La Mappa dell`abbandono: restituire alla

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La Mappa dell`abbandono: restituire alla
La
Mappa
dell’abbandono:
restituire alla comunità il
nostro patrimonio
Approvata all’unanimità la relazione sull’Indagine conoscitiva
propedeutica alla creazione di una vera propria Mappa
dell’abbandono promossa in Commissione Cultura al Senato dalla
Senatrice appartenente
Montevecchi.
al
Movimento
5
Stelle
Michela
Un promotore, Michela Montevecchi, e più di dieci audizioni,
affidate ad esperti del settore e che si sono susseguite da
luglio 2015 a gennaio 2016, sono stati indispensabili per
portare in Parlamento e dare una prima definizione dello stato
attuale del fenomeno del patrimonio culturale in abbandono
nella nostra penisola.
Trasformare una problematica in una risorsa, è da questa
volontà che l’attività portata avanti dalla senatrice Michela
Montevecchi prende forma.
L’Italia, un paese che spicca sopra gli altri per quantità e
qualità di beni culturali, presenta tuttavia un lato oscuro:
un ingente numero di beni abbandonati o riqualificati e poi
destinati nuovamente al degrado poiché privi di una concreta
progettazione relativa alla nuova destinazione d’uso.
Recuperare questi beni abbandonati significa non solo
riappropriarsi di una parte del patrimonio culturale, ma
significa anche agire sulla riqualificazione sociale del
territorio, poiché spesso questi siti si trovano collocati in
zone periferiche, significa altre sì dare nuove opportunità
lavorative ai giovani all’interno delle proprie comunità
locali attraverso azioni provenienti dal basso e quindi
strettamente legate alle esigenze territoriali.
Per avere un’idea più ampia e chiara possibile del fenomeno,
in Commissione hanno partecipato alla realizzazione
dell’indagine conoscitiva realtà quali l’Agenzia del Demanio,
il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del
Turismo, il FAI – Fondo ambiente italiano, Italia Nostra,
Mecenate 90, oltre a docenti universitari, direttori di musei
e professionisti del settore.
Incontriamo dunque la Senatrice Michela Montevecchi per
approfondire insieme l’argomento.
Intervista
alla
Senatrice
Michela
Montevecchi sulla Mappa dell’abbandono
D: Come e perché nasce l’idea di realizzare una Mappa
dell’abbandono?
R: L’idea nasce dalla congiunzione fortunata di un omonimo
progetto nato nella Regione Toscana, a cui mi sono ispirata
tra l’altro per il titolo dell’indagine, e dalla convinzione
che sia assolutamente necessario mappare il nostro patrimonio
abbandonato se si vuole partire con una seria strategia di
recupero, valorizzazione e restituzione alla collettività in
termini di fruizione e di creazione di nuove opportunità di
lavoro.
D: Quale tipologia di beni comprenderà la Mappa
dell’abbandono?
R: Nel corso dell’Indagine Conoscitiva abbiamo “scoperto” che
accanto ad un patrimonio culturale materiale ne esiste anche
uno immateriale, costituito dai beni etnodemoantropologici. Se
consideriamo poi il patrimonio paesaggistico e della
cosiddetta archeologia industriale, immagino che la futura
mappa dovrà restituire una fotografia
possibile di tutti questi patrimoni.
il
più
completa
D: A chi verrà affidato l’incarico di produrre questo
documento, ovvero quali realtà e quali competenze sono
chiamate in causa per portarlo a compimento?
R: Realizzare una mappatura di questo tipo è un obiettivo
tanto ambizioso quanto complesso, sia per la varietà dei
patrimoni sia per i vari soggetti interessati e investiti del
compito. Un tale lavoro di mappatura la collaborazione a vari
livelli istituzionali – Ministeri, Agenzia del Demanio,
Regioni, Comuni, Associazioni impegnate nella tutela e nella
valorizzazione, Comitati di Cittadini. Solo condividendo le
informazioni già in possesso e coordinando le azioni di una
strategia comune, sarà possibile ultimare il percorso. È una
sfida che deve essere raccolta e vinta.
