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FRANCO DALLA SEGA IL CONCETTO DI VALORE AGGIUNTO NELLA DOTTRINA ECONOMICO-AZIENDALE TEDESCA Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolica FRANCO DALLA SEGA IL CONCETTO DI VALORE AGGIUNTO NELLA DOTTRINA ECONOMICO-AZIENDALE TEDESCA Milano 2000 © 2000 I.S.U. Università Cattolica – Largo Gemelli, 1 – Milano http://editoriale.cjb.net ISBN 88-8311-076-5 INDICE Presentazione ....................................................................................... 7 di Gilberto Mazza Introduzione.......................................................................................... 9 CAPITOLO I L’EVOLUZIONE DEGLI STUDI SUL BILANCIO D’ESERCIZIO 1. Da una visione statica a un’interpretazione dinamica del bilancio d’esercizio ................................................................... 13 1.1 L’interpretazione statica del bilancio di esercizio.............. 14 1.2 L’interpretazione dinamica del bilancio di esercizio ......... 15 1.3 Le nozioni statiche e dinamiche......................................... 20 2. Il concetto di reddito nel pensiero scientifico di Eugen Schmalenbach ........................................................................... 22 2.1 Le nozioni affini di reddito ................................................ 22 2.2 Il reddito di esercizio nella Privatwirtschaft...................... 24 2.3 Il reddito di esercizio quale parte del reddito totale........... 25 2.4 Il reddito di esercizio come differenza tra capitale iniziale e capitale finale ..................................................... 27 2.5 Il reddito di esercizio come differenza tra “produzione” e “consumo” ................................................ 27 2.6 Le fonti del reddito di esercizio ......................................... 28 3. L’interpretazione di M. R. Lehmann ........................................ 29 3.1 Umzatz versus Absatz......................................................... 29 3.2 Il capitale............................................................................ 30 3.3 Il risultato di esercizio........................................................ 33 3 4. L’economia dei valori di H. Nicklisch ..................................... 36 4.1 Le fasi della gestione aziendale ......................................... 38 4.2 Le grandezze economiche costituenti il Wertumlauf ......... 39 CAPITOLO II L’ECONOMICITÀ SOCIALE DELL’IMPRESA E IL VALORE AGGIUNTO 1. Il valore aggiunto: possibili definizioni .................................... 43 2. Le diverse logiche di osservazione ........................................... 49 2.1 Aspetti macro-economici ................................................... 50 2.2 Aspetti economico-aziendali.............................................. 55 CAPITOLO III LA DETERMINAZIONE DEL VALORE AGGIUNTO 1. Le metodologie di calcolo......................................................... 71 1.1 Il procedimento di calcolo del valore aggiunto.................. 72 1.2 La componente positiva del calcolo del valore aggiunto ................................................................................. 80 1.3 La componente negativa del calcolo del valore aggiunto ................................................................................. 83 1.4 Il valore aggiunto come risultato della differenza tra la componente positiva e quella negativa ..................... 86 2. L’origine dei dati....................................................................... 89 2.1 Il calcolo del valore aggiunto in base alla contabilità industriale....................................................................... 89 2.2 Il calcolo del valore aggiunto in base alla contabilità generale .......................................................................... 91 2.3 Valore aggiunto lordo e valore aggiunto netto .................. 96 3. Il calcolo del valore aggiunto in alcuni settori.......................... 99 3.1 Il valore aggiunto nel settore commerciale ...................... 100 3.2 Il valore aggiunto nel settore bancario............................. 106 4. Il significato informativo del valore aggiunto ........................ 108 4.1 Nella produzione dell’impresa......................................... 109 4.2 Nella dimensione della stessa .......................................... 114 4.3 Quale indice di economicità e produttività ...................... 117 4.4 Valore aggiunto e distribuzione del reddito..................... 118 4 CAPITOLO IV VALORE AGGIUNTO E RENDICONTO “SOCIALE” 1. Significato di un rendiconto non soltanto economico............. 125 2. Motivi per successive indagini................................................ 135 APPENDICE 1. Lo studio di un caso aziendale. La società XYZ..................... 139 2. Lo studio di un caso aziendale. L’impresa Migros ................. 162 Riferimenti bibliografici ................................................................... 167 5 PRESENTAZIONE È comprensibile il compiacersi, di chi ha dedicato una vita all’insegnamento, nel ritrovare alcuni suoi studenti che, dopo la laurea, siano andati a leggere alcuni dei libri segnalati alla loro attenzione per approfondire conoscenze di dottrina, avendo deciso di percorrere il non facile sentiero della ‘ricerca’ quale conquisitio e, nel tempo disputatio, indagando fenomeni attinenti la realtà di una certa disciplina. Franco Dalla Sega ha operato questa scelta, conseguendo così il Dottorato di ricerca in Economia Aziendale, trascorrendo anche un biennio all’Università di Monaco di Baviera. L’argomento oggetto di questa pubblicazione trova radici negli studi sul valore condotti attorno a questa ‘entità’ nell’ambito dell’economia delle imprese, soprattutto in quel tessuto di rigorosa dottrina mitteleuropea, spesse volte soverchiata da una letteratura d’Oltreoceano improntata (salvo ben conosciute e ben significative eccezioni) da un diffuso e convinto pragmatismo. Non posso non ricordare (mi si perdoni) un lavoro che ho pubblicato nell’ormai lontano 1969 sullo studio del valore nelle discipline economiche di azienda (in generale) attingendo da molte fonti della dottrina di lingua tedesca, fonti alle quali è riandato il nostro Autore, arrivando a risultati ottenuti con acume, attraverso un filtro affatto personale. Se l’entità-valore è già di per sé di non facile ‘quantificazione’ (vi si interpongono inevitabili giudizi di qualità), delineare delle aree di incremento per motivate applicazioni è un problema che presenta ulteriori difficoltà. Si annoti – pur marginalmente – come la grandezza del ‘valore aggiunto’ sia divenuta oggetto di rilievo persino nell’ambito delle Amministrazioni pubbliche che, a livello europeo, hanno ritenuto di applicare un’imposta per sostituire quella ‘sull’entrata’ palesatasi non equa poiché ‘a cascata’ (introducendo 7 però un’imposta sostanzialmente ‘a catena’ dove l’ultimo anello – il consumatore finale – subisce il peso maggiore della stessa catena). Il saggio di Franco Dalla Sega merita un apprezzamento per le analisi che ha saputo condurre, svolgendole con rigore di metodo e con la consueta chiarezza di linguaggio. Nella convinzione che queste pagine saranno motivo di interessante lettura per chi si occupa di discipline economico-aziendali, mi auguro che l’Autore altre ne aggiunga con l’abituale suo impegno di lavoro. Gilberto Mazza Ordinario di Economia aziendale Università Cattolica - Milano 8 INTRODUZIONE La disciplina ragionieristica si è evoluta in primo luogo nel campo delle tecniche contabili e, in seguito, nello studio delle operazioni aziendali oggetto di misura di quelle tecniche, considerando quantità monetarie denominate valori di conto o valori di negoziazione. Il presente lavoro costituisce una “tappa” del percorso di studio del valore nell’economia d’azienda intrapreso da chi scrive, che trova origine nei primi anni universitari e che si è arricchito di premesse sistematiche in approfondimenti successivi. Grazie anche a un periodo di studio svolto in occasione del dottorato di ricerca presso la Ludwig Maximilians Universität di Monaco di Baviera, ci si è avvicinati al pensiero di alcuni Autori di lingua tedesca che, nella prima metà del XX secolo, pur non ignorando la funzione economico-privata dell’impresa attuata a fini di lucro dall’imprenditore, hanno considerato la stessa sostanzialmente come uno strumento di produzione nella società. L’economicità sociale (Wirtschaftlichkeit) del Betrieb e non la sua redditività rappresenta per tali Autori il principio di convenienza economica in nome del quale l’impresa dovrebbe essere gestita e giudicata. L’obiettivo per l’impresa è costituito dal raggiungimento dell’economicità rappresentata non tanto da massimi livelli di profitto o di redditività del capitale, ma da riduzioni nei costi unitari di produzione in modo da rendere possibile il contemporaneo accrescimento della produzione, della remunerazione della forza lavoro e la diminuzione dei prezzi di vendita. L’economicità così definita è condizione necessaria e sufficiente per il conseguimento di una congrua redditività, mentre non è detto valga l’affermazione inversa. Il reddito del Betrieb dovrebbe esprimere l’efficienza dello stesso rispetto all’economia collettiva e non all’economia privata dell’imprenditore; costi e prodotti del Betrieb andrebbero quindi misurati sulla base del 9 loro valore “economico-sociale” anziché in base ai prezzi negoziati che determinano a loro volta i costi e i ricavi. Dato che l’economicità sociale del Betrieb costituisce per tali Autori il principio di convenienza economica, il risultato d’esercizio dovrebbe essere determinato a sua volta sulla base di principî e criteri di valutazione ispirati alla Wirtschaftlichkeit. Il risultato d’esercizio dovrebbe esprimere il “plusvalore” (Mehrwert) che scaturisce dal confronto tra la ricchezza consumata dalla collettività e quella prodotta e destinata alla collettività stessa. Si intravedono in questo concetto le caratteristiche fondamentali del “valore aggiunto”, che può essere definito come la differenza tra quanto l’impresa ha prodotto nell’arco di tempo considerato e quanto ha consumato, ovvero utilizzato in termini di beni e servizi apportati da terze economie; il rendiconto che ne quantifica l’ammontare individua nel contempo anche la sua distribuzione fra le categorie di aventi diritto. Il valore aggiunto costituisce altresì “l’anello di congiunzione” tra la contabilità d’impresa e la contabilità economica nazionale e può pertanto assumere anche la funzione di indicatore dell’efficacia macro del sistema-impresa. La ricerca ha per oggetto l’analisi delle differenti concezioni di valore aggiunto formulate nella dottrina economico-aziendale tedesca, allo scopo di dimostrare come tale indicatore possa costituire una risposta agli interrogativi di fondo collegati all’economicità sociale del Betrieb. Tale finalità richiede un rapporto evoluto tra impresa e società, che mette in risalto l’importanza e la responsabilità della prima nei confronti della seconda. Alle imprese viene richiesto il perseguimento di obiettivi economico-sociali, il cui raggiungimento non può essere evidenziato solamente prendendo in considerazione il reddito di esercizio. Di conseguenza vanno elaborati strumenti informativi idonei a fornire risposte alle esigenze informative delle diverse classi di interesse partecipanti al processo economico. Nel primo capitolo si presenta il pensiero di tre Autori con riferimento all’evoluzione del concetto di reddito nell’economia dell’impresa. Gli aspetti del pensiero di Schmalenbach, Lehmann e Nicklisch che saranno oggetto di approfondimento riguardano sostanzialmente l’evoluzione del concetto di reddito nel tentativo di dare risposta agli interrogativi derivanti dalla concezione del finalismo 10 “sociale” d’impresa: che cosa conviene produrre per realizzare il massimo di economicità sociale? Quanto, quando e come giova produrre allo stesso fine? Il secondo e il terzo capitolo cercano di definire delle risposte adeguate agli interrogativi ricordati. Sulla base soprattutto dei contributi di Lehmann e di Nicklisch si presentano le diverse concezioni di valore aggiunto elaborate dalla dottrina, che vanno inquadrate nella Wertschöpfungsdenken, intesa come la “creazione di valore nell’economia sociale”. Le diverse metodologie di determinazione e di rappresentazione del valore aggiunto trovano origine in procedimenti di calcolo e fonti dei dati che variano a seconda del tipo di impresa, dei dati a disposizione e degli aspetti gestionali che si intendono rappresentare. Il significato informativo del valore aggiunto riflette le diverse prospettive di studio e di determinazione da cui lo stesso origina. Nell’ultimo capitolo si affronterà – in via sintetica – il problema della costruzione di modelli di contabilità “sociale”, nel tentativo di definire un articolato quali-quantitativo entro cui collocare le informazioni dirette ai diversi soggetti che entrano in contatto con l’impresa. Il rendiconto “sociale”, che si sviluppa dal calcolo del valore aggiunto, rappresenta infatti, ad oggi, il modello più diffuso di contabilità “sociale”. Da ultimo, nell’appendice si intendono rappresentare – avvalendosi di casi concreti – le modalità operative attraverso le quali è possibile quantificare il valore aggiunto. Milano, giugno 2000 11 CAPITOLO I L’EVOLUZIONE DEGLI STUDI SUL BILANCIO D’ESERCIZIO SOMMARIO: 1. Da una visione statica a un’interpretazione dinamica del bilancio d’esercizio. – 2. Il concetto di reddito nel pensiero scientifico di Eugen Schmalenbach. – 3. L’interpretazione di M. R. Lehmann. – 4. L’economia dei valori di H. Nicklisch. 1. Da una visione statica a un’interpretazione dinamica del bilancio d’esercizio La discussione sulla forma e sul contenuto dei bilancio d’esercizio sono di lunga tradizione nella dottrina tedesca. Tale processo viene riassunto con il termine di Bilanztheorien, ossia teorie del bilancio d’esercizio. In tale contesto è possibile evidenziare tre fasi evolutive delle stesse1. La prima fase trova inizio con il passaggio dal diciannovesimo al ventesimo secolo con la costituzione delle prime Handelshochschulen; culmine di questa fase sono stati gli anni Venti in cui Schmalenbach è giunto alla completa teorizzazione della dinamicità del bilancio2. Schmidt3 frattanto ha concepito la teoria dell’organischen Bilanz e Rieger4 ha presentato la teoria del nominalen Bilanz. Alla metà degli anni Trenta inizia la seconda fase evolutiva in cui la dottrina tenta di applicare le nozioni teoriche alla realtà aziendale. Risultato di questo tentativo sono le pubblicazioni della Scuola di Schmalenbach (Schmalenbach-Vereinigung), aventi per oggetto i 1 COENENBERG, Jahresabschluß und Jahresabschlußanalyse, 14. Aufl., 1993, pag. 627. 2 SCHMALENBACH, Dynamische Bilanz, Leipzig, 1931. 3 SCHMIDT, Die organische Tageswertbilanz, Leipzig, 1929. 4 RIEGER, Einführung in die Privatwirtschaftslehre, Erlangen, 1928. 13 principi contabili e gli aspetti contabili delle singole classi di valore del bilancio d’esercizio. La terza ed ultima fase evolutiva incomincia negli anni Sessanta con la ricerca di soluzioni di questioni attuali come la determinazione fiscale del reddito, la riforma della legislazione del bilancio delle società per azioni e, soprattutto, l’internazionalizzazione dei mercati e quindi lo sforzo per individuare una normativa contabile unitaria per l’Europa. 1.1 L’interpretazione statica del bilancio di esercizio Il termine di “bilancio statico” è stato formulato da Schmalenbach per differenziare tutte le interpretazioni statiche del bilancio dalla sua interpretazione dinamica. Schmalenbach intende quindi per bilancio statico il bilancio che ha lo scopo di evidenziare uno stato (una situazione) dell’impresa, sia esso destinato a perdurare o temporaneo, avuto riguardo ad un certo istante temporale5. Secondo la concezione statica del bilancio, compito fondamentale del bilancio è la rappresentazione dello stato patrimoniale in un certo istante temporale, mentre il rendiconto reddituale ha soltanto un’importanza subordinata. Il reddito stesso viene determinato dalla comparazione dei patrimonio iniziale con quello finale e il rendiconto reddituale, in un primo momento, viene considerato un prospetto particolare a sé stante. Solo con Schär e Nicklisch il rendiconto reddituale viene collegato con lo stato patrimoniale: Schär considera infatti il rendiconto reddituale un conto secondario del conto del capitale proprio e quindi “spiega” i costi come riduzione dei capitale proprio e i ricavi come aumento dei capitale proprio collegando in tal modo il rendiconto reddituale con lo stato patrimoniale. Nicklisch invece individua un collegamento tra il rendiconto reddituale e lo stato patrimoniale in quanto lo stato patrimoniale dà evidenza delle rimanenze del patrimonio aziendale in essere alla chiusura dell’esercizio 5 SCHMALENBACH, Dynamische Bilanzen, 13. Aufl., überarbeitet von R. Bauer, Köln, 1962, p. 45: “Wenn die Bilanz die Aufgabe hat, einen Zustand des Betriebes zu schildern, sei es ein dauernden oder vorübergehenden Zustand, so nennen wir eine solche Bilanz eine statische Bilanz”. 14 (Beständebilanz), mentre il rendiconto reddituale dà evidenza dei valori di periodo (Bilanz der Periodenwerte). In questo bilancio dei valori di periodo le rimanenze di beni e servizi consumate e la forza lavoro impiegata vengono considerati costi, mentre i ricavi che si contrappongono a questi ultimi vengono rappresentati dal valore delle vendite dei beni prodotti nello stesso periodo. Solo dopo un lungo periodo, durante il quale ha prevalso la dottrina dello Schmalenbach, un gruppo di studiosi tra cui Le Courte hanno riproposto e riformulato la teoria statica proponendo un sistema “totale”6 che comprende i vari aspetti del processo economico7. Per Le Courte il bilancio non evidenzia più il patrimonio ma il capitale, intendendo per capitale non solo la fonte di finanziamento ma anche il complesso degli impieghi. In tal modo, il bilancio viene a svolgere una sorta di funzione “di controllo” dell’evoluzione del capitale e, conseguentemente, è strettamente collegato con il rendiconto reddituale in cui i costi vengono interpretati come deflusso di capitale ed i ricavi come afflusso di capitale. La differenza tra ricavi e costi se risulta positiva accresce il capitale (Kapitalzuwachs); se, invece, risulta negativa decresce il capitale (Kapitalvernichtung). Secondo Le Courte il compito dei bilancio è quello di evidenziare la situazione finanziaria, la composizione del capitale e, infine, i flussi generati dalla gestione economica. 1.2 L’interpretazione dinamica del bilancio di esercizio Se si attribuisce al bilancio di esercizio la funzione di rappresentare i flussi economici che si sono manifestati durante un intervallo di temporale, si parla di bilancio dinamico e, giacché in tal modo vengono 6 La principale critica di Schmalenbach ai sostenitori della teoria statica era quella di non tentare di definire un bilancio che soddisfacesse sia lo scopo di rappresentare la situazione patrimoniale che il risultato economico; cfr. SCHMALENBACH, Dynamische Bilanz, Leipzig, 1931, pag. 79 e segg. 7 La “totale Bilanzauffassung der Bilanztheorie” viene definita da Le Courte come “die alle Beziehungen der Bilanz erfaßt und formal wie materiell logisch in Eiklang bringt, d.h. zu lückenlosem System zusammenfügt”; cfr. LE COURTE, Bilanztheorien, in: “Handwörterbuch der Betriebswirtschaft”, hrsg. von SEISCHAB und SCHWANTAG, 3. Aufl., 1956/62, pag. 1172. 15 osservati i flussi che determinano il reddito d’esercizio dell’impresa, il bilancio dinamico viene anche denominato “bilancio del reddito” (Erfolgsbilanz)8. Si tratta, tuttavia, di una dinamicità che potremo chiamare “indiretta” in quanto la stessa deve essere intesa nel senso che i flussi vengono evidenziati mediante la comparazione tra lo stato iniziale e lo stato finale del patrimonio. L’interpretazione dinamica del bilancio, anche se era stata già introdotta da Schäffler e da von Millmowski alla fine del secolo scorso, ha trovato piena teorizzazione negli studi di Schmalenbach e riceve ulteriori spunti di approfondimento nelle opere di Walb e Kosiol. Secondo Schmalenbach scopo principale dei bilancio è il calcolo del reddito d’esercizio (“scopo dinamico”) anche se secondariamente può assolvere “scopi statici” come evidenziare il valore del patrimonio. Ciò in quanto è più importante misurare periodicamente il risultato ottenuto piuttosto che il valore del patrimonio. Per l’impresa è fondamentale sapere se è caratterizzata da un andamento economico positivo e quindi dalla capacità di creare ricchezza, oppure se è caratterizzata da un andamento costante e stagnante o addirittura negativo. In quest’ultima situazione anziché produrre ricchezza, l’impresa distrugge ricchezza. L’andamento positivo della gestione presuppone l’esistenza di un plusvalore (Mehrwert), ossia di una differenza positiva tra ricavi e costi. Scopo principale del bilancio d’esercizio non può che essere il calcolo del reddito d’esercizio (Erfolg) ossia la somma algebrica dei costi (Aufwand) e dei ricavi (Ertrag). In tal modo, non è lo stato patrimoniale (Bilanz) che gioca il ruolo principale all’interno dei bilancio d’esercizio (Jahresabschluß), bensì è il rendiconto reddituale9. Al fine del calcolo economico del reddito (Erfolgsrechnung) Schmalenbach distingue tra i componenti negativi e positivi di reddito come segue: costi (Aufwand), ricavi (Ertrag), spese (Ausgaben), introiti (Einnahmen). In particolare, spese ed introiti sono componenti 8 SCHMALENBACH, op.cit., Leipzig, 1931, pag. 80. SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1962, pag. 51: “Die Gewinn- und Verlustrechnung hat den Inhalt der Bilanz zu bestimmen und nicht die Bilanz den Inhalt der Gewinn- und Verlustrechnung. Das ist der Sinn der Erfolgsbilanz, daß sie nicht Herrin, sondern die Dienerin des Abschlusses ist”. 9 16 del calcolo dei reddito “totale”, ossia riguardante l’intera vita dell’impresa (Totalerfolgsrechnung), per cui il reddito totale risulta dalla differenza tra tutte le spese e tutti gli introiti. Tale nozione di Totalerfolgsrechnung è interessante dal punto di vista teorico, ma è irrilevante per la realtà aziendale. È noto che l’impresa normalmente è caratterizzata dal principio di perdurabilità e quindi la sua vita non si esaurisce entro un esercizio ma, di regola, si estende a più esercizi. Nella realtà quindi è necessario dividere la vita complessiva in periodi parziali al termine dei quali procedere al calcolo del reddito prodotto dall’impresa. Diventa pertanto rilevante determinare correttamente i costi ed i ricavi di competenza del singolo periodo considerato. Problema fondamentale diviene quindi l’evidenziazione delle possibili differenze tra spese/costi e tra introiti/ricavi (denominate da Schmalenbach schwebende Kräfte), ossia distinguere costi e ricavi di competenza da quelli che non sono ancora maturati o, al contrario, che sono già maturati10. Deve infatti essere chiaro che la spesa sostenuta nel periodo può essere considerata costo di competenza del periodo di cui si vuole determinare il reddito (come, ad esempio, il costo per salari e stipendi), costo di competenza del periodo successivo (materie prime in rimanenza in attesa di essere economicamente impiegati nel processo produttivo), costo del periodo precedente (canoni di locazione posticipati). Similmente, gli introiti del periodo possono essere ricavi di competenza del periodo oggetto di esame (vendite del periodo), ricavi di competenza del periodo successivo (acconti), ricavi di competenza del periodo precedente (canoni di locazione riscossi posticipatamente). Occorre poi tener conto degli incrementi di immobilizzazioni per lavori interni: i costi sostenuti internamente possono essere di piena competenza dell’esercizio in chiusura o di competenza dell’esercizio successivo o di quello precedente; lo storno indistinto di costi, che rappresenta un ricavo, conseguente alla capitalizzazione (parziale o totale) degli stessi, può essere considerato di competenza dell’esercizio in corso, di quello successivo o, infine, di quello precedente. 10 “Die Bilanz ist mithin die Darstellung des Kräftespeichers der Unternehmung”, cfr. SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1962, pag. 74. 17 Ne consegue che il rendiconto reddituale è la parte del bilancio d’esercizio che dà evidenza di tutti i costi e di tutti i ricavi di competenza dell’esercizio mentre lo stato patrimoniale assume il compito di “mettere in conto” tutte le spese e gli introiti che non sono costi e ricavi di competenza dell’esercizio di cui si vuole calcolare il reddito. Queste classi di spesa ed introito rimangono iscritti nello stato patrimoniale fino a quando essi non sono diventati costi e ricavi di competenza. Lo stato patrimoniale, anche se non necessario per il calcolo del reddito d’esercizio, è utile a stabilire una sorta di “collegamento economico” tra i vari esercizi. 1.2.1 L’evoluzione della teoria di Schmalenbach Come detto in precedenza, la teoria del bilancio dinamico elaborata da Schmalenbach viene successivamente approfondita da due studiosi di matrice germanica: Walb e Kosiol. Walb con la teoria Formaltheorie der dynamischen Bilanz sviluppa un sistema formato da due gruppi di conti: a) i conti del reddito (Konten der Leistungsreihe); b) i conti dei valori numerari (Konten der Zahlungsreihe)11. I primi si riferiscono ai flussi dei costi e dei ricavi e sono compresi nel rendiconto reddituale, mentre i secondi si riferiscono ai flussi numerari delle spese e degli introiti e sono compresi nello stato patrimoniale. Per calcolare il risultato ottenuto dall’impresa è sufficiente fare la differenza tra ricavi e costi oppure la differenza tra introiti e spese. Ciò tuttavia va bene fino a quando il risultato viene calcolato per l’intera vita dell’impresa (Totalerfolgsrechnung) ma, come ben sappiamo, nella realtà aziendale è di fondamentale importanza calcolare il risultato periodicamente per poter controllare l’andamento economico dell’impresa. Occorre stabilire i costi ed i ricavi di competenza dell’esercizio e pertanto il risultato della differenza dei conti del reddito sarà diverso dal risultato ottenuto dalla differenza dei conti dei valori numerari. Infatti quest’ultimo sarà in parte reddito di competenza dell’esercizio in corso, in parte reddito di competenza dell’esercizio 11 WALB, Finanzwirtschaftliche Bilanz, 3. Aufl., Wiesbaden, 1966. 18 precedente ed in parte di reddito di competenza dell’esercizio successivo. Tale problema “di competenza” viene risolto dal Walb con la Zurückverrechnung (risconti attivi e passivi) per le componenti di reddito di competenza dell’esercizio successivo e con la Nachverrechnung (ratei attivi e passivi) per le componenti di competenza dell’esercizio precedente. Un ulteriore sviluppo della visione dinamica del bilancio viene proposta da Kosiol che elabora uno schema più semplice riassumendo lo teoria di Schmalenbach e la teoria di Walb. Scopo principale della sua teoria è di evidenziare lo stretto collegamento delle categorie numerarie di spesa ed di introito con il calcolo del reddito d’esercizio, utilizzando tali categorie per interpretare tutto il bilancio di esercizio. Per questa ragione la teoria di Kosiol viene anche denominata dynamische pagatorische Bilanztheorie. Kosiol, a differenza di Walb, non opera con due tipi di categorie di conti perché ritiene che lo stato patrimoniale non sia solo uno strumento per collegare economicamente i vari esercizi nei quali si svolge l’unitaria gestione dell’impresa ma sia esso stesso uno strumento di natura numeraria per il calcolo del reddito d’esercizio12. Utilizzando unicamente le classi di valori numerari, Kosiol ha dovuto procedere ad un ampliamento delle nozioni di spesa ed introito o, più correttamente, dei valori numerari in uscita (Barausgaben) ed in entrata (Bareinnehemen). Sono state pertanto aggiunte altre due categorie di valori numerari al fine della corretta determinazione del reddito di esercizio (Verrechnungseinnahmen/Verrechnungsausgaben). Un interessante contributo viene poi apportato da Käfer13 che, con la sua zukunftsorientierten Bilanz, si oppone fortemente alla teoria statica del bilancio alla luce dell’importanza del principio della perdurabilità futura quale elemento per osservare l’impresa nel suo futuro operare. 12 KOSIOL, Bilanz und Bilanztheorie, in: “Handwörterbuch der Sozialwissenschaften”, hrsg. von BECKERRATH, Stuttgart, 1959, pag. 228: “der ursprüngliche Inhalt der Bilanz besteht nicht in den Bestandsgrößen, sondern in unsaldierten Einnahmen und Ausgaben selbst. Die Bilanz ist nicht nur Hilfsmittel der Erfolgsrechnung, die unabgerechnete Bestände an die nächste Periode witergibt, sondern selbst eine pagatorische Erfolgsrechnung”. 13 KÄFER, Bilanz der Zukunftsrechnung, Zürich, 1962. 19 Da quanto fin qui affermato emerge con sufficiente chiarezza che la disputa nella dottrina economico-aziendale tedesca in ordine al bilancio di esercizio si basa soprattutto sulla forma e sul contenuto dello stesso e sui principi contabili, avendo già, direttamente od indirettamente, individuato le finalità dello strumento informativo: determinazione del patrimonio (teoria statica del bilancio) oppure determinazione del reddito di esercizio (teoria dinamica del bilancio). Solo più recentemente si è scoperto che la determinazione del reddito, ossia la misurazione del grado di raggiungimento dell’obiettivo perseguito, o la determinazione del patrimonio, ossia valutazione del patrimonio in rimanenza atto al perseguimento di obiettivi futuri, sono obiettivi o scopi subordinati ed acquistano significato solo se esiste un obiettivo (finalità) superiore. 1.3 Le nozioni statiche e dinamiche Lo stato patrimoniale quale fondo di valori rappresenta la visione statica del bilancio, il rendiconto reddituale comprende i valori flusso ed è pertanto espressione della visione dinamica. È interessante osservare come i fenomeni statici e dinamici si differenzino sostanzialmente per il grado di astrazione con cui vengono considerati: infatti per i fenomeni statici si ignora totalmente il fatto che gli stessi si manifestano nel tempo. In tal modo, i fenomeni dinamici, denominati nell’ambito economico-aziendale come “valori flusso” (costi sostenuti e ricavi conseguiti durante il periodo amministrativo) sono osservabili e misurabili solo entro un determinato intervallo temporale, mentre i fenomeni statici, denominati valori fondo (complesso delle attività e delle passività patrimoniali), sono considerabili slegati dal decorso temporale e quindi misurabili in un determinato temporale anche infinitamente piccolo. Per questa ragione la visione statica e la visione dinamica sono due modi di osservare l’economia a sé stante e non coordinabili; la visione statica fa parte di quella dinamica, come si è cercato di evidenziare nella figura che segue. 20 FIGURA 1.1: LA VISIONE STATICA QUALE PARTE DELLA VISIONE DINAMICA Visione dinamica Visione statica Ad una tale conclusione si perviene se si considera che i fenomeni statici sono anche fenomeni dinamici, con la possibilità di astrarre tale visione e slegarla dal percorso temporale. Le definizioni di statica e dinamica esposte riprendono in parte quelle proprie della meccanica: infatti, la meccanica definisce la dinamica come teoria del moto e la statica come teoria della quiete. Il moto, tuttavia, non è solo pensabile all’interno di un intervallo temporale, la quiete anche in un determinato momento temporale (cfr. figura 1.2)14. FIGURA 1.2: IL CAMPO DI VALIDITÀ DELLE NOZIONI STATICHE E DINAMICHE Campo di validità delle nozioni statiche Campo di validità delle nozioni dinamiche 14 LEHMANN, Allgemeine Betriebswirtschaftslehre, Leipzig, 1928, pag. 73: “Der Vollständigkeit wegen sei darauf hingewiesen, da der Gedankeinhalt der hier entwickelten Begriffe der Statik und Dynamik genau dem entspricht, der in der Mechanik vorhanden ist. Denn hier definiert man die Dynamik als die Lehre von Bewegung, die Statik als die Lehre von der Ruhe”. 21 2. Il concetto di reddito nel pensiero scientifico di Eugen Schmalenbach Schmalenbach sostiene che lo scopo principale del bilancio è il calcolo del reddito (Erfolgsrechnung), perciò egli sottolinea l’importanza dell’aspetto dinamico del bilancio e quindi del rendiconto reddituale. Schmalenbach però ha sempre sostenuto lo scopo unitario del bilancio di esercizio (teoria monistica) a differenza della teoria dualistica cui apparteneva Schmidt che persegue il calcolo del patrimonio e del reddito con scopi diversi (sia dinamici che statici)15. Molti Autori hanno forse mal interpretato il pensiero dello Schmalenbach sostenendo che egli avesse teorizzato che l’unico scopo del bilancio fosse quello dinamico (ossia la determinazione del reddito di esercizio). In realtà, la proposta di dinamicità del bilancio costituisce la forma ideale per un bilancio che persegua tale scopo, benché allo stesso possano essere attribuite anche altre finalità. Un bilancio così redatto può infatti assolvere anche a compiti statici purché gli stessi vengano interpretati in un’ottica dinamica, ossia dal punto di vista della dinamica del reddito16. 2.1 Le nozioni affini di reddito Schmalenbach individua anzitutto alcune nozioni affini di reddito richiamando gli studi in ordine alle diverse nozioni di reddito compiuti da Bauckner17, evidenziandone gli aspetti più controversi. In particolare, la Konsumtionsfondstheorie considera il reddito solo dal punto di vista del consumo e quindi essa non risulta atta a definire in maniera completa la nozione di reddito di esercizio; la Periodizitätstheorie considera unicamente la periodicità dei ricavi come caratteristica ultima del reddito; la Quellentheorie considera solo la fonte del reddito ma non perviene ad una definizione positiva. Anche la Ertragskategorie è troppo riduttiva giacché definisce il reddito unicamente come 15 SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1931, pagg. 79-86. Cfr. la prefazione di SCHMALENBACH all’opera Dynamische Bilanz, Leipzig, 1931. 17 BAUCKNER, Der privatwirtschaftlicher Einkommensbegriff, Mühldorf a. Inn, 1921. 16 22 provento (Ertrag). L’unica nozione di reddito accettabile risulterebbe quindi essere la Reinvermögenszugangstheorie, anche se non indaga in maniera compiuta le fonti del reddito. Essa infatti definisce come reddito tutti gli elementi che accrescono il patrimonio iniziale e che possono essere consumati senza diminuire il patrimonio iniziale (Stammvermögen). Ciò impone però di assumere l’ipotesi dell’invariabilità del valore del patrimonio benché il valore stesso sia di natura variabile. In tal modo il capitale finale calcolato come somma algebrica del capitale iniziale, del reddito prodotto, del reddito consumato non rappresenterebbe il capitale finale effettivo in quanto non viene considerata la variabilità del valore del capitale iniziale e quindi non è idoneo ad evidenziare il capitale finale ed il reddito. Se le nozioni di reddito affini studiate da Bauckner non risultavano appaganti sotto molteplici aspetti anche la nozione fiscale del reddito non soddisfaceva Schmalenbach. Le definizioni di Strutz18 e di Fuisting19 di reddito fiscale sono formulate infatti in modo tale da rispettare la normativa fiscale ma non evidenziano il reddito d’esercizio vero e proprio. Aspetto tuttavia interessate è la distinzione fatta da Fui- 18 STRUTZ, Die Einkommenssteuer, in “Handbuch des Reichssteuergesetzes”, Berlin, 1924, pag. 51: “Der Überschuß der dem einzelnen von der Gesamtheit – soweit sie nicht in Geld bestehen, in solchem nach ihrem Werte in Rechnung zu stellenden – ihm in einer bestimmten Periode aus dauernden Quellen der Gewinnung von Mittel zur Bedürfnisbefriedigung zufließenden Reinerträge und Nutzungen nach Abzug des Gesamtbetrages der – soweit sie nicht in Geld bestehen, ebenfalls in solches unzurechnenden – innerhalb derselben Perioden bei solchen Ertragsquellen durch Zurückbleiben ihrer Reinerträge hinter den Werbekosten erlittenen Verlusten und der Dritten auf Grund besonderer Rechtstitel zu gewährenden periodischen und daher aus den periodisch wiederkehrender Einnahmen zu bestreitenden Sachgüterleistungen verbleibt und daher von ihm ohne Verminderung des Geldwertes seines bei Beginn der Periode vorhanden gewesenen Vermögen verbraucht werden kann, soweit er nicht verbraucht wird mithin dieses Vermögen vermehrt”. 19 FUISTING, Die preußischen direkten Steuern, 4. Bd., “Grundzüge der Steuerlehre”, Berlin, 1902, pag. 110: “Die Gesamtheit der Sachgüter, welche in einer bestimmten Periode (Jahr) dem einzelnen als Erträge dauernder Quellen der Gütererzeugung zur Bestreitung der persönlichen Bedürfnisse für sich und für die auf den Bezug ihres Lebenunterhalts von ihm gesetzlich angewiesenen Person (Familie) zur Verfügung stehen”. 23 sting20 tra reddito ed aumento del valore del patrimonio aziendale (Vermögenszuwachs): infatti non tutte le variazioni del valore del patrimonio sono dovute al reddito di esercizio ma anche a cambiamenti strutturali dell’impresa e a eventi congiunturali. Ne consegue una nozione restrittiva di reddito (Betriebsgewinn). Un’ultima nozione di reddito affine che viene presa in considerazione da Schmalenbach è quella di reddito “ripartibile” tra i portatori del capitale di rischio e le riserve (aktienrechtlicher Gewinn). E’forse una nozione di reddito “giuridica” (Juristen Gewinn) che ha scarso rilievo da un punto di vista economico-aziendale. Il reddito prodotto durante l’esercizio ed il reddito distribuibile sono dunque due nozioni distinte e Schmalenbach sottolinea che la nozione di reddito di esercizio ricercata non può che essere quella di reddito prodotto dall’impresa e non già quella di reddito distribuibile21. 2.2 Il reddito di esercizio nella Privatwirtschaft Il pensiero scientifico di Schmalenbach rifugge dal presupposto che l’unico scopo di un’impresa sia la produzione di reddito. Egli infatti interpreta l’impresa non tanto come strumento per il conseguimento del profitto dell’imprenditore quanto quale organismo del sistema economico che adempie la funzione sociale di produrre beni e servizi22, distinguendo nettamente il reddito che si basa sull’interesse privato (lo scopo di lucro) e quello che si basa sull’interesse pubblico (partecipazione alla produttività del sistema economico). Il reddito che 20 FUISTING, op. cit., pag. 171: “Hiernach berühren auch die nicht als unmittelbare Folge des Betriebes erscheinenden Änderungen in den Werten des Anlagekapitals nur das Vermögen. Dies gilt sowohl für Verlust als auch für Zuwachs an Werten des Anlagenkapitals. Der Verlust darf als Minderung des Ertrages nur soweit in Betracht kommen, als die Vermögenssubstanz infolge von bestimmungsmäßiger Verwendung der Anlagen im Betriebe eine Wertminderung erfahren hat; dies geschieht mittels der Abschreibungen. Der Zuwachs muß dagegen bei Berechnung des Ertrages ganz unberücksichtigt bleiben”. 21 SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1931, pag. 90: “Gewinn bleibt für uns das Erzielte, nicht das Verteilbare”. 22 SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1931, pag. 94: “An sich interessiert der Betriebswirtschaftler der Richtung, der der Verfasser angehört, der wirtschaftliche Betrieb nur als ein Organ der Gemeinwirtschaft”. 