kräftespeichers der Unternehmung”, cfr. SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1962, pag. 74.
17
Ne consegue che il rendiconto reddituale è la parte del bilancio
d’esercizio che dà evidenza di tutti i costi e di tutti i ricavi di competenza dell’esercizio mentre lo stato patrimoniale assume il compito di
“mettere in conto” tutte le spese e gli introiti che non sono costi e ricavi di competenza dell’esercizio di cui si vuole calcolare il reddito.
Queste classi di spesa ed introito rimangono iscritti nello stato patrimoniale fino a quando essi non sono diventati costi e ricavi di competenza. Lo stato patrimoniale, anche se non necessario per il calcolo del
reddito d’esercizio, è utile a stabilire una sorta di “collegamento economico” tra i vari esercizi.
1.2.1 L’evoluzione della teoria di Schmalenbach
Come detto in precedenza, la teoria del bilancio dinamico elaborata
da Schmalenbach viene successivamente approfondita da due studiosi
di matrice germanica: Walb e Kosiol.
Walb con la teoria Formaltheorie der dynamischen Bilanz sviluppa
un sistema formato da due gruppi di conti:
a) i conti del reddito (Konten der Leistungsreihe);
b) i conti dei valori numerari (Konten der Zahlungsreihe)11.
I primi si riferiscono ai flussi dei costi e dei ricavi e sono compresi
nel rendiconto reddituale, mentre i secondi si riferiscono ai flussi numerari delle spese e degli introiti e sono compresi nello stato patrimoniale. Per calcolare il risultato ottenuto dall’impresa è sufficiente
fare la differenza tra ricavi e costi oppure la differenza tra introiti e
spese.
Ciò tuttavia va bene fino a quando il risultato viene calcolato per
l’intera vita dell’impresa (Totalerfolgsrechnung) ma, come ben sappiamo, nella realtà aziendale è di fondamentale importanza calcolare il
risultato periodicamente per poter controllare l’andamento economico
dell’impresa. Occorre stabilire i costi ed i ricavi di competenza
dell’esercizio e pertanto il risultato della differenza dei conti del reddito sarà diverso dal risultato ottenuto dalla differenza dei conti dei valori numerari. Infatti quest’ultimo sarà in parte reddito di competenza
dell’esercizio in corso, in parte reddito di competenza dell’esercizio
11
WALB, Finanzwirtschaftliche Bilanz, 3. Aufl., Wiesbaden, 1966.
18
precedente ed in parte di reddito di competenza dell’esercizio successivo. Tale problema “di competenza” viene risolto dal Walb con la
Zurückverrechnung (risconti attivi e passivi) per le componenti di
reddito di competenza dell’esercizio successivo e con la Nachverrechnung (ratei attivi e passivi) per le componenti di competenza
dell’esercizio precedente.
Un ulteriore sviluppo della visione dinamica del bilancio viene
proposta da Kosiol che elabora uno schema più semplice riassumendo
lo teoria di Schmalenbach e la teoria di Walb. Scopo principale della
sua teoria è di evidenziare lo stretto collegamento delle categorie numerarie di spesa ed di introito con il calcolo del reddito d’esercizio,
utilizzando tali categorie per interpretare tutto il bilancio di esercizio.
Per questa ragione la teoria di Kosiol viene anche denominata dynamische pagatorische Bilanztheorie.
Kosiol, a differenza di Walb, non opera con due tipi di categorie di
conti perché ritiene che lo stato patrimoniale non sia solo uno strumento per collegare economicamente i vari esercizi nei quali si svolge
l’unitaria gestione dell’impresa ma sia esso stesso uno strumento di
natura numeraria per il calcolo del reddito d’esercizio12. Utilizzando
unicamente le classi di valori numerari, Kosiol ha dovuto procedere ad
un ampliamento delle nozioni di spesa ed introito o, più correttamente,
dei valori numerari in uscita (Barausgaben) ed in entrata
(Bareinnehemen). Sono state pertanto aggiunte altre due categorie di
valori numerari al fine della corretta determinazione del reddito di
esercizio (Verrechnungseinnahmen/Verrechnungsausgaben).
Un interessante contributo viene poi apportato da Käfer13 che, con la
sua zukunftsorientierten Bilanz, si oppone fortemente alla teoria statica
del bilancio alla luce dell’importanza del principio della perdurabilità
futura quale elemento per osservare l’impresa nel suo futuro operare.
12
KOSIOL, Bilanz und Bilanztheorie, in: “Handwörterbuch der Sozialwissenschaften”, hrsg. von BECKERRATH, Stuttgart, 1959, pag. 228: “der ursprüngliche
Inhalt der Bilanz besteht nicht in den Bestandsgrößen, sondern in unsaldierten Einnahmen und Ausgaben selbst. Die Bilanz ist nicht nur Hilfsmittel der Erfolgsrechnung, die unabgerechnete Bestände an die nächste Periode witergibt, sondern
selbst eine pagatorische Erfolgsrechnung”.
13
KÄFER, Bilanz der Zukunftsrechnung, Zürich, 1962.
19
Da quanto fin qui affermato emerge con sufficiente chiarezza che la
disputa nella dottrina economico-aziendale tedesca in ordine al bilancio di esercizio si basa soprattutto sulla forma e sul contenuto dello
stesso e sui principi contabili, avendo già, direttamente od indirettamente, individuato le finalità dello strumento informativo: determinazione del patrimonio (teoria statica del bilancio) oppure determinazione del reddito di esercizio (teoria dinamica del bilancio). Solo più recentemente si è scoperto che la determinazione del reddito, ossia la
misurazione del grado di raggiungimento dell’obiettivo perseguito, o
la determinazione del patrimonio, ossia valutazione del patrimonio in
rimanenza atto al perseguimento di obiettivi futuri, sono obiettivi o
scopi subordinati ed acquistano significato solo se esiste un obiettivo
(finalità) superiore.
1.3 Le nozioni statiche e dinamiche
Lo stato patrimoniale quale fondo di valori rappresenta la visione
statica del bilancio, il rendiconto reddituale comprende i valori flusso
ed è pertanto espressione della visione dinamica. È interessante osservare come i fenomeni statici e dinamici si differenzino sostanzialmente per il grado di astrazione con cui vengono considerati: infatti per i
fenomeni statici si ignora totalmente il fatto che gli stessi si manifestano nel tempo. In tal modo, i fenomeni dinamici, denominati
nell’ambito economico-aziendale come “valori flusso” (costi sostenuti
e ricavi conseguiti durante il periodo amministrativo) sono osservabili
e misurabili solo entro un determinato intervallo temporale, mentre i
fenomeni statici, denominati valori fondo (complesso delle attività e
delle passività patrimoniali), sono considerabili slegati dal decorso
temporale e quindi misurabili in un determinato temporale anche infinitamente piccolo. Per questa ragione la visione statica e la visione
dinamica sono due modi di osservare l’economia a sé stante e non coordinabili; la visione statica fa parte di quella dinamica, come si è cercato di evidenziare nella figura che segue.
20
FIGURA 1.1: LA VISIONE STATICA QUALE PARTE DELLA VISIONE DINAMICA
Visione dinamica
Visione statica
Ad una tale conclusione si perviene se si considera che i fenomeni
statici sono anche fenomeni dinamici, con la possibilità di astrarre tale
visione e slegarla dal percorso temporale. Le definizioni di statica e
dinamica esposte riprendono in parte quelle proprie della meccanica:
infatti, la meccanica definisce la dinamica come teoria del moto e la
statica come teoria della quiete. Il moto, tuttavia, non è solo pensabile
all’interno di un intervallo temporale, la quiete anche in un determinato momento temporale (cfr. figura 1.2)14.
FIGURA 1.2: IL CAMPO DI VALIDITÀ DELLE NOZIONI STATICHE E DINAMICHE
Campo di validità delle nozioni statiche
Campo di validità delle nozioni dinamiche
14
LEHMANN, Allgemeine Betriebswirtschaftslehre, Leipzig, 1928, pag. 73: “Der
Vollständigkeit wegen sei darauf hingewiesen, da der Gedankeinhalt der hier entwickelten Begriffe der Statik und Dynamik genau dem entspricht, der in der Mechanik vorhanden ist. Denn hier definiert man die Dynamik als die Lehre von Bewegung, die Statik als die Lehre von der Ruhe”.
21
2. Il concetto di reddito nel pensiero scientifico di Eugen
Schmalenbach
Schmalenbach sostiene che lo scopo principale del bilancio è il calcolo del reddito (Erfolgsrechnung), perciò egli sottolinea l’importanza
dell’aspetto dinamico del bilancio e quindi del rendiconto reddituale.
Schmalenbach però ha sempre sostenuto lo scopo unitario del bilancio
di esercizio (teoria monistica) a differenza della teoria dualistica cui
apparteneva Schmidt che persegue il calcolo del patrimonio e del
reddito con scopi diversi (sia dinamici che statici)15. Molti Autori hanno forse mal interpretato il pensiero dello Schmalenbach sostenendo
che egli avesse teorizzato che l’unico scopo del bilancio fosse quello
dinamico (ossia la determinazione del reddito di esercizio). In realtà,
la proposta di dinamicità del bilancio costituisce la forma ideale per un
bilancio che persegua tale scopo, benché allo stesso possano essere attribuite anche altre finalità. Un bilancio così redatto può infatti assolvere anche a compiti statici purché gli stessi vengano interpretati in
un’ottica dinamica, ossia dal punto di vista della dinamica del reddito16.
2.1 Le nozioni affini di reddito
Schmalenbach individua anzitutto alcune nozioni affini di reddito
richiamando gli studi in ordine alle diverse nozioni di reddito compiuti
da Bauckner17, evidenziandone gli aspetti più controversi. In particolare, la Konsumtionsfondstheorie considera il reddito solo dal punto di
vista del consumo e quindi essa non risulta atta a definire in maniera
completa la nozione di reddito di esercizio; la Periodizitätstheorie
considera unicamente la periodicità dei ricavi come caratteristica ultima del reddito; la Quellentheorie considera solo la fonte del reddito
ma non perviene ad una definizione positiva. Anche la Ertragskategorie è troppo riduttiva giacché definisce il reddito unicamente come
15
SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1931, pagg. 79-86.
Cfr. la prefazione di SCHMALENBACH all’opera Dynamische Bilanz, Leipzig,
1931.
17
BAUCKNER, Der privatwirtschaftlicher Einkommensbegriff, Mühldorf a. Inn,
1921.
16
22
provento (Ertrag). L’unica nozione di reddito accettabile risulterebbe
quindi essere la Reinvermögenszugangstheorie, anche se non indaga in
maniera compiuta le fonti del reddito. Essa infatti definisce come
reddito tutti gli elementi che accrescono il patrimonio iniziale e che
possono essere consumati senza diminuire il patrimonio iniziale
(Stammvermögen). Ciò impone però di assumere l’ipotesi dell’invariabilità del valore del patrimonio benché il valore stesso sia di
natura variabile. In tal modo il capitale finale calcolato come somma
algebrica del capitale iniziale, del reddito prodotto, del reddito consumato non rappresenterebbe il capitale finale effettivo in quanto non
viene considerata la variabilità del valore del capitale iniziale e quindi
non è idoneo ad evidenziare il capitale finale ed il reddito.
Se le nozioni di reddito affini studiate da Bauckner non risultavano
appaganti sotto molteplici aspetti anche la nozione fiscale del reddito
non soddisfaceva Schmalenbach. Le definizioni di Strutz18 e di Fuisting19 di reddito fiscale sono formulate infatti in modo tale da rispettare la normativa fiscale ma non evidenziano il reddito d’esercizio vero
e proprio. Aspetto tuttavia interessate è la distinzione fatta da Fui-
18
STRUTZ, Die Einkommenssteuer, in “Handbuch des Reichssteuergesetzes”,
Berlin, 1924, pag. 51: “Der Überschuß der dem einzelnen von der Gesamtheit –
soweit sie nicht in Geld bestehen, in solchem nach ihrem Werte in Rechnung zu
stellenden – ihm in einer bestimmten Periode aus dauernden Quellen der Gewinnung von Mittel zur Bedürfnisbefriedigung zufließenden Reinerträge und Nutzungen
nach Abzug des Gesamtbetrages der – soweit sie nicht in Geld bestehen, ebenfalls in
solches unzurechnenden – innerhalb derselben Perioden bei solchen Ertragsquellen
durch Zurückbleiben ihrer Reinerträge hinter den Werbekosten erlittenen Verlusten
und der Dritten auf Grund besonderer Rechtstitel zu gewährenden periodischen und
daher aus den periodisch wiederkehrender Einnahmen zu bestreitenden Sachgüterleistungen verbleibt und daher von ihm ohne Verminderung des Geldwertes
seines bei Beginn der Periode vorhanden gewesenen Vermögen verbraucht werden
kann, soweit er nicht verbraucht wird mithin dieses Vermögen vermehrt”.
19
FUISTING, Die preußischen direkten Steuern, 4. Bd., “Grundzüge der Steuerlehre”, Berlin, 1902, pag. 110: “Die Gesamtheit der Sachgüter, welche in einer bestimmten Periode (Jahr) dem einzelnen als Erträge dauernder Quellen der Gütererzeugung zur Bestreitung der persönlichen Bedürfnisse für sich und für die auf den
Bezug ihres Lebenunterhalts von ihm gesetzlich angewiesenen Person (Familie) zur
Verfügung stehen”.
23
sting20 tra reddito ed aumento del valore del patrimonio aziendale
(Vermögenszuwachs): infatti non tutte le variazioni del valore del patrimonio sono dovute al reddito di esercizio ma anche a cambiamenti
strutturali dell’impresa e a eventi congiunturali. Ne consegue una nozione restrittiva di reddito (Betriebsgewinn).
Un’ultima nozione di reddito affine che viene presa in considerazione da Schmalenbach è quella di reddito “ripartibile” tra i portatori
del capitale di rischio e le riserve (aktienrechtlicher Gewinn). E’forse
una nozione di reddito “giuridica” (Juristen Gewinn) che ha scarso rilievo da un punto di vista economico-aziendale. Il reddito prodotto durante l’esercizio ed il reddito distribuibile sono dunque due nozioni
distinte e Schmalenbach sottolinea che la nozione di reddito di esercizio ricercata non può che essere quella di reddito prodotto
dall’impresa e non già quella di reddito distribuibile21.
2.2 Il reddito di esercizio nella Privatwirtschaft
Il pensiero scientifico di Schmalenbach rifugge dal presupposto che
l’unico scopo di un’impresa sia la produzione di reddito. Egli infatti
interpreta l’impresa non tanto come strumento per il conseguimento
del profitto dell’imprenditore quanto quale organismo del sistema
economico che adempie la funzione sociale di produrre beni e servizi22,
distinguendo nettamente il reddito che si basa sull’interesse privato (lo
scopo di lucro) e quello che si basa sull’interesse pubblico
(partecipazione alla produttività del sistema economico). Il reddito che
20
FUISTING, op. cit., pag. 171: “Hiernach berühren auch die nicht als unmittelbare Folge des Betriebes erscheinenden Änderungen in den Werten des Anlagekapitals nur das Vermögen. Dies gilt sowohl für Verlust als auch für Zuwachs an Werten
des Anlagenkapitals. Der Verlust darf als Minderung des Ertrages nur soweit in
Betracht kommen, als die Vermögenssubstanz infolge von bestimmungsmäßiger
Verwendung der Anlagen im Betriebe eine Wertminderung erfahren hat; dies geschieht mittels der Abschreibungen. Der Zuwachs muß dagegen bei Berechnung des
Ertrages ganz unberücksichtigt bleiben”.
21
SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1931, pag. 90: “Gewinn bleibt für uns das
Erzielte, nicht das Verteilbare”.
22
SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1931, pag. 94: “An sich interessiert der Betriebswirtschaftler der Richtung, der der Verfasser angehört, der wirtschaftliche
Betrieb nur als ein Organ der Gemeinwirtschaft”.
24
si basa sull’interesse proprio dell’economia privata (Privatwirtschaft)
risulterebbe quindi essere un reddito manipolato – tra l’altro – dalla
costituzione di riserve occulte (stille Reserven), conseguente ad una
politica di stabilizzazione del reddito e di costanza dei dividendi messa
in atto da parte degli amministratori in funzione soprattutto degli interessi degli azionisti, dato che questi ultimi non sono legati in maniera
stretta alla società e quindi sono portati ad assumere un atteggiamento
opportunistico23. Al contrario, il calcolo del reddito di esercizio deve
avere forma e contenuto tale da permettere di rappresentare nel modo
più corretto possibile la capacità dell’impresa di raggiungere gli obiettivi di economicità24.
2.3 Il reddito di esercizio quale parte del reddito totale
Esistono imprese che sono state costituite per compiere un unico
affare oppure per perseguire determinati obiettivi di breve termine,
mentre ci sono imprese che sono state costituite con un’ottica di più
lungo termine.
Mentre per i primi due casi è sufficiente calcolare il reddito prodotto alla conclusione dell’affare od al raggiungimento dell’obiettivo
prefissato (Totalgewinn), per le imprese che sono destinate a perdurare
per più esercizi si rende necessario calcolare il reddito già durante la
vita aziendale. È di fondamentale importanza infatti avere a disposizione risultati intermedi al fine di studiare il grado di raggiungimento
degli obiettivi prefissati nonché al fine di studiare le componenti che
hanno concorso alla formazione del reddito. Pertanto, calcolare il
reddito periodicamente serve a garantire un’efficiente ed efficace di23
Schmalenbach utilizza la metafora del raccoglitore dei frutti di bosco per indicare gli azionisti opportunisti, mentre paragona il comportamento corretto a quello
del contadino nei confronti della “sua” mucca: “behandeln sie das Unternehmen wie
der Bauer sein Kuh, so wäre alles in Ordnung; aber sie behandeln es wie der streifenden Beerensucher einen Wald; sie nehmen alles weg, das Reife und das Unreife;
denn wer die späteren Früchte erntet, weiß man nicht”; cfr. SCHMALENBACH, op.
cit., Leipzig, 1931, pag. 91.
24
SCHMALENBACH, op.cit., Leipzig, 1931, pag. 93: “Die Gewinnrechnung muß
so gestaltet werden, daß sich aus ihr eine möglichst richtige und möglichst eindringende Vorstellung der Wirtschaftlichkeit der Unternehmung ergebe”.
25
rezione dell’impresa ed a compiere interventi diretti e tempestivi tali
da permettere un andamento economico positivo. Tali verifiche intermedie avvengono periodicamente allo scadere del periodo amministrativo e ciò permette di comparare i risultati ottenuti in esercizi precedenti o di altre imprese. Essendo il reddito di esercizio il reddito
prodotto durante un periodo amministrativo esso rappresenta una parte
del reddito totale per la cui determinazione è sufficiente effettuare la
somma algebrica tra tutti gli introiti conseguiti e tutte le spese sostenute durante la vita dell’impresa. Nella periodica determinazione del
reddito di periodo si impone invece il rispetto del principio della competenza, ossia va tenuto conto di tutti i costi e di tutti i ricavi di competenza dell’esercizio. Occorre inoltre tener conto di eventuali errori
commessi in precedenti esercizi che impongono, ad esempio, di incrementare le quote ordinarie di ammortamento dei cespiti strumentali
nel caso in cui la durata economica residua sia stata congetturata in
maniera non corretta. Ne consegue che il reddito di esercizio risulta
molto spesso inferiore rispetto a quello effettivamente prodotto.
Schmalenbach, per evitare tale mancata corrispondenza, propone di
costituire un conto speciale, denominabile conto del reddito aperiodico
(aperiodisches Erfolgskonto), e di trasferire in esso tutti i costi e tutti i
ricavi dovuti a tali integrazioni/rettifiche relativamente a fatti gestionali e valutazioni rispettivamente verificatisi ed operate in precedenti
esercizi. Inoltre, al fine di coprire tali costi che, forse impropriamente
potremo denominare come “straordinari”, si dovrebbe costituire un
fondo di riserva da alimentare sia da accantonamenti sia da ricavi
“straordinari”.
Se si inserisce tale conto nel sistema di rilevazioni, risulta non essere più valida l’uguaglianza tra la somma dei redditi dei diversi esercizi
e il reddito totale. Alla somma dei redditi va aggiunto l’aperiodisches
Erfolgskonto, ottenendo la seguente uguaglianza:
redditi d’esercizio + conto del reddito “aperiodico” = reddito totale
26
2.4 Il reddito di esercizio come differenza tra capitale iniziale e
capitale finale
Il calcolo della differenza del capitale (Kapitaldifferenzrechnung)
individua il reddito di esercizio come differenza tra il patrimonio finale ed iniziale, aggiungendo i conferimenti di capitale
(Kapitaleinlagen) e detraendone le relative riduzioni (Kapitalentnahme).
Questa modalità di calcolo del reddito di esercizio, che potremo
chiamare “differenziale”, non viene tuttavia accolta da Schmalenbach
in quanto si basa sul presupposto che il valore del capitale rimanga invariato durante il periodo. Egli infatti intende il capitale aziendale
quale complesso di beni patrimoniali il cui valore può essere calcolato,
o meglio, stimato, solo avuto riguardo alla sua interezza e non già attraverso la sommatoria dei valori dei singoli elementi25. E’noto infatti
come il valore del complesso patrimoniale debba rappresentare la capacità di produrre reddito in futuro e come quindi esso sia pari alla
somma del valore attuale dei redditi futuri più il valore finale conseguibile in sede di liquidazione dell’impresa.
Occorre a questo punto osservare che se si redigesse un Conto economico (Gewinn und Verlustrechnung) ed uno Stato patrimoniale è
possibile pervenire alla determinazione del reddito dell’esercizio attraverso il confronto tra il patrimonio netto al tempo tn ed il patrimonio
netto al tempo tn+1. Emerge quindi con evidenza come il reddito ottenuto dal calcolo del reddito (Erfolgsrechnung) coincida con quello ottenibile mediante il calcolo del capitale (Kapitalrechnung) e
l’interdipendenza tra tali due modalità di calcolo del reddito.
2.5 Il reddito di esercizio come differenza tra “produzione” e
“consumo”
Schmalenbach critica la terminologia utilizzata per descrivere le
componenti del reddito, ossia i ricavi (Ertrag) e costi (Kosten); a suo
avviso infatti i termini “produzione” (Leistung) e “consumo”
(Aufwand) sono più idonei a rappresentare l’aspetto economico della
gestione, che consiste nell’ottenimento di una produzione a fronte del
25
SCHMALENBACH, Finanzierungen, Leipzig, 1922, pag. 5 e segg.
27
consumo dei fattori produttivi ed in un forte rapporto dell’impresa con
l’ambiente esterno. Con tali precisazioni è pertanto possibile interpretare più compiutamente la nozione di reddito propria di Schmalenbach
ossia valore della produzione al netto del valore del consumo26. Come
in precedenza rilevato, occorre tuttavia precisarsi che il valore della
produzione non è pari al valore degli introiti e che il valore dei consumo non è uguale alle spese. Schmalenbach osserva infatti che il
“consumo” del periodo può essere spesa di competenza dell’esercizio
in corso; spesa di competenza dell’esercizio successivo o spesa di
competenza dell’esercizio precedente e che, corrispondentemente, la
“produzione” ottenuta nell’esercizio può essere rappresentata da introiti di competenza dell’esercizio in corso, oppure di competenza
dell’esercizio successivo o, ancora, di quello precedente. Ciò non
implica che introiti e spese non siano corretti strumenti di misurazione
della produzione e del consumo.
2.6 Le fonti del reddito di esercizio
Le fonti del reddito di esercizio possono essere distinte in fonti interne e fonti esterne. Le prime sono riconducibili alla gestione
dell’impresa; le seconde all’andamento del mercato e del sistema economico. Più in particolare, Schmalenbach intende per fonte interna di
reddito la gestione dell’impresa in generale (Betriebsgebarung), ossia
il modo efficiente di organizzare, amministrare e produrre all’interno
dell’unità impresa; per fonti esterne di reddito egli intende invece le
variazioni strutturali del sistema economico, le congiunture, i trend
stagionali e la moda. Le prime sono esogene all’impresa, non influenzabili dalla stessa e conseguono allo sviluppo tecnologico; le congiunture si riferiscono ai cicli economici che evidenziano un andamento
altalenante; i trend stagionali sono collegati al semplice decorso del
tempo: alcune produzioni possono essere infatti realizzate solo in determinati periodi dell’anno, mentre altre possono essere commercializ-
26
SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1931, pag. 114: “Gewinn ist der Wert der
Leistung vermindert um den Wert der Aufwendungen, beide gemessen an Ausgaben
und Einnahmen”.
28
zate solo in altri. La moda, come noto, dipende dai gusti dei consumatori.
3. L’interpretazione di M. R. Lehmann
Lehmann ritiene poco chiare le definizioni dei concetti fondamentali dell’economia aziendale formulate dalla dottrina tedesca, che non
ha saputo analizzare ed interpretare in modo accurato le connessioni
esistenti tra i diversi elementi costituenti la stessa. Egli è quindi alla
ricerca di un sistema unitario, logico e ben definito sia in termini di
elementi costitutivi sia in termini di costruzione sistematica27.
Ora, pur riprendendo i concetti di “statica” e “dinamica” del sistema dei valori di bilancio, Lehmann constata che relazioni logiche tra
concetti dinamici e statici si possono manifestare soltanto attraverso
l’analisi della dinamica temporale28. Definisce pertanto Bezugsdauer il
tempo necessario per l’esaurirsi dell’attività economica, Umsatzdauer
il periodo in cui si svolgono le operazioni economiche, Umsatzgeschwindigkeit come “reciproco” della Umsatzdauer e, infine, Nutzungsdauer del capitale e della forza lavoro il periodo durante il quale il
soggetto economico dispone di una certa quantità di capitale e di forza
lavoro per le trasformazioni economiche (Umsatz).
3.1 Umzatz versus Absatz
Il sistema unitario formulato da Lehmann si basa su tre elementi:
Umsatz, Kapital, Erfolg.
La prima è una grandezza dinamica in quanto legata a concetto di
intervallo temporale che non deve essere confusa con l’Absatz.
L’Umsatz è infatti l’insieme di operazioni economiche poste in essere
nell’arco temporale considerato; l’Absatz rappresenta il fatturato
complessivo. Per la corretta misurazione dell’Umsatz occorre procedere all’analisi del contributo delle singole operazioni economiche.
Lehmann distingue quest’ultime in Mengenumsatz, operazioni economiche che sono caratterizzate da un aspetto fisico-materiale (come,
27
28
LEHMANN, Allgemeine Betreibswirtschaftslehre, Leipzig, 1928, pag. 70.
“Gewirtschaftet werden kann nur in der Zeit”; cfr. LEHMANN, op. cit., pag. 86.
29
ad esempio, il consumo di materie prime, il numero di ore di lavoro,
etc.) ed in Wertumsatz29, operazioni economiche caratterizzate da un
aspetto di valore (mezzi di pagamento, fatturato, etc.). Tra le molteplici categorie di Umsatz che vengono prese in considerazione da
Lehmann, ne spiccano due in particolare: Umsatzkosten e Umsatzertrag che rappresentano rispettivamente l’insieme dei costi sostenuti e
dei ricavi conseguiti nello stesso periodo di riferimento. La loro somma algebrica dà evidenza del risultato ottenuto dall’impresa in un dato
periodo. Tale eccedenza di valore (Wertűberschuß) viene denominata
Umsatzerfolg la cui rilevazione è compito del rendiconto reddituale.
Se tale eccedenza è positiva, saremo in presenza di un utile
(Umsatzgewinn), mentre di una perdita (Umstzverlust) in caso contrario.
3.2 Il capitale
La nozione di capital (Kapital) è invece caratterizzata dalla sua natura statica. Il capitale si riferisce ad un certo momento temporale rappresentato dalla data di chiusura dell’esercizio (Bilanzstichtag).
Lehmann definisce il capitale come forza (quasi in termini matematici
e fisici) da cui deriva il risultato di esercizio (Umsatzerfolg).
Il capitale in senso stretto, ossia il capitale aziendale, pur essendo
costituito da vari elementi, non viene interpretato come somma di singoli elementi, ma come totalità unitaria in quanto espressione dei valori (Inbegriff der Werte). Il valore del capitale non coincide quindi
con la somma dei singoli valori attribuiti agli elementi costituenti lo
29
Il valore che viene attribuito a un bene dipende dalla valutazione soggettiva
della capacità di soddisfare un determinato bisogno. Questa valutazione è diversa da
persona a persona, da cui il concetto di “valore soggettivo”. Nella moderna economia lo scambio avviene sul mercato, in presenza di domanda e offerta. In tal modo
la valutazione soggettiva subisce una “oggettivazione”, attraverso la definizione di
un prezzo di negoziazione. Questo prezzo può essere anche definito valore oggettivo. È questo il valore a cui si riferisce Lehmann nell’ambito dell’economia aziendale; cfr. LEHMANN, op. cit., pag. 78 e segg
30
stesso ma, al contrario, solo dal valore totale del capitale si può derivare il valore dei singoli30.
Lehmann denomina il capitale impiegato come Produktionskapital
oppure konkretes Produktionskapital, grandezza strettamente legata
all’Umsatz in quanto partecipe al processo delle operazioni economiche (Umsatzprozeß). La grandezza astratta che si ottiene dalla differenza degli elementi attivi e passivi costituenti il Produktionskapital
viene definita abstraktes Produktionskapital che, assieme alla forza
lavoro, è causa delle operazioni economiche. L’abstraktes Produktionskapital viene interpretato come espressione della “forza oggettiva” che con la forza lavoro è causa delle operazioni economiche
(Umsatzprozeß). Tale grandezza rappresenta il capitale che viene messo a disposizione dall’unità finanziaria all’unità produttiva ed è perciò
anche denominato capitale finanziario (Finanzkapital) ed è oggetto di
variazioni in aumento oppure in diminuzione a seconda del risultato
del processo economico. Il capitale finanziario è costituito dal capitale
proprio e dal capitale di terzi. Il capitale di terzi comprende, come
noto, sia i debiti di finanziamento (Finanzschulden) sia i debiti di
funzionamento (Geshäftesschulden). Nell’interpretazione di Lehmann,
tuttavia, il capitale finanziario è costituito solo dal capitale proprio e
dai debiti di finanziamento31. Così come il patrimonio è formato da
elementi attivi e da elementi passivi, anche il capitale finanziario è
composto da elementi attivi e da elementi passivi: la quota di capitale
sottoscritto ma non ancora versato costituisce, ad esempio, una componente negativa del capitale finanziario.
Per capire meglio la struttura del Produktionskapital è utile osservare lo schema seguente che evidenzia la distinzione tra konkretem
Produktionskapital e abstraktem Produktionskapital e la composizione del Finanzkapital.
30
LEHMANN, op. cit., pag. 102 e segg., dove osserva che questo modo di considerare il capitale è sostanzialmente diverso da quello proprio della Schätzungstheorie
di Schmalenbach; cfr. SCHMALENBACH, Finanzierungen, pag. 5 e segg.
31
LEHMANN, op. cit., pag. 107.
31
FIGURA 3.1: LA STRUTTURA DEL PRODUKTIONSKAPITAL
Konkretes
Produktionskapital
(Vermögen) aktiv
(Vermögen)
passiv
Abstraktes
Produktionskapital
(Finanzkapital)
Passives Kapital
(Finanzforderungen)
Finanzkapital
Eigenkapital
Finanzschulden
Benché sia nell’ambito dell’Umsatz sia nell’ambito del capitale si
sia parlato di un risultato di esercizio esso assume una connotazione
ben diversa, in quanto nel primo è una grandezza dinamica, mentre nel
secondo è una grandezza statica. Lehmann è inoltre dell’opinione che
esista un sistema statico composto da costi, ricavi e risultato di esercizio (di natura statica) che si contrappone al sistema dinamico
dell’Umsatz.
I costi che potremmo definire “statici” (statische Kosten) vengono
definiti come rapporto tra l’insieme dei costi sostenuti (Umsatzkosten)
per la produzione di un certo bene in un determinato intervallo temporale ed la quantità di beni e prodotti venduti (Gűtermengenumsatz). Il
risultato di tale rapporto rappresenta il costo di produzione
(Kostenpreis) per unità di prodotto32.
I ricavi “statici” (statischer Ertrag) vengono definiti come rapporto
tra l’insieme dei ricavi ottenuti (Umsatzertrag) in un determinato intervallo di tempo e la quantità di beni e prodotti venduti
(Gűtermengenumsatz). Il risultato di tale rapporto rappresenta il prezzo di vendita (Ertragspreis) per unità di prodotto.
È utile osservare da ultimo come sia possibile definire un rapporto
sia per determinare il costo di produzione sia per determinare il prezzo
di vendita ma che non sia possibile definire un rapporto corrispondente per il risultato di esercizio. Infatti, il risultato di esercizio “statico” è
una grandezza astratta e viene determinata dalla differenza tra il costo
“statico”, il costo di produzione, ed il ricavo “statico”, il prezzo di
32
Lehmann definisce tale costo come Objektkosten, dato che si riferisce proprio a
un oggetto: “welche Objektkosten genannt werden können, da es Größen sind, welche sich auf Mengeneinheiten von Objekten (Einheitskosten) oder auf einzelne individuelle Objekte (Stückkosten) beziehen”; LEHMANN, op. cit., pag. 115.
32
vendita33. Il risultato “statico” viene denominato da Lehmann Objektserfolg.
Il risultato statico si riferisce ad un singolo bene e quindi il risultato
d’esercizio di un determinato intervallo temporale corrisponde alla
somma dei risultati dei singoli beni prodotti e venduti in questo intervallo34. Tale somma è un elemento del patrimonio e, di conseguenza, il
patrimonio aumenta o diminuisce a seconda del “segno” del risultato
di esercizio. Ma la variazione del patrimonio comporta anche una variazione del capitale finanziario e, quindi, a seconda del “segno” del
risultato di esercizio si creerà o si consumerà capitale finanziario.
3.3 Il risultato di esercizio
L’ultimo elemento da considerare al fine di individuare il pensiero
di Lehmann è costituito dal risultato di esercizio (Erfolg), differenza
tra due grandezze dinamiche (Umsatz) o tra due grandezze statiche
(Kapital). Lehmann sembra dare preferenza ad una nozione di risultato
di esercizio di tipo dinamico in quanto più vicino ad una nozione di
reddito risultante dalla gestione dell’azienda. Occorre a tal proposito
osservare come Lehmann abbia ben presente che, essendo il risultato
economico la risultante tra i ricavi e i costi, tale grandezza possa avere
“contenuti” diversi a seconda della nozione di costo e di ricavo che si
accoglie. In particolare, facendo riferimento a Streller35, che accoglie
una nozione di costo tale da far eguagliare il risultato economico
dell’esercizio al reddito dell’imprenditore (Unternehmergewinn),
Lehmann fa propria tale nozione definendo il risultato di esercizio (a
livello aziendale e non a livello di intero sistema economico, come invece proposto da Streller), come risultato economico-produttivo puro
(reiner Produktionserfolg). Tuttavia, la nozione di Unternehmergwinn
33
“Dieser Objektserfolg, d.h. der an bestimmten Objekten erzielte Erfolg
(Objektsgewinn bzw. Objektsverlust) ist schließlich nichts anders als die Differenz
zwischen dem Objektsertrag und den Objektskosten, bzw. dem Ertragspreis und dem
Kostenpreis bestimmter Objekte”; LEHMANN, op. cit., pag. 117.
34
Affinché tale affermazione sia valida, è necessario che il volume di produzione
corrisponda al volume dei beni venduti.
35
STRELLER, Zur Lehre vom Unternehmergewinn, in “Schmollers Jahrbuch”, 52.
Jahrg., 1926.
33
rappresenta una sola parte del reddito di pertinenza dell’imprenditore
in quanto lo stesso si compone di retribuzione per il lavoro prestato,
interessi sul capitale proprio investito, profitto per il rischio assunto e
risultato economico di propria competenza.
Dalla nozione di reiner Produktionserfolg, Lehmann fa derivare alcune nozioni secondarie avuto riguardo ai ricavi ed ai costi. I primi
vengono definiti in termini di prezzi applicati ai beni prodotti e venduti, mentre i costi vengono suddivisi come segue:
– materie prime;
– ammortamenti;
– costo del personale;
– interessi passivi;
– costi per servizi;
– costi sociali (imposte, tasse, oneri sociali, etc.);
– costi per rischi speciali.
Dalla differenza tra i ricavi e l’insieme dei predetti costi scaturisce
il reiner Produktionserfolg; se, invece, facciamo riferimento a singole
categorie di costi, si ottengono significativi risultati intermedi. Come
evidenziato analiticamente nello schema seguente Lehmann individua
tali risultati come segue:
– Kapitalertrag, è pari alla somma tra il risultato di esercizio e gli
interessi passivi sul capitale preso a prestito;
– Arbeitsertrag, è pari alla somma tra il risultato di esercizio ed il
costo del personale. Nicklisch36, come si vedrà successivamente,
considera tale grandezza come il vero e proprio risultato economico
aziendale, ed assume rilevanza per la definizione della politica di
partecipazione agli utili;
– Materialertrag, è pari alla somma tra il risultato di esercizio ed il
costo delle materie prime;
– Anlagenertrag, è pari alla somma tra il risultato di esercizio e gli
ammortamenti;
– Sozialbertrag, è pari alla somma tra il risultato di esercizio e gli
oneri sociali.
36
NICKLISCH, Die Betriebswirtschaft, Stuttgart, 1929, pag. 185 e segg.
34
FIGURA 3.2: LA NOZIONE DI BASE DEL RISULTATO DI ESERCIZIO
ED I DIVERSI RISULTATI INTERMEDI
Ricavi
– costo delle materie prime
– ammortamenti
– costo del personale
– interessi passivi
– costo dei servizi di terzi
– costi sociali
– costo per rischi
= reiner Produktionserfolg
+ reiner Produktionserfolg
+ reiner Produktionserfolg
+ reiner Produktionserfolg
+ reiner Produktionserfolg
= Materialertrag
= Anlagenertrag
= Arbeitsertrag
= Kapitalertrag
+ reiner Produktionserfolg
= Sozialertrag
Lehmann distingue tra Produktionserfolg e Finanzerfolg. Il primo
rappresenta il risultato dell’impresa in quanto unità economicoproduttiva volta al conseguimento di redditi distribuibili alle diverse
classi di interessi partecipanti – a vario titolo – al processo produttivo
dell’impresa ed è pari al Produktionskapitalertrag, ossia alla somma
tra il reiner Produktionserfolg e gli interessi passivi pagati per
l’utilizzo del capitale di terzi37. La nozione di Finanzerfolg indica invece il risultato dell’impresa quale unità economico-finanziaria volta
alla remunerazione del capitale impiegato; il rendimento del capitale
investito viene quindi “scisso” in rendimento del capitale proprio e in
rendimento offerto dall’intero capitale impiegato (finanziato da capitale proprio e da capitale di terzi).