D: A quali macro categorie possono essere ricondotti i beni
individuati perché il lavoro di mappatura presenti una certa
omogeneità e possano essere programmate in maniera organica le
azioni successive?
R: Se iniziamo l’operazione di mappatura dai beni culturali
materiali, le 4 macro aree potrebbero essere: beni demaniali
(di proprietà dello Stato); i beni di cui sono responsabili
Regioni, Enti locali, Istituzioni o Soggetti pubblici, i beni
di proprietà di privati e infine i beni ecclesiastici.
D: Una volta individuati i luoghi della cultura abbandonati,
quali sono le azioni e/o gli strumenti che lo Stato offrirà
per far si che questi risorgano a nuova vita trasformandosi in
motore economico per le realtà territoriali sulle quali
insistono?
R: Lo Stato dovrà offrire tutti gli strumenti normativi e le
risorse finanziarie a disposizione per favorire le iniziative
di recupero e valorizzazione.
D:
Quali
accorgimenti
verranno
presi
affinché
non
si
ripresentino casi di beni recuperati e nuovamente abbandonati
per via della mancanza di un concreto progetto di riutilizzo?
R: Certamente si dovrà procedere con monitoraggi e verifiche
programmati.
La
Mappa
dell’abbandono
dell’archeologia industriale
ed
i
luoghi
Tra le audizioni che hanno permesso alla Commissione Cultura
del Senato di acquisire importanti informazioni per porre le
basi della futura Mappa dell’abbandono, un intervento, per noi
che ci occupiamo di archeologia industriale, risulta
particolarmente importante: ci stiamo riferendo all’intervento
della dottoressa Francesca Santarella, avvenuto in data 27
ottobre 2015, che ha illustrato il progetto «Still alive»
condotto dall’arch. Marcello Modica insieme al quale ha
pubblicato uno splendido libro su una particolare tipologia di
architettura industriale, i Paraboloidi.
D: Ci vuole parlare dunque dell’intervento della dott.ss
Santarella e cosa significherà per i beni appartenenti al
patrimonio industriale rientrare in questa mappatura?
R: La dott.ssa Santarella ha illustrato il progetto “Still
Alive” finalizzato al censimento di edifici appartenenti al
patrimonio archeologico industriale che versano in uno stato
di accentuato e progressivo degrado. In particolare ha parlato
dei cosiddetti paraboloidi, ovvero delle strutture a copertura
parabolica tipiche degli anni Venti del secolo scorso. Tale
tipologia di architettura rappresenta anche un esempio di come
l’originaria natura industriale si possa coniugare con un
notevole pregio estetico. Far rientrare questa tipologia di
beni nella mappatura significa innanzitutto prendere coscienza
dell’esistenza di questo pezzo del nostro patrimonio
architettonico e, conseguentemente, ragionare su progetti di
recupero che possano dare nuova vita a questi luoghi a
beneficio della collettività.
Attualmente la Senatrice è in procinto di depositare una
Mozione al Governo con la quale chiede allo stesso di dare
seguito all’Indagine conoscitiva iniziando a mettere in campo
tutte le iniziative utili per intraprendere il percorso che
porterà alla realizzazione della mappa.
Archeologiaindustriale.net augura alla Senatrice Michela
Montevecchi ed alla sua iniziativa i migliori risultati
auspicati.
di Simona Politini
Founder & Project Manager Archeologiaindustriale.net
Note:
L’apparato iconografico è a cura di Marcello Modica (Milano,
1987), architetto urbanista, si occupa di archeologia
industriale attraverso un progetto di documentazione
fotografica sul territorio italiano ed europeo “Still Alive”
(www.st-al.com ). Marcello Modica collabora con università,
enti e istituzioni e presenzia a numerose conferenze sul tema.