24 si basa sull’interesse proprio dell’economia privata (Privatwirtschaft) risulterebbe quindi essere un reddito manipolato – tra l’altro – dalla costituzione di riserve occulte (stille Reserven), conseguente ad una politica di stabilizzazione del reddito e di costanza dei dividendi messa in atto da parte degli amministratori in funzione soprattutto degli interessi degli azionisti, dato che questi ultimi non sono legati in maniera stretta alla società e quindi sono portati ad assumere un atteggiamento opportunistico23. Al contrario, il calcolo del reddito di esercizio deve avere forma e contenuto tale da permettere di rappresentare nel modo più corretto possibile la capacità dell’impresa di raggiungere gli obiettivi di economicità24. 2.3 Il reddito di esercizio quale parte del reddito totale Esistono imprese che sono state costituite per compiere un unico affare oppure per perseguire determinati obiettivi di breve termine, mentre ci sono imprese che sono state costituite con un’ottica di più lungo termine. Mentre per i primi due casi è sufficiente calcolare il reddito prodotto alla conclusione dell’affare od al raggiungimento dell’obiettivo prefissato (Totalgewinn), per le imprese che sono destinate a perdurare per più esercizi si rende necessario calcolare il reddito già durante la vita aziendale. È di fondamentale importanza infatti avere a disposizione risultati intermedi al fine di studiare il grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati nonché al fine di studiare le componenti che hanno concorso alla formazione del reddito. Pertanto, calcolare il reddito periodicamente serve a garantire un’efficiente ed efficace di23 Schmalenbach utilizza la metafora del raccoglitore dei frutti di bosco per indicare gli azionisti opportunisti, mentre paragona il comportamento corretto a quello del contadino nei confronti della “sua” mucca: “behandeln sie das Unternehmen wie der Bauer sein Kuh, so wäre alles in Ordnung; aber sie behandeln es wie der streifenden Beerensucher einen Wald; sie nehmen alles weg, das Reife und das Unreife; denn wer die späteren Früchte erntet, weiß man nicht”; cfr. SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1931, pag. 91. 24 SCHMALENBACH, op.cit., Leipzig, 1931, pag. 93: “Die Gewinnrechnung muß so gestaltet werden, daß sich aus ihr eine möglichst richtige und möglichst eindringende Vorstellung der Wirtschaftlichkeit der Unternehmung ergebe”. 25 rezione dell’impresa ed a compiere interventi diretti e tempestivi tali da permettere un andamento economico positivo. Tali verifiche intermedie avvengono periodicamente allo scadere del periodo amministrativo e ciò permette di comparare i risultati ottenuti in esercizi precedenti o di altre imprese. Essendo il reddito di esercizio il reddito prodotto durante un periodo amministrativo esso rappresenta una parte del reddito totale per la cui determinazione è sufficiente effettuare la somma algebrica tra tutti gli introiti conseguiti e tutte le spese sostenute durante la vita dell’impresa. Nella periodica determinazione del reddito di periodo si impone invece il rispetto del principio della competenza, ossia va tenuto conto di tutti i costi e di tutti i ricavi di competenza dell’esercizio. Occorre inoltre tener conto di eventuali errori commessi in precedenti esercizi che impongono, ad esempio, di incrementare le quote ordinarie di ammortamento dei cespiti strumentali nel caso in cui la durata economica residua sia stata congetturata in maniera non corretta. Ne consegue che il reddito di esercizio risulta molto spesso inferiore rispetto a quello effettivamente prodotto. Schmalenbach, per evitare tale mancata corrispondenza, propone di costituire un conto speciale, denominabile conto del reddito aperiodico (aperiodisches Erfolgskonto), e di trasferire in esso tutti i costi e tutti i ricavi dovuti a tali integrazioni/rettifiche relativamente a fatti gestionali e valutazioni rispettivamente verificatisi ed operate in precedenti esercizi. Inoltre, al fine di coprire tali costi che, forse impropriamente potremo denominare come “straordinari”, si dovrebbe costituire un fondo di riserva da alimentare sia da accantonamenti sia da ricavi “straordinari”. Se si inserisce tale conto nel sistema di rilevazioni, risulta non essere più valida l’uguaglianza tra la somma dei redditi dei diversi esercizi e il reddito totale. Alla somma dei redditi va aggiunto l’aperiodisches Erfolgskonto, ottenendo la seguente uguaglianza: redditi d’esercizio + conto del reddito “aperiodico” = reddito totale 26 2.4 Il reddito di esercizio come differenza tra capitale iniziale e capitale finale Il calcolo della differenza del capitale (Kapitaldifferenzrechnung) individua il reddito di esercizio come differenza tra il patrimonio finale ed iniziale, aggiungendo i conferimenti di capitale (Kapitaleinlagen) e detraendone le relative riduzioni (Kapitalentnahme). Questa modalità di calcolo del reddito di esercizio, che potremo chiamare “differenziale”, non viene tuttavia accolta da Schmalenbach in quanto si basa sul presupposto che il valore del capitale rimanga invariato durante il periodo. Egli infatti intende il capitale aziendale quale complesso di beni patrimoniali il cui valore può essere calcolato, o meglio, stimato, solo avuto riguardo alla sua interezza e non già attraverso la sommatoria dei valori dei singoli elementi25. E’noto infatti come il valore del complesso patrimoniale debba rappresentare la capacità di produrre reddito in futuro e come quindi esso sia pari alla somma del valore attuale dei redditi futuri più il valore finale conseguibile in sede di liquidazione dell’impresa. Occorre a questo punto osservare che se si redigesse un Conto economico (Gewinn und Verlustrechnung) ed uno Stato patrimoniale è possibile pervenire alla determinazione del reddito dell’esercizio attraverso il confronto tra il patrimonio netto al tempo tn ed il patrimonio netto al tempo tn+1. Emerge quindi con evidenza come il reddito ottenuto dal calcolo del reddito (Erfolgsrechnung) coincida con quello ottenibile mediante il calcolo del capitale (Kapitalrechnung) e l’interdipendenza tra tali due modalità di calcolo del reddito. 2.5 Il reddito di esercizio come differenza tra “produzione” e “consumo” Schmalenbach critica la terminologia utilizzata per descrivere le componenti del reddito, ossia i ricavi (Ertrag) e costi (Kosten); a suo avviso infatti i termini “produzione” (Leistung) e “consumo” (Aufwand) sono più idonei a rappresentare l’aspetto economico della gestione, che consiste nell’ottenimento di una produzione a fronte del 25 SCHMALENBACH, Finanzierungen, Leipzig, 1922, pag. 5 e segg. 27 consumo dei fattori produttivi ed in un forte rapporto dell’impresa con l’ambiente esterno. Con tali precisazioni è pertanto possibile interpretare più compiutamente la nozione di reddito propria di Schmalenbach ossia valore della produzione al netto del valore del consumo26. Come in precedenza rilevato, occorre tuttavia precisarsi che il valore della produzione non è pari al valore degli introiti e che il valore dei consumo non è uguale alle spese. Schmalenbach osserva infatti che il “consumo” del periodo può essere spesa di competenza dell’esercizio in corso; spesa di competenza dell’esercizio successivo o spesa di competenza dell’esercizio precedente e che, corrispondentemente, la “produzione” ottenuta nell’esercizio può essere rappresentata da introiti di competenza dell’esercizio in corso, oppure di competenza dell’esercizio successivo o, ancora, di quello precedente. Ciò non implica che introiti e spese non siano corretti strumenti di misurazione della produzione e del consumo. 2.6 Le fonti del reddito di esercizio Le fonti del reddito di esercizio possono essere distinte in fonti interne e fonti esterne. Le prime sono riconducibili alla gestione dell’impresa; le seconde all’andamento del mercato e del sistema economico. Più in particolare, Schmalenbach intende per fonte interna di reddito la gestione dell’impresa in generale (Betriebsgebarung), ossia il modo efficiente di organizzare, amministrare e produrre all’interno dell’unità impresa; per fonti esterne di reddito egli intende invece le variazioni strutturali del sistema economico, le congiunture, i trend stagionali e la moda. Le prime sono esogene all’impresa, non influenzabili dalla stessa e conseguono allo sviluppo tecnologico; le congiunture si riferiscono ai cicli economici che evidenziano un andamento altalenante; i trend stagionali sono collegati al semplice decorso del tempo: alcune produzioni possono essere infatti realizzate solo in determinati periodi dell’anno, mentre altre possono essere commercializ- 26 SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1931, pag. 114: “Gewinn ist der Wert der Leistung vermindert um den Wert der Aufwendungen, beide gemessen an Ausgaben und Einnahmen”. 28 zate solo in altri. La moda, come noto, dipende dai gusti dei consumatori. 3. L’interpretazione di M. R. Lehmann Lehmann ritiene poco chiare le definizioni dei concetti fondamentali dell’economia aziendale formulate dalla dottrina tedesca, che non ha saputo analizzare ed interpretare in modo accurato le connessioni esistenti tra i diversi elementi costituenti la stessa. Egli è quindi alla ricerca di un sistema unitario, logico e ben definito sia in termini di elementi costitutivi sia in termini di costruzione sistematica27. Ora, pur riprendendo i concetti di “statica” e “dinamica” del sistema dei valori di bilancio, Lehmann constata che relazioni logiche tra concetti dinamici e statici si possono manifestare soltanto attraverso l’analisi della dinamica temporale28. Definisce pertanto Bezugsdauer il tempo necessario per l’esaurirsi dell’attività economica, Umsatzdauer il periodo in cui si svolgono le operazioni economiche, Umsatzgeschwindigkeit come “reciproco” della Umsatzdauer e, infine, Nutzungsdauer del capitale e della forza lavoro il periodo durante il quale il soggetto economico dispone di una certa quantità di capitale e di forza lavoro per le trasformazioni economiche (Umsatz). 3.1 Umzatz versus Absatz Il sistema unitario formulato da Lehmann si basa su tre elementi: Umsatz, Kapital, Erfolg. La prima è una grandezza dinamica in quanto legata a concetto di intervallo temporale che non deve essere confusa con l’Absatz. L’Umsatz è infatti l’insieme di operazioni economiche poste in essere nell’arco temporale considerato; l’Absatz rappresenta il fatturato complessivo. Per la corretta misurazione dell’Umsatz occorre procedere all’analisi del contributo delle singole operazioni economiche. Lehmann distingue quest’ultime in Mengenumsatz, operazioni economiche che sono caratterizzate da un aspetto fisico-materiale (come, 27 28 LEHMANN, Allgemeine Betreibswirtschaftslehre, Leipzig, 1928, pag. 70. “Gewirtschaftet werden kann nur in der Zeit”; cfr. LEHMANN, op. cit., pag. 86. 29 ad esempio, il consumo di materie prime, il numero di ore di lavoro, etc.) ed in Wertumsatz29, operazioni economiche caratterizzate da un aspetto di valore (mezzi di pagamento, fatturato, etc.). Tra le molteplici categorie di Umsatz che vengono prese in considerazione da Lehmann, ne spiccano due in particolare: Umsatzkosten e Umsatzertrag che rappresentano rispettivamente l’insieme dei costi sostenuti e dei ricavi conseguiti nello stesso periodo di riferimento. La loro somma algebrica dà evidenza del risultato ottenuto dall’impresa in un dato periodo. Tale eccedenza di valore (Wertűberschuß) viene denominata Umsatzerfolg la cui rilevazione è compito del rendiconto reddituale. Se tale eccedenza è positiva, saremo in presenza di un utile (Umsatzgewinn), mentre di una perdita (Umstzverlust) in caso contrario. 3.2 Il capitale La nozione di capital (Kapital) è invece caratterizzata dalla sua natura statica. Il capitale si riferisce ad un certo momento temporale rappresentato dalla data di chiusura dell’esercizio (Bilanzstichtag). Lehmann definisce il capitale come forza (quasi in termini matematici e fisici) da cui deriva il risultato di esercizio (Umsatzerfolg). Il capitale in senso stretto, ossia il capitale aziendale, pur essendo costituito da vari elementi, non viene interpretato come somma di singoli elementi, ma come totalità unitaria in quanto espressione dei valori (Inbegriff der Werte). Il valore del capitale non coincide quindi con la somma dei singoli valori attribuiti agli elementi costituenti lo 29 Il valore che viene attribuito a un bene dipende dalla valutazione soggettiva della capacità di soddisfare un determinato bisogno. Questa valutazione è diversa da persona a persona, da cui il concetto di “valore soggettivo”. Nella moderna economia lo scambio avviene sul mercato, in presenza di domanda e offerta. In tal modo la valutazione soggettiva subisce una “oggettivazione”, attraverso la definizione di un prezzo di negoziazione. Questo prezzo può essere anche definito valore oggettivo. È questo il valore a cui si riferisce Lehmann nell’ambito dell’economia aziendale; cfr. LEHMANN, op. cit., pag. 78 e segg 30 stesso ma, al contrario, solo dal valore totale del capitale si può derivare il valore dei singoli30. Lehmann denomina il capitale impiegato come Produktionskapital oppure konkretes Produktionskapital, grandezza strettamente legata all’Umsatz in quanto partecipe al processo delle operazioni economiche (Umsatzprozeß). La grandezza astratta che si ottiene dalla differenza degli elementi attivi e passivi costituenti il Produktionskapital viene definita abstraktes Produktionskapital che, assieme alla forza lavoro, è causa delle operazioni economiche. L’abstraktes Produktionskapital viene interpretato come espressione della “forza oggettiva” che con la forza lavoro è causa delle operazioni economiche (Umsatzprozeß). Tale grandezza rappresenta il capitale che viene messo a disposizione dall’unità finanziaria all’unità produttiva ed è perciò anche denominato capitale finanziario (Finanzkapital) ed è oggetto di variazioni in aumento oppure in diminuzione a seconda del risultato del processo economico. Il capitale finanziario è costituito dal capitale proprio e dal capitale di terzi. Il capitale di terzi comprende, come noto, sia i debiti di finanziamento (Finanzschulden) sia i debiti di funzionamento (Geshäftesschulden). Nell’interpretazione di Lehmann, tuttavia, il capitale finanziario è costituito solo dal capitale proprio e dai debiti di finanziamento31. Così come il patrimonio è formato da elementi attivi e da elementi passivi, anche il capitale finanziario è composto da elementi attivi e da elementi passivi: la quota di capitale sottoscritto ma non ancora versato costituisce, ad esempio, una componente negativa del capitale finanziario. Per capire meglio la struttura del Produktionskapital è utile osservare lo schema seguente che evidenzia la distinzione tra konkretem Produktionskapital e abstraktem Produktionskapital e la composizione del Finanzkapital. 30 LEHMANN, op. cit., pag. 102 e segg., dove osserva che questo modo di considerare il capitale è sostanzialmente diverso da quello proprio della Schätzungstheorie di Schmalenbach; cfr. SCHMALENBACH, Finanzierungen, pag. 5 e segg. 31 LEHMANN, op. cit., pag. 107. 31 FIGURA 3.1: LA STRUTTURA DEL PRODUKTIONSKAPITAL Konkretes Produktionskapital (Vermögen) aktiv (Vermögen) passiv Abstraktes Produktionskapital (Finanzkapital) Passives Kapital (Finanzforderungen) Finanzkapital Eigenkapital Finanzschulden Benché sia nell’ambito dell’Umsatz sia nell’ambito del capitale si sia parlato di un risultato di esercizio esso assume una connotazione ben diversa, in quanto nel primo è una grandezza dinamica, mentre nel secondo è una grandezza statica. Lehmann è inoltre dell’opinione che esista un sistema statico composto da costi, ricavi e risultato di esercizio (di natura statica) che si contrappone al sistema dinamico dell’Umsatz. I costi che potremmo definire “statici” (statische Kosten) vengono definiti come rapporto tra l’insieme dei costi sostenuti (Umsatzkosten) per la produzione di un certo bene in un determinato intervallo temporale ed la quantità di beni e prodotti venduti (Gűtermengenumsatz). Il risultato di tale rapporto rappresenta il costo di produzione (Kostenpreis) per unità di prodotto32. I ricavi “statici” (statischer Ertrag) vengono definiti come rapporto tra l’insieme dei ricavi ottenuti (Umsatzertrag) in un determinato intervallo di tempo e la quantità di beni e prodotti venduti (Gűtermengenumsatz). Il risultato di tale rapporto rappresenta il prezzo di vendita (Ertragspreis) per unità di prodotto. È utile osservare da ultimo come sia possibile definire un rapporto sia per determinare il costo di produzione sia per determinare il prezzo di vendita ma che non sia possibile definire un rapporto corrispondente per il risultato di esercizio. Infatti, il risultato di esercizio “statico” è una grandezza astratta e viene determinata dalla differenza tra il costo “statico”, il costo di produzione, ed il ricavo “statico”, il prezzo di 32 Lehmann definisce tale costo come Objektkosten, dato che si riferisce proprio a un oggetto: “welche Objektkosten genannt werden können, da es Größen sind, welche sich auf Mengeneinheiten von Objekten (Einheitskosten) oder auf einzelne individuelle Objekte (Stückkosten) beziehen”; LEHMANN, op. cit., pag. 115. 32 vendita33. Il risultato “statico” viene denominato da Lehmann Objektserfolg. Il risultato statico si riferisce ad un singolo bene e quindi il risultato d’esercizio di un determinato intervallo temporale corrisponde alla somma dei risultati dei singoli beni prodotti e venduti in questo intervallo34. Tale somma è un elemento del patrimonio e, di conseguenza, il patrimonio aumenta o diminuisce a seconda del “segno” del risultato di esercizio. Ma la variazione del patrimonio comporta anche una variazione del capitale finanziario e, quindi, a seconda del “segno” del risultato di esercizio si creerà o si consumerà capitale finanziario. 3.3 Il risultato di esercizio L’ultimo elemento da considerare al fine di individuare il pensiero di Lehmann è costituito dal risultato di esercizio (Erfolg), differenza tra due grandezze dinamiche (Umsatz) o tra due grandezze statiche (Kapital). Lehmann sembra dare preferenza ad una nozione di risultato di esercizio di tipo dinamico in quanto più vicino ad una nozione di reddito risultante dalla gestione dell’azienda. Occorre a tal proposito osservare come Lehmann abbia ben presente che, essendo il risultato economico la risultante tra i ricavi e i costi, tale grandezza possa avere “contenuti” diversi a seconda della nozione di costo e di ricavo che si accoglie. In particolare, facendo riferimento a Streller35, che accoglie una nozione di costo tale da far eguagliare il risultato economico dell’esercizio al reddito dell’imprenditore (Unternehmergewinn), Lehmann fa propria tale nozione definendo il risultato di esercizio (a livello aziendale e non a livello di intero sistema economico, come invece proposto da Streller), come risultato economico-produttivo puro (reiner Produktionserfolg). Tuttavia, la nozione di Unternehmergwinn 33 “Dieser Objektserfolg, d.h. der an bestimmten Objekten erzielte Erfolg (Objektsgewinn bzw. Objektsverlust) ist schließlich nichts anders als die Differenz zwischen dem Objektsertrag und den Objektskosten, bzw. dem Ertragspreis und dem Kostenpreis bestimmter Objekte”; LEHMANN, op. cit., pag. 117. 34 Affinché tale affermazione sia valida, è necessario che il volume di produzione corrisponda al volume dei beni venduti. 35 STRELLER, Zur Lehre vom Unternehmergewinn, in “Schmollers Jahrbuch”, 52. Jahrg., 1926. 33 rappresenta una sola parte del reddito di pertinenza dell’imprenditore in quanto lo stesso si compone di retribuzione per il lavoro prestato, interessi sul capitale proprio investito, profitto per il rischio assunto e risultato economico di propria competenza. Dalla nozione di reiner Produktionserfolg, Lehmann fa derivare alcune nozioni secondarie avuto riguardo ai ricavi ed ai costi. I primi vengono definiti in termini di prezzi applicati ai beni prodotti e venduti, mentre i costi vengono suddivisi come segue: – materie prime; – ammortamenti; – costo del personale; – interessi passivi; – costi per servizi; – costi sociali (imposte, tasse, oneri sociali, etc.); – costi per rischi speciali. Dalla differenza tra i ricavi e l’insieme dei predetti costi scaturisce il reiner Produktionserfolg; se, invece, facciamo riferimento a singole categorie di costi, si ottengono significativi risultati intermedi. Come evidenziato analiticamente nello schema seguente Lehmann individua tali risultati come segue: – Kapitalertrag, è pari alla somma tra il risultato di esercizio e gli interessi passivi sul capitale preso a prestito; – Arbeitsertrag, è pari alla somma tra il risultato di esercizio ed il costo del personale. Nicklisch36, come si vedrà successivamente, considera tale grandezza come il vero e proprio risultato economico aziendale, ed assume rilevanza per la definizione della politica di partecipazione agli utili; – Materialertrag, è pari alla somma tra il risultato di esercizio ed il costo delle materie prime; – Anlagenertrag, è pari alla somma tra il risultato di esercizio e gli ammortamenti; – Sozialbertrag, è pari alla somma tra il risultato di esercizio e gli oneri sociali. 36 NICKLISCH, Die Betriebswirtschaft, Stuttgart, 1929, pag. 185 e segg. 34 FIGURA 3.2: LA NOZIONE DI BASE DEL RISULTATO DI ESERCIZIO ED I DIVERSI RISULTATI INTERMEDI Ricavi – costo delle materie prime – ammortamenti – costo del personale – interessi passivi – costo dei servizi di terzi – costi sociali – costo per rischi = reiner Produktionserfolg + reiner Produktionserfolg + reiner Produktionserfolg + reiner Produktionserfolg + reiner Produktionserfolg = Materialertrag = Anlagenertrag = Arbeitsertrag = Kapitalertrag + reiner Produktionserfolg = Sozialertrag Lehmann distingue tra Produktionserfolg e Finanzerfolg. Il primo rappresenta il risultato dell’impresa in quanto unità economicoproduttiva volta al conseguimento di redditi distribuibili alle diverse classi di interessi partecipanti – a vario titolo – al processo produttivo dell’impresa ed è pari al Produktionskapitalertrag, ossia alla somma tra il reiner Produktionserfolg e gli interessi passivi pagati per l’utilizzo del capitale di terzi37. La nozione di Finanzerfolg indica invece il risultato dell’impresa quale unità economico-finanziaria volta alla remunerazione del capitale impiegato; il rendimento del capitale investito viene quindi “scisso” in rendimento del capitale proprio e in rendimento offerto dall’intero capitale impiegato (finanziato da capitale proprio e da capitale di terzi). I ricavi (Finanzertrag) rappresentati dal Kapitalertrag sono contrapposti ai costi (Finanzkosten), ossia gli interessi passivi e i costi relativi all’utilizzo del capitale di terzi. Dalla differenza scaturisce il Finanzerfolg, la remunerazione del capitale proprio, che corrisponde all’Unterhemergewinn, dato che costituisce l’obiettivo primario perseguito dall’imprenditore. Per Lehmann appare essere molto importante evidenziare gli stretti legami sussistenti tra il Finanzerfolg, risultato conseguito dall’impresa in quanto unità economico-finanziaria, ed il Produktionserfolg, risulta37 Il Produktionskapitalertrag indica la remunerazione del Produktionskapital, ossia il capitale produttivo impiegato. Il Produktionskapitalertrag viene denominato da Lehmann Produktionserfolg; cfr. LEHMANN, op. cit., pag. 152. 35 to conseguito dall’impresa in quanto unità economico-produttiva. In particolare il rendiconto reddituale può essere rappresentato come segue: FIGURA 3.3: IL RENDICONTO REDDITUALE SECONDO LEHMANN Produktionskosten Finanzkosten Produktionsertrag Finanzerfolg FIGURA 3.4: LA SCOMPOSIZIONE DEL RENDICONTO REDDITUALE NELL’OTTICA DI LEHMANN Produktionskosten Produzionsertrag Finanzkosten Produktionserfolg Finanzertrag Finanzerfolg 4. L’economia dei valori di H. Nicklisch Il pensiero di Nicklisch è fondato sul presupposto che l’azienda costituisce il “ponte” tra i bisogni umani e la loro soddisfazione. Il rapporto tra bisogno e bene, che viene definito da Nicklish Beziehungsproblem, consegue all’attribuzione di un valore soggettivo ad un bene da parte degli individui in dipendenza della sua idoneità a soddisfare un determinato bisogno. Tale idoneità non rappresenta il valore stesso, ma ne costituisce una caratteristica di base. È quindi il valore soggettivo e non quello oggettivo (ossia del bene in se stesso) che rileva nell’ambito economico-aziendale. Tutte i problemi si incorporano in quello più generale: das Wertproblem. L’Economia Aziendale è quindi un un’economia dei valori caratterizzata da relazioni di tipo circolare (Wertumlauf) a livello di singola impresa e a livello dei rap- 36 porti che vengono ad instaurarsi tra questa, le altre imprese, il sistema economico in generale38. Il Wertumlauf consiste in un circolo della produzione (Umlauf der Leistungswerte) ed in un circolo finanziario (Finanzumlauf): il circolo finanziario si riferisce al capitale conferito necessario per il funzionamento dell’impresa cui si contrappone, astrattamente, il circolo della produzione. Tale proposizione può essere meglio interpretata facendo riferimento ad un sistema economico semplificato, rappresentato nella figura 4.1 che segue, costituito da una famiglia (cerchio I) e da un’impresa di produzione (cerchio II). Si ipotizzi che i componenti di quest’ultima prestino la propria attività nell’impresa. Nel punto 1 i familiari acquistano beni e li valutano avuto riguardo alla idoneità degli stessi a soddisfare i propri bisogni ed al ripristino della forza per lavorare. Quest’ultima viene valutata nel punto 2 costituendo un controvalore (Ausgabengegenwert) dei beni acquistati nel precedente punto 1. Nel punto 3 l’impresa acquista i fattori produttivi per l’attuazione del prescelto processo produttivo. Tra il punto 3 ed il punto 4 si attua il processo produttivo di trasformazione tecnicoeconomica. Nel punto 4 avviene la collocazione dei prodotti finiti acquistati dalla famiglia: il valore dei beni prodotti dall’impresa nel punto 4 costituisce la contropartita del valore dell’acquisto dei fattori produttivi di cui al punto 3. I punti da 7 a 10 rappresenta il flusso monetario; in particolare il punto 7 evidenzia la spesa per l’acquisto dei beni da parte della famiglia, mentre il punto 8 i ricavi dell’impresa a fronte della vendita dei prodotti ottenuti mediante l’acquisto delle materie prime di cui al punto 9. Il punto 10 costituisce il compenso alla famiglia per l’attività svolta nell’impresa. È interessante notare come per l’impresa i valori nel punto 4 e 8 e nel punto 3 e 9 coincidono, mentre per la famiglia i valori nel punto 1 e 7 coincidono 2 e 10. 38 H. NICKLISCH, Die Betriebswirtschaft, Stuttgart, 1930, pag. 163 e segg. 37 FIGURA 4.1: UMLAUF DER LEISTUNGSWERTE 39 4.1 Le fasi della gestione aziendale Secondo Nicklisch la gestione aziendale (Betriebsprozeß) si divide nelle seguenti fasi: acquisizione dei fattori produttivi (Beschaffung), trasformazione tecnico-economica (Erzeugung), collocamento sul mercato (Absatz), distribuzione del reddito. Le fasi dell’acquisizione, della trasformazione e del collocamento sul mercato vengono coordinate dall’amministrazione al fini di conseguire un reddito. La fase della realizzazione del reddito assume un ruolo equivalente a quella della distribuzione dello stesso. Il collegamento tra tali due fasi viene stabilito attraverso l’ “altezza” del reddito. La naturale interdipendenza tra entrambe le fasi dà evidenza dell’esistenza di alcune problematiche quali il giusto salario (der gerechte Lohn) che dipende dal rapporto tra il risultato ottenuto e la prestazione offerta dal lavoratore, oppure la partecipazione della forza lavoro e del capitale al risultato conseguito. Si deve inoltre considerare il rapporto tra il reddito prodotto ed il reddito distribuibile, giacché non è detto che tutto il reddito debba necessariamente essere distribuito ai portato di capitale. 39 Cfr. NICKLISCH, op. cit., pag. 105. 38 Nell’ottica di Nicklisch, la distribuzione del reddito rappresenta, in parte la contropartita per il lavoro prestato dai dipendenti e dall’imprenditore medesimo e, in parte, il compenso per l’utilizzo del capitale proprio (Unternehmerkapital)40. Ne consegue che la “politica dei dividendi” deve essere coerente con la politica dei salari, con le esigenze di autopotenziamento (autofinanziamento) dell’impresa e con le attese dei portatori di capitale di rischio. Le imposte e gli oneri finanziari sul capitale di terzi restano invece escluse giacché vengono considerate contropartita di prestazioni di terze economie e, quindi, non hanno partecipato alla formazione del reddito. 4.2 Le grandezze economiche costituenti il Wertumlauf Acquisito il concetto di Wertumlauf si può notare che nel suo svolgimento corrispondono grandezze costituenti il flusso monetario o quello economico e che, congiuntamente, concorrono alla formazione del reddito. È di tutta evidenza come l’impresa si procuri sul mercato i fattori produttivi necessari per la trasformazione tecnico-economica delle materie prime impiegate nel processo produttivo (Werterzeugung) sostenendo delle spese (Ausgaben). Tale spesa rappresenta quanto deve essere recuperato con il collocamento sul mercato dei prodotti finiti (Einnahmen). I fattori produttivi acquisiti dall’impresa possono essere a fecondità semplice oppure a fecondità ripetuta. Occorre notare che il consumo dei beni a fecondità semplice (Verbrauch) costituisce il soddisfacimento di un bisogno solo se lo stesso rappresenta l’assorbimento del valore di un prodotto finito. Ne consegue che, ad esempio, l’impiego di materie prime e di prodotti semilavorati non è consumo giacché le stesse non sono prodotti finiti. Infatti il loro valore non viene assorbito ma viene incrementato attraverso la trasformazione tecnico-economica. Tale impiego viene denominato da Nicklish Vorverbrauch, cioè “preconsumo”. L’utilizzo (Gebrauch) di impianti o di strumenti (fattori produttivi a fecondità ripetuta) costituisce invece la compartecipazione degli stessi alla for40 Nicklisch distingue tra rechnungsmä igen Unternehmerkapital, che è il patrimonio netto contabile dell’impresa e wirklichen Unternehmerkapital, che coincide sostanzialmente con il concetto di capitale economico. 39 mazione del valore dei beni prodotti. Il risultato dell’impiego di tutti i fattori produttivi è la produzione vera e propria il cui valore è costituito dal valore di tutti i valori dei fattori produttivi utilizzati necessari per il suo ottenimento (Produktionswert o Aufwandswert). Tale valore è tuttavia diverso dal valore prodotto (erzeugter Wert) in quanto non comprende il valore apportato dall’impresa stessa (Betriebsleistung), valore che sarà determinato dal mercato al momento del disimpiego. La Betriebsleistung indica quindi il valore aggiunto prodotto all’interno dell’impresa escludendo tutti i valori di pertinenza di terze economie (betriebsfremde Leistung). Nicklish distingue altresì tra valori che sono di competenza del periodo di riferimento (Periodenleistungen) e valori che non solo sono (periodenfremde Leistung). I valori dell’azienda saranno quindi costituiti dalle rimanenze di valori di competenza del periodo precedente (Anfangsvermögen der Periode), dai valori di terze economie del periodo (Zugänge aus fremden Betrieben während del Periode) e, infine, dai valori dell’economia interna del periodo (Zugänge aus eigener Leistung). I flussi in uscita sono costituiti dal collocamento sul mercato dei prodotti le cui rimanenze sanno rinviate all’esercizio successivo. Occorre a questo punto considerare la grandezza economica dei ricavi (Umsatz)41 che possono essere considerati come flussi economici comprendenti l’impiego (Aufwand) e la produzione (Erzeugung) oppure come flusso monetario che comprende la spesa (Ausgaben) e gli introiti (Einnahmen). Nella prima accezione si pone enfasi sulla misurazione del ricavo in termini di valore della produzione ed escludendo in tal modo l’utile (Gewinn) per cui diviene importante verificare la completezza del calcolo dell’impiego dei fattori produttivi, intendendo con tale espressione la verifica che non residuano impieghi (stiller Aufwand) da finanziare con l’utile di esercizio. Nella seconda accezione, al contrario, si parla di Umsatz der Zahlungsmittel che misura il ricavo in termini di mezzi di pagamento. E’chiaro che nelle due acce- 41 La nozione di Umsatz adottata da Nicklisch è sostanzialmente diversa da quella di Lehmann. Quest’ultimo intende per Umsatz l’insieme delle operazioni economiche messe in atto dall’impresa durante un periodo amministrativo ed utilizza invece il termine Absatz per definire il fatturato (cioè l’Umsatz di Nicklisch). 40 zioni l’ “altezza” dell’Umsatz non può coincidere giacché il flusso monetario ha ritmi diversi rispetto al flusso economico. La contropartita del valore prodotto all’interno dell’impresa viene denominato da Nicklish Ertrag42: è una grandezza espressa in termini monetari che ovviamente non corrisponde al valore dei ricavi conseguiti dato che questi ultimi devono remunerare sia il valore apportato da terze economie sia il valore prodotto dall’economia interna. Tale grandezza non corrisponde nemmeno con la Betriebsleistung calcolata in termini di Aufwandswert giacché la prima può essere maggiore o minore dell’Ertrag e quindi l’impresa rileverà un utile (Gewinn) od una perdita (Verlust). Tale utile (perdita) è quindi nient’altro che un valore residuo dell’Ertrag al termine del processo della Ertragsverteilung. 42 Come meglio si vedrà più avanti, Nicklisch assume una posizione critica nei confronti di due studiosi del tempo, B. Skrodzki e K.E. Moessner, che in uno studio elaborato su incarico del Reichsverband der Deutschen Industrie, “Besteuerung, Ertrag und Arbeitslohn industrieller Unternehmungen im Jahre 1927” utilizzano il termine Wertschöpfung in luogo di Ertrag. Nicklisch sostiene l’opinione che Ertrag descriva meglio la Betriebsleistung perché sottolinea l’aspetto della produzione di valore (ricchezza); cfr. NICKLISCH, op. cit., pag. 527 e segg. 41 CAPITOLO II L’ECONOMICITÀ SOCIALE DELL’IMPRESA E IL VALORE AGGIUNTO SOMMARIO: 1. Il valore aggiunto: possibili definizioni. – 2. Le diverse logiche di osservazione. 1. Il valore aggiunto: possibili definizioni Per molti anni l’economia e la prassi aziendale germanica hanno attribuito scarsa attenzione al calcolo del valore aggiunto (Wertschöpfung); solo recentemente, con l’avvio degli studi sul cosiddetto bilancio sociale d’impresa (gesellschaftsbezogener Rechnungslegung), tale grandezza ha cominciato ad essere oggetto di maggiore approfondimento. Tale “lacuna” è forse da attribuirsi all’influenza che gli studi di Wilhelm Rieger1 in ordine alla Privatwirtschaftslehre hanno avuto sulla comunità scientifica. Tali studi hanno inquadrato l’impresa intendendo quest’ultima solo come strumento per il conseguimento del profitto, mentre successivamente hanno prevalso studi che hanno posto attenzione alla vita dell’impresa sia da un punto di vista economico-aziendale sia da un punto di vista economicopolitico, giacché l’impresa è uno degli elementi costitutivi un sistema economico. Ne è esempio lo Schamlenbach, che ritiene di non poter accettare il concetto economico-privato di profitto (privatwirtschaftlicher Gewinnbegriff), sostenendo che il profitto debba essere considerato quale espressione dell’economicità sociale dell’impresa (der Gewinn als Ausdruck der Wirtschaftlichkeit)2. Il risultato d’esercizio dovrebbe pertanto rappresentare, secondo l’Autore, il Mehrwert (plusvalore) che scaturisce dal confronto tra la ricchezza 1 RIEGER, Einführung in die Privatwirtschaftslehre, Erlangen, 1928, pag. 32 e segg. 2 SCHMALENBACH, op. cit., Leipzig, 1931, pag.93. 43 consumata dalla collettività e quella prodotta ed apportata dalla collettività medesima. Nella dottrina economico-aziendale tedesca il valore aggiunto è stato interpretato3 come differenza tra la produzione lorda dell’economia interna e la produzione apportata da terze economie. Per indicare tale grandezza si è utilizzato il termine Wertschöpfung od altri equivalenti come, ad esempio, Werterhöhung, Wertzuwachs, Wertauftrieb e Mehrwert. Il termine Mehrwert sarebbe quello più corretto dato che, con il termine Wertschöpfung, si può intendere sia il processo della creazione di valore all’interno dell’impresa sia il risultato del processo stesso. Mehrwert invece indica proprio il risultato del processo produttivo anche se potrebbe essere confuso con il Mehrwert (plusvalore) di Karl Marx, ossia il valore che viene prodotto dal lavoratore eccedente il valore del salario che gli garantisce il minimo essenziale4. Per tale motivo la letteratura economico-aziendale tedesca ha preferito utilizzare il termine Wertschöpfung5. Nella letteratura anglosassone il fenomeno della Wertschöpfung viene descritto con il termine value added, in quella francese valeur ajoutée e in quella italiana con il termine “valore aggiunto”. Tale grandezza è stata oggetto di studio degli economisti attraverso la costruzione dei primi modelli economici. Il pensiero corre al tableau économique di Francois Quesnay6 in cui viene suddiviso tra produit brut e produit net. Successivamente è entrata nel campo di studio degli statistici (Nerschmann7, Colm8, Meerwarth9) al fine dello studio dei cicli economici. Gli economisti aziendali si sono interessati 3 POHMER, Betriebswirtschaftliche Bedeutung und ermittlung der betrieblichen Wertschöpfung, in ZfB, 1958, pag. 149. 4 MARX, ENGELS, Werke:das Kapital, (1. Bd.), Berlin, 1972, pag. 226 e segg. 5 Letteralmente il termine valore aggiunto nella lingua tedesca corrisponde a hinzugefügten Wert, che tuttavia non è appropriato sostituire al termine Wertschöpfung. 6 QUESNAY, Tableau économique, avec son explication, ou extrait des économies royales de Sully, Versailles, 1758. 7 NERSCHMANN, Gewerbliche Produktionsstatistik, “Ergänzungsshefte zum Deutschen Statistischen Zentralblatt”, Göttingen, 1916. 8 COLM, Das Mehrwertverfahren in der Produktionsstatistik, in: “Weltwirtschaftliches Archiv”, 1924, pagg. 204-217. 9 MEERWARTH, Nationalökonomie und Statistik, Berlin-Leipzig, 1925. 44 a tale grandezza solo successivamente; tra questi ricordiamo Nicklisch, che negli anni Trenta ha determinato il Betriebsertrag e la sua distribuzione, e Lehmann, che negli anni Quaranta e Cinquanta ha formulato in modo sistematico e completo il calcolo del valore aggiunto. Nella prassi aziendale tale calcolo è stato introdotto solo durante gli anni Settanta nell’ambito del bilancio sociale di cui è diventato parte fondamentale. Il calcolo del valore aggiunto impone di considerare l’impresa quale unità e di interpretare il reddito di esercizio quale remunerazione comune per tutti i partecipanti al processo produttivo. Tali assunti sono simili a quelli che Nicklisch ha posto a fondamento del proprio pensiero, ossia che il risultato del processo economico dell’impresa è uguale al Gesamertrag10, che a sua volta rappresenta la remunerazione del valore creato all’interno dell’impresa dalla Betriebsgemeinschaft11 (collettività aziendale) e che viene successivamente distribuito secondo la Ertragsverteilung12 agli aventi diritto. Nicklisch aveva cioè già intuito che l’impresa deve essere osservata come un’unità cui concorrono tutti i titolari dei fattori produttivi. Per tali motivo i salari e gli stipendi, il costo opportunità non sono da considerarsi tanto costi quanto, piuttosto, ricavi (Arbeitserträge e Kapitalerträge) che fanno parte del Betriebsetrag. Anche Lehmann intuisce l’importanza del calcolo del valore aggiunto quale strumento “mediatore” tra i diversi interessi che convergono nell’impresa, dato che tale calcolo evidenzia il reddito prodotto e la sua distribuzione ai partner sociali13 in proporzione alla prestazione apportata. Secondo Stöbe con il calcolo del valore aggiunto viene annullata l’antinomia tra il profitto e la remunerazione dei fattori produttivi attraverso la definizione di un’unica grandezza 10 Il Gesamtertrag è la somma algebrica dei ricavi, della variazione delle rimanenze dei prodotti finiti e semilavorati e dei costi periodici. Cfr. NICKLISCH, op.cit., Stuttgart, 1930, pagg. 516-527. 