Riforma delle sanzioni penali per i reati tributari: l`indebito utilizzo di

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Riforma delle sanzioni penali per i reati tributari: l`indebito utilizzo di
Riforma delle sanzioni penali per i reati tributari: l'indebito utilizzo di crediti
in compensazione
di Fabiola Del Torchio
Focus del 15 marzo 2016
Focus di Fabiola Del Torchio
Il contributo analizza il tema dell'indebito utilizzo di crediti in compensazione
alla luce delle novità introdotte dalla c.d. riforma dei reati e degli illeciti
tributari (D.Lgs. 158/2015). Il legislatore ha mantenuto la medesima definizione
dell’illecito – l’indebito utilizzo di crediti in compensazione – ma ha modificato la
sanzione, prima unica, a seconda della diversa tipologia del credito utilizzato.
Per l’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti la pena è confermata
nella reclusione da sei mesi a due anni, mentre per l’utilizzo di crediti inesistenti
la pena è notevolmente inasprita, con reclusione da diciotto mesi a sei anni;
invariata la soglia dei 50 mila euro per ogni periodo d’imposta.
SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. La compensazione dei crediti tributari - 3. Crediti non spettanti e crediti
inesistenti - 4. La compensazione illecita: gli elementi del reato
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Focus di Fabiola Del Torchio
Art. 10-quater, D.Lgs. 74/2000
1. Introduzione
Art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000 (introdotto con D.L. n. 223/2006)
È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chi utilizza in compensazione - ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs.
n. 241/1997 - crediti non spettanti od inesistenti per un totale superiore a 50 mila euro per ogni periodo
d’imposta.
Art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000 - Nuova versione D.Lgs. n. 158/2015
È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chi utilizza in compensazione - ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs.
n. 241/1997 - crediti non spettanti, mentre è punito con la reclusione da 18 mesi a sei anni chi utilizza in
compensazione crediti inesistenti, per un totale superiore a 50 mila euro per ogni periodo d’imposta.
Come si evince chiaramente dalle due tabelle, che schematicamente riportano i testi dell’articolo 10-quater del
D.Lgs. n. 74/2000 nella sua versione precedente ed in quella in vigore dal 22.10.2015 in forza della revisione
introdotta con D.Lgs. n. 158/2015, il legislatore ha mantenuto la medesima definizione dell’illecito – l’indebito
utilizzo di crediti in compensazione – ma ha modificato la sanzione, prima unica, a seconda della diversa
tipologia del credito utilizzato.
Per l’utilizzo in compensazione di crediti non spettanti la pena è confermata nellareclusione da sei mesi a
due anni, mentre per l’utilizzo di crediti inesistenti la pena è notevolmente inasprita, con reclusione da diciotto
mesi a sei anni; invariata la soglia dei 50 mila euro per ogni periodo d’imposta.
Nella relazione illustrativa alla Legge delega si evidenzia come “attenzione preminente – che prelude ad un
tendenziale rafforzamento della tutela – deve essere rivolta ai comportamenti fraudolenti, simulatori o
finalizzati alla creazione ed all’utilizzo di documentazione falsa, e cioè, in sostanza, ai fatti connotati da una
fraudolenza in senso oggettivo”: in tal senso, apparentemente, ha operato il legislatore nel modificare l’art.
10-quater, inasprendo appunto la pena per l’utilizzo di crediti inesistenti.
La scelta del legislatore sembra basarsi sulla premessa per cui il credito inesistente discenderebbe
sempre da una condotta fraudolenta del soggetto che tale credito pretende di vantare ma, ad una più
attenta analisi, non può sfuggire che anche l’utilizzo di crediti inesistenti potrebbe non necessariamente essere
frutto di un utilizzo di documentazione falsa o di condotta fraudolenta, ma solo di un’errata interpretazione della
complessa normativa tributaria.
2. La compensazione dei crediti tributari
L’istituto della compensazione trova regolamentazione negli artt. 1241 e seguenti del codice civile, e
rappresenta una modalità di estinzione dell’obbligazione – reciproca – diversa dall’adempimento.
