Un esempio di "archeologia nei musei:" iscrizioni etrusche in musei

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Un esempio di "archeologia nei musei:" iscrizioni etrusche in musei
Etruscan Studies
Journal of the Etruscan Foundation
Volume 9
Article 22
2002
Un esempio di "archeologia nei musei:" iscrizioni
etrusche in musei francesi
Dominique Briquel
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Recommended Citation
Briquel, Dominique (2002) "Un esempio di "archeologia nei musei:" iscrizioni etrusche in musei francesi," Etruscan Studies: Vol. 9 ,
Article 22.
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Un esempio di
“archeologia nei musei:”
iscrizioni etrusche
in musei francesi
by D o m ini q u e Br i q u e l
al Rinascimento in poi, ricerche archeologiche furono condotte sul territorio
dell’Etruria, specialmente nelle necropoli delle sue antiche città, che fornirono enormi quantità di vasi e di altro materiale. La maggiore parte di questi oggetti rimase in
Italia, ma anche molti furono mandati all’estero, sia come ricordi di viaggio portati a casa da
stranieri venuti a visitare i siti dell’antico paese etrusco, sia acquisti in tutta l’Europa da collezionisti, grazie allo sviluppo del commercio antiquario, sensibile sopratutto dal XIX secolo. Certi
oggetti recavano iscrizioni etrusche. Perciò non si deve stupire se molti paesi fuori dell’Italia1
possedono documenti epigrafici etruschi, come risultato di questo precoce interesse per le antichità etrusche che si diffuse prima della nascità dell’etruscologia scientifica, e al quale si suole
dare il nome di “etruscheria.”2 Quindi oggetti iscritti provenienti dell’Etruria non erano così rari
in collezioni private dei secoli passati. Possiamo citare una osservazione fatta da uno studioso
francese dei primi anni dell’ottocento a proposito di una piccola urna cineraria chiusina in terracotta recante una iscrizione, che aveva vista da un collezionista nella Francia meridionale (n°9
nel nostro elenco): “Tali piccoli oggetti sono piuttosto communi nei gabinetti di antichità.”3 E
se prendiamo in considerazione la documentazione oggi disponibile su collezioni private del
passato, anche non particolarmente importanti e note, possiamo incontrare indicazioni su materiale epigrafico etrusco – a volte oggi conosciuto, ma a volte anche oggi sparito. Per prendere un
esempio che abbiamo studiato di recente, il catalogo di una vendita all’asta che si è svolta a Parigi
nel 1862, che vede la dispersione della collezione di uno studioso e uomo politico francese, nato
nel 1780 e morto nel 1855, Jean-Baptiste Barrois, mostra che possedeva tre coperchi di urne in
pietra, di origine volterrana o chiusina.4 Uno di questi è un monumento di grande importanza
: si tratta di un coperchio con figura femminile recumbente, oggi in Cracovia, in Polonia, che
sembra essere uno dei due coperchi che, tra i dodici che furono trovati nella necropoli del
Portone in Volterra nel 1785, quando R. Pagnini scopri la famosa tomba familiare dei Ceicna
Fetiu, erano considerati perduti.5 Ma le altre due, al che sembra, non sono mai state segnalate
dopo il 1862.6
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Nel caso di iscrizioni appartenenti a collezionisti privati, anche se sono state rese note
nel passato, dato la grande mobilità di tali collezioni, è certo difficile avere oggi notizie su esse,
e sapere se esistono ancora e dove sono. Ma accade che tali iscrizioni siano passate in collezioni
pubbliche, nelle quali è più facile studiarle. Per esempio l’urna chiusina (n°9) vista da Aubin
Louis Millin all’inizio del XIX secolo, quando era in possesso da un nobile uomo da Aix-enProvence, Alexandre de Fauris-Saint Vincens (1750-1819), sta oggi nelle collezioni del museo di
questa città, il Musée Granet, che la comprò dopo la sua morte, nel 1820,7 e il coperchio che
apparteneva a J.-B. Barrois è oggi esposto nel museo Czartoryski di Cracovia, dopo essere stato
in possesso dell’archeologo francese François Lenormant e poi del principe polacco Ladislaw
Czartoryski.8 Ma spesso tali documenti, anche se appartengono a collezioni publichi e musei
ufficiali, sono rimasti sconosciuti dagli specialisti di epigrafia etrusca, e non furono registrati nei
classici repertori di iscrizioni etrusche.9 Soltanto pochi di questi sono stati presi in considerazione negli elenchi annuali della Rivista d’Epigrafia Etrusca : in realtà, questo tipo di materiale, disperso, non fu mai studiato in un modo sistematico. È vero che una inchiesta urta contro
gravi difficoltà. Questo materiale sta oggi disperso in moltissime collezioni, e la grande maggioranza dei musei che ne possedono qualche esempio non ha altro materiale etrusco di rilievo. Si
tratta di musei che non sono specializzati nel campo dell’archeologia etrusca, e spesso di gallerie
d’arte, nelle quali tali documenti appaiono isolati, all’infuori degli interessi maggiori delle loro
collezioni. Di più, non si può dire che si tratta di oggetti di grande interesse artistico. Come lo
vedremo nel caso del materiale che abbiamo studiato in Francia, la maggiore parte degli oggetti
recanti iscrizioni etrusche è rappresentata da urne di terracotta, del tipo con decorazione fatta a
stampo, di un tipo fabbricato a Chiusi in grandisssima quantità durante il II e la prima meta del
I secolo a. C. Si trattava di una produzione fatta in serie, il che era reso facile dall’uso di una
matrice per la decorazione. E quasi tutti gli esemplari offrono gli stessi motivi dell’omicidiale
incontro dei fratelli tebani Eteocle e Polinice o della scena, di discussa interpretazione, dell’eroe
con l’aratro.10 Centinaie di tali urne esistono, disperse in moltissimi musei.11 Ma il risultato di
tale situazione è che, in molti casi, questi oggetti non sono esposti nei musei ai quali appartengono, ma rimangono nascosti in magazzini, nei quali la loro stessa esistenza è stata a volte
dimenticata dalle autorità che ne hanno la risponsabilità.
La Francia non è certo il solo paese nel quale una tale inchiesta merita di essere fatta.