11 NICKLISCH, op.cit., Stuttgart, 1930, pagg. 294 e segg. 12 NICKLISCH, Ertragsverteilungsprozeß, in: HdB, 2. Aufl., Bd. 1, § 1611 e segg., Leipzig, 1932. 13 Lehmann definisce le classi di interesse all’interno dell’impresa Sozialpartner; cfr. LEHMANN, Betriebswirtschaftslehre als Sozialwissenschaft, in: NA, Heft 1, pag. 33 e segg. 45 che misura il successo ottenuto che è in grado di unire tutte le diverse aspirazioni di coloro che partecipano al processo economico14. Solo negli ultimi decenni del secolo è avvenuto un mutamento nel pensiero economico che ha lasciato spazio al concetto di Wertschöfungsdenken: soprattutto le imprese di medie-grandi dimensioni si riconoscono quali strutture sociali in cui cooperano diversi Sozialpartner che vengono remunerati dal reddito prodotto dall’impresa. In tale ambito il calcolo del valore aggiunto è maggiormente idoneo a rappresentare il successo ottenuto dall’impresa15. Nasce pertanto un certo senso di appartenenza alla collettività che incentiva i partecipanti al processo economico ad incrementare il successo dell’impresa perseguendo scopi comuni (Köhler utilizza l’espressione pluralistisch orientierte Wertschöpfungsveranstaltung16). Non è tuttavia da sottovalutare la difficoltà che comporta la distribuzione del reddito prodotto dall’impresa in quanto l’incremento della quota di reddito a favore di uno specifico portatore d’interesse va a scapito della quota di un altro portatore d’interesse. Il valore aggiunto è una grandezza misurabile la cui quantificazione viene resa possibile soltanto mediante l’equiparazione del prezzo e del valore. La nozione di valore rappresenta anzitutto la relazione tra beni e bisogni umani ed è, pertanto, un Beziehungsbegriff17. Nell’ambito dell’economia d’azienda è fondamentale lo scambio dei valori attribuiti ai beni ed alle operazioni posti in essere dai soggetti economici. Tali valori per poter essere comunicati devono essere espressi in termini quantitativo-monetari. Tale tipo di nozione di valore viene de14 STÖBE, Ergebnisbeteiligung der Produktionspartner auf der Grundlage der betrieblichen Wertschöpfung, Nürnberg, 1953, pag. 87. 15 WEISSER, Exkurs über die Möglichkeit der Messung wirtschaftlicher Erfolge, unter: Wirtschaft, in: “Handbuch der Soziologie”, hrsg. von W. ZIEGENFUSS, Stuttgart, 1956, pag. 970 e segg. 16 KÖHLER, Einkommensverteilung im Unternehmen, Düsseldorf, 1961, pag. 119 e segg. 17 Come si ricorderà tale concezione è stata fatta propria da Nicklisch descrivendo il Beziehungsproblem, ossia la questione fondamentale da risolvere nell’ambito dell’economia aziendale. Egli ha inoltre sottolineato che il valore attribuito dagli individui ai beni è di natura soggettiva e che tale valore assume rilevanza economica. 46 nominato da Pausenberger instrumentaler Wertbegriff18. La grandezza che consente di esprimere la valutazione soggettiva in termini quantitativi è il prezzo. Nei sistemi economici di mercato il prezzo viene determinato dal mercato ossia dove si incontrano le valutazioni soggettive degli operatori economici offerenti e richiedenti. In altre parole si può affermare che il prezzo costituisce un’oggettivazione del valore19. Secondo Wenke in questo caso di potrebbe parlare di valore oggettivato (objektivierter Wert), termine già utilizzato dal Wittmann20. Appare interessare osservare la posizione di Kroeber Riel che sostiene che Wittmann limiti l’adottabilità della nozione del valore al campo filosofico giacché il valore non sarebbe quantificabile. In tal modo Wittmann negherebbe l’utilizzabilità della nozione di valore nell’ambito economico-aziendale21. E’poi da osservarsi che, in generale, il prezzo nelle moderne economie non è influenzato dal singolo soggetto né dalla singola impresa ed è quindi il mercato (ossia l’insieme dei soggetti economici) a quantificare il valore di un bene. Soltanto con l’oggettivizzazione del valore di un bene nel suo prezzo, il calcolo del valore aggiunto acquista una qualche utilità. Infatti, con la distinzione tra Wertschöpfung e Preisschöpfung che è stata proposta da Kink22, la Wertschöpfung perde la sua natura quantitativa. Ne consegue che una valutazione dei beni che non si trasforma in un prezzo finirebbe di essere un puro atto emotivo (Wertgefühl) impossibile da comunicarsi23. Per tale motivo elemento fondamentale nello studio e nel calcolo del valore aggiunto aziendale è il prezzo. In un’economia di mercato la determinazione di un prezzo non è tuttavia agevole giacché il mercato è caratterizzato da trasparenza ed informazione imperfette e da limitazioni della libera concorrenza e quindi il prezzo non 18 PAUSENBERG, Wert und Bewertung, Stuttgart, 1962, pag. 25 e segg. PAUSENBERG, op. cit., pag. 14. 20 WENKE, Theorie der Wertschöpfung und der Wertschöpfungsrechnung, Mainz, 1987, pag. 56. Cfr. anche WITTMAN, Der Wertbegriff in der Betriebswirtschaftslehre, Köln/Opladen, 1956, pag. 103. 21 KROEBER RIEL, Wertschöpfung, Wertschöpfungsrechnung, Wertschöpfungsdenken, Berlin, 1963, pag. 25; WITTMAN, op. cit., pag. 103. 22 KINK, Wertschöpfungsprozeß und Verrechnungslehre, Zürich, 1955, pag. 42 e segg. 23 KROEBER RIEL, op. cit., pag. 17. 19 47 rappresenta in modo assoluto il valore attribuito ad un certo bene. In secondo luogo, il valore aggiunto prodotto all’interno di un impresa calcolato con i prezzi effettivamente applicati può essere influenzato da politiche di prezzo finalizzate ad una economicità di gruppo per cui si possono praticare dei prezzi maggiori oppure inferiori rispetto a quelli correnti di mercato, trasferendo ricchezza da un impresa del gruppo all’altra ed agendo così sul valore aggiunto creato all’interno delle imprese24. Per delineare in maniera semplificata la dinamica del valore aggiunto è possibile immaginare un sistema economico formato da imprese industriali che producono dei beni ed imprese commerciali che procedono alla loro distribuzione. I beni collocati sul mercato vengono acquistati dai consumatori. Il prezzo che questi ultimi pagano rappresenta la remunerazione delle imprese commerciali e delle imprese industriale. Ulteriormente il prezzo può essere scisso nella parte che remunera la creazione di valore avvenuta all’interno dell’impresa stessa (Eigenleistung) ed nella parte che remunera i beni e servizi apportati da economie terze (Vorleistungen) che solo indirettamente hanno partecipato al processo economico. Quindi il valore aggiunto misura la ricchezza complessiva prodotta dall’impresa al netto del costo sotenuto per realizzarla. In generale nella letteratura tedesca possiamo individuare tre nozioni differenti di valore aggiunto (Wertschöpfung) a seconda della definizione del contenuto delle prestazioni di terze economie (Fremdleistungen). La prima nozione è caratterizzata dal fatto che esclude dalle Vorleistungen gli ammortamenti dei beni ad impiego pluriennale. Il valore aggiunto calcolato in questo modo contiene delle Fremdleistungen (gli ammortamenti), dato che i beni ad impiego pluriennale di regola non vengono prodotti internamento all’impresa, ma acquistati da terze economie. Per questa ragione questa nozione di valore aggiunto viene denominata nella letteratura tedesca Bruttowertschöpfung (valore aggiunto lordo). Se invece si includono gli ammortamenti nella categoria delle Vorleistungen, allora si ottiene la Wertschöpfung zu Marktprei24 KROEBER RIEL, op.cit., pagg. 26 -31. 48 sen (il valore aggiunto ai prezzi di mercato), denominato anche Nettowertschöpfung zu Marktpreisen (valore aggiunto netto ai prezzi di mercato). Questo valore rappresenta il reddito complessivo prodotto dall’impresa ed esso verrà poi distribuito alle varie classi di interesse: la forza lavoro, i portatori di capitale, lo Stato. Lehmann25 denomina quanto distribuito alle classi di interesse rispettivamente Arbeiterträge (il reddito distribuito alla classe della forza lavoro), Kapitalerträge (il reddito distribuito alla classe del capitale) e Gemeinerträge (il reddito corrisposto allo Stato che comprende sia le imposte dirette che indirette). La nozione di Nettowertschöpfung è la più usata dagli studiosi di economia aziendale ed in particolare da Lehmann e da Pohmer. Terza ed ultima nozione di valore aggiunto è quella utilizzata soprattutto nell’ambito dell’economia politica che viene denominata Wertschöpfung zu Faktorkosten oppure Nettowertschöpfung zu Faktorkosten (valore aggiunto ai costi di fattore oppure valore aggiunto netto ai costi di fattore). Mentre le prime due grandezze considerano lo Stato partecipante alla distribuzione del reddito prodotto all’interno dell’impresa, questa nozione non ne tiene conto. Infatti lo Stato viene considerato un settore autonomo a sé stante e dal valore aggiunto viene detratto quanto deve essere corrisposto allo Stato a titolo di imposte indirette. Le imposte dirette invece vengono considerate parte del valore aggiunto che complessivamente viene distribuito sia alla classe della forza lavoro, come Bruttoarbeitsertrag, sia alla classe dei portatori di capitale come Bruttokapitalertrag, indicando con Bruttoertrag il reddito distribuito al lordo delle imposte sul reddito26. 2. Le diverse logiche di osservazione Dato che il valore aggiunto costituisce l’anello di congiunzione tra le rilevazioni d’impresa e la contabilità economica nazionale, vengono 25 LEHMANN, Leistungsmessung durch Wertschöpfungsrechnung, Essen, 1954, pag. 13 e segg. 26 KROEBER RIEL, op. cit., pag. 22. Cfr. anche KRELLE, Volkswirtschaftliche Gesamtrechnung, Berlin, 1959, pag. 85; KRAUS, Volkswirtschaftliche Gesamtrechnung, Wiesbaden, 1961; HOFFMAN, Volkswirtschaftliche Gesamtrechnung, Heft 11 der volkswirtschaftlichen Schriften, pag. 113 e segg. 49 presentati di seguito gli aspetti macro-economici ed aziendali che ne caratterizzano la definizione. 2.1 Aspetti macro-economici Il primo contributo scientifico in tema di valore aggiunto è stato quello di Nerschmann nel 191627. Nerschmann, che durante questo periodo collabora presso l’Istituto Statistico Imperiale a Berlino, studia l’incremento del valore della produzione dei singoli settori28. Nel suo lavoro Nerschmann si basa soprattutto su pubblicazioni precedenti di studiosi anglosassoni che già qualche anno prima si erano occupati del problema del valore aggiunto. Nerschmann, definendo le singole voci da osservare per determinare il valore aggiunto, si trova costretto a trattare anche questioni di economia aziendale, come per esempio la valutazione delle rimanenze di prodotti finiti e semilavorati, la valutazione del consumo delle materie prime, l’autoconsumo dei prodotti ecc. Egli definisce il Mehrwert come somma algebrica del valore della produzione annua più il valore del lavoro prestato presso economie terze, al netto del valore delle materie prime e del valore del lavoro apportato da terze economie29. È utile osservare che il termine Mehrwert usato da Nerschmann è uguale al termine usato da Karl Marx. Tuttavia Nerschmann intende per Mehrwert il valore aggiunto e non il Mehrwert di Marx che si riferisce, come si è visto, al valore prodotto dal lavoratore, eccedente il valore salariale ottenuto che gli garantisce il minimo essenziale. 27 NERSCHMANN, Gewerbliche Produktionsstatistik, Leipzig/Berlin, 1916, Erg. Heft zu Dt. Stat. Zentralblatt, Heft 8. 28 NERSCHMANN, op. cit., pag. 3: “Unter Produktion versteht man die durch menschliche Arbeit und das Kapital hervorgerufene Werterhöhung der Güter. In logischer Folge hat daher eine Produktionsstatistik nicht etwa den Wert der Produkte als solche zu erfassen, sondern der den Produkten im Laufe des Produktionsprozesses durch denselben beigebrachten Mehrwert, die Werterhöhung ist herauszuschälen und nur diese kann als Maßstab für die Bedeutung und Wichtigkeit der einzelnen Industrien und Industriezweigen gelten.” 29 NERSCHMANN, op. cit., pag. 9: “wenn man von dem Gesamtjahreproduktionswert einschließlich dem Wert für geleistete fremde Hilfsarbeit den Wert für das verarbeitete Material einschließlich Wert der empfangenen fremden Hilfsarbeit abzieht …” 50 Per il calcolo del valore aggiunto Nerschmann esclude dalle Vorleistungen i salari e gli stipendi, le imposte, l’assicurazione, gli interessi passivi, il combustibile ed altri elementi. In particolare anche per quanto riguarda gli ammortamenti Nerschmann si adegua agli studiosi anglosassoni. In tal modo, detrae dal valore della produzione, a titolo di ammortamento, tutti i prodotti semilavorati e finiti che sono stati impiegati nella produzione (come per esempio attrezzi ed utensili) ma non invece gli impianti ed altri simili beni ad impiego pluriennale. Per capire meglio questa incongruenza si deve tenere presente che nella prassi economica di allora il concetto di ammortamento non era definito in modo chiaro ed uniforme. Nelle società di capitali le quote di ammortamento venivano stabilite dall’assemblea dei soci in base al risultato d’esercizio. Quindi si può affermare che Nerschmann intende per Mehrwert il valore del processo di trasformazione della materia prima in prodotto finito30. In modo più critico il valore aggiunto è stato studiato da Meerwarth nelle sue opere Nationalökonomie und Statistik (1925) e Einleitung in die Wirtschaftsstatistik (Jena 1920). Come Nerschmann, anche Meerwarth si basa sugli studi anglosassoni, avvicinandosi anche alla prassi olandese. In Olanda, a partire dal 1916, si elaboravano delle statistiche per determinare il valore aggiunto dei singoli settori. Diversamente dalla prassi anglosassone, oltre al consumo delle materie prime si detraevano dal valore della produzione anche le quote di ammortamento dei beni ad impiego pluriennale. Dato che però in realtà le quote di ammortamento applicate dai diversi settori e dalle singole imprese divergevano non di poco, si tentò di stabilire delle quote uniformi (ad esempio il 4 % per gli edifici oppure il 10 % per gli impianti). La preferenza di Meerwarth va per la prassi olandese piuttosto che per quella anglosassone per la maggior coerenza della prima nelle modalità di determinazione del valore aggiunto31. 30 SCHÄFER, Vom Mehrwert zur Wertschöpfung, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1951, pag. 451. 31 MEERWARTH, Nationalökonomie und Statistik, Berlin/Leipzig, 1925, pag. 231 e segg. 51 Oltre a Nerschmann e Meerwarth anche Colm studia la questione del valore aggiunto32. Innanzitutto Colm critica la concezione che la remunerazione monetaria (salari, stipendi, interessi passivi) ottenuta per la partecipazione al processo produttivo rispecchi la prestazione apportata (sia essa la forza lavoro prestata oppure il capitale apportato). Secondo Colm tale concezione è troppo riduttiva, perché si limita a considerare solo l’aspetto monetario e tralascia il valore “culturale” non misurabile in termini monetari. Quindi il valore aggiunto evidenziato dalle diverse statistiche si esauriva all’interno del processo monetario, dato che i valori risultanti dalle statistiche riflettevano prezzi realizzati sui mercati33. Secondo Colm l’unico significato attribuibile alla determinazione del valore aggiunto è quello di evidenziare l’importo monetario che remunera le varie prestazioni dei soggetti partecipanti al processo produttivo. Il metodo di determinazione del valore aggiunto proposto da Colm si caratterizza sostanzialmente per due elementi. In primo luogo Colm sostiene che si può considerare la produzione solo in quanto ha generato del reddito. Reddito che si realizza solo nella fase di collocamento dei prodotti finiti sul mercato attuando il disinvestimento ed il recupero delle somme in precedenza impiegate. Per questo motivo Colm esclude le rimanenze finali dal calcolo del valore aggiunto e considera soltanto la quantità di prodotti venduti, salvo nel caso in cui le rimanenze costituiscano garanzie per gli affidamenti ottenuti. Seguendo tale procedura Colm evita il problema della valutazione delle rimanenze finali. In secondo luogo Colm elenca tutte le classi di interesse partecipanti al processo produttivo, tra le quali viene ripartito quanto ricavato dalle vendite. Colm individua in tal modo sei classi, tra cui le economie terze (fornitori delle materie prime, fornitori dei macchinari, banche, assicurazioni, ecc.), i proprietari dello stabilimento e degli uffici, lo Stato, gli azionisti e i 32 COLM, Das “Mehrwert” – Verfahren in der Produktionsstatistik, in: “Weltwirtschaftliches Archiv”, 1924, pag. 204 e segg. 33 COLM, op. cit., pag. 207: “Man würde ja die der wirtschaftlichen Marktlage und der Konjunktur unterworfenen Geldgrößen in Verbindung bringen mit einem geldmäßig gar niht erfaßbaren kulturellen Maßstab. Die ‘Werte’ in der Produktionsstatistik sind realisierte Preise – ihre Bedeutung erschöpft sich innerhalb des gelwirtschaftlichen Prozesses …”. Cfr. anche SCHÄFER, op. cit., pag. 454 e segg. 52 partecipanti al capitale sociale, operai e dipendenti e, infine, le diverse classi professionali. Tale schema di distribuzione non segue forse una logica sistematica, sviluppata solo successivamente da altri studiosi. È importante tuttavia evidenziare la particolare soluzione cui è prevenuto Colm per quanto riguarda le quote di ammortamento. Se si osserva bene la classe delle economie terze, si nota che essa include anche i fornitori di macchinari. Infatti Colm è contrario all’ammortamento per quote costanti, in quanto tale metodo non tiene conto della manutenzione e delle migliorie apportate su tali beni. Egli propone così di considerare ai fini del calcolo del valore aggiunto soltanto le spese effettivamente sostenute durante l’anno per la manutenzione, per le migliorie e per gli acquisti34. Ghertschuk, studioso contemporaneo di Colm, è sostanzialmente d’accordo con il metodo proposto da Colm. Anche Ghertschuk35 propone di detrarre le spese sostenute durante l’anno per la manutenzione e per le migliorie. Egli critica invece l’inserimento delle spese sostenute per l’acquisto di macchinari nuovi al posto delle quote di ammortamento. Infatti egli osserva che tali spese nel caso in cui non fossero state capitalizzate e successivamente ammortizzate, avrebbero inciso fortemente sul risultato dell’esercizio in cui sono sostenute. Tali spese, secondo Ghertschuk, sono di competenza di più esercizi e quindi non è corretto imputarle ad un unico esercizio. Ghertschuk rifiuta anche la proposta di Colm di limitarsi a considerare soltanto il fatturato come grandezza di partenza sottolineando la necessità di includere anche le rimanenze finali, paragonandole all’investimento in macchinari nuovi e proponendo di valutarle al costo di produzione36. Anche se nell’applicazione statistica alcune nozioni vengono definite in modo differente dai vari studiosi, fatto dovuto alle diverse tecniche di rilevazione e dei dati disponibili, in generale si può affer34 COLM, op. cit., pagg. 211-215. GHERTSCHUCK, Die Ermittlung der Werterhöhung in der Produktionsstatistik, in: “Weltwirtschaftliches Archiv”, 1928, pag. 225 e segg. 36 COLM, prendendo spunto dalla critica di Ghertschuk, revisiona la sua teoria accettando sostanzialmente le modifiche proposte dal secondo; cfr. COLM, Bemerkungen zu dem Aufsatz von Ghertschuk, in: “Weltwirtschaftliches Archiv”, 1928, pag. 236 e segg.; SCHÄFER, op. cit., pag. 456 e segg. 35 53 mare che nell’economia politica il valore aggiunto è definito in modo sostanzialmente uniforme. Il valore aggiunto di un’impresa, di un settore, di una nazione è uguale al reddito prodotto. Il valore aggiunto viene calcolato (cfr. figura 2.1) partendo dal valore lordo della produzione (Bruttoproduktionswert) che è pari al fatturato incrementato del valore delle variazioni delle rimanenze e delle immobilizzazioni interne. Da questo valore lordo si detraggono i consumo dei fattori produttivi apportati da terze economie (Vorleistungen) e si ottiene il valore aggiunto lordo (Bruttowertschöopfung). Se si detraggono anche gli ammortamenti e le imposte indirette si ottiene il valore aggiunto netto (Nettowertschöpfung) o valore aggiunte al costo dei fattori (Wertschöfung zu Faktorkosten)37. Tale grandezza comprende i salari e gli stipendi, gli interessi passivi, i profitti distribuiti e non distribuiti e le imposte dirette38. FIGURA 2.1: LA NOZIONE DI VALORE AGGIUNTO PROPRIA DELL’ECONOMIA POLITICA Valore lordo della produzione – consumi di fattori produttivi apportati da terze economie Valore aggiunto lordo – ammortamenti – imposte indirette Valore aggiunto/valore aggiunto netto Salari e stipendi Interessi passivi Profitto distribuito e non distribuito Imposte dirette 37 KROEBER RIEL, op. cit., pag. 22 e segg. STOBBE, Volkswirtschaftslehre I: Volkswirtschaftliches Rechnungswesen, Berlin/Heidelberg/New York, 1976, pag. 17 e segg.; WEBER, Wertschöpfungsrechnung, Stuttgart, 1980, pag. 5 e segg. 38 54 2.2 Aspetti economico-aziendali Gli studi sul valore aggiunto sviluppati nell’ambito macroeconomico sono stati la base per gli studi successivi elaborati nell’ambito economico-aziendale. L’importanza del valore aggiunto nell’ambito dell’economia aziendale è emersa solo recentemente. All’inizio del Ventesimo secolo Nicklisch introduce in dottrina una nozione simile al valore aggiunto denominata Betriebsertrag. Negli anni Trenta Lehmann, come osserva egli stesso, si rende conto che la nozione di valore aggiunto, conosciuta da Rathenau durante le Reparationsverhandlungen del primo dopoguerra, può essere utilizzata anche nella contabilità aziendale. E’stato Lehmann attraverso numerosi articoli e monografie ad attirare l’attenzione della dottrina economicoaziendale tedesca sulla questione del valore aggiunto. Durante gli anni Cinquanta e Settanta, anche a seguito dell’evoluzione degli studi sul reddito d’esercizio, molti studiosi aziendali si sono dedicati allo studio del valore aggiunto, considerato “nozione sorella” del profitto (Schwesterbegriff des Gewinns39). Tuttavia solo dagli anni Settanta in poi lo studio dottrinale è stato applicato anche alla prassi aziendale, come risposta all’esigenza di redigere bilanci sociali. E’proprio questo l’ambito in cui la nozione di valore aggiunto trova attuale applicazione e di cui è diventata punto cruciale irrinunciabile. 2.2.1. Il Betriebertrag di Nicklisch Heinrich Nicklisch è fondamentalmente il primo studioso della dottrina tedesca che propone alla fine degli anni Venti una nozione di risultato che si avvicina alla nozione della Wertschöpfung e che viene denominata Betriebsertrag. Questo suo studio ha avuto tuttavia poca risonanza e solo con Lehmann il valore aggiunto ha ottenuto l’accreditamento da parte della dottrina economico-aziendale tedesca. Nonostante ciò, Nicklisch viene considerato assieme a Lehmann il Vater der Wertschöpfung (padre del calcolo del valore aggiunto) in quanto è stato in grado di sensibilizzare la comunità scientifica al cosiddetto Wertproblem e quindi al Wertschöpfungsdenken. Si è visto che egli concepisce l’economia dell’azienda come un’economia dei 39 SCHÄFER, op. cit., pag. 457. 55 valori e definisce quale problema fondamentale dell’economia aziendale il Beziehungsproblem40, elemento fondamentale di tutti gli sviluppi dottrinali successivi. Il sistema elaborato da Nicklisch si divide principalmente in due fasi: la fase dell’Einkommenserzeugung che comprende l’acquisizione dei fattori produttivi, la trasformazione tecnico-economica ed il collocamento sul mercato, e la fase dell’Einkommensverteilung in cui viene distribuito il reddito prodotto. Nel processo produttivo confluiscono tutti i fattori di produzione cioè sia i beni e i servizi acquistati presso economie terze e la “prestazione” dell’impresa stessa (Betriebsleistung). Per Nicklisch (come successivamente anche per Lehmann) è fondamentale distinguere tra valore apportato da economie terze sotto forma di beni e servizi acquistati, denominato betribsfremde Leistung, e valore creato all’interno dell’impresa, denominato Betribsleistung. Inoltre, Nicklisch distingue tra valore di competenza del periodo, che viene denominato Periodenleistungen e valore non di competenza che viene denominato periodenlefremde Leistung. Il valore creatosi all’interno di un’impresa è costituito dal valore apportato da economie terze (Zugänge aus fremden Betrieben während der Periode), dalle rimanenze di valore del periodo precedente (Anfangsvermögen der Periode) ed infine dal valore creato dall’impresa durante il periodo (Zugönge aus eigener Leistung)41. Sulla base di queste ipotesi il valore prodotto all’interno dell’impresa viene denominato da Nicklisch Betriebsertrag: egli sostiene infatti che il risultato della gestione aziendale è il Betriebsertrag e non il Gewinn anche se gli studiosi di economia aziendale tendono a misurare la capacità di produrre ricchezza di un’impresa con il calcolo dell’utile di esercizio. Tale capacità però dipende dalla Betriebsleistrung che ha come contropartita il Betriebsertrag e non il Gewinn. L’utile quindi è nient’altro che un valore residuo del Betriebsertrag alla fine del processo della Ertragsverteilung che distribuisce la ricchezza prodotta all’interno dell’impresa42. 40 Cfr. NICKLISCH, Die Betriebswirtschaft, Stuttgart, 1930, pag. 163. Cfr. NICKLISCH, op. cit., pag. 500 e segg. 42 Cfr. NICKLISCH, op. cit., pag. 535. 41 56 È interessante osservare che Nicklisch conosce il termine Wertschöpfung e che non lo sceglie appositamente, criticando altresì, il suo utilizzo nella ricerca effettuata pochi anni prima da Skrodzki e Moessner. In tale ricerca elaborata su incarico del Reichsverband der Deutschen Industrie ed intitolata “Besteuerung, Ertrag un Arbeitslohn industrieller Unternehmungen im Jahre 1927” viene utilizzato il termine Wertschöpfung al posto di Ertrag. Nicklisch critica fortemente questo fatto sostenendo l’opinione che il termine Ertrag ed in particolare il termine Betriebsertrag descriva meglio la Betriebsleistung in quanto sottolinea l’aspetto della produzione di valore (ricchezza)43. Il Betriebsertrag si determina detraendo dai ricavi conseguiti i costi sostenuti per l’acquisto delle materie prime ed ausiliarie, le quote di ammortamento e di accantonamento44, i costi sostenuti per beni e servizi acquistati da economie terze ed, infine, gli interessi passivi45 per remunerare il capitale di terzi. Ne segue che il Betriebsertrag è la grandezza residuo che verrà distribuita tra gli aventi diritto che sono i dipendenti e gli imprenditori proprietari dell’impresa. Con il Betriebsertrag infatti viene pagata la prestazione lavorativa del personale e, in particolare, gli stipendi (Unternehmerlohn) degli imprenditori proprietari che hanno partecipato al processo produttivo. Tale posizione viene sottolineata fortemente e viene ribadita più volte da Nicklisch per l’importanza che egli attribuisce alla determinazione del reinem Gewinn46. Il Vorstand (comitato di gestione) e l’Aufsichtsrat (consiglio di sorveglianza) stabiliscono il costo opportunità che rappresenta la remunerazione minima dell’Unternehmerkapital. Riconosciuto il costo del capitale agli aventi diritto, il residuo del Betriebsertrag viene di43 Cfr. NICKLISCH, op. cit., pagg. 527-528. Nicklisch osserva che gli ammortamenti e gli accantonamenti sono spesso degli strumenti utilizzati dal redattore di bilancio per creare riserve occulte (stille Reserven). 45 Dato che Nicklisch considera gli interessi passivi un costo per l’impresa e non parte del valore da distribuire, la sua nozione di Betriebsertrag viene considerata dalla dottrina quale limitazione del concetto di Wertschöpfung. 46 Nicklisch afferma (op. cit., pag. 526 e segg.) che il reine Gewinn richiede a sua volta che l’Aufwandswert della produzione venga calcolato in modo “pieno”, in modo cioè da comprendere anche la remunerazione per la prestazione degli imprenditori proprietari. 44 57 stribuito agli aventi diritto (portatori del capitale ed eventualmente portatori di lavoro). Nulla tuttavia dice Nicklisch sulle modalità di ripartizione del Gewinn. La figura che segue ripropone in modo schematico il concetto di Betriebsertrag sviluppato da Nicklisch. FIGURA 2.2: IL CONCETTO DEL BETRIEBSERTRAG Ricavi – costi per materie prime ed ausiliarie – costi per beni e servizi di economie terze – ammortamenti ed accantonamenti – interessi passivi su capitale di terzi Betriebsertrag: Salari, stipendi e Unternehmerlohn Costo opportunità Gewinn 2.2.2. La definizione del valore aggiunto da parte di Lehmann Max Rudolf Lehmann afferma di aver sentito usare il termine Wertschöpfung47 durante la primavera dei 1921 quando era occupato presso il Reichswirtschaftsministerium (ministero dell’economia). In quel periodo Lehmann verifica, assieme ad un gruppo di studiosi, i dati sul valore aggiunto orario dei lavoratori, dati elaborati da Walther Rathenau e poi utilizzati nell’ambito delle Reparationsverhandlungen (negoziazione per le riparazioni di guerra). Soltanto a distanza di quindici anni Lehmann scopre in sede di una causa giudiziaria – quale 47 LEHMANN, Leistungsmessung durch Wertschöpfungsrechnung, Essen, 1954, pagg. 102-103: “Mir selbst ist der Begriff erstmalig im Frühjahr 1921 entgegengetreten, als ich damals im Reichswirtschaftsministerium tätig war. Damals hätte nämlich Walter Rathenau zwecks Vorbereitungen der s. Z. bevorstehenden Reparationsverhandlungen die Behauptung aufgestellt, die ‘Wertschöpfung je Arbeitsstunde’ der Werktätigen betrüge in Deutschland schätzungsweise 50 Pfennige, und diese Behauptung oder Annahme mußte im Ministerium auf ihre Haltbarkeit hin nachgeprüft werden, eine Nachprüfung, an der ich beteiligt war”. 58 consulente di parte – la possibilità di applicare tale concetto anche in ambito aziendale48. Negli anni quaranta e cinquanta egli sviluppa il concetto del valore aggiunto in un’ottica aziendale: per questo motivo Max Rudolf Lehmann viene considerato dagli aziendalisti tedeschi che si sono occupati di valore aggiunto come “il padre” della Wertschöpfungsrechnung49. La sua pubblicazione, frutto di accurati studi e riferimento fondamentale per tutti coloro che si accingono a studiare l’applicazione dei valore aggiunto nell’ambito economico aziendale, si intitola Leistungsmessung durch Wertschöpfungsrechnung (Essen 1954). Tale studio è fortemente influenzato dall’esperienza storica, il dopoguerra della prima e seconda guerra mondiale, periodo in cui si recuperano le perdite subite durante la guerra. Ciò significa ricostruire, produrre, organizzare, e soprattutto – sul piano economico – aumentare la produttività Infatti Lehmann, osservando lo sviluppo industriale, si rende conto della necessità di strumenti idonei a studiare il potenziamento della prestazione (Leistungssteigerung) sia delle singole imprese che del settore industriale nel suo complesso. Egli sente l’esigenza di sviluppare strumenti capaci di evidenziare e di misurare le prestazioni produttive (Leistungen). Prestazione che può essere analizzata a livello individuale della singola impresa (individuelle Leistung) oppure a livello generale dell’insieme delle imprese (generelle Leistung). La prestazione individuale presenta caratteristiche differenti da settore a settore, da impresa a impresa, mentre la prestazione generale individua caratteristiche comuni ai settori e alle imprese tali da permettere considerazioni più ampie e più importanti. Per questa ragione Lehmann ritiene la prestazione generale di maggiore importanza e conseguen48 LEHMANN, op. cit., pag. 103: “Obgleich mich nun die Benutzung des Wertschöpfungsbegriffes auf wirtschaftspolitischer Ebene stark beeindruckt hatte, so hat es doch verhältnismäßig lange gedauert, bis ich zu der Erkenntnis gelangt bin, daß sich von ihm aus eine betriebswirtschaftliche Rechnungsweise entwickeln ließe, die wertvolle Ergebnisse zu liefern vermag. Denn erst in den Jahren 1935-1937 ist es zu dieser Auswertung des Wertschöpfungsgedanken fü betriebswirtschaftliche Zwecke gekommen, und zwar gelegentlich eines Rechtsstreits, an dem ich als Parteigutachter beteiligt war”. 49 Confrontasi WEBER, op. cit. (Stuttgart 1980), KROEBER RIEL, op. cit. (Berlin 1963) e SCHÄFER, op. cit (in: ZfB 8/1951), pag. 449 e seguenti. 59 temente concentra i suoi studi su di essa50. La grandezza che misura tale prestazione viene denominata da Lehmann Wertschöpfung. Egli intende per Wertschöpfung il contributo delle singole imprese al reddito totale di una nazione oppure al prodotto nazionale51. Lehmann prende questa definizione dall’economia politica aggiungendo alcune osservazioni. In primo luogo la Wertschöpfung è caratterizzata da due aspetti: l’aspetto dei beni (Gütereinkommens-Seite) e l’aspetto monetario (Geldeinkommens-Seite). Ciò significa che la Wertschöpfung può essere intesa sia come produzione di beni che come reddito monetario realizzato. In secondo luogo, mentre il Geldeinkommnen può essere considerato solo in termini di valore (oppure usando espressamente il termine di Lehmann: in termini di Wertgroße), il Gütereinkommen può essere considerato sia in termini fisici (il bene stesso) che in termini di valore (valore attribuito alla produzione dei beni). Nell’ambito della Wertschöpfung sia il Geldeinkommen che il Gütereinkommen vengono considerati in termini di valore (Wertgröße) affinché sia valida l’uguaglianza: Wertschöpfung = erzeugtes Gütereinkommen = erzeugtes Geldeinkommen52 È del tutto corretto determinare la Wertschöpfung sulla base delle risultanze contabili, dato che la contabilità stessa rappresenta un corretto sistema di valori53. In terzo luogo, anche se vale tale uguaglianza, i due aspetti devono essere trattati in modo separato. Per quanto riguarda la Gütereinkommens-Seite si può osservare che tutte le imprese 50 LEHMANN, op. cit., pag. 10: “Die generelle Betriebsleistung im angedeuten Sinne und die Methoden ihrer rechnerischen Erfassung und ihres statistischen Vergleichs sind es deshalb, denen ich selbst besonders große praktische Bedeutung beilege, und die den Gegenstand des vorliegenden Buches bilden …”. 51 LEHMANN, op. cit., pag. 11: “stellt die Wertschöpfung nichts anderes dar als den Anteil, den die Betriebe zum Gesamteinkommen der Volks- oder Gesamtwirtschaft oder zu deren Sozialprodukt beitragen”. 52 LEHMANN, op. cit., pag. 11. 53 LEHMANN, op. cit., pag. 12: “Damit hängt es zusammen, daß sich die Wertschöpfung im Rahmen der Buchhaltung ermitteln läßt, die ja (in Bezug auf ihre systematischen Bücher) ein reines Wertrechnungs – System darstellt”. 60 parte di un sistema economico sono inserite gradualmente in esso. Ne segue che ogni impresa da un lato partecipa positivamente alla produzione di beni (positive Einkommenserzeugung), ma dall’altro lato essa consuma beni prodotti da terze economie (negative Einkommenserzeugung). Quindi la Gütereinkommens-Seite è rappresentata da due componenti: dalla componente positiva che è il fatturato (Roherträge) e dalla componente negativa che è rappresentata dai costi per il consumo di beni prodotti da economie terze (Vorleistungskosten). Ciò permette di definire la seguente uguaglianza: erzeugtes Gütereinkommen = Roherträge – Vorleistungskosten54 La Geldeinkommens-Seite invece rappresenta il controvalore astratto dell’erzeugten Gütereinkommens” e conseguentemente è uguale alla differenza soprariportata. In questa sede si deve inoltre osservare che la Wertschöpfung in quanto erzeugtes Geideinkommen torna a profitto delle parti sociali (Sozialpartner) che sono collegate con l’impresa. Le parti sociali sono il personale (Belegschaft), incluso l’imprenditore e i funzionari, la mano pubblica (Staat), e i conferenti il capitale (Kapitalgeber). Ne segue che la Wertschöpfung si scompone in tre parti che per gli interlocutori sociali rappresentano i rispettivi redditi. Abbiamo quindi l’Arbeitsertrag per remunerare il personale, il Gemeinertrag per remunerare la “mano pubblica” ed infine il Kapitalertrag per remunerare il capitale proprio ed il capitale di terzi. Per la Geldeinkommens-Seite si può pertanto definire la seguente uguaglianza: erzeugtes Geldeinkommen = Arbeitserträge + Gemeinerträge + Kapitalerträge55 L’utilità dei risultati del calcolo del valore aggiunto dipende totalmente dalla definizione corretta delle tre classi: Roherträge, Vorlei- 54 55 LEHMANN, op. cit., pag. 12. LEHMANN, op. cit., pag. 13. 61 stungskosten e Wertschöpfung. Per quanto riguarda il Rohertrag56 Lehmann intende il fatturato, corretto sia dalle variazioni delle rimanenze dei prodotti finiti e semilavorati, che dagli incrementi di immobilizzazioni interne. Schematicamente: Roherträge (fatturato) – Vorleistungskosten (consumo di beni prodotti da economie terze) Wertschöpfung in quanto erzeugtes Gutereinkommen Wertschöpfung in quanto erzeugtes Geldeinkommen Arbeisertag Gemeinertrag Kapitalertrag Con Vorleistungen Lehmann intende i costi sostenuti per le materie prime (Stoffkosten), gli ammortamenti (Abschreibungen), i costi sostenuti per prestazioni di servizi apportati da economie terze (Fremd- und Außendienstkosten) e costi per rischi specifici (Wagniskosten). In questa sede è interessante osservare che Lehmann, già alla fine degli anni venti, aveva determinato delle classi di costi simili per calcolare il reinen Produktionserfolg. Allora ne aveva individuate sette, qui invece ne ritroviamo solo quattro; se a queste si aggiungono anche l’Arbeitsertrag, il Gemeinertrag e il Kapitalertrag, si ritrovano tutte e sette le classi57. 56 Weber propone di sostituire il termine Rohertrag con il valore lordo della produzione. Cfr. WEBER. Op. cit., pag. 6: “Um Verwechselungen zu vermeiden, sollte man daher den Lehmann’schen Begriff des Rohertrages ersetzen: entweder durch den aktienrechtlichen Begriff der Gesamtleistung (aber damit würde man den Intentionen Lehmanns nicht voll gerechtet werden, weil er – wie noch darzulegen sein wird – der Wertschöpfungsrechnung alle betriebsfremden Elemente fernhalten will) oder noch besser durch den in den Volkswirtschaftslehre und Wirtschaftsstatistik üblichen Begriff des Bruttoproduktionswert”. 57 Lehmann individua sette categorie di costi: a) Materie prime; b) Ammortamenti; c) Costi del personale; 62 La Wertschöpfung è a sua volta ripartita in Arbeitsertrag, Gemeinertrag e Kapitalertrag. Per Arbeitsertrag Lehmann intende i salari e stipendi e in più contributi sociali previsti dalla legge oppure su base volontaria, per Gemeinertrag egli intende imposte e tasse. Il Kapitalertrag viene disaggregato da Lehmann in interessi passivi che remunerano il capitale di terzi e in “rendita” che remunera il capitale proprio investito nell’impresa. La figura 2.3 nella pagina seguente ripropone in modo schematico il calcolo del valore aggiunto come è stato proposto da Lehmann. Confrontando la nozione di Wertschöpfung di Lehmann con quella di Nicklisch si può osservare che quella di Lehmann si differenzia da quella di Nicklisch in quanto include anche gli interessi passivi dei capitale di terzi e le imposte. Si può pertanto affermare che la nozione di Lehmann è più completa che quella di Nicklisch. 