Nonostante la portata generale del precetto di cui all’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente – a mente del
quale “l’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione ” - la disciplina della
compensazione in materia tributaria non si può ancora considerare “completa”. Basti pensare, a proposito,
all’impossibilità per il contribuente di utilizzare in compensazione i crediti certi che derivano, ad esempio, da
sentenza passata in giudicato, od anche riconosciuti dalla medesima PA che tuttavia non li ha ancora liquidati.
In linea di massima la compensazione è prevista per i crediti derivanti dalle dichiarazioni del
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contribuente, mentre è esclusa per i versamenti isolati e per tutte le ipotesi che non accedono alla disciplina di
cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 241/1997.
La compensazione è ammessa per la maggior parte dei tributi - erariali, regionali o comunali - ed anche per
debiti di natura previdenziale od assicurativa, così come per i crediti che non emergono dalla dichiarazione ma
da altro titolo, come ad esempio i crediti per le nuove assunzioni od i nuovi investimenti.
Si distinguono una compensazione “verticale” ed una compensazione “orizzontale”; nel primo caso il credito
d’imposta maturato in un periodo viene scomputato dal debito della medesima imposta relativo al periodo
successivo, mentre nel caso di compensazione orizzontale l’estinzione di un debito può avvenire anche tramite
l’utilizzo di un credito di diversa natura, riconducibile ad un’altra imposta.
Nel primo caso la compensazione può anche non essere esplicitata dal contribuente, ma desumibile solo dalle
scritture contabili (si pensi al cosiddetto “riporto in avanti” del credito IVA), mentre nel caso dicompensazione
orizzontale l’operazione di compensazione viene perfezionata solo con la presentazione del modello di delega
normalmente utilizzato per i pagamenti delle imposte (modello F24), opportunamente compilato con
l’indicazione delle diverse posizioni – di debito e credito – dei diversi tributi.
A far data dal 1° ottobre 2014, per permettere all’Agenzia delle Entrate un maggior controllo sulle operazioni di
compensazione, è stato introdotto l’obbligo – per tutti i contribuenti – di presentare modelli F24 elaborati a
seguito di una compensazione totale (e, quindi, a saldo zero) esclusivamente tramite i canali telematici
Fisconline od Entratel, mentre nel caso di modelli F24 con compensazione parziale (con saldo maggiore di
zero) anche con servizi di internet banking, ma mai comunque tramite la presentazione di modelli cartacei agli
sportelli bancari o postali.
La possibilità di un utilizzo illecito dell’istituto della compensazione ha spinto il legislatore ad inasprire
le sanzioni amministrative previste per l’utilizzo di crediti inesistenti (dapprima con il D.L. n. 185/2008,
ed in seguito con il D.L. n. 5/2009 e n. 78/2009), attualmente applicate dal 100% al 200% dell’ammontare del
credito stesso e, nel caso di utilizzo di crediti inesistenti per un ammontare superiore ad € 50.000,00 per anno
solare, all’ammontare massimo del 200%.
Nonostante la natura, certamente afflittiva, delle sanzioni amministrative in oggetto la Cassazione haritenuto
non applicabile il principio di specialità di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 74/2000, alla fattispecie di cui ci
stiamo occupando, considerando cumulabili sanzioni amministrative e sanzioni penali.
3. Crediti non spettanti e crediti inesistenti
Secondo l’interpretazione di dottrina e giurisprudenza, si considerano crediti non spettanti i crediti
“potenzialmente” compensabili ma che, per diversi motivi, non sono “legittimamente” compensabili: si
pensi, ad esempio, ai crediti sorti in materia di IVA per una errata imputazione di costi inerenti all’attività
d’impresa, oppure ai crediti corretti nell’entità ma non ancora esigibili perché non iscritti in dichiarazione, od
ancora all’ipotesi di credito che esiste ma che non può essere utilizzato nell’anno perché è stata superata la
soglia massima degli importi compensabili.
I crediti inesistenti, invece, sono crediti del tutto “fittizi”, come ad esempio quelli che scaturiscono dall’utilizzo di
fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti come nelle ipotesi di partecipazione attiva e
consapevole a dei meccanismi di frode carosello.
La riforma del 2015 ha previsto una diversa entità delle sanzioni penali per le due figure di compensazione,
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basandosi sulla premessa per cui, nell’ipotesi di utilizzo di crediti non spettanti, la condotta discende da
un’errata applicazione della normativa tributaria o contabile, mentre nel caso di utilizzo dicrediti inesistenti il
soggetto attiva una condotta di natura fraudolenta , con il chiaro intento di disattendere l’obbligo di
pagamento di un suo debito.