Infatti lo studio che abbiamo cominciato di fare in Francia ci ha mostrato che materiale inedito
poteva essere presente non soltanto in piccoli musei, ma anche in grandi collezioni comme quella del Louvre. Come l’abbiamo visto, iscrizioni si incontrano spesso su urne chiusine fabbricate
in serie, e gli etruscologi hanno di solito prestato poco attenzione a questa categoria di materiale. Nel caso del Louvre, venti sette urne di questo tipo recano iscrizioni e di queste dieci sono
rimaste inedite (anche se non teniamo conto di tre testi molto frammentari, ridotti ad una, due
o tre lettere). È interessante comparare questa alta proporzione di testi inediti con ciò che accade
nel caso delle urne di pietra, o di alabastro, materiale di ben altro prestigio, e il cui interesse artistico è di lungo superiore : nel caso delle urne di pietra, si tratta di oggetti fabbricati uno dopo
l’altro dall’artigiano, con scene che offrono una grande diversità. Non si stupisce dunque se gli
studiosi hanno prestato una grande attenzione alle urne di pietra, attenzione che invece ha mancato agli esemplari di terracotta fatti a stampo : nessuna delle sette iscrizioni che sono incise sulle
urne di pietra del Louvre è rimasta inedita.12 Ma l’ignoranza rispetto ai pezzi conservati nei
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musei di provincia è stata ancora più forte : quando abbiamo cominciato la nostra inchiesta – se
non prendiamo in considerazione gli oggetti iscritti scoperti in contesti di scavo, come a Pech
Maho, Lattes e sopratutto Aleria in Corsica, che richiederebbero un discorso del tutto diverso
- soltanto due iscrizioni esistenti in musei francesi fuori di Parigi erano state pubblicate, una su
una urna di pietra di fabbricazione chiusina conservata a Marsiglia, con raffigurazione (probabilmente) del suicidio di Canace (qui n°27), e l’altra su una urnetta col motivo dell’eroe con l’aratro, provienente dalla collezione Campana, oggi conservata ad Annecy (qui n°15).13
Però, iscrizioni non sono inesistenti nei musei francesi, e si incontrano anche in piccole
città. La nostra inchiesta ci ha già concesso di ritrovrarne venti, più nove ridotte a poche lettere,
che consentono al massimo la lettura di un prenome, tra le quali due soltanto erano già
conosciute14 - ma in un caso con una lettura sbagliata che non corrispondeva a quel che si vede
sull’oggetto. Queste ventotto iscrizioni sono disperse tra ventidue musei15 - il che vuol dire che,
quasi sempre, ogni museo ne possiede una sola.16 Il che significa che, con le due iscrizioni già
note, i musei francesi di provincia che possedono materiale epigrafico etrusco sono ventitre, per
un totale di trentuno documenti. L’osservazione che abbiamo fatta sull’assoluta prevalanza delle
urne chiusine di produzione standardizzata nel materiale iscritto si verifica. Soltanto in cinque
casi abbiamo a fare con oggetti diversi: a Marsiglia, una iscrizione (n°27) è incisa su una urna di
pietra, e due altre (n°30 e 31) su oinochoai di bronzo, l’iscrizione di Clermont-Ferrand (n°29)
appare su un cratere attico di V secolo a.C., mentre una di quelle di Rouen (n°28) sta sul fondo
di una olpe di bucchero di VI secolo a.C. Tutto il resto riguarda iscrizioni su urne cinerarie - con
la ovvia conseguenza che si tratta di brevi epitaffi.
L’origine di questi documenti è diversa, e non può sempre essere determinata con
sicurezza. Ma, nel caso del materiale epigrafico esistente in Francia, si deve prenderein considerazione un fatto particolare. L’enorme maggioranza di questi oggetti faceva parte della
collezione Campana, che, acquistata dalla Francia dell’imperatore Napoleone III nel 1861, sta
alla basi non soltanto della collezione etrusca del museo del Louvre – con pezzi famosi come il
celebre “Sarcofago degli Sposi” – ma anche della presenza di materiale etrusco, o almeno proveniente dall’Etruria (si pensi ai moltissimi vasi greci), in molti musei francesi di provincia. In
realtà, nella nostra serie, soltanto otto documenti hanno una origine diversa. Si tratta già di tre
iscrizioni del museo di Marsiglia, le nostre n°27 (l’urna col suicidio di Canace) e n°30 e 31 (due
oinochoai con iscrizione suthina): appartenevano al vecchio fondo del museo Borély, oggi
trasferito nel nuovo museo della Vieille Charité. Furono dunque acquistate dalla famiglia del
ricco armatore marsigliese del settecento, d’origine italiana, Nicolas Borély, che fu il primo della
famiglia a raccogliere opere d’arte, che furono sistemate in un museo aperto al pubblico nel 1861.
L’urna chiusina n°9, di Aix-en-Provence, alla quale abbiamo già accennato, apparteneva alla
collezione Fauris-Saint Vincens, comprata dalla città nel 1820. Quella di Avignone, n°23, faceva
parte degli oggetti acquistati dal naturalista Esprit Calvet, nato a Avignone nel 1728, che legò alla
sua città di nascità la sua collezione quando morì, nel 1810 – il che fu il nucleo primitivo dell’attuale museo Calvet. Quella che sta oggi nel museo di Laval, (n°11) fu comprata nel 1895 sul mercato antiquario parigino : si sa che proveniva dalla collezione di un nobile portoghese, il barone
D’Alcochete, che viveva a Parigi e la cui collezione fu vendita all’asta dopo la sua morte. E non
si conoscono le circonstanze esatte dell’acquisizione delle urne che sono oggi nei musei di
Clamecy e di Lons-le-Saunier (n°12 e 16), anche se, nel caso del n°16, come abbiamo visto, si sa
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che faceva parte, quando fu redatto il CII, di una collezione privata a Modena.