2.2.4 Il valore aggiunto secondo Pohmer Dieter Pohmer intende per Wertschöpfung la grandezza che rappresenta il contributo da parte delle imprese alla creazione del reddito nazionale. Questo in base alla concezione che il Wertumlauf della singola impresa si inserisce nel Wertumlauf che sussiste tra le imprese all’interno di un sistema economico. Ciò significa che un’impresa acquista beni e servizi da imprese terze, li trasforma e li immette sul mercato, dove vengono acquistati da altre imprese e quindi ancora una volta elaborati ed immessi sul mercato fintanto che vengono acquistati dal consumatore finale58. Pohmer precisa che il suo concetto di valore d) Interessi passivi; e) Costi per servizi prestati da terzi; f) Costi sociali (imposte, contributi sociali, ecc.); g) Costi per rischi particolari. Se dai Roherträge vengono detratti tutti i costi sopra citati, si ottiene il reinen Produktionserfolg. Se invece viene tralasciata l’una o l’altra categoria di costo otteniamo diversi risultati, quali per esempio il Kapitalertrag, l’Arbeitsertrag, ecc. Cfr. LEHMANN, Allgemeine Betriebswirtschaftslehre, Leipzig, 1928, pag. 147 e segg. 58 POHMER, KROENLEIN, Betriebliche Wertschöpfung, in: “Handwörterbuch des Rechnungswesen”, hrsg. von E. KOSIOL, Stuttgart, 1970, § 1913 e segg. Cfr. anche WEBER, op.cit. e Pohmer, Betriebswirtschaftliche Bedeutung und Ermittlung der 63 aggiunto si differenzia da quello di Lehmann, in quanto Lehmann calcola il valore aggiunto in base ai costi e ricavi (kalkulatorische Rechnung), mentre egli lo calcola in base agli introiti e spese (pagatorische Rechnung)59. FIGURA 2.3: SCHEMA DI CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO DEFINITO DA LEHMANN Roherträge: + fatturato + variazione delle rimanenze di prodotti fini e semilavorati + incrementi di immobilizzazioni interne ROHERTRÄGE Vorleistungen: – materie prime – ammortamenti – costi sostenuti per lavori e servizi apportati da economie terze – costi per rischi particolari individuati da determinate polizze di assicurazione Wertschöpfung VORLEISTUNGEN WERTSCHÖPFUNG Arbeitsertrag: Salari e stipendi Contributi sociali ARBEITSERTRAG Gemeinerertrag: GEMEINERERTRAG Imposte e tasse Kapitalertrag: Interessi passivi per il capitale di terzi Rendita del capitale proprio KAPITALERTRAG betrieblichen Wertschöpfung, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1958, pag. 148 e segg. 59 POHMER, KROENLEIN, op. cit., § 1915. 64 Pohmer definisce innanzitutto la nozione di valore aggiunto riguardante la vita totale di un’impresa (Totalperiode) che comprende il periodo dalla costituzione dell’impresa stessa fino alla sua liquidazione. Il valore aggiunto aziendale (betriebliche Wertschöpfung) può essere determinato secondo due modalità. La prima, denominata Additionsmethode, permette di calcolare il valore aggiunto sommando i vari redditi prodotti dall’impresa. La seconda, denominata Subtraktionsmethode, permette di calcolare il Nettoumsatz (che coincide con il valore aggiunto) detraendo dal fatturato le Vorleistungen, cioè le Wertschöpfungen delle altre imprese. La betriebliche Wertschöpfung si determina sommando all’utile realizzato (pagatorischer Erfolg) i salari e stipendi e i contributi sociali e gli interessi passivi, detraendo gli interessi attivi e gli utili dovuti a partecipazioni. In via alternativa, la betriebliche Wertschöpfung, che è pari al Nettoumsatz, si determina detraendo dall’Umsatz, che è pari a tutti gli introiti dell’intera vita dell’impresa al netto degli interessi attivi e degli utili dovuti alle partecipazioni, le Vorleistungen, che comprendono tutte le spese sostenute meno i salari e stipendi e contributi sociali e meno gli interessi passivi, sempre relativi all’intera vita aziendale60. La figura che segue rappresenta la Wertschöpfung in der Totalperiode secondo l’approccio di Pohmer. FIGURA 2.4: IL VALORE AGGIUNTO TOTALE SECONDO POHMER Introiti: – interessi attivi – proventi da partecipazioni Spese sostenute: – salari, stipendi e contributi sociali – interessi passivi Salari, stipendi e| contributi sociali Interessi passivi Utile (Pagatorische Erfolg) Esclusi: – interessi passivi – proventi da partecipazioni Umsatz: – Vorleistungen: Nettoumsatz = Wertschöpfung 60 Pohmer, Kroenlein, op. cit., § 1916. 65 Il valore aggiunto del periodo rappresenta il contributo periodico da parte della singola impresa alla creazione del reddito nazionale. Ciò significa che in primo luogo la somma di tutti i valori aggiunti periodici di un’impresa (Periodenwertschöpfungen) è uguale al valore aggiunto totale (Totalwertschöpfung) della stessa impresa. In secondo luogo la somma dei valori aggiunti periodici di tutte le imprese di un periodo è uguale al reddito nazionale di quel periodo61. Nel passaggio dal valore aggiunto totale a quello di periodo sorge il problema – analogo a quello tipico del bilancio di esercizio – della competenza “economica”. Ecco che allora i concetti di spesa, introito e risultato monetario cambiano denominazione. Pohmer non parla più di Einnahme, Ausgabe und pagatorischer Erfolg ma utilizza i “nuovi” termini Ertrag, Aufwand und Erfolg. Viene a cadere anche l’uguaglianza tra betriebliche Wertschöpfung e Nettoumsatz62. Per determinare la betriebliche Wertschöpfung con il procedimento della Subtraktionsmethode si detraggono dall’Umsatz le spese sostenute per fattori produttivi impiegati nel processo produttivo. La grandezza così determinata viene denominata Bruttowertschöpfung. Dopo aver detratto gli ammortamenti e gli accantonamenti ai fondi rischi, si ottiene il valore aggiunto periodico (Periodenwertschöpfung), denominato anche Nettowertschöpfung. Il tutto trova rappresentazione nella figura 2.5. 61 Se si considerano anche i rapporti con l’estero, tale importo corrisponde al prodotto interno lordo; cfr. POHMER, KROENLEIN, op. cit., § 1917. 62 POHMER, KROENLEIN, op. cit., § 1917: “Der Nettoumsatz ist in der Periodenrechnung nicht mit der Wertschöpfung identisch, da die Periodisierung anders, und zwar weniger sinnvoll, weil zufällig, erfolgt; die Summe der Nettoumsätze aller Unternehmungen (in einer Volkswirtschaft) in einer Periode ergibt die Summe der Konsumausgaben der Haushaltungen”. 66 FIGURA 2.5: IL VALORE AGGIUNTO SECONDO POHMER Umsatz: – Vorleistungen: Introiti (Ertragseinnahmen) – interessi attivi – proventi da partecipazione Spese (Aufwandsausgaben) – salari, stipendi e contributi sociali – interessi passivi – ammortamenti ed accantonamenti Bruttowertschöpfung – ammortamenti – accantonamenti Nettowertschöpfung Salari, stipendi e contributi sociali Interessi passivi Utile (Erfolg) Esclusi: – interessi attivi – proventi da partecipazione Nel ragionamento finora sviluppato non è stata inclusa la “mano pubblica”, che stabilisce dei rapporti con le imprese, al pari di ogni altro interlocutore sociale. Tali rapporti possono essere definiti rapporti economici unilaterali. Si è in presenza della “mano pubblica” che agisce in senso stretto, incassando le imposte e concedendo sovvenzioni. Le imposte sono grandezze che incidono sull’utile d’esercizio e quindi influenzano anche il valore aggiunto. Se si detrae dalla Nettowertschöpfung, che viene denominata anche Nettowertschöpfung zu Marktpreisen (valore aggiunto netto a prezzi di mercato), la somma algebrica tra le sovvenzioni e le imposte e tasse si ottiene la Nettowertschöpfung zu Faktorkosten (valore aggiunto netto ai costi di fattore)63. La figura che segue riproduce in modo schematico il concetto di valore aggiunto tenendo conto anche della “mano pubblica”. 63 POHMER, KROENLEIN, op. cit., § 1918: “und wird – demselben Sprachgebrauch folgend – betriebliche Nettowertschöpfung zu Marktpreisen genannt. Zieht man hiervon die Differenz aus Unternehmersteuer und Subventionen ab, so erhält man die Nettowertschöpfung zu Faktorkosten, die man im allgemeinen anspricht, wenn ohne nähere Bezeichnung von der betrieblichen Wertschöpfung die Rede ist”. 67 FIGURA 2.6: IL VALORE AGGIUNTO SECONDO POHMER (COMPRESA LA “MANO PUBBLICA”) Umsatz: – Vorleistungen: Introiti (Ertragseinnahmen) – interessi attivi – proventi da partecipazione Spese (Aufwandsausgaben) – salari, stipendi e contributi sociali – interessi passivi – ammortamenti ed accantonamenti Bruttowertschöpfung – ammortamenti – accantonamenti Nettowertschöpfung zu Marketpreisen +/– saldo tra contributi, imposte e tasse Salari, stipendi e contributi sociali Interessi passivi Nettowertschöpfung zu Faktorenpreisen Utile (Erfolg) Esclusi: – interessi attivi – proventi da partecipazione Se si paragona il concetto di valore aggiunto dell’economia politica (approccio macro) con quello aziendale – ed in particolare con quello di Lehmann – si possono fare alcune osservazioni. Innanzitutto entrambe le nozioni partono dalla stessa grandezza, il Rohertrag che coincide con il valore lordo della produzione (Bruttoproduktionswert). Le Vorleistungen costituiscono l’elemento differenziatore tra il modello dell’economia politica e quello di Lehmann, dato che questi vi include anche gli ammortamenti. Al contrario la nozione di valore aggiunto di Lehmann è più ampia di quella dell’economia politica, perché il primo comprende nel Gemeinertrag, elemento della Wertschöpfung, sia le imposte dirette che indirette. Queste ultime nell’ambito dell’economia politica vengono detratte dal Nettoproduktionswert e quindi si ottiene il Nettoproduktionswert zu Faktorkosten64. Le imposte dirette ed indirette possono essere trattate allo stesso modo: entrambe comprese nelle Vorleistungen oppure direttamente 64 Cfr. KROEBER RIEL, op. cit., pag. 20 e segg.; WEBER, op. cit., pagg. 10-11. 68 nella Wertschöpfung. Questo perché la differenziazione in imposte dirette ed indirette (in generale per imposte dirette si intendono imposte deducibili, e per imposte indirette quelle non deducibili) nell’ambito del calcolo del valore aggiunto aziendale non è giustificato65. Quale di queste definizioni è quella giusta o, meglio, quale è quella appropriata? Quella di Nicklisch che è la più rigida, oppure quella di Lehmann che è la più ampia e di natura kalkulatorisch, oppure ancora quella di Pohmer che è di natura pagatorisch, oppure una definizione intermedia come quella proposta dall’economia politica? Non è possibile esprimere alcuna preferenza netta giacché la definizione dovrà essere scelta con riguardo agli obiettivi presenti e con riguardo agli scopi perseguiti. La figura 2.7 nella pagina seguente propone una rappresentazione comparata delle quattro principali definizioni di valore aggiunto esaminate. Nell’attuale dottrina economico-aziendale tedesca, tra i concetti di valore aggiunto considerati finora, sono ritenuti ancora validi quelli di Lehmann e di Pohmer, mentre quello di Nicklisch non viene più sostenuto, salvo rare eccezioni. Più precisamente i concetti di Lehmann e di Pohmer vengono considerati i più appropriati, anche se non sempre vengono applicati in modo preciso per le difficoltà tecniche di calcolo. Infatti la Wertschöpfung non può essere calcolata immediatamente utilizzando i dati del conto economico, ma richiede delle rielaborazioni e aggregazioni dei valori di bilancio66. 65 WEBER, op. cit., pag. 11:”Eine Differenzierung nach direkten und indirekten Steuern (worunter man in allgemeinen abwälzbare bzw. nichtabwälzbare Steuern versteht) ist im Rahmen der Wertschöpfung für betriebliche Zwecke nicht gerechtfertigt”. 66 POHMER, KROENLEIN, op. cit., § 1919; WEBER, op. cit., pag. 8. 69 FIGURA 2.7: SCHEMA COMPARATIVO DELLE DIVERSE NOZIONI DI VALORE AGGIUNTO Rohertrag, Bruttoproduktionswert Ertragseinnahmen – Consumo di materie prime, beni e servizi apportati da terze economie Bruttowertschöpfung pro- Ammortamenti prio dell’economia politi- Interessi passivi ca e di Pohmer Salari, stipendi, contributi Imposte Utili – ammortamenti Nettowertschöpfung di Pohmer Nettowertschöpfung zu Marketpreisen proprio dell’economia politica Wertschöpfung di Lehmann Interessi passivi Salari, stipendi, contributi Imposte Utili Nettowertschöpfung zu Faktorkosten Interessi passivi Salari, stipendi, contributi Utili Betriebsertrag (Wertschöpfung) di Nicklisch Salari, stipendi, contributi Utili – imposte indirette – imposte dirette – interessi passivi su capitali di terzi 70 CAPITOLO III LA DETERMINAZIONE DEL VALORE AGGIUNTO SOMMARIO: 1. Le metodologie di calcolo. – 2. L’origine dei dati. – 3. Il calcolo del valore aggiunto in alcuni settori. – 4. Il significato informativo del valore aggiunto. 1. Le metodologie di calcolo In questo capitolo si analizzano i diversi procedimenti e i diversi metodi per calcolare il valore aggiunto. Il valore aggiunto può essere determinato seguendo due procedimenti: il procedimento additivo (Additionsverfahren) ed il procedimento della sottrazione (Subtraktionsverfahren). Sia per il procedimento dell’addizione che per il procedimento della sottrazione si possono utilizzare diversi metodi di calcolo che si differenziano a secondo della definizione delle grandezze di calcolo. Abbiamo il metodo che si basa sulla contabilità industriale (kalkulatorische Rechnung), il metodo della contabilità generale (pagatorische Rechnung), il metodo dei flussi monetari (Einzahlungs-Auszahlungsrechnung) ed il metodo dei flussi finanziari (Einnahmen-Ausgabenrechnung). È interessante osservare che nella letteratura della Wertschöpfungsrechnung quasi tutti gli studiosi sviluppano il metodo che si basa sulla contabilità industriale (kalkulatorische Rechnung) oppure quello della contabilità generale (pagatorische Rechnung). Gli altri due metodi, quello dei flussi monetari (Einzahlungs-Auszahlungsrechnung) e quello dei flussi finanziari (Einnahmen-Ausgabenrechnung), vengono soltanto accennati come metodi possibili per calcolare il valore aggiunto. La scelta del metodo da seguire dipende sostanzialmente dagli scopi che vengono perseguiti con il calcolo dei valore aggiunto. Infatti se si vuole calcolare il valore aggiunto della gestione caratteristica, si deve utilizzare il kalkulatorische Rechnung, mentre se si vuole calcolare il valore aggiunto sia 71 della gestione caratteristica che della gestione accessoria, si deve utilizzare il pagatorische Rechnung. Presentando i vari procedimenti e metodi del calcolo del valore aggiunto si evidenziano anche le problematiche che si riscontrano nell’ambito di tale calcolo, illustrando possibili soluzioni che permettono di risolvere alcune difficoltà sia di contenuto sostanziale che di contenuto formale. Nella parte conclusiva si procederà all’approfondimento del calcolo dei valore aggiunto in diversi settori: quello industriale, commerciale e bancario. 1.1 Il procedimento di calcolo del valore aggiunto Il valore aggiunto di un’impresa si può determinare in due modi: in primo luogo il valore aggiunto può essere definito e determinato “per sottrazione”1, sarà pertanto uguale al risultato della differenza tra il valore della produzione lorda e il valore delle Vorleistungen2. Questo procedimento viene denominato il procedimento della sottrazione (Subtraktionsverfahren). In secondo luogo il valore aggiunto può essere definito e determinato per addizione, e quindi corrispondere alla somma dell’ Arbeitsertrag (reddito distribuito sotto forma di stipendi, salari e contributi sociali), del Kapitalertrag (reddito distribuito sotto forma di interessi passivi per il capitale di terzi ed in forma di costo opportunità per remunerare il capitale proprio) e del Gemeinertrag (reddito distribuito alla “mano pubblica”). Questo procedimento viene denominato il procedimento dell’addizione (Additionsverfahren). Dato che il risultato del primo procedimento corrisponde al risultato del secondo, questi due procedimenti non costituiscono alternative, ma sono 1 WEBER, Betriebliche Wertschöpfung, in: “Handwörtebuch des Rechnungswesens”, Stuttgart, 1981, § 1788: “Die Wertschöpfung kann – wie sie schon aus den Definitionen ergibt – auf zweifache Weise ermittelt werden: subtraktiv, indem man nach Lehmann (1954) vom Rohertrag bzw. Bruttoproduktionswert ausgeht und die Vorleistungen abzieht; additiv, indem man nach Lehmann (1954) die Arbeits-, Kapital- und Gemein’erträge’ zusammenzählt”. 2 Le Vorleistungen corrispondono al valore di tutti i beni e servizi apportati da terze economie. 72 da considerarsi complementari3. Essi possono però essere interpretati in modo diverso in base al loro contenuto oggettivo4. Il primo procedimento, quello della sottrazione (Subtraktionsverfahren) rappresenta la fase della creazione del valore aggiunto e per questo motivo viene anche denominato il “calcolo della creazione del valore aggiunto” (Wertschöpfungsentstchungsrechnung). Il secondo procedimento, quello additivo, rappresenta la distribuzione dei valore aggiunto fra le varie classi aventi diritto. Per questo motivo tale procedimento viene anche denominato il “calcolo della distribuzione del valore aggiunto” (Wertschöpfungsverwendungsrechnung). La figura che segue presenta in modo schematico entrambi i procedimenti per calcolare il valore aggiunto. FIGURA 1.1: I DUE PROCEDIMENTI PER CALCOLARE IL VALORE AGGIUNTO Procedimento per sottrazione Valore della produzione lorda – beni/servizi apportati da economie terze Valore aggiunto Procedimento per addizione + salari, stipendi, contributi sociali (Arbeitsertrag) + interessi passivi, costo opportunità (Kapitalertrag) + imposte (Gemeinertrag) Valore aggiunto Per calcolare il valore aggiunto secondo i due procedimenti visti si possono utilizzare diversi metodologie di calcolo che sono il metodo che si basa sulla contabilità industriale (kalkulatorische Rechnung), il metodo della contabilità generale (pagatorische Rechnung), il metodo dei flussi monetari (Einzahlungs-Auszahlungsrechnung) ed il metodo 3 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1981, § 1788; Weber, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 21; WEDELL, Die Wertschöpfung als Maßgröße für die Leistungskraft eine Unternehmens, in: “Der Betrieb”, 1976, pag. 205 e segg. 4 WEBER, op. cit., Stuttgart, pag. 21: “Gelegentlicht versucht man eine sachliche inhaltliche Deutung der beiden Bererchnungsmethode, indem man die Subtraktionsrechnung als Wertschöpfungsentstehungsrechnung, die Additionsrechnung als Wertschöpfungsverwendungsrechnung interpretiert …”. 73 dei flussi finanziari (Einnahmen-Ausgabenrechnung). Il kalkulatorische Rechnung viene proposto da Lehmann5, che applica il calcolo del valore aggiunto alla gestione caratteristica di un’impresa industriale. L’Autore limita lo studio dei calcolo del valore aggiunto all’attività di produzione vera e propria dell’impresa (das Produktionswirtschafliche), dato che l’impresa creatrice dei valore aggiunto per eccellenza è l’impresa industriale. Per questa ragione egli esclude dal calcolo del valore aggiunto, oltre a tutti gli elementi che sono estranei all’impresa (betriebsfremd), anche tutti gli elementi che sono componenti della gestione straordinaria (außerordentlich) ed in particolare tutti gli elementi della gestione finanziaria (das Finanzwirtschaftliche) come pure i rapporti creditizi (das Kreditwirtschaftliche) con i fornitori ed i clienti. Pohmer6 invece propone di calcolare il valore aggiunto secondo il metodo della contabilità generale (pagatorische Rechnung), dato che la connessione con i flussi di pagamento permette di rappresentare in modo sufficientemente preciso la creazione del valore aggiunto e la sua successiva distribuzione. Egli sostiene tuttavia che il calcolo dei valore aggiunto non può essere posto in essere basandosi sul bilancio civilistico e sul bilancio fiscale (handelsrechtliche und steuerrechtliche Jahresabschlüsse), né in modo immediato, né facendo dei raggruppamenti diversi, dato che lo schema strutturale del bilancio d’esercizio e del bilancio “fiscale” segue degli obiettivi diversi da quelli perseguiti dal calcolo del valore aggiunto. Inoltre alcune poste del bilancio contengono sia elementi rilevanti per il calcolo del valore aggiunto, sia elementi irrilevanti per il calcolo dello stesso7. Il problema più rilevante nell’ambito del metodo della contabilità generale, che ha dato luogo ad ampie discussioni nella dottrina tedesca, è costituito 5 LEHMANN, Leistungsmessung durch Wertschöpfungsrechnung, Essen, 1954, pag. 17 e segg. 6 POHMER, KROENLEIN, op. cit., Stuttgart, 1970, § 1913; POHMER, Betriebswirtschaftliche Bedeutung und ermittelung der betrieblichen Wertschöpfung, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1958, pag. 148 e segg. 7 POHMER, KROENLEIN, op. cit., Stuttgart, 1970, § 1919: “Deshalb ist eine wertschöpfungsgerechte Periodisierung nicht gesichert; zudem sind in einigen Sammelposten wertschöpfungsrelevante und -irrelevante Teile gemischt enthalten”. 74 dal trattamento delle quote di ammortamento. Nella prassi aziendale i calcoli di valore aggiunto (Wertschöpfungsrechnung) pubblicati da parte delle imprese si basano quasi tutti sul bilancio d’esercizio ed in particolare sul rendiconto reddituale. Questo fatto è positivo, indipendentemente dalle critiche di Pohmer, dato che la stretta dipendenza tra il rendiconto reddituale e il calcolo del valore aggiunto permette anche a soggetti esterni all’impresa di verificare facilmente il calcolo del valore aggiunto elaborato dalle imprese8. Accanto ai metodi presentati sinora sussistono altri metodi idonei a determinare il valore aggiunto. Essi sono il metodo dei flussi monetari (Einzahlungs- Auszahlungsrechnung) ed il metodo dei flussi finanziari (Einnahmen-Ausgabenrechnung). È interessante osservare, come si è anticipato, che nella letteratura della Wertschöpfungsrechnung quasi tutti gli studiosi seguono il kalkulatorische Rechnung oppure il pagatorische Rechnung. Utilizzando il metodo dei flussi monetari (Einzahlungs-Auszahlungsrechnung) che tiene conto delle variazioni monetarie, si determina il valore aggiunto realizzato sul mercato (die am Markt realisierte Wertschöpfung) che corrisponde alla realisierten Wertschöpfung di Lehmann. Lehmann distingue tra valore aggiunto prodotto (erzeugte Wertschöpfung) e valore aggiunto realizzato (realisierte Wertschöpfung)9. Il valore aggiunto prodotto tiene conto del volume di produzione effettuata durante l’esercizio e non del volume di vendita. Se invece si tiene conto delle variazioni delle rimanenze dei prodotti finiti e semilavorati, allora si dovrà parlare di valore aggiunto realizzato10. Se le rimanenze sono aumentate, allora il valore aggiunto prodotto sarà maggiore del valore aggiunto realizzato e ciò richiede all’impresa un maggiore impiego di capitali. Se le rimanenze sono diminuite, allora il valore aggiunto prodotto sarà minore del va8 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 22: “Dies ist unabhängig davon, ob man sich der Beurteilung Pohmers über die Eignung des Jahresabschlusses für diesen Zweck anschließt oder nicht, zu begrüßen”. 9 LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 79 e segg. 10 LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 80: “Außer mit dem Begriff der erzeugten Wertschöpfung muß nämlich für manche Zwecke auch mit dem Begriff der realisierten Wertschöpfung gearbeitet werden, wie gesagt werden soll. Diese Notwendigkeit liegt stets dann vor, wenn in einer Rechnungsperiode Veränderungen an den Erezeugnisbeständen auftreten”. 75 lore aggiunto realizzato e quindi si avrà un disinvestimento di capitali11. La differenza tra valore aggiunto realizzato e valore aggiunto prodotto aggiunto prodotto corrisponde alla variazione delle rimanenze. Lehmann descrive il rapporto tra valore aggiunto realizzato e valore aggiunto prodotto con la seguente uguaglianza: valore aggiunto realizzato = valore aggiunto prodotto (+/-) variazione delle rimanenze Scarsa attenzione viene dedicata dalla dottrina anche al metodo dei flussi finanziari (Einnahmen-Ausgabenrechnung), che determina il valore aggiunto di un’impresa in base alla posizione di liquidità della stessa (liquiditätswirksame Wertschöpfung)12. Tale metodo, come gli altri, si basa sul modulo monetario, dato che l’unità di conto utilizzata è la moneta. La scelta del metodo da seguire dipende sostanzialmente dagli scopi che vengono perseguiti con il calcolo del valore aggiunto. Ciò che emerge con evidenza è che, se si vuole calcolare il valore aggiunto della gestione caratteristica, si deve utilizzare il metodo della kalkulatorische Rechnung), che si basa sostanzialmente sulle risultanze della contabilità industriale. Tale metodo, se confrontato con gli altri, prescinde dai flussi dei pagamenti e conseguentemente non è facile trarre delle informazioni sulla posizione di liquidità dell’impresa. Inoltre le risultanze della contabilità industriale non sono a disposizione di soggetti estranei all’impresa che in tal modo non sono in grado di verificare e ricostruire il calcolo del valore aggiunto elaborato dall’impresa. Pertanto, se si vuole calcolare il valore aggiunto sia della gestione caratteristica che della gestione accessoria, si può escludere a priori il metodo della contabilità industriale, dato che non offre suffi11 LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 80: “Denn bei einer Zuhnahme der Erzeugnisbestände liegt eine Einkommenserzeugung vor, die in der Höhe dieser Zunahme nicht realisiert ist und von dem Betrieb bzw. der Unternehmung selbst durch zusätzlichen Kapitaleinsatz aufgenommen werden muß. Bei Abnahme der Erzeugnisbestände hat man es mit dem Fall zu tun, daß in der in Betracht kommenden Rechnungsperiode das realisierte Einkommen um so viel größer ist als das erzeugte Einkommen, bzw. als die Abnahme der Erzeugnisbestände entsprechend eine Freisetzung von Kapital erfolgt”. 12 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 23. 76 cienti informazioni sulla gestione accessoria. Dato che le società di capitali rendono pubblici i rendiconti d’esercizio con i relativi allegati, un analista dei bilancio, esterno all’impresa, potrà utilizzare soltanto il metodo della contabilità generale (pagatorische Rechnung) per determinare il valore aggiunto13. Nell’ambito del calcolo del valore aggiunto il valore della produzione lorda (Bruttoproduktionswert), le prestazioni di terze economie (Vorleistungen) e il valore aggiunto (Wertschöpfung) possono assumere dimensioni diverse a seconda delle grandezze contabili considerate. Lehmann e Pohmer, per esempio, escludono dal calcolo del valore aggiunto sia gli elementi estranei all’impresa (betriebsfremd) che gli elementi estranei al periodo (periodenfremd). La prassi aziendale, invece, include nel calcolo del valore aggiunto quasi sempre sia gli elementi che sono estranei all’impresa (betriebsfremd) che gli elementi estranei al periodo (periodenfremd). Sussiste inoltre il problema delle quote di ammortamento, le quali vengono considerate da alcuni studiosi della dottrina aziendale elemento delle Vorleistungen (Lehmann, Reichmann, Lange, ecc.) e da altri invece elemento positivo della Wertschöpfung (Beier, Scheibe Lange). Secondo Nicklisch il valore aggiunto è uguale alla somma dei salari e stipendi più gli utili, mentre secondo la prassi generale anche gli interessi passivi sono compresi nel valore aggiunto. Questi sono alcuni esempi di come possono variare le tre classi dei calcolo del valore aggiunto a seconda delle grandezze contabili considerate. Quale di questi esempi è quello da seguire? Nessuno e tutti. Infatti non si può dire a priori se un esempio è sbagliato oppure migliore dell’altro, dato che tutti presentano dei profili di validità. Le varie proposte sono state concepite affinché fossero idonee a raggiungere determinati obiettivi prestabiliti. Gli studiosi erano e sono ben consapevoli delle difficoltà legate al tentativo di una definizione uniforme. Quindi per evitare la maggior parte dei problemi di definizione l’unica soluzione possibile è quella di elaborare un concetto di valore aggiunto graduato14. Nei paragrafi seguenti si considerano le diverse definizioni della componente positiva del calcolo del valore ag13 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 23-24; WEBER, op. cit., Stuttgart, 1981, § 1788 e segg. 14 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 13 e segg. 77 giunto, il valore della produzione lorda, la componente negativa del calcolo del valore aggiunto, le Vorleistungen (beni e servizi apportati da terze economie) ed il valore aggiunto in quanto differenza tra la componente positiva e la componente negativa. Inoltre si richiamano i principi fondamentali validi per la determinazione del valore aggiunto. Pare utile, infine, evidenziare alcuni principi da seguire nel tentativo della definizione delle varie componenti del valore aggiunto oggetto di successiva analisi. In primo luogo va osservato il principio dell’adeguatezza allo scopo (Grundsatz der Zweckentsprechung)15. Ciò significa che le definizioni delle componenti devono rappresentare il valore aggiunto in modo adeguato allo scopo perseguito dal calcolo dello stesso. Infatti le componenti possono essere definite sia con una logica riferita all’oggetto (wirtschafstobjektbezogen) sia al soggetto (wirtschaftssubjektbezogen). Definire le componenti secondo la prima logica di oggetti significa distinguere le definizioni delle componenti in base a grandezze economiche. Per esempio, delimitando il concetto di Vorleistungen secondo tale logica, si possono individuare quattro diverse definizioni di differente ampiezza. La definizione più ristretta ricomprende nelle Vorleistungen soltanto i costi delle materie prime. La definizione meno ristretta comprende oltre i costi delle materie prime anche i costi delle materie ausiliarie. La definizione ampia delle Vorleistungen comprende oltre i costi delle materie prime ed ausiliarie anche i costi dei servizi prestati da terze economie. La definizione più ampia delle Vorleistungen comprende, oltre ai costi delle materie prime ed ausiliarie, dei servizi prestati da terzi anche le quote di ammortamento. Definire invece le componenti secondo una orientata al soggetto significa differenziare le definizioni delle componenti in base ai soggetti stessi. Per esempio, nel delineare le componenti delle Vorleistungen secondo tale logica, si possono individuare tre diverse definizioni delle Vorleistungen di differente ampiezza. La definizione più ristretta comprende solo i costi dei beni acquistati dalle imprese industriali, mentre la definizione più ampia comprende oltre ai costi di tali 15 REICHMANN, LANGE, Kapitalflußrechnung und Wertschöpfungsrechnung als Ergänzungsrechnungen des jahresabschlußes im Rahmen einer gesellschaftsbezogenen Rechnungslegung, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1980, pag. 518 e segg. 78 beni anche i costi dei beni e dei servizi apportati da qualsiasi impresa terza. In quest’ultimo caso il valore aggiunto è costituito dal risultato economico dell’esercizio e dal valore della forza lavoro, dei servizi e del capitale16. In secondo luogo va osservato il principio dell’obiettività (Grundsatz der Objektivierung). Dato che il calcolo del valore aggiunto può essere considerato come uno strumento integrativo di informazione del bilancio d’esercizio, allora la sua determinazione dovrebbe essere uniformata ai principi e criteri che stanno alla base della redazione di tale documento. In particolare il rendiconto reddituale assume la funzione di rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione economica dell’impresa. Ciò significa che deve riflettere fedelmente i fatti di gestione dell’impresa e che il comportamento dei redattore del bilancio deve essere conforme alle disposizioni delle norme previste dal legislatore, adottando una soggettività razionale negli spazi di discrezionalità lasciati dallo stesso. Ne segue che il rendiconto reddituale rappresenta in modo “obiettivo” il risultato economico raggiunto dall’impresa e quindi permette di intuire – tendenzialmente – la futura evoluzione dei risultati economici della stessa. Se questo principio di “oggettivazione” è valido per la rappresentazione della creazione del risultato economico (Einkommenserzeugung), sarà altrettanto valido per la sua distribuzione (Einkommensverteilung). La rappresentazione obiettiva17 della distribuzione del risultato economico raggiunto, che permette di intuire – tendenzialmente – l’evoluzione della dinamica della distribuzione dei risultati economici futuri, costituisce un principio valido nell’ambito del calcolo del valore aggiunto in quanto strumento integrativo di informazione del rendiconto d’esercizio18. Piena validità mantiene anche il principio della competenza 16 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag.26. REICHMANN, LANGE, op. cit., pag. 527: “in objektivierter Form zu ermitteln, also ein Zweck, der auch für die Wertschöpfungsrechnung als Informationsinstrument über realisierte Einkommensverteilung und damit – tendenziell – auch über künftige (Um-) Verteilungsspielräume grundlegend ist”. 18 REICHMANN, LANGE, op. cit., pag. 527: “Es erscheint also nicht sinnvoll, die Wertschöpfungsgröße als ‘von Verwendungsfolge losgelöste periodische Erfolgsgröße’ anzusehen”. Cfr. anche WEDELL, op. cit., pagg. 205-213. 17 79 (Grundsatz der Periodisierung). Competenza intesa come postulato tradizionale degli studi ragionieristici, che incorpora sia la dimensione economica che quella temporale in senso stretto. L’analisi del comportamento della prassi permette di affermare che questa imposta il calcolo del valore aggiunto sostanzialmente ai principi contabili del bilancio d’esercizio, in particolare il principio dell’obiettività e della competenza. Nell’elaborazione della Wertschöpfungsrechnung i dati di base sono infatti quelli del bilancio d’esercizio, nella fattispecie quelli del Conto economico. Tale orientamento, anche se è fortemente criticato da alcuni studiosi19, comporta comunque dei vantaggi importanti, quali la ricostruibilità dei dati da parte di terzi estranei all’impresa e la comparabilità – nel tempo e nello spazio – della Wertschöpfungsrechnung. I sostenitori dei postulati dell’obiettività e della competenza sono ben consapevoli dei limiti del bilancio d’esercizio e dei conseguenti limiti del calcolo del valore aggiunto da questo derivato; non possono essere dimenticati tuttavia i vantaggi dovuti ad una redazione uniforme che si basa sui principi generalmente accettati e seguiti dalla prassi aziendale20. 1.2 La componente positiva del calcolo del valore aggiunto La componente positiva dei calcolo dei valore aggiunto è rappresentata dal valore della produzione lorda (Bruttoproduktionswert), se ci si limita ad osservare la gestione caratteristica dell’impresa ed in particolare di un’impresa industriale. Se invece si vuole calcolare il valore aggiunto dell’intera attività di un’impresa, cioè della gestione caratteristica e della gestione accessoria, allora la componente positiva è rappresentata dalla somma del valore della produzione lorda (Bruttoproduktionswert) e dei ricavi della gestione accessoria21. Kroe19 Cfr. SCHEIBE LANGE, Wertschöpfung und Verteilung des Unternehmenseinkommen, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, Heft 7, 1978; BEIER, SCHLOSSAREK, Wertschöpfungs- und Finanzierungsrechnung, in: Der Betrieb, Heft 24, 1980. 20 REICHMANN, LANGE, op. cit., pag. 528; GOETZKE, Zur Kritik an der einzelwirtschaftlichen Wertschöpfungsrechnung, in: “Zeitschrift der Betriebswirtschaft”, Heft 5, 1979. 21 Lehmann esclude i betriebsfremde Erträge dal calcolo del valore aggiunto. 80 ber – Riel denomina la componente positiva dei calcolo del valore aggiunto Bruttoertrag (ricavo lordo) e la definisce come valore di tutti i beni che sono stati oggetto dell’attività economica dell’impresa e che sono stati immessi sul mercato22. Secondo Kroeber – Riel il presupposto fondamentale per il calcolo del valore aggiunto è l’uguaglianza tra prezzo e valore. Tale uguaglianza si basa sulla valorizzazione dei bene da parte del mercato sotto forma del prezzo. Infatti solo dopo l’attribuzione del prezzo da parte del mercato è possibile calcolare il valore aggiunto realizzato dall’impresa. Per questo motivo l’interpretazione rigorosa del calcolo del valore aggiunto considera solo il ricavo realizzato23 (realisierter Ertrag) in quanto è caratterizzato dalla valutazione oggettiva da parte del mercato24.Di regola però il processo economico di molte grandi aziende è caratterizzato da una forte articolazione ed accumulazione in fasi intermedie, che danno come risultato dei beni semilavorati non ancora finiti, ma che potrebbero essere immessi sul mercato. In questo caso è sicuramente sostenibile includere tali beni nel Bruttoertrag. Il problema che rimane è la loro valutazione. Kroeber Riel propone di valutare questi beni “già maturi” al presunto valore di realizzo desumibile dall’andamento dei mercati. Egli è ben consapevole delle difficoltà connesse alla valutazione delle condizioni di mercato. Infatti tale valore di stima deve basarsi su prezzi di vendita oggettivamente presumibili e non su semplice apprezzamento soggettivo25. L’utilizzo del prezzo desumibile 22 KROEBER RIEL, Wertschöpfung, Werschöpfungsrechnung, Werschöpfungsdenken unter besonder Berücksichtigung des Handels, Berlin, 1963, pag. 64: “Der Bruttoertrag beinhaltet das Wertgesamt aller Güter, die Objekt des betrieblichen Leistens waren und die der gesamtwirtschaftlichen Güterbereitstellung hinzugefügt wurden”. 23 Cfr. LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 80: “Außer mit dem Begriff der erzeugten Wertschöpfung muß nähmlich für manche Zwecke auch mit dem Begriff der realisierten Wertschöpfung gearbeitet werden, wie gesagt werden soll. Diese Notwendigkeit liegt stets dann vor, wenn in einer Rechnungsperiode Veränderungen an den Erzeugnisbeständen auftreten”. 24 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 64 e segg. 25 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 65: “Keinesfalls sollte die Wertschöpfungsrechnung eine Bewertung mit ‘kalkulatorischen Werten’ durchfüh81 dall’andamento dei mercati in luogo del costo di acquisto oppure del costo di produzione è un criterio potenzialmente valido per il calcolo del valore aggiunto, non è però altrettanto valido per il reddito d’esercizio, perché in questo caso verrebbe rappresentato un utile non ancora realizzato ma solo “sperato”, contravvenendo al postulato della prudenza. Per distinguere tra la parte del Bruttoertrag che è formata dai prezzi di mercato realizzati e la parte del Bruttoertrag che è formata dai presunti prezzi desumibili dall’andamento dei mercati, e per evitare un’interpretazione erronea dell’ammontare del valore aggiunto, Kroeber Riel propone di evidenziare nel calcolo del valore aggiunto la parte risultante da procedimenti di stima come valore aggiunto non realizzato (nichtrealisierte Wertschöpfung). Anche l’incremento di immobilizzazioni eseguite in economia all’interno dell’impresa secondo Kroeber Riel non si deve valutare al costo di produzione (fabbricazione), ma al valore di mercato, in quanto nell’ambito del calcolo del valore aggiunto non si fa la distinzione tra consumatore finale terzo e consumatore finale impresa26. Keller27 invece per calcolare il valore aggiunto parte dal rendiconto reddituale del bilancio d’esercizio. La Gesamtleistung (prestazione totale), che rappresenta la componente positiva della Wertschöpfungsrechnung, comprende sostanzialmente i ricavi della vendita, le variazioni delle rimanenze dei prodotti finiti e semilavorati e l’incremento di immobilizzazioni interne. Secondo Keller punto debole della grandezza Gesamtleistung è che non vengono utilizzati criteri di valutazione uniformi. Infatti il ricavo di vendita è rappresentato dai prezzi di mercato, mentre le rimanenze di prodotti finiti e semilavorati e incremento di immobilizzazioni interne vengono valutate al costo d’acquisto oppure al costo di produzione. Inoltre la Gesamtleistung non tiene conto della mancata riscossione di crediti, né della riscossione di crediti ritenuti inesigibili. Keller inoltre ritiene possibile includere nella Gesamtleistung anche la posta “altri ricavi e proventi” (sonstige Erträge), come per esempio gli affitti attivi, i ricavi dovuti a servizi accessori offerti dall’impresa, ren, die ohne Verbindung zu den tatsächlichen oder voraussichtlichen Verkaufspreisen festgestellt werden”. 