I ricavi (Finanzertrag) rappresentati dal Kapitalertrag sono contrapposti ai costi (Finanzkosten), ossia gli interessi passivi e i costi
relativi all’utilizzo del capitale di terzi. Dalla differenza scaturisce il
Finanzerfolg, la remunerazione del capitale proprio, che corrisponde
all’Unterhemergewinn, dato che costituisce l’obiettivo primario perseguito dall’imprenditore.
Per Lehmann appare essere molto importante evidenziare gli stretti
legami sussistenti tra il Finanzerfolg, risultato conseguito dall’impresa
in quanto unità economico-finanziaria, ed il Produktionserfolg, risulta37
Il Produktionskapitalertrag indica la remunerazione del Produktionskapital,
ossia il capitale produttivo impiegato. Il Produktionskapitalertrag viene denominato
da Lehmann Produktionserfolg; cfr. LEHMANN, op. cit., pag. 152.
35
to conseguito dall’impresa in quanto unità economico-produttiva. In
particolare il rendiconto reddituale può essere rappresentato come segue:
FIGURA 3.3: IL RENDICONTO REDDITUALE SECONDO LEHMANN
Produktionskosten
Finanzkosten
Produktionsertrag
Finanzerfolg
FIGURA 3.4: LA SCOMPOSIZIONE DEL RENDICONTO REDDITUALE
NELL’OTTICA DI LEHMANN
Produktionskosten
Produzionsertrag
Finanzkosten
Produktionserfolg
Finanzertrag
Finanzerfolg
4. L’economia dei valori di H. Nicklisch
Il pensiero di Nicklisch è fondato sul presupposto che l’azienda
costituisce il “ponte” tra i bisogni umani e la loro soddisfazione. Il
rapporto tra bisogno e bene, che viene definito da Nicklish Beziehungsproblem, consegue all’attribuzione di un valore soggettivo ad un bene
da parte degli individui in dipendenza della sua idoneità a soddisfare
un determinato bisogno. Tale idoneità non rappresenta il valore stesso,
ma ne costituisce una caratteristica di base. È quindi il valore soggettivo e non quello oggettivo (ossia del bene in se stesso) che rileva
nell’ambito economico-aziendale. Tutte i problemi si incorporano in
quello più generale: das Wertproblem. L’Economia Aziendale è
quindi un un’economia dei valori caratterizzata da relazioni di tipo
circolare (Wertumlauf) a livello di singola impresa e a livello dei rap-
36
porti che vengono ad instaurarsi tra questa, le altre imprese, il sistema
economico in generale38.
Il Wertumlauf consiste in un circolo della produzione (Umlauf der
Leistungswerte) ed in un circolo finanziario (Finanzumlauf): il circolo
finanziario si riferisce al capitale conferito necessario per il funzionamento dell’impresa cui si contrappone, astrattamente, il circolo della
produzione. Tale proposizione può essere meglio interpretata facendo
riferimento ad un sistema economico semplificato, rappresentato nella
figura 4.1 che segue, costituito da una famiglia (cerchio I) e da
un’impresa di produzione (cerchio II). Si ipotizzi che i componenti di
quest’ultima prestino la propria attività nell’impresa. Nel punto 1 i
familiari acquistano beni e li valutano avuto riguardo alla idoneità
degli stessi a soddisfare i propri bisogni ed al ripristino della forza per
lavorare. Quest’ultima viene valutata nel punto 2 costituendo un controvalore (Ausgabengegenwert) dei beni acquistati nel precedente
punto 1. Nel punto 3 l’impresa acquista i fattori produttivi per
l’attuazione del prescelto processo produttivo. Tra il punto 3 ed il
punto 4 si attua il processo produttivo di trasformazione tecnicoeconomica. Nel punto 4 avviene la collocazione dei prodotti finiti acquistati dalla famiglia: il valore dei beni prodotti dall’impresa nel
punto 4 costituisce la contropartita del valore dell’acquisto dei fattori
produttivi di cui al punto 3. I punti da 7 a 10 rappresenta il flusso monetario; in particolare il punto 7 evidenzia la spesa per l’acquisto dei
beni da parte della famiglia, mentre il punto 8 i ricavi dell’impresa a
fronte della vendita dei prodotti ottenuti mediante l’acquisto delle
materie prime di cui al punto 9. Il punto 10 costituisce il compenso
alla famiglia per l’attività svolta nell’impresa. È interessante notare
come per l’impresa i valori nel punto 4 e 8 e nel punto 3 e 9 coincidono, mentre per la famiglia i valori nel punto 1 e 7 coincidono 2 e 10.
38
H. NICKLISCH, Die Betriebswirtschaft, Stuttgart, 1930, pag. 163 e segg.
37
FIGURA 4.1: UMLAUF DER LEISTUNGSWERTE
39
4.1 Le fasi della gestione aziendale
Secondo Nicklisch la gestione aziendale (Betriebsprozeß) si divide
nelle seguenti fasi: acquisizione dei fattori produttivi (Beschaffung),
trasformazione tecnico-economica (Erzeugung), collocamento sul
mercato (Absatz), distribuzione del reddito.
Le fasi dell’acquisizione, della trasformazione e del collocamento
sul mercato vengono coordinate dall’amministrazione al fini di conseguire un reddito. La fase della realizzazione del reddito assume un
ruolo equivalente a quella della distribuzione dello stesso. Il collegamento tra tali due fasi viene stabilito attraverso l’ “altezza” del reddito.
La naturale interdipendenza tra entrambe le fasi dà evidenza
dell’esistenza di alcune problematiche quali il giusto salario (der gerechte Lohn) che dipende dal rapporto tra il risultato ottenuto e la prestazione offerta dal lavoratore, oppure la partecipazione della forza lavoro e del capitale al risultato conseguito. Si deve inoltre considerare
il rapporto tra il reddito prodotto ed il reddito distribuibile, giacché
non è detto che tutto il reddito debba necessariamente essere distribuito ai portato di capitale.
39
Cfr. NICKLISCH, op. cit., pag. 105.
38
Nell’ottica di Nicklisch, la distribuzione del reddito rappresenta, in
parte la contropartita per il lavoro prestato dai dipendenti e
dall’imprenditore medesimo e, in parte, il compenso per l’utilizzo del
capitale proprio (Unternehmerkapital)40. Ne consegue che la “politica
dei dividendi” deve essere coerente con la politica dei salari, con le
esigenze di autopotenziamento (autofinanziamento) dell’impresa e con
le attese dei portatori di capitale di rischio. Le imposte e gli oneri finanziari sul capitale di terzi restano invece escluse giacché vengono
considerate contropartita di prestazioni di terze economie e, quindi,
non hanno partecipato alla formazione del reddito.
4.2 Le grandezze economiche costituenti il Wertumlauf
Acquisito il concetto di Wertumlauf si può notare che nel suo
svolgimento corrispondono grandezze costituenti il flusso monetario o
quello economico e che, congiuntamente, concorrono alla formazione
del reddito. È di tutta evidenza come l’impresa si procuri sul mercato i
fattori produttivi necessari per la trasformazione tecnico-economica
delle materie prime impiegate nel processo produttivo
(Werterzeugung) sostenendo delle spese (Ausgaben). Tale spesa rappresenta quanto deve essere recuperato con il collocamento sul mercato dei prodotti finiti (Einnahmen). I fattori produttivi acquisiti
dall’impresa possono essere a fecondità semplice oppure a fecondità
ripetuta. Occorre notare che il consumo dei beni a fecondità semplice
(Verbrauch) costituisce il soddisfacimento di un bisogno solo se lo
stesso rappresenta l’assorbimento del valore di un prodotto finito. Ne
consegue che, ad esempio, l’impiego di materie prime e di prodotti
semilavorati non è consumo giacché le stesse non sono prodotti finiti.
Infatti il loro valore non viene assorbito ma viene incrementato attraverso la trasformazione tecnico-economica. Tale impiego viene denominato da Nicklish Vorverbrauch, cioè “preconsumo”. L’utilizzo
(Gebrauch) di impianti o di strumenti (fattori produttivi a fecondità
ripetuta) costituisce invece la compartecipazione degli stessi alla for40
Nicklisch distingue tra rechnungsmä igen Unternehmerkapital, che è il patrimonio netto contabile dell’impresa e wirklichen Unternehmerkapital, che coincide
sostanzialmente con il concetto di capitale economico.
39
mazione del valore dei beni prodotti. Il risultato dell’impiego di tutti i
fattori produttivi è la produzione vera e propria il cui valore è costituito dal valore di tutti i valori dei fattori produttivi utilizzati necessari
per il suo ottenimento (Produktionswert o Aufwandswert). Tale valore
è tuttavia diverso dal valore prodotto (erzeugter Wert) in quanto non
comprende il valore apportato dall’impresa stessa (Betriebsleistung),
valore che sarà determinato dal mercato al momento del disimpiego.
La Betriebsleistung indica quindi il valore aggiunto prodotto
all’interno dell’impresa escludendo tutti i valori di pertinenza di terze
economie (betriebsfremde Leistung). Nicklish distingue altresì tra valori che sono di competenza del periodo di riferimento
(Periodenleistungen) e valori che non solo sono (periodenfremde Leistung). I valori dell’azienda saranno quindi costituiti dalle rimanenze
di valori di competenza del periodo precedente (Anfangsvermögen der
Periode), dai valori di terze economie del periodo (Zugänge aus fremden Betrieben während del Periode) e, infine, dai valori dell’economia
interna del periodo (Zugänge aus eigener Leistung). I flussi in uscita
sono costituiti dal collocamento sul mercato dei prodotti le cui rimanenze sanno rinviate all’esercizio successivo.
Occorre a questo punto considerare la grandezza economica dei ricavi (Umsatz)41 che possono essere considerati come flussi economici
comprendenti l’impiego (Aufwand) e la produzione (Erzeugung) oppure come flusso monetario che comprende la spesa (Ausgaben) e gli introiti (Einnahmen). Nella prima accezione si pone enfasi sulla misurazione del ricavo in termini di valore della produzione ed escludendo
in tal modo l’utile (Gewinn) per cui diviene importante verificare la
completezza del calcolo dell’impiego dei fattori produttivi, intendendo
con tale espressione la verifica che non residuano impieghi (stiller
Aufwand) da finanziare con l’utile di esercizio. Nella seconda accezione, al contrario, si parla di Umsatz der Zahlungsmittel che misura il
ricavo in termini di mezzi di pagamento. E’chiaro che nelle due acce-
41
La nozione di Umsatz adottata da Nicklisch è sostanzialmente diversa da quella
di Lehmann. Quest’ultimo intende per Umsatz l’insieme delle operazioni economiche messe in atto dall’impresa durante un periodo amministrativo ed utilizza invece
il termine Absatz per definire il fatturato (cioè l’Umsatz di Nicklisch).
40
zioni l’ “altezza” dell’Umsatz non può coincidere giacché il flusso
monetario ha ritmi diversi rispetto al flusso economico.
La contropartita del valore prodotto all’interno dell’impresa viene
denominato da Nicklish Ertrag42: è una grandezza espressa in termini
monetari che ovviamente non corrisponde al valore dei ricavi conseguiti dato che questi ultimi devono remunerare sia il valore apportato
da terze economie sia il valore prodotto dall’economia interna. Tale
grandezza non corrisponde nemmeno con la Betriebsleistung calcolata
in termini di Aufwandswert giacché la prima può essere maggiore o
minore dell’Ertrag e quindi l’impresa rileverà un utile (Gewinn) od
una perdita (Verlust). Tale utile (perdita) è quindi nient’altro che un
valore residuo dell’Ertrag al termine del processo della Ertragsverteilung.
42
Come meglio si vedrà più avanti, Nicklisch assume una posizione critica nei
confronti di due studiosi del tempo, B. Skrodzki e K.E. Moessner, che in uno studio
elaborato su incarico del Reichsverband der Deutschen Industrie, “Besteuerung, Ertrag und Arbeitslohn industrieller Unternehmungen im Jahre 1927” utilizzano il
termine Wertschöpfung in luogo di Ertrag. Nicklisch sostiene l’opinione che Ertrag
descriva meglio la Betriebsleistung perché sottolinea l’aspetto della produzione di
valore (ricchezza); cfr. NICKLISCH, op. cit., pag. 527 e segg.
41
CAPITOLO II
L’ECONOMICITÀ SOCIALE
DELL’IMPRESA E IL VALORE AGGIUNTO
SOMMARIO: 1. Il valore aggiunto: possibili definizioni. – 2. Le diverse
logiche di osservazione.
1. Il valore aggiunto: possibili definizioni
Per molti anni l’economia e la prassi aziendale germanica hanno
attribuito scarsa attenzione al calcolo del valore aggiunto
(Wertschöpfung); solo recentemente, con l’avvio degli studi sul cosiddetto bilancio sociale d’impresa (gesellschaftsbezogener Rechnungslegung), tale grandezza ha cominciato ad essere oggetto di maggiore
approfondimento. Tale “lacuna” è forse da attribuirsi all’influenza che
gli studi di Wilhelm Rieger1 in ordine alla Privatwirtschaftslehre hanno avuto sulla comunità scientifica. Tali studi hanno inquadrato
l’impresa intendendo quest’ultima solo come strumento per il conseguimento del profitto, mentre successivamente hanno prevalso studi
che hanno posto attenzione alla vita dell’impresa sia da un punto di
vista economico-aziendale sia da un punto di vista economicopolitico, giacché l’impresa è uno degli elementi costitutivi un sistema
economico. Ne è esempio lo Schamlenbach, che ritiene di non poter
accettare il concetto economico-privato di profitto (privatwirtschaftlicher Gewinnbegriff), sostenendo che il profitto debba essere considerato quale espressione dell’economicità sociale dell’impresa
(der Gewinn als Ausdruck der Wirtschaftlichkeit)2. Il risultato
d’esercizio dovrebbe pertanto rappresentare, secondo l’Autore, il
Mehrwert (plusvalore) che scaturisce dal confronto tra la ricchezza
1
RIEGER, Einführung in die Privatwirtschaftslehre, Erlangen, 1928, pag. 32 e
segg.
2
SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1931, pag.93.
43
consumata dalla collettività e quella prodotta ed apportata dalla collettività medesima.
Nella dottrina economico-aziendale tedesca il valore aggiunto è
stato interpretato3 come differenza tra la produzione lorda
dell’economia interna e la produzione apportata da terze economie.
Per indicare tale grandezza si è utilizzato il termine Wertschöpfung od
altri equivalenti come, ad esempio, Werterhöhung, Wertzuwachs,
Wertauftrieb e Mehrwert. Il termine Mehrwert sarebbe quello più corretto dato che, con il termine Wertschöpfung, si può intendere sia il
processo della creazione di valore all’interno dell’impresa sia il risultato del processo stesso. Mehrwert invece indica proprio il risultato del
processo produttivo anche se potrebbe essere confuso con il Mehrwert
(plusvalore) di Karl Marx, ossia il valore che viene prodotto dal lavoratore eccedente il valore del salario che gli garantisce il minimo essenziale4. Per tale motivo la letteratura economico-aziendale tedesca
ha preferito utilizzare il termine Wertschöpfung5. Nella letteratura anglosassone il fenomeno della Wertschöpfung viene descritto con il
termine value added, in quella francese valeur ajoutée e in quella italiana con il termine “valore aggiunto”.
Tale grandezza è stata oggetto di studio degli economisti attraverso
la costruzione dei primi modelli economici. Il pensiero corre al tableau économique di Francois Quesnay6 in cui viene suddiviso tra
produit brut e produit net. Successivamente è entrata nel campo di
studio degli statistici (Nerschmann7, Colm8, Meerwarth9) al fine dello
studio dei cicli economici. Gli economisti aziendali si sono interessati
3
POHMER, Betriebswirtschaftliche Bedeutung und ermittlung der betrieblichen
Wertschöpfung, in ZfB, 1958, pag. 149.
4
MARX, ENGELS, Werke:das Kapital, (1. Bd.), Berlin, 1972, pag. 226 e segg.
5
Letteralmente il termine valore aggiunto nella lingua tedesca corrisponde a hinzugefügten Wert, che tuttavia non è appropriato sostituire al termine Wertschöpfung.
6
QUESNAY, Tableau économique, avec son explication, ou extrait des économies
royales de Sully, Versailles, 1758.
7
NERSCHMANN, Gewerbliche Produktionsstatistik, “Ergänzungsshefte zum
Deutschen Statistischen Zentralblatt”, Göttingen, 1916.
8
COLM, Das Mehrwertverfahren in der Produktionsstatistik, in:
“Weltwirtschaftliches Archiv”, 1924, pagg. 204-217.
9
MEERWARTH, Nationalökonomie und Statistik, Berlin-Leipzig, 1925.
44
a tale grandezza solo successivamente; tra questi ricordiamo Nicklisch, che negli anni Trenta ha determinato il Betriebsertrag e la sua
distribuzione, e Lehmann, che negli anni Quaranta e Cinquanta ha
formulato in modo sistematico e completo il calcolo del valore aggiunto. Nella prassi aziendale tale calcolo è stato introdotto solo durante gli
anni Settanta nell’ambito del bilancio sociale di cui è diventato parte
fondamentale.
Il calcolo del valore aggiunto impone di considerare l’impresa
quale unità e di interpretare il reddito di esercizio quale remunerazione
comune per tutti i partecipanti al processo produttivo. Tali assunti sono simili a quelli che Nicklisch ha posto a fondamento del proprio
pensiero, ossia che il risultato del processo economico dell’impresa è
uguale al Gesamertrag10, che a sua volta rappresenta la remunerazione
del valore creato all’interno dell’impresa dalla Betriebsgemeinschaft11
(collettività aziendale) e che viene successivamente distribuito secondo la Ertragsverteilung12 agli aventi diritto. Nicklisch aveva cioè già
intuito che l’impresa deve essere osservata come un’unità cui concorrono tutti i titolari dei fattori produttivi. Per tali motivo i salari e gli
stipendi, il costo opportunità non sono da considerarsi tanto costi
quanto, piuttosto, ricavi (Arbeitserträge e Kapitalerträge) che fanno
parte del Betriebsetrag. Anche Lehmann intuisce l’importanza del calcolo del valore aggiunto quale strumento “mediatore” tra i diversi interessi che convergono nell’impresa, dato che tale calcolo evidenzia il
reddito prodotto e la sua distribuzione ai partner sociali13 in proporzione alla prestazione apportata. Secondo Stöbe con il calcolo del valore
aggiunto viene annullata l’antinomia tra il profitto e la remunerazione
dei fattori produttivi attraverso la definizione di un’unica grandezza
10
Il Gesamtertrag è la somma algebrica dei ricavi, della variazione delle rimanenze dei prodotti finiti e semilavorati e dei costi periodici. Cfr. NICKLISCH, op.cit.,
Stuttgart, 1930, pagg. 516-527.
11
NICKLISCH, op.cit., Stuttgart, 1930, pagg. 294 e segg.
12
NICKLISCH, Ertragsverteilungsprozeß, in: HdB, 2. Aufl., Bd. 1, § 1611 e segg.,
Leipzig, 1932.
13
Lehmann definisce le classi di interesse all’interno dell’impresa Sozialpartner;
cfr. LEHMANN, Betriebswirtschaftslehre als Sozialwissenschaft, in: NA, Heft 1, pag.
33 e segg.
45
che misura il successo ottenuto che è in grado di unire tutte le diverse
aspirazioni di coloro che partecipano al processo economico14.
Solo negli ultimi decenni del secolo è avvenuto un mutamento nel
pensiero economico che ha lasciato spazio al concetto di
Wertschöfungsdenken: soprattutto le imprese di medie-grandi dimensioni si riconoscono quali strutture sociali in cui cooperano diversi
Sozialpartner che vengono remunerati dal reddito prodotto
dall’impresa. In tale ambito il calcolo del valore aggiunto è maggiormente idoneo a rappresentare il successo ottenuto dall’impresa15. Nasce pertanto un certo senso di appartenenza alla collettività che incentiva i partecipanti al processo economico ad incrementare il successo
dell’impresa perseguendo scopi comuni (Köhler utilizza l’espressione
pluralistisch orientierte Wertschöpfungsveranstaltung16). Non è tuttavia da sottovalutare la difficoltà che comporta la distribuzione del
reddito prodotto dall’impresa in quanto l’incremento della quota di
reddito a favore di uno specifico portatore d’interesse va a scapito
della quota di un altro portatore d’interesse.
Il valore aggiunto è una grandezza misurabile la cui quantificazione
viene resa possibile soltanto mediante l’equiparazione del prezzo e del
valore. La nozione di valore rappresenta anzitutto la relazione tra beni
e bisogni umani ed è, pertanto, un Beziehungsbegriff17. Nell’ambito
dell’economia d’azienda è fondamentale lo scambio dei valori attribuiti ai beni ed alle operazioni posti in essere dai soggetti economici.
Tali valori per poter essere comunicati devono essere espressi in termini quantitativo-monetari. Tale tipo di nozione di valore viene de14
STÖBE, Ergebnisbeteiligung der Produktionspartner auf der Grundlage der
betrieblichen Wertschöpfung, Nürnberg, 1953, pag. 87.
15
WEISSER, Exkurs über die Möglichkeit der Messung wirtschaftlicher Erfolge,
unter: Wirtschaft, in: “Handbuch der Soziologie”, hrsg. von W. ZIEGENFUSS, Stuttgart, 1956, pag. 970 e segg.
16
KÖHLER, Einkommensverteilung im Unternehmen, Düsseldorf, 1961, pag. 119
e segg.
17
Come si ricorderà tale concezione è stata fatta propria da Nicklisch descrivendo il Beziehungsproblem, ossia la questione fondamentale da risolvere nell’ambito
dell’economia aziendale. Egli ha inoltre sottolineato che il valore attribuito dagli
individui ai beni è di natura soggettiva e che tale valore assume rilevanza economica.
46
nominato da Pausenberger instrumentaler Wertbegriff18. La
grandezza che consente di esprimere la valutazione soggettiva in termini
quantitativi è il prezzo. Nei sistemi economici di mercato il prezzo
viene determinato dal mercato ossia dove si incontrano le valutazioni
soggettive degli operatori economici offerenti e richiedenti. In altre
parole si può affermare che il prezzo costituisce un’oggettivazione del
valore19. Secondo Wenke in questo caso di potrebbe parlare di valore
oggettivato (objektivierter Wert), termine già utilizzato dal Wittmann20. Appare interessare osservare la posizione di Kroeber Riel che
sostiene che Wittmann limiti l’adottabilità della nozione del valore al
campo filosofico giacché il valore non sarebbe quantificabile. In tal
modo Wittmann negherebbe l’utilizzabilità della nozione di valore
nell’ambito economico-aziendale21. E’poi da osservarsi che, in generale, il prezzo nelle moderne economie non è influenzato dal singolo
soggetto né dalla singola impresa ed è quindi il mercato (ossia
l’insieme dei soggetti economici) a quantificare il valore di un bene.
Soltanto con l’oggettivizzazione del valore di un bene nel suo prezzo,
il calcolo del valore aggiunto acquista una qualche utilità. Infatti, con
la distinzione tra Wertschöpfung e Preisschöpfung che è stata proposta
da Kink22, la Wertschöpfung perde la sua natura quantitativa. Ne consegue che una valutazione dei beni che non si trasforma in un prezzo
finirebbe di essere un puro atto emotivo (Wertgefühl) impossibile da
comunicarsi23. Per tale motivo elemento fondamentale nello studio e
nel calcolo del valore aggiunto aziendale è il prezzo. In un’economia
di mercato la determinazione di un prezzo non è tuttavia agevole giacché il mercato è caratterizzato da trasparenza ed informazione imperfette e da limitazioni della libera concorrenza e quindi il prezzo non
18
PAUSENBERG, Wert und Bewertung, Stuttgart, 1962, pag. 25 e segg.
PAUSENBERG, op. cit., pag. 14.
20
WENKE, Theorie der Wertschöpfung und der Wertschöpfungsrechnung, Mainz,
1987, pag. 56. Cfr. anche WITTMAN, Der Wertbegriff in der Betriebswirtschaftslehre, Köln/Opladen, 1956, pag. 103.
21
KROEBER RIEL, Wertschöpfung, Wertschöpfungsrechnung, Wertschöpfungsdenken, Berlin, 1963, pag. 25; WITTMAN, op. cit., pag. 103.
22
KINK, Wertschöpfungsprozeß und Verrechnungslehre, Zürich, 1955, pag. 42 e
segg.
23
KROEBER RIEL, op. cit., pag. 17.
19
47
rappresenta in modo assoluto il valore attribuito ad un certo bene. In
secondo luogo, il valore aggiunto prodotto all’interno di un impresa
calcolato con i prezzi effettivamente applicati può essere influenzato
da politiche di prezzo finalizzate ad una economicità di gruppo per cui
si possono praticare dei prezzi maggiori oppure inferiori rispetto a
quelli correnti di mercato, trasferendo ricchezza da un impresa del
gruppo all’altra ed agendo così sul valore aggiunto creato all’interno
delle imprese24.
Per delineare in maniera semplificata la dinamica del valore aggiunto è possibile immaginare un sistema economico formato da imprese industriali che producono dei beni ed imprese commerciali che
procedono alla loro distribuzione. I beni collocati sul mercato vengono
acquistati dai consumatori. Il prezzo che questi ultimi pagano rappresenta la remunerazione delle imprese commerciali e delle imprese industriale. Ulteriormente il prezzo può essere scisso nella parte che remunera la creazione di valore avvenuta all’interno dell’impresa stessa
(Eigenleistung) ed nella parte che remunera i beni e servizi apportati
da economie terze (Vorleistungen) che solo indirettamente hanno partecipato al processo economico. Quindi il valore aggiunto misura la
ricchezza complessiva prodotta dall’impresa al netto del costo sotenuto per realizzarla.
In generale nella letteratura tedesca possiamo individuare tre nozioni differenti di valore aggiunto (Wertschöpfung) a seconda della
definizione del contenuto delle prestazioni di terze economie
(Fremdleistungen).
La prima nozione è caratterizzata dal fatto che esclude dalle Vorleistungen gli ammortamenti dei beni ad impiego pluriennale. Il valore
aggiunto calcolato in questo modo contiene delle Fremdleistungen (gli
ammortamenti), dato che i beni ad impiego pluriennale di regola non
vengono prodotti internamento all’impresa, ma acquistati da terze
economie. Per questa ragione questa nozione di valore aggiunto viene
denominata nella letteratura tedesca Bruttowertschöpfung (valore aggiunto lordo). Se invece si includono gli ammortamenti nella categoria
delle Vorleistungen, allora si ottiene la Wertschöpfung zu Marktprei24
KROEBER RIEL, op.cit., pagg. 26 -31.
48
sen (il valore aggiunto ai prezzi di mercato), denominato anche Nettowertschöpfung zu Marktpreisen (valore aggiunto netto ai prezzi di
mercato). Questo valore rappresenta il reddito complessivo prodotto
dall’impresa ed esso verrà poi distribuito alle varie classi di interesse:
la forza lavoro, i portatori di capitale, lo Stato. Lehmann25 denomina
quanto distribuito alle classi di interesse rispettivamente Arbeiterträge
(il reddito distribuito alla classe della forza lavoro), Kapitalerträge (il
reddito distribuito alla classe del capitale) e Gemeinerträge (il reddito
corrisposto allo Stato che comprende sia le imposte dirette che indirette). La nozione di Nettowertschöpfung è la più usata dagli studiosi di
economia aziendale ed in particolare da Lehmann e da Pohmer. Terza
ed ultima nozione di valore aggiunto è quella utilizzata soprattutto
nell’ambito dell’economia politica che viene denominata
Wertschöpfung zu Faktorkosten oppure Nettowertschöpfung zu
Faktorkosten (valore aggiunto ai costi di fattore oppure valore aggiunto netto ai costi di fattore). Mentre le prime due grandezze considerano
lo Stato partecipante alla distribuzione del reddito prodotto all’interno
dell’impresa, questa nozione non ne tiene conto. Infatti lo Stato viene
considerato un settore autonomo a sé stante e dal valore aggiunto viene detratto quanto deve essere corrisposto allo Stato a titolo di imposte
indirette. Le imposte dirette invece vengono considerate parte del valore aggiunto che complessivamente viene distribuito sia alla classe
della forza lavoro, come Bruttoarbeitsertrag, sia alla classe dei portatori di capitale come Bruttokapitalertrag, indicando con Bruttoertrag
il reddito distribuito al lordo delle imposte sul reddito26.
2. Le diverse logiche di osservazione
Dato che il valore aggiunto costituisce l’anello di congiunzione tra
le rilevazioni d’impresa e la contabilità economica nazionale, vengono
25
LEHMANN, Leistungsmessung durch Wertschöpfungsrechnung, Essen, 1954,
pag. 13 e segg.
26
KROEBER RIEL, op. cit., pag. 22. Cfr. anche KRELLE, Volkswirtschaftliche Gesamtrechnung, Berlin, 1959, pag. 85; KRAUS, Volkswirtschaftliche Gesamtrechnung, Wiesbaden, 1961; HOFFMAN, Volkswirtschaftliche Gesamtrechnung, Heft
11 der volkswirtschaftlichen Schriften, pag. 113 e segg.
49
presentati di seguito gli aspetti macro-economici ed aziendali che ne
caratterizzano la definizione.
2.1 Aspetti macro-economici
Il primo contributo scientifico in tema di valore aggiunto è stato
quello di Nerschmann nel 191627. Nerschmann, che durante questo periodo collabora presso l’Istituto Statistico Imperiale a Berlino, studia
l’incremento del valore della produzione dei singoli settori28. Nel suo
lavoro Nerschmann si basa soprattutto su pubblicazioni precedenti di
studiosi anglosassoni che già qualche anno prima si erano occupati del
problema del valore aggiunto. Nerschmann, definendo le singole voci
da osservare per determinare il valore aggiunto, si trova costretto a
trattare anche questioni di economia aziendale, come per esempio la
valutazione delle rimanenze di prodotti finiti e semilavorati, la valutazione del consumo delle materie prime, l’autoconsumo dei prodotti
ecc. Egli definisce il Mehrwert come somma algebrica del valore della
produzione annua più il valore del lavoro prestato presso economie
terze, al netto del valore delle materie prime e del valore del lavoro
apportato da terze economie29. È utile osservare che il termine
Mehrwert usato da Nerschmann è uguale al termine usato da Karl
Marx. Tuttavia Nerschmann intende per Mehrwert il valore aggiunto e
non il Mehrwert di Marx che si riferisce, come si è visto, al valore
prodotto dal lavoratore, eccedente il valore salariale ottenuto che gli
garantisce il minimo essenziale.
27
NERSCHMANN, Gewerbliche Produktionsstatistik, Leipzig/Berlin, 1916, Erg.
Heft zu Dt. Stat. Zentralblatt, Heft 8.
28
NERSCHMANN, op. cit., pag. 3: “Unter Produktion versteht man die durch menschliche Arbeit und das Kapital hervorgerufene Werterhöhung der Güter. In logischer Folge hat daher eine Produktionsstatistik nicht etwa den Wert der Produkte
als solche zu erfassen, sondern der den Produkten im Laufe des Produktionsprozesses durch denselben beigebrachten Mehrwert, die Werterhöhung ist herauszuschälen und nur diese kann als Maßstab für die Bedeutung und Wichtigkeit der einzelnen Industrien und Industriezweigen gelten.”
29
NERSCHMANN, op. cit., pag. 9: “wenn man von dem Gesamtjahreproduktionswert einschließlich dem Wert für geleistete fremde Hilfsarbeit den Wert für das verarbeitete Material einschließlich Wert der empfangenen fremden Hilfsarbeit
abzieht …”
50
Per il calcolo del valore aggiunto Nerschmann esclude dalle Vorleistungen i salari e gli stipendi, le imposte, l’assicurazione, gli interessi passivi, il combustibile ed altri elementi. In particolare anche per
quanto riguarda gli ammortamenti Nerschmann si adegua agli studiosi
anglosassoni. In tal modo, detrae dal valore della produzione, a titolo
di ammortamento, tutti i prodotti semilavorati e finiti che sono stati
impiegati nella produzione (come per esempio attrezzi ed utensili) ma
non invece gli impianti ed altri simili beni ad impiego pluriennale. Per
capire meglio questa incongruenza si deve tenere presente che nella
prassi economica di allora il concetto di ammortamento non era definito in modo chiaro ed uniforme. Nelle società di capitali le quote di
ammortamento venivano stabilite dall’assemblea dei soci in base al risultato d’esercizio. Quindi si può affermare che Nerschmann intende
per Mehrwert il valore del processo di trasformazione della materia
prima in prodotto finito30.
In modo più critico il valore aggiunto è stato studiato da Meerwarth
nelle sue opere Nationalökonomie und Statistik (1925) e Einleitung in
die Wirtschaftsstatistik (Jena 1920). Come Nerschmann, anche
Meerwarth si basa sugli studi anglosassoni, avvicinandosi anche alla
prassi olandese. In Olanda, a partire dal 1916, si elaboravano delle
statistiche per determinare il valore aggiunto dei singoli settori. Diversamente dalla prassi anglosassone, oltre al consumo delle materie prime si detraevano dal valore della produzione anche le quote di ammortamento dei beni ad impiego pluriennale. Dato che però in realtà le
quote di ammortamento applicate dai diversi settori e dalle singole
imprese divergevano non di poco, si tentò di stabilire delle quote uniformi (ad esempio il 4 % per gli edifici oppure il 10 % per gli impianti). La preferenza di Meerwarth va per la prassi olandese piuttosto che
per quella anglosassone per la maggior coerenza della prima nelle modalità di determinazione del valore aggiunto31.
30
SCHÄFER, Vom Mehrwert zur Wertschöpfung, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1951, pag. 451.
31
MEERWARTH, Nationalökonomie und Statistik, Berlin/Leipzig, 1925, pag. 231
e segg.
51
Oltre a Nerschmann e Meerwarth anche Colm studia la questione
del valore aggiunto32. Innanzitutto Colm critica la concezione che la
remunerazione monetaria (salari, stipendi, interessi passivi) ottenuta
per la partecipazione al processo produttivo rispecchi la prestazione
apportata (sia essa la forza lavoro prestata oppure il capitale apportato). Secondo Colm tale concezione è troppo riduttiva, perché si limita
a considerare solo l’aspetto monetario e tralascia il valore “culturale”
non misurabile in termini monetari. Quindi il valore aggiunto evidenziato dalle diverse statistiche si esauriva all’interno del processo monetario, dato che i valori risultanti dalle statistiche riflettevano prezzi
realizzati sui mercati33. Secondo Colm l’unico significato attribuibile
alla determinazione del valore aggiunto è quello di evidenziare
l’importo monetario che remunera le varie prestazioni dei soggetti
partecipanti al processo produttivo. Il metodo di determinazione del
valore aggiunto proposto da Colm si caratterizza sostanzialmente per
due elementi. In primo luogo Colm sostiene che si può considerare la
produzione solo in quanto ha generato del reddito. Reddito che si realizza solo nella fase di collocamento dei prodotti finiti sul mercato attuando il disinvestimento ed il recupero delle somme in precedenza
impiegate. Per questo motivo Colm esclude le rimanenze finali dal
calcolo del valore aggiunto e considera soltanto la quantità di prodotti
venduti, salvo nel caso in cui le rimanenze costituiscano garanzie per
gli affidamenti ottenuti. Seguendo tale procedura Colm evita il problema della valutazione delle rimanenze finali. In secondo luogo Colm
elenca tutte le classi di interesse partecipanti al processo produttivo,
tra le quali viene ripartito quanto ricavato dalle vendite. Colm individua in tal modo sei classi, tra cui le economie terze (fornitori delle
materie prime, fornitori dei macchinari, banche, assicurazioni, ecc.), i
proprietari dello stabilimento e degli uffici, lo Stato, gli azionisti e i
32
COLM, Das “Mehrwert” – Verfahren in der Produktionsstatistik, in:
“Weltwirtschaftliches Archiv”, 1924, pag. 204 e segg.
33
COLM, op. cit., pag. 207: “Man würde ja die der wirtschaftlichen Marktlage
und der Konjunktur unterworfenen Geldgrößen in Verbindung bringen mit einem
geldmäßig gar niht erfaßbaren kulturellen Maßstab. Die ‘Werte’ in der Produktionsstatistik sind realisierte Preise – ihre Bedeutung erschöpft sich innerhalb des gelwirtschaftlichen Prozesses …”. Cfr. anche SCHÄFER, op. cit., pag. 454 e segg.
52
partecipanti al capitale sociale, operai e dipendenti e, infine, le diverse
classi professionali. Tale schema di distribuzione non segue forse una
logica sistematica, sviluppata solo successivamente da altri studiosi. È
importante tuttavia evidenziare la particolare soluzione cui è prevenuto Colm per quanto riguarda le quote di ammortamento. Se si osserva
bene la classe delle economie terze, si nota che essa include anche i
fornitori di macchinari. Infatti Colm è contrario all’ammortamento per
quote costanti, in quanto tale metodo non tiene conto della manutenzione e delle migliorie apportate su tali beni. Egli propone così di
considerare ai fini del calcolo del valore aggiunto soltanto le spese effettivamente sostenute durante l’anno per la manutenzione, per le
migliorie e per gli acquisti34.
Ghertschuk, studioso contemporaneo di Colm, è sostanzialmente
d’accordo con il metodo proposto da Colm. Anche Ghertschuk35 propone di detrarre le spese sostenute durante l’anno per la manutenzione
e per le migliorie. Egli critica invece l’inserimento delle spese sostenute per l’acquisto di macchinari nuovi al posto delle quote di ammortamento. Infatti egli osserva che tali spese nel caso in cui non fossero
state capitalizzate e successivamente ammortizzate, avrebbero inciso
fortemente sul risultato dell’esercizio in cui sono sostenute. Tali spese,
secondo Ghertschuk, sono di competenza di più esercizi e quindi non è
corretto imputarle ad un unico esercizio. Ghertschuk rifiuta anche la
proposta di Colm di limitarsi a considerare soltanto il fatturato come
grandezza di partenza sottolineando la necessità di includere anche le
rimanenze finali, paragonandole all’investimento in macchinari nuovi
e proponendo di valutarle al costo di produzione36.
Anche se nell’applicazione statistica alcune nozioni vengono definite in modo differente dai vari studiosi, fatto dovuto alle diverse
tecniche di rilevazione e dei dati disponibili, in generale si può affer34
COLM, op. cit., pagg. 211-215.
GHERTSCHUCK, Die Ermittlung der Werterhöhung in der Produktionsstatistik,
in: “Weltwirtschaftliches Archiv”, 1928, pag. 225 e segg.
36
COLM, prendendo spunto dalla critica di Ghertschuk, revisiona la sua teoria accettando sostanzialmente le modifiche proposte dal secondo; cfr. COLM, Bemerkungen zu dem Aufsatz von Ghertschuk, in: “Weltwirtschaftliches Archiv”, 1928, pag.