Invece tutti gli altri oggetti iscritti sono arrivati in Francia con la collezione Campana:
si tratta dei ventitre altri documenti, tra i quali ventuno corrispondono a urne chiusine decorate
a stampo (su un totale di ventisei oggetti di questo tipo), e due a altri materiali (ceramica attica
per il n°29, bucchero per il n°28). Si può accennare al fatto che, nel caso del Louvre, la situazione
è paragonabile: su ventisette urne iscritte di questo tipo (compresi tre casi con iscrizioni ridotte
ad una, due o tre lettere), ventuno appartenevano alla collezione Campana.17 Il che indica chiaramente l’importanza che ebbe, per la Francia, l’acquisizione dell’enorme collezione.18
Comprendeva infatti più di quindici mila pezzi – per un epoca nella quale il museo del Louvre
non contava più di tre mila vasi antichi. Ma il fatto saliente, per spiegare la presenza di tante
iscrizioni etrusche all’infuori di Parigi, è che, quando fu presa, nel 1862, la decisione di chiudere
il museo Napoleone, aperto a Parigi sui Champs Élysées, nel Palais de l’Industrie, nel quale gli
oggetti erano stati esposti dopo il loro arrivo in Francia nel 1861, il governo prese la decisione,
politicamente motivata, di non riservare alla capitale il beneficio di questo acquisto, ma di costituire piccoli nuclei, che sarebbero mandati nei musei di provincia, affinchè anche il pubblico non
parigino potesse approfittare di queste richezze archeologiche e artistiche.19 Perciò una commissione fu costituita – il cui preside fu Prosper Mérimée, che era stato ispettore generale dei
monumenti - che organizzò la costituizione di gruppi di oggetti che furono mandati in provincia, nel 1862 e nel 1863. Altri pezzi della collezione Campana, allora affidati al Louvre, furono
inviati fuori di Parigi anche dopo questa data. Ma questa prima dispersione è l’unica che interessa il nostro discorso: al che sembra, nessuno degli oggetti mandati in provincia dopo portava
una iscrizione.
Ora, questa dispersione del 1862 toccò un grande numero di oggetti: più di cinque mila
furono così inviati in quarantotto musei di provincia (e anche in quello di Algeri). Si trattava non
certo di pezzi di altissimo valore, ma di una scelta di diversi tipi di vasi e di altri materiali,
appartenenti a serie che la collezione possedeva in abundanza, e potevano fornire un buon campione di diversi tipi di antichità. Così, ogni museo riceve qualche vaso attico a figure nere e a figure rosse, un certo numero di vasi corinzi e di bucchero, e anche vasi etruschi di età ellenistica.
Ma l’aspetto più importante per noi, se si prende in considerazione l’enorme prevalenza delle
urnette decorate a stampo col motivo di Eteocle e Polinice o quello dell’eroe con l’aratro nel
materiale iscritto, è che questo tipo di oggetto fece sistematicamente parte di questi “lots
Campana.” La collezione ne possedeva una altissima quantità: l’ottava serie della quarta classe
tra le quali i Cataloghi del Museo Campana dividono gli oggetti della collezione, secondo la presentazione che ne era fatta nella villa-museo del marchese al Laterano, che era affidata ai “sarcofagi e urnette cinerarie etrusche,” comportava ottantadue monumenti di questo tipo.20 Erano
dunque disponibili per questi “lots Campana:” sessantadue urne furono mandate fuori di Parigi
– sulle quali, come abbiamo visto, ventuno recano almeno tracce di iscrizioni. L’organizzazione
di questi invii fu fatta in un modo quasi militare – il che non sorprende, dato l’epoca e il tipo di
régime! I musei erano stati divisi in musei di prima, di seconda e di terza classe, secondo la loro
importanza. La prima classe ne registrava ventuno – ovviamente le più grandi città, come Lione
o Marsiglia -, la seconda, diciotto, la terza, dieci. Ognuna città riceveva un certo numero di pezzi,
in accordo con la sua classificazione. Il che andava da 112 per Lione – città che riceve il più alto
numero di pezzi – fin a 65 per la piccola cittadina di Gournay, nella Normandia – che doveva
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accontentarsi di un numero di 65, il più basso che appare nella lista. Per gli oggetti che ci interessano – le urnette chiusine, segnalate negli elenchi di questi invii Campana come “petits
tombeaux étrusques” -, la distribuzione seguiva la classificazione in tre classi. I musei di prima
classe ebbero spesso due urne – una di ciascuno tipo -, o, quando ne ebbero soltanto una, era del
tipo con Eteocle e Polinice, il cui ornamento, con frisa e pilastri, è più sviluppato. I musei di seconda classe, alla sola eccezione di Boulogne-sur-Mer (che riceve due urnette, del tipo con l’eroe
con l’aratro), ebbero soltanto una urna, che era piuttosto del tipo con Eteocle e Polinice, considerato più bello. Quelli di terza classe, infine, ebbero una unica urna, solitamente del tipo,
meno prestigioso, con l’eroe con l’aratro, oppure, quando si trattava dell’altro tipo, di pezzi in
cattivo stato di conservazione.
Dato il tipo di iscrizione che esiste nei musei francesi di provincia, non sono certo da
aspettare grandi novità sul piano linguistico. Si tratta quasi sempre di epitaffi su urne, e anche i
pochi altri esempi appartengono a classi ben note, di limitato interesse linguistico. Nel caso dell’iscrizione vascolare di Rouen (n°28), abbiamo una marca di possesso del tipo mi + genitivo del
nome del possessore, qui espresso dal solo prenome (larisa, forma consueta in epoca arcaica di
larisal), tipo di epigrafe sul quale bastera rimandare allo classico studio di L. Agostiniani.21
L’iscrizione vascolare di Clermont-Ferrand (n°29) e le due su oinochoai di bronzo a Marsiglia
(n° 30, 31), forniscono nuovi esempi della parola suthina apposta su doni funerari, con la significativa differenziazione grafica tra la grafia ceretana con il sigma a quattro tratti, presente su un
vaso attico dl V secolo a.C, e quella con san, presente su materiale di bronzo di provenienza
probabilmente volsiniese, di IV/III secolo a.C., secondo la ripartizione delineata da P.
Fontaine.22 Ma tutti gli altri esempi – compreso l’urna di pietra di Marsiglia, n°27 – sono brevi
formule onomastiche, senza le aggiunte che si possono incontrare (indicazione dell’età del
defunto, formula ui cesu, hic iacet, vel sim.). Dunque offrono soltanto nomi personali, all’esclusione di ogni altra parola, con la sola eccezione di due urne (quella di Annecy, n°15, e una di
Lione, n°7), che corrispondono a deposizioni di liberti, e forniscono esempi della parola lautni,
e dell’esemplare di Nîmes (n°13), che conteneva insieme le ceneri del marito e della moglie, qualificata come tale dalla parola puia. Questi sono gli unici casi di elementi non onomastici in tutta
la serie.