Spesso, come per esempio in tutti i casi già citati di partecipazione a meccanismi di frode carosello, l’assunto
ha una sua veridicità, ma sicuramente possono individuarsi crediti inesistenti non riconducibili ad attività
fraudolente, come nel caso di utilizzo di un credito che deriva da agevolazioni erroneamente ritenute spettanti, o
nell’ipotesi in cui lo stesso credito viene utilizzato erroneamente più di una volta.
In alcune ipotesi è lo stesso legislatore che identifica il credito non spettante: si pensi, a proposito, alla
disposizione di cui all’art. 30 della L. n. 724/1994 a mente del quale nel caso di credito IVA vantato da una
società considerata “non operativa” il credito è pienamente esistente, certo e liquido, ma non può essere
utilizzato in compensazione (né chiesto a rimborso) fino al momento in cui l’ammontare dei ricavi dichiarati non
supera il minimo previsto dall’applicazione di determinati coefficienti.
La Cassazione si è più volte soffermata sul tema: di recente i Supremi Giudici (Cass. pen., sez. III, 7 luglio
2015, n. 36393) hanno offerto una chiara definizione dei due diversi istituti, considerando il credito non
spettante “come quel credito che, pur certo nella sua esistenza e nel suo esatto ammontare, sia, per qualsiasi
ragione normativa, ancora non utilizzabile (ovvero non più utilizzabile) ” ed il credito inesistente invece come il
“credito per il quale non sussistono gli elementi costitutivi e giustificativi dello stesso ” (nel caso specifico il
ricorrente aveva compensato un credito IVA eccessivo rispetto al limite posto dall’art. 34 L. n. 388/2000,
secondo cui oltre ad € 516.456,90 il credito non può essere compensato ma deve essere chiesto a rimborso o
postergato in compensazione nell’anno successivo. Lo stesso aveva eccepito la mancata realizzazione del
reato di cui all’art. 10-quater perché comunque nessun dubbio vi sarebbe stato sull’esistenza del credito e sulla
sua “spettanza”, mentre la Cassazione, come indicato nel testo, ha considerato “non spettante” il credito “non
utilizzabile”).
4. La compensazione illecita: gli elementi del reato
Soggetti attivi
Soggetti attivi del delitto possono essere tutti i contribuenti legittimati - ai sensi degli artt. 17 e segg. del D.Lgs.
n. 241/1997 - ad effettuare pagamenti d’imposta utilizzando in compensazione crediti di origine tributaria vantati
nei confronti dell’erario.
Nel caso di illecita compensazione effettuata da una società , il soggetto attivo del delitto è identificato in
via principale nella figura dell’amministratore, quale responsabile del rispetto degli oneri tributari, ma anche il
socio od altri soggetti possono concorrere nel reato qualora la loro condotta consapevole risponda ai requisiti
fissati in via generale dall’art. 110 c.p. (Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2011, n. 662).
Elemento soggettivo
Quanto all’elemento soggettivo, non è richiesto un dolo specifico di evasione, ma è sufficiente il dolo generico, e
dunque che il soggetto attivo abbia la coscienza di aver effettuato un versamento inferiore al dovuto (Cass.,
sez. III, 28 febbraio 2012, n. 7662).
Condotta sanzionata
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Visto l’esplicito richiamo della norma alla compensazione ex art. 17 D.Lgs. n. 241/1997 non è sufficiente ad
integrare il reato un mancato versamento, ma occorre che lo stesso derivi, a monte, da una
compensazione tra le somme dovute all’erario ed il credito - non spettante od inesistente - vantato dal
contribuente. Secondo la definizione offerta dalla Cassazione, “è proprio la condotta, necessaria, di
compensazione ad esprimere la componente di frode insita nella fattispecie, e che rappresenta il quid
pluris che differenzia il reato di cui all’art. 10- quater rispetto ad una fattispecie di mero omesso versamento ”
(Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2015, n. 15236).
L’espresso richiamo all’art. 17 ha spinto la dottrina a ritenere l’art. 10-quater riferibile solo alle ipotesi di
compensazione orizzontale mentre l’indebita compensazione verticale, tra tributi omogenei, potrebbe essere
punita attraverso il più grave reato di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 del D.Lgs. n. 74/2000.