236 e segg.; SCHÄFER, op. cit., pag. 456 e segg.
35
53
mare che nell’economia politica il valore aggiunto è definito in modo
sostanzialmente uniforme. Il valore aggiunto di un’impresa, di un settore, di una nazione è uguale al reddito prodotto. Il valore aggiunto
viene calcolato (cfr. figura 2.1) partendo dal valore lordo della produzione (Bruttoproduktionswert) che è pari al fatturato incrementato del
valore delle variazioni delle rimanenze e delle immobilizzazioni interne. Da questo valore lordo si detraggono i consumo dei fattori produttivi apportati da terze economie (Vorleistungen) e si ottiene il valore
aggiunto lordo (Bruttowertschöopfung). Se si detraggono anche gli
ammortamenti e le imposte indirette si ottiene il valore aggiunto netto
(Nettowertschöpfung) o valore aggiunte al costo dei fattori
(Wertschöfung zu Faktorkosten)37. Tale grandezza comprende i salari e
gli stipendi, gli interessi passivi, i profitti distribuiti e non distribuiti e
le imposte dirette38.
FIGURA 2.1: LA NOZIONE DI VALORE AGGIUNTO PROPRIA DELL’ECONOMIA POLITICA
Valore lordo della produzione
– consumi di fattori produttivi apportati da terze economie
Valore aggiunto lordo
– ammortamenti
– imposte indirette
Valore aggiunto/valore aggiunto netto Salari e stipendi
Interessi passivi
Profitto distribuito e non distribuito
Imposte dirette
37
KROEBER RIEL, op. cit., pag. 22 e segg.
STOBBE, Volkswirtschaftslehre I: Volkswirtschaftliches Rechnungswesen, Berlin/Heidelberg/New York, 1976, pag. 17 e segg.; WEBER, Wertschöpfungsrechnung,
Stuttgart, 1980, pag. 5 e segg.
38
54
2.2 Aspetti economico-aziendali
Gli studi sul valore aggiunto sviluppati nell’ambito macroeconomico sono stati la base per gli studi successivi elaborati
nell’ambito economico-aziendale. L’importanza del valore aggiunto
nell’ambito dell’economia aziendale è emersa solo recentemente.
All’inizio del Ventesimo secolo Nicklisch introduce in dottrina una
nozione simile al valore aggiunto denominata Betriebsertrag. Negli
anni Trenta Lehmann, come osserva egli stesso, si rende conto che la
nozione di valore aggiunto, conosciuta da Rathenau durante le Reparationsverhandlungen del primo dopoguerra, può essere utilizzata anche nella contabilità aziendale. E’stato Lehmann attraverso numerosi
articoli e monografie ad attirare l’attenzione della dottrina economicoaziendale tedesca sulla questione del valore aggiunto. Durante gli anni
Cinquanta e Settanta, anche a seguito dell’evoluzione degli studi sul
reddito d’esercizio, molti studiosi aziendali si sono dedicati allo studio
del valore aggiunto, considerato “nozione sorella” del profitto
(Schwesterbegriff des Gewinns39). Tuttavia solo dagli anni Settanta in
poi lo studio dottrinale è stato applicato anche alla prassi aziendale,
come risposta all’esigenza di redigere bilanci sociali. E’proprio questo
l’ambito in cui la nozione di valore aggiunto trova attuale applicazione
e di cui è diventata punto cruciale irrinunciabile.
2.2.1. Il Betriebertrag di Nicklisch
Heinrich Nicklisch è fondamentalmente il primo studioso della
dottrina tedesca che propone alla fine degli anni Venti una nozione di
risultato che si avvicina alla nozione della Wertschöpfung e che viene
denominata Betriebsertrag. Questo suo studio ha avuto tuttavia poca
risonanza e solo con Lehmann il valore aggiunto ha ottenuto
l’accreditamento da parte della dottrina economico-aziendale tedesca.
Nonostante ciò, Nicklisch viene considerato assieme a Lehmann il
Vater der Wertschöpfung (padre del calcolo del valore aggiunto) in
quanto è stato in grado di sensibilizzare la comunità scientifica al cosiddetto Wertproblem e quindi al Wertschöpfungsdenken. Si è visto
che egli concepisce l’economia dell’azienda come un’economia dei
39
SCHÄFER, op. cit., pag. 457.
55
valori e definisce quale problema fondamentale dell’economia aziendale il Beziehungsproblem40, elemento fondamentale di tutti gli sviluppi dottrinali successivi.
Il sistema elaborato da Nicklisch si divide principalmente in due
fasi: la fase dell’Einkommenserzeugung che comprende l’acquisizione
dei fattori produttivi, la trasformazione tecnico-economica ed il collocamento sul mercato, e la fase dell’Einkommensverteilung in cui viene
distribuito il reddito prodotto. Nel processo produttivo confluiscono
tutti i fattori di produzione cioè sia i beni e i servizi acquistati presso
economie terze e la “prestazione” dell’impresa stessa
(Betriebsleistung). Per Nicklisch (come successivamente anche per
Lehmann) è fondamentale distinguere tra valore apportato da economie terze sotto forma di beni e servizi acquistati, denominato betribsfremde Leistung, e valore creato all’interno dell’impresa, denominato Betribsleistung. Inoltre, Nicklisch distingue tra valore di competenza del periodo, che viene denominato Periodenleistungen e valore
non di competenza che viene denominato periodenlefremde Leistung.
Il valore creatosi all’interno di un’impresa è costituito dal valore apportato da economie terze (Zugänge aus fremden Betrieben während
der Periode), dalle rimanenze di valore del periodo precedente
(Anfangsvermögen der Periode) ed infine dal valore creato
dall’impresa durante il periodo (Zugönge aus eigener Leistung)41. Sulla
base di queste ipotesi il valore prodotto all’interno dell’impresa viene
denominato da Nicklisch Betriebsertrag: egli sostiene infatti che il risultato della gestione aziendale è il Betriebsertrag e non il Gewinn anche se gli studiosi di economia aziendale tendono a misurare la capacità di produrre ricchezza di un’impresa con il calcolo dell’utile di esercizio. Tale capacità però dipende dalla Betriebsleistrung che ha come
contropartita il Betriebsertrag e non il Gewinn. L’utile quindi è
nient’altro che un valore residuo del Betriebsertrag alla fine del processo della Ertragsverteilung che distribuisce la ricchezza prodotta
all’interno dell’impresa42.
40
Cfr. NICKLISCH, Die Betriebswirtschaft, Stuttgart, 1930, pag. 163.
Cfr. NICKLISCH, op. cit., pag. 500 e segg.
42
Cfr. NICKLISCH, op. cit., pag. 535.
41
56
È interessante osservare che Nicklisch conosce il termine
Wertschöpfung e che non lo sceglie appositamente, criticando altresì,
il suo utilizzo nella ricerca effettuata pochi anni prima da Skrodzki e
Moessner. In tale ricerca elaborata su incarico del Reichsverband der
Deutschen Industrie ed intitolata “Besteuerung, Ertrag un Arbeitslohn
industrieller Unternehmungen im Jahre 1927” viene utilizzato il termine Wertschöpfung al posto di Ertrag. Nicklisch critica fortemente
questo fatto sostenendo l’opinione che il termine Ertrag ed in particolare il termine Betriebsertrag descriva meglio la Betriebsleistung in
quanto sottolinea l’aspetto della produzione di valore (ricchezza)43.
Il Betriebsertrag si determina detraendo dai ricavi conseguiti i costi
sostenuti per l’acquisto delle materie prime ed ausiliarie, le quote di
ammortamento e di accantonamento44, i costi sostenuti per beni e servizi acquistati da economie terze ed, infine, gli interessi passivi45 per
remunerare il capitale di terzi. Ne segue che il Betriebsertrag è la
grandezza residuo che verrà distribuita tra gli aventi diritto che sono i
dipendenti e gli imprenditori proprietari dell’impresa. Con il Betriebsertrag infatti viene pagata la prestazione lavorativa del personale e, in
particolare, gli stipendi (Unternehmerlohn) degli imprenditori proprietari che hanno partecipato al processo produttivo. Tale posizione viene
sottolineata fortemente e viene ribadita più volte da Nicklisch per
l’importanza che egli attribuisce alla determinazione del reinem Gewinn46. Il Vorstand (comitato di gestione) e l’Aufsichtsrat (consiglio di
sorveglianza) stabiliscono il costo opportunità che rappresenta la remunerazione minima dell’Unternehmerkapital. Riconosciuto il costo
del capitale agli aventi diritto, il residuo del Betriebsertrag viene di43
Cfr. NICKLISCH, op. cit., pagg. 527-528.
Nicklisch osserva che gli ammortamenti e gli accantonamenti sono spesso
degli strumenti utilizzati dal redattore di bilancio per creare riserve occulte (stille
Reserven).
45
Dato che Nicklisch considera gli interessi passivi un costo per l’impresa e non
parte del valore da distribuire, la sua nozione di Betriebsertrag viene considerata
dalla dottrina quale limitazione del concetto di Wertschöpfung.
46
Nicklisch afferma (op. cit., pag. 526 e segg.) che il reine Gewinn richiede a sua
volta che l’Aufwandswert della produzione venga calcolato in modo “pieno”, in
modo cioè da comprendere anche la remunerazione per la prestazione degli imprenditori proprietari.
44
57
stribuito agli aventi diritto (portatori del capitale ed eventualmente
portatori di lavoro). Nulla tuttavia dice Nicklisch sulle modalità di ripartizione del Gewinn.
La figura che segue ripropone in modo schematico il concetto di
Betriebsertrag sviluppato da Nicklisch.
FIGURA 2.2: IL CONCETTO DEL BETRIEBSERTRAG
Ricavi
– costi per materie prime ed ausiliarie
– costi per beni e servizi di economie
terze
– ammortamenti ed accantonamenti
– interessi passivi su capitale di terzi
Betriebsertrag:
Salari, stipendi e Unternehmerlohn
Costo opportunità
Gewinn
2.2.2. La definizione del valore aggiunto da parte di Lehmann
Max Rudolf Lehmann afferma di aver sentito usare il termine
Wertschöpfung47 durante la primavera dei 1921 quando era occupato
presso il Reichswirtschaftsministerium (ministero dell’economia). In
quel periodo Lehmann verifica, assieme ad un gruppo di studiosi, i
dati sul valore aggiunto orario dei lavoratori, dati elaborati da Walther
Rathenau e poi utilizzati nell’ambito delle Reparationsverhandlungen
(negoziazione per le riparazioni di guerra). Soltanto a distanza di
quindici anni Lehmann scopre in sede di una causa giudiziaria – quale
47
LEHMANN, Leistungsmessung durch Wertschöpfungsrechnung, Essen, 1954,
pagg. 102-103: “Mir selbst ist der Begriff erstmalig im Frühjahr 1921 entgegengetreten, als ich damals im Reichswirtschaftsministerium tätig war. Damals hätte
nämlich Walter Rathenau zwecks Vorbereitungen der s. Z. bevorstehenden Reparationsverhandlungen die Behauptung aufgestellt, die ‘Wertschöpfung je Arbeitsstunde’ der Werktätigen betrüge in Deutschland schätzungsweise 50 Pfennige, und diese
Behauptung oder Annahme mußte im Ministerium auf ihre Haltbarkeit hin nachgeprüft werden, eine Nachprüfung, an der ich beteiligt war”.
58
consulente di parte – la possibilità di applicare tale concetto anche in
ambito aziendale48. Negli anni quaranta e cinquanta egli sviluppa il
concetto del valore aggiunto in un’ottica aziendale: per questo motivo
Max Rudolf Lehmann viene considerato dagli aziendalisti tedeschi che
si sono occupati di valore aggiunto come “il padre” della
Wertschöpfungsrechnung49.
La sua pubblicazione, frutto di accurati studi e riferimento fondamentale per tutti coloro che si accingono a studiare l’applicazione dei
valore aggiunto nell’ambito economico aziendale, si intitola Leistungsmessung durch Wertschöpfungsrechnung (Essen 1954). Tale studio è
fortemente influenzato dall’esperienza storica, il dopoguerra della
prima e seconda guerra mondiale, periodo in cui si recuperano le
perdite subite durante la guerra. Ciò significa ricostruire, produrre, organizzare, e soprattutto – sul piano economico – aumentare la produttività Infatti Lehmann, osservando lo sviluppo industriale, si rende
conto della necessità di strumenti idonei a studiare il potenziamento
della prestazione (Leistungssteigerung) sia delle singole imprese che
del settore industriale nel suo complesso. Egli sente l’esigenza di sviluppare strumenti capaci di evidenziare e di misurare le prestazioni
produttive (Leistungen). Prestazione che può essere analizzata a livello
individuale della singola impresa (individuelle Leistung) oppure a livello generale dell’insieme delle imprese (generelle Leistung). La
prestazione individuale presenta caratteristiche differenti da settore a
settore, da impresa a impresa, mentre la prestazione generale individua
caratteristiche comuni ai settori e alle imprese tali da permettere considerazioni più ampie e più importanti. Per questa ragione Lehmann
ritiene la prestazione generale di maggiore importanza e conseguen48
LEHMANN, op. cit., pag. 103: “Obgleich mich nun die Benutzung des
Wertschöpfungsbegriffes auf wirtschaftspolitischer Ebene stark beeindruckt hatte, so
hat es doch verhältnismäßig lange gedauert, bis ich zu der Erkenntnis gelangt bin,
daß sich von ihm aus eine betriebswirtschaftliche Rechnungsweise entwickeln ließe,
die wertvolle Ergebnisse zu liefern vermag. Denn erst in den Jahren 1935-1937 ist
es zu dieser Auswertung des Wertschöpfungsgedanken fü betriebswirtschaftliche
Zwecke gekommen, und zwar gelegentlich eines Rechtsstreits, an dem ich als Parteigutachter beteiligt war”.
49
Confrontasi WEBER, op. cit. (Stuttgart 1980), KROEBER RIEL, op. cit. (Berlin
1963) e SCHÄFER, op. cit (in: ZfB 8/1951), pag. 449 e seguenti.
59
temente concentra i suoi studi su di essa50. La grandezza che misura
tale prestazione viene denominata da Lehmann Wertschöpfung. Egli
intende per Wertschöpfung il contributo delle singole imprese al reddito totale di una nazione oppure al prodotto nazionale51. Lehmann prende questa definizione dall’economia politica aggiungendo alcune osservazioni. In primo luogo la Wertschöpfung è caratterizzata da due
aspetti: l’aspetto dei beni (Gütereinkommens-Seite) e l’aspetto monetario (Geldeinkommens-Seite). Ciò significa che la Wertschöpfung può
essere intesa sia come produzione di beni che come reddito monetario
realizzato. In secondo luogo, mentre il Geldeinkommnen può essere
considerato solo in termini di valore (oppure usando espressamente il
termine di Lehmann: in termini di Wertgroße), il Gütereinkommen
può essere considerato sia in termini fisici (il bene stesso) che in termini di valore (valore attribuito alla produzione dei beni). Nell’ambito
della Wertschöpfung sia il Geldeinkommen che il Gütereinkommen
vengono considerati in termini di valore (Wertgröße) affinché sia valida l’uguaglianza:
Wertschöpfung = erzeugtes Gütereinkommen =
erzeugtes Geldeinkommen52
È del tutto corretto determinare la Wertschöpfung sulla base delle
risultanze contabili, dato che la contabilità stessa rappresenta un corretto sistema di valori53. In terzo luogo, anche se vale tale uguaglianza,
i due aspetti devono essere trattati in modo separato. Per quanto riguarda la Gütereinkommens-Seite si può osservare che tutte le imprese
50
LEHMANN, op. cit., pag. 10: “Die generelle Betriebsleistung im angedeuten
Sinne und die Methoden ihrer rechnerischen Erfassung und ihres statistischen Vergleichs sind es deshalb, denen ich selbst besonders große praktische Bedeutung
beilege, und die den Gegenstand des vorliegenden Buches bilden …”.
51
LEHMANN, op. cit., pag. 11: “stellt die Wertschöpfung nichts anderes dar als
den Anteil, den die Betriebe zum Gesamteinkommen der Volks- oder Gesamtwirtschaft oder zu deren Sozialprodukt beitragen”.
52
LEHMANN, op. cit., pag. 11.
53
LEHMANN, op. cit., pag. 12: “Damit hängt es zusammen, daß sich die
Wertschöpfung im Rahmen der Buchhaltung ermitteln läßt, die ja (in Bezug auf ihre
systematischen Bücher) ein reines Wertrechnungs – System darstellt”.
60
parte di un sistema economico sono inserite gradualmente in esso. Ne
segue che ogni impresa da un lato partecipa positivamente alla produzione di beni (positive Einkommenserzeugung), ma dall’altro lato essa
consuma beni prodotti da terze economie (negative Einkommenserzeugung). Quindi la Gütereinkommens-Seite è rappresentata da due
componenti: dalla componente positiva che è il fatturato (Roherträge)
e dalla componente negativa che è rappresentata dai costi per il consumo di beni prodotti da economie terze (Vorleistungskosten). Ciò
permette di definire la seguente uguaglianza:
erzeugtes Gütereinkommen = Roherträge – Vorleistungskosten54
La Geldeinkommens-Seite invece rappresenta il controvalore
astratto dell’erzeugten Gütereinkommens” e conseguentemente è
uguale alla differenza soprariportata. In questa sede si deve inoltre osservare che la Wertschöpfung in quanto erzeugtes Geideinkommen
torna a profitto delle parti sociali (Sozialpartner) che sono collegate
con l’impresa. Le parti sociali sono il personale (Belegschaft), incluso
l’imprenditore e i funzionari, la mano pubblica (Staat), e i conferenti il
capitale (Kapitalgeber). Ne segue che la Wertschöpfung si scompone
in tre parti che per gli interlocutori sociali rappresentano i rispettivi
redditi. Abbiamo quindi l’Arbeitsertrag per remunerare il personale, il
Gemeinertrag per remunerare la “mano pubblica” ed infine il Kapitalertrag per remunerare il capitale proprio ed il capitale di terzi.
Per la Geldeinkommens-Seite si può pertanto definire la seguente
uguaglianza:
erzeugtes Geldeinkommen = Arbeitserträge + Gemeinerträge
+ Kapitalerträge55
L’utilità dei risultati del calcolo del valore aggiunto dipende totalmente dalla definizione corretta delle tre classi: Roherträge, Vorlei-
54
55
LEHMANN, op. cit., pag. 12.
LEHMANN, op. cit., pag. 13.
61
stungskosten e Wertschöpfung. Per quanto riguarda il Rohertrag56
Lehmann intende il fatturato, corretto sia dalle variazioni delle rimanenze dei prodotti finiti e semilavorati, che dagli incrementi di immobilizzazioni interne. Schematicamente:
Roherträge (fatturato)
– Vorleistungskosten (consumo di beni
prodotti da economie terze)
Wertschöpfung in quanto erzeugtes
Gutereinkommen
Wertschöpfung in quanto erzeugtes
Geldeinkommen
Arbeisertag
Gemeinertrag
Kapitalertrag
Con Vorleistungen Lehmann intende i costi sostenuti per le materie
prime (Stoffkosten), gli ammortamenti (Abschreibungen), i costi sostenuti per prestazioni di servizi apportati da economie terze (Fremd- und
Außendienstkosten) e costi per rischi specifici (Wagniskosten). In
questa sede è interessante osservare che Lehmann, già alla fine degli
anni venti, aveva determinato delle classi di costi simili per calcolare il
reinen Produktionserfolg. Allora ne aveva individuate sette, qui invece
ne ritroviamo solo quattro; se a queste si aggiungono anche
l’Arbeitsertrag, il Gemeinertrag e il Kapitalertrag, si ritrovano tutte e
sette le classi57.
56
Weber propone di sostituire il termine Rohertrag con il valore lordo della produzione. Cfr. WEBER. Op. cit., pag. 6: “Um Verwechselungen zu vermeiden, sollte
man daher den Lehmann’schen Begriff des Rohertrages ersetzen: entweder durch
den aktienrechtlichen Begriff der Gesamtleistung (aber damit würde man den Intentionen Lehmanns nicht voll gerechtet werden, weil er – wie noch darzulegen sein
wird – der Wertschöpfungsrechnung alle betriebsfremden Elemente fernhalten will)
oder noch besser durch den in den Volkswirtschaftslehre und Wirtschaftsstatistik
üblichen Begriff des Bruttoproduktionswert”.
57
Lehmann individua sette categorie di costi:
a) Materie prime;
b) Ammortamenti;
c) Costi del personale;
62
La Wertschöpfung è a sua volta ripartita in Arbeitsertrag, Gemeinertrag e Kapitalertrag. Per Arbeitsertrag Lehmann intende i salari e
stipendi e in più contributi sociali previsti dalla legge oppure su base
volontaria, per Gemeinertrag egli intende imposte e tasse. Il Kapitalertrag viene disaggregato da Lehmann in interessi passivi che remunerano il capitale di terzi e in “rendita” che remunera il capitale proprio investito nell’impresa. La figura 2.3 nella pagina seguente ripropone in modo schematico il calcolo del valore aggiunto come è stato
proposto da Lehmann.
Confrontando la nozione di Wertschöpfung di Lehmann con quella
di Nicklisch si può osservare che quella di Lehmann si differenzia da
quella di Nicklisch in quanto include anche gli interessi passivi dei
capitale di terzi e le imposte. Si può pertanto affermare che la nozione
di Lehmann è più completa che quella di Nicklisch.
2.2.4 Il valore aggiunto secondo Pohmer
Dieter Pohmer intende per Wertschöpfung la grandezza che rappresenta il contributo da parte delle imprese alla creazione del reddito
nazionale. Questo in base alla concezione che il Wertumlauf della singola impresa si inserisce nel Wertumlauf che sussiste tra le imprese
all’interno di un sistema economico. Ciò significa che un’impresa acquista beni e servizi da imprese terze, li trasforma e li immette sul
mercato, dove vengono acquistati da altre imprese e quindi ancora una
volta elaborati ed immessi sul mercato fintanto che vengono acquistati
dal consumatore finale58. Pohmer precisa che il suo concetto di valore
d) Interessi passivi;
e) Costi per servizi prestati da terzi;
f) Costi sociali (imposte, contributi sociali, ecc.);
g) Costi per rischi particolari.
Se dai Roherträge vengono detratti tutti i costi sopra citati, si ottiene il reinen
Produktionserfolg. Se invece viene tralasciata l’una o l’altra categoria di costo otteniamo diversi risultati, quali per esempio il Kapitalertrag, l’Arbeitsertrag, ecc. Cfr.
LEHMANN, Allgemeine Betriebswirtschaftslehre, Leipzig, 1928, pag. 147 e segg.
58
POHMER, KROENLEIN, Betriebliche Wertschöpfung, in: “Handwörterbuch des
Rechnungswesen”, hrsg. von E. KOSIOL, Stuttgart, 1970, § 1913 e segg. Cfr. anche
WEBER, op.cit. e Pohmer, Betriebswirtschaftliche Bedeutung und Ermittlung der
63
aggiunto si differenzia da quello di Lehmann, in quanto Lehmann calcola il valore aggiunto in base ai costi e ricavi (kalkulatorische Rechnung), mentre egli lo calcola in base agli introiti e spese
(pagatorische Rechnung)59.
FIGURA 2.3: SCHEMA DI CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO DEFINITO DA LEHMANN
Roherträge:
+ fatturato
+ variazione delle rimanenze di prodotti fini e semilavorati
+ incrementi di immobilizzazioni interne
ROHERTRÄGE
Vorleistungen:
– materie prime
– ammortamenti
– costi sostenuti per lavori e servizi apportati da
economie terze
– costi per rischi particolari individuati da determinate polizze di assicurazione
Wertschöpfung
VORLEISTUNGEN
WERTSCHÖPFUNG
Arbeitsertrag:
Salari e stipendi
Contributi sociali
ARBEITSERTRAG
Gemeinerertrag:
GEMEINERERTRAG
Imposte e tasse
Kapitalertrag:
Interessi passivi per il capitale di terzi
Rendita del capitale proprio
KAPITALERTRAG
betrieblichen Wertschöpfung, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1958, pag. 148
e segg.
59
POHMER, KROENLEIN, op. cit., § 1915.
64
Pohmer definisce innanzitutto la nozione di valore aggiunto riguardante la vita totale di un’impresa (Totalperiode) che comprende il periodo dalla costituzione dell’impresa stessa fino alla sua liquidazione.
Il valore aggiunto aziendale (betriebliche Wertschöpfung) può essere
determinato secondo due modalità. La prima, denominata Additionsmethode, permette di calcolare il valore aggiunto sommando i vari
redditi prodotti dall’impresa. La seconda, denominata Subtraktionsmethode, permette di calcolare il Nettoumsatz (che coincide con il
valore aggiunto) detraendo dal fatturato le Vorleistungen, cioè le
Wertschöpfungen delle altre imprese. La betriebliche Wertschöpfung
si determina sommando all’utile realizzato (pagatorischer Erfolg) i
salari e stipendi e i contributi sociali e gli interessi passivi, detraendo
gli interessi attivi e gli utili dovuti a partecipazioni. In via alternativa,
la betriebliche Wertschöpfung, che è pari al Nettoumsatz, si determina
detraendo dall’Umsatz, che è pari a tutti gli introiti dell’intera vita
dell’impresa al netto degli interessi attivi e degli utili dovuti alle partecipazioni, le Vorleistungen, che comprendono tutte le spese sostenute meno i salari e stipendi e contributi sociali e meno gli interessi passivi, sempre relativi all’intera vita aziendale60.
La figura che segue rappresenta la Wertschöpfung in der Totalperiode secondo l’approccio di Pohmer.
FIGURA 2.4: IL VALORE AGGIUNTO TOTALE SECONDO POHMER
Introiti:
– interessi attivi
– proventi da partecipazioni
Spese sostenute:
– salari, stipendi e contributi sociali
– interessi passivi
Salari, stipendi e| contributi sociali
Interessi passivi
Utile (Pagatorische Erfolg)
Esclusi:
– interessi passivi
– proventi da partecipazioni
Umsatz:
– Vorleistungen:
Nettoumsatz = Wertschöpfung
60
Pohmer, Kroenlein, op. cit., § 1916.
65
Il valore aggiunto del periodo rappresenta il contributo periodico da
parte della singola impresa alla creazione del reddito nazionale. Ciò
significa che in primo luogo la somma di tutti i valori aggiunti periodici di un’impresa (Periodenwertschöpfungen) è uguale al valore aggiunto totale (Totalwertschöpfung) della stessa impresa. In secondo
luogo la somma dei valori aggiunti periodici di tutte le imprese di un
periodo è uguale al reddito nazionale di quel periodo61. Nel passaggio
dal valore aggiunto totale a quello di periodo sorge il problema – analogo a quello tipico del bilancio di esercizio – della competenza
“economica”. Ecco che allora i concetti di spesa, introito e risultato
monetario cambiano denominazione. Pohmer non parla più di Einnahme, Ausgabe und pagatorischer Erfolg ma utilizza i “nuovi” termini Ertrag, Aufwand und Erfolg. Viene a cadere anche l’uguaglianza
tra betriebliche Wertschöpfung e Nettoumsatz62. Per determinare la betriebliche Wertschöpfung con il procedimento della Subtraktionsmethode si detraggono dall’Umsatz le spese sostenute per fattori produttivi impiegati nel processo produttivo. La grandezza così determinata
viene denominata Bruttowertschöpfung. Dopo aver detratto gli ammortamenti e gli accantonamenti ai fondi rischi, si ottiene il valore
aggiunto periodico (Periodenwertschöpfung), denominato anche Nettowertschöpfung. Il tutto trova rappresentazione nella figura 2.5.
61
Se si considerano anche i rapporti con l’estero, tale importo corrisponde al
prodotto interno lordo; cfr. POHMER, KROENLEIN, op. cit., § 1917.
62
POHMER, KROENLEIN, op. cit., § 1917: “Der Nettoumsatz ist in der Periodenrechnung nicht mit der Wertschöpfung identisch, da die Periodisierung anders, und
zwar weniger sinnvoll, weil zufällig, erfolgt; die Summe der Nettoumsätze aller Unternehmungen (in einer Volkswirtschaft) in einer Periode ergibt die Summe der
Konsumausgaben der Haushaltungen”.
66
FIGURA 2.5: IL VALORE AGGIUNTO SECONDO POHMER
Umsatz:
– Vorleistungen:
Introiti (Ertragseinnahmen)
– interessi attivi
– proventi da partecipazione
Spese (Aufwandsausgaben)
– salari, stipendi e contributi sociali
– interessi passivi
– ammortamenti ed accantonamenti
Bruttowertschöpfung
– ammortamenti
– accantonamenti
Nettowertschöpfung
Salari, stipendi e contributi sociali
Interessi passivi
Utile (Erfolg)
Esclusi:
– interessi attivi
– proventi da partecipazione
Nel ragionamento finora sviluppato non è stata inclusa la “mano
pubblica”, che stabilisce dei rapporti con le imprese, al pari di ogni altro interlocutore sociale. Tali rapporti possono essere definiti rapporti
economici unilaterali. Si è in presenza della “mano pubblica” che agisce in senso stretto, incassando le imposte e concedendo sovvenzioni.
Le imposte sono grandezze che incidono sull’utile d’esercizio e quindi
influenzano anche il valore aggiunto. Se si detrae dalla Nettowertschöpfung, che viene denominata anche Nettowertschöpfung zu
Marktpreisen (valore aggiunto netto a prezzi di mercato), la somma
algebrica tra le sovvenzioni e le imposte e tasse si ottiene la Nettowertschöpfung zu Faktorkosten (valore aggiunto netto ai costi di
fattore)63. La figura che segue riproduce in modo schematico il concetto di valore aggiunto tenendo conto anche della “mano pubblica”.
63
POHMER, KROENLEIN, op. cit., § 1918: “und wird – demselben Sprachgebrauch folgend – betriebliche Nettowertschöpfung zu Marktpreisen genannt. Zieht
man hiervon die Differenz aus Unternehmersteuer und Subventionen ab, so erhält
man die Nettowertschöpfung zu Faktorkosten, die man im allgemeinen anspricht,
wenn ohne nähere Bezeichnung von der betrieblichen Wertschöpfung die Rede ist”.
67
FIGURA 2.6: IL VALORE AGGIUNTO SECONDO POHMER
(COMPRESA LA “MANO PUBBLICA”)
Umsatz:
– Vorleistungen:
Introiti (Ertragseinnahmen)
– interessi attivi
– proventi da partecipazione
Spese (Aufwandsausgaben)
– salari, stipendi e contributi sociali
– interessi passivi
– ammortamenti ed accantonamenti
Bruttowertschöpfung
– ammortamenti
– accantonamenti
Nettowertschöpfung zu Marketpreisen
+/– saldo tra contributi, imposte e tasse
Salari, stipendi e contributi sociali
Interessi passivi
Nettowertschöpfung zu Faktorenpreisen Utile (Erfolg)
Esclusi:
– interessi attivi
– proventi da partecipazione
Se si paragona il concetto di valore aggiunto dell’economia politica
(approccio macro) con quello aziendale – ed in particolare con quello
di Lehmann – si possono fare alcune osservazioni. Innanzitutto entrambe le nozioni partono dalla stessa grandezza, il Rohertrag che
coincide con il valore lordo della produzione (Bruttoproduktionswert).
Le Vorleistungen costituiscono l’elemento differenziatore tra il modello dell’economia politica e quello di Lehmann, dato che questi vi include anche gli ammortamenti. Al contrario la nozione di valore aggiunto di Lehmann è più ampia di quella dell’economia politica, perché il primo comprende nel Gemeinertrag, elemento della
Wertschöpfung, sia le imposte dirette che indirette. Queste ultime
nell’ambito dell’economia politica vengono detratte dal Nettoproduktionswert e quindi si ottiene il Nettoproduktionswert zu Faktorkosten64.
Le imposte dirette ed indirette possono essere trattate allo stesso
modo: entrambe comprese nelle Vorleistungen oppure direttamente
64
Cfr. KROEBER RIEL, op. cit., pag. 20 e segg.; WEBER, op. cit., pagg. 10-11.
68
nella Wertschöpfung. Questo perché la differenziazione in imposte dirette ed indirette (in generale per imposte dirette si intendono imposte
deducibili, e per imposte indirette quelle non deducibili) nell’ambito
del calcolo del valore aggiunto aziendale non è giustificato65.
Quale di queste definizioni è quella giusta o, meglio, quale è quella
appropriata? Quella di Nicklisch che è la più rigida, oppure quella di
Lehmann che è la più ampia e di natura kalkulatorisch, oppure ancora
quella di Pohmer che è di natura pagatorisch, oppure una definizione
intermedia come quella proposta dall’economia politica? Non è possibile esprimere alcuna preferenza netta giacché la definizione dovrà
essere scelta con riguardo agli obiettivi presenti e con riguardo agli
scopi perseguiti.
La figura 2.7 nella pagina seguente propone una rappresentazione
comparata delle quattro principali definizioni di valore aggiunto esaminate.
Nell’attuale dottrina economico-aziendale tedesca, tra i concetti di
valore aggiunto considerati finora, sono ritenuti ancora validi quelli di
Lehmann e di Pohmer, mentre quello di Nicklisch non viene più sostenuto, salvo rare eccezioni. Più precisamente i concetti di Lehmann e
di Pohmer vengono considerati i più appropriati, anche se non sempre
vengono applicati in modo preciso per le difficoltà tecniche di calcolo.
Infatti la Wertschöpfung non può essere calcolata immediatamente
utilizzando i dati del conto economico, ma richiede delle rielaborazioni e aggregazioni dei valori di bilancio66.
65
WEBER, op. cit., pag. 11:”Eine Differenzierung nach direkten und indirekten
Steuern (worunter man in allgemeinen abwälzbare bzw. nichtabwälzbare Steuern
versteht) ist im Rahmen der Wertschöpfung für betriebliche Zwecke nicht gerechtfertigt”.
66
POHMER, KROENLEIN, op. cit., § 1919; WEBER, op. cit., pag. 8.
69
FIGURA 2.7: SCHEMA COMPARATIVO DELLE DIVERSE NOZIONI DI VALORE AGGIUNTO
Rohertrag,
Bruttoproduktionswert
Ertragseinnahmen
– Consumo di materie
prime, beni e servizi
apportati da terze economie
Bruttowertschöpfung pro- Ammortamenti
prio dell’economia politi- Interessi passivi
ca e di Pohmer
Salari, stipendi, contributi
Imposte
Utili
– ammortamenti
Nettowertschöpfung di
Pohmer
Nettowertschöpfung zu
Marketpreisen proprio
dell’economia politica
Wertschöpfung di
Lehmann
Interessi passivi
Salari, stipendi, contributi
Imposte
Utili
Nettowertschöpfung zu
Faktorkosten
Interessi passivi
Salari, stipendi, contributi
Utili
Betriebsertrag
(Wertschöpfung) di Nicklisch
Salari, stipendi, contributi
Utili
– imposte indirette
– imposte dirette
– interessi passivi su
capitali di terzi
70
CAPITOLO III
LA DETERMINAZIONE
DEL VALORE AGGIUNTO
SOMMARIO: 1. Le metodologie di calcolo. – 2. L’origine dei dati. – 3. Il
calcolo del valore aggiunto in alcuni settori. – 4. Il significato informativo
del valore aggiunto.
1. Le metodologie di calcolo
In questo capitolo si analizzano i diversi procedimenti e i diversi
metodi per calcolare il valore aggiunto. Il valore aggiunto può essere
determinato seguendo due procedimenti: il procedimento additivo
(Additionsverfahren) ed il procedimento della sottrazione
(Subtraktionsverfahren). Sia per il procedimento dell’addizione che
per il procedimento della sottrazione si possono utilizzare diversi metodi di calcolo che si differenziano a secondo della definizione delle
grandezze di calcolo. Abbiamo il metodo che si basa sulla contabilità
industriale (kalkulatorische Rechnung), il metodo della contabilità generale (pagatorische Rechnung), il metodo dei flussi monetari
(Einzahlungs-Auszahlungsrechnung) ed il metodo dei flussi finanziari
(Einnahmen-Ausgabenrechnung). È interessante osservare che nella
letteratura della Wertschöpfungsrechnung quasi tutti gli studiosi sviluppano il metodo che si basa sulla contabilità industriale
(kalkulatorische Rechnung) oppure quello della contabilità generale
(pagatorische Rechnung). Gli altri due metodi, quello dei flussi monetari (Einzahlungs-Auszahlungsrechnung) e quello dei flussi finanziari
(Einnahmen-Ausgabenrechnung), vengono soltanto accennati come
metodi possibili per calcolare il valore aggiunto. La scelta del metodo
da seguire dipende sostanzialmente dagli scopi che vengono perseguiti
con il calcolo dei valore aggiunto. Infatti se si vuole calcolare il valore
aggiunto della gestione caratteristica, si deve utilizzare il kalkulatorische Rechnung, mentre se si vuole calcolare il valore aggiunto sia
71
della gestione caratteristica che della gestione accessoria, si deve utilizzare il pagatorische Rechnung. Presentando i vari procedimenti e
metodi del calcolo del valore aggiunto si evidenziano anche le problematiche che si riscontrano nell’ambito di tale calcolo, illustrando
possibili soluzioni che permettono di risolvere alcune difficoltà sia di
contenuto sostanziale che di contenuto formale. Nella parte conclusiva
si procederà all’approfondimento del calcolo dei valore aggiunto in
diversi settori: quello industriale, commerciale e bancario.
1.1 Il procedimento di calcolo del valore aggiunto
Il valore aggiunto di un’impresa si può determinare in due modi: in
primo luogo il valore aggiunto può essere definito e determinato “per
sottrazione”1, sarà pertanto uguale al risultato della differenza tra il
valore della produzione lorda e il valore delle Vorleistungen2. Questo
procedimento viene denominato il procedimento della sottrazione
(Subtraktionsverfahren). In secondo luogo il valore aggiunto può essere definito e determinato per addizione, e quindi corrispondere alla
somma dell’ Arbeitsertrag (reddito distribuito sotto forma di stipendi,
salari e contributi sociali), del Kapitalertrag (reddito distribuito sotto
forma di interessi passivi per il capitale di terzi ed in forma di costo
opportunità per remunerare il capitale proprio) e del Gemeinertrag
(reddito distribuito alla “mano pubblica”). Questo procedimento viene
denominato il procedimento dell’addizione (Additionsverfahren). Dato
che il risultato del primo procedimento corrisponde al risultato del secondo, questi due procedimenti non costituiscono alternative, ma sono
1
WEBER, Betriebliche Wertschöpfung, in: “Handwörtebuch des Rechnungswesens”, Stuttgart, 1981, § 1788: “Die Wertschöpfung kann – wie sie schon aus
den Definitionen ergibt – auf zweifache Weise ermittelt werden: subtraktiv, indem
man nach Lehmann (1954) vom Rohertrag bzw. Bruttoproduktionswert ausgeht und
die Vorleistungen abzieht; additiv, indem man nach Lehmann (1954) die Arbeits-,
Kapital- und Gemein’erträge’ zusammenzählt”.