26 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pagg. 68-69. 27 KELLER, Betriebliche Wertschöpfung, in: “Der Betrieb”, 1973, pagg. 289-291. 82 ecc., perché ciò permetterebbe di prendere in considerazione anche la gestione accessoria. Quest’ultima considerazione è stata fortemente criticata da Hild28, sostenendo che il calcolo del valore aggiunto si deve limitare a rappresentare la gestione caratteristica (betriebstypische Leistung), escludendo così a priori i ricavi e proventi dovuti alla gestione accessoria. Secondo Hild tali ricavi e proventi sono da considerare “posizioni neutrali” (neutrale Posten), come gli elementi estranei all’impresa (betriebsfremd) oppure gli elementi estranei al periodo (periodenfremd). 1.3 La componente negativa del calcolo del valore aggiunto Più problematica ancora della definizione della componente positiva, sia essa rappresentata dal valore della produzione lorda per considerare la gestione caratteristica oppure dalla Gesamtleistung per considerare la gestione caratteristica ed accessoria, è la definizione della componente negativa. La componente negativa è rappresentata dalle Vorleistungen, cioè dalle prestazioni e dai beni apportati da terze economie. Tale termine viene sostanzialmente utilizzato come concetto più generale29, con funzione di raccogliere e di raggruppare una serie di fattispecie. Le materie prime ed ausiliarie sono da considerare sicuramente facenti parte delle Vorleistungen, dato che esse vengono apportate da terze economie. Anche i macchinari generalmente provengono da terze economie (se non vengono prodotti all’interno dell’impresa) quindi teoricamente anche essi sono da considerare delle Vorleistungen. Ma a differenza delle materie prime ed ausiliarie i macchinari invece di essere consumati vengono utilizzati. Essi sono beni destinati all’utilizzo durevole (Gebrauchsgüter) e quindi si differenziano dalle materie prime ed ausiliarie in quanto queste sono invece beni destinati ad essere consumati nel breve periodo (Verbrauchsgüter).Per questo motivo è possibile considerare il contributo dei beni ad impiego pluriennale direttamente come elemento del valore aggiunto (Wertschöpfung) anziché elemento delle Vorleistungen. Kroeber Riel 28 HILD, Betriebliche Wertschöpfung, in: “Der Betrieb”, 1973, pagg. 981-982. WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 25: “sondern im allgemeinen nur als Oberbegriff oder Sammelbegriff für eine Reihe von Einzeltatbeständen gebraucht”. 29 83 preferisce usare il termine Fremdleistung anziché il termine Vorleistung per descrivere la componente negativa, dato che esprime meglio la caratteristica degli elementi da considerare: di essere apportati da terze economie30. Le Fremdleistungen derivano dall’impiego e dal consumo di beni e servizi apportati da terze economie. Esse sono correlate direttamente con i ricavi che formano il valore della produzione lorda (Gesamtleistung), e quindi si devono escludere tutti i costi che sono “neutrali”. Vengono definiti “neutrali” gli elementi di costo, i cui rispettivi elementi di ricavo non sono stati considerati in sede di determinazione del valore della produzione lorda. Le Vorleistungen rappresentano una parte degli elementi di costo che sono stati sostenuti per la realizzazione della produzione, ed in particolare la parte che è stata apportata da terze economie31. Secondo Kroeber Riel esse sono composte dalle quote di ammortamento, dal consumo di beni dell’attivo circolante e dal consumo di servizi prestati da terze economie. Le Vorleistungen invece non comprendono salari e stipendi, interessi passivi per capitale di terzi ed imposte. Nell’ambito del calcolo del valore aggiunto questi elementi vengono considerati dei ricavi anziché dei costi. Infatti essi rappresentano assieme al risultato economico dell’esercizio il valore aggiunto creato dall’impresa32. Le quote di ammortamento vengono considerate da Kroeber Riel facenti parte delle Fremdleistungen, dato che rappresentano le quote consumate di beni ad impiego pluriennale, beni che sono stati apportati da terze economie33. Secondo Kroeber Riel le quote di ammortamento comprese nei costi d’esercizio sono spesso oggetto di modifica dato che sono quote stabilite in base alla politica aziendale, tenendo conto anche 30 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 70: “finden wir auch den Ausdruck ‘Fremdleistungen’; durch den zweiten Ausdruck wird das Wesen der Vorleistungen besonders plastisch hervorgehoben”. 31 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 71: “Die Vorleistungen sind ein Teil dieses Umsatzaufwandes, und zwar der teil, der sich aus dem Verbrauch von Fremdleistungen herleitet …”. 32 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pagg. 71-73. 33 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 76: “Die von den Dritten beschafften (gekauften oder gepachteten) und im Leistungsprozeß eingesetzten abnutzbaren Anlagegüter sind Fremdleistungen, die durch das betribliche Leisten im Laufe der Zeit ‘verbraucht’ werden”. 84 della normativa fiscale. In sede di Wertschöpfung esse devono essere corrette in modo tale da rappresentare l’effettivo utilizzo dei beni ad impiego pluriennale. Un altro elemento, che viene considerato in particolare modo, è l’affitto di beni di capitale. Kroeber Riel propone di suddividere l’affitto in due parti: una prima parte che rappresenta la remunerazione per l’utilizzo del bene ed una seconda parte che rappresenta l’insieme degli elementi di costo relativi a tale bene34. L’insieme degli elementi di costo è costituito dalle quote di ammortamento per l’utilizzo dei bene, i costi di manutenzione e di riparazione, le imposte ecc. Secondo Kroeber Riel la quota costituita dalla remunerazione per l’utilizzo è un elemento del valore aggiunto, mentre la quota costituita dall’insieme degli elementi di costo si deve considerare elemento delle Fremdleistungen. Anche secondo Keller35 l’elemento fondamentale delle Vorleistungen è costituito dalle materie prime ed ausiliarie. Egli include inoltre nelle Vorleistungen anche gli oneri diversi (sonstige Aufwände) che comprende i costi sostenuti per le riparazioni, per l’amministrazione, per la vendita, per la pubblicità, ecc. Per quanto riguarda le quote di ammortamento, come già Kroeber Riel, anche Keller sostiene che le quote debbano rispecchiare l’effettivo utilizzo dei beni ad impiego pluriennale. Di conseguenza richiede che le quote di ammortamento contenute nel rendiconto d’esercizio debbano essere modificate.La componente negativa della Wertschöpfung, secondo la definizione di Keller, comprende pertanto i costi per le materie prime ed ausiliarie, le quote di ammortamento e gli oneri diversi di gestione e considera sia la gestione caratteristica che la gestione accessoria. L’approccio di Keller viene criticato da Hild36, dato che questi ritiene che non tutti i costi compresi negli oneri diversi di gestione (sonstige Aufwände) possano essere considerati elementi delle Vorleistungen. 34 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 78, cfr. anche LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 34. 35 KELLER, op. cit., pagg. 289-291. 36 HILD, op. cit., pagg. 981-982. 85 1.4 Il valore aggiunto come risultato della differenza tra la componente positiva e quella negativa Finora sono state considerate le due componenti del calcolo del valore aggiunto, quella positiva, che è costituita dal valore della produzione lorda (Gesamtleistung), e quella negativa, che è costituita dalle Vorleistungen oppure dalle Fremdleistungen, mettendo in evidenza le difficoltà che si riscontrano nel tentativo di definirle. Terza ed ultima grandezza da studiare è il valore aggiunto stesso, che deriva da un complesso procedimento di calcolo e che dipende principalmente dalle scelte effettuate nel definirne le componenti positive e negative. In linea generale, la finalità perseguita dall’impresa è il conseguimento di un risultato positivo d’esercizio, misurato dall’utile d’esercizio. Se però si tiene conto che l’impresa non è formata solo dal soggetto economico, ma anche da altri soggetti interessati, allora è necessario andare oltre il concetto di utile d’esercizio. Si è detto che il risultato di un’impresa può essere meglio misurato dal valore aggiunto, dato che rappresenta la sommatoria dei redditi che vengono ripartiti tra tutti coloro che hanno partecipato all’attività dell’impresa. In particolare, da quando Nicklisch ha introdotto il concetto di Betriebsertrag, che è una grandezza simile alla Wertschöpfung, la dottrina aziendale tedesca ha accettato la nozione del valore aggiunto come strumento e grandezza efficace per misurare il “successo” di un’impresa. Il valore aggiunto comprende: Arbeitsertrag (reddito distribuito alla forza lavoro); Kapitalertrag (remunerazione dei capitale); Gemeinertrag (reddito distribuito alla “mano pubblica”). È interessante osservare che questi tre elementi vengono denominati Erträge (ricavi) anche se si tratta principalmente di elementi di costo per l’impresa (Aufwände). Questo fatto è dovuto alla filosofia che sta alla base del concetto di valore aggiunto e che – come si è visto – nella dottrina tedesca viene denominata Wertschöpfungsdenken. Alla base di tale atteggiamento vi è la considerazione che l’impresa opera come unità e il reddito prodotto diviene la remunerazione comune per tutte le classi di interesse partecipanti al processo produttivo. Gli Arbeitserträge sono costituiti dai salari e stipendi, provvigioni, dalle partecipazioni agli utili da parte dei personale, dai premi, ecc. È compreso in questa classe anche il cosiddetto Untemehmerlohn, che 86 rappresenta la remunerazione per le attività non remunerate dei proprietari e dei loro famigliari. Solo l’inclusione dell’Unternehmerlohn nelle componenti dell’Arbeitserträge permette una rappresentazione completa della forza lavoro partecipante alla formazione del reddito37. In generale anche i contributi sociali sono compresi negli Arbeitserträge. Va rilevata una posizione dottrinaria38 che contesta l’inclusione dei contributi per i fondi pensione (Pensionsrückstellungen) negli Arbeitserträge. Tali contributi sarebbero da comprendere nella quota distribuita all’impresa stessa anziché in quella distribuita al personale, dato che tali accantonamenti provocano un processo di autofinanziamento per l’impresa (limitato nel tempo). Comunque questa affermazione è valida fintanto che si calcola un valore aggiunto di tipo “finanziario”; perde invece validità se si calcola il valore aggiunto in base ai costi e ricavi di competenza del periodo39. I Gemeinerträge comprendono tutte le imposte e contributi riconosciute alla “mano pubblica”. Le imposte dirette ed indirette possono essere trattate allo stesso modo, dato che la differenziazione in imposte dirette ed indirette (in generale per imposte dirette si intendono imposte deducibili, e per imposte indirette quelle non deducibili) nell’ambito del calcolo del valore aggiunto aziendale non è giustificato, dato che la deducibilità di un’imposta non dipende tanto dal genere di imposta ma dalla situazione in cui un’impresa si trova40. In tale classe sono da considerare i contributi ottenuti dalla “mano pubblica”. Questi possono essere inseriti nel calcolo del valore aggiunto in due 37 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 82: “Erst die Einbeziehung des Unternehmenlohnes in die Arbeitserträge macht es erreichbar, eine Vorstellung vom Anteil (genauer formuliert: vom formalen Anteil) der leistungen aller Arbeitenden an der Leistung des Betriebes zu bekommen”. 38 Cfr. SCHEIBE LANGE, op. cit., Heft 7; BEIER, SCHLOSSAREK, op. cit., Heft 33. 39 WYSOCKI, Sozialbilanzen, Stuttgart/New York, 1981, pag. 109: “Dieser Einwand ist berechtigt, wenn man, wie Beier und Scheibe-Lange eine finanz- und zahlungsorientierte Wertschöpfungsrechnung aufstellen möchte; sie ist nicht berechtigt, wenn die Wertschöpfungsrechnung auf der Grundlage der periodenbezogegenen Aufwendungen augestellt werden soll”. 40 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 11. 87 modi: o si aggiungono alla componente positiva della Gesamtleistung oppure si detraggono dalla somma delle Gemeinerträge41. Ultimo elemento del valore aggiunto è costituito dai Kapitalerträge. Essi vengono definiti da Kroeber Riel grandezza residua che si ottiene come risultato della differenza tra il valore aggiunto, gli Arbeitserträge ed i Gemeinerträge. L’unico elemento noto dei Kapitalerträge sono gli interessi passivi come remunerazione del capitale di terzi. La parte rimanente dei Kapitaterträge – denominata da Kroeber Riel profitto (Gewinn)42 – può essere distinta in rendita del capitale proprio (Eigenkapitalertrag) e profitto residuo (Gewinnrest). Il profitto residuo viene denominato anche Untemehrnergewinn im engeren Sinn (profitto dell’imprenditore in senso stretto) e rappresenta il premio per il rischio di sopportato dall’imprenditore (Risikoprämie). Di regola la rendita del capitale proprio non viene stabilita attraverso la negoziazione di un tasso di interesse, in quanto la remunerazione del capitale proprio avviene in base agli utili conseguiti. Si potrebbe ipoteticamente fissare anche un tasso di interesse per la remunerazione del capitale proprio, al fine di evidenziare la ripartizione dell’utile in rendita dei capitale proprio ed utile residuo. L’utile residuo, premio per il rischio d’impresa, spesso viene interpretato nel senso “schumpeteriano” di rendita che premia l’imprenditore innovatore, in grado di introdurre un’innovazione che gli fornisce per un determinato tempo una posizione privilegiata di mercato43. In conclusione emerge una volta di più che le tre componenti della Wertschöpfung, Arbeitsertrag, Gemeinertrag e Kapitalertrag sono interdipendenti. Ne segue che se il valore aggiunto rimane della stessa dimensione, l’aumento di una sua componente comporta il diminuire di una oppure di entrambe le altre componenti. Varia quindi la proporzione della distribuzione dei valore aggiunto e non il valore aggiunto stesso. 41 POHMER, op. cit., 1958, Heft 3. KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 86. 43 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 87: “er wird auch als besonders Leistungsentgelt für den Unternehmer – etwa im Sinne Schumpeters – interpretiert”. 42 88 2. L’origine dei dati Si presentano di seguito i metodi di calcolo del valore aggiunto secondo la kalkulatorische Rechunung e la pagatorische Rechnung. L’impresa considerata svolge un’attività di tipo preminentemente industriale. 2.1 Il calcolo del valore aggiunto in base alla contabilità industriale Nella determinazione del valore aggiunto secondo il procedimento della sottrazione44, si parte dal valore della produzione lorda (Bruttoproduktionswert), che corrisponde alla somma del fatturato di vendita, delle variazioni delle rimanenze e degli incrementi delle immobilizzazioni eseguite in economia. Da questo valore della produzione lorda vengono innanzitutto detratti i costi delle materie prime ed ausiliarie. Si ottiene così il “valore aggiunto I”, denominato “valore aggiunto sulle materie prime ed ausiliarie” (Wertschöpfung über den Materialwert hinaus). Se si detraggono i costi dei servizi prestati da terze economie, si quantifica il “valore aggiunto II”, denominato “valore aggiunto sulle materie prime ed ausiliarie e sui servizi” (Wertschöpfung über den Materialwert und Dienstleistungswert hinaus). Dopo aver detratto gli ammortamenti e si ottiene il “valore aggiunto III” che rappresenta il “valore aggiunto sulle materie prime ed ausiliarie, sui servizi e sugli ammortamenti” (Wertschöpfung über den Materialwert, Dienstleistungswert und den Maschinennutzungswert hinaus). Il “valore aggiunto III” coincide con la nozione di valore aggiunto proposta da Lehmann. Il procedimento dell’addizione mette in evidenza la distribuzione del valore aggiunto nel modo seguente: imposte e contributi dovuti alla “mano pubblica” (Gemeinertrag); salari, stipendi e contributi sociali dovuti al personale (Arbeitsertrag); interessi passivi per il capitale di terzi (Kapitalertrag); risultato d’esercizio (Betriebsergebnis). 44 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 27 e segg. 89 Il metodo della contabilità industriale (kalkulatorische Rechnung) è in grado di evidenziare il valore aggiunto della gestione caratteristica ed in particolare – nel nostro caso – il valore aggiunto creato dall’attività industriale. Non risulta quindi possibile, con tale metodo, tenere conto anche della gestione accessoria, dato che si escludono tutti gli elementi che sono estranei alla gestione caratteristica (betriebsfremd)45. La figura che segue presenta un’esemplificazione del calcolo del valore aggiunto secondo la kalkulatorische Rechnung, evidenziando sia la fase della creazione dei valore aggiunto (Entstehungsrechnung) che quella sua distribuzione (Verteilungsrechnung)46. FIGURA 2.1: SCHEMA DI CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO SECONDO IL METODO DELLA CONTABILITÀ ANALITICA Fatturato delle vendite + variazione delle rimanenze + incremento delle immobilizzazioni eseguite in economia Valore della produzione lorda – materie prime ed ausiliarie Valore aggiunto I – servizi prestati da economie terze Valore aggiunto II – ammortamenti Valore aggiunto III Gemeinertrag Arbeitsertrag Kapitalertrag Risultato dell’esercizio 20.000 400 100 20.500 10.000 10.500 500 10.000 1.000 9.000 1.900 6.500 100 500 Valore aggiunto III 9.000 Il fatturato di vendita della nostra impresa ammonta a 20.000 DM, a cui si aggiungono 400 DM di variazione delle rimanenze e 100 DM 45 46 Cfr. LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pagg. 17-22. L’esempio è tratto da WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 28. 90 di incrementi delle immobilizzazioni eseguite in economia. Si ottiene il valore della produzione lorda che è pari a 20.500 DM. Dal valore della produzione lorda si detraggono i costi per le materie prime ed ausiliarie (10.000 DM) e si configura il “valore aggiunto I” che è pari a 10.500 DM. Successivamente si detraggono i costi dei servizi prestati da terze economie che ammontano a 500 DM e si ottiene il “valore aggiunto II” (10.000 DM). Dopo aver detratto gli ammortamenti (1.000 DM) si arriva al “valore aggiunto III” che ammonta a 9. 000 DM. Questo è il valore aggiunto che successivamente viene distribuito tra la “mano pubblica”, il personale, i finanziatori e l’impresa. Alla “mano pubblica”, come si è visto, viene distribuito il Gemeinertrag, alla forza lavoro l’Arbeitsertrag, ai finanziatori il Kapitalertrag. L’ammontare residuo rimane all’impresa. 2.2 Il calcolo del valore aggiunto in base alla contabilità generale Mentre il calcolo dei valore aggiunto secondo il metodo della contabilità industriale limita il valore aggiunto alla gestione caratteristica, quello della contabilità generale (pagatorische Aufwands- und Ertragsrechnung) permette di calcolare il valore aggiunto dell’intera gestione, ossia della gestione caratteristica e della gestione accessoria. Applicando tale metodo è possibile evidenziare distintamente il valore aggiunto generato dalla gestione caratteristica e dalla gestione accessoria, anche se tale distinzione non è immediata e richiede una certa complessità nei calcoli. La rappresentazione distinta comporta una rigorosa separazione di tutti gli elementi sia di costo che di ricavo tra gli elementi dell’attività industriale e gli elementi dell’attività commerciale. Ancora una volta l’impresa considerata è un’impresa industriale, la cui attività non si limita alla sola produzione di beni e servizi, ma si estende alla commercializzazione degli stessi. Per determinare il valore aggiunto della gestione complessiva secondo il procedimento della sottrazione (cfr. figura 2.2) si deve in primo luogo determinare la componente positiva (Gesamtleistung) del calcolo del valore aggiunto. La componente positiva (Gesamtleistung) 91 è costituita principalmente dal fatturato di vendita (Umsatzerlöse), dalle variazioni delle rimanenze (Bestandsveränderungen) e dagli incrementi delle immobilizzazioni eseguite in economia (aktivierte Eigenleistungen). A ciò vanno aggiunti i proventi da partecipazioni (Gewinnbeteiligungen), gli interessi attivi (aktive Zinsen) e gli altri proventi finanziari (sonstige Zinsen und Erträge), le rivalutazioni di partecipazioni e di titoli (Wertberichtigung), le plusvalenze da alienazione di immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie (Erträge aus Abgang von Gegenständen), le sopravvenienze attive e gli altri ricavi e proventi (sonstige Erträge). FIGURA 2.2: SCHEMA DI CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO SECONDO IL METODO DELLA CONTABILITÀ GENERALE Fatturato di vendita + variazione delle rimanenze + incremento delle immobilizzazioni eseguite in economia Gesamtleistung + altri ricavi e proventi Unternehmensleistung – Vorleistrung: Materie prime ed ausiliarie Accantonamento svalutazione crediti Accantonamenti per rischi ed oneri futuri Oneri diversi di gestione Valore aggiunto prima delle quote di ammortamento Ammortamento immobilizzazioni materiali ed immateriali Svalutazioni attività finanziarie Minusvalenze da alienazione Sopravvenienze passive Valore aggiunto dopo la detrazione delle quote di ammortamento Per le plusvalenze e le sopravvenienze attive è utile fare un’osservazione particolare. Di regola, dal calcolo del valore aggiunto vengono esclusi elementi estranei al periodo (periodenfremd) e quindi teoricamente dovrebbero esserne escluse sia le plusvalenze che le sopravvenienze attive. Invece non si procede alla loro eliminazione, dato 92 che in qualche modo provvedono a “correggere”47 le quote di ammortamento degli esercizi precedenti, rivelatesi – ex post – non congrue. Sono da includere inoltre nella componente positiva sia i proventi dovuti allo storno di accantonamenti a fronte di svalutazioni forfetarie dei crediti (Herabsetzung der Pauschalwertberichtigung) che i proventi dovuti allo storno (i.e. utilizzo) di fondi diversi, come per esempio i fondi (Auflösung der Pensionsrückstellungen) e il fondo per garanzie e collaudi (Rückstellung für Garantieverpflichtungen)48.La somma delle varie componenti considerate fornisce l’ammontare della Unternehmensleistung, che rappresenta la componente positiva complessiva dei calcolo del valore aggiunto. La componente negativa (Vorleistungen oppure Fremdleistungen) del comprende i costi delle materie prime ed ausiliarie (Roh-, Hifs-, Betriebsstoffe), le quote di ammortamento delle immobilizzazioni materiali ed immateriali (Abschreibungen), gli accantonamenti forfetari per la svalutazione dei crediti (Einstellung in die Pauschalwertberiehtigung zu Forderungen), gli accantonamenti a fondi diversi (Einstellungen in Sonderposten mit Rücklageanteil), le svalutazioni di partecipazioni e di titoli (Wertberichtigungen), le minusvalenze da alienazione di immobilizzazioni materiali ed immateriali e finanziarie (Verluste aus Abgang von Gegenständen), le sopravvenienze passive (Wertminderung) e gli oneri diversi di gestione (sonstige Aufwände). Il valore aggiunto dell’impresa può essere calcolato in unica soluzione dalla differenza tra la componente positiva complessiva (Unternehmensleistung) e la componente negativa (Vorleistung), oppure può essere calcolato gradualmente come indicato nella figura che segue, differenziando le Vorleistungen in Vorleistungen außer Abschreibungen (esclusi gli ammortamenti) ed in Vorleistungen aus Abschreibungen (inclusi gli di ammortamenti), per rappresentare in modo separato il valore aggiunto lordo (Bruttowertschöpfung) dal valore aggiunto netto (Nettowertschöpfung)49. L’utilizzo del metodo illustrato (pagatorische Aufwands- und Ertragsrechnung) permette di distinguere tra valore aggiunto creato dalla 47 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 30. WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 30. 49 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 33. 48 93 gestione ordinaria, che comprende sia l’attività industriale che quella commerciale, e valore aggiunto creato dalla gestione straordinaria e finanziaria, senza porre in essere calcoli aggiuntivi. Innanzitutto si calcola l’ammontare della Gesamtleistung che comprende il fatturato di vendita (Umsatzerlöse), le variazioni delle rimanenze (Bestandsveränderungen) e gli incrementi delle immobilizzazioni eseguite in economia (aktivierte Eigenleistungen). Detraendo dalla Gesamtleistung i sostenuti per le materie prime ed ausiliarie ed i costi sostenuti per beni e servizi apportati da economie terze si ottiene il “valore aggiunto A/I” che corrisponde al valore aggiunto lordo della gestione ordinaria dell’impresa (Bruttowertschöpfung industrieller Tätigkeit und Handelstätigkeit). Detraendo inoltre le quote di ammortamento delle immobilizzazioni materiali ed immateriali (Abschreibungen) si ottiene il “valore aggiunto A/II” che è uguale al valore aggiunto netto della gestione ordinaria dell’impresa (Nettowertschöpfung aus industrieller Tätigkeit und Handelstätigkeit). Parallelamente si può procedere per gli elementi della gestione finanziaria e straordinaria, facendo la somma algebrica di tutte le componenti positive: i proventi da partecipazioni (Gewinnbeteiligungen), gli interessi attivi (aktive Zinsen) e gli altri proventi finanziari (sonstige Zinsen und Erträge), le rivalutazioni di partecipazioni e di titoli (Wertberichtigung), le plusvalenze da alienazione di immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie (Erträge aus Abgang von Gegenstände), e le sopravvenienze attive (Wertberichtigung) (il ripristino del valore di immobilizzazioni), i proventi dovuti allo storno di accantonamenti fatti per la svalutazione crediti (Herabsetzung der Pauschalwertberichtigung) ed proventi dovuti allo storno di fondi diversi, come per esempio il fondo delle indennità pensionistiche (Auflösung der Pensionsrückstellungen) e il fondo per garanzie e collaudi (Rückstellungen für Garantieverpflichtungen) ed infine gli altri ricavi e proventi (sonstige Erträge) e di tutte le componenti negative (gli accantonamenti fatti per la svalutazione dei crediti (Einstellung in die Pauschalwertberichtigung zu Forderungen), gli accantonamenti ai fondi in diversi (Einstellungen in Sonderposten mit Rücklageanteil), le 94 FIGURA 2.3: SCHEMA DI CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO IN BASE ALLA DISTINZIONE TRA GESTIONE ORDINARIA E STRAORDINARIA SEGUENDO IL METODO DELLA CONTABILITÀ GENERALE Fatturato delle vendite + variazione delle rimanenze + incrementi delle immobilizzazioni interne Gesamtleistung – materie prime ed ausiliarie – beni e servizi di terze economie Valore aggiunto A/I (valore aggiunto lordo della gestione ordinaria) – ammortamenti Proventi da partecipazioni + interessi attivi + altri proventi finanziari + plusvalenze da alienazione e sopravvenienze attive + proventi da storno di accantonamenti + altri ricavi e proventi – svalutazioni di partecipazioni e titoli – accantonamenti a fondi rischi ed oneri – minusvalenze da alienazione e sopravvenienze passive – oneri diversi di gestione Valore aggiunto A/II (valore aggiunto Valore aggiunto B (valore aggiunto netto della gestione ordinaria) della gestione straordinaria e finanziaria) Salari, stipendi e contributi sociali Valore aggiunto complessivo (A/II + B) + interessi passivi ed oneri finanziari simili + imposte + risultato di esercizio svalutazioni di partecipazioni e di titoli (Wertberichtigungen), le minusvalenze da alienazione di immobilizzazioni materiali, immateriali e finanziarie (Verluste aus Abgang von Gegenständen), e le sopravvenienze passive (Wertminderung) ed oneri diversi di gestione (sonstige Aufwände). Il risultato della somma algebrica delle componenti positive e negative della gestione “non ordinaria” (aus nichtindustrieller Tätigkeit und Nichthandelstätigkeit) è uguale al “valore aggiunto B” che viene denominato anche valore aggiunto della gestione non ordinaria (Wertschöpfung aus nichtindustrieller Tätigkeit und Nichthandelstätigkeit). Se si somma il “valore aggiunto A/II” ed il “valore ag95 giunto B” si ottiene la grandezza del valore aggiunto complessivo (Gesamtwertschöpfung) che è composto dai costi del personale e dai relativi contributi sociali, dagli oneri finanziari, dalle imposte sul reddito e dal risultato economico di esercizio. La figura 2-3 sintetizza lo schema di calcolo del valore aggiunto in base alla distinzione gestione ordinaria/gestione straordinaria50. 2.3 Valore aggiunto lordo e valore aggiunto netto La questione trattata in questo paragrafo rileva soprattutto al fine del calcolo del valore aggiunto da indicare nel rendiconto “sociale” dell’impresa51. Sia la dottrina aziendale che la prassi aziendale considerano la Wertschöpfungsrechnung uno degli strumenti più importanti nell’ambito della redazione e interpretazione del bilancio sociale (gesellschaftsbezogener Berichterstattung)52. Molto discusse sono tuttavia le modalità di calcolo del valore aggiunto, ed in particolare se il calcolo del valore aggiunto debba rappresentare il valore aggiunto lordo (Bruttowertschöpfung) oppure il valore aggiunto netto (Nettowertschöpfung). Questa questione controversa può essere risolta prendendo spunto dagli scopi perseguiti dal calcolo del valore aggiunto in quanto strumento di informazione integrante il bilancio d’esercizio. Nell’ambito della gesellschaftsbezogenen Berichterstattung il calcolo del valore aggiunto assume la funzione di evidenziare la distribuzione del reddito realizzato fra i diversi stakeholders che partecipano alla “coalizione-impresa”. Oltre ad evidenziare la distribuzione del reddito realizzato, il calcolo del valore aggiunto permette anche di dare delle indicazioni “di massima” sull’evoluzione della dinamica della futura distribuzione. Ne segue che anche il calcolo della creazione del valore aggiunto mediante il procedimento della sottrazione (Entstehungsrechnung) deve tenere conto dell’aspetto distributivo, dato che il calcolo della creazione del valore aggiunto rappresenta 50 WEBER, op.cit., Stuttgart 1980, pag. 36. Cfr. Capitolo IV. 52 REICHMANN, LANGE, op. cit., 1981, pag. 949. 51 96 i rapporti economici e finanziari dell’impresa con l’ambiente, ed in particolare con i clienti e con i fornitori53. Se si considera il calcolo del valore aggiunto uno strumento di informazione integrante il bilancio d’esercizio, che dà informazioni sulla creazione e sulla distribuzione del reddito realizzato dell’impresa si rende necessario basare il calcolo del valore aggiunto sull’utile di bilancio54. Inoltre l’obiettivo fondamentale del bilancio d’esercizio è la rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, reddituale e finanziaria dell’impresa, che costituisce un obiettivo valido anche per il calcolo del valore aggiunto, dato che è – come si è più volte ricordato – uno strumento di informazione integrante il bilancio d’esercizio. Ciò significa che nell’ambito della Wertschöpfungsrechnung devono essere rispettati i principi dell’obiettività (Grundsatz der Objektivierung) e della competenza (Grundsatz der Periodisierung). Contrariamente alla prassi generale, alcuni studiosi sostengono che le quote di ammortamento delle immobilizzazioni materiali ed immateriali non sono da includere nelle Vorleistungen in quanto parte stessa del valore aggiunto e, in particolare, del Kapitalertrag55. Secondo tale interpretazione il procedimento di calcolo sarebbe corretto giacché le quote di ammortamento sono influenzate dalla politica aziendale e da esigenze di carattere fiscale. Si rendere quindi necessario calcolare il valore aggiunto lordo (Bruttowertschöpfungsrechnung), anziché calcolare il valore aggiunto netto. Le immobilizzazioni materiali ed immateriali vengono generalmente apportate da terze economie, salvo il caso delle costruzioni in economia, e quindi, come si è visto, costituiscono elementi delle Vorleistungen e non della Wertschöpfung. Un’ulteriore questione che potrebbe essere discussa è quella relativa all’imputazione del costo dell’immobilizzazione, ossia se imputarlo in un’unica soluzione nell’esercizio, in cui si è verificata la manifestazione numeraria, oppure se imputarlo periodicamente agli esercizi per 53 REICHMANN, LANGE, op. cit., 1981, pag. 949. REICHMANN, LANGE, op. cit., 1981, pag. 949: “so folgt daraus zwangsläufig, daß sie der Einkommens- und der Gewinnkonzeption des handelrechtliche Jahresabschlusses folgen muß”. 55 SCHEIBE LANGE, op. cit., 1981, pag. 951. 54 97 tutta la durata economica attraverso il calcolo delle quote di ammortamento. Le immobilizzazioni sono di natura durevole quindi destinate a servire per più processi produttivi. Ne segue che secondo il principio della competenza le quote di ammortamento rappresentano il costo da imputare al risultato dei singoli esercizi nei quali i beni daranno la propria utilità. A sfavore del calcolo del valore aggiunto lordo potrebbe giocare la circostanza che non viene messa in dubbio l’inclusione dei canoni di leasing ed i canoni di affitto per immobilizzazioni materiali ed immateriali nelle Vorleistungen. Pertanto, o si escludono sia le quote di ammortamento sia i canoni di leasing e di affitto, oppure non si escludono né le prime né le seconde perché altrimenti la comparabilità tra due imprese, in cui la prima, ad esempio, ha acquistato l’immobile mentre la seconda lo utilizza in regime di locazione, viene meno. Anche la giustificazione che le quote di ammortamento sono calcolate in base a considerazioni di politica aziendale e di politica fiscale, non è valida al fine di escludere il calcolo del valore aggiunto netto. Infatti anche se la discrezionalità dei redattori del bilancio d’esercizio fosse più limitata a causa di norme e principi di valutazione maggiormente rigorosi, ci sarebbero sempre degli errori di valutazione, perché è impossibile conoscere a priori l’effettiva durata economica dei beni ad impiego pluriennale. Inoltre il valore massimo da assumere come base per il calcolo delle quote di ammortamento è rappresentato dal costo di acquisto oppure dal costo di produzione. Se all’inizio le quote di ammortamento sono state troppo elevate, esse devono essere corrette nei periodi successivi. Conseguentemente non si è in presenza di una riduzione del reddito da distribuire, ma di uno spostamento temporale nella distribuzione del reddito. Quindi, dato che le quote di ammortamento si riferiscono ad immobilizzazioni materiali ed immateriali, che generalmente sono state apportate da economie terze, esse devono essere considerate delle Vorleistungen. Inoltre dato che per il principio di competenza l’imputazione dei costo di acquisto di un bene ad impiego pluriennale ad un unico esercizio non può essere sostenuto, e dato che la maggiorazione delle quote di ammortamento in base a politiche aziendali e fiscali non comporta una riduzione del reddito da distribuire, ma uno spostamento temporale della sua distribuzione, ne segue che il calcolo del valore aggiunto lor98 do come strumento di informazione integrante il bilancio d’esercizio nell’ambito dei bilancio sociale (gesellschaftsbezogene Berichterstattung) non può essere sostenuto56. 3. Il calcolo del valore aggiunto in alcuni settori Quasi tutte le definizioni del valore aggiunto finora analizzate si riferiscono ad un’impresa industriale. Infatti secondo la concezione tradizionale (Lehmann) l’impresa produttrice del valore aggiunto per eccellenza è l’impresa industriale. Fintantoché la nozione del valore aggiunto (Wertschöpfung) viene definito come differenza tra il valore della produzione lorda (Bruttoproduktionswert) ed il costo per i beni e servizi apportati da terze economie (Vorleistungen), allora la nozione del valore aggiunto è valida per tutti i settori: settore industriale, settore commerciale, settore bancario. Se però si tenta di definire più analiticamente del valore della produzione lorda (Bruttoproduktionswert) e delle Vorleistungen dei vari settori, si scopre che ciascun settore economico, ed in particolare quello commerciale e bancario, richiedono una nozione specifica di valore aggiunto non applicabile ad altri settori57. Così, ad esempio, il valore della produzione lorda nel settore commerciale potrebbe essere costituito semplicemente dal fatturato, senza che sussista la necessità, come per un’impresa industriale, di modificarlo per tener conto delle variazioni delle rimanenze e le Vorleistungen potrebbero essere rappresentate dagli acquisti delle merci destinate alla rivendita. Di conseguenza, il valore aggiunto sarebbe uguale all’utile commerciale lordo (Handelsspanne) cosa che, tuttavia, non è corretta come si vedrà nel prosieguo. Il settore commerciale richiede pertanto una nozione specifica di valore aggiunto (handelsspezifische Wertschöpfungsbegriff) che tenga conto delle caratteristiche dell’attività commerciale. Considerazioni analoghe possono essere svolte avuto riguardo al settore bancario. La componente positiva del calcolo del valore aggiunto di un’impresa bancaria potrebbe essere costituita dagli interessi 56 57 REICHMANN, LANGE, op. cit., 1981, pag. 949; GOETZKE, op. cit., Heft 5, 1979. WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 13-20. 99 corrisposti dalla clientela, così come le Vorleistungen potrebbero essere uguali agli interessi riconosciuti sui fondi presi a prestito. Di conseguenza, il valore aggiunto di un’impresa bancaria coinciderebbe con il margine di interesse (Zinsspanne). 3.1 Il valore aggiunto nel settore commerciale Krober Riel sottolinea che l’attività commerciale a parità di tutte le altre attività economiche possiede la caratteristica di creare valore aggiunto in quanto (sia il commercio all’ingrosso sia il commercio al dettaglio) assolve la funzione distributiva in un sistema economico. Anche se i risultati della gestione non si possono misurare in base ad un trasformazione tecnico-economica dei beni, come succede – al contrario – nell’ambito di un’impresa industriale, dato che i beni acquistati e venduti da un’impresa commerciale non subiscono alcun tipo di trasformazione, né a livello quantitativo né a livello qualitativo. Ciò comporta che la considerazione della nozione del valore aggiunto in termini fisici nell’ottica della Gütereinkommen-Seite è impossibile nell’ambito dell’attività commerciale58. Inoltre, anche il processo economico di un’impresa commerciale a parità di tutti gli altri processi economici delle imprese è caratterizzato dalla partecipazione dei lavoratori, del capitale e dello Stato59. In un sistema di economia di mercato, la componente del prezzo pagato dal consumatore finale, che remunera la funzione distributiva del settore commerciale, viene denominata valore aggiunto economico-politico del commercio (volkswirtschaftliche Wertschöpfung des Handels)60. In particolare Kroeber Riel osserva che il valore aggiunto 58 Cfr. LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 10 e segg. KROEBER RIEL, op.cit., Berlin, 1963, pag. 43: “Die Wertschöpfung als betriebliche Leistungsgröße unterstreicht demgegenüber, daß der Betriebsprozeß des Handels genauso wie der Betriebsprozeß aller anderen wirtschaftlichen Betriebe ein Leistungsprozeß ist, zu dem sich die Wirkungskräfte Arbeit, Kapital und Staat vereinen (…) In der Literatur finden wir diese Wirkung als ‘wertschöpfenden Karakter’ der Handelstätigkeit, als ‘Werterzeugung’ oder Wertbildung bezeichnet”. 