Di diverso orientamento, invece, la Corte di Cassazione che ha inizialmente considerato sussistere il reato di cui
all’art. 10-quater, anche nel caso di compensazione verticale, poiché, “l’innovazione introdotta dall’art. 17 è
costituita dal superamento del concetto di compensazione tradizionale tra debiti e crediti di imposta della
stessa natura (compensazione cosiddetta verticale), mediante l’estensione della facoltà di compensazione
anche a debiti e crediti di natura diversa, nonché alle somme dovute agli enti previdenziali. Sicchè l’art. 17 ha
solo allargato le ipotesi di compensazione già previste dalle norme tributarie, non escludendo affatto che
l’istituto possa trovare applicazione relativamente a tributi della stessa specie ” (Cass. pen., sez. III 30
novembre 2010, n. 42462 pronunciatasi, appunto, in tema di compensazione verticale di IVA).
La sentenza, duramente criticata dalla dottrina (CARACCIOLI I., Effetti repressivi delle indebite
compensazioni, ricorda che a proposito della sentenza 42462/2010 si è parlato di “pasticcio sull’IVA in
Cassazione” e che già il prof. Pietro Adonnino scriveva “se fosse vero che detrazione è uguale a
compensazione, esistendo un limite alla compensazione di 516.000 euro, allora in mancanza di capienza per
l’iva a credito si sarebbe costretti a procrastinare il recupero nel tempo ottenendo un effetto opposto a quello
voluto dal legislatore”) è stata confermata nel 2014 (Cass. pen., sez. III, 8 maggio 2014, n. 30267), mentre
diverso orientamento emerge da una più recente sentenza del 2015, ove i Giudici, se pur non esplicitamente
negando l’orientamento precedente, hanno sottolineato l’importanza e la rilevanza della compensazione
orizzontale, escludendo la configurabilità del reato nel caso in esame in quanto l’imputato non aveva
compilato alcun modello F24 con l’indicazione del credito – inesistente o non spettante – da portare in
compensazione (Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2015, n. 15236).
Diversi e contrastanti orientamenti sono emersi nella giurisprudenza di legittimità anche in relazione alla
configurabilità del reato in caso di utilizzo in compensazione di crediti di natura non tributaria; secondo Cass.
pen., sez III, 3 luglio 2014, n. 45225 “integra il delitto di truffa ” e non dunque quello di indebita
compensazione “la condotta del datore di lavoro che, per mezzo dell’artificio costituito dalla fittizia
esposizione di somme dichiarate come corrisposte al lavoratore, induce in errore l’istituto previdenziale sul
diritto al conguaglio di dette somme, invero mai corrisposte, realizzando così un ingiusto profitto e non già una
semplice evasione contributiva”.
Nello stesso senso Cass. pen., sez. II 7 novembre 2014, n. 51845 non ha ritenuto integrato il reato di cui all’art.
10-quater nel caso di compensazione di crediti previdenziali e non tributari (nel caso specifico il datore di
lavoro, dopo aver omesso di corrispondere ad una lavoratrice l’indennità di maternità ad essa spettante, aveva
comunque utilizzato le relative somme a conguaglio con quanto dovuto all’istituto previdenziale ad altri titoli)
mentre, più di recente ed in senso opposto, i giudici di legittimità hanno rilevato l’esistenza di unrapporto di
specialità tra truffa ed indebita compensazione, “individuando l’elemento specializzante nella esatta
individuazione della natura dell’artificio, consistente nella compensazione ” effettuata ex art. 17 del D.Lgs. n.
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241/1997 anche di partite debitorie con crediti previdenziali inesistenti (Cass. pen., sez. III, 21 gennaio 2015, n.
5177).
Consumazione del reato
Il delitto di cui all’art. 10-quater si inserisce nel quadro dei delitti istantanei, e si consuma nel momento stesso in
viene operata la compensazione, quindi al momento della presentazione del modello F24.