2
Le Vorleistungen corrispondono al valore di tutti i beni e servizi apportati da
terze economie.
72
da considerarsi complementari3. Essi possono però essere interpretati
in modo diverso in base al loro contenuto oggettivo4. Il primo procedimento, quello della sottrazione (Subtraktionsverfahren) rappresenta
la fase della creazione del valore aggiunto e per questo motivo viene
anche denominato il “calcolo della creazione del valore aggiunto”
(Wertschöpfungsentstchungsrechnung). Il secondo procedimento,
quello additivo, rappresenta la distribuzione dei valore aggiunto fra le
varie classi aventi diritto. Per questo motivo tale procedimento viene
anche denominato il “calcolo della distribuzione del valore aggiunto”
(Wertschöpfungsverwendungsrechnung).
La figura che segue presenta in modo schematico entrambi i procedimenti per calcolare il valore aggiunto.
FIGURA 1.1: I DUE PROCEDIMENTI PER CALCOLARE IL VALORE AGGIUNTO
Procedimento per sottrazione
Valore della produzione lorda
– beni/servizi apportati da economie
terze
Valore aggiunto
Procedimento per addizione
+ salari, stipendi, contributi sociali
(Arbeitsertrag)
+ interessi passivi, costo opportunità
(Kapitalertrag)
+ imposte (Gemeinertrag)
Valore aggiunto
Per calcolare il valore aggiunto secondo i due procedimenti visti si
possono utilizzare diversi metodologie di calcolo che sono il metodo
che si basa sulla contabilità industriale (kalkulatorische Rechnung), il
metodo della contabilità generale (pagatorische Rechnung), il metodo
dei flussi monetari (Einzahlungs-Auszahlungsrechnung) ed il metodo
3
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1981, § 1788; Weber, op. cit., Stuttgart, 1980, pag.
21; WEDELL, Die Wertschöpfung als Maßgröße für die Leistungskraft eine Unternehmens, in: “Der Betrieb”, 1976, pag. 205 e segg.
4
WEBER, op. cit., Stuttgart, pag. 21: “Gelegentlicht versucht man eine sachliche
inhaltliche Deutung der beiden Bererchnungsmethode, indem man die Subtraktionsrechnung als Wertschöpfungsentstehungsrechnung, die Additionsrechnung als
Wertschöpfungsverwendungsrechnung interpretiert …”.
73
dei flussi finanziari (Einnahmen-Ausgabenrechnung). Il kalkulatorische Rechnung viene proposto da Lehmann5, che applica il calcolo del
valore aggiunto alla gestione caratteristica di un’impresa industriale.
L’Autore limita lo studio dei calcolo del valore aggiunto all’attività di
produzione vera e propria dell’impresa (das Produktionswirtschafliche), dato che l’impresa creatrice dei valore aggiunto per eccellenza è
l’impresa industriale. Per questa ragione egli esclude dal calcolo del
valore aggiunto, oltre a tutti gli elementi che sono estranei all’impresa
(betriebsfremd), anche tutti gli elementi che sono componenti della
gestione straordinaria (außerordentlich) ed in particolare tutti gli elementi della gestione finanziaria (das Finanzwirtschaftliche) come pure
i rapporti creditizi (das Kreditwirtschaftliche) con i fornitori ed i
clienti.
Pohmer6 invece propone di calcolare il valore aggiunto secondo il
metodo della contabilità generale (pagatorische Rechnung), dato che
la connessione con i flussi di pagamento permette di rappresentare in
modo sufficientemente preciso la creazione del valore aggiunto e la
sua successiva distribuzione. Egli sostiene tuttavia che il calcolo dei
valore aggiunto non può essere posto in essere basandosi sul bilancio
civilistico e sul bilancio fiscale (handelsrechtliche und steuerrechtliche Jahresabschlüsse), né in modo immediato, né facendo dei raggruppamenti diversi, dato che lo schema strutturale del bilancio
d’esercizio e del bilancio “fiscale” segue degli obiettivi diversi da
quelli perseguiti dal calcolo del valore aggiunto. Inoltre alcune poste
del bilancio contengono sia elementi rilevanti per il calcolo del valore
aggiunto, sia elementi irrilevanti per il calcolo dello stesso7. Il problema più rilevante nell’ambito del metodo della contabilità generale, che
ha dato luogo ad ampie discussioni nella dottrina tedesca, è costituito
5
LEHMANN, Leistungsmessung durch Wertschöpfungsrechnung, Essen, 1954,
pag. 17 e segg.
6
POHMER, KROENLEIN, op. cit., Stuttgart, 1970, § 1913; POHMER, Betriebswirtschaftliche Bedeutung und ermittelung der betrieblichen Wertschöpfung, in:
“Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1958, pag. 148 e segg.
7
POHMER, KROENLEIN, op. cit., Stuttgart, 1970, § 1919: “Deshalb ist eine
wertschöpfungsgerechte Periodisierung nicht gesichert; zudem sind in einigen
Sammelposten wertschöpfungsrelevante und -irrelevante Teile gemischt enthalten”.
74
dal trattamento delle quote di ammortamento. Nella prassi aziendale i
calcoli di valore aggiunto (Wertschöpfungsrechnung) pubblicati da
parte delle imprese si basano quasi tutti sul bilancio d’esercizio ed in
particolare sul rendiconto reddituale. Questo fatto è positivo, indipendentemente dalle critiche di Pohmer, dato che la stretta dipendenza tra
il rendiconto reddituale e il calcolo del valore aggiunto permette anche
a soggetti esterni all’impresa di verificare facilmente il calcolo del
valore aggiunto elaborato dalle imprese8.
Accanto ai metodi presentati sinora sussistono altri metodi idonei a
determinare il valore aggiunto. Essi sono il metodo dei flussi monetari
(Einzahlungs- Auszahlungsrechnung) ed il metodo dei flussi finanziari
(Einnahmen-Ausgabenrechnung). È interessante osservare, come si è
anticipato, che nella letteratura della Wertschöpfungsrechnung quasi
tutti gli studiosi seguono il kalkulatorische Rechnung oppure il pagatorische Rechnung. Utilizzando il metodo dei flussi monetari
(Einzahlungs-Auszahlungsrechnung) che tiene conto delle variazioni
monetarie, si determina il valore aggiunto realizzato sul mercato (die
am Markt realisierte Wertschöpfung) che corrisponde alla realisierten
Wertschöpfung di Lehmann. Lehmann distingue tra valore aggiunto
prodotto (erzeugte Wertschöpfung) e valore aggiunto realizzato
(realisierte Wertschöpfung)9. Il valore aggiunto prodotto tiene conto
del volume di produzione effettuata durante l’esercizio e non del volume di vendita. Se invece si tiene conto delle variazioni delle rimanenze dei prodotti finiti e semilavorati, allora si dovrà parlare di valore
aggiunto realizzato10. Se le rimanenze sono aumentate, allora il valore
aggiunto prodotto sarà maggiore del valore aggiunto realizzato e ciò
richiede all’impresa un maggiore impiego di capitali. Se le rimanenze
sono diminuite, allora il valore aggiunto prodotto sarà minore del va8
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 22: “Dies ist unabhängig davon, ob man
sich der Beurteilung Pohmers über die Eignung des Jahresabschlusses für diesen
Zweck anschließt oder nicht, zu begrüßen”.
9
LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 79 e segg.
10
LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 80: “Außer mit dem Begriff der erzeugten
Wertschöpfung muß nämlich für manche Zwecke auch mit dem Begriff der realisierten Wertschöpfung gearbeitet werden, wie gesagt werden soll. Diese Notwendigkeit
liegt stets dann vor, wenn in einer Rechnungsperiode Veränderungen an den
Erezeugnisbeständen auftreten”.
75
lore aggiunto realizzato e quindi si avrà un disinvestimento di capitali11. La differenza tra valore aggiunto realizzato e valore aggiunto prodotto aggiunto prodotto corrisponde alla variazione delle rimanenze.
Lehmann descrive il rapporto tra valore aggiunto realizzato e valore
aggiunto prodotto con la seguente uguaglianza:
valore aggiunto realizzato = valore aggiunto prodotto (+/-) variazione delle rimanenze
Scarsa attenzione viene dedicata dalla dottrina anche al metodo dei
flussi finanziari (Einnahmen-Ausgabenrechnung), che determina il
valore aggiunto di un’impresa in base alla posizione di liquidità della
stessa (liquiditätswirksame Wertschöpfung)12. Tale metodo, come gli
altri, si basa sul modulo monetario, dato che l’unità di conto utilizzata
è la moneta. La scelta del metodo da seguire dipende sostanzialmente
dagli scopi che vengono perseguiti con il calcolo del valore aggiunto.
Ciò che emerge con evidenza è che, se si vuole calcolare il valore aggiunto della gestione caratteristica, si deve utilizzare il metodo della
kalkulatorische Rechnung), che si basa sostanzialmente sulle risultanze della contabilità industriale. Tale metodo, se confrontato con gli altri, prescinde dai flussi dei pagamenti e conseguentemente non è facile
trarre delle informazioni sulla posizione di liquidità dell’impresa.
Inoltre le risultanze della contabilità industriale non sono a disposizione di soggetti estranei all’impresa che in tal modo non sono in grado
di verificare e ricostruire il calcolo del valore aggiunto elaborato
dall’impresa. Pertanto, se si vuole calcolare il valore aggiunto sia della
gestione caratteristica che della gestione accessoria, si può escludere a
priori il metodo della contabilità industriale, dato che non offre suffi11
LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 80: “Denn bei einer Zuhnahme der Erzeugnisbestände liegt eine Einkommenserzeugung vor, die in der Höhe dieser Zunahme nicht realisiert ist und von dem Betrieb bzw. der Unternehmung selbst durch
zusätzlichen Kapitaleinsatz aufgenommen werden muß. Bei Abnahme der Erzeugnisbestände hat man es mit dem Fall zu tun, daß in der in Betracht kommenden Rechnungsperiode das realisierte Einkommen um so viel größer ist als das erzeugte
Einkommen, bzw. als die Abnahme der Erzeugnisbestände entsprechend eine Freisetzung von Kapital erfolgt”.
12
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 23.
76
cienti informazioni sulla gestione accessoria. Dato che le società di
capitali rendono pubblici i rendiconti d’esercizio con i relativi allegati,
un analista dei bilancio, esterno all’impresa, potrà utilizzare soltanto il
metodo della contabilità generale (pagatorische Rechnung) per determinare il valore aggiunto13.
Nell’ambito del calcolo del valore aggiunto il valore della produzione lorda (Bruttoproduktionswert), le prestazioni di terze economie
(Vorleistungen) e il valore aggiunto (Wertschöpfung) possono assumere dimensioni diverse a seconda delle grandezze contabili considerate.
Lehmann e Pohmer, per esempio, escludono dal calcolo del valore
aggiunto sia gli elementi estranei all’impresa (betriebsfremd) che gli
elementi estranei al periodo (periodenfremd). La prassi aziendale, invece, include nel calcolo del valore aggiunto quasi sempre sia gli elementi che sono estranei all’impresa (betriebsfremd) che gli elementi
estranei al periodo (periodenfremd). Sussiste inoltre il problema delle
quote di ammortamento, le quali vengono considerate da alcuni studiosi della dottrina aziendale elemento delle Vorleistungen (Lehmann,
Reichmann, Lange, ecc.) e da altri invece elemento positivo della
Wertschöpfung (Beier, Scheibe Lange). Secondo Nicklisch il valore
aggiunto è uguale alla somma dei salari e stipendi più gli utili, mentre
secondo la prassi generale anche gli interessi passivi sono compresi
nel valore aggiunto. Questi sono alcuni esempi di come possono variare le tre classi dei calcolo del valore aggiunto a seconda delle grandezze contabili considerate. Quale di questi esempi è quello da seguire?
Nessuno e tutti. Infatti non si può dire a priori se un esempio è sbagliato oppure migliore dell’altro, dato che tutti presentano dei profili di
validità. Le varie proposte sono state concepite affinché fossero idonee
a raggiungere determinati obiettivi prestabiliti. Gli studiosi erano e sono ben consapevoli delle difficoltà legate al tentativo di una definizione uniforme. Quindi per evitare la maggior parte dei problemi di definizione l’unica soluzione possibile è quella di elaborare un concetto di
valore aggiunto graduato14. Nei paragrafi seguenti si considerano le diverse definizioni della componente positiva del calcolo del valore ag13
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 23-24; WEBER, op. cit., Stuttgart, 1981,
§ 1788 e segg.
14
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 13 e segg.
77
giunto, il valore della produzione lorda, la componente negativa del
calcolo del valore aggiunto, le Vorleistungen (beni e servizi apportati
da terze economie) ed il valore aggiunto in quanto differenza tra la
componente positiva e la componente negativa. Inoltre si richiamano i
principi fondamentali validi per la determinazione del valore aggiunto.
Pare utile, infine, evidenziare alcuni principi da seguire nel tentativo della definizione delle varie componenti del valore aggiunto oggetto di successiva analisi. In primo luogo va osservato il principio
dell’adeguatezza allo scopo (Grundsatz der Zweckentsprechung)15. Ciò
significa che le definizioni delle componenti devono rappresentare il
valore aggiunto in modo adeguato allo scopo perseguito dal calcolo
dello stesso. Infatti le componenti possono essere definite sia con una
logica riferita all’oggetto (wirtschafstobjektbezogen) sia al soggetto
(wirtschaftssubjektbezogen). Definire le componenti secondo la prima
logica di oggetti significa distinguere le definizioni delle componenti
in base a grandezze economiche. Per esempio, delimitando il concetto
di Vorleistungen secondo tale logica, si possono individuare quattro
diverse definizioni di differente ampiezza. La definizione più ristretta
ricomprende nelle Vorleistungen soltanto i costi delle materie prime.
La definizione meno ristretta comprende oltre i costi delle materie
prime anche i costi delle materie ausiliarie. La definizione ampia delle
Vorleistungen comprende oltre i costi delle materie prime ed ausiliarie
anche i costi dei servizi prestati da terze economie. La definizione più
ampia delle Vorleistungen comprende, oltre ai costi delle materie prime ed ausiliarie, dei servizi prestati da terzi anche le quote di ammortamento. Definire invece le componenti secondo una orientata al soggetto significa differenziare le definizioni delle componenti in base ai
soggetti stessi. Per esempio, nel delineare le componenti delle Vorleistungen secondo tale logica, si possono individuare tre diverse definizioni delle Vorleistungen di differente ampiezza. La definizione più
ristretta comprende solo i costi dei beni acquistati dalle imprese industriali, mentre la definizione più ampia comprende oltre ai costi di tali
15
REICHMANN, LANGE, Kapitalflußrechnung und Wertschöpfungsrechnung als
Ergänzungsrechnungen des jahresabschlußes im Rahmen einer gesellschaftsbezogenen Rechnungslegung, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1980, pag. 518 e
segg.
78
beni anche i costi dei beni e dei servizi apportati da qualsiasi impresa
terza. In quest’ultimo caso il valore aggiunto è costituito dal risultato
economico dell’esercizio e dal valore della forza lavoro, dei servizi e
del capitale16.
In secondo luogo va osservato il principio dell’obiettività
(Grundsatz der Objektivierung). Dato che il calcolo del valore aggiunto può essere considerato come uno strumento integrativo di informazione del bilancio d’esercizio, allora la sua determinazione dovrebbe
essere uniformata ai principi e criteri che stanno alla base della redazione di tale documento. In particolare il rendiconto reddituale assume
la funzione di rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione
economica dell’impresa. Ciò significa che deve riflettere fedelmente i
fatti di gestione dell’impresa e che il comportamento dei redattore del
bilancio deve essere conforme alle disposizioni delle norme previste
dal legislatore, adottando una soggettività razionale negli spazi di discrezionalità lasciati dallo stesso. Ne segue che il rendiconto reddituale rappresenta in modo “obiettivo” il risultato economico raggiunto
dall’impresa e quindi permette di intuire – tendenzialmente – la futura
evoluzione dei risultati economici della stessa. Se questo principio di
“oggettivazione” è valido per la rappresentazione della creazione del
risultato economico (Einkommenserzeugung), sarà altrettanto valido
per la sua distribuzione (Einkommensverteilung). La rappresentazione
obiettiva17 della distribuzione del risultato economico raggiunto, che
permette di intuire – tendenzialmente – l’evoluzione della dinamica
della distribuzione dei risultati economici futuri, costituisce un principio valido nell’ambito del calcolo del valore aggiunto in quanto
strumento integrativo di informazione del rendiconto d’esercizio18.
Piena validità mantiene anche il principio della competenza
16
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag.26.
REICHMANN, LANGE, op. cit., pag. 527: “in objektivierter Form zu ermitteln,
also ein Zweck, der auch für die Wertschöpfungsrechnung als Informationsinstrument über realisierte Einkommensverteilung und damit – tendenziell – auch über
künftige (Um-) Verteilungsspielräume grundlegend ist”.
18
REICHMANN, LANGE, op. cit., pag. 527: “Es erscheint also nicht sinnvoll, die
Wertschöpfungsgröße als ‘von Verwendungsfolge losgelöste periodische Erfolgsgröße’ anzusehen”. Cfr. anche WEDELL, op. cit., pagg. 205-213.
17
79
(Grundsatz der Periodisierung). Competenza intesa come postulato
tradizionale degli studi ragionieristici, che incorpora sia la dimensione
economica che quella temporale in senso stretto.
L’analisi del comportamento della prassi permette di affermare che
questa imposta il calcolo del valore aggiunto sostanzialmente ai principi contabili del bilancio d’esercizio, in particolare il principio
dell’obiettività e della competenza. Nell’elaborazione della Wertschöpfungsrechnung i dati di base sono infatti quelli del bilancio
d’esercizio, nella fattispecie quelli del Conto economico. Tale orientamento, anche se è fortemente criticato da alcuni studiosi19, comporta
comunque dei vantaggi importanti, quali la ricostruibilità dei dati da
parte di terzi estranei all’impresa e la comparabilità – nel tempo e
nello spazio – della Wertschöpfungsrechnung. I sostenitori dei postulati dell’obiettività e della competenza sono ben consapevoli dei limiti
del bilancio d’esercizio e dei conseguenti limiti del calcolo del valore
aggiunto da questo derivato; non possono essere dimenticati tuttavia i
vantaggi dovuti ad una redazione uniforme che si basa sui principi generalmente accettati e seguiti dalla prassi aziendale20.
1.2 La componente positiva del calcolo del valore aggiunto
La componente positiva dei calcolo dei valore aggiunto è rappresentata dal valore della produzione lorda (Bruttoproduktionswert), se
ci si limita ad osservare la gestione caratteristica dell’impresa ed in
particolare di un’impresa industriale. Se invece si vuole calcolare il
valore aggiunto dell’intera attività di un’impresa, cioè della gestione
caratteristica e della gestione accessoria, allora la componente positiva
è rappresentata dalla somma del valore della produzione lorda
(Bruttoproduktionswert) e dei ricavi della gestione accessoria21. Kroe19
Cfr. SCHEIBE LANGE, Wertschöpfung und Verteilung des Unternehmenseinkommen, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, Heft 7, 1978; BEIER,
SCHLOSSAREK, Wertschöpfungs- und Finanzierungsrechnung, in: Der Betrieb, Heft
24, 1980.
20
REICHMANN, LANGE, op. cit., pag. 528; GOETZKE, Zur Kritik an der einzelwirtschaftlichen Wertschöpfungsrechnung, in: “Zeitschrift der Betriebswirtschaft”,
Heft 5, 1979.
21
Lehmann esclude i betriebsfremde Erträge dal calcolo del valore aggiunto.
80
ber – Riel denomina la componente positiva dei calcolo del valore
aggiunto Bruttoertrag (ricavo lordo) e la definisce come valore di tutti
i beni che sono stati oggetto dell’attività economica dell’impresa e che
sono stati immessi sul mercato22. Secondo Kroeber – Riel il presupposto fondamentale per il calcolo del valore aggiunto è l’uguaglianza tra
prezzo e valore. Tale uguaglianza si basa sulla valorizzazione dei bene
da parte del mercato sotto forma del prezzo. Infatti solo dopo
l’attribuzione del prezzo da parte del mercato è possibile calcolare il
valore aggiunto realizzato dall’impresa. Per questo motivo
l’interpretazione rigorosa del calcolo del valore aggiunto considera
solo il ricavo realizzato23 (realisierter Ertrag) in quanto è caratterizzato dalla valutazione oggettiva da parte del mercato24.Di regola però il
processo economico di molte grandi aziende è caratterizzato da una
forte articolazione ed accumulazione in fasi intermedie, che danno
come risultato dei beni semilavorati non ancora finiti, ma che potrebbero essere immessi sul mercato. In questo caso è sicuramente sostenibile includere tali beni nel Bruttoertrag. Il problema che rimane è la
loro valutazione. Kroeber Riel propone di valutare questi beni “già
maturi” al presunto valore di realizzo desumibile dall’andamento dei
mercati. Egli è ben consapevole delle difficoltà connesse alla valutazione delle condizioni di mercato. Infatti tale valore di stima deve basarsi su prezzi di vendita oggettivamente presumibili e non su semplice apprezzamento soggettivo25. L’utilizzo del prezzo desumibile
22
KROEBER RIEL, Wertschöpfung, Werschöpfungsrechnung, Werschöpfungsdenken unter besonder Berücksichtigung des Handels, Berlin, 1963, pag. 64: “Der
Bruttoertrag beinhaltet das Wertgesamt aller Güter, die Objekt des betrieblichen
Leistens waren und die der gesamtwirtschaftlichen Güterbereitstellung hinzugefügt
wurden”.
23
Cfr. LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 80: “Außer mit dem Begriff der erzeugten Wertschöpfung muß nähmlich für manche Zwecke auch mit dem Begriff der
realisierten Wertschöpfung gearbeitet werden, wie gesagt werden soll. Diese
Notwendigkeit liegt stets dann vor, wenn in einer Rechnungsperiode Veränderungen
an den Erzeugnisbeständen auftreten”.
24
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 64 e segg.
25
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 65: “Keinesfalls sollte die
Wertschöpfungsrechnung eine Bewertung mit ‘kalkulatorischen Werten’ durchfüh81
dall’andamento dei mercati in luogo del costo di acquisto oppure del
costo di produzione è un criterio potenzialmente valido per il calcolo
del valore aggiunto, non è però altrettanto valido per il reddito
d’esercizio, perché in questo caso verrebbe rappresentato un utile non
ancora realizzato ma solo “sperato”, contravvenendo al postulato della
prudenza. Per distinguere tra la parte del Bruttoertrag che è formata
dai prezzi di mercato realizzati e la parte del Bruttoertrag che è formata dai presunti prezzi desumibili dall’andamento dei mercati, e per
evitare un’interpretazione erronea dell’ammontare del valore aggiunto,
Kroeber Riel propone di evidenziare nel calcolo del valore aggiunto la
parte risultante da procedimenti di stima come valore aggiunto non
realizzato (nichtrealisierte Wertschöpfung). Anche l’incremento di
immobilizzazioni eseguite in economia all’interno dell’impresa secondo Kroeber Riel non si deve valutare al costo di produzione
(fabbricazione), ma al valore di mercato, in quanto nell’ambito del
calcolo del valore aggiunto non si fa la distinzione tra consumatore finale terzo e consumatore finale impresa26. Keller27 invece per calcolare
il valore aggiunto parte dal rendiconto reddituale del bilancio
d’esercizio. La Gesamtleistung (prestazione totale), che rappresenta la
componente positiva della Wertschöpfungsrechnung, comprende sostanzialmente i ricavi della vendita, le variazioni delle rimanenze dei
prodotti finiti e semilavorati e l’incremento di immobilizzazioni interne. Secondo Keller punto debole della grandezza Gesamtleistung è che
non vengono utilizzati criteri di valutazione uniformi. Infatti il ricavo
di vendita è rappresentato dai prezzi di mercato, mentre le rimanenze
di prodotti finiti e semilavorati e incremento di immobilizzazioni interne vengono valutate al costo d’acquisto oppure al costo di produzione. Inoltre la Gesamtleistung non tiene conto della mancata riscossione di crediti, né della riscossione di crediti ritenuti inesigibili. Keller inoltre ritiene possibile includere nella Gesamtleistung anche la
posta “altri ricavi e proventi” (sonstige Erträge), come per esempio gli
affitti attivi, i ricavi dovuti a servizi accessori offerti dall’impresa,
ren, die ohne Verbindung zu den tatsächlichen oder voraussichtlichen Verkaufspreisen festgestellt werden”.
26
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pagg. 68-69.
27
KELLER, Betriebliche Wertschöpfung, in: “Der Betrieb”, 1973, pagg. 289-291.
82
ecc., perché ciò permetterebbe di prendere in considerazione anche la
gestione accessoria. Quest’ultima considerazione è stata fortemente
criticata da Hild28, sostenendo che il calcolo del valore aggiunto si deve limitare a rappresentare la gestione caratteristica (betriebstypische
Leistung), escludendo così a priori i ricavi e proventi dovuti alla gestione accessoria. Secondo Hild tali ricavi e proventi sono da considerare “posizioni neutrali” (neutrale Posten), come gli elementi estranei
all’impresa (betriebsfremd) oppure gli elementi estranei al periodo
(periodenfremd).
1.3 La componente negativa del calcolo del valore aggiunto
Più problematica ancora della definizione della componente positiva, sia essa rappresentata dal valore della produzione lorda per considerare la gestione caratteristica oppure dalla Gesamtleistung per considerare la gestione caratteristica ed accessoria, è la definizione della
componente negativa. La componente negativa è rappresentata dalle
Vorleistungen, cioè dalle prestazioni e dai beni apportati da terze economie. Tale termine viene sostanzialmente utilizzato come concetto
più generale29, con funzione di raccogliere e di raggruppare una serie di
fattispecie. Le materie prime ed ausiliarie sono da considerare sicuramente facenti parte delle Vorleistungen, dato che esse vengono apportate da terze economie. Anche i macchinari generalmente provengono
da terze economie (se non vengono prodotti all’interno dell’impresa)
quindi teoricamente anche essi sono da considerare delle Vorleistungen. Ma a differenza delle materie prime ed ausiliarie i macchinari invece di essere consumati vengono utilizzati. Essi sono beni destinati
all’utilizzo durevole (Gebrauchsgüter) e quindi si differenziano dalle
materie prime ed ausiliarie in quanto queste sono invece beni destinati
ad essere consumati nel breve periodo (Verbrauchsgüter).Per questo
motivo è possibile considerare il contributo dei beni ad impiego pluriennale direttamente come elemento del valore aggiunto
(Wertschöpfung) anziché elemento delle Vorleistungen. Kroeber Riel
28
HILD, Betriebliche Wertschöpfung, in: “Der Betrieb”, 1973, pagg. 981-982.
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 25: “sondern im allgemeinen nur als
Oberbegriff oder Sammelbegriff für eine Reihe von Einzeltatbeständen gebraucht”.
29
83
preferisce usare il termine Fremdleistung anziché il termine Vorleistung per descrivere la componente negativa, dato che esprime meglio
la caratteristica degli elementi da considerare: di essere apportati da
terze economie30. Le Fremdleistungen derivano dall’impiego e dal
consumo di beni e servizi apportati da terze economie. Esse sono correlate direttamente con i ricavi che formano il valore della produzione
lorda (Gesamtleistung), e quindi si devono escludere tutti i costi che
sono “neutrali”. Vengono definiti “neutrali” gli elementi di costo, i cui
rispettivi elementi di ricavo non sono stati considerati in sede di determinazione del valore della produzione lorda. Le Vorleistungen rappresentano una parte degli elementi di costo che sono stati sostenuti
per la realizzazione della produzione, ed in particolare la parte che è
stata apportata da terze economie31. Secondo Kroeber Riel esse sono
composte dalle quote di ammortamento, dal consumo di beni
dell’attivo circolante e dal consumo di servizi prestati da terze economie. Le Vorleistungen invece non comprendono salari e stipendi,
interessi passivi per capitale di terzi ed imposte. Nell’ambito del calcolo del valore aggiunto questi elementi vengono considerati dei ricavi
anziché dei costi. Infatti essi rappresentano assieme al risultato economico dell’esercizio il valore aggiunto creato dall’impresa32. Le quote
di ammortamento vengono considerate da Kroeber Riel facenti parte
delle Fremdleistungen, dato che rappresentano le quote consumate di
beni ad impiego pluriennale, beni che sono stati apportati da terze
economie33. Secondo Kroeber Riel le quote di ammortamento comprese nei costi d’esercizio sono spesso oggetto di modifica dato che sono
quote stabilite in base alla politica aziendale, tenendo conto anche
30
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 70: “finden wir auch den Ausdruck
‘Fremdleistungen’; durch den zweiten Ausdruck wird das Wesen der Vorleistungen
besonders plastisch hervorgehoben”.
31
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 71: “Die Vorleistungen sind ein Teil
dieses Umsatzaufwandes, und zwar der teil, der sich aus dem Verbrauch von Fremdleistungen herleitet …”.
32
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pagg. 71-73.
33
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 76: “Die von den Dritten beschafften (gekauften oder gepachteten) und im Leistungsprozeß eingesetzten abnutzbaren Anlagegüter sind Fremdleistungen, die durch das betribliche Leisten im Laufe
der Zeit ‘verbraucht’ werden”.
84
della normativa fiscale. In sede di Wertschöpfung esse devono essere
corrette in modo tale da rappresentare l’effettivo utilizzo dei beni ad
impiego pluriennale. Un altro elemento, che viene considerato in particolare modo, è l’affitto di beni di capitale. Kroeber Riel propone di
suddividere l’affitto in due parti: una prima parte che rappresenta la
remunerazione per l’utilizzo del bene ed una seconda parte che rappresenta l’insieme degli elementi di costo relativi a tale bene34. L’insieme
degli elementi di costo è costituito dalle quote di ammortamento per
l’utilizzo dei bene, i costi di manutenzione e di riparazione, le imposte
ecc. Secondo Kroeber Riel la quota costituita dalla remunerazione per
l’utilizzo è un elemento del valore aggiunto, mentre la quota costituita
dall’insieme degli elementi di costo si deve considerare elemento delle
Fremdleistungen. Anche secondo Keller35 l’elemento fondamentale
delle Vorleistungen è costituito dalle materie prime ed ausiliarie. Egli
include inoltre nelle Vorleistungen anche gli oneri diversi (sonstige
Aufwände) che comprende i costi sostenuti per le riparazioni, per
l’amministrazione, per la vendita, per la pubblicità, ecc. Per quanto riguarda le quote di ammortamento, come già Kroeber Riel, anche Keller sostiene che le quote debbano rispecchiare l’effettivo utilizzo dei
beni ad impiego pluriennale. Di conseguenza richiede che le quote di
ammortamento contenute nel rendiconto d’esercizio debbano essere
modificate.La componente negativa della Wertschöpfung, secondo la
definizione di Keller, comprende pertanto i costi per le materie prime
ed ausiliarie, le quote di ammortamento e gli oneri diversi di gestione
e considera sia la gestione caratteristica che la gestione accessoria.
L’approccio di Keller viene criticato da Hild36, dato che questi ritiene
che non tutti i costi compresi negli oneri diversi di gestione (sonstige
Aufwände) possano essere considerati elementi delle Vorleistungen.
34
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 78, cfr. anche LEHMANN, op. cit.,
Essen, 1954, pag. 34.
35
KELLER, op. cit., pagg. 289-291.
36
HILD, op. cit., pagg. 981-982.
85
1.4 Il valore aggiunto come risultato della differenza tra la
componente positiva e quella negativa
Finora sono state considerate le due componenti del calcolo del
valore aggiunto, quella positiva, che è costituita dal valore della produzione lorda (Gesamtleistung), e quella negativa, che è costituita
dalle Vorleistungen oppure dalle Fremdleistungen, mettendo in evidenza le difficoltà che si riscontrano nel tentativo di definirle. Terza ed
ultima grandezza da studiare è il valore aggiunto stesso, che deriva da
un complesso procedimento di calcolo e che dipende principalmente
dalle scelte effettuate nel definirne le componenti positive e negative.
In linea generale, la finalità perseguita dall’impresa è il conseguimento
di un risultato positivo d’esercizio, misurato dall’utile d’esercizio. Se
però si tiene conto che l’impresa non è formata solo dal soggetto economico, ma anche da altri soggetti interessati, allora è necessario andare oltre il concetto di utile d’esercizio. Si è detto che il risultato di
un’impresa può essere meglio misurato dal valore aggiunto, dato che
rappresenta la sommatoria dei redditi che vengono ripartiti tra tutti
coloro che hanno partecipato all’attività dell’impresa.
In particolare, da quando Nicklisch ha introdotto il concetto di Betriebsertrag, che è una grandezza simile alla Wertschöpfung, la dottrina aziendale tedesca ha accettato la nozione del valore aggiunto come
strumento e grandezza efficace per misurare il “successo” di
un’impresa. Il valore aggiunto comprende: Arbeitsertrag (reddito distribuito alla forza lavoro); Kapitalertrag (remunerazione dei capitale); Gemeinertrag (reddito distribuito alla “mano pubblica”). È interessante osservare che questi tre elementi vengono denominati Erträge
(ricavi) anche se si tratta principalmente di elementi di costo per
l’impresa (Aufwände). Questo fatto è dovuto alla filosofia che sta alla
base del concetto di valore aggiunto e che – come si è visto – nella
dottrina tedesca viene denominata Wertschöpfungsdenken. Alla base
di tale atteggiamento vi è la considerazione che l’impresa opera come
unità e il reddito prodotto diviene la remunerazione comune per tutte
le classi di interesse partecipanti al processo produttivo.
Gli Arbeitserträge sono costituiti dai salari e stipendi, provvigioni,
dalle partecipazioni agli utili da parte dei personale, dai premi, ecc. È
compreso in questa classe anche il cosiddetto Untemehmerlohn, che
86
rappresenta la remunerazione per le attività non remunerate dei proprietari e dei loro famigliari. Solo l’inclusione dell’Unternehmerlohn
nelle componenti dell’Arbeitserträge permette una rappresentazione
completa della forza lavoro partecipante alla formazione del reddito37.
In generale anche i contributi sociali sono compresi negli Arbeitserträge. Va rilevata una posizione dottrinaria38 che contesta l’inclusione
dei contributi per i fondi pensione (Pensionsrückstellungen) negli Arbeitserträge. Tali contributi sarebbero da comprendere nella quota distribuita all’impresa stessa anziché in quella distribuita al personale,
dato che tali accantonamenti provocano un processo di autofinanziamento per l’impresa (limitato nel tempo). Comunque questa affermazione è valida fintanto che si calcola un valore aggiunto di tipo
“finanziario”; perde invece validità se si calcola il valore aggiunto in
base ai costi e ricavi di competenza del periodo39.
I Gemeinerträge comprendono tutte le imposte e contributi riconosciute alla “mano pubblica”. Le imposte dirette ed indirette possono
essere trattate allo stesso modo, dato che la differenziazione in imposte dirette ed indirette (in generale per imposte dirette si intendono
imposte deducibili, e per imposte indirette quelle non deducibili)
nell’ambito del calcolo del valore aggiunto aziendale non è giustificato, dato che la deducibilità di un’imposta non dipende tanto dal genere
di imposta ma dalla situazione in cui un’impresa si trova40. In tale classe sono da considerare i contributi ottenuti dalla “mano pubblica”.
Questi possono essere inseriti nel calcolo del valore aggiunto in due
37
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 82: “Erst die Einbeziehung des
Unternehmenlohnes in die Arbeitserträge macht es erreichbar, eine Vorstellung vom
Anteil (genauer formuliert: vom formalen Anteil) der leistungen aller Arbeitenden
an der Leistung des Betriebes zu bekommen”.
38
Cfr. SCHEIBE LANGE, op. cit., Heft 7; BEIER, SCHLOSSAREK, op. cit., Heft 33.
39
WYSOCKI, Sozialbilanzen, Stuttgart/New York, 1981, pag. 109: “Dieser
Einwand ist berechtigt, wenn man, wie Beier und Scheibe-Lange eine finanz- und
zahlungsorientierte Wertschöpfungsrechnung aufstellen möchte; sie ist nicht berechtigt, wenn die Wertschöpfungsrechnung auf der Grundlage der periodenbezogegenen Aufwendungen augestellt werden soll”.
40
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 11.
87
modi: o si aggiungono alla componente positiva della Gesamtleistung
oppure si detraggono dalla somma delle Gemeinerträge41.
Ultimo elemento del valore aggiunto è costituito dai Kapitalerträge. Essi vengono definiti da Kroeber Riel grandezza residua che si
ottiene come risultato della differenza tra il valore aggiunto, gli Arbeitserträge ed i Gemeinerträge. L’unico elemento noto dei Kapitalerträge sono gli interessi passivi come remunerazione del capitale di
terzi. La parte rimanente dei Kapitaterträge – denominata da Kroeber
Riel profitto (Gewinn)42 – può essere distinta in rendita del capitale
proprio (Eigenkapitalertrag) e profitto residuo (Gewinnrest). Il profitto residuo viene denominato anche Untemehrnergewinn im engeren
Sinn (profitto dell’imprenditore in senso stretto) e rappresenta il premio per il rischio di sopportato dall’imprenditore (Risikoprämie). Di
regola la rendita del capitale proprio non viene stabilita attraverso la
negoziazione di un tasso di interesse, in quanto la remunerazione del
capitale proprio avviene in base agli utili conseguiti. Si potrebbe ipoteticamente fissare anche un tasso di interesse per la remunerazione
del capitale proprio, al fine di evidenziare la ripartizione dell’utile in
rendita dei capitale proprio ed utile residuo.
L’utile residuo, premio per il rischio d’impresa, spesso viene interpretato nel senso “schumpeteriano” di rendita che premia
l’imprenditore innovatore, in grado di introdurre un’innovazione che
gli fornisce per un determinato tempo una posizione privilegiata di
mercato43. In conclusione emerge una volta di più che le tre componenti della Wertschöpfung, Arbeitsertrag, Gemeinertrag e Kapitalertrag sono interdipendenti. Ne segue che se il valore aggiunto rimane
della stessa dimensione, l’aumento di una sua componente comporta il
diminuire di una oppure di entrambe le altre componenti. Varia quindi
la proporzione della distribuzione dei valore aggiunto e non il valore
aggiunto stesso.
41
POHMER, op. cit., 1958, Heft 3.
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 86.
43
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 87: “er wird auch als besonders
Leistungsentgelt für den Unternehmer – etwa im Sinne Schumpeters – interpretiert”.