Questo non significa però che questi documenti non apportano niente di nuovo. Ci
danno nuovi nomi personali della zona di Chiusi per i secoli II/I a.C., e, a volte, ci fanno
conoscere nuovi individui appartenenti a famiglie già note. Ora questo non è privo di interesse.
Come è stato ben sottolineato da H. Rix, il caso delle città, a quell’epoca, è eccezionale, non
soltanto nel campo dell’epigrafia etrusca, ma anche in quello dell’epigrafia dell’antichità classica
in generale: abbiamo una documentazione la cui estensione ne fa indubbiamente una delle città
meglio note di tutta l’antichità, almeno per quel periodo. L’esistenza di quasi tre mila epitaffi, per
un lasso di tempo che non supera un secolo e mezzo, e per una città che non doveva contare più
di cinque o sei mila abitanti, permette di conoscerne la demografia con una precisione che appare
impossibile altrove. Se si tiene conto anche del fatto che gli usi epigrafici locali indicano quasi di
regola il matronimico, cioè danno non soltanto il nome della famiglia del padre – che viene
trasmesso al figlio -, ma anche quello della madre, siamo in grado di ricostruire veri stemmi
genealogici, di collocare una persona all’interno dei suoi legami familiari. Ora la considerazione
di nuovi epitaffi comme quelli presenti nei musei francesi di provincia consente, in certi casi, tali
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ricostruzioni genealogiche. Per esempio la donna chiamata Hasti Cainei dell’urna di Rennes
(n°4) portava certo un nome gentilizio banale, Cainei, che corrisponde alla forma maschile Cae,
che è il gentilizio più diffuso in tutta la città.23 Ma la madre era una Caulia, il che corrisponde ad
un gentilizio poco attestato : deve dunque essere stata sorella di un uomo il cui nome appare,
insieme sotto forma etrusca e latina, come l : cae : cauliaśv / LART CA[E] CAULIAS, cioè
Lar Cae figlio di una Caulia, su una tegola sepolcrale già nota nel XVII secolo.24 I legami di
parentela si lasciano anche determinare nel caso di un uomo attestato su una urna del museo di
Besançon. L’iscrizione si lascia ricostruire come [l] : cae : umr[in]al, e ci fa dunque conoscere
un Lar Cae figlio di una Umrinei.25 Ora, una urna oggi nel museo di Palermo, ivi pervenuta
con l’acquisto di pezzi della collezione Casuccini di Chiusi, reca il nome di una cainei vetisa
umrinal, cioè di una Cainei sposa di Veti e figlia di una Umrinei. Ancora qui, abbiamo a fare con
un fratello e una sorella.
Altri casi si possono notare. A Nîmes, abbiamo, con il n°13, una occorrenza, finora
unica per questo tipo di materiale, di una deposizione doppia nello stesso monumento.
Diversamente di quello che si incontra nel caso delle tombe dei Marcni a Asciano, dove rispondono ad una particolare abitudine di questa gens nobiliare, dato lo scarso valore dell’oggetto, tale
uso è dovuto alla povertà dei commitenti. E, se l’uomo portava, apparentemente, un gentilizio
di un altro tipo (pare possibile ricostruirlo come Laucane o Laucinie), aveva sposato una donna
che portava un Vornamengentilicium, una Lari Caia, che era dunque probabilmente di un
basso livello sociale. Di più, la forma del nome dimostra che non era di origine chiusina, ma era
venuta da Perugia: il nome ha la forma solita a Perugia, Caia, ma non quella in uso a Chiusi,
Cainei. Ma il caso più interessante della serie è probabilmente quello fornito dall’iscrizione di
Lione n° 7. Si tratta questa volta di un liberto, Lee Veluri, definito come lautni. Ora conosciamo una Hasti Veluria, qualificata come lautnia, la cui iscrizione, apposta su una urnetta dello
stesso genere, fu recentemente pubblicata da H. Rix, D. Stutzinger, P. H. Blänke.26 Era una colliberta del titolare dell’urna di Lione, forse sua moglie: le due urne furono probabilmente trovate
insieme, ma disperse dopo la scoperta, comme accade spesso per i materiali trovati nella prima
meta dell’ottocento, epoca alla quale pare lecito attribuire la scoperta di questi documenti. Ma
l’interesse di questo documento non si limita a questo. Il defunto porta come prenome il tipico
elemento onomastico Lee, il cui significato sociale fu delineato, più di cinquanta anni fa, in un
classico studio del Vetter.27 Era attestato come Vornamengentilicium: ma questa volta appare,
chiaramente, come prenome.28 Il corrisponde al fatto che non siamo più nel sistema di denominazione classico degli ex-servi nel mondo etrusco, nel quale il liberto continuava ad usare come
nome – nome unico in un primo tempo, poi gentilizio – la designazione che aveva avuto come
servo.29 Nel caso di questa iscrizione, siamo passati ad un sistema di tipo latino: Veluri è infatto un gentilizio etrusco di tipo normale30 che doveva essere quello del padrone di questo liberto. Il liberto ha dunque ricevuto il gentilizio del ex-maestro, in accordo con la pratica romana.
Abbiamo così uno dei non troppo numerosi esempi dell’adozione, da parte degli Etruschi, della
regola romana – il che rimanda senza dubbio ad una fase di avanzata romanizzazione. Invece,
una altra iscrizione proveniente dalla collezione Campana, oggi in un museo di provincia (qui
n°15), ci fornisce un esempio di denominazione di liberto di tipo tradizionale etrusco, a sośuplu
lautni velsisoś, Si tratta di un Arn Suplu ex-schiavo di Velśvi.31 Portava un gentilizio che ha un
evidente carattere servile: indica la funzione che esercitava, quella di suonatore di flauto, essendo
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suplu la parola etrusca che ha dato quella latina subulo, flautista, e ha aggiunto un prenome etrusco banale, Arnq, che è il più diffuso tra i prenomi maschili. Le iscrizioni etrusche mandate in
musei francesi di provincia, nel quadro degli invii di pezzi della collezione Campana, ci offrono
dunque buoni esempi del sistema di denominazione degli ex-schiavi e della sua evoluzione –
mentre si può rilevare che nessuna iscrizione di liberto è stata conservata nella parte della
collezione che è rimasta a Parigi e sta ora nel museo del Louvre.