Di recente pubblicazione il suo primo libro “Paraboloidi. Un
patrimonio dimenticato dell’architettura moderna” realizzato
in collaborazione con la dott.ssa Francesca Santarella
(Edifir, 2015).
Paraboloidi. Un patrimonio
dimenticato dell’architettura
moderna
“Paraboloidi. Un patrimonio dimenticato dell’architettura
moderna”, il volume realizzato da Marcello Modica e Francesca
Santarella ed edito da Edifir illustra un fenomeno
architettonico ancora in gran parte sconosciuto in Italia.
I paraboloidi, infatti, nonostante le loro origini ed
evoluzione nel corso del Novecento abbiano interessato in modo
significativo proprio questo paese, sono delle strutture la
cui conoscenza è ancora poco diffusa. Trattasi dei magazzini
industriali a copertura parabolica (comunemente detti
paraboloidi, sebbene il termine non sia propriamente esatto):
maestose volte nervate in cemento armato, unione perfetta tra
funzionalità ed estetica, che hanno conquistato una posizione
di tutto rispetto nell’architettura industriale legata al
Movimento Moderno ed alla produzione seriale – tanto da essere
successivamente “esportati” in numerosi paesi europei.
L’obiettivo di questo libro è di fare luce, per la prima volta
in Italia, su un patrimonio storico, architettonico e
culturale di valore inestimabile che, per la sua natura
“industriale”, è costantemente a rischio di estinzione.
I 91 paraboloidi in Italia
Al centro della ricerca vi è un’articolata cronologia che
descrive la storia di ognuno dei 91 esemplari realizzati sul
territorio italiano tra il 1920 e il 1970 (presenti in tutte
le regioni ad esclusione della Valle d’Aosta, Lazio, Molise e
Basilicata), con un ricco ed inedito corredo di fotografie
d’epoca e attuali, disegni, planimetrie originali, e un cenno
ai recuperi effettuati e ai magazzini presenti in territorio
europeo.
Tra i numerosi esemplari esistenti alcuni emergono per
caratteristiche architettoniche, innovazioni costruttive e
dimensioni. In ordine cronologico: il magazzino clinker dello
stabilimento Italcementi di Casale Monferrato, primo esemplare
di silos parabolico mai realizzato (1922-23); il silos
perfosfato della Montecatini di Romano di Lombardia (1924-25);
il vasto magazzino fertilizzanti azotati dello stabilimento
chimico di Nera Montoro (1929-35); l’insieme dei magazzini del
sale progettati da Pier Luigi Nervi, tra cui spiccano gli
esemplari di Margherita di Savoia (1933-35), Tortona (1950-51)
e Bologna (1954); i “paraboloidi della ricostruzione” della
Montecatini presso Crotone (1946-47), Assisi (1948) e
Castelfiorentino (1948), poi Legnago (1954-55) quale primo
esemplare di paraboloide “tipo Montecatini” – ispirato ai
progetti dell’ing. Giulio Borrelli – e Porto Recanati (1955),
primo silos parabolico a testata “aperta”; tra le fabbriche
consorziali del Nord Italia: Portogruaro (1949, presso la
Fabbrica Perfosfati), Mantova (1952, presso la Fabbrica
Mantovana Concimi Chimici), Cerea (1953-54, presso la Fabbrica
Cooperativa Perfosfati), Piacenza (1954, presso il Consorzio
Agrario) e Ravenna (1956-57, presso la Società
I due paraboloidi della Montecatini di
Assisi
I due paraboloidi della Montecatini di Assisi. Il caso di
Assisi è tra i più interessanti nel panorama italiano dei
paraboloidi, essendo tra l’altro uno dei pochi che ha visto il
restauro integrale degli edifici ex industriali. In occasione
della ricostruzione post-bellica dello stabilimento di AssisiSanta Maria degli Angeli la società Montecatini decide di