42
88
2. L’origine dei dati
Si presentano di seguito i metodi di calcolo del valore aggiunto secondo la kalkulatorische Rechunung e la pagatorische Rechnung.
L’impresa considerata svolge un’attività di tipo preminentemente industriale.
2.1 Il calcolo del valore aggiunto in base alla contabilità industriale
Nella determinazione del valore aggiunto secondo il procedimento
della sottrazione44, si parte dal valore della produzione lorda
(Bruttoproduktionswert), che corrisponde alla somma del fatturato di
vendita, delle variazioni delle rimanenze e degli incrementi delle immobilizzazioni eseguite in economia. Da questo valore della produzione lorda vengono innanzitutto detratti i costi delle materie prime ed
ausiliarie. Si ottiene così il “valore aggiunto I”, denominato “valore
aggiunto sulle materie prime ed ausiliarie” (Wertschöpfung über den
Materialwert hinaus). Se si detraggono i costi dei servizi prestati da
terze economie, si quantifica il “valore aggiunto II”, denominato
“valore aggiunto sulle materie prime ed ausiliarie e sui servizi”
(Wertschöpfung über den Materialwert und Dienstleistungswert hinaus). Dopo aver detratto gli ammortamenti e si ottiene il “valore aggiunto III” che rappresenta il “valore aggiunto sulle materie prime ed
ausiliarie, sui servizi e sugli ammortamenti” (Wertschöpfung über den
Materialwert, Dienstleistungswert und den Maschinennutzungswert
hinaus). Il “valore aggiunto III” coincide con la nozione di valore aggiunto proposta da Lehmann.
Il procedimento dell’addizione mette in evidenza la distribuzione
del valore aggiunto nel modo seguente:
imposte e contributi dovuti alla “mano pubblica” (Gemeinertrag);
salari, stipendi e contributi sociali dovuti al personale
(Arbeitsertrag);
interessi passivi per il capitale di terzi (Kapitalertrag);
risultato d’esercizio (Betriebsergebnis).
44
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 27 e segg.
89
Il metodo della contabilità industriale (kalkulatorische Rechnung) è
in grado di evidenziare il valore aggiunto della gestione caratteristica
ed in particolare – nel nostro caso – il valore aggiunto creato
dall’attività industriale. Non risulta quindi possibile, con tale metodo,
tenere conto anche della gestione accessoria, dato che si escludono
tutti gli elementi che sono estranei alla gestione caratteristica
(betriebsfremd)45.
La figura che segue presenta un’esemplificazione del calcolo del
valore aggiunto secondo la kalkulatorische Rechnung, evidenziando
sia la fase della creazione dei valore aggiunto (Entstehungsrechnung)
che quella sua distribuzione (Verteilungsrechnung)46.
FIGURA 2.1: SCHEMA DI CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO
SECONDO IL METODO DELLA CONTABILITÀ ANALITICA
Fatturato delle vendite
+ variazione delle rimanenze
+ incremento delle immobilizzazioni eseguite in economia
Valore della produzione lorda
– materie prime ed ausiliarie
Valore aggiunto I
– servizi prestati da economie terze
Valore aggiunto II
– ammortamenti
Valore aggiunto III
Gemeinertrag
Arbeitsertrag
Kapitalertrag
Risultato dell’esercizio
20.000
400
100
20.500
10.000
10.500
500
10.000
1.000
9.000
1.900
6.500
100
500 Valore aggiunto III
9.000
Il fatturato di vendita della nostra impresa ammonta a 20.000 DM,
a cui si aggiungono 400 DM di variazione delle rimanenze e 100 DM
45
46
Cfr. LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pagg. 17-22.
L’esempio è tratto da WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 28.
90
di incrementi delle immobilizzazioni eseguite in economia. Si ottiene
il valore della produzione lorda che è pari a 20.500 DM. Dal valore
della produzione lorda si detraggono i costi per le materie prime ed
ausiliarie (10.000 DM) e si configura il “valore aggiunto I” che è pari
a 10.500 DM. Successivamente si detraggono i costi dei servizi prestati da terze economie che ammontano a 500 DM e si ottiene il
“valore aggiunto II” (10.000 DM). Dopo aver detratto gli ammortamenti (1.000 DM) si arriva al “valore aggiunto III” che ammonta a 9.
000 DM. Questo è il valore aggiunto che successivamente viene distribuito tra la “mano pubblica”, il personale, i finanziatori e
l’impresa. Alla “mano pubblica”, come si è visto, viene distribuito il
Gemeinertrag, alla forza lavoro l’Arbeitsertrag, ai finanziatori il Kapitalertrag. L’ammontare residuo rimane all’impresa.
2.2 Il calcolo del valore aggiunto in base alla contabilità generale
Mentre il calcolo dei valore aggiunto secondo il metodo della contabilità industriale limita il valore aggiunto alla gestione caratteristica,
quello della contabilità generale (pagatorische Aufwands- und Ertragsrechnung) permette di calcolare il valore aggiunto dell’intera gestione, ossia della gestione caratteristica e della gestione accessoria. Applicando tale metodo è possibile evidenziare distintamente il valore
aggiunto generato dalla gestione caratteristica e dalla gestione accessoria, anche se tale distinzione non è immediata e richiede una certa
complessità nei calcoli. La rappresentazione distinta comporta una rigorosa separazione di tutti gli elementi sia di costo che di ricavo tra gli
elementi dell’attività industriale e gli elementi dell’attività commerciale. Ancora una volta l’impresa considerata è un’impresa industriale, la
cui attività non si limita alla sola produzione di beni e servizi, ma si
estende alla commercializzazione degli stessi.
Per determinare il valore aggiunto della gestione complessiva secondo il procedimento della sottrazione (cfr. figura 2.2) si deve in
primo luogo determinare la componente positiva (Gesamtleistung) del
calcolo del valore aggiunto. La componente positiva (Gesamtleistung)
91
è costituita principalmente dal fatturato di vendita (Umsatzerlöse),
dalle variazioni delle rimanenze (Bestandsveränderungen) e dagli incrementi delle immobilizzazioni eseguite in economia (aktivierte Eigenleistungen). A ciò vanno aggiunti i proventi da partecipazioni
(Gewinnbeteiligungen), gli interessi attivi (aktive Zinsen) e gli altri
proventi finanziari (sonstige Zinsen und Erträge), le rivalutazioni di
partecipazioni e di titoli (Wertberichtigung), le plusvalenze da alienazione di immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie (Erträge
aus Abgang von Gegenständen), le sopravvenienze attive e gli altri ricavi e proventi (sonstige Erträge).
FIGURA 2.2: SCHEMA DI CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO
SECONDO IL METODO DELLA CONTABILITÀ GENERALE
Fatturato di vendita
+ variazione delle rimanenze
+ incremento delle immobilizzazioni eseguite in economia
Gesamtleistung
+ altri ricavi e proventi
Unternehmensleistung
– Vorleistrung:
Materie prime ed ausiliarie
Accantonamento svalutazione crediti
Accantonamenti per rischi ed oneri futuri
Oneri diversi di gestione
Valore aggiunto prima delle quote di ammortamento
Ammortamento immobilizzazioni materiali ed immateriali
Svalutazioni attività finanziarie
Minusvalenze da alienazione
Sopravvenienze passive
Valore aggiunto dopo la detrazione delle quote di ammortamento
Per le plusvalenze e le sopravvenienze attive è utile fare
un’osservazione particolare. Di regola, dal calcolo del valore aggiunto
vengono esclusi elementi estranei al periodo (periodenfremd) e quindi
teoricamente dovrebbero esserne escluse sia le plusvalenze che le sopravvenienze attive. Invece non si procede alla loro eliminazione, dato
92
che in qualche modo provvedono a “correggere”47 le quote di ammortamento degli esercizi precedenti, rivelatesi – ex post – non congrue.
Sono da includere inoltre nella componente positiva sia i proventi dovuti allo storno di accantonamenti a fronte di svalutazioni forfetarie
dei crediti (Herabsetzung der Pauschalwertberichtigung) che i proventi dovuti allo storno (i.e. utilizzo) di fondi diversi, come per esempio i fondi (Auflösung der Pensionsrückstellungen) e il fondo per garanzie e collaudi (Rückstellung für Garantieverpflichtungen)48.La
somma delle varie componenti considerate fornisce l’ammontare della
Unternehmensleistung, che rappresenta la componente positiva complessiva dei calcolo del valore aggiunto.
La componente negativa (Vorleistungen oppure Fremdleistungen)
del comprende i costi delle materie prime ed ausiliarie (Roh-, Hifs-,
Betriebsstoffe), le quote di ammortamento delle immobilizzazioni
materiali ed immateriali (Abschreibungen), gli accantonamenti forfetari per la svalutazione dei crediti (Einstellung in die Pauschalwertberiehtigung zu Forderungen), gli accantonamenti a fondi diversi
(Einstellungen in Sonderposten mit Rücklageanteil), le svalutazioni di
partecipazioni e di titoli (Wertberichtigungen), le minusvalenze da
alienazione di immobilizzazioni materiali ed immateriali e finanziarie
(Verluste aus Abgang von Gegenständen), le sopravvenienze passive
(Wertminderung) e gli oneri diversi di gestione (sonstige Aufwände).
Il valore aggiunto dell’impresa può essere calcolato in unica soluzione
dalla differenza tra la componente positiva complessiva
(Unternehmensleistung) e la componente negativa (Vorleistung), oppure può essere calcolato gradualmente come indicato nella figura che
segue, differenziando le Vorleistungen in Vorleistungen außer
Abschreibungen (esclusi gli ammortamenti) ed in Vorleistungen aus
Abschreibungen (inclusi gli di ammortamenti), per rappresentare in
modo separato il valore aggiunto lordo (Bruttowertschöpfung) dal valore aggiunto netto (Nettowertschöpfung)49.
L’utilizzo del metodo illustrato (pagatorische Aufwands- und Ertragsrechnung) permette di distinguere tra valore aggiunto creato dalla
47
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 30.
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 30.
49
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 33.
48
93
gestione ordinaria, che comprende sia l’attività industriale che quella
commerciale, e valore aggiunto creato dalla gestione straordinaria e
finanziaria, senza porre in essere calcoli aggiuntivi. Innanzitutto si calcola l’ammontare della Gesamtleistung che comprende il fatturato di
vendita
(Umsatzerlöse),
le
variazioni
delle
rimanenze
(Bestandsveränderungen) e gli incrementi delle immobilizzazioni eseguite in economia (aktivierte Eigenleistungen). Detraendo dalla Gesamtleistung i sostenuti per le materie prime ed ausiliarie ed i costi
sostenuti per beni e servizi apportati da economie terze si ottiene il
“valore aggiunto A/I” che corrisponde al valore aggiunto lordo della
gestione ordinaria dell’impresa (Bruttowertschöpfung industrieller
Tätigkeit und Handelstätigkeit). Detraendo inoltre le quote di ammortamento delle immobilizzazioni materiali ed immateriali
(Abschreibungen) si ottiene il “valore aggiunto A/II” che è uguale al
valore aggiunto netto della gestione ordinaria dell’impresa
(Nettowertschöpfung aus industrieller Tätigkeit und Handelstätigkeit).
Parallelamente si può procedere per gli elementi della gestione finanziaria e straordinaria, facendo la somma algebrica di tutte le componenti positive: i proventi da partecipazioni (Gewinnbeteiligungen), gli
interessi attivi (aktive Zinsen) e gli altri proventi finanziari (sonstige
Zinsen und Erträge), le rivalutazioni di partecipazioni e di titoli
(Wertberichtigung), le plusvalenze da alienazione di immobilizzazioni
materiali, immateriali e finanziarie (Erträge aus Abgang von Gegenstände), e le sopravvenienze attive (Wertberichtigung) (il ripristino del
valore di immobilizzazioni), i proventi dovuti allo storno di accantonamenti fatti per la svalutazione crediti (Herabsetzung der Pauschalwertberichtigung) ed proventi dovuti allo storno di fondi diversi, come
per esempio il fondo delle indennità pensionistiche (Auflösung der
Pensionsrückstellungen) e il fondo per garanzie e collaudi (Rückstellungen für Garantieverpflichtungen) ed infine gli altri ricavi e proventi (sonstige Erträge) e di tutte le componenti negative (gli accantonamenti fatti per la svalutazione dei crediti (Einstellung in die Pauschalwertberichtigung zu Forderungen), gli accantonamenti ai fondi
in diversi (Einstellungen in Sonderposten mit Rücklageanteil), le
94
FIGURA 2.3: SCHEMA DI CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO IN BASE ALLA
DISTINZIONE TRA GESTIONE ORDINARIA E STRAORDINARIA SEGUENDO IL METODO
DELLA CONTABILITÀ GENERALE
Fatturato delle vendite
+ variazione delle rimanenze
+ incrementi delle immobilizzazioni
interne
Gesamtleistung
– materie prime ed ausiliarie
– beni e servizi di terze economie
Valore aggiunto A/I (valore aggiunto
lordo della gestione ordinaria)
– ammortamenti
Proventi da partecipazioni
+ interessi attivi
+ altri proventi finanziari
+ plusvalenze da alienazione e sopravvenienze attive
+ proventi da storno di accantonamenti
+ altri ricavi e proventi
– svalutazioni di partecipazioni e titoli
– accantonamenti a fondi rischi ed
oneri
– minusvalenze da alienazione e sopravvenienze passive
– oneri diversi di gestione
Valore aggiunto A/II (valore aggiunto Valore aggiunto B (valore aggiunto
netto della gestione ordinaria)
della gestione straordinaria e finanziaria)
Salari, stipendi e contributi sociali
Valore aggiunto complessivo
(A/II + B)
+ interessi passivi ed oneri finanziari
simili
+ imposte
+ risultato di esercizio
svalutazioni di partecipazioni e di titoli (Wertberichtigungen), le minusvalenze da alienazione di immobilizzazioni materiali, immateriali e
finanziarie (Verluste aus Abgang von Gegenständen), e le sopravvenienze passive (Wertminderung) ed oneri diversi di gestione (sonstige
Aufwände). Il risultato della somma algebrica delle componenti positive e negative della gestione “non ordinaria” (aus nichtindustrieller
Tätigkeit und Nichthandelstätigkeit) è uguale al “valore aggiunto B”
che viene denominato anche valore aggiunto della gestione non ordinaria (Wertschöpfung aus nichtindustrieller Tätigkeit und Nichthandelstätigkeit). Se si somma il “valore aggiunto A/II” ed il “valore ag95
giunto B” si ottiene la grandezza del valore aggiunto complessivo
(Gesamtwertschöpfung) che è composto dai costi del personale e dai
relativi contributi sociali, dagli oneri finanziari, dalle imposte sul
reddito e dal risultato economico di esercizio.
La figura 2-3 sintetizza lo schema di calcolo del valore aggiunto in
base alla distinzione gestione ordinaria/gestione straordinaria50.
2.3 Valore aggiunto lordo e valore aggiunto netto
La questione trattata in questo paragrafo rileva soprattutto al fine
del calcolo del valore aggiunto da indicare nel rendiconto “sociale”
dell’impresa51. Sia la dottrina aziendale che la prassi aziendale considerano la Wertschöpfungsrechnung uno degli strumenti più importanti
nell’ambito della redazione e interpretazione del bilancio sociale
(gesellschaftsbezogener Berichterstattung)52. Molto discusse sono tuttavia le modalità di calcolo del valore aggiunto, ed in particolare se il
calcolo del valore aggiunto debba rappresentare il valore aggiunto lordo (Bruttowertschöpfung) oppure il valore aggiunto netto
(Nettowertschöpfung). Questa questione controversa può essere risolta
prendendo spunto dagli scopi perseguiti dal calcolo del valore aggiunto in quanto strumento di informazione integrante il bilancio
d’esercizio. Nell’ambito della gesellschaftsbezogenen Berichterstattung il calcolo del valore aggiunto assume la funzione di evidenziare
la distribuzione del reddito realizzato fra i diversi stakeholders che
partecipano alla “coalizione-impresa”. Oltre ad evidenziare la distribuzione del reddito realizzato, il calcolo del valore aggiunto permette
anche di dare delle indicazioni “di massima” sull’evoluzione della dinamica della futura distribuzione. Ne segue che anche il calcolo della
creazione del valore aggiunto mediante il procedimento della sottrazione (Entstehungsrechnung) deve tenere conto dell’aspetto distributivo, dato che il calcolo della creazione del valore aggiunto rappresenta
50
WEBER, op.cit., Stuttgart 1980, pag. 36.
Cfr. Capitolo IV.
52
REICHMANN, LANGE, op. cit., 1981, pag. 949.
51
96
i rapporti economici e finanziari dell’impresa con l’ambiente, ed in
particolare con i clienti e con i fornitori53.
Se si considera il calcolo del valore aggiunto uno strumento di informazione integrante il bilancio d’esercizio, che dà informazioni sulla
creazione e sulla distribuzione del reddito realizzato dell’impresa si
rende necessario basare il calcolo del valore aggiunto sull’utile di bilancio54. Inoltre l’obiettivo fondamentale del bilancio d’esercizio è la
rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale,
reddituale e finanziaria dell’impresa, che costituisce un obiettivo valido anche per il calcolo del valore aggiunto, dato che è – come si è più
volte ricordato – uno strumento di informazione integrante il bilancio
d’esercizio. Ciò significa che nell’ambito della Wertschöpfungsrechnung devono essere rispettati i principi dell’obiettività (Grundsatz
der Objektivierung) e della competenza (Grundsatz der Periodisierung).
Contrariamente alla prassi generale, alcuni studiosi sostengono che
le quote di ammortamento delle immobilizzazioni materiali ed immateriali non sono da includere nelle Vorleistungen in quanto parte stessa
del valore aggiunto e, in particolare, del Kapitalertrag55. Secondo tale
interpretazione il procedimento di calcolo sarebbe corretto giacché le
quote di ammortamento sono influenzate dalla politica aziendale e da
esigenze di carattere fiscale. Si rendere quindi necessario calcolare il
valore aggiunto lordo (Bruttowertschöpfungsrechnung), anziché calcolare il valore aggiunto netto. Le immobilizzazioni materiali ed immateriali vengono generalmente apportate da terze economie, salvo il caso delle costruzioni in economia, e quindi, come si è visto, costituiscono elementi delle Vorleistungen e non della Wertschöpfung.
Un’ulteriore questione che potrebbe essere discussa è quella relativa
all’imputazione del costo dell’immobilizzazione, ossia se imputarlo in
un’unica soluzione nell’esercizio, in cui si è verificata la manifestazione numeraria, oppure se imputarlo periodicamente agli esercizi per
53
REICHMANN, LANGE, op. cit., 1981, pag. 949.
REICHMANN, LANGE, op. cit., 1981, pag. 949: “so folgt daraus zwangsläufig,
daß sie der Einkommens- und der Gewinnkonzeption des handelrechtliche Jahresabschlusses folgen muß”.
55
SCHEIBE LANGE, op. cit., 1981, pag. 951.
54
97
tutta la durata economica attraverso il calcolo delle quote di ammortamento. Le immobilizzazioni sono di natura durevole quindi destinate
a servire per più processi produttivi. Ne segue che secondo il principio
della competenza le quote di ammortamento rappresentano il costo da
imputare al risultato dei singoli esercizi nei quali i beni daranno la
propria utilità. A sfavore del calcolo del valore aggiunto lordo potrebbe giocare la circostanza che non viene messa in dubbio l’inclusione
dei canoni di leasing ed i canoni di affitto per immobilizzazioni materiali ed immateriali nelle Vorleistungen. Pertanto, o si escludono sia le
quote di ammortamento sia i canoni di leasing e di affitto, oppure non
si escludono né le prime né le seconde perché altrimenti la comparabilità tra due imprese, in cui la prima, ad esempio, ha acquistato
l’immobile mentre la seconda lo utilizza in regime di locazione, viene
meno. Anche la giustificazione che le quote di ammortamento sono
calcolate in base a considerazioni di politica aziendale e di politica fiscale, non è valida al fine di escludere il calcolo del valore aggiunto
netto. Infatti anche se la discrezionalità dei redattori del bilancio
d’esercizio fosse più limitata a causa di norme e principi di valutazione maggiormente rigorosi, ci sarebbero sempre degli errori di valutazione, perché è impossibile conoscere a priori l’effettiva durata economica dei beni ad impiego pluriennale. Inoltre il valore massimo da
assumere come base per il calcolo delle quote di ammortamento è rappresentato dal costo di acquisto oppure dal costo di produzione. Se
all’inizio le quote di ammortamento sono state troppo elevate, esse
devono essere corrette nei periodi successivi. Conseguentemente non
si è in presenza di una riduzione del reddito da distribuire, ma di uno
spostamento temporale nella distribuzione del reddito. Quindi, dato
che le quote di ammortamento si riferiscono ad immobilizzazioni materiali ed immateriali, che generalmente sono state apportate da economie terze, esse devono essere considerate delle Vorleistungen. Inoltre dato che per il principio di competenza l’imputazione dei costo di
acquisto di un bene ad impiego pluriennale ad un unico esercizio non
può essere sostenuto, e dato che la maggiorazione delle quote di ammortamento in base a politiche aziendali e fiscali non comporta una
riduzione del reddito da distribuire, ma uno spostamento temporale
della sua distribuzione, ne segue che il calcolo del valore aggiunto lor98
do come strumento di informazione integrante il bilancio d’esercizio
nell’ambito dei bilancio sociale (gesellschaftsbezogene Berichterstattung) non può essere sostenuto56.
3. Il calcolo del valore aggiunto in alcuni settori
Quasi tutte le definizioni del valore aggiunto finora analizzate si riferiscono ad un’impresa industriale. Infatti secondo la concezione tradizionale (Lehmann) l’impresa produttrice del valore aggiunto per eccellenza è l’impresa industriale. Fintantoché la nozione del valore aggiunto (Wertschöpfung) viene definito come differenza tra il valore
della produzione lorda (Bruttoproduktionswert) ed il costo per i beni e
servizi apportati da terze economie (Vorleistungen), allora la nozione
del valore aggiunto è valida per tutti i settori: settore industriale, settore commerciale, settore bancario. Se però si tenta di definire più analiticamente del valore della produzione lorda (Bruttoproduktionswert) e
delle Vorleistungen dei vari settori, si scopre che ciascun settore economico, ed in particolare quello commerciale e bancario, richiedono
una nozione specifica di valore aggiunto non applicabile ad altri settori57.
Così, ad esempio, il valore della produzione lorda nel settore commerciale potrebbe essere costituito semplicemente dal fatturato, senza
che sussista la necessità, come per un’impresa industriale, di modificarlo per tener conto delle variazioni delle rimanenze e le Vorleistungen potrebbero essere rappresentate dagli acquisti delle merci destinate alla rivendita. Di conseguenza, il valore aggiunto sarebbe uguale
all’utile commerciale lordo (Handelsspanne) cosa che, tuttavia, non è
corretta come si vedrà nel prosieguo. Il settore commerciale richiede
pertanto una nozione specifica di valore aggiunto (handelsspezifische
Wertschöpfungsbegriff) che tenga conto delle caratteristiche
dell’attività commerciale.
Considerazioni analoghe possono essere svolte avuto riguardo al
settore bancario. La componente positiva del calcolo del valore aggiunto di un’impresa bancaria potrebbe essere costituita dagli interessi
56
57
REICHMANN, LANGE, op. cit., 1981, pag. 949; GOETZKE, op. cit., Heft 5, 1979.
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 13-20.
99
corrisposti dalla clientela, così come le Vorleistungen potrebbero essere uguali agli interessi riconosciuti sui fondi presi a prestito. Di conseguenza, il valore aggiunto di un’impresa bancaria coinciderebbe con il
margine di interesse (Zinsspanne).
3.1 Il valore aggiunto nel settore commerciale
Krober Riel sottolinea che l’attività commerciale a parità di tutte le
altre attività economiche possiede la caratteristica di creare valore aggiunto in quanto (sia il commercio all’ingrosso sia il commercio al
dettaglio) assolve la funzione distributiva in un sistema economico.
Anche se i risultati della gestione non si possono misurare in base ad
un trasformazione tecnico-economica dei beni, come succede – al
contrario – nell’ambito di un’impresa industriale, dato che i beni acquistati e venduti da un’impresa commerciale non subiscono alcun tipo di trasformazione, né a livello quantitativo né a livello qualitativo.
Ciò comporta che la considerazione della nozione del valore aggiunto
in termini fisici nell’ottica della Gütereinkommen-Seite è impossibile
nell’ambito dell’attività commerciale58. Inoltre, anche il processo economico di un’impresa commerciale a parità di tutti gli altri processi
economici delle imprese è caratterizzato dalla partecipazione dei lavoratori, del capitale e dello Stato59.
In un sistema di economia di mercato, la componente del prezzo
pagato dal consumatore finale, che remunera la funzione distributiva
del settore commerciale, viene denominata valore aggiunto economico-politico del commercio (volkswirtschaftliche Wertschöpfung des
Handels)60. In particolare Kroeber Riel osserva che il valore aggiunto
58
Cfr. LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 10 e segg.
KROEBER RIEL, op.cit., Berlin, 1963, pag. 43: “Die Wertschöpfung als betriebliche Leistungsgröße unterstreicht demgegenüber, daß der Betriebsprozeß des
Handels genauso wie der Betriebsprozeß aller anderen wirtschaftlichen Betriebe ein
Leistungsprozeß ist, zu dem sich die Wirkungskräfte Arbeit, Kapital und Staat vereinen (…) In der Literatur finden wir diese Wirkung als ‘wertschöpfenden Karakter’
der Handelstätigkeit, als ‘Werterzeugung’ oder Wertbildung bezeichnet”.
60
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 44: “In marktwirtschaftliche
Wirtschaftssystemen werden dem gegenüber gründsatzlich alle vom Endpreis eines
59
100
dell’attività commerciale non coincide con l’utile commerciale lordo
(Handelsspanne). Infatti l’utile commerciale lordo è uguale al risultato
della differenza tra il prezzo di vendita ed il prezzo di acquisto delle
merci, che un’impresa commerciale ha venduto in un esercizio61.
L’utile commerciale lordo quindi comprende sia la remunerazione
della prestazione dell’impresa commerciale stessa (valore aggiunto)
sia la remunerazione dei beni consumati e servizi utilizzati apportati
da economie terze, escluse le merci (Fremdleistungen)62.
Da queste definizioni seguono una serie di rapporti tra l’utile commerciale lordo ed il valore aggiunto, che sono rappresentate dalla figura
seguente elaborata sulla base delle osservazioni di Krober Riel. Se si
tiene presente che l’utile lordo è uguale al valore delle vendite delle
merci al netto del costo degli acquisti delle merci, e che l’utile commerciale è uguale alla somma tra valore aggiunto e Fremdleistungen, allora
si può dedurre che il valore aggiunto è uguale all’utile commerciale lordo diminuito delle Fremdleistungen oppure che è uguale al valore delle
vendite delle merci diminuito del valore degli acquisti e delle Fremdleistungen. Il valore della vendita delle merci di conseguenza corrisponde
alla somma tra il valore aggiunto, il valore dell’acquisto delle merci e le
Fremdleistungen oppure corrisponde alla somma tra utile commerciale
lordo ed il valore degli acquisti di merci. Queste relazioni tra il valore
aggiunto e l’utile commerciale lordo (cfr. figura 3.1) dimostrano che
non è corretto né sostenere che l’utile commerciale lordo rappresenta la
remunerazione della prestazione dell’impresa commerciale né equiparare l’utile commerciale lordo al valore aggiunto63.
Gutes dem Handel zugeflossenen Preisteile als volkswirtschaftliche Wertschöpfung
des Handels anerkannt”.
61
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 46: “Die handelsspanne als Betriebsspanne ist die Differenz zwischen den Einkaufspreis und den Verkaufspreis der
Waren, die ein Betrieb in einer Peiode umsetzt”.
62
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 46: “Die handelsspanne entsteht
aus den Vergütungen für die Eigenleistungen (Wertschöpfung) des handelsbetriebes
un aus den Vergütungen für die im Rahmen des betreiblichen Leistungsprozesses
außer den Waren sonst noch in Anspruch genommenen Fremdleistungen”.
63
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 47: “Es ist demzufolge mißverständlich, wenn die Handelsspanne als Entgelt für die Eigenleistung eines Handelsbetriebes hingestellt und mit der betrieblichen Wertschöpfung gleichgesetzt wird”.
101
FIGURA 3.1: I RAPPORTI TRA VALORE AGGIUNTO ED UTILE COMMERCIALE LORDO
Utile commerciale lordo
Utile commerciale lordo
Valore aggiunto
Valore aggiunto
Valore della vendita delle merci
Valore della vendita delle merci
Valore della vendita delle merci
– valore dell’acquisto delle merci
Valore aggiunto
+ Fremdleistungen
Utile commerciale lordo
– Fremdleistungen
Valore della vendita delle merci
– Valore dell’acquisto delle merci
– Fremdleistungen
Valore aggiunto
+ Valore dell’acquisto delle merci
+ Fremdleistungen
Utile commerciale lordo
+ Valore dell’acquisto delle merci
La mancanza di un’interpretazione univoca – secondo Kroeber Riel
– è dovuta sostanzialmente a due ordini di motivi.
In primo luogo l’utile commerciale lordo è una grandezza simile al
valore aggiunto, dato che l’unica differenza è costituita dalla diversa
nozione accolta delle Fremdleistungen. La definizione della Fremdleistungen dell’utile commerciale lordo è più ristretta di quella del
valore aggiunto, dato che comprende solo il valore dell’acquisto delle
merci, mentre la definizione delle Fremdleistungen del valore aggiunto è più ampia di quella dell’utile commerciale, dato che comprende
oltre al valore dell’acquisto delle merci il valore di tutti gli altri beni e
servizi apportati da economie terze.
In secondo luogo la confusione dei due concetti è dovuta alla mancata distinzione tra il valore aggiunto “istituzionale” (institutionelle
Wertschöpfung) ed il valore aggiunto “funzionale” (funktionelle
Wertschöpfung)64. Il valore aggiunto “istituzionale” misura il valore
aggiunto creato di una singola istituzione “impresa” come, ad esempio, il valore aggiunto di un’impresa commerciale all’ingrosso oppure,
il valore aggiunto di un’impresa commerciale al dettaglio. Il valore
aggiunto “funzionale”, al contrario, misura il valore aggiunto creato
64
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 48.
102
dall’attività distributiva, ossia dall’insieme delle imprese operanti
nella distribuzione commerciale. Il rapporto tra il valore aggiunto
“istituzionale” ed il valore aggiunto “funzionale” viene spiegato dal
seguente esempio65 (rappresentato nella figura 3.2). Si ipotizzi che il
prezzo finale di un bene ammonti a 20, di cui 10 è rappresentato dal
valore aggiunto funzionale dell’industria (funktionale Erzeugungswertschöpfung) e le rimanenti 10 il valore aggiunto funzionale del
commercio (funktionale Vertriebswertschöpfung). Il valore aggiunto
“istituzionale” si distribuisce invece direttamente all’istituzione
dell’impresa industriale, all’istituzione dell’impresa commerciale
all’ingrosso ed all’istituzione dell’impresa commerciale al dettaglio e
si distribuisce indirettamente alle economie terze delle Vorleistungen
dell’impresa industriale, dell’impresa commerciale all’ingrosso e
dell’impresa commerciale al dettaglio.
FIGURA 3.2: IL RAPPORTO TRA IL VALORE AGGIUNTO “FUNZIONALE”
ED IL VALORE AGGIUNTO “ISTITUZIONALE”
Valore aggiunto
“funzionale”
Valore aggiunto dell’attività
industriale
Prezzo del bene
20
14
10
Valore aggiunto dell’attività
commerciale
Valore aggiunto dell’impresa
industriale
Vorleistungen dell’impresa
industriale
9
7,5
6
2
0
65
Valore aggiunto
“istituzionale”
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 50.
103
Valore aggiunto dell’impresa
commerciale all’ingrosso
Vorleistungen dell’impresa
commerciale all’ingrosso
Valore aggiunto dell’impresa
commerciale al dettaglio
Vorleistungen dell’impresa al
dettaglio
Il valore aggiunto “istituzionale “ dell’impresa industriale, produttrice del bene, si ottiene dal valore aggiunto “funzionale”
dell’industriale (funktionale Wertschöpfung des Erzeugungsbereiches)
e da una parte del valore aggiunto “funzionale” del commercio
(funktionale Wertschöpfung des Handels). Il valore aggiunto
“istituzionale” dell’impresa industriale è uguale a 6 ed è quindi inferiore alla somma del valore aggiunto “funzionale” dell’impresa e della
parte del valore aggiunto “funzionale” del commercio attribuita
all’impresa industriale, che è pari a 11. Ciò in quanto l’impresa industriale ha consumato le Vorleistungen di terze economie per
l’ammontare di 5. Anche il valore aggiunto “istituzionale”
dell’impresa commerciale all’ingrosso (1,5) ed il valore aggiunto
“istituzionale” dell’impresa commerciale al dettaglio (4) si ottiene
diminuendo la parte del valore aggiunto funzionale che spetta rispettivamente all’impresa commerciale all’ingrosso ed all’impresa commerciale al dettaglio, per il valore delle rispettive Vorleistungen di terze economie (rispettivamente 1,5 per l’impresa all’ingrosso e 2 per
l’impresa al dettaglio)66.
Sulla base delle considerazione svolte si può affermare che il calcolo del valore aggiunto effettuato nell’ambito della prassi aziendale
commerciale misura il valore aggiunto “istituzionale” di un’impresa
commerciale. Inoltre è stata evidenziata la differenza tra l’utile commerciale lordo ed il valore aggiunto.
Uno schema semplice di calcolo del valore aggiunto di un’impresa
commerciale secondo quanto fino ad ora evidenziato è rappresentato
nella figura che segue67.
66
67
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 51.
KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pagg. 90-91.
104
FIGURA 3.3: SCHEMA DI CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO
DI UN’IMPRESA COMMERCIALE
Fatturato
– sconti concessi
– svalutazione dei crediti verso clienti
Valore d’acquisto delle merci al netto
degli sconti ottenuti
– rimanenti Vorleistungen:
Spese per trasporti
Spese per telefono
Etc.
– quote di ammortamento
Valore aggiunto
Bruttoertrag
Vorleistungen
Arbeitsertrag: salari, stipendi e contributi sociali, Unternehmerlohn
Gemeinerertrag: imposte
Kapitalertrag: interessi passivi, affitti,
risultato d’esercizio
La componente positiva (Bruttoertrag) di un’impresa commerciale
è costituita sostanzialmente dal fatturato al netto degli sconti concessi
e delle svalutazioni per rischi su crediti. La componente negativa,
Vorleistungen, è invece costituita dal valore degli acquisti al netto
degli sconti ottenuti, dai rimanenti beni e servizi apportati da terze
economie (trasporti, energia elettrica, etc.). Il valore aggiunto si ottiene quale differenza tra la componente positiva e la componente negativa ed è costituito da tre componenti già note, ossia la remunerazione
del personale (Arbeitsertrg e Unternehmerlohn), il Gemeinerertrag
(imposte e tasse) e interessi passivi, affitti68 e risultato di esercizio
(Kapitalertrag).
68
L’affitto, secondo Kroeber Riel, op. cit., Berlin, 1963, pagg. 70-79, è da dividere in due parti: una componente misura la remunerazione per l’utilizzo del bene
capitale e concorre alla formazione del valore aggiunto, un’altra che misura
l’insieme dei costi da sostenere per il bene capitale (ammortamenti, spese di manutenzione, ecc.).
105
3.2 Il valore aggiunto nel settore bancario
Pohmer e Kroenlein hanno evidenziato che il concetto di valore
aggiunto è un concetto valido per ogni tipo di impresa69. Tuttavia, nel
tentativo di definire più accuratamente i contenuti della componente
positiva (Bruttoproduktionswert) e della componente negativa
(Vorleistungen) ai fini del calcolo del valore aggiunto dei vari settori
economici, ci si è via via resi conti che ciascun settore economico – ed
in particolare quello commerciale e bancario – richiede una nozione
specifica di valore aggiunto (spezifischen Wertschöpfungsbegriff), non
applicabile agli altri settori70. Così, come nel precedente paragrafo si è
fatto riferimento ad una nozione specifica di valore aggiunto
nell’ambito di un’impresa commerciale (handelsspezifischer
Wertschöpfungbegriff) si cercherà di seguito di pervenire ad una nozione di valore aggiunto maggiormente rappresentativa della tipica
combinazione bancario-creditizia (bankspezifischer Wertschöpfungbegriff).
Anche nel settore bancario i procedimenti generali di determinazione del valore aggiunto “per sottrazione” e per “addizione” evidenziano
la propria utilità. Secondo il primo procedimento il valore aggiunto si
determina effettuando la differenza tra i proventi tipici le Vorleistungen. In base al secondo procedimento il valore aggiunto si determina
sommando tutti i redditi creati all’interno dell’impresa e procedendo
poi all’evidenziazione alla ripartizione dello stesso.
Gli interessi attivi, che l’impresa consegue a fronte dell’esercizio
dell’attività creditizia, ed i proventi dagli investimenti finanziari costituiscono la quota più significativa dei ricavi della stessa. Tali interessi
e proventi sono tuttavia già inclusi nel valore aggiunto delle imprese
che li hanno corrisposti; essi sono infatti componenti del Kapitalertrag di tali imprese. Al fine di evitare una duplicazione essi sarebbero
dunque da escludere dal calcolo del valore aggiunto dell’impresa ban-
69
POHMER, KROENLEIN, op. cit., Stuttgart, 1970, § 1919: “die betriebliche
Wertschöpfung (zu Faktorkosten) ist im allgemeinen das angemessene Kriterium zur
Beurteilung einer Unternehmung”; cfr. anche GÖCKELER, Die Wertschöpfung der
Kreditinstitut, Berlin, 1975, pag. 11 e segg.
70
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 13-20.
106
caria71. Operando in tal modo, tuttavia, il valore della produzione lorda
delle imprese bancarie si ridimensionerebbe a tal punto che non
avrebbe più alcuna utilità la misurazione del valore aggiunto. Per tale
ragione è necessario considerare interessi attivi e proventi da investimenti finanziari non già componenti del Kapitalertrag bensì delle
Vorleistungen delle imprese che li hanno corrisposti. Per inciso, occorre ricordare come un altro elemento caratteristico dell’attività creditizia sia costituito dalla prestazione di servizi “gratuiti” privi di una
specifica remunerazione. Tali servizi troveranno copertura nei ricavi
tipici giacché non esiste alcuna correlazione diretta con specifici elementi di ricavo.