Le informazioni che guadagnamo con queste nuove iscrizioni non sono certo revoluzionarie, e non cambiano la nostra conoscenza della civiltà etrusca. Però aggiungono qualche
elemento alla nostra percezione, ci permettono di conoscere un po’ meglio la struttura della società chiusina nel periodo tardo-ellenistico, e ci danno nuovi esempi della condizione dei liberti e
della sua progressiva assimilazione al modello romano. Ma mostrano almeno che, con il materiale inedito che esiste nei musei dei vari paesi dell’Europa, possiamo acquistare dati non del
tutto trascurabili: vale sicuramente la pena intraprendre inchieste del genere anche fuori della
Francia.32
BIBLIOGRAFIA
Agostiniani, L. 1982. Le «iscrizioni parlanti» dell’Italia antica. Firenze.
Benelli, E. 1994. Le iscrizioni bilingue etrusco-latine. Firenze.
Briguet, M.-F. 2002. Les urnes cinéraires étrusques, Musée du Louvre. Parigi.
Cristofani, M. 1983. La scoperta degli Etruschi: archeologia ed antiquaria nel 700. Roma.
Cipriani, G. 1980. Il mito etrusco nel Rinascimento fiorentino. Firenze.
Rix, H. 1963. Das etruskische Cognomen. Wiesbaden.
Rix, H. 1994. Die Termini der Unfreiheit in den Sprachen Altitaliens. Stuttgart.
Sannibale, M. 1994. Le urne cinerarie di età ellenistica. Roma.
NOTES
1.
2.
3.
4.
Abbiamo avuto l’occasione di pubblicare una iscrizione che fornisce un esempio
recente dell’abitudine di riportare a casa souvenirs del genere: un collo di fiaschetta
di ceramica con la marca di fabbrica ceizra : putila : acil, della quale cinque esempi
erano finora noti (da Bolsena, Cerveteri, Roma); questo nuovo esempio fu comprato
a Vulci da un ufficiale del corpo di spedizione francese in Italia nell’anno 1944 (D.
Briquel, REE, no 19, StEtr, 65-68, 2002, 324).
Sull’interesse per la civiltà etrusca nel settecento: Cristofani, 1983; per le prime manifestazioni di tale interesse già nel tempo dei Medici: Cipriani, 1980.
Aubin Louis Millin, Atlas pour servir au voyage dans les départemens du Midi de la
France, Parigi, 1807, II, p.226.
Ved. Catalogue d’antiquités égyptiennes et de statues antiques grecques & romaines
formant la première partie de la collection rassemblée par M. J.-B. Barrois ancien
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député du Nord dont la vente publique aura lieu à Paris, hôtel des ventes mobilières,
rue Drouot, 5, salle n°1, au premier étage, le mercredi 12 et le jeudi 13 mars 1862 à
une heure - par le ministère de Me Félix Schayé commissaire-priseur, rue de Cléry, 5,
assisté de M. Manheim, expert, rue de la Paix, 10, Parigi, 1862.
5. Ved. D. Briquel, E. Papuci. Wladicka, “Volterra, Paris, Cracorre: l’itinéraire d’un
couriercle d’urne cinéraire de la tombe des Ceicna Fetiu á Volterra,” StEtr 69, 2003,
221-242; l’iscrizione di Cracovia è Etrusksiche Texte, Vt 1.163, che deve essere identificata con Vt 1.37, conosciuta da manoscritti lasciati da R. Pagnini. L’identità delle
due iscrizioni e la provenienza del coperchio oggi a Cracovia dalla tomba dei Ceicna
Fetiu era già stata sospettata da. A. Maggiani, “Concessione della isopoliteia nelle
città etrusche. Un indizio per l’età ellenistica,” in Miscellanea Etrusco-Italica, I,
Quaderni di Archeologia Etrusco-Italica, 22, Roma, 1993, 42, n.58 e, più decisamente, da E. Papuci-Wladyka, “The Volaterran Urn Lid in Cracow (gens Ceicna
Fetiu”, in Études et travaux 13, Travaux du centre d’archéologie méditerranéenne de
l’Académie polonaise des sciences, tome 26, 1978 (1985), 312-314.
6. Il testo dato nel catalogo di vendita è Caia ….. thel a’zusa, che può essere interpretato come caia… qelazusa, e …. th .. thei l ….. rnthnl…, cioè. ……ei l… arnal.
7. D. Briquel, REE, n°50, StEtr 59 1993, 299-300.
8. Nel 1862, questo coperchio fu comprato dall’archeologo francese François Lenormant,
poi passò nella collezione del principe Wladislaw Czartoryski, che lo regalò nel 1872 al
Dipartimento di Archeologia dell’Università Jagellon di Cracovia. Ved. D. Briquel,
“Volterra, Paris, Cracorre: l’itinéraire d’un couriercle d’urne cinéraire de la tombe
des Ceicna Fetiu á Volterra,” StEtr 69, 2003, 221-242.
9. Alludiamo ai corpus di Ariodante Fabretti, Corpus Inscriptionum Italicarum, Torino,
1867, con Supplementi, I-III, risp. 1872, 1874, 1878, e G. F. Gamurrini, Appendice al
Corpus Inscriptionum Italicarum, Firenze, 1880; l’impresa del CIE, cominciata da O.
A. Danielsson e C. Pauli, che pubblicarono il primo volume in Leipzig tra 1893 e
1902, ora sempre in corso; i complementi che M. Buffa aggiunse ai CII e CIE con la
sua Nuova Raccolta di Iscrizioni Etrusche, Firenze, 1935; e sopratutto il recente silloge procurato da H. Rix e i suoi collaboratori Etruskische Texte, Tübingen, 1991.