60 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 44: “In marktwirtschaftliche Wirtschaftssystemen werden dem gegenüber gründsatzlich alle vom Endpreis eines 59 100 dell’attività commerciale non coincide con l’utile commerciale lordo (Handelsspanne). Infatti l’utile commerciale lordo è uguale al risultato della differenza tra il prezzo di vendita ed il prezzo di acquisto delle merci, che un’impresa commerciale ha venduto in un esercizio61. L’utile commerciale lordo quindi comprende sia la remunerazione della prestazione dell’impresa commerciale stessa (valore aggiunto) sia la remunerazione dei beni consumati e servizi utilizzati apportati da economie terze, escluse le merci (Fremdleistungen)62. Da queste definizioni seguono una serie di rapporti tra l’utile commerciale lordo ed il valore aggiunto, che sono rappresentate dalla figura seguente elaborata sulla base delle osservazioni di Krober Riel. Se si tiene presente che l’utile lordo è uguale al valore delle vendite delle merci al netto del costo degli acquisti delle merci, e che l’utile commerciale è uguale alla somma tra valore aggiunto e Fremdleistungen, allora si può dedurre che il valore aggiunto è uguale all’utile commerciale lordo diminuito delle Fremdleistungen oppure che è uguale al valore delle vendite delle merci diminuito del valore degli acquisti e delle Fremdleistungen. Il valore della vendita delle merci di conseguenza corrisponde alla somma tra il valore aggiunto, il valore dell’acquisto delle merci e le Fremdleistungen oppure corrisponde alla somma tra utile commerciale lordo ed il valore degli acquisti di merci. Queste relazioni tra il valore aggiunto e l’utile commerciale lordo (cfr. figura 3.1) dimostrano che non è corretto né sostenere che l’utile commerciale lordo rappresenta la remunerazione della prestazione dell’impresa commerciale né equiparare l’utile commerciale lordo al valore aggiunto63. Gutes dem Handel zugeflossenen Preisteile als volkswirtschaftliche Wertschöpfung des Handels anerkannt”. 61 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 46: “Die handelsspanne als Betriebsspanne ist die Differenz zwischen den Einkaufspreis und den Verkaufspreis der Waren, die ein Betrieb in einer Peiode umsetzt”. 62 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 46: “Die handelsspanne entsteht aus den Vergütungen für die Eigenleistungen (Wertschöpfung) des handelsbetriebes un aus den Vergütungen für die im Rahmen des betreiblichen Leistungsprozesses außer den Waren sonst noch in Anspruch genommenen Fremdleistungen”. 63 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 47: “Es ist demzufolge mißverständlich, wenn die Handelsspanne als Entgelt für die Eigenleistung eines Handelsbetriebes hingestellt und mit der betrieblichen Wertschöpfung gleichgesetzt wird”. 101 FIGURA 3.1: I RAPPORTI TRA VALORE AGGIUNTO ED UTILE COMMERCIALE LORDO Utile commerciale lordo Utile commerciale lordo Valore aggiunto Valore aggiunto Valore della vendita delle merci Valore della vendita delle merci Valore della vendita delle merci – valore dell’acquisto delle merci Valore aggiunto + Fremdleistungen Utile commerciale lordo – Fremdleistungen Valore della vendita delle merci – Valore dell’acquisto delle merci – Fremdleistungen Valore aggiunto + Valore dell’acquisto delle merci + Fremdleistungen Utile commerciale lordo + Valore dell’acquisto delle merci La mancanza di un’interpretazione univoca – secondo Kroeber Riel – è dovuta sostanzialmente a due ordini di motivi. In primo luogo l’utile commerciale lordo è una grandezza simile al valore aggiunto, dato che l’unica differenza è costituita dalla diversa nozione accolta delle Fremdleistungen. La definizione della Fremdleistungen dell’utile commerciale lordo è più ristretta di quella del valore aggiunto, dato che comprende solo il valore dell’acquisto delle merci, mentre la definizione delle Fremdleistungen del valore aggiunto è più ampia di quella dell’utile commerciale, dato che comprende oltre al valore dell’acquisto delle merci il valore di tutti gli altri beni e servizi apportati da economie terze. In secondo luogo la confusione dei due concetti è dovuta alla mancata distinzione tra il valore aggiunto “istituzionale” (institutionelle Wertschöpfung) ed il valore aggiunto “funzionale” (funktionelle Wertschöpfung)64. Il valore aggiunto “istituzionale” misura il valore aggiunto creato di una singola istituzione “impresa” come, ad esempio, il valore aggiunto di un’impresa commerciale all’ingrosso oppure, il valore aggiunto di un’impresa commerciale al dettaglio. Il valore aggiunto “funzionale”, al contrario, misura il valore aggiunto creato 64 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 48. 102 dall’attività distributiva, ossia dall’insieme delle imprese operanti nella distribuzione commerciale. Il rapporto tra il valore aggiunto “istituzionale” ed il valore aggiunto “funzionale” viene spiegato dal seguente esempio65 (rappresentato nella figura 3.2). Si ipotizzi che il prezzo finale di un bene ammonti a 20, di cui 10 è rappresentato dal valore aggiunto funzionale dell’industria (funktionale Erzeugungswertschöpfung) e le rimanenti 10 il valore aggiunto funzionale del commercio (funktionale Vertriebswertschöpfung). Il valore aggiunto “istituzionale” si distribuisce invece direttamente all’istituzione dell’impresa industriale, all’istituzione dell’impresa commerciale all’ingrosso ed all’istituzione dell’impresa commerciale al dettaglio e si distribuisce indirettamente alle economie terze delle Vorleistungen dell’impresa industriale, dell’impresa commerciale all’ingrosso e dell’impresa commerciale al dettaglio. FIGURA 3.2: IL RAPPORTO TRA IL VALORE AGGIUNTO “FUNZIONALE” ED IL VALORE AGGIUNTO “ISTITUZIONALE” Valore aggiunto “funzionale” Valore aggiunto dell’attività industriale Prezzo del bene 20 14 10 Valore aggiunto dell’attività commerciale Valore aggiunto dell’impresa industriale Vorleistungen dell’impresa industriale 9 7,5 6 2 0 65 Valore aggiunto “istituzionale” KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 50. 103 Valore aggiunto dell’impresa commerciale all’ingrosso Vorleistungen dell’impresa commerciale all’ingrosso Valore aggiunto dell’impresa commerciale al dettaglio Vorleistungen dell’impresa al dettaglio Il valore aggiunto “istituzionale “ dell’impresa industriale, produttrice del bene, si ottiene dal valore aggiunto “funzionale” dell’industriale (funktionale Wertschöpfung des Erzeugungsbereiches) e da una parte del valore aggiunto “funzionale” del commercio (funktionale Wertschöpfung des Handels). Il valore aggiunto “istituzionale” dell’impresa industriale è uguale a 6 ed è quindi inferiore alla somma del valore aggiunto “funzionale” dell’impresa e della parte del valore aggiunto “funzionale” del commercio attribuita all’impresa industriale, che è pari a 11. Ciò in quanto l’impresa industriale ha consumato le Vorleistungen di terze economie per l’ammontare di 5. Anche il valore aggiunto “istituzionale” dell’impresa commerciale all’ingrosso (1,5) ed il valore aggiunto “istituzionale” dell’impresa commerciale al dettaglio (4) si ottiene diminuendo la parte del valore aggiunto funzionale che spetta rispettivamente all’impresa commerciale all’ingrosso ed all’impresa commerciale al dettaglio, per il valore delle rispettive Vorleistungen di terze economie (rispettivamente 1,5 per l’impresa all’ingrosso e 2 per l’impresa al dettaglio)66. Sulla base delle considerazione svolte si può affermare che il calcolo del valore aggiunto effettuato nell’ambito della prassi aziendale commerciale misura il valore aggiunto “istituzionale” di un’impresa commerciale. Inoltre è stata evidenziata la differenza tra l’utile commerciale lordo ed il valore aggiunto. Uno schema semplice di calcolo del valore aggiunto di un’impresa commerciale secondo quanto fino ad ora evidenziato è rappresentato nella figura che segue67. 66 67 KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pag. 51. KROEBER RIEL, op. cit., Berlin, 1963, pagg. 90-91. 104 FIGURA 3.3: SCHEMA DI CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO DI UN’IMPRESA COMMERCIALE Fatturato – sconti concessi – svalutazione dei crediti verso clienti Valore d’acquisto delle merci al netto degli sconti ottenuti – rimanenti Vorleistungen: Spese per trasporti Spese per telefono Etc. – quote di ammortamento Valore aggiunto Bruttoertrag Vorleistungen Arbeitsertrag: salari, stipendi e contributi sociali, Unternehmerlohn Gemeinerertrag: imposte Kapitalertrag: interessi passivi, affitti, risultato d’esercizio La componente positiva (Bruttoertrag) di un’impresa commerciale è costituita sostanzialmente dal fatturato al netto degli sconti concessi e delle svalutazioni per rischi su crediti. La componente negativa, Vorleistungen, è invece costituita dal valore degli acquisti al netto degli sconti ottenuti, dai rimanenti beni e servizi apportati da terze economie (trasporti, energia elettrica, etc.). Il valore aggiunto si ottiene quale differenza tra la componente positiva e la componente negativa ed è costituito da tre componenti già note, ossia la remunerazione del personale (Arbeitsertrg e Unternehmerlohn), il Gemeinerertrag (imposte e tasse) e interessi passivi, affitti68 e risultato di esercizio (Kapitalertrag). 68 L’affitto, secondo Kroeber Riel, op. cit., Berlin, 1963, pagg. 70-79, è da dividere in due parti: una componente misura la remunerazione per l’utilizzo del bene capitale e concorre alla formazione del valore aggiunto, un’altra che misura l’insieme dei costi da sostenere per il bene capitale (ammortamenti, spese di manutenzione, ecc.). 105 3.2 Il valore aggiunto nel settore bancario Pohmer e Kroenlein hanno evidenziato che il concetto di valore aggiunto è un concetto valido per ogni tipo di impresa69. Tuttavia, nel tentativo di definire più accuratamente i contenuti della componente positiva (Bruttoproduktionswert) e della componente negativa (Vorleistungen) ai fini del calcolo del valore aggiunto dei vari settori economici, ci si è via via resi conti che ciascun settore economico – ed in particolare quello commerciale e bancario – richiede una nozione specifica di valore aggiunto (spezifischen Wertschöpfungsbegriff), non applicabile agli altri settori70. Così, come nel precedente paragrafo si è fatto riferimento ad una nozione specifica di valore aggiunto nell’ambito di un’impresa commerciale (handelsspezifischer Wertschöpfungbegriff) si cercherà di seguito di pervenire ad una nozione di valore aggiunto maggiormente rappresentativa della tipica combinazione bancario-creditizia (bankspezifischer Wertschöpfungbegriff). Anche nel settore bancario i procedimenti generali di determinazione del valore aggiunto “per sottrazione” e per “addizione” evidenziano la propria utilità. Secondo il primo procedimento il valore aggiunto si determina effettuando la differenza tra i proventi tipici le Vorleistungen. In base al secondo procedimento il valore aggiunto si determina sommando tutti i redditi creati all’interno dell’impresa e procedendo poi all’evidenziazione alla ripartizione dello stesso. Gli interessi attivi, che l’impresa consegue a fronte dell’esercizio dell’attività creditizia, ed i proventi dagli investimenti finanziari costituiscono la quota più significativa dei ricavi della stessa. Tali interessi e proventi sono tuttavia già inclusi nel valore aggiunto delle imprese che li hanno corrisposti; essi sono infatti componenti del Kapitalertrag di tali imprese. Al fine di evitare una duplicazione essi sarebbero dunque da escludere dal calcolo del valore aggiunto dell’impresa ban- 69 POHMER, KROENLEIN, op. cit., Stuttgart, 1970, § 1919: “die betriebliche Wertschöpfung (zu Faktorkosten) ist im allgemeinen das angemessene Kriterium zur Beurteilung einer Unternehmung”; cfr. anche GÖCKELER, Die Wertschöpfung der Kreditinstitut, Berlin, 1975, pag. 11 e segg. 70 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 13-20. 106 caria71. Operando in tal modo, tuttavia, il valore della produzione lorda delle imprese bancarie si ridimensionerebbe a tal punto che non avrebbe più alcuna utilità la misurazione del valore aggiunto. Per tale ragione è necessario considerare interessi attivi e proventi da investimenti finanziari non già componenti del Kapitalertrag bensì delle Vorleistungen delle imprese che li hanno corrisposti. Per inciso, occorre ricordare come un altro elemento caratteristico dell’attività creditizia sia costituito dalla prestazione di servizi “gratuiti” privi di una specifica remunerazione. Tali servizi troveranno copertura nei ricavi tipici giacché non esiste alcuna correlazione diretta con specifici elementi di ricavo. Alla luce di quanto sopra, Göckeler72 individua una “convenzione” particolare per il calcolare il valore aggiunto nell’ambito delle imprese bancarie costituita dal considerare quale remunerazione dell’attività bancaria la differenza tra gli interessi attivi (sui finanziamenti erogati) e gli interessi passivi (sui depositi)73. Il risultato di tale differenza denominata Zinsdifferenz assieme agli altri proventi e ricavi costituisce il fatturato (Umsatz) di un’impresa bancaria74. Il calcolo di tale differenza non è tuttavia così agevole come ad una prima analisi potrebbe apparire. Infatti, oltre agli interessi passivi, la banca richiede anche la corresponsione di una serie di provvigioni correlate spesso agli interessi passivi. Per quanto riguarda invece i proventi da partecipazione occorre distinguere investimenti che potremmo chiamare “strategici” da quelli “speculativi”. Nel primo caso gli utili corrisposti alla banca sono da escludere dal calcolo della Zinsdifferenz per evitare una duplicazione di valore, giacché gli stessi saranno computati nel valore aggiunto delle imprese eroganti75. Tutte le altre componenti positive e 71 POHMER, KROENLEIN, op. cit., Stuttgart, 1970, § 1919. GÖCKELER, op. cit., Berlin, 1975, pag. 12 e segg. 73 GÖCKELER, op. cit., Berlin, 1975, pag. 19: “Aufgrund dieser Tatbestände wurde für die Ermittlung der Wertschöpfung der Kreditinstitute die Konvention getroffen, daß die Differenz zwischen den Ertragszinsen (bzw. weiter: Vermögenserträge) und Aufwandszinsen als unterstelltes Dienstleistungsentgelt behandelt wird”. 74 GÖCKELER, op. cit., Berlin, 1975, pag. 20. 75 GÖCKELER, op. cit., Berlin, 1975, pag. 22: “Wir stellen die Erträge aus Beteiligungen nicht in die Zinsdifferezrechnung ein, sondern behandeln sie in voller Höhe als verteiltes, in der ausschüttenden Unternehmung erwirtschaftetes Einkommen”. 72 107 negative di reddito, non connesse agli interessi e ai proventi da partecipazione, possono essere considerati e trattati come illustrato nel paragrafo dedicato alla misurazione del valore aggiunto nelle imprese industriali. Uno schema semplificato del calcolo della creazione di valore aggiunto (Entstehungsrechnung) e della distribuzione del valore aggiunto (Verteilungsrechunung) viene proposto nella figura che segue76. FIGURA 3.4: SCHEMA DI CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO DI UN’IMPRESA BANCARIA Interessi attivi + utili da partecipazioni “speculative” – interessi passivi Zinsdifferenz + provvigioni e proventi similari + proventi da attività non bancarie – beni e servizi apportati da terze economie (Vorleistungen): Canoni di locazione Spese telefoniche Etc. Valore aggiunto lordo – quote di ammortamento Valore aggiunto netto Valore della produzione lorda Vorleistungen Arbeitsertrag: salari, stipendi, contributi sociali e Unternehmerlohn Gemeinertrag: imposte Kapitalertrag: dividendi, risultato d’esercizio 4. Il significato informativo del valore aggiunto Nei paragrafi che seguono si rappresentano alcune modalità di utilizzo del valore aggiunto in ambito aziendale, con particolare riferimento alla sua capacità segnaletica. 76 GÖCKELER, op. cit., Berlin, 1975, pagg. 101-102. 108 4.1 Nella produzione dell’impresa Ai fini della comparabilità nel tempo, la produzione di un’impresa industriale può essere misurata sostanzialmente sulla base delle qualità di beni e servizi prodotti oppure in base al valore della produzione realizzata77. In particolare, la produzione industriale può essere misurata in base alla quantità prodotta soltanto se si tratta di un’impresa industriale monoprodotto. Anche in questo caso, tuttavia, la qualità come strumento di misurazione della produzione risulta essere poco appagante sotto molteplici aspetti. Infatti la riduzione della quantità rispetto all’esercizio precedente potrebbe essere ricondotta a diversi fattori: diminuzione della produzione in generale, miglioramento qualitativo del prodotto, partecipazione a più stadi della produzione, combinazione dei suddetti fattori. Di conseguenza la quantità è uno strumento valido di misurazione della produzione di un’impresa monoprodotto soltanto nel caso in cui il livello qualitativo dei prodotto e la partecipazione ai diversi stadi della produzione del prodotto rimane costante. Se cambia il livello qualitativo dei prodotto, l’unico strumento possibile per la misurazione della produzione che garantisce la comparabilità nel tempo, è il valore della produzione. Infatti la quantità prodotta deve essere moltiplicata o per il prezzo di vendita o per i costi di produzione, ottenendo così il valore della produzione lorda (Bruttoproduktionswert). Dal momento però che si utilizza il valore come strumento di misurazione della produzione si riscontrano problemi di misurazione (wertspezifische Meßprobleme)78. Per esempio, se si misura il valore il valore della produzione in base al prezzo di vendita, un aumento del valore della produzione di un esercizio rispetto all’esercizio precedente potrebbe essere ricondotto ad un semplice aumento del prezzo finale, ad un aumento del prezzo finale dovuto a miglioramenti qualitativi del prodotto, oppure ad un aumento della quantità prodotta. Per tale ragione, si dovrebbero eliminare le variazioni dovute all’aumento del prezzo finale per ottenere il valore reale della produzione realizzata. Weber denomina tali problemi di misura77 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 40-43. WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 41: “Sobald man nun allerdings Werte als Maßgröße verwendet, treten Probleme auf, die bei der Verwendung von Mengen als Maßgrößen unbekannt sind”. 78 109 zione preisspezifische Meßprobleme, ossia problemi di misurazione relativi al prezzo79. Invece, se per esempio, il valore dela produzione viene misurato in base ai costi di produzione, l’aumento del valore della produzione potrebbe dipendere da un semplice aumento dei costi dei fattori produttivi, da un aumento dei costi dei fattori produttivi dovuto ad un miglioramento qualitativo dei fattori stessi, dalla diminuzione dell’efficienza produttiva, oppure da un aumento della quantità prodotta. Per questa ragione si dovrebbero eliminare le variazioni dovute al semplice aumento dei prezzi dei fattori produttivi sia quelle dovute alla variazione dell’efficienza produttiva. Weber denomina tali problemi di misurazione kostenspezifische Meßprobleme80. Nel caso in cui, invece, cambiasse la quota di partecipazione di un’impresa monoprodotto ai diversi stadi della produzione, non è più sufficiente calcolare il valore della produzione lorda. Infatti, una variazione della quota di partecipazione agli stadi della produzione non necessariamente comporta una variazione del prezzo finale oppure una variazione dei costi di produzione. La variazione della quota di partecipazione dà invece luogo ad un cambiamento della struttura dei costi. In tal modo, un aumento della quota di partecipazione agli stadi della produzione comporterebbe una riduzione dei costi sostenuti per i beni ed i servizi apportati da economie terze e contestualmente un aumento dei costi da sostenere per la produzione in economia81. Per misurare la produzione di un’impresa è necessario pertanto calcolare il valore della produzione netta. Ciò significa che si devono detrarre i costi sostenuti per i beni ed i servizi apportati da economie terze (Vorleistungen) dal valore della produzione lorda, ottenendo così il valore della produzione netta (Nettoproduktionswert) che rappresenta uno strumento appropriato di misurazione della produzione in caso di variazione della quota di partecipazione ai diversi stadi della produzione da parte di un’impresa monoprodotto. Se le Vorleistungen sono costituite dai costi sostenuti per le materie prime ed ausiliarie, il valore della produzione netta sarebbe uguale al valore aggiunto lordo propo- 79 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 41. WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 42. 81 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 42. 80 110 sto (Bruttowertschöpfung) da Pohmer82. Il valore della produzione netta può essere calcolato soltanto mediante il calcolo del valore aggiunto e basandosi in particolare sulle risultanze della contabilità industriale. Infine, se si vuole misurare la produzione di un’impresa pluriprodotto, l’unica soluzione possibile è quella di misurarla in base al valore della produzione. In conseguenza delle considerazioni finora svolte si deve utilizzare il valore della produzione lorda oppure il valore della produzione netta. Il valore della produzione lorda è sufficiente fino a quando varia soltanto il livello qualitativo dei prodotti, se però cambiano le quote di partecipazione agli stadi della produzione dei diversi prodotti, allora è necessario misurare la produzione in base al valore della produzione netta. Ciò significa che è indispensabile effettuare il calcolo del valore aggiunto83. La misurazione della capacità produttiva ottimale e della capacità produttiva effettiva di un’impresa industriale può essere effettuata in base a caratteristiche orientate all’input, ossia ai fattori produttivi, oppure in base a caratteristiche orientate all’output, il risultato della produzione. Le caratteristiche orientate all’output sono rappresentate dalla quantità prodotta, dal valore della produzione lorda e dal valore della produzione netta (oppure valore aggiunto lordo) che viene determinato con l’aiuto dei calcolo dei valore aggiunto. Come si ricorderà, la quantità prodotta può essere utilizzata soltanto per un’impresa industriale monoprodotto con un livello qualitativo dei prodotto costante e con una costante partecipazione alla produzione. In una tale impresa la capacità ottimale della produzione viene rappresentata dalla quantità massima di prodotti ottenibili, mentre la capacità effettiva della produzione viene rappresentata dalla quantità effettivamente prodotta84. Si deve invece utilizzare il valore della produzione lorda nel caso in cui l’oggetto di analisi sia un’impresa industriale monoprodotto con una quota costante di partecipazione alla produzione, ma con delle variazioni nel livello qualitativo dei prodotto, oppure nel caso di un’impresa industriale pluriprodotto indipendentemente dalla varia82 POHMER, KROENLEIN, op. cit., Stuttgart, 1970, § 1913 e segg. WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 42-43. 84 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 42-43. 83 111 zione del livello qualitativo dei prodotto, ma con una costante quota di partecipazione al processo produttivo. Utilizzando il valore della produzione lorda per misurare la capacità della produzione ottimale ed effettiva, devono essere eliminate le variazioni di valore dovute al semplice aumento del prezzo finale, nel caso in cui il valore della produzione lorda sia stato calcolato in base ai prezzi finali, oppure le variazioni dovute al semplice aumento dei prezzi dei fattori produttivi, nel caso in cui il valore della produzione lorda sia stato calcolato in base ai costi della produzione, così come devono essere eliminate anche le variazioni del valore dovute al cambiamento dell’efficienza della produzione. La capacità ottimale della produzione sarebbe allora rappresentata dal valore massimo reale (depurato) della produzione lorda, mentre la capacità effettiva della produzione dal valore effettivo reale (depurato) della produzione lorda85. Invece il valore della produzione netta (il valore aggiunto lordo) deve essere determinato nel caso in cui cambino le quote di partecipazione al processo produttivo sia di un’impresa industriale monoprodotto sia di un’impresa industriale pluriprodotto. Anche in questo caso devono essere eliminate le variazioni del valore dovute al semplice aumento del prezzo finale, nel caso in cui il valore della produzione netta sia stato calcolato in base ai prezzi finali, oppure le variazioni dovute al semplice aumento dei prezzi dei fattori produttivi, nel caso in cui il valore della produzione netta sia stato calcolato in base ai costi della produzione, così come devono essere eliminate anche le variazioni di valore dovute al cambiamento dell’efficienza della produzione. La capacità ottimale della produzione sarebbe così rappresentata dal valore massimo reale (depurato) della produzione netta (dal valore aggiunto massimo reale), mentre la capacità effettiva della produzione dal valore effettivo reale (depurato) della produzione netta (dal valore aggiunto effettivo reale). Le caratteristiche orientate all’input invece sono rappresentate dal consumo delle materie prime ed ausiliarie in base alla quantità oppure in base al valore, dalle ore macchine, dalle.quote di ammortamento degli impianti produttivi, dalle ore di lavoro, dai salari e dagli stipendi. Alcune delle caratteristi85 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 43. 112 che sopraindicate sono espresse in termini di quantità, altri invece in termini di valore. Le caratteristiche espresse in termini di quantità sono soltanto utilizzabili fino a quando viene consumato un unico fattore produttivo. Di conseguenza la capacità ottimale della produzione e la capacità effettiva della produzione possono essere rappresentate rispettivamente dal consumo massimo oppure effettivo della materia prima, dal numero massimo oppure effettivo delle ore macchine e dal numero massimo oppure effettivo delle ore di lavoro. Se invece nel processo produttivo vengono impiegati una pluralità di fattori produttivi, è necessario utilizzare le caratteristiche espresse in termini di valore. Di conseguenza, la capacità ottimale della produzione e la capacità effettiva della produzione possono essere rappresentate rispettivamente dal consumo massimo oppure effettivo delle materie prime ed ausiliarie, dalle quote massime oppure effettive di ammortamento e dai salari e stipendi massimi oppure effettivi. Tuttavia, è impossibile differenziare tra le effettive quote di ammortamento e le massime quote di ammortamento se le quote di ammortamento si calcolano in base alla durata economica del bene ad impiego pluriennale e non invece in base alla possibilità di utilizzo (Nutzungsmöglichkeit) e in base all’effettivo utilizzo (Nutzungsabhängigkeit)86. È quindi necessario orientarsi all’output della produzione per determinare le rispettive quote di ammortamento. Ne consegue che sarebbe più semplice misurare la capacità ottimale della produzione e la capacità effettiva della produzione orientandosi direttamente sull’output della produzione. Similmente, è impossibile differenziare tra il massimo salario e stipendio e l’effettivo salario e stipendio. Infatti tale differenziazione sarà soltanto possibile nel momento in cui il salario e lo stipendio verranno determinati in base alla prestazione (Leistungesabhängigkeit). Anche in questo caso, è necessario orientarsi all’output della produzione per determinare i salari e gli stipendi in base alle prestazioni erogate. Ne consegue che occorre orientarsi direttamente all’output della produzione per misurare la capacità massima e la capacità effettiva della produzione. Ulteriormente, sia le caratteristiche orientate 86 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 45. 113 all’input espresse in termini di quantità che quelle espresse in termini di valore sarebbero in grado di misurare la capacità massima e la capacità effettiva della produzione soltanto rispetto ad un unico fattore produttivo. Una tale misurazione potrebbe essere sufficiente soltanto nel caso in cui la misurazione che tiene conto di un fattore produttivo risultasse rappresentativa di tutte le altre misurazioni effettuate avuto riguardo agli altri fattori impiegati nel processo produttivo87. In conseguenza alle considerazioni fatte risulta che è più semplice misurare la capacità massima della produzione e la capacità effettiva della produzione orientandosi direttamente all’output della produzione stessa. 4.2 Nella dimensione della stessa La dimensione di un’impresa industriale può essere espressa attraverso la sua capacità produttiva. Di conseguenza per misurare l’aumento o la diminuzione della dimensione di un’impresa industriale si può fare riferimento alle caratteristiche orientate all’input, cioè orientate ai fattori produttivi, e alle caratteristiche orientate all’output, cioè orientate al risultato della produzione. In considerazione della loro applicazione generalmente valgono le osservazioni fatte nel paragrafo precedente. La dimensione di un’impresa industriale può quindi essere rappresentata dalla quantità massima di produzione. È un parametro facilmente calcolabile che tuttavia viene raramente utilizzato anche perché permette di evidenziare soltanto la crescita della dimensione orizzontale e non anche la crescita della dimensione verticale dell’impresa. Per dimensione orizzontale si intende la numerosità delle combinazioni economiche per prodotto e per mercato. In questo ambito si usa, come noto, anche correntemente il termine, “diversificazione dei prodotti e dei mercati”. Per dimensione verticale si intende invece l’ampiezza delle fasi del processo di produzione economica svolte dall’impresa. In proposito si usa anche il termine di “integrazione ver87 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 45: “Auf eine solche Größe könnte man sich lediglich dann beschränken, wenn sie rapräsentativ für die anderen Größen wäre, d.h. wenn der Einsatz des abgebildeten Faktors mit dem Einsatz der anderen Faktoren jeweils fest gekoppelt wäre …”. 114 ticale” che può avvenire a monte oppure a valle. In molti casi viene utilizzato il valore massimo reale della produzione lorda (maximaler realer Bruttoproduktionswert). Tale valore permette di evidenziare sia la crescita della dimensione orizzontale sia la crescita della dimensione verticale, dato che tiene anche conto delle variazioni del livello qualitativo del prodotto. Misurando la dimensione di un’impresa industriale in base alle caratteristiche orientate all’input si potrebbe utilizzare in luogo del valore massimo reale della produzione lorda il valore massimo dei consumo delle materie prime ed ausiliarie, oppure il valore massimo delle quote di ammortamento o dei salari e degli stipendi. Per definire sia la dimensione orizzontale che la dimensione verticale di un’impresa industriale, tenendo conto di tutti gli aspetti come per esempio una variazione qualitativa dei prodotto oppure una variazione della quota di partecipazione al processo produttivo, è comunque necessario determinare il valore massimo e reale della produzione netta (il valore aggiunto massimo reale lordo) attraverso il calcolo del valore aggiunto. Al contrario, misurando la dimensione sia orizzontale che verticale di un’impresa industriale in base alle caratteristiche orientate all’input si potrebbe utilizzare in luogo del valore massimo reale della produzione netta (il valore aggiunto massimo reale lordo) il valore massimo delle quote di ammortamento oppure il valore massimo dei salari e stipendi. Rimangono valide le osservazioni fatte relativamente all’uso di caratteristiche orientate all’input: è più semplice ricorrere direttamente alle caratteristiche orientate all’output88. Come detto in precedenza, la dimensione dell’impresa si può distinguere in una dimensione orizzontale ed in dimensione verticale. Entrambi i fenomeni non sono agevolmente misurabili quantitativamente. Infatti, secondo Weber è impossibile dire se la dimensione orizzontale di un’impresa in un determinato momento è più rilevante rispetto a quella verticale; soltanto infatti attraverso una comparazione nel tempo oppure nello spazio è possibile considerare separatamente tali due dimensioni. In ogni caso se si vuole considerare la dimensione verticale è necessario calcolare il parametro del valore della produzio88 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 46-47. 115 ne netta (il valore aggiunto lordo) attraverso il calcolo del valore aggiunto, dato che soltanto tale grandezza evidenzia la prestazione propria dell’impresa89. La dimensione di un’impresa può essere misurata anche facendo riferimento ad altri parametri. Così per esempio Weber indica il valore dell’insieme delle immobilizzazioni materiali ed immateriali, oppure il numero dei lavoratori. Queste grandezze non sono valori flusso ma valori fondo. Di conseguenza non è necessario differenziare i valori in valori massimi ed in valori effettivi90. Generalmente la dimensione di un’impresa industriale può essere misurata utilizzando diverse grandezze, come per esempio il numero dei lavoratori, i salari e gli stipendi, il patrimonio, il fatturato, il valore aggiunto oppure l’utile d’esercizio. La preferenza all’uno o all’altro di tali parametri è funzionale allo scopo perseguito dalla misurazione della dimensione. Weber critica fortemente l’utilizzo del fatturato come strumento di misurazione della dimensione di un’impresa dato che sostiene che offre un’indicazione poco affidabile della stessa, benché sia di facile determinazione. Ne conseguirebbe una preferenza per il valore aggiunto91. Le considerazioni fatte finora valgono anche avuto riguardo alla misurazione della dimensione di settori economici. Ciò si evince in particolare modo nel caso in cui si paragonano due settori economici “contigui” come, per esempio, l’industria tessile e l’industria dell’abbigliamento. È impossibile infatti comparare le due industrie con riferimento al fatturato o alla produzione lorda, dato che nel valore della produzione lorda dell’impresa dell’abbigliamento è compreso parte del valore della produzione dell’impresa tessile. Sole se si sottraggono le Vorleistungen (beni e servizi apportati da terze economie) si ottiene uno strumento valido per comparare i singoli settori economici92. 89 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 47. WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 48. 91 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 40: “Am besten geeignet wäre freilich die Wertschöpfung …”. 92 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 51. 90 116 4.3 Quale indice di economicità e produttività L’economicità viene espressa attraverso il rapporto tra una grandezza orientata all’input ed una grandezza orientata all’output. L’economicità può essere distinta in un’economicità generale ed in un’economicità parziale. L’economicità generale è costituita dal rapporto tra la somma di tutti i fattori produttivi impiegati (l’input complessivo) il risultato complessivo (l’output complessivo). L’economicità parziale è costituita dal rapporto tra l’input complessivo ed il risultato ottenuto, oppure dal rapporto tra i fattori produttivi impiegati e l’output complessivo, oppure ancora dal rapporto tra i fattori produttivi impiegati ed il risultato ottenuto. Nell’ambito del calcolo del valore aggiunto assume particolare importanza la produttività dei lavoro, denominata da Lehmann Arbeitsergiebigkeit, e la produttività del capitale, Kapitalergiebigkeit93. Lehmann definisce l’Arbeitsergiebigkeit come il rapporto tra il valore aggiunto e la componente lavoro. La componente lavoro può essere espressa dal numero dei lavoratori, dalle ore di lavoro oppure dai salari e stipendi. Sia Lehmann che Weber osservano che utilizzando il numero dei lavoratori oppure le ore di lavoro per deeterminare la produttività del lavoro si ottiene un risultato poco espressivo, dato che sia il numero dei lavoratori sia le ore di lavoro non tengono conto della struttura del personale presente nelle diverse imprese. L’unica possibilità per ottenere un risultato espressivo è l’utilizzo dei salari e stipendi come componente lavoro, dato che i salari e gli stipendi rispecchiano sia le qualità differenti richieste dalle varie mansioni sia la diversa l’intensità tra le varie prestazioni. Quindi la produttività dei lavoro viene determinata dal seguente rapporto: produttività del lavoro = valore aggiunto / (salari + stipendi) La produttività del capitale viene definita da Lehmann come il rapporto tra il valore aggiunto e il capitale. Lehmann specifica che il termine capitale indica in questa sede l’insieme delle immobilizzazioni 93 LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 25 e segg. 117 utilizzate per la produzione (Produktionswirtschaftliche). Di conseguenza Lehmann esclude tutte le immobilizzazioni finanziarie94. Weber invece specifica che oltre alle immobilizzazioni si possono utilizzare anche le ore macchina oppure le quote di ammortamento. Infatti secondo Weber utilizzando le immobilizzazioni per determinare la produttività del capitale non viene evidenziato l’utilizzo effettivo delle immobilizzazioni che invece viene evidenziato nel caso si utilizzassero le ore macchina oppure le quote di ammortamento, calcolate in base all’effettivo utilizzo delle immobilizzazioni95. La produttività dei capitale viene determinata pertanto dal seguente rapporto: produttività del capitale = valore aggiunto / capitale Lehmann definisce i rapporti sopra evidenziati “valore aggiunto relativo” (relative Wertschöpfung), dato che entrambi mettono in rapporto il valore aggiunto prodotto all’interno di un’impresa con due i due fattori produttivi fondamentali: lavoro e capitale. 4.4 Valore aggiunto e distribuzione del reddito Già Nicklisch aveva considerato il valore aggiunto o, più precisamente il Betriebsertrag, la grandezza maggiormente rappresentativa del reddito da distribuire tra i lavoratori ed i proprietari. Il Betriebsertrag è costituito dai salari e dagli stipendi e dalla remunerazione del capitale proprio. La ragione per cui Nicklisch limita la distribuzione del reddito soltanto alla classe lavorativa e alla classe proprietaria e non include nella distribuzione anche la classe dei portatori di capitale di credito non trova spiegazione. I lavoratori e i proprietari che lavorano nell’impresa costituiscono l’unità impresa (Betreibsgemeinschaft)96. Il Betriebsertrag si ottiene detraendo dai ricavi i costi per le materie prime ed ausiliarie, le quote di ammortamento, i beni ed i servizi ap94 LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pag. 51 e segg. WEBER, op. cit., pagg. 55-57. 96 NICKLISCH, op. cit., Stuttgart, 1929, pag. 298. 