Alla luce di quanto sopra, Göckeler72 individua una “convenzione”
particolare per il calcolare il valore aggiunto nell’ambito delle imprese
bancarie costituita dal considerare quale remunerazione dell’attività
bancaria la differenza tra gli interessi attivi (sui finanziamenti erogati)
e gli interessi passivi (sui depositi)73. Il risultato di tale differenza denominata Zinsdifferenz assieme agli altri proventi e ricavi costituisce il
fatturato (Umsatz) di un’impresa bancaria74. Il calcolo di tale differenza
non è tuttavia così agevole come ad una prima analisi potrebbe apparire. Infatti, oltre agli interessi passivi, la banca richiede anche la corresponsione di una serie di provvigioni correlate spesso agli interessi
passivi. Per quanto riguarda invece i proventi da partecipazione occorre distinguere investimenti che potremmo chiamare “strategici” da
quelli “speculativi”. Nel primo caso gli utili corrisposti alla banca sono da escludere dal calcolo della Zinsdifferenz per evitare una duplicazione di valore, giacché gli stessi saranno computati nel valore aggiunto delle imprese eroganti75. Tutte le altre componenti positive e
71
POHMER, KROENLEIN, op. cit., Stuttgart, 1970, § 1919.
GÖCKELER, op. cit., Berlin, 1975, pag. 12 e segg.
73
GÖCKELER, op. cit., Berlin, 1975, pag. 19: “Aufgrund dieser Tatbestände wurde für die Ermittlung der Wertschöpfung der Kreditinstitute die Konvention getroffen, daß die Differenz zwischen den Ertragszinsen (bzw. weiter: Vermögenserträge)
und Aufwandszinsen als unterstelltes Dienstleistungsentgelt behandelt wird”.
74
GÖCKELER, op. cit., Berlin, 1975, pag. 20.
75
GÖCKELER, op. cit., Berlin, 1975, pag. 22: “Wir stellen die Erträge aus Beteiligungen nicht in die Zinsdifferezrechnung ein, sondern behandeln sie in voller Höhe
als verteiltes, in der ausschüttenden Unternehmung erwirtschaftetes Einkommen”.
72
107
negative di reddito, non connesse agli interessi e ai proventi da partecipazione, possono essere considerati e trattati come illustrato nel paragrafo dedicato alla misurazione del valore aggiunto nelle imprese
industriali. Uno schema semplificato del calcolo della creazione di
valore aggiunto (Entstehungsrechnung) e della distribuzione del valore aggiunto (Verteilungsrechunung) viene proposto nella figura che
segue76.
FIGURA 3.4: SCHEMA DI CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO DI UN’IMPRESA BANCARIA
Interessi attivi
+ utili da partecipazioni “speculative”
– interessi passivi
Zinsdifferenz
+ provvigioni e proventi similari
+ proventi da attività non bancarie
– beni e servizi apportati da terze economie (Vorleistungen):
Canoni di locazione
Spese telefoniche
Etc.
Valore aggiunto lordo
– quote di ammortamento
Valore aggiunto netto
Valore della produzione lorda
Vorleistungen
Arbeitsertrag: salari, stipendi, contributi
sociali e Unternehmerlohn
Gemeinertrag: imposte
Kapitalertrag: dividendi, risultato
d’esercizio
4. Il significato informativo del valore aggiunto
Nei paragrafi che seguono si rappresentano alcune modalità di utilizzo del valore aggiunto in ambito aziendale, con particolare riferimento alla sua capacità segnaletica.
76
GÖCKELER, op. cit., Berlin, 1975, pagg. 101-102.
108
4.1 Nella produzione dell’impresa
Ai fini della comparabilità nel tempo, la produzione di un’impresa
industriale può essere misurata sostanzialmente sulla base delle qualità
di beni e servizi prodotti oppure in base al valore della produzione
realizzata77. In particolare, la produzione industriale può essere misurata in base alla quantità prodotta soltanto se si tratta di un’impresa industriale monoprodotto. Anche in questo caso, tuttavia, la qualità come strumento di misurazione della produzione risulta essere poco appagante sotto molteplici aspetti. Infatti la riduzione della quantità rispetto all’esercizio precedente potrebbe essere ricondotta a diversi
fattori: diminuzione della produzione in generale, miglioramento
qualitativo del prodotto, partecipazione a più stadi della produzione,
combinazione dei suddetti fattori. Di conseguenza la quantità è uno
strumento valido di misurazione della produzione di un’impresa monoprodotto soltanto nel caso in cui il livello qualitativo dei prodotto e
la partecipazione ai diversi stadi della produzione del prodotto rimane
costante. Se cambia il livello qualitativo dei prodotto, l’unico strumento possibile per la misurazione della produzione che garantisce la
comparabilità nel tempo, è il valore della produzione. Infatti la quantità prodotta deve essere moltiplicata o per il prezzo di vendita o per i
costi di produzione, ottenendo così il valore della produzione lorda
(Bruttoproduktionswert). Dal momento però che si utilizza il valore
come strumento di misurazione della produzione si riscontrano problemi di misurazione (wertspezifische Meßprobleme)78. Per esempio,
se si misura il valore il valore della produzione in base al prezzo di
vendita, un aumento del valore della produzione di un esercizio rispetto all’esercizio precedente potrebbe essere ricondotto ad un semplice
aumento del prezzo finale, ad un aumento del prezzo finale dovuto a
miglioramenti qualitativi del prodotto, oppure ad un aumento della
quantità prodotta. Per tale ragione, si dovrebbero eliminare le variazioni dovute all’aumento del prezzo finale per ottenere il valore reale
della produzione realizzata. Weber denomina tali problemi di misura77
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 40-43.
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 41: “Sobald man nun allerdings Werte
als Maßgröße verwendet, treten Probleme auf, die bei der Verwendung von Mengen
als Maßgrößen unbekannt sind”.
78
109
zione preisspezifische Meßprobleme, ossia problemi di misurazione
relativi al prezzo79. Invece, se per esempio, il valore dela produzione
viene misurato in base ai costi di produzione, l’aumento del valore
della produzione potrebbe dipendere da un semplice aumento dei costi
dei fattori produttivi, da un aumento dei costi dei fattori produttivi dovuto ad un miglioramento qualitativo dei fattori stessi, dalla diminuzione dell’efficienza produttiva, oppure da un aumento della quantità
prodotta. Per questa ragione si dovrebbero eliminare le variazioni dovute al semplice aumento dei prezzi dei fattori produttivi sia quelle
dovute alla variazione dell’efficienza produttiva. Weber denomina tali
problemi di misurazione kostenspezifische Meßprobleme80.
Nel caso in cui, invece, cambiasse la quota di partecipazione di
un’impresa monoprodotto ai diversi stadi della produzione, non è più
sufficiente calcolare il valore della produzione lorda. Infatti, una variazione della quota di partecipazione agli stadi della produzione non
necessariamente comporta una variazione del prezzo finale oppure una
variazione dei costi di produzione. La variazione della quota di partecipazione dà invece luogo ad un cambiamento della struttura dei costi.
In tal modo, un aumento della quota di partecipazione agli stadi della
produzione comporterebbe una riduzione dei costi sostenuti per i beni
ed i servizi apportati da economie terze e contestualmente un aumento
dei costi da sostenere per la produzione in economia81. Per misurare la
produzione di un’impresa è necessario pertanto calcolare il valore
della produzione netta. Ciò significa che si devono detrarre i costi sostenuti per i beni ed i servizi apportati da economie terze
(Vorleistungen) dal valore della produzione lorda, ottenendo così il
valore della produzione netta (Nettoproduktionswert) che rappresenta
uno strumento appropriato di misurazione della produzione in caso di
variazione della quota di partecipazione ai diversi stadi della produzione da parte di un’impresa monoprodotto. Se le Vorleistungen sono
costituite dai costi sostenuti per le materie prime ed ausiliarie, il valore
della produzione netta sarebbe uguale al valore aggiunto lordo propo-
79
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 41.
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 42.
81
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 42.
80
110
sto (Bruttowertschöpfung) da Pohmer82. Il valore della produzione
netta può essere calcolato soltanto mediante il calcolo del valore aggiunto e basandosi in particolare sulle risultanze della contabilità industriale.
Infine, se si vuole misurare la produzione di un’impresa pluriprodotto, l’unica soluzione possibile è quella di misurarla in base al valore della produzione. In conseguenza delle considerazioni finora svolte
si deve utilizzare il valore della produzione lorda oppure il valore della
produzione netta. Il valore della produzione lorda è sufficiente fino a
quando varia soltanto il livello qualitativo dei prodotti, se però cambiano le quote di partecipazione agli stadi della produzione dei diversi
prodotti, allora è necessario misurare la produzione in base al valore
della produzione netta. Ciò significa che è indispensabile effettuare il
calcolo del valore aggiunto83.
La misurazione della capacità produttiva ottimale e della capacità
produttiva effettiva di un’impresa industriale può essere effettuata in
base a caratteristiche orientate all’input, ossia ai fattori produttivi, oppure in base a caratteristiche orientate all’output, il risultato della produzione. Le caratteristiche orientate all’output sono rappresentate dalla
quantità prodotta, dal valore della produzione lorda e dal valore della
produzione netta (oppure valore aggiunto lordo) che viene determinato
con l’aiuto dei calcolo dei valore aggiunto. Come si ricorderà, la
quantità prodotta può essere utilizzata soltanto per un’impresa industriale monoprodotto con un livello qualitativo dei prodotto costante e
con una costante partecipazione alla produzione. In una tale impresa la
capacità ottimale della produzione viene rappresentata dalla quantità
massima di prodotti ottenibili, mentre la capacità effettiva della produzione viene rappresentata dalla quantità effettivamente prodotta84.
Si deve invece utilizzare il valore della produzione lorda nel caso in
cui l’oggetto di analisi sia un’impresa industriale monoprodotto con
una quota costante di partecipazione alla produzione, ma con delle variazioni nel livello qualitativo dei prodotto, oppure nel caso di
un’impresa industriale pluriprodotto indipendentemente dalla varia82
POHMER, KROENLEIN, op. cit., Stuttgart, 1970, § 1913 e segg.
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 42-43.
84
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 42-43.
83
111
zione del livello qualitativo dei prodotto, ma con una costante quota di
partecipazione al processo produttivo. Utilizzando il valore della produzione lorda per misurare la capacità della produzione ottimale ed effettiva, devono essere eliminate le variazioni di valore dovute al
semplice aumento del prezzo finale, nel caso in cui il valore della produzione lorda sia stato calcolato in base ai prezzi finali, oppure le variazioni dovute al semplice aumento dei prezzi dei fattori produttivi,
nel caso in cui il valore della produzione lorda sia stato calcolato in
base ai costi della produzione, così come devono essere eliminate anche le variazioni del valore dovute al cambiamento dell’efficienza
della produzione. La capacità ottimale della produzione sarebbe allora
rappresentata dal valore massimo reale (depurato) della produzione
lorda, mentre la capacità effettiva della produzione dal valore effettivo
reale (depurato) della produzione lorda85.
Invece il valore della produzione netta (il valore aggiunto lordo)
deve essere determinato nel caso in cui cambino le quote di partecipazione al processo produttivo sia di un’impresa industriale monoprodotto sia di un’impresa industriale pluriprodotto. Anche in questo caso
devono essere eliminate le variazioni del valore dovute al semplice
aumento del prezzo finale, nel caso in cui il valore della produzione
netta sia stato calcolato in base ai prezzi finali, oppure le variazioni
dovute al semplice aumento dei prezzi dei fattori produttivi, nel caso
in cui il valore della produzione netta sia stato calcolato in base ai
costi della produzione, così come devono essere eliminate anche le
variazioni di valore dovute al cambiamento dell’efficienza della produzione. La capacità ottimale della produzione sarebbe così rappresentata dal valore massimo reale (depurato) della produzione netta (dal
valore aggiunto massimo reale), mentre la capacità effettiva della produzione dal valore effettivo reale (depurato) della produzione netta
(dal valore aggiunto effettivo reale). Le caratteristiche orientate
all’input invece sono rappresentate dal consumo delle materie prime
ed ausiliarie in base alla quantità oppure in base al valore, dalle ore
macchine, dalle.quote di ammortamento degli impianti produttivi,
dalle ore di lavoro, dai salari e dagli stipendi. Alcune delle caratteristi85
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 43.
112
che sopraindicate sono espresse in termini di quantità, altri invece in
termini di valore. Le caratteristiche espresse in termini di quantità sono soltanto utilizzabili fino a quando viene consumato un unico fattore
produttivo. Di conseguenza la capacità ottimale della produzione e la
capacità effettiva della produzione possono essere rappresentate rispettivamente dal consumo massimo oppure effettivo della materia
prima, dal numero massimo oppure effettivo delle ore macchine e dal
numero massimo oppure effettivo delle ore di lavoro.
Se invece nel processo produttivo vengono impiegati una pluralità
di fattori produttivi, è necessario utilizzare le caratteristiche espresse
in termini di valore. Di conseguenza, la capacità ottimale della produzione e la capacità effettiva della produzione possono essere rappresentate rispettivamente dal consumo massimo oppure effettivo delle
materie prime ed ausiliarie, dalle quote massime oppure effettive di
ammortamento e dai salari e stipendi massimi oppure effettivi. Tuttavia, è impossibile differenziare tra le effettive quote di ammortamento
e le massime quote di ammortamento se le quote di ammortamento si
calcolano in base alla durata economica del bene ad impiego pluriennale e non invece in base alla possibilità di utilizzo (Nutzungsmöglichkeit) e in base all’effettivo utilizzo (Nutzungsabhängigkeit)86. È
quindi necessario orientarsi all’output della produzione per determinare le rispettive quote di ammortamento. Ne consegue che sarebbe più
semplice misurare la capacità ottimale della produzione e la capacità
effettiva della produzione orientandosi direttamente sull’output della
produzione.
Similmente, è impossibile differenziare tra il massimo salario e stipendio e l’effettivo salario e stipendio. Infatti tale differenziazione sarà soltanto possibile nel momento in cui il salario e lo stipendio verranno determinati in base alla prestazione (Leistungesabhängigkeit).
Anche in questo caso, è necessario orientarsi all’output della produzione per determinare i salari e gli stipendi in base alle prestazioni
erogate. Ne consegue che occorre orientarsi direttamente all’output
della produzione per misurare la capacità massima e la capacità effettiva della produzione. Ulteriormente, sia le caratteristiche orientate
86
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 45.
113
all’input espresse in termini di quantità che quelle espresse in termini
di valore sarebbero in grado di misurare la capacità massima e la capacità effettiva della produzione soltanto rispetto ad un unico fattore
produttivo. Una tale misurazione potrebbe essere sufficiente soltanto
nel caso in cui la misurazione che tiene conto di un fattore produttivo
risultasse rappresentativa di tutte le altre misurazioni effettuate avuto
riguardo agli altri fattori impiegati nel processo produttivo87.
In conseguenza alle considerazioni fatte risulta che è più semplice
misurare la capacità massima della produzione e la capacità effettiva
della produzione orientandosi direttamente all’output della produzione
stessa.
4.2 Nella dimensione della stessa
La dimensione di un’impresa industriale può essere espressa attraverso la sua capacità produttiva. Di conseguenza per misurare
l’aumento o la diminuzione della dimensione di un’impresa industriale
si può fare riferimento alle caratteristiche orientate all’input, cioè
orientate ai fattori produttivi, e alle caratteristiche orientate all’output,
cioè orientate al risultato della produzione. In considerazione della loro applicazione generalmente valgono le osservazioni fatte nel paragrafo precedente. La dimensione di un’impresa industriale può quindi
essere rappresentata dalla quantità massima di produzione. È un parametro facilmente calcolabile che tuttavia viene raramente utilizzato
anche perché permette di evidenziare soltanto la crescita della dimensione orizzontale e non anche la crescita della dimensione verticale
dell’impresa. Per dimensione orizzontale si intende la numerosità delle
combinazioni economiche per prodotto e per mercato. In questo ambito si usa, come noto, anche correntemente il termine, “diversificazione
dei prodotti e dei mercati”. Per dimensione verticale si intende invece
l’ampiezza delle fasi del processo di produzione economica svolte
dall’impresa. In proposito si usa anche il termine di “integrazione ver87
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 45: “Auf eine solche Größe könnte man
sich lediglich dann beschränken, wenn sie rapräsentativ für die anderen Größen
wäre, d.h. wenn der Einsatz des abgebildeten Faktors mit dem Einsatz der anderen
Faktoren jeweils fest gekoppelt wäre …”.
114
ticale” che può avvenire a monte oppure a valle. In molti casi viene
utilizzato il valore massimo reale della produzione lorda (maximaler
realer Bruttoproduktionswert). Tale valore permette di evidenziare sia
la crescita della dimensione orizzontale sia la crescita della dimensione verticale, dato che tiene anche conto delle variazioni del livello
qualitativo del prodotto.
Misurando la dimensione di un’impresa industriale in base alle caratteristiche orientate all’input si potrebbe utilizzare in luogo del valore massimo reale della produzione lorda il valore massimo dei consumo delle materie prime ed ausiliarie, oppure il valore massimo delle
quote di ammortamento o dei salari e degli stipendi. Per definire sia la
dimensione orizzontale che la dimensione verticale di un’impresa industriale, tenendo conto di tutti gli aspetti come per esempio una variazione qualitativa dei prodotto oppure una variazione della quota di
partecipazione al processo produttivo, è comunque necessario determinare il valore massimo e reale della produzione netta (il valore aggiunto massimo reale lordo) attraverso il calcolo del valore aggiunto.
Al contrario, misurando la dimensione sia orizzontale che verticale di
un’impresa industriale in base alle caratteristiche orientate all’input si
potrebbe utilizzare in luogo del valore massimo reale della produzione
netta (il valore aggiunto massimo reale lordo) il valore massimo delle
quote di ammortamento oppure il valore massimo dei salari e stipendi.
Rimangono valide le osservazioni fatte relativamente all’uso di caratteristiche orientate all’input: è più semplice ricorrere direttamente alle
caratteristiche orientate all’output88.
Come detto in precedenza, la dimensione dell’impresa si può distinguere in una dimensione orizzontale ed in dimensione verticale.
Entrambi i fenomeni non sono agevolmente misurabili quantitativamente. Infatti, secondo Weber è impossibile dire se la dimensione
orizzontale di un’impresa in un determinato momento è più rilevante
rispetto a quella verticale; soltanto infatti attraverso una comparazione
nel tempo oppure nello spazio è possibile considerare separatamente
tali due dimensioni. In ogni caso se si vuole considerare la dimensione
verticale è necessario calcolare il parametro del valore della produzio88
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 46-47.
115
ne netta (il valore aggiunto lordo) attraverso il calcolo del valore aggiunto, dato che soltanto tale grandezza evidenzia la prestazione propria dell’impresa89. La dimensione di un’impresa può essere misurata
anche facendo riferimento ad altri parametri. Così per esempio Weber
indica il valore dell’insieme delle immobilizzazioni materiali ed immateriali, oppure il numero dei lavoratori. Queste grandezze non sono
valori flusso ma valori fondo. Di conseguenza non è necessario differenziare i valori in valori massimi ed in valori effettivi90. Generalmente
la dimensione di un’impresa industriale può essere misurata utilizzando diverse grandezze, come per esempio il numero dei lavoratori, i
salari e gli stipendi, il patrimonio, il fatturato, il valore aggiunto oppure l’utile d’esercizio. La preferenza all’uno o all’altro di tali parametri
è funzionale allo scopo perseguito dalla misurazione della dimensione.
Weber critica fortemente l’utilizzo del fatturato come strumento di misurazione della dimensione di un’impresa dato che sostiene che offre
un’indicazione poco affidabile della stessa, benché sia di facile determinazione. Ne conseguirebbe una preferenza per il valore aggiunto91.
Le considerazioni fatte finora valgono anche avuto riguardo alla
misurazione della dimensione di settori economici. Ciò si evince in
particolare modo nel caso in cui si paragonano due settori economici
“contigui” come, per esempio, l’industria tessile e l’industria
dell’abbigliamento. È impossibile infatti comparare le due industrie
con riferimento al fatturato o alla produzione lorda, dato che nel valore
della produzione lorda dell’impresa dell’abbigliamento è compreso
parte del valore della produzione dell’impresa tessile. Sole se si sottraggono le Vorleistungen (beni e servizi apportati da terze economie)
si ottiene uno strumento valido per comparare i singoli settori economici92.
89
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 47.
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 48.
91
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 40: “Am besten geeignet wäre freilich die
Wertschöpfung …”.
92
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 51.
90
116
4.3 Quale indice di economicità e produttività
L’economicità viene espressa attraverso il rapporto tra una grandezza orientata all’input ed una grandezza orientata all’output.
L’economicità può essere distinta in un’economicità generale ed in
un’economicità parziale. L’economicità generale è costituita dal rapporto tra la somma di tutti i fattori produttivi impiegati (l’input complessivo) il risultato complessivo (l’output complessivo).
L’economicità parziale è costituita dal rapporto tra l’input complessivo ed il risultato ottenuto, oppure dal rapporto tra i fattori produttivi
impiegati e l’output complessivo, oppure ancora dal rapporto tra i fattori produttivi impiegati ed il risultato ottenuto. Nell’ambito del calcolo del valore aggiunto assume particolare importanza la produttività
dei lavoro, denominata da Lehmann Arbeitsergiebigkeit, e la produttività del capitale, Kapitalergiebigkeit93.
Lehmann definisce l’Arbeitsergiebigkeit come il rapporto tra il valore aggiunto e la componente lavoro. La componente lavoro può essere espressa dal numero dei lavoratori, dalle ore di lavoro oppure dai
salari e stipendi. Sia Lehmann che Weber osservano che utilizzando il
numero dei lavoratori oppure le ore di lavoro per deeterminare la produttività del lavoro si ottiene un risultato poco espressivo, dato che sia
il numero dei lavoratori sia le ore di lavoro non tengono conto della
struttura del personale presente nelle diverse imprese. L’unica possibilità per ottenere un risultato espressivo è l’utilizzo dei salari e stipendi come componente lavoro, dato che i salari e gli stipendi rispecchiano sia le qualità differenti richieste dalle varie mansioni sia la diversa l’intensità tra le varie prestazioni. Quindi la produttività dei lavoro viene determinata dal seguente rapporto:
produttività del lavoro = valore aggiunto / (salari + stipendi)
La produttività del capitale viene definita da Lehmann come il rapporto tra il valore aggiunto e il capitale. Lehmann specifica che il
termine capitale indica in questa sede l’insieme delle immobilizzazioni
93
LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 25 e segg.
117
utilizzate per la produzione (Produktionswirtschaftliche). Di conseguenza Lehmann esclude tutte le immobilizzazioni finanziarie94. Weber invece specifica che oltre alle immobilizzazioni si possono utilizzare anche le ore macchina oppure le quote di ammortamento. Infatti
secondo Weber utilizzando le immobilizzazioni per determinare la
produttività del capitale non viene evidenziato l’utilizzo effettivo delle
immobilizzazioni che invece viene evidenziato nel caso si utilizzassero le ore macchina oppure le quote di ammortamento, calcolate in base
all’effettivo utilizzo delle immobilizzazioni95.
La produttività dei capitale viene determinata pertanto dal seguente rapporto:
produttività del capitale = valore aggiunto / capitale
Lehmann definisce i rapporti sopra evidenziati “valore aggiunto
relativo” (relative Wertschöpfung), dato che entrambi mettono in rapporto il valore aggiunto prodotto all’interno di un’impresa con due i
due fattori produttivi fondamentali: lavoro e capitale.
4.4 Valore aggiunto e distribuzione del reddito
Già Nicklisch aveva considerato il valore aggiunto o, più precisamente il Betriebsertrag, la grandezza maggiormente rappresentativa
del reddito da distribuire tra i lavoratori ed i proprietari. Il Betriebsertrag è costituito dai salari e dagli stipendi e dalla remunerazione del
capitale proprio. La ragione per cui Nicklisch limita la distribuzione
del reddito soltanto alla classe lavorativa e alla classe proprietaria e
non include nella distribuzione anche la classe dei portatori di capitale
di credito non trova spiegazione. I lavoratori e i proprietari che lavorano nell’impresa costituiscono l’unità impresa (Betreibsgemeinschaft)96.
Il Betriebsertrag si ottiene detraendo dai ricavi i costi per le materie
prime ed ausiliarie, le quote di ammortamento, i beni ed i servizi ap94
LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 51 e segg.
WEBER, op. cit., pagg. 55-57.
96
NICKLISCH, op. cit., Stuttgart, 1929, pag. 298.
95
118
portati da economie terze e gli interessi passivi. Dal Betriebsertrag si
detraggono poi i salari e gli stipendi e l’Unternehmerlohn cioè un salario figurativo che pertiene ai proprietari per la forza lavoro prestata.
Il residuo verrà quindi distribuito sia ai proprietari per la remunerazione dei capitale proprio sia alla classe lavorativa in base alla loro produttività. Nicklisch, tuttavia, non spiega come si dovrebbe misurare la
produttività del lavoro.
Lehmann invece non considera il valore aggiunto una grandezza da
distribuire tra la classe dei lavoratori e la classe proprietaria, ma sostiene che potrebbe essere utilizzata come base per determinare una
politica di partecipazione agli utili di entrambe le classi. Anche
Lehmann, tuttavia, non spiega precisamente come si dovrebbe determinare la giusta proporzione della partecipazione agli utili. L’unica
considerazione che fa, è quella di correlare positivamente tale proporzione alla produttività dei lavoro (Arbeitsergiebigkeit)97.
Quanto sopra secondo Weber dimostra che non è il valore aggiunto
(come è stato al contrario proposto da Nicklisch) la grandezza da considerare nel caso di una partecipazione al risultato economico di
un’impresa, ma che si deve considerare soltanto l’utile. Nella migliore
delle ipotesi il valore aggiunto potrebbe essere utilizzato per determinare le congrue proporzioni di distribuzione, come già aveva proposto
Lehmann. Secondo Weber la politica della partecipazione al risultato
si dovrebbe basare unicamente sull’utile d’esercizio, ed in particolare
sulla somma dei dividendi distribuiti per remunerare il capitale proprio98, favorendo in tal modo una forma di partecipazione dei prestatori
di lavoro al capitale di rischio99. Indipendentemente dall’utilità del valore aggiunto come strumento di determinazione della politica di partecipazione agli utili, il calcolo del valore aggiunto è generalmente
97
LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pagg. 90-99.
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 60: “orientiert man sich naheliegenderweise an dem für Eigentümer ausgeschütteten Gewinn, also an der Dividendsumme”.
99
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 61: “Am besten erscheint es freilich, eine
Ergebnisbeteiligung über eine Eigenkapitalbeteiligung der Arbeitnehmer, also bei
einer Aktiengesellschaft durch die Ausgabe von Belegschaftsaktien, herbeizuführen”.
98
119
utilizzato per rappresentare la distribuzione del reddito prodotto
dall’impresa. Questo calcolo dei valore aggiunto generalmente si basa
sul rendiconto reddituale e quindi utilizzando quello che in precedenza
è stato denominato metodo della contabilità generale. Se invece il calcolo del valore aggiunto è stato fatto in base alla contabilità analitica
e, di conseguenza, si tiene conto solo della gestione caratteristica, allora deve essere integrato con la gestione accessoria100.
Per rappresentare la distribuzione dei redditi si aggiunge al procedimento della sottrazione, che viene anche denominato calcolo della
creazione dei valore aggiunto (Entstehungsrechnung), il procedimento
additivo, che viene anche denominato calcolo della distribuzione del
valore aggiunto (Verteilungsrechnung). Questa distinzione dei due
procedimenti potrebbe portare a ritenere che i due procedimenti siano
dei metodi differenti, di cui il primo determina il valore aggiunto ed il
secondo lo ripartisce. Questo però non corrisponde alla realtà: i due
procedimenti – come si è visto – sono complementari.
Nell’ambito della distribuzione del valore aggiunto le parti interessati sono le seguenti:
– lo Stato, la cui parte comprende le imposte;
– il personale, la cui parte comprende i salari e stipendi ed i contributi
sociali;
– il capitale di terzi, la cui remunerazione e rappresentata dagli interessi passivi
– il capitale proprio, la cui remunerazione e rappresentata dai dividendi;
– l’impresa stessa, la cui parte è rappresentata dagli accantonamenti
fatti ai diversi fondi di accantonamento ed alle riserve.
In ordine a quanto sopra, Weber101 osserva quanto segue. In primo
luogo riprende uno studio fatto da Albach102 che distingue la distribuzione del valore aggiunto in distribuzione primaria ed in distribuzione
secondaria. La distribuzione primaria esclude lo Stato dalle parti
aventi diritto e quindi le imposte non sono rappresentate come una
100
WEDELL, op. cit., 1976, pagg. 212 e segg.
WEBER, op. cit., Suttgart, 1980, pagg. 63-64.
102
ALBACH, Die Verteilung des Unternehmenseinkommen, in: “Zeitschrift für
Betriebswirtschaft”, 1978, pagg. 626-631.
101
120
quota dei valore aggiunto a sé stante. Infatti gli altri elementi dei valore aggiunto (la parte spettante al personale, la parte spettante ai finanziatori) includono già le rispettive imposte. Quindi nella distribuzione
primaria sono esposti gli importi lordi che contengono ancora le rispettive imposte dovute allo Stato. La distribuzione secondaria invece
considera lo Stato parte avente diritto e quindi viene evidenziata
esplicitamente. Ne segue che gli importi di tutte le altre parti sono
rappresentati al netto delle imposte. In secondo luogo Weber sostiene
che non è corretto che la parte formata dagli accantonamenti venga
idealmente distribuita all’impresa. Infatti secondo Weber gli accantonamenti farebbero parte della quota da distribuirsi ai titolari dei capitale proprio, dato che accantonare comporta ridurre gli utili ripartibili ai
portatori del capitale di rischio.
4.4.1 Valore aggiunto e determinazione delle imposte
In Germania fino al 1967 l’imposta sulle entrate (Umsatzsteuer)
veniva calcolata in base al fatturato lordo (Bruttoumsatz). Dopo il
1967 il sistema fiscale tedesco si è adeguato agli altri sistemi fiscali
europei attraverso l’introduzione dell’imposta sul valore aggiunto
(Mehrwertsteuer).
Weber103 osserva che l’imposta sulle entrate si può basare sia sul
fatturato lordo di vendita (Bruttoverkaufsumsatz) sia sul fatturato netto
(Nettoumsatz) che è uguale alla differenza tra il fatturato delle vendite
(Verkaufsumsatz) ed il fatturato degli acquisti (Einkaufsumsatz). Il
fatturato lordo è di facile determinazione mentre il fatturato netto è più
difficile da determinare sia per l’Erario sia per i contribuenti, dato che
esso viene coincide con il calcolo del valore aggiunto. Quindi dal fatturato lordo si devono detrarre i beni ed i servizi apportati da economie terze (Vorleistungen) che sono uguali al fatturato degli acquisti.
Weber critica l’utilizzo del fatturato lordo quale grandezza base per
determinare l’imposta sulle entrate, dato che avvantaggia le imprese di
dimensioni verticali maggiori rispetto ad imprese di dimensioni verticali minori. Ne segue imposta sulle entrate calcolata in base al fatturato lordo influenza in modo negativo la capacità concorrenziale di
103
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 66-70.
121
un’impresa. Secondo Weber è pertanto opportuno utilizzare il fatturato
netto, anche se più difficile da determinare104.
Infatti nel 1967 in Germania si è passati dal sistema dell’imposta
sulle entrate (Umsatzsteuer) che si basava sul fatturato lordo ad un sistema simile a quello dell’imposta sulle entrate che si basa però sul
valore aggiunto. Per motivi di applicazione pratica il legislatore tedesco non ha stabilito l’obbligo di calcolare il valore aggiunto come differenza tra Verkaufsumsatz e Vorleistungen (Einkaufsumsatz), ma ha
preferito continuare con il sistema dell’imposta sulle entrate che si basa sul fatturato, con la possibilità di detrarre le ritenute d’acconto
(Vorsteuerabzug), ottenendo il medesimo risultato105.
4.4.2 Valore aggiunto e sovvenzioni pubbliche
Per garantire una distribuzione equa e corretta delle sovvenzioni
economiche pubbliche è necessario valutare le singole imprese potenziali beneficiarie delle stesse non solo in base a criteri aziendali, ma
anche in base a criteri economico generali. Si devono quindi considerare una pluralità di aspetti come, ad esempio, la possibilità di sviluppo, la possibilità di rimanere sul mercato, l’importanza dell’impresa
quale fonte di lavoro, l’importanza dell’impresa come contribuente, la
possibilità di sinergie con imprese già presenti sul territorio, ecc. A
ciascuno di questi aspetti corrisponde un parametro; per esempio al fine di misurare l’importanza dell’impresa come datore di lavoro si possono utilizzare il numero dei dipendenti oppure la somma dei salari
pagati dall’impresa. Taluni dei parametri che possono essere utilizzati
fanno variamente riferimento al valore aggiunto prodotto dall’impresa;
104
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 66: “Daher ist der Nettoumsatz wegen
seiner Wettbewerbsneutralität dem Bruttoeinsatz als Bemessungsgrundlage vorzuziehen”.
105
WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 6: “der Gesetzgeber hat nun jedoch
nicht eine solche Wertschöpfungsrechnung vorgeschrieben, sondern aus praktischen
Gründen das System der Besteuerung des Bruttoumsatzes im Sinne der Verkaufsumsätze mit der Möglichkeit des Vorsteuerabzugs gewählt”. Weber propone inoltre
(pag. 69) di utilizzare il valore aggiunto come misura dell’imponibile per la Gewerbeertragssteuer (imposta sul reddito d’impresa) che per la Lohnsummesteuer
(imposta sui salari).
122
ne consegue che il valore aggiunto può essere ritenuto una grandezza
rilevante per determinare quali imprese possono beneficiare dei provvedimenti agevolativi e quali no.
Un esempio dell’importanza del calcolo del valore aggiunto
nell’ambito delle politiche di sovvenzione economica è stato il Berlinförderungsgesetz (BerlinFG), provvedimento con cui il legislatore
della Repubblica Federale Tedesca ha voluto contribuire allo sviluppo
dell’industria di Berlino Ovest. Tale legge prevedeva agevolazioni fiscali in base alla cosiddetta Berliner Wertschöpfung (valore aggiunto
di Berlino) prodotta dalle imprese site sul territorio. Per Berliner
Wertschöpfung si intendeva il valore aggiunto calcolato come differenza tra il fatturato e le Vorleistungen. Tra le particolarità, i costi
delle materie prime e ausiliarie apportate da imprese terze situate
anch’esse nel territorio di Berlino Ovest venivano comprese nel valore
aggiunto a valori inferiori a quelli negoziati. Questo comportava che le
imprese che si approvvigionavano presso fornitori di Berlino Ovest
erano ulteriormente avvantaggiate, dato che l’inserimento di tali costi
a valori inferiori provocava un incremento del valore aggiunto prodotto.
123
CAPITOLO IV
VALORE AGGIUNTO
E RENDICONTO “SOCIALE”
SOMMARIO: 1. Significato di un rendiconto non soltanto economico. –
2. Motivi per successive indagini.
1. Significato di un rendiconto non soltanto economico
In questo capitolo si intende delineare in via sintetica la problematica del bilancio1 sociale d’impresa, avendo principalmente riguardo al
principio secondo il quale l’azienda svolge un ruolo, sociale appunto,
all’interno della ricerca delle migliori condizioni di sviluppo economico indispensabili per la sua perdurabilità nel tempo. Tutto ciò unitamente a quanto già definito nelle pagine precedenti, dove all’impresa
viene riconosciuto il ruolo di produttore/distributore di ricchezza e la
sua “più completa” performance di tipo economico trova un adeguato
apprezzamento nel valore aggiunto che essa produce.
Ci si deve allora anzitutto interrogare sulle cause che hanno prodotto detto mutamento in ordine ai possibili obiettivi perseguibili
dall’azienda, istituto “destinato a perdurare, che vive vita interrotta,
ricreandosi incessantemente nei suoi elementi costitutivi, sempre trascendendo gli interessi attuali degli individui e dei gruppi umani che
concorrono al suo svolgimento” (Zappa). Almeno due sembrano essere i fattori individuabili:
– da un lato gli effetti prodotti dalla progressiva crescita delle dimensioni delle aziende intese nel senso di rilevante entità di capita1
Con questo termine (e con il sinonimo “rendiconto sociale”) non si intende
tanto fare riferimento a un documento che accoglie dati e indicatori bilancianti, così
come richiamato dalla tecnica contabile, quanto piuttosto evidenziare la natura di un
documento di sintesi da redigere periodicamente, formato in base a regole e procedure che devono essere rispettate nella redazione dello stesso.
125
le investito nell’attività corrente, di elevato volume di produzione/vendita, di valore aggiunto prodotto, di numero di addetti ma
anche, e forse soprattutto, sempre più in termini di complessità organizzativa e gestionale, di rischi assunti dal soggetto economico, e
così via. Se sono ovvi i benefici conseguenti allo sviluppo economico (ad esempio in termini di infrastrutture a disposizione della
collettività) lo sono pure le conseguenze di mutate condizioni
d’ambiente (sfavorevoli andamenti economici complessivi; congiuntura economica “al ribasso”; depressione dei consumi e degli
investimenti) e d’impresa (crisi finanziaria, crisi reddituale, crisi
patrimoniale) in termini di livello di occupazione – e più in generale – in termini di benessere sociale;
– dall’altro l’agire congiunto dell’intermediazione finanziaria (a tal
proposito si parla sempre più spesso di “finanziarizzazione
dell’economia”) e del processo di scissione tra proprietà e controllo, tale per cui il soggetto economico d’azienda si trova a gestire a
vario titolo ingenti quantità di pubblico risparmio.
Il richiamo a questi due elementi fa emergere quindi in tutta la sua
importanza la responsabilità etica dell’impresa o meglio l’esistenza di
un problema di “giustizia economica” a livello di singola impresa.
Non è detto però che la singola entità economica decida di rispondere
in maniera adeguata alle “attese di socialità” manifestate dall’ambiente
economico circostante, dai partecipanti al capitale di rischio ed in generale dagli stakeholders (ossia i detentori di interesse nei confronti
dell’impresa stessa). Quest’ultima affermazione merita forse qualche
chiarimento, in quanto parlare di ruolo sociale dell’impresa implica
l’accettazione di considerare l’azienda un sistema aperto al centro di
interessi di una varietà di interlocutori: azionisti, dipendenti, clienti,
fornitori, enti finanziatori, amministrazione finanziaria, forze sindacali, e così via.
Ma un flusso di informazioni da e verso l’impresa non è forse un
primo strumento di coesione sociale? una attesa di socialità da soddisfare nel miglior modo possibile? Più in particolare si vuole affermare
che anche non in presenza di public companies aventi azioni o titoli di
debito (obbligazioni) trattati in mercati regolamentati, per gli interessi
esterni diventa indispensabile avere a disposizione un flusso periodico,
126
standardizzato, neutrale, non meramente consuntivo di informazioni
attraverso il quale indagare lo “stato di salute” dell’impresa: attitudine
all’economica perdurabilità sul mercato; condizioni di gestione; piani
di sviluppo ed investimento; prospettive economiche e finanziarie; livello di prezzi, costi, efficienza; etc.