10. Questo materiale fu studiato nel III volume del corpus di H. Brunn e G. Körte,
Rilievi delle urne etrusche, Roma, 1916; per una recente sintesi, ved. A. Rastrelli, catalogo della mostra Artigianato artistico in Etruria, Chiusi-Volterra, 1985 (Milano,
1985), a cura di A. Maggiani, 100-119.
11. Elenchi sono dati da Sannibale 1994, 119, 124-125. Si può lamentare la totale assenza di
esemplari conservati in musei di Francia in questi elenchi, anche quando ne esistevano
pubblicazioni, a volte recenti (p. es. cataloghi di mostre Antiquités méditerranéennes des
musées de Bourgogne, Digione, 1976, n°101-102, p. 34-35, per una urna di Autun e una
di Auxerre, Aspects de l’art des Étrusques, Toulouse, 1986, n°98-101, p. 19-20, per due
urne di Toulouse e due di Montauban, o studi come quelli di M. Renard, “Terres cuites
étrusques inédites du Musée des Beaux Arts de Lille.” Latomus 3, 1939, 243-247, con due
urne, 242-243, di C. Rolley, in L’Écho d’Auxerre 44, 1963, sull’urna conservata in questa
città, o di P. Bailly, “L’Étrurie aux musées de Bourges,” Cahiers d’archéologie et d’histoire
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du Berry, 88-89, 1987, 35-51, con la presentazione, 48-49, di una urna di Bourges).
12. Abbiamo studiato le iscrizioni delle urne cinerarie del museo del Louvre in un
appendice al catalogo Briguet, 2002, 181-243.
13. Si tratta risp. di Cl 1.2455 (studiata soprattutto da M. Martelli, REE n°45, StEtr 47, 1979,
335), Cl 1.2384 (pubblicata da G. Colonna in REE n°124, StEtr 46, 1978, 371-372.
14. A Lons-le-Saunier è conservata l’urna recante l’iscrizione Cl 1.2434, pubblicata dal
Fabretti quando era in una collezione privata a Modena, e a Marsiglia quella recante
l’iscrizione Cl 1.1424, che era finora consciuta soltanto attraverso una trascrizione
dei Cataloghi Campana, che, come spesso accade per questa fonte, dava una lettura
errata del testo.
15. Si tratta dei musei di Marsiglia (quattro iscrizioni, delle quali una è molto frammentaria), Rouen (tre iscrizioni, delle quali una è mal conservata) Lione e Arles (in
ambedue casi, due iscrizioni, delle quali una è mal conservata) Nîmes, Aix-enProvence, Bordeaux, Clermont-Ferrand, Lons-le-Saunier, Besançon, Metz, Colmar,
Clamecy, Rennes, Laval, Tours, Beauvais (una iscrizione in ciascuno caso); a
Grenoble, Avignone, Toulouse, Le Mans, Chartres sono conservati oggetti con
iscrizioni ridotte a poche lettere, interpretabili a volte come prenomi.
16. Gli casi diversi sono quelli dei musei di Marsiglia (cinque iscrizioni, se si tiene conto
di Cl 1.2455), Rouen (tre), Lione e Arles (due).
17. Sei urne hanno una diversa origine (tre della collezione Durand, acquista nel 1825;
una comprata nel 1851; due provenienti dalla collezione di Émile Guimet e dal suo
museo, che fu aperto a Lione nel 1878). Ved. Briguet, 2002.
18. Per i dati precisi sull’acquista da parte della Francia della collezione, possiamo rimandare a G. Nadalini, “De Rome au Louvre, les avatars du Musée Campana entre 1857
et 1862,” Histoire de l’Art 21-22, 1993, 47-58.
19. Su queste vicende, si vedra l’accurato studio di G. Nadalini, “La collection Campana
au Musée Napoléon III et sa première dispersion dans les musées français (18621863).” Journal des Savants 1998, 183-225.
20. Ved. a proposito del museo Campana e della sua sistematizazzione a Roma G.
Nadalini, “La villa-musée du marquis Campana à Rome au milieu du XIXe siècle”
Journal des Savants 1996, 419-463.
21. Agostiniani 1982.
22. P. Fontaine, “À propos des inscriptions ośuina sur la vaisselle métallique étrusque,”
colloque Vaisselle métallique, vaisselle céramique: production, usages et valeurs en
Étrurie, a cura di J.-R. Jannot, Nantes, 1994 (= RÉA 97, 1995), 201-216.
23. Gli Etruskische Texte forniscono 76 esempi di questo Vornamengentilicium, che non
corrispondeva ad una sola famiglia, come è stato ampiamente mostrato da Rix 1963.
24. Iscrizione Cl 1.1336, sulla quale si vedra ora Benelli 1994, n°32, 33.
25. Il gentilizio Umrina/Umrinei è rarissimo (tre esempi come matronimico), il che fa
che la sua presenza appare significativa per stabilire rapporti di parentela.
26. D. Stutzinger, P. H. Blänke, H. Rix, REE, n°14, StEtr 60, 1994, 239-242. L’iscrizione
si trova nel museo dell’università di Francoforte.
27. E. Vetter, “Die etruskischen Personnamen Lee, Lei, Leia und die Namen unfreier
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oder halbfreier Personen bei den Etruskern,” ÖJhBeibl 37, 1948, 57-112.
28. Un uso come prenome era attestato, indirettamente, dal patronimico del Lar Felsnas
figlio di Lee della famosa iscrizione parietale tarquiniese con riferimento ad azioni
svolte dal defunto in rapporto con Annibale (Ta 1.107).
29. Ved. a proposito il recente studio di Rix (1994: 106-111). Si conoscono circa 120
esempi di denominazioni del primo tipo, 30 del secondo tipo.
30. Questo gentilizio è sviluppato dal prenome Velur. Ved. Rix 1963, 264 ; lo stesso
tipo di formazione è attestato per Tinuri rispetto a Tinur, 258-259.
31. Sur questa iscrizione, G. Colonna, REE, n°124, StEtr 46, 1978, 371-372, Rix 1994, 109.
32. Non è escluso che i musei dei nostri paesi possediano documenti di interesse meno limitato : ricorderemo il caso del vaso, probabilmente ceretano dell’inizio, del VII secolo
a.C., proveniente della collezione Campana, che stava nei magazzini del Louvre e che ci
ha rivelato il nome di Laucie Mezentie, cioè ci ha dato la prima testimonianza del nome
di Mezenzio nell’epigrafia etrusca (F. Gaultier, D. Briquel, J. Gran Aymerich, REE, n°73,
StEtr 56, 1989-1990, 350-356). La lettura data da E. Pottier, ripresa in Etruskische Texte
(OA 2.25), é da respingere.