95 118 portati da economie terze e gli interessi passivi. Dal Betriebsertrag si detraggono poi i salari e gli stipendi e l’Unternehmerlohn cioè un salario figurativo che pertiene ai proprietari per la forza lavoro prestata. Il residuo verrà quindi distribuito sia ai proprietari per la remunerazione dei capitale proprio sia alla classe lavorativa in base alla loro produttività. Nicklisch, tuttavia, non spiega come si dovrebbe misurare la produttività del lavoro. Lehmann invece non considera il valore aggiunto una grandezza da distribuire tra la classe dei lavoratori e la classe proprietaria, ma sostiene che potrebbe essere utilizzata come base per determinare una politica di partecipazione agli utili di entrambe le classi. Anche Lehmann, tuttavia, non spiega precisamente come si dovrebbe determinare la giusta proporzione della partecipazione agli utili. L’unica considerazione che fa, è quella di correlare positivamente tale proporzione alla produttività dei lavoro (Arbeitsergiebigkeit)97. Quanto sopra secondo Weber dimostra che non è il valore aggiunto (come è stato al contrario proposto da Nicklisch) la grandezza da considerare nel caso di una partecipazione al risultato economico di un’impresa, ma che si deve considerare soltanto l’utile. Nella migliore delle ipotesi il valore aggiunto potrebbe essere utilizzato per determinare le congrue proporzioni di distribuzione, come già aveva proposto Lehmann. Secondo Weber la politica della partecipazione al risultato si dovrebbe basare unicamente sull’utile d’esercizio, ed in particolare sulla somma dei dividendi distribuiti per remunerare il capitale proprio98, favorendo in tal modo una forma di partecipazione dei prestatori di lavoro al capitale di rischio99. Indipendentemente dall’utilità del valore aggiunto come strumento di determinazione della politica di partecipazione agli utili, il calcolo del valore aggiunto è generalmente 97 LEHMANN, op. cit., Essen, 1954, pagg. 90-99. WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 60: “orientiert man sich naheliegenderweise an dem für Eigentümer ausgeschütteten Gewinn, also an der Dividendsumme”. 99 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 61: “Am besten erscheint es freilich, eine Ergebnisbeteiligung über eine Eigenkapitalbeteiligung der Arbeitnehmer, also bei einer Aktiengesellschaft durch die Ausgabe von Belegschaftsaktien, herbeizuführen”. 98 119 utilizzato per rappresentare la distribuzione del reddito prodotto dall’impresa. Questo calcolo dei valore aggiunto generalmente si basa sul rendiconto reddituale e quindi utilizzando quello che in precedenza è stato denominato metodo della contabilità generale. Se invece il calcolo del valore aggiunto è stato fatto in base alla contabilità analitica e, di conseguenza, si tiene conto solo della gestione caratteristica, allora deve essere integrato con la gestione accessoria100. Per rappresentare la distribuzione dei redditi si aggiunge al procedimento della sottrazione, che viene anche denominato calcolo della creazione dei valore aggiunto (Entstehungsrechnung), il procedimento additivo, che viene anche denominato calcolo della distribuzione del valore aggiunto (Verteilungsrechnung). Questa distinzione dei due procedimenti potrebbe portare a ritenere che i due procedimenti siano dei metodi differenti, di cui il primo determina il valore aggiunto ed il secondo lo ripartisce. Questo però non corrisponde alla realtà: i due procedimenti – come si è visto – sono complementari. Nell’ambito della distribuzione del valore aggiunto le parti interessati sono le seguenti: – lo Stato, la cui parte comprende le imposte; – il personale, la cui parte comprende i salari e stipendi ed i contributi sociali; – il capitale di terzi, la cui remunerazione e rappresentata dagli interessi passivi – il capitale proprio, la cui remunerazione e rappresentata dai dividendi; – l’impresa stessa, la cui parte è rappresentata dagli accantonamenti fatti ai diversi fondi di accantonamento ed alle riserve. In ordine a quanto sopra, Weber101 osserva quanto segue. In primo luogo riprende uno studio fatto da Albach102 che distingue la distribuzione del valore aggiunto in distribuzione primaria ed in distribuzione secondaria. La distribuzione primaria esclude lo Stato dalle parti aventi diritto e quindi le imposte non sono rappresentate come una 100 WEDELL, op. cit., 1976, pagg. 212 e segg. WEBER, op. cit., Suttgart, 1980, pagg. 63-64. 102 ALBACH, Die Verteilung des Unternehmenseinkommen, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1978, pagg. 626-631. 101 120 quota dei valore aggiunto a sé stante. Infatti gli altri elementi dei valore aggiunto (la parte spettante al personale, la parte spettante ai finanziatori) includono già le rispettive imposte. Quindi nella distribuzione primaria sono esposti gli importi lordi che contengono ancora le rispettive imposte dovute allo Stato. La distribuzione secondaria invece considera lo Stato parte avente diritto e quindi viene evidenziata esplicitamente. Ne segue che gli importi di tutte le altre parti sono rappresentati al netto delle imposte. In secondo luogo Weber sostiene che non è corretto che la parte formata dagli accantonamenti venga idealmente distribuita all’impresa. Infatti secondo Weber gli accantonamenti farebbero parte della quota da distribuirsi ai titolari dei capitale proprio, dato che accantonare comporta ridurre gli utili ripartibili ai portatori del capitale di rischio. 4.4.1 Valore aggiunto e determinazione delle imposte In Germania fino al 1967 l’imposta sulle entrate (Umsatzsteuer) veniva calcolata in base al fatturato lordo (Bruttoumsatz). Dopo il 1967 il sistema fiscale tedesco si è adeguato agli altri sistemi fiscali europei attraverso l’introduzione dell’imposta sul valore aggiunto (Mehrwertsteuer). Weber103 osserva che l’imposta sulle entrate si può basare sia sul fatturato lordo di vendita (Bruttoverkaufsumsatz) sia sul fatturato netto (Nettoumsatz) che è uguale alla differenza tra il fatturato delle vendite (Verkaufsumsatz) ed il fatturato degli acquisti (Einkaufsumsatz). Il fatturato lordo è di facile determinazione mentre il fatturato netto è più difficile da determinare sia per l’Erario sia per i contribuenti, dato che esso viene coincide con il calcolo del valore aggiunto. Quindi dal fatturato lordo si devono detrarre i beni ed i servizi apportati da economie terze (Vorleistungen) che sono uguali al fatturato degli acquisti. Weber critica l’utilizzo del fatturato lordo quale grandezza base per determinare l’imposta sulle entrate, dato che avvantaggia le imprese di dimensioni verticali maggiori rispetto ad imprese di dimensioni verticali minori. Ne segue imposta sulle entrate calcolata in base al fatturato lordo influenza in modo negativo la capacità concorrenziale di 103 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pagg. 66-70. 121 un’impresa. Secondo Weber è pertanto opportuno utilizzare il fatturato netto, anche se più difficile da determinare104. Infatti nel 1967 in Germania si è passati dal sistema dell’imposta sulle entrate (Umsatzsteuer) che si basava sul fatturato lordo ad un sistema simile a quello dell’imposta sulle entrate che si basa però sul valore aggiunto. Per motivi di applicazione pratica il legislatore tedesco non ha stabilito l’obbligo di calcolare il valore aggiunto come differenza tra Verkaufsumsatz e Vorleistungen (Einkaufsumsatz), ma ha preferito continuare con il sistema dell’imposta sulle entrate che si basa sul fatturato, con la possibilità di detrarre le ritenute d’acconto (Vorsteuerabzug), ottenendo il medesimo risultato105. 4.4.2 Valore aggiunto e sovvenzioni pubbliche Per garantire una distribuzione equa e corretta delle sovvenzioni economiche pubbliche è necessario valutare le singole imprese potenziali beneficiarie delle stesse non solo in base a criteri aziendali, ma anche in base a criteri economico generali. Si devono quindi considerare una pluralità di aspetti come, ad esempio, la possibilità di sviluppo, la possibilità di rimanere sul mercato, l’importanza dell’impresa quale fonte di lavoro, l’importanza dell’impresa come contribuente, la possibilità di sinergie con imprese già presenti sul territorio, ecc. A ciascuno di questi aspetti corrisponde un parametro; per esempio al fine di misurare l’importanza dell’impresa come datore di lavoro si possono utilizzare il numero dei dipendenti oppure la somma dei salari pagati dall’impresa. Taluni dei parametri che possono essere utilizzati fanno variamente riferimento al valore aggiunto prodotto dall’impresa; 104 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 66: “Daher ist der Nettoumsatz wegen seiner Wettbewerbsneutralität dem Bruttoeinsatz als Bemessungsgrundlage vorzuziehen”. 105 WEBER, op. cit., Stuttgart, 1980, pag. 6: “der Gesetzgeber hat nun jedoch nicht eine solche Wertschöpfungsrechnung vorgeschrieben, sondern aus praktischen Gründen das System der Besteuerung des Bruttoumsatzes im Sinne der Verkaufsumsätze mit der Möglichkeit des Vorsteuerabzugs gewählt”. Weber propone inoltre (pag. 69) di utilizzare il valore aggiunto come misura dell’imponibile per la Gewerbeertragssteuer (imposta sul reddito d’impresa) che per la Lohnsummesteuer (imposta sui salari). 122 ne consegue che il valore aggiunto può essere ritenuto una grandezza rilevante per determinare quali imprese possono beneficiare dei provvedimenti agevolativi e quali no. Un esempio dell’importanza del calcolo del valore aggiunto nell’ambito delle politiche di sovvenzione economica è stato il Berlinförderungsgesetz (BerlinFG), provvedimento con cui il legislatore della Repubblica Federale Tedesca ha voluto contribuire allo sviluppo dell’industria di Berlino Ovest. Tale legge prevedeva agevolazioni fiscali in base alla cosiddetta Berliner Wertschöpfung (valore aggiunto di Berlino) prodotta dalle imprese site sul territorio. Per Berliner Wertschöpfung si intendeva il valore aggiunto calcolato come differenza tra il fatturato e le Vorleistungen. Tra le particolarità, i costi delle materie prime e ausiliarie apportate da imprese terze situate anch’esse nel territorio di Berlino Ovest venivano comprese nel valore aggiunto a valori inferiori a quelli negoziati. Questo comportava che le imprese che si approvvigionavano presso fornitori di Berlino Ovest erano ulteriormente avvantaggiate, dato che l’inserimento di tali costi a valori inferiori provocava un incremento del valore aggiunto prodotto. 123 CAPITOLO IV VALORE AGGIUNTO E RENDICONTO “SOCIALE” SOMMARIO: 1. Significato di un rendiconto non soltanto economico. – 2. Motivi per successive indagini. 1. Significato di un rendiconto non soltanto economico In questo capitolo si intende delineare in via sintetica la problematica del bilancio1 sociale d’impresa, avendo principalmente riguardo al principio secondo il quale l’azienda svolge un ruolo, sociale appunto, all’interno della ricerca delle migliori condizioni di sviluppo economico indispensabili per la sua perdurabilità nel tempo. Tutto ciò unitamente a quanto già definito nelle pagine precedenti, dove all’impresa viene riconosciuto il ruolo di produttore/distributore di ricchezza e la sua “più completa” performance di tipo economico trova un adeguato apprezzamento nel valore aggiunto che essa produce. Ci si deve allora anzitutto interrogare sulle cause che hanno prodotto detto mutamento in ordine ai possibili obiettivi perseguibili dall’azienda, istituto “destinato a perdurare, che vive vita interrotta, ricreandosi incessantemente nei suoi elementi costitutivi, sempre trascendendo gli interessi attuali degli individui e dei gruppi umani che concorrono al suo svolgimento” (Zappa). Almeno due sembrano essere i fattori individuabili: – da un lato gli effetti prodotti dalla progressiva crescita delle dimensioni delle aziende intese nel senso di rilevante entità di capita1 Con questo termine (e con il sinonimo “rendiconto sociale”) non si intende tanto fare riferimento a un documento che accoglie dati e indicatori bilancianti, così come richiamato dalla tecnica contabile, quanto piuttosto evidenziare la natura di un documento di sintesi da redigere periodicamente, formato in base a regole e procedure che devono essere rispettate nella redazione dello stesso. 125 le investito nell’attività corrente, di elevato volume di produzione/vendita, di valore aggiunto prodotto, di numero di addetti ma anche, e forse soprattutto, sempre più in termini di complessità organizzativa e gestionale, di rischi assunti dal soggetto economico, e così via. Se sono ovvi i benefici conseguenti allo sviluppo economico (ad esempio in termini di infrastrutture a disposizione della collettività) lo sono pure le conseguenze di mutate condizioni d’ambiente (sfavorevoli andamenti economici complessivi; congiuntura economica “al ribasso”; depressione dei consumi e degli investimenti) e d’impresa (crisi finanziaria, crisi reddituale, crisi patrimoniale) in termini di livello di occupazione – e più in generale – in termini di benessere sociale; – dall’altro l’agire congiunto dell’intermediazione finanziaria (a tal proposito si parla sempre più spesso di “finanziarizzazione dell’economia”) e del processo di scissione tra proprietà e controllo, tale per cui il soggetto economico d’azienda si trova a gestire a vario titolo ingenti quantità di pubblico risparmio. Il richiamo a questi due elementi fa emergere quindi in tutta la sua importanza la responsabilità etica dell’impresa o meglio l’esistenza di un problema di “giustizia economica” a livello di singola impresa. Non è detto però che la singola entità economica decida di rispondere in maniera adeguata alle “attese di socialità” manifestate dall’ambiente economico circostante, dai partecipanti al capitale di rischio ed in generale dagli stakeholders (ossia i detentori di interesse nei confronti dell’impresa stessa). Quest’ultima affermazione merita forse qualche chiarimento, in quanto parlare di ruolo sociale dell’impresa implica l’accettazione di considerare l’azienda un sistema aperto al centro di interessi di una varietà di interlocutori: azionisti, dipendenti, clienti, fornitori, enti finanziatori, amministrazione finanziaria, forze sindacali, e così via. Ma un flusso di informazioni da e verso l’impresa non è forse un primo strumento di coesione sociale? una attesa di socialità da soddisfare nel miglior modo possibile? Più in particolare si vuole affermare che anche non in presenza di public companies aventi azioni o titoli di debito (obbligazioni) trattati in mercati regolamentati, per gli interessi esterni diventa indispensabile avere a disposizione un flusso periodico, 126 standardizzato, neutrale, non meramente consuntivo di informazioni attraverso il quale indagare lo “stato di salute” dell’impresa: attitudine all’economica perdurabilità sul mercato; condizioni di gestione; piani di sviluppo ed investimento; prospettive economiche e finanziarie; livello di prezzi, costi, efficienza; etc. Tralasciando di entrare nel merito di un’analisi approfondita delle attese di conoscenza espresse dalle classi di interesse interne all’azienda (gruppo di controllo; portatori di capitale di maggioranza e di minoranza; clienti e fornitori; parti sociali; etc) né tantomeno tentando di riassumere la tematica dell’informazione esterna d’impresa, la rinnovata disciplina sui conti annuali e consolidati delle imprese, pur in presenza di un innegabile miglioramento dell’informativa “di bilancio” in termini di chiarezza espositiva ed analiticità degli elementi patrimoniali e reddituali, può non sempre essere lo strumento – e forse tecnicamente non lo potrà mai essere – atto a rispondere alla totalità delle esigenze di informazione sociale avanzate da più parti (nelle discipline economico-aziendali e tra gli operatori aziendali sono peraltro noti i “limiti” connaturati allo stesso). Sarebbe sbagliato però anche ritenere che, pur esistendo nel sistema di valori di bilancio dati “sociali” (ad esempio l’informazione contenuta nella Nota integrativa relativa al numero medio dei dipendenti ripartito per categoria), quest’ultimo abbia tra i suoi scopi anche la determinazione delle conseguenze sociali dell’attività d’impresa. Infatti ciò non sarebbe possibile in quanto da un lato esistono le esigenze di determinazione delle grandezze “reddito” e “patrimonio” mentre dall’altro vi sono le diverse e variegate esigenze conoscitive degli stakeholders circa l’impatto sociale dell’attività dell’impresa. Ecco allora che, a fronte dei limiti dell’informazione sociale contenuta nel bilancio di esercizio, è stato individuato (a partire dagli anni ’70) nel bilancio sociale d’impresa lo strumento, autonomo e separato dal bilancio di esercizio, con il quale dare evidenza alle scelte e valutazioni del soggetto economico in ordine alla utilizzazione e distribuzione delle risorse disponibili. Più in particolare – tenendo conto della necessità di differenziare questo tipo di documento in relazione alle diverse tipologie di impresa – è possibile illustrare brevemente alcuni scopi con esso perseguibili: 127 – esprimere la valutazione del soggetto economico del grado di efficacia delle iniziative e delle attività sociali intraprese dall’azienda; – illustrare le strategie sociali verso gli stakeholders, soprattutto in un’ottica di miglioramento delle pubbliche relazioni (numerosi esempi in tal senso si hanno in quelle imprese nordamericane e nei Paesi europei anglosassoni che hanno una forte incidenza sull’ambiente naturale); – essere strumento di miglioramento delle relazioni industriali e/o di concertazione (è il caso della legislazione francese); – illustrazione della politica di dividendo adottata, ovverosia le modalità di ripartizione della nuova ricchezza prodotta (valore aggiunto aziendale); – essere strumento di dialogo con uno specifico interlocutore (comunità locale, personale dipendente,...) anche a scopo di “difesa” (anche preventiva) rispetto a critiche od accuse di enti ed associazioni; – evidenziazione dell’entità dei diversi componenti del “budget sociale aziendale” suddivisi per singola area di intervento (“piani sociali”) e quindi del contributo al benessere della collettività con la quale l’azienda entra quotidianamente in contatto; – permettere una valutazione globale dell’impresa attraverso considerazioni qualitative dell’intera attività aziendale. L’obiettivo essenziale del bilancio sociale può essere pertanto sintetizzato in: “fornire informazioni che dal punto di vista esterno permettano di giudicare sui risultati sociali dell’impresa e dal punto di vista interno di fornire le informazioni necessarie alla definizione delle strategie sociali dell’impresa al fine di assumere decisioni, controllarle e valutarle”2. È evidente poi che le valutazioni contenute in questo tipo di documento non sarebbero esclusivamente di tipo “economico”; al contrario esse dovrebbero essere di tipo “non market oriented” con le quali è possibile il passaggio da una nozione di “costo/ricavo di competenza dell’esercizio” ad una di “beneficio conseguito dalla collettività in seguito al sostenimento di costi da parte dell’azienda”. Questa precisa2 REY, Developpements récent de la comptabilité, Paris, 1979, pag. 315, citato da MATACENA, Impresa e ambiente – Il “bilancio sociale”, Bologna, 1984, pag. 111. 128 zione chiarisce il fatto che il rendiconto sociale non è un bilancio in senso tecnico, ovverosia un documento costituito da due prospetti numerico/quantitativi a struttura obbligatoria (Stato patrimoniale e Conto economico) e da una Nota integrativa ad illustrazione ed integrazione dei primi due dal contenuto minimo. Parimenti non può e non deve esistere un corpus di disposizioni legali (Codice civile), di norme di carattere fiscale e di principi contabili che vincoli minuziosamente la sua redazione. Appare pertanto chiaro, da un punto di vista economico-aziendale, che di bilancio il documento in esame ha solamente il nome. Difficilmente infatti si potrebbe analizzare un “attivo sociale” finanziato da capitale di terzi e da capitale proprio ed utilizzare indicatori di bilancio per valutare la congruità del saggio di redditività che trova come noto dimostrazione nel rendiconto reddituale: questa impossibilità deriva come detto in precedenza – oltre che da una differente origine dei dati in essi contenuti – dai diversi scopi astrattamente raggiungibili mediante un tale documento a loro volta frutto dei convincimenti sociali, politici, culturali, economici predominanti nella singola azienda e nella collettività di riferimento. Ci si può quindi interrogare in ordine alla “forma”, o meglio alla “struttura” con la quale illustrare tutte le variabili che contribuiscono a delineare i rapporti intercorrenti tra l’impresa e le diverse componenti socio-ambientali: – si potrebbe trattare di una serie di informazioni, tabelle e grafici contenute in una relazione dal contenuto minimo strutturato o meno; – si potrebbe trattare di una serie articolata di indicatori (quozienti ed indici) eventualmente brevemente commentati (è il caso della realtà francese in cui esso si concretizza in una serie di indicatori attinenti al personale); – si potrebbe trattare di un documento “preventivo/consuntivo/analisi degli scostamenti” in relazione ad ogni singolo “piano sociale” attuato; – si potrebbe trattare infine di un “inventario” di alcuni fatti e situazioni avente per oggetto un determinato arco temporale. Un altro punto particolarmente importante – che verrà peraltro solamente accennato – è costituito dal carattere volontario o meno che il 129 documento in esame deve avere: l’esperienza di un bilancio sociale d’impresa obbligatorio come in Francia – “quando l’effettivo dell’azienda è almeno di 300 salariati” (L. 12/7/1977) – è risultato comunque deludente in quanto detta previsione non è stata accompagnata da una serie di adeguati controlli. Nonostante l’assenza di un obbligo legale cogente gli esempi di aziende che ritengono un bilancio sociale d’impresa (ma per quanto detto sarebbe più corretto parlare di “rendiconto sociale”) un documento sempre più indispensabile non sono pochi. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta in Germania un numero crescente di imprese ha cominciato a integrare la relazione degli amministratori al bilancio di esercizio (Geschäftsbericht) con il prospetto del calcolo del valore aggiunto. Il passo immediatamente successivo è stato quello di redigere un bilancio sociale vero e proprio (gesellschaftsbezogene Berichterstattung). Per rispondere a tal esigenza si sono sviluppati sistemi di determinazioni quantitative (Leistungsrechnungen) che costituiscono veri e propri modelli di contabilità sociale, in grado di monitorare il perseguimento degli obiettivi prefissati, di evidenziare il grado di raggiungimento di tali obiettivi e di fungere quale strumento di controllo. Nell’ambiente tedesco, il concetto di bilancio sociale e la sua necessità devono essere analizzati con riferimento all’evoluzione economica, sociale e tecnologica degli ultimi decenni, nel corso dei quali il rapporto tra economia e società ha subito continue evoluzioni. Si pensi, per esempio, ai problemi collegati all’inquinamento e al degrado ambientale, alla sicurezza sociale, alla vivibilità del posto di lavoro, ecc. Tutti problemi che mettono in evidenza le mutue interrelazioni tra imprese e ambiente (in senso lato) e quindi la responsabilità politicosociale delle imprese stesse3. 3 WELBERGEN, Unternehmensziele und Sozialbilanz, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1978, pag. 611: “Ich bin der Meinung, daß eine Unternehmungspolitik, die die sozialen Belange der Gemeinschaft außer acht läßt und einseitig auf das Erreichen ökonomischer Ziele ausgerichtet ist zum Scheitern verurteilt ist”. 130 Welbergen4, con riferimento agli interessi convergenti nell’impresa, utilizza la metafora del “quadrilatero magico” della politica economica. Secondo l’Autore, la situazione dell’economista, che deve prendere delle decisioni e deve valutare i possibili effetti delle stesse avuto riguardo ai quattro obiettivi perseguiti (aumento dell’occupazione, crescita economica, stabilità dei prezzi ed equilibrio nei rapporti con estero) è simile alla situazione in cui si trova l’imprenditore che deve condurre l’impresa e deve valutare le possibili conseguenze delle sue decisioni nei confronti delle classi di interesse. Il “quadrilatero magico” aziendale è rappresentato dagli interessi del personale, dei consumatori, degli azionisti e dello Stato. Per aumentarne la credibilità, Welbergen propone che il bilancio sociale debba essere “collegato” con il bilancio d’esercizio, permettendo tra l’altro in questo modo l’attestazione da parte del revisore aziendale5. Anche sulla base della teoria della coalizione (Koalitionstheorie), secondo alcuni Autori6 il bilancio sociale ha la funzione di informare i vari soggetti che sono coinvolti “positivamente” e “negativamente” dall’attività di impresa. La teoria della coalizione considera l’impresa come uno strumento in grado di realizzare gli obiettivi di tutti i soggetti che vi partecipano. Quindi l’impresa assume secondo questa concezione la forma di una coalizione composta da tutte le persone che sono in diretti rapporti con l’impresa. Essi sono il management, i dipendenti, gli azionisti, i finanziatori, i fornitori, i clienti e l’erario. Gli obiettivi perseguiti dai diversi soggetti (escluso l’Erario) possono essere di natura economica e non economica, il perseguimento di tali obiettivi da parte dell’impresa rappresenta il prezzo che deve essere pagato per il mantenimento della coalizione. Quindi una coalizione rimane in vita solo se vengono realizzati gli obietti definiti. Per essere 4 WELBERGEN, op.cit., pag. 613: “halte ich es für durchaus angebracht, eine Parallele zum magischen Viereck der Wirtschaftspolitik zu ziehen …”. 5 WELBERGEN, op.cit., pag. 614, dove porta ad esempio la relazione di gestione della Shell AG del 1975, integrata con il bilancio sociale. 6 SCHILDBACH, Analyse des betrieblichen Rechnungswesens aus der Sicht der Unternehmungsbeteiligung dargestellt am Beispiel der Aktiengesellschaft, Wiesbaden, 1975, pagg. 15-25; COENENBERG, Jahresabschlußanalyse. Betriebswirtschaftliche, handels- und steuerrechtliche Grundlagen, 14. Aufl., Landsberg am Lech, 1993, pag. 645 e segg. 131 in grado di decidere se rimanere nella coalizione oppure partecipare alla coalizione, i partner attuali e quelli potenziali hanno bisogno di informazioni circa il raggiungimento degli obiettivi pretesi. I soggetti interessati al bilancio sociale sono quindi numerosi, sicuramente più di quelli interessati al bilancio d’esercizio. Solo un bilancio “particolare” che tiene conto sia dei fatti economici che non economici è in grado di soddisfare le esigenze informative delle varie classi di interesse. È importante osservare che la realizzazione di uno strumento simile richiede necessariamente un compromesso tra le varie parti della coalizione. Compromesso (Interessenregelung)7 che mette in equilibrio le diverse richieste divergenti di informazione e che permette in questo modo di ottenere uno strumento in grado di evidenziare le responsabilità assunte dall’impresa. In Germania, il primo tentativo di elaborare una procedura uniforme del calcolo del valore aggiunto è stato fatto nel 1975 da un gruppo di studiosi riunito su incarico dell’associazione dell’industria chimica, noto come Arbeitskreis “Das Unternehmen in der Gesellschaft” des Betriebswirtschaftlichen Ausschusses im Verband der Chemischen Industrie. I risultati di tale gruppo di lavoro sono stati pubblicati nella rivista Der Betrieb8, con ampia risonanza soprattutto nella prassi. Due anni dopo, nel 1977, un altro gruppo di studiosi, denominato Arbeitskreis “Sozialbilanz-Praxis”9 in collaborazione con diverse imprese come BASF, Bertelsmann, Deutsche Shell, Pieroth, Rank Xerox ecc., hanno fissato delle “linee guida” (Empfehlungen) che tendono, per quanto possibile, a uniformare i modelli di bilancio mediante una “griglia” concettuale di base. Le indicazioni di massima, fornite dal gruppo di studio, riguardano due aspetti di fondo: – confrontabilità dei diversi bilanci, ottenibile con l’unificazione di, “griglie” espositive, da parte di un numero crescente di imprese; 7 REICHMANN, LANGE, op. cit., pag. 518 e segg. Diskussionsbeitrag des Arbeitskreises ‘Das Unternehmen in der Gesellschaft’, in: “Der Betrieb”, 1975, pag. 161 e segg. 9 I risultati di tale gruppo di lavoro hanno trovato pubblicazione in “Der Betrieb”, 1978, pagg. 1141-1144, Sozial -Bilanz heute (Empfehlungen des Arbeitskreises “Sozialbilanz-Praxis” zur aktuellen Gestaltung gesellschaftsbezogener Unternehmensrechnung). 8 132 – definizione di un quadro generale entro cui le informazioni relative alla vita dell’azienda possano essere collocate. Gli scopi della contabilità “sociale” vengono rispettivamente individuati nella: – esplicitazione di obiettivi e politiche aziendali, esposizione sistematica delle prestazioni fornite dalle aziende e dei loro effetti, anche al fine di migliorare gli strumenti di pianificazione; – informazione diretta ai diversi gruppi di interesse che entrano in contatto con l’azienda circa l’entità e lo sviluppo delle prestazioni e delle relative spese, con una descrizione e una quantificazione degli effetti di tali prestazioni; – presentazione periodica di dati verificabili, riguardanti la responsabilità sociale dell’impresa, ai fini del controllo dei risultati rispetto agli obiettivi dell’azienda e alle aspettative formulate dall’esterno. Le linee generali del contenuto e della presentazione del bilancio sociale sono fondate sulla distinzione in tre elementi distinti (die drei Elemente der Sozial-Bilanz): a) il rapporto sociale (Sozialbericht), che è la descrizione degli scopi e delle prestazioni aziendali e dell’output realizzato con le attività sociali; b) il calcolo del valore aggiunto (Wertschöpfungsrechnung), dove viene misurata la ricchezza prodotta dall’impresa in un determinato periodo. Sul valore aggiunto e sulle sue modalità di determinazione si rimanda a quanto affermato nei capitoli precedenti. Va ricordato che attraverso il calcolo del valore aggiunto è possibile analizzare il problema della distribuzione della ricchezza prodotta dall’azienda; c) la contabilità sociale (Sozialrechnung), che contiene l’esposizione quantitativa delle spese sociali, ed è suddivisa in sei classi di destinatari delle prestazioni dell’impresa (dipendenti, azionisti, stato, collettività, ambiente naturale, altre imprese). Le critiche espresse dalla dottrina10 al modello Sozial-Bilanz Praxis mettono in evidenza che i bilanci ispirati alle indicazioni 10 FEUERBACH, Die Unternehmensleistung im Geschäftsbericht der Hoechst AG, in Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1978, pag. 619 e segg., in particolare la nota 11; SCHEIBE LANGE, op. cit., pag. 631 e segg.; ALBACH, Die Verteilung des Unter133 dell’Arbeitskreis riflettono un’interpretazione decisamente prudenziale delle proposte avanzate in sede scientifica rispetto alla quantificazione degli effetti sociali del comportamento aziendale. Si è optato per l’indicazione di alcuni indicatori dei “benefici” sociali piuttosto che per un calcolo economico dei benefici stessi. Emerge dal modello il rifiuto di una articolazione maggiore da un punto di vista concettuale, che avrebbe rischiato di ridurre le capacità di adattamento delle imprese alle sempre nuove condizioni ambientali. pubblico in generale. Del tutto particolare – e degna, ad avviso di chi scrive, di autonoma evidenza – è la posizione dottrinaria di Wysocki11 con riferimento al bilancio sociale e al valore aggiunto. Egli ritiene che la Wertschöpfungsrechnung sia sicuramente uno strumento utile da inserire nel bilancio sociale, ma critica la procedura di calcolo seguita dalla prassi aziendale. Infatti, secondo Wysocki, una Wertschöpfungsrechnung che si basa sostanzialmente sul rendiconto reddituale ha poco senso, perché non aggiunge nuove significative informazioni a quelle già contenute in tale prospetto. I rendiconti che formano il rendiconto sociale (gesellschaftsbezogenen Berichterstattung) possono essere basati su grandezze orientate all’input piuttosto che all’output. La differenza tra le due modalità dipende dalla rilevazione dei benefici e dei costi sociali: se tali costi e benefici vengono rilevati direttamente presso i soggetti che sono interessati dall’attività dell’impresa, l’approccio è orientato all’output; se la rilevazione dei costi e dei benefici avviene all’interno dell’impresa stessa, l’approccio è orientato all’input. La preferenza dell’Autore è per una modalità di calcolo del valore aggiunto orientato all’input; in tal modo la Wertschöpfungsrechnung può fungere da “anello di congiunzione”12 tra la contabilità aziendale e la contabilità nazionale. nehmenseinkommen, in: “Zeitschrift für Betriebswirtschaft”, 1978, pagg. 626-631; REICHMANN, LANGE, op. cit., pag. 523 e segg.; CHMIELEWIZC, Arbeitnehmerinteressen und Kapitalismuskritik in der Betriebswirtschaftslehre, Hamburg, 1975, pag. 97 e segg.; WEDELL, op. cit., pagg. 202-213. 11 WYSOCKI, Sozialbilanzen – Inhalt und Formen gesellschaftsbezogener Berichterstattung, Stuttgart/New York, 1981, pag. 104 e segg. 12 WYSOCKI, op. cit., pag. 105. 134 2. Motivi per successive indagini Lo studio del valore nell’economia d’azienda – e del valore aggiunto nella fattispecie – attraverso il pensiero di alcuni studiosi tedeschi ha avvicinato chi scrive in via graduale al tema dell’impresa sociale e alle difficoltà connesse con la determinazione quantitativa del risultato attribuibile a tale entità. Sorgono – a questo punto – numerosi problemi derivanti dalla accezione in cui l’impresa può essere inquadrata e dalle connesse difficoltà della stessa di “rendere conto” dei propri risultati, dato che l’obiettivo principale è costituito dal raggiungimento dell’economicità da intendersi nel senso di Wirtschaftlichkeit. La profonda evoluzione del ruolo svolto dalle aziende (siano esse profit oriented o non profit oriented) negli ultimi decenni, ha comportato, come detto, il riconoscimento di una dimensione sociale del finalismo aziendale, che si affianca e si integra con i profili economico-finanziari e competitivi della gestione. La collettività esprime infatti, in modo sempre più intenso, bisogni e attese che incidono sulla crescita del sistema aziendale, sulla stessa concezione di sviluppo e sulla sua sostenibilità. Crescita e sviluppo devono essere compatibili con i bisogni e le attese espresse dalla collettività, poiché il consenso e la legittimazione sociale favoriscono il raggiungimento e l’implementazione di vantaggi reddituali e competitivi. Le modificazioni intervenute nel finalismo aziendale, la crescente consapevolezza del ruolo che le aziende assolvono in campo sociale, la reciproca funzionalità tra ruolo sociale e ruolo economico delle aziende hanno sviluppato un rinnovato interesse da parte della dottrina e della prassi alla comunicazione “sociale”, elemento da non trascurare allorché si voglia definire compiutamente il contenuto dell’informativa aziendale. Fino a qualche decennio addietro si riteneva sufficiente comunicare esclusivamente i dati relativi all’andamento economico-finanziario della gestione, giacché queste erano le prevalenti informazioni richieste da quanti avevano interessi nelle aziende. Oggi, invece, si è allargato il numero di soggetti che esprimono attese nei confronti dei risultati prodotti dalle aziende, sì da individuare l’esistenza di un interesse generale che si manifesta, non solo come somma delle aspettative dei soggetti che con le stesse intrattengono rapporti diretti, ma anche come interesse di tutta la collettivi135 tà. Le aziende, pertanto, devono adottare una politica di comunicazione ampia, diffusa e trasparente rivolta alle varie classi di stakeholders in grado di soddisfare una domanda crescente di informazioni che riguarda, da un lato i risultati reddituali e competitivi della gestione e, dall’altro, gli effetti sociali prodotti dallo svolgimento dell’attività (le conseguenze sull’occupazione, sul prodotto interno lordo, sulla qualità della vita, sul benessere sociale, sull’ambiente fisico-naturale, ecc.). I modelli di rendiconto degli effetti sociali dell’attività aziendale sono stati, in questi ultimi anni, oggetto di un’ampia riflessione che ha consentito di individuare nuovi schemi di rappresentazione dei risultati raggiunti nonché di affinare il significato informativo di quelli esistenti. In particolare, il bilancio sociale ha suscitato in un primo momento notevole interesse nella dottrina economico-aziendale cui, però, hanno fatto seguito effetti spesso limitati e sperimentazioni assai eterogenee. Nonostante i differenti impulsi che il bilancio sociale ha subito negli ultimi anni, la materia appare quindi ancora non chiaramente definita e permangono aree di incertezza riguardo alla forma espositiva dei dati e dei valori, al contenuto informativo, alle funzioni svolte da questo strumento informativo. Le riflessioni sviluppate nelle pagine precedenti sono un punto di arrivo e, contemporaneamente, costituiscono anche motivi per nuove indagini e ricerche che si auspica di poter effettuare sul tema. In particolare: – il valore aggiunto rappresenta sicuramente un indicatore dell’economicità sociale del Betrieb. Il livello di profitto, comunemente inteso, non può esprimere in modo valido il grado di efficienza dell’impresa sociale. Ne consegue che il sistema di rilevazioni contabili basato sul metodo della partita doppia non dovrebbe avere più come obiettivo primario la determinazione del reddito di esercizio, bensì quello della determinazione del valore aggiunto e della sua distribuzione; – la realizzazione di tale sistema di rilevazione non si esaurisce sicuramente nella diversa “titolazione” di conti, ma richiede soprattutto una diversa modalità di interpretare il capitale di impresa, una mentalità operativa e atteggiamenti manageriali che superino i limiti legati alla concezione “privatistica” dell’impresa; 136 – sempre più numerose e importanti sono le aziende che destinano al mercato – e quindi allo scambio – la loro produzione ma per finalità ben diverse dal profitto; la loro “logica” economica è quindi ben diversa da quella della tipica impresa industriale. In questa classe di aziende la produzione non è infatti strumentale al profitto, ma ad altre finalità quali, per esempio, dare lavoro a persone che per ragioni diverse non riescono a inserirsi in un normale circuito produttivo oppure offrire beni e servizi che né lo Stato né le imprese producono e la cui mancanza lascerebbe insoddisfatta una domanda proveniente in genere da ceti economicamente deboli; – il rendiconto sociale – in particolare il conto economico a valore aggiunto – è sostanzialmente in grado di rappresentare la natura di “sistema aperto” dell’impresa, allargando lo spettro di informazioni sulla stessa e migliorando il grado e il livello di informazione ricavabile dal bilancio di esercizio. 137 APPENDICE 1. Lo studio di un caso aziendale. La società XYZ Si analizzerà di seguito un esempio pratico di calcolo del valore aggiunto facendo riferimento ad un’impresa austriaca operante nel settore delle cave di pietra. La sua forma giuridica è una GmbH & Co KG, cioè una società accomanadataria i cui accomandanti sono i soci della società in nome collettivo (& Co), mentre l’accomandatario è rappresentato dalla società a responsabilità limitata (GmbH). Il calcolo del valore aggiunto è stato effettuato separatamente per la gestione caratteristica dell’impresa (cava di pietra), per la gestione straordinaria e per la gestione finanziaria. I dati utilizzati sono quelli relativi all’esercizio del 1994 e relativi all’esercizio del 1993, mentre le percentuali sono calcolate con riferimento ai ricavi complessivi della gestione caratteristica. I ricavi complessivi della gestione caratteristica dell’impresa XYZ ammontano a 19.068.556,40 ATS (scellino austriaco) nel 1994 ed a 18.879.536,90 nel 1993, come si può desumere dalla tabella sottoriportata. Si è data indicazione separata degli incrementi di immobilizzazioni per lavori interni e si sono esclusi dai ricavi complessivi della gestione caratteristica, perché l’impresa XYZ stessa non ha proceduto alla loro capitalizzazione. 