attrezzare la rinnovata fabbrica di perfosfato minerale con un
grande silos parabolico con chiave ribassata (intendendo con
questa definizione i silos che presentano nastro trasportatore
posto in una struttura in c.a. sottostante la chiave di volta)
ed estradossi a vista, completato nel 1948 e costituito da due
sezioni rispettivamente di 11 e 8 archi parabolici in cemento
armato e stazione automatizzata di insacco mediana. Un secondo
paraboloide, di dimensioni più ridotte, viene aggiunto poi tra
il 1955 e il 1956. La fabbrica di perfosfato cessa l’attività
negli anni Settanta e, successivamente, viene acquisita
dall’Amministrazione Comunale. Negli anni Novanta si
concretizza l’interesse verso il primo dei due silos
parabolici. La porzione dell’edificio a nord è riutilizzata a
fini ricreativi e ludico sportivi (palestra boxe, bocciofila,
bar, piscina), la porzione a sud viene sottoposta ad un
recupero conservativo ad opera degli ingg. Roberto Radicchia e
Marco Mezzi, per ospitare poi la sede del Teatro Lyrick
(inaugurato nel 2000). A distanza di qualche anno anche il
secondo paraboloide, in condizioni di grave degrado come il
primo, subisce un pregevole restauro (ingg. Giuseppe e Giacomo
Ferroni) e si trasforma in spazio polifunzionale per eventi e
congressi. In corso la rifunzionalizzazione della torretta
centrale del “Morandi”, destinata ad ospitare un museo della
boxe ed altre funzioni connesse.
Ai padiglioni di Assisi è dedicata una delle pochissime
pubblicazioni italiane riguardanti i silos parabolici, ovvero
La ricerca dell’arco perfetto. Da Morandi a Nervi, in
≪Bollettino per i Beni Culturali dell’Umbria≫, III, n. 4,
Quaderno 1, 2010.
A proposito dell’origine dei due edifici. I due edifici
vengono tradizionalmente fatti risalire a Riccardo Morandi (il
più antico) e Pier Luigi Nervi (il secondo), anche se in
realtà tali progetti non figurano negli elenchi ufficiali
delle opere di costoro. Molto più probabile il coinvolgimento
di ingegneri e tecnici interni alla società Montecatini, vista
la somiglianza tipologica del primo paraboloide con un altro
realizzato precedentemente (1940) dalla stessa società presso
lo stabilimento chimico di Crotone. Il cosiddetto “Morandi”
presenta caratteristiche di assoluta originalità, come la
pensilina costituita da una successione di volte a botte
sormontate da aperture a lunetta che si aprono nella volta
monolitica in cemento armato. Il “Nervi”presenta invece grandi
somiglianze con l’analogo denominato “Nervi”, ex Montecatini,
esistente a Porto Recanati.
Gli autori
Marcello Modica, urbanista e fotografo, si occupa da diversi
anni di archeologia industriale sul territorio italiano ed
europeo. Ha partecipato come guest lecturer a numerose
conferenze sul tema (Università degli Studi di Genova,
Università Cattolica di Milano, 13° Biennale di Architettura
di Venezia, NovarArchitettura) e collabora stabilmente con
riviste scientifiche (Urbanistica, Patrimonio Industriale,
Industriekultur, Llàmpara Patrimonio Industrial).
Francesca Santarella, studiosa di archeologia industriale, è
consigliere comunale a Ravenna dal 2011. Di sua iniziativa la
campagna di sensibilizzazione pubblica per la salvaguardia del
paraboloide ex SIR.
Titolo:
Paraboloidi.
Un
dell’architettura moderna
patrimonio
dimenticato
Autore: Marcello Modica, Francesca Santarella – prefazione
di Alberto Giorgio Cassani
Casa Editrice: Edifir www.edifir.it
ISBN:978-88-7970-705-3
Lingua:Italiano