ENGLISH SUMMARY
HELEN NAGY
An example of ‘archeology in the museums’: Etruscan inscriptions in French museums.
The greater portion of the vast quantities of Etruscan antiquities discovered since the
Renaissance has remained in Italy. However, a number of inscribed objects ended up
abroad in foreign collections, acquired by collectors, especially during the course of the
nineteenth century. Private collections are more difficult to trace, but a number of these
did pass into public museums, allowing relatively easy access to the material.
Nevertheless, even objects in public collections have remained unstudied by Etruscan
epigraphers and only rarely appear in Rivista d’Epigrafia Etrusca.
In France, the majority of Etruscan objects bearing inscriptions are Chiusine terracotta urns with molded decoration produced in series representing either the Theban
fratricide or the similar composition involving a figure wielding a plow as a weapon.
Unpublished material of this sort is found not only in the smaller collections around
France, but also in the Louvre, where of the 27 urns of this type, 10 have remained
unpublished. Only 2 inscriptions in collections outside Paris have been published.
Most of the Etruscan epigraphic material in French museums comes from the
Campana collection. This vast collection, which once included over 15,000 items, was dispersed
in 1862 when the Napoleon Museum, located on the Champs Élysées was closed. On this occasion, over 5,000 objects were sent to 49 museums throughout France (including Algeria). Most
of this material consisted of objects of mediocre value, with the exception of some pieces that
were sent to museums deemed to be of “First Class,” such as Marseilles, and Lyons.
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Although the types of unpublished inscriptions in the French museums are not
notable from a linguistic point of view, they are of interest from an onomastic angle and
provide new evidence regarding family connections, especially in the region of Chiusi
during the 2nd – 1st centuries BC. An interesting example is No. 13 from Nîmes, an urn
depicting a battle with the hero with the plow, that contained the ashes of husband and
wife, the last word (non-onomastic) in the inscription, pu[i]a, indicating “wife.”
New names from Chiusi do provide new material for the study of family connections.
Chiusi is one of the better known Etruscan towns from a demographic point of view. For a city
of ca. 5-6,000 inhabitants, we have approximately 3,000 epitaphs over a period of a century and
half. Since local inscriptions typically include the matronymic, it is relatively easy to reconstruct
genealogies and to place an individual in a familial context. For example, No.4, an urn in Rennes
from the Campana collection includes the common family name “cainei,” with the far less common matronymic “cau[li]a,” who may have been the sister of a certain “cae” son of “caulia”
whose name appears on a bilingual funerary tile (Cl 1.1336). These and other examples listed in
the article attest to the importance of publishing these humble monuments.
Although the information provided in the inscriptions listed below does not change
our knowledge of the Etruscans in a fundamental manner, it does expand our knowledge of
the social structure of Chiusi during the late Hellenistic period. Furthermore, the material
provides us with new evidence regarding the condition of freedmen and of their assimilation
into the Roman mold. Most importantly, this study shows that it is well worth the trouble
to seek out and publish similar material from other small museums outside France.
L I S T OF E T R U S C A N I N S C R I P T I ON S I N P R O V I N C I A L F R E N C H M U S E U M S
REE = “Rivista d’Epigrafia Etrusca” in Studi Etruschi
Inscriptions on terracotta urns from Chiusi
1.
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7.
laris: almni: lar[al]
Rouen (Campana), hero with the plow, D. Briquel, REE, 1998 (2001), no. 108.
vel: cae:..
Lyon (Campana), hero with the plow, D. Briquel, REE, 1998 (2001), no. 111.
[l]:cae [:] umr[in]al
Besançon, Eteocles and Polynices, D. Briquel, REE, 2002, no. 104.
[f/h]a[s]ti: cainei: cau[li]a: [r]uf[eoś / esa]
Rennes (Campana), Eteocles and Polynices, D. Briquel, REE, 2002, no. 104.
ana: cainei: ha[l]s(n)esa
Marseilles (Campana), Eteocles and Polynices, Cl 1.1424 (Campana Catalogues), with
erroneous reading. Sec D. Briquel, REE, 2002, no. 132.
[lar][i] cali[snei] (?) …vel…
Colmar (Campana), Eteocles and Polynices, D. Briquel, REE, 2002, no. 107.
lee [:ve]luri: lautni:
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18.
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25.
26.
Lyon (Campana), Eteocles and Polynices, D. Briquel, REE, 1998 (2001), no. 110.
ar . vena[te .] venun[iaoś]
Beauvais (Campana), hero with plow, D. Briquel, REE, 2003, no. 60.
[f/h]asti . vetrui s a
Aix-en-Provence (Fauris-Saint Vincens), Eteocles and Polynices, D. Briquel, REE, 1993,
no. 50.
lari: vi[p]inei: tutn[a]sa
Bordeaux (Campana), Eteocles and Polyneices, D. Briquel, REE, 1998 (2001), no. 113.
[l]ar i: actr [ei] …
Laval (baron D’Alcochete), hero with the plow, D. Briquel, REE, 2002, no. 108.
l[ar] latin[i] [n]am[u]nal ()
Clamecy (origin unknown), hero with the plow, D. Briquel, REE, 2002, no. 106.
l(ar) / a(rn)[: la]uc[ane] / [:la]uc[inie] ()[: la]uumsnal: l(ari) ca[i]a: pu[i]a:
Nîmes, hero with plow, D. Briquel, REE, 2002, no. 113.
ana [p]ercnei ośali[aoś(?)] / ośali[sa(?)]
Metz (Campana) Eteocles and Polynices, D. Briquel, REE 1995, no. 12.
a: ośuplu: lautni: velsioś
Annecy (Campana) hero with the plow, G. Colonna, REE, 1978 no. 124, Cl 1.2384.
ana titi velanal
Lons-le-Saunier (origin unknown), D. Briquel, REE, 1998 (2001), no. 131, identified as Cl
1.2434.