A differenza degli altri delitti relativi alla fase della riscossione, che si consumano in un momento preciso e
determinato, riferito agli obblighi dichiarativi annuali, e dunque sempre in un momento successivo alla chiusura
del periodo d'imposta, la fattispecie criminosa dell’indebita compensazione - proprio per effetto della
possibilità di compensare debiti con crediti d'imposta in periodi infrannuali - si può realizzare anche
nel corso dell'esercizio e quindi in una data non determinabile in astratto.
Nel caso in cui, nello stesso periodo d’imposta siano state effettuate piùcompensazioni superiori alla soglia
di punibilità, per parte della dottrina il reato resta unico, al limite aggravato dalla entità del danno, mentre, per
altri, si potrebbe propendere per l’ipotesi di reato continuato per aver il contribuente commesso, in tempi diversi,
più violazioni della medesima norma di legge.
Nelle ipotesi, più frequenti, in cui il contribuente procede in momenti diversi a compensazioni che,
autonomamente considerate, non superano la soglia edittale, il delitto si perfeziona alla data in cui si
procede, nel medesimo periodo d’imposta, alla compensazione dell’importo che, sommato a quelli
precedentemente utilizzati, determina il superamento della soglia stessa.
Sul punto i Giudici di legittimità si sono pronunciati espressamente, statuendo che “nel caso in cui, nel corso di
uno stesso periodo d’imposta, siano effettuate compensazioni con crediti non spettanti od inesistenti per
importi inferiori alla soglia, la figura illecita in esame non può ritenersi integrata in quanto il reato si configura
solo nel momento in cui si procede, per lo stesso periodo d’imposta, alla compensazione di un ulteriore
importo di crediti non spettanti od inesistenti che, sommato agli importi già utilizzati in compensazione sia
superiore alla soglia di rilevanza di 50 mila euro” (Cass. pen., 16 maggio 2012, n. 7662).
La Corte di Cassazione ha altresì precisato che il superamento della soglia di punibilità rappresenta non un
elemento costitutivo del reato, ma una condizione obiettiva di punibilità, considerando pertanto legittimo il
sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, dell'importo corrispondente all'imposta evasa
nella sua totalità e non alla sola parte che eccede la soglia di punibilità prevista dalla legge (Cass. pen. sez. VI,
16 dicembre 2014, n. 6705).
Rapporto tra illecito penale ed illecito amministrativo
Come anticipato, secondo la Corte di Cassazione tra il reato di indebita compensazione e l’analoga fattispecie
di illecito amministrativo non opera il principio di specialità di cui all’art. 19 del D.Lgs. n. 74/2000 (ai sensi
del quale quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni in tema di reati tributari e da una
disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale) e di conseguenza,
nel caso dell’indebita compensazione possono essere irrogate tanto la sanzione amministrativa
quanto quella penale, poiché la prima colpisce l’utilizzo di crediti non esistenti o non spettanti, mentre la
sanzione penale colpisce l’ulteriore condotta dell’omesso versamento (Cass. pen., sez. III, 8 maggio 2014, n.
30267).
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Questo orientamento, tuttavia, non pare conforme ai principi elaborati ed espressi da
consolidata giurisprudenza della Corte Europea della CEDU che, in diverse occasioni si è pronunciata con
precisione sulla portata del ne bis in idem (si ricordano, tra le altre, le recenti decisioni - casi Grande Stevens c.
Italia / Nikanen c. Finlandia / Lucky Dev. c. Svezia, rispettivamente del 4 marzo 2014, 20 maggio 2014 e 27
novembre 2014).
Secondo la Corte Europea, al fine di stabilire la natura di una sanzione, occorre prescindere dalla qualificazione
nominalistica attribuita dal legislatore nazionale, dovendosi invece aver riguardo ad un’interpretazione
sostanzialistica della norma, talchè la natura penale della sanzione amministrativa deve essere desunta in
relazione al livello di “afflittività” della stessa.
In tale prospettiva, ed in relazione all’illecito di cui ci stiamo occupando, è evidente che non si può escludere la
componente afflittiva – e quindi, per natura e livello di gravità riconducibile alla materia, in senso lato, penale –
della sanzione amministrativa prevista dal D.L. n. 78/2009 che, come già ricordato, prevede sanzioni dal 100 al
200% dell’ammontare del credito utilizzato, e, di conseguenza, la necessità per il giudice nazionale di
valutare la conformità ai principi del diritto europeo dell’applicazione sia della sanzione tributaria
che di quella penale.
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