Tralasciando di entrare nel merito di un’analisi approfondita delle
attese di conoscenza espresse dalle classi di interesse interne
all’azienda (gruppo di controllo; portatori di capitale di maggioranza e
di minoranza; clienti e fornitori; parti sociali; etc) né tantomeno tentando di riassumere la tematica dell’informazione esterna d’impresa, la
rinnovata disciplina sui conti annuali e consolidati delle imprese, pur
in presenza di un innegabile miglioramento dell’informativa “di bilancio” in termini di chiarezza espositiva ed analiticità degli elementi
patrimoniali e reddituali, può non sempre essere lo strumento – e forse
tecnicamente non lo potrà mai essere – atto a rispondere alla totalità
delle esigenze di informazione sociale avanzate da più parti (nelle discipline economico-aziendali e tra gli operatori aziendali sono peraltro
noti i “limiti” connaturati allo stesso).
Sarebbe sbagliato però anche ritenere che, pur esistendo nel sistema
di valori di bilancio dati “sociali” (ad esempio l’informazione contenuta nella Nota integrativa relativa al numero medio dei dipendenti ripartito per categoria), quest’ultimo abbia tra i suoi scopi anche la determinazione delle conseguenze sociali dell’attività d’impresa. Infatti
ciò non sarebbe possibile in quanto da un lato esistono le esigenze di
determinazione delle grandezze “reddito” e “patrimonio” mentre
dall’altro vi sono le diverse e variegate esigenze conoscitive degli stakeholders circa l’impatto sociale dell’attività dell’impresa.
Ecco allora che, a fronte dei limiti dell’informazione sociale contenuta nel bilancio di esercizio, è stato individuato (a partire dagli anni
’70) nel bilancio sociale d’impresa lo strumento, autonomo e separato
dal bilancio di esercizio, con il quale dare evidenza alle scelte e valutazioni del soggetto economico in ordine alla utilizzazione e distribuzione delle risorse disponibili. Più in particolare – tenendo conto della
necessità di differenziare questo tipo di documento in relazione alle
diverse tipologie di impresa – è possibile illustrare brevemente alcuni
scopi con esso perseguibili:
127
– esprimere la valutazione del soggetto economico del grado di efficacia delle iniziative e delle attività sociali intraprese dall’azienda;
– illustrare le strategie sociali verso gli stakeholders, soprattutto in
un’ottica di miglioramento delle pubbliche relazioni (numerosi
esempi in tal senso si hanno in quelle imprese nordamericane e nei
Paesi europei anglosassoni che hanno una forte incidenza
sull’ambiente naturale);
– essere strumento di miglioramento delle relazioni industriali e/o di
concertazione (è il caso della legislazione francese);
– illustrazione della politica di dividendo adottata, ovverosia le modalità di ripartizione della nuova ricchezza prodotta (valore aggiunto aziendale);
– essere strumento di dialogo con uno specifico interlocutore
(comunità locale, personale dipendente,...) anche a scopo di
“difesa” (anche preventiva) rispetto a critiche od accuse di enti ed
associazioni;
– evidenziazione dell’entità dei diversi componenti del “budget sociale aziendale” suddivisi per singola area di intervento (“piani sociali”) e quindi del contributo al benessere della collettività con la
quale l’azienda entra quotidianamente in contatto;
– permettere una valutazione globale dell’impresa attraverso considerazioni qualitative dell’intera attività aziendale.
L’obiettivo essenziale del bilancio sociale può essere pertanto sintetizzato in: “fornire informazioni che dal punto di vista esterno permettano di giudicare sui risultati sociali dell’impresa e dal punto di
vista interno di fornire le informazioni necessarie alla definizione
delle strategie sociali dell’impresa al fine di assumere decisioni, controllarle e valutarle”2.
È evidente poi che le valutazioni contenute in questo tipo di documento non sarebbero esclusivamente di tipo “economico”; al contrario
esse dovrebbero essere di tipo “non market oriented” con le quali è
possibile il passaggio da una nozione di “costo/ricavo di competenza
dell’esercizio” ad una di “beneficio conseguito dalla collettività in seguito al sostenimento di costi da parte dell’azienda”. Questa precisa2
REY, Developpements récent de la comptabilité, Paris, 1979, pag. 315, citato da
MATACENA, Impresa e ambiente – Il “bilancio sociale”, Bologna, 1984, pag. 111.
128
zione chiarisce il fatto che il rendiconto sociale non è un bilancio in
senso tecnico, ovverosia un documento costituito da due prospetti numerico/quantitativi a struttura obbligatoria (Stato patrimoniale e Conto
economico) e da una Nota integrativa ad illustrazione ed integrazione
dei primi due dal contenuto minimo. Parimenti non può e non deve
esistere un corpus di disposizioni legali (Codice civile), di norme di
carattere fiscale e di principi contabili che vincoli minuziosamente la
sua redazione.
Appare pertanto chiaro, da un punto di vista economico-aziendale,
che di bilancio il documento in esame ha solamente il nome. Difficilmente infatti si potrebbe analizzare un “attivo sociale” finanziato da
capitale di terzi e da capitale proprio ed utilizzare indicatori di bilancio
per valutare la congruità del saggio di redditività che trova come noto
dimostrazione nel rendiconto reddituale: questa impossibilità deriva
come detto in precedenza – oltre che da una differente origine dei dati
in essi contenuti – dai diversi scopi astrattamente raggiungibili mediante un tale documento a loro volta frutto dei convincimenti sociali,
politici, culturali, economici predominanti nella singola azienda e
nella collettività di riferimento. Ci si può quindi interrogare in ordine
alla “forma”, o meglio alla “struttura” con la quale illustrare tutte le
variabili che contribuiscono a delineare i rapporti intercorrenti tra
l’impresa e le diverse componenti socio-ambientali:
– si potrebbe trattare di una serie di informazioni, tabelle e grafici
contenute in una relazione dal contenuto minimo strutturato o meno;
– si potrebbe trattare di una serie articolata di indicatori (quozienti ed
indici) eventualmente brevemente commentati (è il caso della realtà
francese in cui esso si concretizza in una serie di indicatori attinenti
al personale);
– si potrebbe trattare di un documento “preventivo/consuntivo/analisi
degli scostamenti” in relazione ad ogni singolo “piano sociale” attuato;
– si potrebbe trattare infine di un “inventario” di alcuni fatti e situazioni avente per oggetto un determinato arco temporale.
Un altro punto particolarmente importante – che verrà peraltro solamente accennato – è costituito dal carattere volontario o meno che il
129
documento in esame deve avere: l’esperienza di un bilancio sociale
d’impresa obbligatorio come in Francia – “quando l’effettivo
dell’azienda è almeno di 300 salariati” (L. 12/7/1977) – è risultato
comunque deludente in quanto detta previsione non è stata accompagnata da una serie di adeguati controlli.
Nonostante l’assenza di un obbligo legale cogente gli esempi di
aziende che ritengono un bilancio sociale d’impresa (ma per quanto
detto sarebbe più corretto parlare di “rendiconto sociale”) un documento sempre più indispensabile non sono pochi.
A partire dalla seconda metà degli anni Settanta in Germania un
numero crescente di imprese ha cominciato a integrare la relazione
degli amministratori al bilancio di esercizio (Geschäftsbericht) con il
prospetto del calcolo del valore aggiunto. Il passo immediatamente
successivo è stato quello di redigere un bilancio sociale vero e proprio
(gesellschaftsbezogene Berichterstattung). Per rispondere a tal esigenza si sono sviluppati sistemi di determinazioni quantitative
(Leistungsrechnungen) che costituiscono veri e propri modelli di contabilità sociale, in grado di monitorare il perseguimento degli obiettivi
prefissati, di evidenziare il grado di raggiungimento di tali obiettivi e
di fungere quale strumento di controllo.
Nell’ambiente tedesco, il concetto di bilancio sociale e la sua necessità devono essere analizzati con riferimento all’evoluzione economica, sociale e tecnologica degli ultimi decenni, nel corso dei quali
il rapporto tra economia e società ha subito continue evoluzioni. Si
pensi, per esempio, ai problemi collegati all’inquinamento e al degrado ambientale, alla sicurezza sociale, alla vivibilità del posto di lavoro,
ecc. Tutti problemi che mettono in evidenza le mutue interrelazioni tra
imprese e ambiente (in senso lato) e quindi la responsabilità politicosociale delle imprese stesse3.
3
WELBERGEN, Unternehmensziele und Sozialbilanz, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1978, pag. 611: “Ich bin der Meinung, daß eine Unternehmungspolitik,
die die sozialen Belange der Gemeinschaft außer acht läßt und einseitig auf das Erreichen ökonomischer Ziele ausgerichtet ist zum Scheitern verurteilt ist”.
130
Welbergen4, con riferimento agli interessi convergenti nell’impresa,
utilizza la metafora del “quadrilatero magico” della politica economica. Secondo l’Autore, la situazione dell’economista, che deve prendere
delle decisioni e deve valutare i possibili effetti delle stesse avuto riguardo ai quattro obiettivi perseguiti (aumento dell’occupazione, crescita economica, stabilità dei prezzi ed equilibrio nei rapporti con estero) è simile alla situazione in cui si trova l’imprenditore che deve condurre l’impresa e deve valutare le possibili conseguenze delle sue decisioni nei confronti delle classi di interesse. Il “quadrilatero magico”
aziendale è rappresentato dagli interessi del personale, dei consumatori, degli azionisti e dello Stato. Per aumentarne la credibilità, Welbergen propone che il bilancio sociale debba essere “collegato” con il bilancio d’esercizio, permettendo tra l’altro in questo modo
l’attestazione da parte del revisore aziendale5.
Anche sulla base della teoria della coalizione (Koalitionstheorie),
secondo alcuni Autori6 il bilancio sociale ha la funzione di informare i
vari soggetti che sono coinvolti “positivamente” e “negativamente”
dall’attività di impresa. La teoria della coalizione considera l’impresa
come uno strumento in grado di realizzare gli obiettivi di tutti i soggetti che vi partecipano. Quindi l’impresa assume secondo questa concezione la forma di una coalizione composta da tutte le persone che
sono in diretti rapporti con l’impresa. Essi sono il management, i dipendenti, gli azionisti, i finanziatori, i fornitori, i clienti e l’erario. Gli
obiettivi perseguiti dai diversi soggetti (escluso l’Erario) possono essere di natura economica e non economica, il perseguimento di tali
obiettivi da parte dell’impresa rappresenta il prezzo che deve essere
pagato per il mantenimento della coalizione. Quindi una coalizione
rimane in vita solo se vengono realizzati gli obietti definiti. Per essere
4
WELBERGEN, op.cit., pag. 613: “halte ich es für durchaus angebracht, eine Parallele zum magischen Viereck der Wirtschaftspolitik zu ziehen …”.
5
WELBERGEN, op.cit., pag. 614, dove porta ad esempio la relazione di gestione
della Shell AG del 1975, integrata con il bilancio sociale.
6
SCHILDBACH, Analyse des betrieblichen Rechnungswesens aus der Sicht der
Unternehmungsbeteiligung dargestellt am Beispiel der Aktiengesellschaft, Wiesbaden, 1975, pagg. 15-25; COENENBERG, Jahresabschlußanalyse. Betriebswirtschaftliche, handels- und steuerrechtliche Grundlagen, 14. Aufl., Landsberg am Lech,
1993, pag. 645 e segg.
131
in grado di decidere se rimanere nella coalizione oppure partecipare
alla coalizione, i partner attuali e quelli potenziali hanno bisogno di
informazioni circa il raggiungimento degli obiettivi pretesi. I soggetti
interessati al bilancio sociale sono quindi numerosi, sicuramente più di
quelli interessati al bilancio d’esercizio. Solo un bilancio “particolare”
che tiene conto sia dei fatti economici che non economici è in grado di
soddisfare le esigenze informative delle varie classi di interesse. È importante osservare che la realizzazione di uno strumento simile richiede necessariamente un compromesso tra le varie parti della coalizione.
Compromesso (Interessenregelung)7 che mette in equilibrio le diverse
richieste divergenti di informazione e che permette in questo modo di
ottenere uno strumento in grado di evidenziare le responsabilità assunte dall’impresa.
In Germania, il primo tentativo di elaborare una procedura uniforme del calcolo del valore aggiunto è stato fatto nel 1975 da un gruppo
di studiosi riunito su incarico dell’associazione dell’industria chimica,
noto come Arbeitskreis “Das Unternehmen in der Gesellschaft” des
Betriebswirtschaftlichen Ausschusses im Verband der Chemischen Industrie. I risultati di tale gruppo di lavoro sono stati pubblicati nella
rivista Der Betrieb8, con ampia risonanza soprattutto nella prassi. Due
anni dopo, nel 1977, un altro gruppo di studiosi, denominato Arbeitskreis “Sozialbilanz-Praxis”9 in collaborazione con diverse imprese come BASF, Bertelsmann, Deutsche Shell, Pieroth, Rank Xerox
ecc., hanno fissato delle “linee guida” (Empfehlungen) che tendono,
per quanto possibile, a uniformare i modelli di bilancio mediante una
“griglia” concettuale di base. Le indicazioni di massima, fornite dal
gruppo di studio, riguardano due aspetti di fondo:
– confrontabilità dei diversi bilanci, ottenibile con l’unificazione di,
“griglie” espositive, da parte di un numero crescente di imprese;
7
REICHMANN, LANGE, op. cit., pag. 518 e segg.
Diskussionsbeitrag des Arbeitskreises ‘Das Unternehmen in der Gesellschaft’,
in: “Der Betrieb”, 1975, pag. 161 e segg.
9
I risultati di tale gruppo di lavoro hanno trovato pubblicazione in “Der Betrieb”, 1978, pagg. 1141-1144, Sozial -Bilanz heute (Empfehlungen des Arbeitskreises
“Sozialbilanz-Praxis” zur aktuellen Gestaltung gesellschaftsbezogener Unternehmensrechnung).
8
132
– definizione di un quadro generale entro cui le informazioni relative
alla vita dell’azienda possano essere collocate.
Gli scopi della contabilità “sociale” vengono rispettivamente individuati nella:
– esplicitazione di obiettivi e politiche aziendali, esposizione sistematica delle prestazioni fornite dalle aziende e dei loro effetti, anche al fine di migliorare gli strumenti di pianificazione;
– informazione diretta ai diversi gruppi di interesse che entrano in
contatto con l’azienda circa l’entità e lo sviluppo delle prestazioni e
delle relative spese, con una descrizione e una quantificazione degli
effetti di tali prestazioni;
– presentazione periodica di dati verificabili, riguardanti la responsabilità sociale dell’impresa, ai fini del controllo dei risultati rispetto agli obiettivi dell’azienda e alle aspettative formulate
dall’esterno.
Le linee generali del contenuto e della presentazione del bilancio
sociale sono fondate sulla distinzione in tre elementi distinti (die drei
Elemente der Sozial-Bilanz):
a) il rapporto sociale (Sozialbericht), che è la descrizione degli scopi e
delle prestazioni aziendali e dell’output realizzato con le attività
sociali;
b) il calcolo del valore aggiunto (Wertschöpfungsrechnung), dove
viene misurata la ricchezza prodotta dall’impresa in un determinato
periodo. Sul valore aggiunto e sulle sue modalità di determinazione
si rimanda a quanto affermato nei capitoli precedenti. Va ricordato
che attraverso il calcolo del valore aggiunto è possibile analizzare il
problema della distribuzione della ricchezza prodotta dall’azienda;
c) la contabilità sociale (Sozialrechnung), che contiene l’esposizione
quantitativa delle spese sociali, ed è suddivisa in sei classi di destinatari delle prestazioni dell’impresa (dipendenti, azionisti, stato,
collettività, ambiente naturale, altre imprese).
Le critiche espresse dalla dottrina10 al modello Sozial-Bilanz Praxis
mettono in evidenza che i bilanci ispirati alle indicazioni
10
FEUERBACH, Die Unternehmensleistung im Geschäftsbericht der Hoechst AG,
in Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1978, pag. 619 e segg., in particolare la nota
11; SCHEIBE LANGE, op. cit., pag. 631 e segg.; ALBACH, Die Verteilung des Unter133
dell’Arbeitskreis riflettono un’interpretazione decisamente prudenziale
delle proposte avanzate in sede scientifica rispetto alla quantificazione
degli effetti sociali del comportamento aziendale. Si è optato per
l’indicazione di alcuni indicatori dei “benefici” sociali piuttosto che
per un calcolo economico dei benefici stessi. Emerge dal modello il
rifiuto di una articolazione maggiore da un punto di vista concettuale,
che avrebbe rischiato di ridurre le capacità di adattamento delle imprese alle sempre nuove condizioni ambientali. pubblico in generale.
Del tutto particolare – e degna, ad avviso di chi scrive, di autonoma
evidenza – è la posizione dottrinaria di Wysocki11 con riferimento al
bilancio sociale e al valore aggiunto. Egli ritiene che la
Wertschöpfungsrechnung sia sicuramente uno strumento utile da inserire nel bilancio sociale, ma critica la procedura di calcolo seguita
dalla prassi aziendale. Infatti, secondo Wysocki, una Wertschöpfungsrechnung che si basa sostanzialmente sul rendiconto reddituale ha
poco senso, perché non aggiunge nuove significative informazioni a
quelle già contenute in tale prospetto. I rendiconti che formano il rendiconto sociale (gesellschaftsbezogenen Berichterstattung) possono
essere basati su grandezze orientate all’input piuttosto che all’output.
La differenza tra le due modalità dipende dalla rilevazione dei benefici
e dei costi sociali: se tali costi e benefici vengono rilevati direttamente
presso i soggetti che sono interessati dall’attività dell’impresa,
l’approccio è orientato all’output; se la rilevazione dei costi e dei benefici avviene all’interno dell’impresa stessa, l’approccio è orientato
all’input. La preferenza dell’Autore è per una modalità di calcolo del
valore aggiunto orientato all’input; in tal modo la Wertschöpfungsrechnung può fungere da “anello di congiunzione”12 tra la contabilità
aziendale e la contabilità nazionale.
nehmenseinkommen, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1978, pagg. 626-631;
REICHMANN, LANGE, op. cit., pag. 523 e segg.; CHMIELEWIZC, Arbeitnehmerinteressen und Kapitalismuskritik in der Betriebswirtschaftslehre, Hamburg, 1975, pag. 97
e segg.; WEDELL, op. cit., pagg. 202-213.
11
WYSOCKI, Sozialbilanzen – Inhalt und Formen gesellschaftsbezogener Berichterstattung, Stuttgart/New York, 1981, pag. 104 e segg.
12
WYSOCKI, op. cit., pag. 105.
134
2. Motivi per successive indagini
Lo studio del valore nell’economia d’azienda – e del valore aggiunto nella fattispecie – attraverso il pensiero di alcuni studiosi tedeschi
ha avvicinato chi scrive in via graduale al tema dell’impresa sociale e
alle difficoltà connesse con la determinazione quantitativa del risultato
attribuibile a tale entità.
Sorgono – a questo punto – numerosi problemi derivanti dalla accezione in cui l’impresa può essere inquadrata e dalle connesse difficoltà della stessa di “rendere conto” dei propri risultati, dato che
l’obiettivo principale è costituito dal raggiungimento dell’economicità
da intendersi nel senso di Wirtschaftlichkeit. La profonda evoluzione
del ruolo svolto dalle aziende (siano esse profit oriented o non profit
oriented) negli ultimi decenni, ha comportato, come detto, il riconoscimento di una dimensione sociale del finalismo aziendale, che si affianca e si integra con i profili economico-finanziari e competitivi
della gestione. La collettività esprime infatti, in modo sempre più intenso, bisogni e attese che incidono sulla crescita del sistema aziendale, sulla stessa concezione di sviluppo e sulla sua sostenibilità. Crescita e sviluppo devono essere compatibili con i bisogni e le attese
espresse dalla collettività, poiché il consenso e la legittimazione sociale favoriscono il raggiungimento e l’implementazione di vantaggi
reddituali e competitivi. Le modificazioni intervenute nel finalismo
aziendale, la crescente consapevolezza del ruolo che le aziende assolvono in campo sociale, la reciproca funzionalità tra ruolo sociale e
ruolo economico delle aziende hanno sviluppato un rinnovato interesse da parte della dottrina e della prassi alla comunicazione “sociale”,
elemento da non trascurare allorché si voglia definire compiutamente
il contenuto dell’informativa aziendale. Fino a qualche decennio addietro si riteneva sufficiente comunicare esclusivamente i dati relativi
all’andamento economico-finanziario della gestione, giacché queste
erano le prevalenti informazioni richieste da quanti avevano interessi
nelle aziende. Oggi, invece, si è allargato il numero di soggetti che
esprimono attese nei confronti dei risultati prodotti dalle aziende, sì da
individuare l’esistenza di un interesse generale che si manifesta, non
solo come somma delle aspettative dei soggetti che con le stesse intrattengono rapporti diretti, ma anche come interesse di tutta la collettivi135
tà. Le aziende, pertanto, devono adottare una politica di comunicazione ampia, diffusa e trasparente rivolta alle varie classi di stakeholders
in grado di soddisfare una domanda crescente di informazioni che riguarda, da un lato i risultati reddituali e competitivi della gestione e,
dall’altro, gli effetti sociali prodotti dallo svolgimento dell’attività (le
conseguenze sull’occupazione, sul prodotto interno lordo, sulla qualità
della vita, sul benessere sociale, sull’ambiente fisico-naturale, ecc.). I
modelli di rendiconto degli effetti sociali dell’attività aziendale sono
stati, in questi ultimi anni, oggetto di un’ampia riflessione che ha consentito di individuare nuovi schemi di rappresentazione dei risultati
raggiunti nonché di affinare il significato informativo di quelli esistenti. In particolare, il bilancio sociale ha suscitato in un primo momento notevole interesse nella dottrina economico-aziendale cui, però,
hanno fatto seguito effetti spesso limitati e sperimentazioni assai eterogenee. Nonostante i differenti impulsi che il bilancio sociale ha subito negli ultimi anni, la materia appare quindi ancora non chiaramente
definita e permangono aree di incertezza riguardo alla forma espositiva dei dati e dei valori, al contenuto informativo, alle funzioni svolte
da questo strumento informativo.
Le riflessioni sviluppate nelle pagine precedenti sono un punto di
arrivo e, contemporaneamente, costituiscono anche motivi per nuove
indagini e ricerche che si auspica di poter effettuare sul tema. In particolare:
– il valore aggiunto rappresenta sicuramente un indicatore
dell’economicità sociale del Betrieb. Il livello di profitto, comunemente inteso, non può esprimere in modo valido il grado di efficienza dell’impresa sociale. Ne consegue che il sistema di rilevazioni contabili basato sul metodo della partita doppia non dovrebbe
avere più come obiettivo primario la determinazione del reddito di
esercizio, bensì quello della determinazione del valore aggiunto e
della sua distribuzione;
– la realizzazione di tale sistema di rilevazione non si esaurisce sicuramente nella diversa “titolazione” di conti, ma richiede soprattutto
una diversa modalità di interpretare il capitale di impresa, una
mentalità operativa e atteggiamenti manageriali che superino i limiti legati alla concezione “privatistica” dell’impresa;
136
– sempre più numerose e importanti sono le aziende che destinano al
mercato – e quindi allo scambio – la loro produzione ma per finalità ben diverse dal profitto; la loro “logica” economica è quindi ben
diversa da quella della tipica impresa industriale. In questa classe di
aziende la produzione non è infatti strumentale al profitto, ma ad
altre finalità quali, per esempio, dare lavoro a persone che per ragioni diverse non riescono a inserirsi in un normale circuito produttivo oppure offrire beni e servizi che né lo Stato né le imprese
producono e la cui mancanza lascerebbe insoddisfatta una domanda
proveniente in genere da ceti economicamente deboli;
– il rendiconto sociale – in particolare il conto economico a valore
aggiunto – è sostanzialmente in grado di rappresentare la natura di
“sistema aperto” dell’impresa, allargando lo spettro di informazioni
sulla stessa e migliorando il grado e il livello di informazione ricavabile dal bilancio di esercizio.
137
APPENDICE
1. Lo studio di un caso aziendale. La società XYZ
Si analizzerà di seguito un esempio pratico di calcolo del valore
aggiunto facendo riferimento ad un’impresa austriaca operante nel
settore delle cave di pietra. La sua forma giuridica è una GmbH & Co
KG, cioè una società accomanadataria i cui accomandanti sono i soci
della società in nome collettivo (& Co), mentre l’accomandatario è
rappresentato dalla società a responsabilità limitata (GmbH).
Il calcolo del valore aggiunto è stato effettuato separatamente per la
gestione caratteristica dell’impresa (cava di pietra), per la gestione
straordinaria e per la gestione finanziaria. I dati utilizzati sono quelli
relativi all’esercizio del 1994 e relativi all’esercizio del 1993, mentre
le percentuali sono calcolate con riferimento ai ricavi complessivi
della gestione caratteristica.
I ricavi complessivi della gestione caratteristica dell’impresa XYZ
ammontano a 19.068.556,40 ATS (scellino austriaco) nel 1994 ed a
18.879.536,90 nel 1993, come si può desumere dalla tabella sottoriportata.
Si è data indicazione separata degli incrementi di immobilizzazioni
per lavori interni e si sono esclusi dai ricavi complessivi della gestione
caratteristica, perché l’impresa XYZ stessa non ha proceduto alla loro
capitalizzazione.
139
TABELLA 1.1: IL CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO
DELLA GESTIONE CARATTERISTICA
Descrizione
Ricavi:
Erlöse Schotter
Erlöse Vordergrundsteine
Erlöse Pflastersteine
Erlöse Mauersteine
Erlöse Frachten
Erlöse Export
Verschiedene Erlöse
sonstige betriebliche Erträge
Überzahlungen von Kunden
Skontoaufwand
somma I
Erlöse Sprengstoffe
Erlöse Treibstoffe
somma II
Bestandveränderung
Risultato della gestione caratteristica.
Aktivierte Eigenleistungen
somma III (risultato totale)
Vorleistungen:
Kies, Sand
Kalk, Gips, ecc
Betonkies
Frostkoffer
Pflaster- u. Wasserbausteine
Betonrohre
Kunstoffrohre
Schächte
Fertigbeton fremd
Baustahlgitter
Stahl- u. Alufertigwaren
Kantholz u. Dielen
Bretter
sonstiges Bauholz
Drahtstifte, Drähte
Subunternehmer Planung
Sonstiges Kleineisenzeug
Warenbezugskosten
Sonstige Fremdarbeiten
Transporte Fremd
Reinigungsmaterial
Elektromaterial
1994 in Ats
0%
1993 in ATS
0%
6.709.382,04
2.629.367,37
1.587.965,57
1.407.714,90
2.808.371,45
3.406.422,74
553.743,51
47.974,86
11.240,50
-10.087,76
19.142.095,18
35.592,73
4.768,49
19.182.456,40
-113.900,00
19.068.556,40
293.973,57
19.362.529,97
35,186%
13,789%
8,328%
7,382%
14,728%
17,864%
2,904%
0,252%
0,007%
-0,053%
100,386%
0,187%
0,025%
100,597%
-0,597%
100,000%
1,542%
101,542%
8,882.678,92
482.335,29
1.221.441,77
1.021.365,50
3.375.365,07
3.437.088,76
493.391,06
6.075,04
560,96
-12.760,22
18.907.542,15
5.907,93
4.886,82
18.918.336,90
-38.800,00
18.879.536,90
71.648,33
18.951,185,23
47,049%
2,555%
6,470%
5,410%
17,878%
18,205%
2,613%
0,032%
0,003%
-0,068%
100,148%
0,031%
0,026%
100,206%
-0,206%
100,000%
0,380%
100,380%
324.473,57
295,59
5.761,93
483.239,83
2.038.164,28
393,57
10.664,33
2.341,45
89.621,88
9.506,30
43.191,80
190,83
3.035,90
84.488,33
4.019,18
46.520,00
8.463,44
21.446,43
455.444,51
130.140,85
4.750,00
178,05
1,702%
0,002%
0,030%
2,534%
10,689%
0,002%
0,056%
0,012%
0,470%
0,050%
0,227%
0,001%
0,016%
0,443%
0,021%
0,244%
0,044%
0,112%
2,388%
0,682%
0,025%
0,001%
1.603.302,25
0,00
1.194,924,57
510.867,10
1.092.951,39
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
66.150,00
5.498,33
0,00
5.544,96
8.907,01
43.588,00
175.623,96
5.071,67
482,55
8,492%
0,000%
6,329%
2,706%
5,789%
0,000%
0,000%
0,0000%
0,000%
0,000%
0,000%
0,000%
0,000%
0,350%
0,029%
0,000%
0,029%
0,047%
0,231%
0,930%
0,027%
0,003%
140
Descrizione
Ersatzteile Geräte
Reparaturmaterial
Fremdreparaturen
Schweißmaterial
Werkzeug
Fette, Öle
Gas, Sauerstoff
Instandhaltung Gebäude
Instandh. Grundstückeinrichtug
Instandhaltung B+G
Instandhaltung LKW
Haftpflichtversicherung C/K2
Sonstige Versicherungen
Versicherungen KFZ
Telefon, Funk
Postgebühren
Strom
Gas, Wasser
Heizmaterial
Reifen
Benzin
PKW Pajero
PKW Mercedes
PKW Subaru
Broaufwand
EDV Kosten
Werbung
Rechts- u. Beratungskosten
Sonstiger Aufwand
Kultivierungsaufwand
Deponiegebühren
somma I
Differenza I
1994 in Ats
561.588,35
193.262,08
195.770,71
13.192,37
40.404,18
111.312,97
21.196,69
49.454,85
69.375,00
40.600,56
615.554,92
82.321,50
15.084,10
161.036,60
97.687,10
10.604,50
60.051,37
2.855,00
18.532,63
247.912,00
6.630,31
198.094,38
192.259,59
17.500,38
329.862,28
16.242,50
91.251,30
32.561,00
119.200,90
0,00
17.782,27
7.395.514,44
11.673.041,96
0%
2,945%
1,014%
1,027%
0,069%
0,212%
0,584%
0,111%
0,259%
0,364%
0,213%
3,228%
0,432%
0,079%
0,845%
0,512%
0,056%
0,315%
0,015%
0,097%
1,300%
0,035%
1,039%
1,008%
0,092%
1,730%
0,085%
0,479%
0,171%
0,625%
0,000%
0,093%
38,784%
61,216%
1993 in ATS
435.186,49
141.433,72
85.899,33
3.368,00
10.886,88
52.960,46
18.299,13
86.551,84
6.900,00
29.598,36
462.449,90
52.872,80
11.348,80
138.927,20
82.466,14
7.546,00
31.985,16
1.100,00
40.277,49
237.279,32
11.400,82
163.761,39
206.814,50
15.615,60
1 235.212,08
0,00
40.271,06
56.576,00
372.170,04
112.500,00
2.545,00
7.867.115,30
11.012.421,60
0%
2,305%
0,749%
0,455%
0,018%
0,058%
0,281%
0,097%
0,458%
0,037%
0,157%
2,449%
0,280%
0,060%
0,736%
0,437%
0,040%
0,169%
0,006%
0,213%
1,257%
0,060%
0,867%
1,095%
0,083%
1,246%
0,000%
0,213%
0,300%
1,971%
0,596%
0,013%
41,670%
58,330%
Sprengmittel
Diesel
somma II
Differenza II
332.432,84
1.154.533,55
1.486.966,39
10.186.075,57
1,743%
6,055%
7,798%
53,418%
312.293,17
1.117.060,24
1.429.353,41
9.583.068,19
1,654%
5,917%
7,571%
50,759%
53.501,84
1.238.969,80
99.462,50
0,00
1.391.934,14
8.794.141,43
0,281%
6,497%
0,522%
0,000%
7,300%
46,119%
1.300,00
979.466,16
0,00
4.000,00
984.766,16
8.598.302,03
0,007%
5,188%
0,000%
0,021%
5,216%
45,543%
Miete:
Fremdgeräte u. Fremdpersonal
Pacht Steinbruch
Gerätemieten
Fremdmieten
somma III
Differenza III
141
Descrizione
1994 in Ats
0%
21.122,77
29.074,68
50.197,45
8.743.943,98
0,111%
0,152%
0,263%
45,855%
4.403,00
16.890,34
21.293,34
8.577.008,69
0,023%
0,089%
0,113%
45,430%
10.324.612,42
54,145%
10.302.528,21
54,570%
valore aggiunto lordo della gestione
caratteristica
8.743.943,98
45,855%
8.577.008,69
44,980%
Abschreibungen
1.843.748,23
9,669%
1.987.442,07
10,423%
valore aggiunto netto della gestione
caratteristica
6.900.195,75
36,186%
6.589.566,62
34,557%
GWG (GeringWertige Wirtschaftsgüter)
Kleingeräte, Kleingerüste)
somma IV
Differenza IV
somma Vorleistungen
1993 in ATS
0%
Si sono inoltre rappresentati in modo separato i ricavi conseguiti
del carburante (Treibstoff) e dell’esplosivo (Sprengstoff), perché non
sono ricavi tipici.
Le Vorleistungen invece comprendono tutti i beni ed i servizi apportati da economie terze. In particolare si può notare che ho rappresentato separatamente oltre ai costi per il carburante e per gli esplosivi
anche i costi per l’affitto di beni strumentali, di personale e della cava
ed i costi sostenuti per l’acquisto di beni strumentali denominati geringwertige Wirtschaftsgüter (GWG).
Nell’ambito del calcolo del valore aggiunto l’affitto assume una
posizione particolare. Infatti se l’affitto viene considerato un’attività
imprenditoriale, allora l’affitto è da considerare una Vorleistung per
l’impresa che lo paga, mentre per l’impresa che lo consegue una componente dei ricavi.
Se invece l’affitto non viene considerato un’attività imprenditoriale
e quindi esso viene considerato una componente del valore aggiunto,
allora l’affitto viene rappresentato come elemento del Kapitalertrag
dell’impresa che lo paga, mentre l’affitto è da eliminare dal calcolo del
valore aggiunto dell’impresa che lo consegue. Gli studiosi di economia-aziendale che preferiscono rappresentare l’affitto come una componente del Kapitalertrag propongono inoltre di dividere l’affitto in
due parti: la prima parte che corrisponde all’affitto vero e proprio del
bene di capitale e che fa parte dei Kapitalertrag, e la seconda parte in142
vece che corrisponde ai costi relativi al bene di capitale preso in affitto, come per esempio la manutenzione, l’ammortamento ecc., e che fa
parte delle Vorleistungen.
Comunque in generale e soprattutto nella pratica aziendale prevale
l’interpretazione dell’affitto come attività imprenditoriale e di conseguenza esso viene considerato un elemento della Vorleistung.
Infine è importante osservare anche la categoria dei geringwertigen
Wirtschaftsgüter, che sono beni strumentali il cui costo di acquisto è
inferiore a 5.000 ATS. Il legislatore prevede la possibilità di inserirli
nel bilancio senza doverli capitalizzare. Se ne è data una distinta indicazione perché anche se vengono trattati come dei costi di competenza
di un unico esercizio, essi comunque sono dei beni strumentali che
verranno utilizzati per più esercizi.
Per calcolare il valore aggiunto lordo della gestione caratteristica si
deve detrarre dal valore dei ricavi complessivi la somma delle Vorleistungen. Si ottiene cosi il valore aggiunto lordo del 1994 che è uguale
a 8.743.943,98 ATS che corrisponde al 45,9% dei ricavi complessivi
della gestione caratteristica, ed il valore aggiunto lordo del 1993 che è
uguale a 8.577.008,69 ATS che corrisponde al 45% dei ricavi complessivi della gestione caratteristica. Se si detrae dal valore aggiunto
lordo le quote di ammortamento si ottiene il valore aggiunto netto che
per l’esercizio 1994 è uguale a 6.900.195,75 ATS e che corrisponde al
36,2% dei ricavi complessivi della gestione caratteristica, mentre il
valore aggiunto netto dell’esercizio 1993 è uguale a 6.589.566,62 ATS
e corrisponde al 34,6% dei ricavi complessivi della gestione caratteristica. Si può notare che il valore aggiunto lordo e netto dei due esercizi non divergono di molto: 1% fino 1,5%.
In questa sede però si deve osservare che l’impresa XYZ paga un
notevole affitto per la cava di pietra. Infatti l’affitto corrisponde nel
1994 al 6,5% dei ricavi complessi e nel 1993 al 5,2% dei ricavi complessivi. Se invece la cava fosse di proprietà dell’impresa XYZ, allora
sia il valore aggiunto lordo che il valore aggiunto netto sarebbero sicuramente maggiori. Precisamente il valore aggiunto lordo dei 1994 sarebbe uguale a 9.982.913,78 ATS e corrisponderebbe al 52,4% dei ricavi complessivi, mentre nel 1993 il valore aggiunto lordo sarebbe
uguale a 9.536.474,95 ATS e corrisponderebbe al 50% dei ricavi
143
complessivi. La dimensione del valore aggiunto netto invece dipenderebbe dalla dimensione della quota di ammortamento calcolata per la
cava di pietra che però difficilmente assumerebbe la stessa dimensione
dell’affitto pagato.
La tabella seguente propone la gestione straordinaria dell’impresa
XYZ che comprende i ricavi e le perdite dovute alla vendita di macchinari, ed i danni subiti e i risarcimenti ottenuti dalle assicurazioni.
Comunque tutte le componenti ed il valore aggiunto conseguente sono
minimi, dato che non corrispondono neanche al 1% dei ricavi complessivi della gestione caratteristica.
TABELLA 1.2: IL CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO DELLA GESTIONE STRAORDINARIA
Descrizione
ricavi:
Erlöse Abgang des AV
Versicherungsentschädigungen
somma ricavi straordinari
costi:
Verlust Abgang des AV
Schadensfälle
somma costi straordinari
valore aggiunto della gestione straordinaria
1994 in Ats
0%
1993 in ATS
0%
0,00
0,00
0,00
0,000%
0,000%
0,000%
100.638,00
9.005,00
109.643,00
0,528%
0,047%
0,575%
4.649,00
11.881,00
16.530,00
0,024%
0,062%
0,087%
0,00
2.820,00
2.820,00
0,000%
0,015%
0,015%
-16.530,00 -0,087%
106.823,00
0,560%
La tabella sottoriportata invece rappresenta la gestione finanziaria
dell’impresa XYZ. In particolare si può notare una posizione che assume una notevole dimensione: l’utilizzo del fondo per la coltivazione
dell’ambiente. L’impresa XYZ ha costituito un fondo che serve a finanziare la coltivazione di piante nelle aree della cava già sfruttate. La
dimensione normale della spesa per la coltivazione ammonta attorno
alle 120.000 ATS (0,6 % dei ricavi complessivi della gestione caratteristica) come si può vedere dal rendiconto reddituale del 1993, e non
attorno 1.350.000 ATS (7% dei ricavi complessivi della gestione caratteristica). Quindi il fondo si ritiene possa essere stato utilizzato per
coprire una perdita permettendo così di evidenziare un risultato
d’esercizio positivo.