…f[r]a[v]nei (?): tutnalisa
Tours, Eteocles and Polynices, D. Briquel, REE, 1998 (2001), no. 112.
arn …. [cu]runa(l) (?): fulu
Arles (Campana), Eteocles and Polynices, D. Briquel, REE, 2002, no. 103.
a: …ni … e
Marseilles (Campana) hero with the plow, D. Briquel, REE, 2002, no. 110.
a[rn …]
Rouen, Eteocles and Polynices, D. Briquel, REE, 1998 (2001), no. 109.
a[rn …]
Toulouse (Campana), Eteocles and Polynices, unpublished.
ana…
Grenoble (Campana), hero with the plow, D. Briquel, REE, 1998 (2001), no. 114.
[]ania: … lat[inial](?)
Avignon (Calvet), hero with the plow, D. Briquel, REE 2003, no. 61.
[l] / [a] … a/n
Chartres (Campana), hero with the plow, D. Briquel, REE, 2002, no. 105.
…vel…
Le Mans (Campana), hero with the plow, D. Briquel, REE, 2002, no. 109.
…a: n…
Arles (Campana), Eteoclesa nd Polynices, D. Briquel, REE, 2002, no. 102.
Inscriptions on other types of material.
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27. vel . tite . apice . oíamre
Marseilles (Borély), stone urn with representation of the suicide of Canace, M. Martelli,
REE, 1979, no. 45, Cl 1.2455.
28. mi larisa
Rouen (Campana), under the foot of a bucchero olpe, D. Briquel, REE, 1998 (2001), no.
107.
29. oíu(ina)
Cleermont-Ferrand (Campana), on an attic krater, D. Briquel, REE, 1998 (2001), no. 106.
30. ośuina
Marseilles (Borély), incised on a bronze oinochoe, D. Briquel, REE, 2002, no. 112.
31. oíuina
Marseilles (Borély), incised on a bronze oinochoe, D. Briquel, REE 2002, no. 111 (suspect)
Inscriptions on terracotta Chiusine urns in the Louvre.
32. ataine(i): ve(l)íusa
(Campana) hero with the plow, CL 1.1291 (from the Campana and Conestabile catalogues).
33. ana: celia: cumnisa:
(purchased 1851) Eteocles and Polyneices, Cl 1.1482; see D. Briquel, REE, 2002, no. 60.
34. a: cainei: ośininei
(Campana) Eteocles and Polyneices, Cl 1. 1413 (from the Campana and Conestabile catalogues).
35. ana : curune(i)
(Campana) cover with female figure, associated with urn of the hero with the plow type, of
larger dimensions, D. Briquel, REE, 2004, no. 78.
36. a: veiza : l : cainal
(Campana) hero with the plow, Cl 1.1590 (from Vermiglioli, Campana and Conestabile catalogues).
37. ania: vel iti: ośa[l]inal: unatasa
(Campana) generic battle scene, Cl 1.1640 (from Fabretti, reading to be corrected, D.
Briquel, REE, 2004, no. 67).
38. lari: vel[r]ei(?) : vetlnisa
(Campana) Eteocles and Polyneices; perhaps to be identified with CIE, 2083 (from the
Campana catalogues, reading to be corrected, D. Briquel, REE, 2004, no. 85).
39. [a]u: vete: ar: velurial
(Campana) Eteocles and Polyneices, Cl 1.1673 (from the Campana, catalogues; see D.
Briquel, REE, 2004, no. 61).
40. ana: vipinei: her mr
(Guimet), hero with the plow; identifiable with CL 1.1719, De. Briquel, REE, 2004, no. 66.
41. lar . herine fulu . laral. cainal
(Campana) Eteocles and Polyneices, Cl 1.1806 (from the Campana, Conestabile,
Danielsson Catalogues, see D. Briquel, REE, 2004, no. 64).
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42. laria: epria: aniesa
(Guimet) Eteocles and Polyneices, D. Briquel, REE, 2004, no. 74.
43. lari [pump(u)] arn(al) pumpu(al)
(Campana) hero with the plow ; “pump” (incised) added (probably) in modern period. D.
Briquel, REE, 2004, no. 75.
44. ana: larci: [s]vestnal: remnisa
Campana) Eteocles and Polyneices, Cl 1.2127 (from the Campana and Fabretti catalogues;
reading to be corrected, D. Briquel, REE, 2004, no. 63).
45. anr [m]are (?) …
(Campana) Eteocles and Polyneices, D. Briquel, REE, 2004, no. 73.
46. fasti: sernei: ucrislanesa
(Campana) hero with the plow, Cl 1.2217 (from the Campana and Conestabile catalogues).
47. ana: seiati: unial
(Campana) Eteocles and Polyneices, Cl 1.2127 (from the Campana and Conestabile catalogues).
48. SENTIA . ANI
(Campana) small model with a bed; Latin inscription, D. Briquel, REE, 2004, no. 82.
49. arnza : tite : velśu : petrual
(Campana) hero with the plow, Cl 1.1636 (from the Campana catalogues, reading to be corrected, D. Briquel, REE, 2004, no. 65).
50. vel : tutna: mana[tnal/tial]
(Durand) hero with the plow, D. Briquel, REE, 2004, no. 76.
51. (THANN/LARTH) IA VERATROI PLAUTIES
(Campana) small model with bed; Etruscan inscription in Latin script, D. Briquel, REE,
2004, no. 84.
52. l . ucrislane . titial . [la]tunial
(Campana) Eteocles and Polyneices, Cl 1.2609 (from Conestabile).
53. a: fastntru: vl: xxx
(Campana) small model with scene before gate to the underworld, Cl 1.2599 (from
Campana catalogues; see D. Briquel, REE, no. 68).
54. …a fas[trntrunia] …usa
(Durand) generic battle scene, D. Briquel, REE, 2004, no. 79.
55. lari: fremnei: carnasa
(Durand) hero with the plow, D. Briquel, REE, 2004, no 77.
56. …ea
(Campana) small model with bed, D. Briquel, REE, 2004, no. 83.
57. …e…
(Campana) small model with scene before gate to the underworld, D. Briquel, REE 2004,
no. 80.
58. …RUS
(Campana) small model with scene before gate to the underworld; traces of inscription,
probably Latin, D. Briquel, REE, 2004, no. 81.
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