139 TABELLA 1.1: IL CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO DELLA GESTIONE CARATTERISTICA Descrizione Ricavi: Erlöse Schotter Erlöse Vordergrundsteine Erlöse Pflastersteine Erlöse Mauersteine Erlöse Frachten Erlöse Export Verschiedene Erlöse sonstige betriebliche Erträge Überzahlungen von Kunden Skontoaufwand somma I Erlöse Sprengstoffe Erlöse Treibstoffe somma II Bestandveränderung Risultato della gestione caratteristica. Aktivierte Eigenleistungen somma III (risultato totale) Vorleistungen: Kies, Sand Kalk, Gips, ecc Betonkies Frostkoffer Pflaster- u. Wasserbausteine Betonrohre Kunstoffrohre Schächte Fertigbeton fremd Baustahlgitter Stahl- u. Alufertigwaren Kantholz u. Dielen Bretter sonstiges Bauholz Drahtstifte, Drähte Subunternehmer Planung Sonstiges Kleineisenzeug Warenbezugskosten Sonstige Fremdarbeiten Transporte Fremd Reinigungsmaterial Elektromaterial 1994 in Ats 0% 1993 in ATS 0% 6.709.382,04 2.629.367,37 1.587.965,57 1.407.714,90 2.808.371,45 3.406.422,74 553.743,51 47.974,86 11.240,50 -10.087,76 19.142.095,18 35.592,73 4.768,49 19.182.456,40 -113.900,00 19.068.556,40 293.973,57 19.362.529,97 35,186% 13,789% 8,328% 7,382% 14,728% 17,864% 2,904% 0,252% 0,007% -0,053% 100,386% 0,187% 0,025% 100,597% -0,597% 100,000% 1,542% 101,542% 8,882.678,92 482.335,29 1.221.441,77 1.021.365,50 3.375.365,07 3.437.088,76 493.391,06 6.075,04 560,96 -12.760,22 18.907.542,15 5.907,93 4.886,82 18.918.336,90 -38.800,00 18.879.536,90 71.648,33 18.951,185,23 47,049% 2,555% 6,470% 5,410% 17,878% 18,205% 2,613% 0,032% 0,003% -0,068% 100,148% 0,031% 0,026% 100,206% -0,206% 100,000% 0,380% 100,380% 324.473,57 295,59 5.761,93 483.239,83 2.038.164,28 393,57 10.664,33 2.341,45 89.621,88 9.506,30 43.191,80 190,83 3.035,90 84.488,33 4.019,18 46.520,00 8.463,44 21.446,43 455.444,51 130.140,85 4.750,00 178,05 1,702% 0,002% 0,030% 2,534% 10,689% 0,002% 0,056% 0,012% 0,470% 0,050% 0,227% 0,001% 0,016% 0,443% 0,021% 0,244% 0,044% 0,112% 2,388% 0,682% 0,025% 0,001% 1.603.302,25 0,00 1.194,924,57 510.867,10 1.092.951,39 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 66.150,00 5.498,33 0,00 5.544,96 8.907,01 43.588,00 175.623,96 5.071,67 482,55 8,492% 0,000% 6,329% 2,706% 5,789% 0,000% 0,000% 0,0000% 0,000% 0,000% 0,000% 0,000% 0,000% 0,350% 0,029% 0,000% 0,029% 0,047% 0,231% 0,930% 0,027% 0,003% 140 Descrizione Ersatzteile Geräte Reparaturmaterial Fremdreparaturen Schweißmaterial Werkzeug Fette, Öle Gas, Sauerstoff Instandhaltung Gebäude Instandh. Grundstückeinrichtug Instandhaltung B+G Instandhaltung LKW Haftpflichtversicherung C/K2 Sonstige Versicherungen Versicherungen KFZ Telefon, Funk Postgebühren Strom Gas, Wasser Heizmaterial Reifen Benzin PKW Pajero PKW Mercedes PKW Subaru Broaufwand EDV Kosten Werbung Rechts- u. Beratungskosten Sonstiger Aufwand Kultivierungsaufwand Deponiegebühren somma I Differenza I 1994 in Ats 561.588,35 193.262,08 195.770,71 13.192,37 40.404,18 111.312,97 21.196,69 49.454,85 69.375,00 40.600,56 615.554,92 82.321,50 15.084,10 161.036,60 97.687,10 10.604,50 60.051,37 2.855,00 18.532,63 247.912,00 6.630,31 198.094,38 192.259,59 17.500,38 329.862,28 16.242,50 91.251,30 32.561,00 119.200,90 0,00 17.782,27 7.395.514,44 11.673.041,96 0% 2,945% 1,014% 1,027% 0,069% 0,212% 0,584% 0,111% 0,259% 0,364% 0,213% 3,228% 0,432% 0,079% 0,845% 0,512% 0,056% 0,315% 0,015% 0,097% 1,300% 0,035% 1,039% 1,008% 0,092% 1,730% 0,085% 0,479% 0,171% 0,625% 0,000% 0,093% 38,784% 61,216% 1993 in ATS 435.186,49 141.433,72 85.899,33 3.368,00 10.886,88 52.960,46 18.299,13 86.551,84 6.900,00 29.598,36 462.449,90 52.872,80 11.348,80 138.927,20 82.466,14 7.546,00 31.985,16 1.100,00 40.277,49 237.279,32 11.400,82 163.761,39 206.814,50 15.615,60 1 235.212,08 0,00 40.271,06 56.576,00 372.170,04 112.500,00 2.545,00 7.867.115,30 11.012.421,60 0% 2,305% 0,749% 0,455% 0,018% 0,058% 0,281% 0,097% 0,458% 0,037% 0,157% 2,449% 0,280% 0,060% 0,736% 0,437% 0,040% 0,169% 0,006% 0,213% 1,257% 0,060% 0,867% 1,095% 0,083% 1,246% 0,000% 0,213% 0,300% 1,971% 0,596% 0,013% 41,670% 58,330% Sprengmittel Diesel somma II Differenza II 332.432,84 1.154.533,55 1.486.966,39 10.186.075,57 1,743% 6,055% 7,798% 53,418% 312.293,17 1.117.060,24 1.429.353,41 9.583.068,19 1,654% 5,917% 7,571% 50,759% 53.501,84 1.238.969,80 99.462,50 0,00 1.391.934,14 8.794.141,43 0,281% 6,497% 0,522% 0,000% 7,300% 46,119% 1.300,00 979.466,16 0,00 4.000,00 984.766,16 8.598.302,03 0,007% 5,188% 0,000% 0,021% 5,216% 45,543% Miete: Fremdgeräte u. Fremdpersonal Pacht Steinbruch Gerätemieten Fremdmieten somma III Differenza III 141 Descrizione 1994 in Ats 0% 21.122,77 29.074,68 50.197,45 8.743.943,98 0,111% 0,152% 0,263% 45,855% 4.403,00 16.890,34 21.293,34 8.577.008,69 0,023% 0,089% 0,113% 45,430% 10.324.612,42 54,145% 10.302.528,21 54,570% valore aggiunto lordo della gestione caratteristica 8.743.943,98 45,855% 8.577.008,69 44,980% Abschreibungen 1.843.748,23 9,669% 1.987.442,07 10,423% valore aggiunto netto della gestione caratteristica 6.900.195,75 36,186% 6.589.566,62 34,557% GWG (GeringWertige Wirtschaftsgüter) Kleingeräte, Kleingerüste) somma IV Differenza IV somma Vorleistungen 1993 in ATS 0% Si sono inoltre rappresentati in modo separato i ricavi conseguiti del carburante (Treibstoff) e dell’esplosivo (Sprengstoff), perché non sono ricavi tipici. Le Vorleistungen invece comprendono tutti i beni ed i servizi apportati da economie terze. In particolare si può notare che ho rappresentato separatamente oltre ai costi per il carburante e per gli esplosivi anche i costi per l’affitto di beni strumentali, di personale e della cava ed i costi sostenuti per l’acquisto di beni strumentali denominati geringwertige Wirtschaftsgüter (GWG). Nell’ambito del calcolo del valore aggiunto l’affitto assume una posizione particolare. Infatti se l’affitto viene considerato un’attività imprenditoriale, allora l’affitto è da considerare una Vorleistung per l’impresa che lo paga, mentre per l’impresa che lo consegue una componente dei ricavi. Se invece l’affitto non viene considerato un’attività imprenditoriale e quindi esso viene considerato una componente del valore aggiunto, allora l’affitto viene rappresentato come elemento del Kapitalertrag dell’impresa che lo paga, mentre l’affitto è da eliminare dal calcolo del valore aggiunto dell’impresa che lo consegue. Gli studiosi di economia-aziendale che preferiscono rappresentare l’affitto come una componente del Kapitalertrag propongono inoltre di dividere l’affitto in due parti: la prima parte che corrisponde all’affitto vero e proprio del bene di capitale e che fa parte dei Kapitalertrag, e la seconda parte in142 vece che corrisponde ai costi relativi al bene di capitale preso in affitto, come per esempio la manutenzione, l’ammortamento ecc., e che fa parte delle Vorleistungen. Comunque in generale e soprattutto nella pratica aziendale prevale l’interpretazione dell’affitto come attività imprenditoriale e di conseguenza esso viene considerato un elemento della Vorleistung. Infine è importante osservare anche la categoria dei geringwertigen Wirtschaftsgüter, che sono beni strumentali il cui costo di acquisto è inferiore a 5.000 ATS. Il legislatore prevede la possibilità di inserirli nel bilancio senza doverli capitalizzare. Se ne è data una distinta indicazione perché anche se vengono trattati come dei costi di competenza di un unico esercizio, essi comunque sono dei beni strumentali che verranno utilizzati per più esercizi. Per calcolare il valore aggiunto lordo della gestione caratteristica si deve detrarre dal valore dei ricavi complessivi la somma delle Vorleistungen. Si ottiene cosi il valore aggiunto lordo del 1994 che è uguale a 8.743.943,98 ATS che corrisponde al 45,9% dei ricavi complessivi della gestione caratteristica, ed il valore aggiunto lordo del 1993 che è uguale a 8.577.008,69 ATS che corrisponde al 45% dei ricavi complessivi della gestione caratteristica. Se si detrae dal valore aggiunto lordo le quote di ammortamento si ottiene il valore aggiunto netto che per l’esercizio 1994 è uguale a 6.900.195,75 ATS e che corrisponde al 36,2% dei ricavi complessivi della gestione caratteristica, mentre il valore aggiunto netto dell’esercizio 1993 è uguale a 6.589.566,62 ATS e corrisponde al 34,6% dei ricavi complessivi della gestione caratteristica. Si può notare che il valore aggiunto lordo e netto dei due esercizi non divergono di molto: 1% fino 1,5%. In questa sede però si deve osservare che l’impresa XYZ paga un notevole affitto per la cava di pietra. Infatti l’affitto corrisponde nel 1994 al 6,5% dei ricavi complessi e nel 1993 al 5,2% dei ricavi complessivi. Se invece la cava fosse di proprietà dell’impresa XYZ, allora sia il valore aggiunto lordo che il valore aggiunto netto sarebbero sicuramente maggiori. Precisamente il valore aggiunto lordo dei 1994 sarebbe uguale a 9.982.913,78 ATS e corrisponderebbe al 52,4% dei ricavi complessivi, mentre nel 1993 il valore aggiunto lordo sarebbe uguale a 9.536.474,95 ATS e corrisponderebbe al 50% dei ricavi 143 complessivi. La dimensione del valore aggiunto netto invece dipenderebbe dalla dimensione della quota di ammortamento calcolata per la cava di pietra che però difficilmente assumerebbe la stessa dimensione dell’affitto pagato. La tabella seguente propone la gestione straordinaria dell’impresa XYZ che comprende i ricavi e le perdite dovute alla vendita di macchinari, ed i danni subiti e i risarcimenti ottenuti dalle assicurazioni. Comunque tutte le componenti ed il valore aggiunto conseguente sono minimi, dato che non corrispondono neanche al 1% dei ricavi complessivi della gestione caratteristica. TABELLA 1.2: IL CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO DELLA GESTIONE STRAORDINARIA Descrizione ricavi: Erlöse Abgang des AV Versicherungsentschädigungen somma ricavi straordinari costi: Verlust Abgang des AV Schadensfälle somma costi straordinari valore aggiunto della gestione straordinaria 1994 in Ats 0% 1993 in ATS 0% 0,00 0,00 0,00 0,000% 0,000% 0,000% 100.638,00 9.005,00 109.643,00 0,528% 0,047% 0,575% 4.649,00 11.881,00 16.530,00 0,024% 0,062% 0,087% 0,00 2.820,00 2.820,00 0,000% 0,015% 0,015% -16.530,00 -0,087% 106.823,00 0,560% La tabella sottoriportata invece rappresenta la gestione finanziaria dell’impresa XYZ. In particolare si può notare una posizione che assume una notevole dimensione: l’utilizzo del fondo per la coltivazione dell’ambiente. L’impresa XYZ ha costituito un fondo che serve a finanziare la coltivazione di piante nelle aree della cava già sfruttate. La dimensione normale della spesa per la coltivazione ammonta attorno alle 120.000 ATS (0,6 % dei ricavi complessivi della gestione caratteristica) come si può vedere dal rendiconto reddituale del 1993, e non attorno 1.350.000 ATS (7% dei ricavi complessivi della gestione caratteristica). Quindi il fondo si ritiene possa essere stato utilizzato per coprire una perdita permettendo così di evidenziare un risultato d’esercizio positivo. 144 TABELLA 1.3: IL CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO DELLA GESTIONE FINANZIARIA Descrizione ricavi: Angleichung Deckungskapital Bankzinsen Zinsen von Kunden Erträge Wertpapiere Erträge aus Abgang Wp Ertrag aus Kursdifferenz Pauschalwertberichtigung (Ertrag aus Herabsetzung) Aufl. Investitionsbeitrag Aufl. Rücklage Benutzung Kultivierungsfond somma ricavi finanziari costi: Verlust aus Kursdifferenz Zuweisung Invest. Zuweisung Rücklage somma costi finanziari valore aggiunto della gestione finanziaria 1994 in Ats 0% 1993 in ATS 0% 29.616,00 0,155% 41.468,00 26.126,70 199,71 4.396,00 0,00 0,00 34.057,00 0,137% 0,001% 0,023% 0,000% 0,000% 0,179% 15.698,30 0,00 9.985,00 645,00 13.142,54 14.263,00 0,217% 0,003% 0,082% 0,000% 0,052% 0,003% 0,069% 0,075% 15.779,00 100.638,00 1.350.000,00 1.560.812,41 0,083% 0,528% 7,080% 8,185% 0,00 0,00 0,00 95.201,84 0,000% 0,000% 0,000% 0,499% 9.338,29 201.159,00 0,00 210.497,29 0,049% 1,055% 0,000% 1,104% 0,00 462.697,00 100.638,00 563.335,00 0,000% 2,426% 0,528% 2,954% 1.350.315,12 7,081% -468.133,16 -2,455% La tabella seguente invece rappresenta il valore aggiunto complessivo creato dall’impresa XYZ nell’esercizio 1994 e nell’esercizio 1993, che sarà anche il valore che è stato distribuito alle varie classi di interesse che hanno partecipato alla sua formazione. Il valore aggiunto complessivo si ottiene facendo la somma algebrica del valore aggiunto netto della gestione caratteristica, del valore aggiunto della gestione straordinaria e del valore aggiunto della gestione finanziaria. 145 TABELLA 1.4: IL CALCOLO DEL VALORE AGGIUNTO DELLA GESTIONE COMPLESSIVA Descrizione valore aggiunto netto della gestione caratteristica valore aggiunto della gestione straordinaria valore aggiunto della gestione finanziaria 1994 in Ats 6.900.195,75 0% 36,186% 1993 in ATS 6.589.566,62 0% 34,557% -16.530,00 -0,087% 106.823,00 0,560% 1.350.315,12 7,081% -468.133,16 -2,455% valore aggiunto complessivo 8.233.980,87 43,181% 6.228.256,46 32,662% Infine la tabella sottoriportata rappresenta la distribuzione del valore aggiunto complessivo dell’impresa XYZ. L’Arbeitsertrag comprende i salari, gli stipendi, la remunerazione della GmbH per l’attività direttiva, i contributi sociali previsti dalla legge e quelli volontari ed infine il trattamento di fine rapporto. In particolare si può osservare che l’azienda non disponeva di un fondo sufficiente per il trattamento di fine rapporto. Infatti l’impresa ha utilizzato il fondo solo per 93.925 ATS, mentre i rimanenti 476.232 ATS gravano completamente sull’esercizio. Il Kapitalertrag comprende la remunerazione del capitale di terzi e la remunerazione del capitale proprio. La remunerazione del capitale proprio comprende anche la remunerazione della GmbH per l’assunzione della responsabilità illimitata (Haftungsvergütung). Per quanto riguarda il Gemeinertrag si può notare che la Gewerbesteuer è stata abolita nel 1994 ed è stata sostituita dalla Komunalsteuer. Inoltre si è rappresentato in modo separato il contributo pagato al comune, dato che non è un’imposta vera e propria. Il contributo pagato al comune è dovuto all’utilizzo da parte dei camion dell’impresa di una strada comunale che attraversa tutto il paese e che è l’unica strada di accesso alla cava. Il continuo passare dei camion deteriora tale strada e di conseguenza il comune ha costretto l’impresa a partecipare alla manutenzione di tale strada attraverso il pagamento di un contributo. Di conseguenza si è preferito rappresentare le imposte comuni in modo separato dall’imposta pagata al comune per permettere la comparabilità nello spazio (fra imprese). 146 Infine l’importo residuo, denominato Betriebsertrag, rimane all’impresa stessa e corrisponde all’utile d’esercizio. TABELLA 1.5: LA DISTRIBUZIONE DEL VALORE AGGIUNTO DELL’IMPRESA XYZ Descrizione Arbeitsertrag: Lohn: Lohnkosten KV A/K3 Lohnkosten über KV Lohnkostenprämien Überstundenzuschlag Aushilfslöhne Nichtleistungslöhne Urlaubszuschlag Krankenentgelt Weihnachtsgeld somma salari Gehälter: Fremdlöhne u. -gehälter Geschäftsführungsvergütung Gehälter Überstunden Nichtleistungsgehälter Weihnachtsgeld Urlaubsgeld somma stipendi Aufwendung für Abfertigung: Abfertigung Angleichung somma Sozialabgaben (gesetzlich): Arbeitgeberanteil Arbeiter Arbeitgeberanteil Gehälter Sozialversicherung Unternehm. DB Arbeiter DZ Arbeiter DB Angestellter DZ Angestellter somma contributi sociali sonstige Sozialabgaben: freiwilliger Sozialaufwand Arbeitskleidung Reisekosten Schulung, Fortbildung 1994 in Ats 0% 1993 in ATS 0% 1.609.855,73 670.411,28 31.300,00 197.592,56 0,00 420.860,08 33.143,00 789,67 207.519,53 3.171.471,85 8,442% 3,516% 0,164% 1,036% 0,000% 2,207% 0,174% 0,004% 1,088% 16,632% 1.078.245,63 370.481,25 86.900,00 79.554,67 6.200,00 313.276,55 152.964,00 12.588,90 134.949,25 2.235.160,25 5,655% 1,943% 0,456% 0,417% 0,033% 1,643% 0,802% 0,066% 0,708% 11,722% 558.097,51 710.738,92 703.311,25 44.213,20 136.659,33 61.000,00 61.000,00 2.275.020,21 2,927% 3,727% 3,688% 0,232% 0,717% 0,320% 0,320% 11,931% 10.036,00 0,00 667.089,62 39.587,13 214.418,88 80.560,00 80.560,00 1.092.251,63 0,053% 0,000% 3,498% 0,208% 1,124% 0,422% 0,422% 5,728% 0,00 8.001,00 8.001,00 0,000% 0,042% 0,042% 476.232,00 -93.925,00 382.307,00 2,497% -0,493% 2,005% 746.536,40 184.423,53 0,00 143.753,73 10.224,23 45.279,27 3.219,77 1.133.435,93 3,915% 0,967% 0,000% 0,754% 0,054% 0,237% 0,017% 5,944% 473.949,99 192.375,63 76.123,44 94.068,29 6.687,92 48.699,71 3.463,08 895.368,06 2,486% 1,009% 0,399% 0,493% 0,035% 0,255% 0,018% 4,696% 164.528,95 39.417,97 5.585,90 16.922,00 0,863% 0,207% 0,029% 0,089% 142.743,56 22.097,91 32.922,58 8.100,00 0,749% 0,116% 0,173% 0,042% 147 Descrizione Betriebsveranstaltungen somma contributi sociali volontari An- und Rückreise D/K3A Km-Gelder somma Arbeitsertrag 1994 in Ats 0,00 226.454,82 40.609,76 4.427,50 6.859.421,07 0% 0,000% 1,188% 0,213% 0,023% 35,972% 1993 in ATS 6.000,00 211.864,05 8.805,80 516,00 4.826.272,79 0% 0,031% 1,111% 0,046% 0,003% 25,310% 24.920,59 23.052,50 4.854,00 13.843,75 256.670,84 1,127% 0,121% 0,025% 0,073% 1,346% 256.428,53 31,416,66 204,00 17.131,00 305.180,19 1,345% 0,165% 0,001% 0,090% 1,600% 33.531,00 50.000,00 83.531,00 340.201,84 0,176% 0,262% 0,438% 1,784% 20.000,00 50.000,00 70.000,00 375.180,19 0,105% 0,262% 0,367% 1,968% Gemeinertrag: Komunalsteuer Straßenverkehrsbeitrag sonstige Steuern Gebühren u. Ablagen Grundsteuer Gemeindeabgaben Landschaftsschutzabgabe Gebühren u. Abgaben Gewerbesteuer Somma Straßenerh. Gmd Mellau somma Gemeinertrag 126.025,00 204.660,00 0,00 92.598,38 486,00 8.374,00 157.681,93 48.372,00 0,00 638.197,31 266.435,24 904.632,55 0,661% 1,073% 0,000% 0,486% 0,003% 0,044% 0,827% 0,254% 0,000% 3,347% 1,397% 4,744% 61.576,00 229.680,00 26.300,00 146.065,07 607,50 8.166,00 103.599,25 28.924,00 106.100,00 711.017,82 229.310,22 940.328,04 0,323% 1,204% 0,138% 0,766% 0,003% 0,043% 0,543% 0,152% 0,556% 3,729% 1,203% 4,931% Betriebsertrag: Bilanzgewinn 129.725,41 0,680% 86.475,44 0,453% 8.233.980,87 43,181% 6.228.256,46 32,662% Kapitalertrag: Fremdkapital: Bankzinsen Bankspesen Verzugszinsen Zinsen Schuldwechsel somma Fremdkapital Eigenkapital: Gesellschafterzinsen Haftungsvergütung GmbH somma Eigenkapital somma Kapitalertrag valore aggiunto distribuito Il valore aggiunto risulta da un complesso procedimento di calcolo e la sua quantificazione dipende principalmente dalle definizioni addottate della componente positiva e negativa. Il valore aggiunto comprende l’Arbeitsertrag (reddito distribuito al personale), il Kapitalertrag (remunerazione del capitale) ed il Gemeinertrag (reddito distribuito alla “mano pubblica”) ed il Betriebsertrag (reddito 148 che rimane all’impresa). L’Arbeitsertrag comprende i salari, gli stipendi, i contributi sociali previsti dalla legge e quelli volontari ed il trattamento di fine rapporto. Esso ammonta a 6.859.421,07 ATS e rappresenta la quota più alta di valore aggiunto distribuito, precisamente il 83,3%. Il Fremdkapitalertrag invece comprende la remunerazione del capitale di terzi ed ammonta a 256.670,84 ATS che è pari al 3,1% del valore aggiunto distribuito. L’Eigenkapitalertrag comprende la remunerazione del capitale proprio e la remunerazione della GmbH per l’assunzione della responsabilità illimitata (Haftungsvergütung). Esso ammonta a 83.531,00 ATS, che corrisponde al 1% del valore aggiunto distribuito. GRAFICO 1.1: LA DISTRIBUZIONE DEL VALORE AGGIUNTO DELL’IMPRESA XYZ DELL’ESERCIZIO 1994 Arbeitsertrag Fremdkapitalertrag Eigenkapitalertrag Gemeinertrag Betriebsertrag 3,10% 1,00% 11,00% 1,60% 83,30% I seguenti prospetti presentano il bilanci d’esercizio della GmbH e della GmbH & Co KG Tutti i prospetti sottoriportati sono stati utilizzati per il calcolo del valore aggiunto. 149 FIGURA 1.1: LO STATO PATRIMONIALE DELLA GMBH AL 31.12.1994 AKTIVA A. Umlaufvermögen I. Forderungen 1. Forderungen gegen Unternehmen Forderungen gegen beteiligte Unternehmen Kontokorrentkonto XYZ Gmbh & Co Verrechnungskonto Gmbh 291.600,00 2.sonstige Forderungen Finanzamt sonstige Forderungen 56.815,00 68.993,00 417.408,00 30.000,00 13.860,00 43.860,00 Summe AKTIVA PASSIVA A. Eigenkapital 461.268,00 I. Nennkapital 1. Stammkapital Stammkapital 500.000,00 2.Nicht eingeforderte ausstehende Einlagen Ausstehende Einlagen -250.000,000 II. Bilanzgewinn Gewinnvortrag Bilanzgewinn 49.000,0 48.415,00 97.415,00 B. Rückstellunegn 1. Steuerrückstellungen Körperschaftsteuer 1993 Körperschaftsteuer 1994 21.000,0 10.000,00 31.000,00 C. Verbindlichkeiten 1. sonstige Verbindlichkeiten Verrechnung DB Verrechnung DZ Verrechnung Personalabgaben Verrechnung Gebietskrankenkasse Gehaltsverrechnungskonto sonstige Verbindlichkeiten 2.925,00 208,00 12.899,00 21.560,00 42.216,00 3.045,00 82.853,00 Summe PASSIVA 461.268,00 150 FIGURA 1.2: IL RENDICONTO REDDITUALE DELLA GMBH DELL’ESERCIZIO 1994 1. sonstige betriebliche Erträge a. übrige Geschäftsfuhrungsvergütung 710.738,92 2. Betriebsleistung 710.738,92 3. Personalaufwand a. Gehälter Gesellschaftergehalt Nichtleistungsgehälter Wwihnachtsgelder Urlaubsgelder 452.034,94 19.451,32 57.750,00 29.250,00 558.486,26 b. gesetzlich vorgeschriebene Sozialgaben Arbeitgeberanteil DB Angestellte DZ Angestellte Lohnsummensteuer 108.579,66 25.132,00 1.787,00 16.754,00 152.252,66 4. Erträge aus Beteriligungen Gesellschafterzinsen Haftungsvergütung 23.415,00 50.000,00 73.415,00 5. Zwischensumme aus 4 bis 4 (Finanzerfolg) 73.415,00 6. Ergebnis der gewöhnliche Geschäftstätigkeit 73.415,00 7. Steuern vom Einkommen und vom Ertrag Körperschaftsteuer 25.000,00 8. Jahresabschluß 48.415,00 9. Bilanzgewinn 48.415,00 151 FIGURA 1.3: LO STATO PATRIMONIALE DELLA GMBH & CO KG AL 31.12.94 AKTIVA A. Anlagevermögen I. Immaterielle Vermögensgegenstände 1. Software 2,00 II. Sachanlagen 1. bebaute Grundstücke 2. Maschinen 3. Werkzeuge, Betriebsausstattung 26.176,00 2.857.594,00 1.557.472,00 III. Finanzanlagen 1. Wertpapiere 4.441.242,00 61.230,00 B. Umlaufvermögen I. Vorräte 1. Betriebsstoffe 2. fertige Erzeugnisse II. Forderungen 1. Foredrungen aus Lieferungen 2. sonstige Forderungen 23.195,00 818.900,00 842.095,00 1.185.436,21 3.645.811,077 4.831.247,98 III. Kassenbestand 771.512,36 C. Rechnungsabgrenzungsposten 1. Transitorische Posten 11.340,00 Summe AKTIVA PASSIVA 10.958.669,34 A.Eigenkapital I. Kommanditkapital 1. Einlagen Kommandatisten 1.000.000,00 B. Bedingt steuerfreie Rücklagen I. sonstige unversteuerte Rücklagen I. 1. Investionsfreibeträge gemäß § 10 EStG b. Rücklage gemäß § 12 Abs. 7 EStG 1.552.279,00 0,00 C. Kontokorrentkonto der Gesellschafter 1. Kontokorrentkonti der Gesellschafter 1.552.279,00 281.991,48 D. Rückstellungen 152 1. Rückstellungen für Abfertigungen 2. Steuerrückstellungen 3. sonstige Rückstellungen E.Verbindlichkeiten 1. Verbindlichkeiten gegenüber Banken 2. Verbindlichkeiten aus Lieferungen 3. sonstige Verbindlichkeiten 75.184,00 17.422,00 487.000,00 579.626,00 2.719.170,00 3.630.466,39 11.180.677,91 7.530.314,30 F. Rechnungsabgrenzungsposten 14.458,00 Summe PASSIVA 10.958.669,34 FIGURA 1.4: IL RENDICONTO REDDITUALE DELLA GMHH & CO KG DELL’ESERCIZIO 1994 1.Umsatzerlöse 19.092.879,82 2. sonstige Erlöse a. Erträge aus dem Abgang vom Anlagevermögen. b. übrige 0,00 119.192,58 3. Betriebsleistung 119.192,58 19.212.072,40 4. Materialaufwand, Aufwendungen für bezogene Leistungen 5.444.846,91 5. Personlaufwand a. Löhne b. Gehälter e. Aufwendungen für Abfertigungen d. gesetzlich vorgeschriebene Sozialabgaben e. sonstige Sozialaufwendungen 3.171.471,85 2.275.020,21 8.001,00 1.259.460,93 226.454,82 6.Abschreibumgen auf immaterielle VermögensGegenstände und Sachanlagen a. Planmäßige Abschreibungen 6.940.408,81 1.864.871,00 7. sonstige betriebliche Aufwendungen a. Steuern b.übrige 778.607,55 3.732.443,79 8.Betriebsergebnis 4.511.051,34 450.894,34 153 9.Zinserträge, Wertpapiererträge 30.722,41 10. Erträge aus dem Abgang von Finanzaniagen 0,00 11. Zinsen und ähnliche Aufwendungen 267.149,34 12. Finanzerfolg -236.426,93 13. Ergebnis der gewöhnlichen Geschäftstätigkeit 214.467,41 14. Steuern vom Einkommen und vom Ertrag 0,00 15. Jahresüberschuß 214.467,41 16. Auflösung unversteuerter Rücklagen a. sonstige unversteuerte Rückjlagen 116.417,00 17.Zuweisung zu unversteuerten Rücklagen a. sonstige unversteuerte Rückjlagen 201.159,00 18. Bilanzgewinn 129.725,41 FIGURA 1.5: PROSPETTO DI RAPPRESENTAZIONE DETTAGLIATA DELLE POSIZIONI DELLO STATO PATRIMONIALE DELLA GMBH & CO KG AL 31.12.1994 Erläuterungen der AKTIVA Anlagevermögen Immateriale Vermögensgegenstände Software Sachanlagen Gebäude Maschinen Maschinen sonstige Geräte (continua) 154 1994 in ATS 1993 in ATS 2,00 2,00 2,00 2,00 26.176,00 26.176,00 16.242,00 16.242,00 2.791.873,00 65.721,00 2.957.594,00 3.168.122,00 0,00 3.168.122,00 (segue) Werkzeuge, Betreibsausstattung Werkzeuge Funkanlage, Telefon Büro-Container Büroeinrichtung Büromaschinen EDV PKW Fahrzeuge Klein LKW Anhänger Finanzanlagen Beteiligungen Wertpapiere Umlaufvermögen Betriebsstoffe Treibstoffe sonstige Betriebsstoffe fertige Erzeugnisse Warenvorräte 14.999,00 35.273,00 205.590,00 9.996,00 3.123,00 95.384,00 37.383,00 800.078,00 92.000,00 263.646,00 1.557.472,00 25.120,00 49.234,00 351.528.00 1.779.274,00 1.904,00 59.326,00 61.230,00 1.904,00 60.035,00 61.939,00 11.795,00 11.400,00 23.195,00 7.532,00 4.730,00 12.262,00 818.900,00 818.900,00 932.800,00 932.800,00 1.185.436,21 0,00 1.185.436,21 1.758.375,43 -34.057,00 1.724.318,43 46.401,00 46.568,54 25.770,80 104.800,00 58.354,00 20.193,00 34.439,33 3.287.459,10 21.826,00 3.645.811,77 324.936,22 104,80 180.450,00 20.000,00 1.584,00 2.632.833,95 24.381,00 3.302.385,17 6.143,00 4.369,00 49.311,00 21.701,00 1.271.868,00 Forderungen Forderungen aus Lieferungen Forderungen aus Lieferungen Pauschalwertberichtigung sonstige Forderungen Verrechnung Umsatzsteuer Finanzamt sonstige Forderungen Gewerbesteuer-Aktivierung Rückkaufswert Lebensversicherung Lohnvorschuß Forderungen aus EFZG-GKK signore XYZ Durchlaufskonto (continua) 155 (segue) Kassenbestand Kassa Bank X Sparbuch Bank Z Rechnungsabgrenzungsposten aktive Abgrenzung 60.621,25 290.340,69 34.420,80 476.570,89 33.289,20 387.251,22 771.512,36 1.014.588,44 1.130.915,46 2.656.495,59 11.340,00 11.340,00 Erläuterungen PASSIVA 1994 in ATS 1993 in ATS 1.000.000,00 1.000.000,00 0,00 570.109,00 318.314,00 462.697,00 201.159,00 1.552.279,00 274.881,00 570.109,00 334.093,00 462.697,00 1.641.780,00 0,00 0,00 100.638,00 100.638,00 Kontokorrenti der Gesellschafter 281.991,48 -31.762,28 Rückstellungen Rückstellungen für Abfertigungen Abfertigungsrücklage 75.184,00 75.184,00 67.183,00 67.183,00 17.442,00 17.442,00 38.925,00 38.925,00 447.000,00 40.000,00 487.000,00 1.797.000,00 40.000,00 1.837.000,00 2.719.170,00 2.719.170,00 2.746.258,00 2.746.258,00 Eigenkapital Kommanditkapital bedingt steuerfreie Rücklagen Investitionsbeitrag 1990 Investitionsbeitrag 1991 Investitionsbeitrag 1992 Investitionsbeitrag 1993 Investitionsbeitrag 1994 Rücklage gemäß § 12 Abs. 7 EStG Steuerrückstellungen Rückstellung für GewSt sonstige Rückstellungen Rückstellung für Kultivicrung Rückstellung für Rechtsberatung Verbindlichkeiten Verbindlichkeiten gegenüber Banken (continua) 156 (segue) Verbindlichkeiten aus Lieferungen sonstige Verbindlichkeiten verschieden Verbindlichkeiten Finanzamt Finanzamt Dienstgeberbeitrag Verrechnung DZ Verrechnung Umsatzsteuer Verrechnung Straßenverkehrsabgabe sonstige Verbindlichkeiten Verrechnung Gebietskrankenkasse Lohnverrechnungskonto Verrechnung Urlaubskasse Gehaltsverrechnungskonto Verrechnung Personalabgaben Darlehen XYZ Gmbh Verrechnung Gmbh Rechnungsabgrenzungsposten Zinszuschuß Zinszuschuß 3.630.466,39 3.630.466,39 4.679.361,32 4.679.361,32 85.780,38 0,00 0,00 14.855,00 1.063,00 0,00 19.140,00 9.970,00 130.946,53 173.855,00 87.184,00 248.434,00 48.857,00 291.600,00 68.993,00 1.180.677,91 255.957,37 40.940,00 32.423,00 13.308,00 946,00 810,46 19.140,00 6.130,00 112.242,52 142.908,00 66.608,00 519.979,00 270.000,00 63.538,00 270.000,00 0,00 1.544.930,35 14.458,56 14.458,56 609,68 28.917,12 29.526,80 FIGURA 1.6: PROSPETTO DI RAPPRESENTAZIONE DETTAGLIATA DELLE POSIZIONI DELLO STATO PATRIMONIALE DELLA GMHH & CO KG DELL’ESERCIZIO 1994 Erläuterungen der Gewinnund Verlustrechnung Umsatzerlöse Erlöse Schotter Erlöse Vordergrundsteine Erlöse Pflastersteine Erlöse Mauersteine Erlöse Frachten Erlöse Export verschiedene Erlöse Skontoaufwand Erlös Anlagenverkauf (continua) 157 1994 in ATS 1993 in ATS 6.709.382,04 2.629.367,37 1.587.965,57 1.407.714,90 2.808.371,45 3.406.422,74 553.743,51 -10.087,76 19.092.879,82 8.882.678,92 482.335,29 1.221.441,77 1.021.365,50 3.375.365,07 3.437.088,76 493.391,06 -12.760,22 18.900.906,15 0,00 0,00 70.640,00 70.640,00 (segue) Übrige Erlöse Sprengstoffe Erlöse Triebstoffe sonstige betriebliche Erträge Überzahlungen von Kunden Versicherungsentschädigungen Angleichung Lebensversicherung Betriebsicistung Materialaufwand Bestandveränderung Kies, Sand Kalk, Gips, ecc Betonkies Frostkoffer Pflaster- u. Wasserbausteine Betonrohre Kunstoffrohre Schächte Fertigbeton fremd Baustahlgitter StahL- u. Alufertigwaren KanthoLz u. Dielen Bretter sonstiges Bauholz Drahtstifte, Drähte Subunternehmer Planung Sonstiges Kleincisenzeug Warenbezugskosten Sonstige Fremdarbeiten Kleingeräte, Kleingerüste Transporte Fremd Sprengmittel Diesel Fremdgeräte u. Fremdpersonal (continua) 158 35.592,73 4.768,49 47.974,86 1.240,50 0,00 29.616,00 119.192,58 5.907,93 4.886,82 6.075,04 560,96 9.005,00 41.468,00 67.903,75 19.212.072,40 19.039.449,90 113.900,00 324.473,57 295,59 5,761,93 483.239,83 2.038.164,28 393,57 10.664,33 2.341,45 89.621,88 9.506,30 43.191,80 190,83 3.035,90 84.488,33 4.019,18 46.520,00 8.463,44 21.446,43 455.444,51 29.074,68 130.140,85 332.432,84 1.154.533,55 53.501,84 5.444.846,91 38.800,00 1.603.302,25 0,00 1.194.924,57 510.867,10 1.092.951,39 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 0,00 66.150,00 5.498,33 0,00 5.544,96 8.907,01 43.588,00 16.890,34 175.623,96 312.293,17 1.117.060,24 1.300,00 6.193.701,32 (segue) Personalaufwand Löhne Lohnkosten KV A/K3 Lohnkosten über KV Lohnkostenprämien Überstundenzuschlag Aushilfslöhne Nichtleistungslöhne Urlaubszuschlag Krankenentgelt Weihnachtsgeld Gehälter: Fremdlöhne u. -gehälter Geschäftsführungsvergütung Gehälter Überstunden Nichtleistungsgehälter Weihnachtsgeld Urlaubsgeld Aufwendung fúr Abfertigung: Abfertigung Angleichung Sozialabgaben (gesetzlich): Arbeitgeberanted Arbeiter Arbeitgeberanteil Gehälter Sozialversicherung Unternehm. DB Arbeiter DZ Arbeiter DB Angestellter DZ Angestellter Kornunalsteuer sonstige Sozialabgaben: freiwilliger Sozialaufwand Arbeitskieidung Reisekosten Schulung, Fortbildung Betriebsveranstaltungen (continua) 159 1.609.855,73 670.411,28 31.300,00 197.592,56 0,00 420.860,08 33.143,00 789,67 207.519,53 3.171.471,85 1.078.245,63 370.481,25 86.900,00 79.554,67 6.200,00 3 13.276,55 152.964,00 12.588,90 134.949,25 2.235.160,25 558.097,51 710.738,92 703.311,25 44.213,20 136.659,33 61.000,00 61.000,00 2.275.020,21 10.036,00 0,00 667.089,62 39.587,13 214.418,88 80.560,00 80.560,00 1.092.251,63 0,00 8.001,00 8.001,00 476.232,00 -93.925,00 382.307,00 746.536,40 184.423,53 0,00 143.753,73 10.224,23 45.278,27 3.219,77 126.025,00 1.259.460,93 473.949,99 192.375,63 76.123,44 94.068,29 6.687,92 48.699,71 3.463,08 61.576,00 956.944,06 164.528,95 39.417,97 5.585,90 16.922,00 0,00 226.454,82 142.743,56 22.097,91 32.922,58 8.100,00 6.000,00 211.864,05 (segue) Abschreibungen planmäßige Abschreibungen GWG sonstige betriebliche Aufwendungen Steuern Straßenverkehrsbeitrag sonstige Steuern Gebühren u. Ablagen Grundsteuer Gemeindeabgaben Landschaftsschutzabgabe Gebühren u. Abgaben Gewerbesteuer Straßenerh. Gmd Mellau Úbrige Reinigungsmaterial Elektromaterial Ersatzteile Geräte Reparaturmaterial Fremdreparaturen Schweißmaterial Werkzeug Fette, Öle Gas, Sauerstoff Instandhaltung Gebäude Instandh. Grundstückeinrichtug Instandhaltung B+G Instandhaltung LKW Haftpflichtversicherung C/K2 Sonstige Versicherungen An- und Rúckreise Versicherungen KFZ An- und Rückreise D/K3A Krn-Gelder Pacht Steinbruch Gerätemieten Fremdmieten Telefon, Funk Postgebühren Strom Gas, Wasser Heizmaterial Reifen Benzin (continua) 160 1.843.748,23 21.122,77 1.864.871,00 1.987.442,07 4.403,00 1.991.845,07 204,660,00 0,00 92.598,38 486,00 8.374,00 157.681,93 48.372,00 0,00 266.435,24 778.607,55 229.680,00 26.300,00 146.065,07 607,50 8.166,00 103.599,25 28.924,00 106.100,00 229.310,22 772.652,04 4.750,00 178,05 561.588,35 193.262,08 195.770,71 13.192,37 40.404,18 111.312,97 21.196,69 49.454,85 69.375,00 40.600,56 615.554,92 82.321,50 15.084,10 161.036,60 40.609,76 4.427,50 1.238.969,80 99.462,50 0,00 97.687,10 10.604,50 60.051,37 2.855,00 18.532,63 247.912,00 6.630,31 5.071,67 482,55 435.186,49 141.433,72 85.899,33 3.368,00 10.886,88 52.960,46 18.299,13 86.551,84 6.900,00 29.598,36 462.449,90 52.872,80 11.348,80 138.927,20 8.805,80 516,00 979.466,16 0,00 4.000,00 82.466,14 7.546,00 31.985,16 1.100,00 40.277,49 237.279,32 11.400,82 (segue) PKW Pajero PKW Mercedes PKW Subaru Büroaufwand EDV Kosten Werbung Rechts- u. Beratungskosten Sonstiger Aufwand Bankspesen Kursdifferenzen Pauschalwertberichtigung Kultivierungsaufwand Schadensfälle Buchwerte abgegangener Sach. Erlös Anlagenverkauf Deponiegebühren Haftungsvergütung Gmbh Betreibsergebnis Zinserträge, Wertpapiererträge Bankzinsen Zinsen von Kunden Erträge Wertpapiere Erträge aus dem Abgang von Finanzanlagen Verkauf Wertpapiere Zinsen und ähnliche Aufwände Bankzinsen Gesellschafterzinsen Verzugszinsen Zinsen Schuldwechsel Finanzerfolg Ergebnis der gewöhnlichen Geschäftstätigkeit (continua) 161 198.094,38 192.259,59 17.500,38 329.862,28 16.242,50 91.251,30 32.561,00 119.200,90 23.052,50 9.338,29 -34.057,00 -1.350.000,00 11.881,00 29.589,00 -24.940,00 17.782,27 50.000,00 3.732.443,79 163.761,39 206.814,50 15.615,60 235.212,08 0,00 40.271,06 56.576,00 372.170,04 31.416,66 -13.142,54 -14.263,00 112.500,00 2.820,00 2,00 -30.000,00 2.545,00 50.000,00 4.179.378,81 450.894,34 1.023.345,67 26.126,70 199,71 4.396,00 30.722,41 15.698,30 0,00 9.985,00 25.683,30 0,00 0,00 645,00 645,00 214.920,59 33.531,00 256.428,53 20.000,00 4.854,00 13.843,75 267.149,34 204,00 17.131,00 293.763,53 -236.426,93 -267.435,23 214.467,41 755.910,44 (segue) Steuern vom Einkommen u. Ertrag Gewerbesteuer Jahresüberschuß Auflösung unverst.Rücklagen Aufl. Investitionsfreibetrag Aufl. Rücklage gem § 12 Zuweisung zu unverst. Rücklagen Zuw. Investitionsfreibetrag Zuw. Rücklage gem § 12 Bilanzgewinn 0,00 0,00 106.100,00 106.100,00 21.446.741,00 649.810,44 15.779,00 100.638,00 116.417,00 0,00 0,00 0,00 201.159,00 0,00 201.159,00 462.697,00 100.638,00 563.335,00 129.725,41 86.475,44 2. Lo studio di un caso aziendale. L’impresa Migros Il secondo caso di concreto calcolo del valore aggiunto ha per oggetto l’impresa svizzera Migros nell’ambito della redazione del bilancio sociale. La Federazione delle Cooperative Migros è un colosso che comprende una banca (Banca Migros), una compagnia di distribuzione di prodotti petroliferi (Migrol), una società specializzata in organizzazione di viaggi (Hotelplan), una società di informatica (M-Informatic), una compagnia di assicurazioni (Secura), una casa editrice (Ex Libris) ed altre ancora, più una serie di imprese di produzione che spaziano dalle conserve alimentari ai biscotti. Il fatto più straordinario di questa impresa di distribuzione è che probabilmente non ha eguali per qualità e quantità dell’offerta di servizi primari e secondari, diretti ed indiretti, che abbiano come obiettivo primari la salvaguardia dell’ambiente e la salvaguardia delle esigenze del consumatore. I dati sono quelli relativi all’esercizio del 1994 e relativi all’esercizio del 1993. Innanzitutto si può osservare che Migros ha calcolato il valore aggiunto (Nettowertschöpfungsrechnung) della gestione complessiva detraendo dall’Unternehmungsleistung (risultato complessivo dell’impresa) le Vorleistungen (beni e servizi apportati da economie terze) e le Abschreibungen (quote di ammortamento). Il valore aggiunto netto quindi corrisponde a 4.057 milioni di franchi sviz162 zeri per l’esercizio del 1994, mentre per quanto riguarda l’esercizio del 1993 il valore aggiunto netto ammonta a 3.924 milioni di franchi svizzeri. La Wertschöpfungsverwendungsrechnung invece rappresenta la distribuzione del valore aggiunto netto fra le varie classi di interesse aventi diritto che sono il personale, la “mano pubblica”, i titolari del capitale di terzi, la società ed infine l’impresa Migros stessa. Al personale è stato distribuito il 84,3 % dei valore aggiunto netto, mentre alla “mano pubblica” è stato distribuito il 2,7 %. La parte che è stata distribuito alla società e che riguarda impieghi a scopo sociale, culturale ed ambientale, è uguale al 2,6 % del valore aggiunto netto, mentre la remunerazione del capitale di terzi ammonta a 2,1 % del valore aggiunto netto. Infine l’importo che rimane all’impresa Migros è uguale al 8,3 % del valore aggiunto netto. WERTSCHÖPFUNGSRECHNUNG DER MIGROS-GEMEINSCHAFT 1994 IN DEN VORLEISTUNGEN SIND ALLE VON DRITTEN BEZOGENEN GÜTER UND DIENSTLEISTUNGEN SOWIE AUFWENDUNGEN WIE MIETZINSEN, ENERGIE USW. ENTHALTEN. A) Enstehung in Mio Fr. 1994 1993 16.127 11.4361 634 4.057 15.463 10.963 576 3.924 B) Verteilung in % 1994 1993 an Mitarbeiter an öffentliche Hand an Gescllschaft an Kreditgeber an Unternehmung 84,3 2,7 2,6 2,1 8,3 84,0 3,1 2,1 1,8 8,4 Unternehmungsieistung - Vorleistungen - Abschreibungen Nettowertschöpfung Die Nettowertschöpfung zeigt den von der M-Gemeinschaft in einem Jahr geschaffenen Wertzuwachs. Im abgelaufenen Berichtsiahr beträgt die Nettowertschöpfung 25,2 % der Unternehmungsleistung. 163 VERWENDUNG DER WERTSCHÖPFUNG Mitarbeiter Die nominelle Erhöhung beträgt Fr. 124,9 Mio, was einem prozentualen Zuwachs von 3,8 % entspricht. Diese Zunahme ergibt sich einerseits durch die an alle Mitarbeiterinnen und Mitarbeiter gewährten generellen und auch leistungsbezogenen Lohnerhöhungen und andererseits durch die Zunahme der Personaleinheiten infolge Expansion. Die Mitarbeiter partecipieren an der Wertschöpfung mit einem um 0,3 % höheren Anteil zum Vorjahr. Öffentliche Hand Der Anteil der öffentlichen Hand sinkt um 0,4 % Punkte, da die Steuerleistungen für die Staats- und Gemeindesteuern wie auch für die Bundessteuern aufgrund der steuerbaren Erträge rückläufig sind. Geselschaft Die zuwendungen für kulturelle, soziale und wirtschaftspolitische Zwecke von nominell Fr. 107,0 Mio oder 2,6 % der Wertschöpfung vermindert sich gegenüber dem Vorjahr um 0, 1 % Punkte. Die Ausgaben überschreiten nach wie vor den statutarischen Sollaufwand. Kreditgeber Der Anteil an die Kreditgeber erhöht sich um 0,3 % Punkte, bedingt durch die Erhöhung des Fremdkapitals und die damit verbundene Zunahme des NettoFinanzaufwandes. Unternehmung Obwohl im Zusammenhang mit der Ausland-Expansion höhere Kosten zu verzeichnen sind, kann der in der Unternehmung verbleibende Anteil aufgrund des erwirtschafteten Ergebnisses auf 8,3% gehalten werden. 164 GRAFICO 2.1: LA DISTRIBUZIONE DEL VALORE AGGIUNTO NETTO DELL’IMPRESA MIGROS DELL’ESERCIZIO 1994 capitale di terzi MIGROS personale Stato 3% società 2% 3% 8% 84% 165 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ALBACH H., Die Verteilung des Unternehmenseinkommen, in “Zeitschrift fur Betriebswirtschaft”, Heft 7, 48. 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