144
TABELLA 1.3: IL CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO DELLA GESTIONE FINANZIARIA
Descrizione
ricavi:
Angleichung Deckungskapital
Bankzinsen
Zinsen von Kunden
Erträge Wertpapiere
Erträge aus Abgang Wp
Ertrag aus Kursdifferenz
Pauschalwertberichtigung
(Ertrag aus Herabsetzung)
Aufl. Investitionsbeitrag
Aufl. Rücklage
Benutzung Kultivierungsfond
somma ricavi finanziari
costi:
Verlust aus Kursdifferenz
Zuweisung Invest.
Zuweisung Rücklage
somma costi finanziari
valore aggiunto della gestione finanziaria
1994 in Ats
0%
1993 in ATS
0%
29.616,00
0,155%
41.468,00
26.126,70
199,71
4.396,00
0,00
0,00
34.057,00
0,137%
0,001%
0,023%
0,000%
0,000%
0,179%
15.698,30
0,00
9.985,00
645,00
13.142,54
14.263,00
0,217%
0,003%
0,082%
0,000%
0,052%
0,003%
0,069%
0,075%
15.779,00
100.638,00
1.350.000,00
1.560.812,41
0,083%
0,528%
7,080%
8,185%
0,00
0,00
0,00
95.201,84
0,000%
0,000%
0,000%
0,499%
9.338,29
201.159,00
0,00
210.497,29
0,049%
1,055%
0,000%
1,104%
0,00
462.697,00
100.638,00
563.335,00
0,000%
2,426%
0,528%
2,954%
1.350.315,12
7,081%
-468.133,16 -2,455%
La tabella seguente invece rappresenta il valore aggiunto complessivo creato dall’impresa XYZ nell’esercizio 1994 e nell’esercizio
1993, che sarà anche il valore che è stato distribuito alle varie classi di
interesse che hanno partecipato alla sua formazione. Il valore aggiunto
complessivo si ottiene facendo la somma algebrica del valore aggiunto
netto della gestione caratteristica, del valore aggiunto della gestione
straordinaria e del valore aggiunto della gestione finanziaria.
145
TABELLA 1.4: IL CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO DELLA GESTIONE COMPLESSIVA
Descrizione
valore aggiunto netto della gestione
caratteristica
valore aggiunto della gestione straordinaria
valore aggiunto della gestione finanziaria
1994 in Ats
6.900.195,75
0%
36,186%
1993 in ATS
6.589.566,62
0%
34,557%
-16.530,00
-0,087%
106.823,00
0,560%
1.350.315,12
7,081%
-468.133,16
-2,455%
valore aggiunto complessivo
8.233.980,87
43,181%
6.228.256,46
32,662%
Infine la tabella sottoriportata rappresenta la distribuzione del valore aggiunto complessivo dell’impresa XYZ. L’Arbeitsertrag comprende i salari, gli stipendi, la remunerazione della GmbH per l’attività
direttiva, i contributi sociali previsti dalla legge e quelli volontari ed
infine il trattamento di fine rapporto.
In particolare si può osservare che l’azienda non disponeva di un
fondo sufficiente per il trattamento di fine rapporto. Infatti l’impresa
ha utilizzato il fondo solo per 93.925 ATS, mentre i rimanenti 476.232
ATS gravano completamente sull’esercizio.
Il Kapitalertrag comprende la remunerazione del capitale di terzi e
la remunerazione del capitale proprio. La remunerazione del capitale
proprio comprende anche la remunerazione della GmbH per
l’assunzione della responsabilità illimitata (Haftungsvergütung).
Per quanto riguarda il Gemeinertrag si può notare che la Gewerbesteuer è stata abolita nel 1994 ed è stata sostituita dalla Komunalsteuer. Inoltre si è rappresentato in modo separato il contributo pagato
al comune, dato che non è un’imposta vera e propria. Il contributo pagato al comune è dovuto all’utilizzo da parte dei camion dell’impresa
di una strada comunale che attraversa tutto il paese e che è l’unica
strada di accesso alla cava. Il continuo passare dei camion deteriora
tale strada e di conseguenza il comune ha costretto l’impresa a partecipare alla manutenzione di tale strada attraverso il pagamento di un
contributo. Di conseguenza si è preferito rappresentare le imposte comuni in modo separato dall’imposta pagata al comune per permettere
la comparabilità nello spazio (fra imprese).
146
Infine l’importo residuo, denominato Betriebsertrag, rimane
all’impresa stessa e corrisponde all’utile d’esercizio.
TABELLA 1.5: LA DISTRIBUZIONE DEL VALORE AGGIUNTO DELL’IMPRESA XYZ
Descrizione
Arbeitsertrag:
Lohn:
Lohnkosten KV A/K3
Lohnkosten über KV
Lohnkostenprämien
Überstundenzuschlag
Aushilfslöhne
Nichtleistungslöhne
Urlaubszuschlag
Krankenentgelt
Weihnachtsgeld
somma salari
Gehälter:
Fremdlöhne u. -gehälter
Geschäftsführungsvergütung
Gehälter
Überstunden
Nichtleistungsgehälter
Weihnachtsgeld
Urlaubsgeld
somma stipendi
Aufwendung für Abfertigung:
Abfertigung
Angleichung
somma
Sozialabgaben (gesetzlich):
Arbeitgeberanteil Arbeiter
Arbeitgeberanteil Gehälter
Sozialversicherung Unternehm.
DB Arbeiter
DZ Arbeiter
DB Angestellter
DZ Angestellter
somma contributi sociali
sonstige Sozialabgaben:
freiwilliger Sozialaufwand
Arbeitskleidung
Reisekosten
Schulung, Fortbildung
1994 in Ats
0%
1993 in ATS
0%
1.609.855,73
670.411,28
31.300,00
197.592,56
0,00
420.860,08
33.143,00
789,67
207.519,53
3.171.471,85
8,442%
3,516%
0,164%
1,036%
0,000%
2,207%
0,174%
0,004%
1,088%
16,632%
1.078.245,63
370.481,25
86.900,00
79.554,67
6.200,00
313.276,55
152.964,00
12.588,90
134.949,25
2.235.160,25
5,655%
1,943%
0,456%
0,417%
0,033%
1,643%
0,802%
0,066%
0,708%
11,722%
558.097,51
710.738,92
703.311,25
44.213,20
136.659,33
61.000,00
61.000,00
2.275.020,21
2,927%
3,727%
3,688%
0,232%
0,717%
0,320%
0,320%
11,931%
10.036,00
0,00
667.089,62
39.587,13
214.418,88
80.560,00
80.560,00
1.092.251,63
0,053%
0,000%
3,498%
0,208%
1,124%
0,422%
0,422%
5,728%
0,00
8.001,00
8.001,00
0,000%
0,042%
0,042%
476.232,00
-93.925,00
382.307,00
2,497%
-0,493%
2,005%
746.536,40
184.423,53
0,00
143.753,73
10.224,23
45.279,27
3.219,77
1.133.435,93
3,915%
0,967%
0,000%
0,754%
0,054%
0,237%
0,017%
5,944%
473.949,99
192.375,63
76.123,44
94.068,29
6.687,92
48.699,71
3.463,08
895.368,06
2,486%
1,009%
0,399%
0,493%
0,035%
0,255%
0,018%
4,696%
164.528,95
39.417,97
5.585,90
16.922,00
0,863%
0,207%
0,029%
0,089%
142.743,56
22.097,91
32.922,58
8.100,00
0,749%
0,116%
0,173%
0,042%
147
Descrizione
Betriebsveranstaltungen
somma contributi sociali volontari
An- und Rückreise D/K3A
Km-Gelder
somma Arbeitsertrag
1994 in Ats
0,00
226.454,82
40.609,76
4.427,50
6.859.421,07
0%
0,000%
1,188%
0,213%
0,023%
35,972%
1993 in ATS
6.000,00
211.864,05
8.805,80
516,00
4.826.272,79
0%
0,031%
1,111%
0,046%
0,003%
25,310%
24.920,59
23.052,50
4.854,00
13.843,75
256.670,84
1,127%
0,121%
0,025%
0,073%
1,346%
256.428,53
31,416,66
204,00
17.131,00
305.180,19
1,345%
0,165%
0,001%
0,090%
1,600%
33.531,00
50.000,00
83.531,00
340.201,84
0,176%
0,262%
0,438%
1,784%
20.000,00
50.000,00
70.000,00
375.180,19
0,105%
0,262%
0,367%
1,968%
Gemeinertrag:
Komunalsteuer
Straßenverkehrsbeitrag
sonstige Steuern
Gebühren u. Ablagen
Grundsteuer
Gemeindeabgaben
Landschaftsschutzabgabe
Gebühren u. Abgaben
Gewerbesteuer
Somma
Straßenerh. Gmd Mellau
somma Gemeinertrag
126.025,00
204.660,00
0,00
92.598,38
486,00
8.374,00
157.681,93
48.372,00
0,00
638.197,31
266.435,24
904.632,55
0,661%
1,073%
0,000%
0,486%
0,003%
0,044%
0,827%
0,254%
0,000%
3,347%
1,397%
4,744%
61.576,00
229.680,00
26.300,00
146.065,07
607,50
8.166,00
103.599,25
28.924,00
106.100,00
711.017,82
229.310,22
940.328,04
0,323%
1,204%
0,138%
0,766%
0,003%
0,043%
0,543%
0,152%
0,556%
3,729%
1,203%
4,931%
Betriebsertrag:
Bilanzgewinn
129.725,41
0,680%
86.475,44
0,453%
8.233.980,87
43,181%
6.228.256,46
32,662%
Kapitalertrag:
Fremdkapital:
Bankzinsen
Bankspesen
Verzugszinsen
Zinsen Schuldwechsel
somma Fremdkapital
Eigenkapital:
Gesellschafterzinsen
Haftungsvergütung GmbH
somma Eigenkapital
somma Kapitalertrag
valore aggiunto distribuito
Il valore aggiunto risulta da un complesso procedimento di calcolo
e la sua quantificazione dipende principalmente dalle definizioni
addottate della componente positiva e negativa. Il valore aggiunto
comprende l’Arbeitsertrag (reddito distribuito al personale), il
Kapitalertrag (remunerazione del capitale) ed il Gemeinertrag
(reddito distribuito alla “mano pubblica”) ed il Betriebsertrag (reddito
148
che rimane all’impresa). L’Arbeitsertrag comprende i salari, gli
stipendi, i contributi sociali previsti dalla legge e quelli volontari ed il
trattamento di fine rapporto. Esso ammonta a 6.859.421,07 ATS e
rappresenta la quota più alta di valore aggiunto distribuito,
precisamente il 83,3%. Il Fremdkapitalertrag invece comprende la
remunerazione del capitale di terzi ed ammonta a 256.670,84 ATS che
è pari al 3,1% del valore aggiunto distribuito. L’Eigenkapitalertrag
comprende la remunerazione del capitale proprio e la remunerazione
della GmbH per l’assunzione della responsabilità illimitata
(Haftungsvergütung). Esso ammonta a 83.531,00 ATS, che corrisponde al 1% del valore aggiunto distribuito.
GRAFICO 1.1: LA DISTRIBUZIONE DEL VALORE AGGIUNTO
DELL’IMPRESA XYZ DELL’ESERCIZIO 1994
Arbeitsertrag
Fremdkapitalertrag
Eigenkapitalertrag
Gemeinertrag
Betriebsertrag
3,10%
1,00%
11,00%
1,60%
83,30%
I seguenti prospetti presentano il bilanci d’esercizio della GmbH e
della GmbH & Co KG Tutti i prospetti sottoriportati sono stati utilizzati per il calcolo del valore aggiunto.
149
FIGURA 1.1: LO STATO PATRIMONIALE DELLA GMBH AL 31.12.1994
AKTIVA
A. Umlaufvermögen
I. Forderungen
1. Forderungen gegen Unternehmen
Forderungen gegen beteiligte
Unternehmen
Kontokorrentkonto XYZ Gmbh & Co
Verrechnungskonto Gmbh
291.600,00
2.sonstige Forderungen
Finanzamt
sonstige Forderungen
56.815,00
68.993,00
417.408,00
30.000,00
13.860,00
43.860,00
Summe AKTIVA
PASSIVA
A. Eigenkapital
461.268,00
I. Nennkapital
1. Stammkapital
Stammkapital
500.000,00
2.Nicht eingeforderte ausstehende
Einlagen
Ausstehende Einlagen
-250.000,000
II. Bilanzgewinn
Gewinnvortrag
Bilanzgewinn
49.000,0
48.415,00
97.415,00
B. Rückstellunegn
1. Steuerrückstellungen
Körperschaftsteuer 1993
Körperschaftsteuer 1994
21.000,0
10.000,00
31.000,00
C. Verbindlichkeiten
1. sonstige Verbindlichkeiten
Verrechnung DB
Verrechnung DZ
Verrechnung Personalabgaben
Verrechnung Gebietskrankenkasse
Gehaltsverrechnungskonto
sonstige Verbindlichkeiten
2.925,00
208,00
12.899,00
21.560,00
42.216,00
3.045,00
82.853,00
Summe PASSIVA
461.268,00
150
FIGURA 1.2: IL RENDICONTO REDDITUALE DELLA GMBH DELL’ESERCIZIO 1994
1. sonstige betriebliche Erträge
a. übrige
Geschäftsfuhrungsvergütung
710.738,92
2. Betriebsleistung
710.738,92
3. Personalaufwand
a. Gehälter
Gesellschaftergehalt
Nichtleistungsgehälter
Wwihnachtsgelder
Urlaubsgelder
452.034,94
19.451,32
57.750,00
29.250,00
558.486,26
b. gesetzlich vorgeschriebene
Sozialgaben
Arbeitgeberanteil
DB Angestellte
DZ Angestellte
Lohnsummensteuer
108.579,66
25.132,00
1.787,00
16.754,00
152.252,66
4. Erträge aus Beteriligungen
Gesellschafterzinsen
Haftungsvergütung
23.415,00
50.000,00
73.415,00
5. Zwischensumme aus 4 bis 4
(Finanzerfolg)
73.415,00
6. Ergebnis der gewöhnliche
Geschäftstätigkeit
73.415,00
7. Steuern vom Einkommen und vom Ertrag
Körperschaftsteuer
25.000,00
8. Jahresabschluß
48.415,00
9. Bilanzgewinn
48.415,00
151
FIGURA 1.3: LO STATO PATRIMONIALE DELLA GMBH & CO KG AL 31.12.94
AKTIVA
A. Anlagevermögen
I. Immaterielle Vermögensgegenstände
1. Software
2,00
II. Sachanlagen
1. bebaute Grundstücke
2. Maschinen
3. Werkzeuge, Betriebsausstattung
26.176,00
2.857.594,00
1.557.472,00
III. Finanzanlagen
1. Wertpapiere
4.441.242,00
61.230,00
B. Umlaufvermögen
I. Vorräte
1. Betriebsstoffe
2. fertige Erzeugnisse
II. Forderungen
1. Foredrungen aus Lieferungen
2. sonstige Forderungen
23.195,00
818.900,00
842.095,00
1.185.436,21
3.645.811,077
4.831.247,98
III. Kassenbestand
771.512,36
C. Rechnungsabgrenzungsposten
1. Transitorische Posten
11.340,00
Summe AKTIVA
PASSIVA
10.958.669,34
A.Eigenkapital
I. Kommanditkapital
1. Einlagen Kommandatisten
1.000.000,00
B. Bedingt steuerfreie Rücklagen
I. sonstige unversteuerte Rücklagen I.
1. Investionsfreibeträge gemäß § 10
EStG
b. Rücklage gemäß § 12 Abs. 7 EStG
1.552.279,00
0,00
C. Kontokorrentkonto der Gesellschafter
1. Kontokorrentkonti der Gesellschafter
1.552.279,00
281.991,48
D. Rückstellungen
152
1. Rückstellungen für Abfertigungen
2. Steuerrückstellungen
3. sonstige Rückstellungen
E.Verbindlichkeiten
1. Verbindlichkeiten gegenüber Banken
2. Verbindlichkeiten aus Lieferungen
3. sonstige Verbindlichkeiten
75.184,00
17.422,00
487.000,00
579.626,00
2.719.170,00
3.630.466,39
11.180.677,91
7.530.314,30
F. Rechnungsabgrenzungsposten
14.458,00
Summe PASSIVA
10.958.669,34
FIGURA 1.4: IL RENDICONTO REDDITUALE DELLA GMHH & CO KG
DELL’ESERCIZIO 1994
1.Umsatzerlöse
19.092.879,82
2. sonstige Erlöse
a. Erträge aus dem Abgang vom
Anlagevermögen.
b. übrige
0,00
119.192,58
3. Betriebsleistung
119.192,58
19.212.072,40
4. Materialaufwand, Aufwendungen
für bezogene Leistungen
5.444.846,91
5. Personlaufwand
a. Löhne
b. Gehälter
e. Aufwendungen für Abfertigungen
d. gesetzlich vorgeschriebene
Sozialabgaben
e. sonstige Sozialaufwendungen
3.171.471,85
2.275.020,21
8.001,00
1.259.460,93
226.454,82
6.Abschreibumgen auf immaterielle
VermögensGegenstände und Sachanlagen
a. Planmäßige Abschreibungen
6.940.408,81
1.864.871,00
7. sonstige betriebliche Aufwendungen
a. Steuern
b.übrige
778.607,55
3.732.443,79
8.Betriebsergebnis
4.511.051,34
450.894,34
153
9.Zinserträge, Wertpapiererträge
30.722,41
10. Erträge aus dem Abgang von Finanzaniagen
0,00
11. Zinsen und ähnliche Aufwendungen
267.149,34
12. Finanzerfolg
-236.426,93
13. Ergebnis der gewöhnlichen Geschäftstätigkeit
214.467,41
14. Steuern vom Einkommen und vom Ertrag
0,00
15. Jahresüberschuß
214.467,41
16. Auflösung unversteuerter Rücklagen
a. sonstige unversteuerte Rückjlagen
116.417,00
17.Zuweisung zu unversteuerten
Rücklagen
a. sonstige unversteuerte Rückjlagen
201.159,00
18. Bilanzgewinn
129.725,41
FIGURA 1.5: PROSPETTO DI RAPPRESENTAZIONE DETTAGLIATA DELLE POSIZIONI
DELLO STATO PATRIMONIALE DELLA GMBH & CO KG AL 31.12.1994
Erläuterungen der AKTIVA
Anlagevermögen
Immateriale Vermögensgegenstände
Software
Sachanlagen
Gebäude
Maschinen
Maschinen
sonstige Geräte
(continua)
154
1994 in ATS
1993 in ATS
2,00
2,00
2,00
2,00
26.176,00
26.176,00
16.242,00
16.242,00
2.791.873,00
65.721,00
2.957.594,00
3.168.122,00
0,00
3.168.122,00
(segue)
Werkzeuge, Betreibsausstattung
Werkzeuge
Funkanlage, Telefon
Büro-Container
Büroeinrichtung
Büromaschinen
EDV
PKW
Fahrzeuge
Klein LKW
Anhänger
Finanzanlagen
Beteiligungen
Wertpapiere
Umlaufvermögen
Betriebsstoffe
Treibstoffe
sonstige Betriebsstoffe
fertige Erzeugnisse
Warenvorräte
14.999,00
35.273,00
205.590,00
9.996,00
3.123,00
95.384,00
37.383,00
800.078,00
92.000,00
263.646,00
1.557.472,00
25.120,00
49.234,00
351.528.00
1.779.274,00
1.904,00
59.326,00
61.230,00
1.904,00
60.035,00
61.939,00
11.795,00
11.400,00
23.195,00
7.532,00
4.730,00
12.262,00
818.900,00
818.900,00
932.800,00
932.800,00
1.185.436,21
0,00
1.185.436,21
1.758.375,43
-34.057,00
1.724.318,43
46.401,00
46.568,54
25.770,80
104.800,00
58.354,00
20.193,00
34.439,33
3.287.459,10
21.826,00
3.645.811,77
324.936,22
104,80
180.450,00
20.000,00
1.584,00
2.632.833,95
24.381,00
3.302.385,17
6.143,00
4.369,00
49.311,00
21.701,00
1.271.868,00
Forderungen
Forderungen aus Lieferungen
Forderungen aus Lieferungen
Pauschalwertberichtigung
sonstige Forderungen
Verrechnung Umsatzsteuer
Finanzamt
sonstige Forderungen
Gewerbesteuer-Aktivierung
Rückkaufswert Lebensversicherung
Lohnvorschuß
Forderungen aus EFZG-GKK
signore XYZ
Durchlaufskonto
(continua)
155
(segue)
Kassenbestand
Kassa
Bank X
Sparbuch
Bank Z
Rechnungsabgrenzungsposten
aktive Abgrenzung
60.621,25
290.340,69
34.420,80
476.570,89
33.289,20
387.251,22
771.512,36
1.014.588,44
1.130.915,46
2.656.495,59
11.340,00
11.340,00
Erläuterungen PASSIVA
1994 in ATS
1993 in ATS
1.000.000,00
1.000.000,00
0,00
570.109,00
318.314,00
462.697,00
201.159,00
1.552.279,00
274.881,00
570.109,00
334.093,00
462.697,00
1.641.780,00
0,00
0,00
100.638,00
100.638,00
Kontokorrenti der Gesellschafter
281.991,48
-31.762,28
Rückstellungen
Rückstellungen für Abfertigungen
Abfertigungsrücklage
75.184,00
75.184,00
67.183,00
67.183,00
17.442,00
17.442,00
38.925,00
38.925,00
447.000,00
40.000,00
487.000,00
1.797.000,00
40.000,00
1.837.000,00
2.719.170,00
2.719.170,00
2.746.258,00
2.746.258,00
Eigenkapital
Kommanditkapital
bedingt steuerfreie Rücklagen
Investitionsbeitrag 1990
Investitionsbeitrag 1991
Investitionsbeitrag 1992
Investitionsbeitrag 1993
Investitionsbeitrag 1994
Rücklage gemäß § 12 Abs. 7 EStG
Steuerrückstellungen
Rückstellung für GewSt
sonstige Rückstellungen
Rückstellung für Kultivicrung
Rückstellung für Rechtsberatung
Verbindlichkeiten
Verbindlichkeiten gegenüber Banken
(continua)
156
(segue)
Verbindlichkeiten aus Lieferungen
sonstige Verbindlichkeiten
verschieden Verbindlichkeiten
Finanzamt
Finanzamt
Dienstgeberbeitrag
Verrechnung DZ
Verrechnung Umsatzsteuer
Verrechnung Straßenverkehrsabgabe
sonstige Verbindlichkeiten
Verrechnung Gebietskrankenkasse
Lohnverrechnungskonto
Verrechnung Urlaubskasse
Gehaltsverrechnungskonto
Verrechnung Personalabgaben
Darlehen XYZ Gmbh
Verrechnung Gmbh
Rechnungsabgrenzungsposten
Zinszuschuß
Zinszuschuß
3.630.466,39
3.630.466,39
4.679.361,32
4.679.361,32
85.780,38
0,00
0,00
14.855,00
1.063,00
0,00
19.140,00
9.970,00
130.946,53
173.855,00
87.184,00
248.434,00
48.857,00
291.600,00
68.993,00
1.180.677,91
255.957,37
40.940,00
32.423,00
13.308,00
946,00
810,46
19.140,00
6.130,00
112.242,52
142.908,00
66.608,00
519.979,00
270.000,00 63.538,00
270.000,00
0,00
1.544.930,35
14.458,56
14.458,56
609,68
28.917,12
29.526,80
FIGURA 1.6: PROSPETTO DI RAPPRESENTAZIONE DETTAGLIATA DELLE POSIZIONI
DELLO STATO PATRIMONIALE DELLA GMHH & CO KG DELL’ESERCIZIO 1994
Erläuterungen der Gewinnund Verlustrechnung
Umsatzerlöse
Erlöse Schotter
Erlöse Vordergrundsteine
Erlöse Pflastersteine
Erlöse Mauersteine
Erlöse Frachten
Erlöse Export
verschiedene Erlöse
Skontoaufwand
Erlös Anlagenverkauf
(continua)
157
1994 in ATS
1993 in ATS
6.709.382,04
2.629.367,37
1.587.965,57
1.407.714,90
2.808.371,45
3.406.422,74
553.743,51
-10.087,76
19.092.879,82
8.882.678,92
482.335,29
1.221.441,77
1.021.365,50
3.375.365,07
3.437.088,76
493.391,06
-12.760,22
18.900.906,15
0,00
0,00
70.640,00
70.640,00
(segue)
Übrige
Erlöse Sprengstoffe
Erlöse Triebstoffe
sonstige betriebliche Erträge
Überzahlungen von Kunden
Versicherungsentschädigungen
Angleichung Lebensversicherung
Betriebsicistung
Materialaufwand
Bestandveränderung
Kies, Sand
Kalk, Gips, ecc
Betonkies
Frostkoffer
Pflaster- u. Wasserbausteine
Betonrohre
Kunstoffrohre
Schächte
Fertigbeton fremd
Baustahlgitter
StahL- u. Alufertigwaren
KanthoLz u. Dielen
Bretter
sonstiges Bauholz
Drahtstifte, Drähte
Subunternehmer Planung
Sonstiges Kleincisenzeug
Warenbezugskosten
Sonstige Fremdarbeiten
Kleingeräte, Kleingerüste
Transporte Fremd
Sprengmittel
Diesel
Fremdgeräte u. Fremdpersonal
(continua)
158
35.592,73
4.768,49
47.974,86
1.240,50
0,00
29.616,00
119.192,58
5.907,93
4.886,82
6.075,04
560,96
9.005,00
41.468,00
67.903,75
19.212.072,40
19.039.449,90
113.900,00
324.473,57
295,59
5,761,93
483.239,83
2.038.164,28
393,57
10.664,33
2.341,45
89.621,88
9.506,30
43.191,80
190,83
3.035,90
84.488,33
4.019,18
46.520,00
8.463,44
21.446,43
455.444,51
29.074,68
130.140,85
332.432,84
1.154.533,55
53.501,84
5.444.846,91
38.800,00
1.603.302,25
0,00
1.194.924,57
510.867,10
1.092.951,39
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
0,00
66.150,00
5.498,33
0,00
5.544,96
8.907,01
43.588,00
16.890,34
175.623,96
312.293,17
1.117.060,24
1.300,00
6.193.701,32
(segue)
Personalaufwand
Löhne
Lohnkosten KV A/K3
Lohnkosten über KV
Lohnkostenprämien
Überstundenzuschlag
Aushilfslöhne
Nichtleistungslöhne
Urlaubszuschlag
Krankenentgelt
Weihnachtsgeld
Gehälter:
Fremdlöhne u. -gehälter
Geschäftsführungsvergütung
Gehälter
Überstunden
Nichtleistungsgehälter
Weihnachtsgeld
Urlaubsgeld
Aufwendung fúr Abfertigung:
Abfertigung
Angleichung
Sozialabgaben (gesetzlich):
Arbeitgeberanted Arbeiter
Arbeitgeberanteil Gehälter
Sozialversicherung Unternehm.
DB Arbeiter
DZ Arbeiter
DB Angestellter
DZ Angestellter
Kornunalsteuer
sonstige Sozialabgaben:
freiwilliger Sozialaufwand
Arbeitskieidung
Reisekosten
Schulung, Fortbildung
Betriebsveranstaltungen
(continua)
159
1.609.855,73
670.411,28
31.300,00
197.592,56
0,00
420.860,08
33.143,00
789,67
207.519,53
3.171.471,85
1.078.245,63
370.481,25
86.900,00
79.554,67
6.200,00
3 13.276,55
152.964,00
12.588,90
134.949,25
2.235.160,25
558.097,51
710.738,92
703.311,25
44.213,20
136.659,33
61.000,00
61.000,00
2.275.020,21
10.036,00
0,00
667.089,62
39.587,13
214.418,88
80.560,00
80.560,00
1.092.251,63
0,00
8.001,00
8.001,00
476.232,00
-93.925,00
382.307,00
746.536,40
184.423,53
0,00
143.753,73
10.224,23
45.278,27
3.219,77
126.025,00
1.259.460,93
473.949,99
192.375,63
76.123,44
94.068,29
6.687,92
48.699,71
3.463,08
61.576,00
956.944,06
164.528,95
39.417,97
5.585,90
16.922,00
0,00
226.454,82
142.743,56
22.097,91
32.922,58
8.100,00
6.000,00
211.864,05
(segue)
Abschreibungen
planmäßige Abschreibungen
GWG
sonstige betriebliche Aufwendungen
Steuern
Straßenverkehrsbeitrag
sonstige Steuern
Gebühren u. Ablagen
Grundsteuer
Gemeindeabgaben
Landschaftsschutzabgabe
Gebühren u. Abgaben
Gewerbesteuer
Straßenerh. Gmd Mellau
Úbrige
Reinigungsmaterial
Elektromaterial
Ersatzteile Geräte
Reparaturmaterial
Fremdreparaturen
Schweißmaterial
Werkzeug
Fette, Öle
Gas, Sauerstoff
Instandhaltung Gebäude
Instandh. Grundstückeinrichtug
Instandhaltung B+G
Instandhaltung LKW
Haftpflichtversicherung C/K2
Sonstige Versicherungen An- und Rúckreise
Versicherungen KFZ
An- und Rückreise D/K3A
Krn-Gelder
Pacht Steinbruch
Gerätemieten
Fremdmieten
Telefon, Funk
Postgebühren
Strom
Gas, Wasser
Heizmaterial
Reifen
Benzin
(continua)
160
1.843.748,23
21.122,77
1.864.871,00
1.987.442,07
4.403,00
1.991.845,07
204,660,00
0,00
92.598,38
486,00
8.374,00
157.681,93
48.372,00
0,00
266.435,24
778.607,55
229.680,00
26.300,00
146.065,07
607,50
8.166,00
103.599,25
28.924,00
106.100,00
229.310,22
772.652,04
4.750,00
178,05
561.588,35
193.262,08
195.770,71
13.192,37
40.404,18
111.312,97
21.196,69
49.454,85
69.375,00
40.600,56
615.554,92
82.321,50
15.084,10
161.036,60
40.609,76
4.427,50
1.238.969,80
99.462,50
0,00
97.687,10
10.604,50
60.051,37
2.855,00
18.532,63
247.912,00
6.630,31
5.071,67
482,55
435.186,49
141.433,72
85.899,33
3.368,00
10.886,88
52.960,46
18.299,13
86.551,84
6.900,00
29.598,36
462.449,90
52.872,80
11.348,80
138.927,20
8.805,80
516,00
979.466,16
0,00
4.000,00
82.466,14
7.546,00
31.985,16
1.100,00
40.277,49
237.279,32
11.400,82
(segue)
PKW Pajero
PKW Mercedes
PKW Subaru
Büroaufwand
EDV Kosten
Werbung
Rechts- u. Beratungskosten
Sonstiger Aufwand
Bankspesen
Kursdifferenzen
Pauschalwertberichtigung
Kultivierungsaufwand
Schadensfälle
Buchwerte abgegangener Sach.
Erlös Anlagenverkauf
Deponiegebühren
Haftungsvergütung Gmbh
Betreibsergebnis
Zinserträge, Wertpapiererträge
Bankzinsen
Zinsen von Kunden
Erträge Wertpapiere
Erträge aus dem Abgang
von Finanzanlagen
Verkauf Wertpapiere
Zinsen und ähnliche Aufwände
Bankzinsen
Gesellschafterzinsen
Verzugszinsen
Zinsen Schuldwechsel
Finanzerfolg
Ergebnis der gewöhnlichen
Geschäftstätigkeit
(continua)
161
198.094,38
192.259,59
17.500,38
329.862,28
16.242,50
91.251,30
32.561,00
119.200,90
23.052,50
9.338,29
-34.057,00
-1.350.000,00
11.881,00
29.589,00
-24.940,00
17.782,27
50.000,00
3.732.443,79
163.761,39
206.814,50
15.615,60
235.212,08
0,00
40.271,06
56.576,00
372.170,04
31.416,66
-13.142,54
-14.263,00
112.500,00
2.820,00
2,00
-30.000,00
2.545,00
50.000,00
4.179.378,81
450.894,34
1.023.345,67
26.126,70
199,71
4.396,00
30.722,41
15.698,30
0,00
9.985,00
25.683,30
0,00
0,00
645,00
645,00
214.920,59
33.531,00
256.428,53
20.000,00
4.854,00
13.843,75
267.149,34
204,00
17.131,00
293.763,53
-236.426,93
-267.435,23
214.467,41
755.910,44
(segue)
Steuern vom Einkommen u. Ertrag
Gewerbesteuer
Jahresüberschuß
Auflösung unverst.Rücklagen
Aufl. Investitionsfreibetrag
Aufl. Rücklage gem § 12
Zuweisung zu unverst. Rücklagen
Zuw. Investitionsfreibetrag
Zuw. Rücklage gem § 12
Bilanzgewinn
0,00
0,00
106.100,00
106.100,00
21.446.741,00
649.810,44
15.779,00
100.638,00
116.417,00
0,00
0,00
0,00
201.159,00
0,00
201.159,00
462.697,00
100.638,00
563.335,00
129.725,41
86.475,44
2. Lo studio di un caso aziendale. L’impresa Migros
Il secondo caso di concreto calcolo del valore aggiunto ha per oggetto l’impresa svizzera Migros nell’ambito della redazione del bilancio sociale. La Federazione delle Cooperative Migros è un colosso che
comprende una banca (Banca Migros), una compagnia di distribuzione
di prodotti petroliferi (Migrol), una società specializzata in organizzazione di viaggi (Hotelplan), una società di informatica (M-Informatic),
una compagnia di assicurazioni (Secura), una casa editrice (Ex Libris)
ed altre ancora, più una serie di imprese di produzione che spaziano
dalle conserve alimentari ai biscotti. Il fatto più straordinario di questa
impresa di distribuzione è che probabilmente non ha eguali per qualità
e quantità dell’offerta di servizi primari e secondari, diretti ed indiretti,
che abbiano come obiettivo primari la salvaguardia dell’ambiente e la
salvaguardia delle esigenze del consumatore.
I dati sono quelli relativi all’esercizio del 1994 e relativi
all’esercizio del 1993. Innanzitutto si può osservare che Migros ha
calcolato il valore aggiunto (Nettowertschöpfungsrechnung) della
gestione complessiva detraendo dall’Unternehmungsleistung (risultato
complessivo dell’impresa) le Vorleistungen (beni e servizi apportati da
economie terze) e le Abschreibungen (quote di ammortamento). Il valore aggiunto netto quindi corrisponde a 4.057 milioni di franchi sviz162
zeri per l’esercizio del 1994, mentre per quanto riguarda l’esercizio del
1993 il valore aggiunto netto ammonta a 3.924 milioni di franchi svizzeri.
La Wertschöpfungsverwendungsrechnung invece rappresenta la distribuzione del valore aggiunto netto fra le varie classi di interesse
aventi diritto che sono il personale, la “mano pubblica”, i titolari del
capitale di terzi, la società ed infine l’impresa Migros stessa. Al personale è stato distribuito il 84,3 % dei valore aggiunto netto, mentre alla
“mano pubblica” è stato distribuito il 2,7 %. La parte che è stata distribuito alla società e che riguarda impieghi a scopo sociale, culturale
ed ambientale, è uguale al 2,6 % del valore aggiunto netto, mentre la
remunerazione del capitale di terzi ammonta a 2,1 % del valore aggiunto netto. Infine l’importo che rimane all’impresa Migros è uguale
al 8,3 % del valore aggiunto netto.
WERTSCHÖPFUNGSRECHNUNG DER MIGROS-GEMEINSCHAFT 1994
IN DEN VORLEISTUNGEN SIND ALLE VON DRITTEN BEZOGENEN GÜTER UND
DIENSTLEISTUNGEN SOWIE AUFWENDUNGEN WIE MIETZINSEN, ENERGIE USW.
ENTHALTEN.
A) Enstehung in Mio Fr.
1994
1993
16.127
11.4361
634
4.057
15.463
10.963
576
3.924
B) Verteilung in %
1994
1993
an Mitarbeiter
an öffentliche Hand
an Gescllschaft
an Kreditgeber
an Unternehmung
84,3
2,7
2,6
2,1
8,3
84,0
3,1
2,1
1,8
8,4
Unternehmungsieistung
- Vorleistungen
- Abschreibungen
Nettowertschöpfung
Die Nettowertschöpfung zeigt den von der M-Gemeinschaft in einem Jahr geschaffenen Wertzuwachs. Im abgelaufenen Berichtsiahr beträgt die Nettowertschöpfung
25,2 % der Unternehmungsleistung.
163
VERWENDUNG DER WERTSCHÖPFUNG
Mitarbeiter
Die nominelle Erhöhung beträgt Fr. 124,9 Mio, was einem prozentualen Zuwachs von 3,8 % entspricht. Diese Zunahme ergibt sich einerseits durch die an alle
Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter gewährten generellen und auch leistungsbezogenen Lohnerhöhungen und andererseits durch die Zunahme der Personaleinheiten
infolge Expansion. Die Mitarbeiter partecipieren an der Wertschöpfung mit einem
um 0,3 % höheren Anteil zum Vorjahr.
Öffentliche Hand
Der Anteil der öffentlichen Hand sinkt um 0,4 % Punkte, da die Steuerleistungen
für die Staats- und Gemeindesteuern wie auch für die Bundessteuern aufgrund der
steuerbaren Erträge rückläufig sind.
Geselschaft
Die zuwendungen für kulturelle, soziale und wirtschaftspolitische Zwecke von
nominell Fr. 107,0 Mio oder 2,6 % der Wertschöpfung vermindert sich gegenüber
dem Vorjahr um 0, 1 % Punkte. Die Ausgaben überschreiten nach wie vor den statutarischen Sollaufwand.
Kreditgeber
Der Anteil an die Kreditgeber erhöht sich um 0,3 % Punkte, bedingt durch die
Erhöhung des Fremdkapitals und die damit verbundene Zunahme des NettoFinanzaufwandes.
Unternehmung
Obwohl im Zusammenhang mit der Ausland-Expansion höhere Kosten zu verzeichnen sind, kann der in der Unternehmung verbleibende Anteil aufgrund des
erwirtschafteten Ergebnisses auf 8,3% gehalten werden.
164
GRAFICO 2.1: LA DISTRIBUZIONE DEL VALORE AGGIUNTO NETTO DELL’IMPRESA
MIGROS DELL’ESERCIZIO 1994
capitale di terzi
MIGROS
personale
Stato
3%
società
2%
3%
8%
84%
165
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http://www.unicatt.it/librario
versione digitale 2007
ISBN 978-88-8311-076-4