Capitolo 5: Una spada di fiamme (seconda parte) All
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Capitolo 5: Una spada di fiamme (seconda parte) All’interno della cabina dell’elicottero che si allontanava, Kaname stava pazientemente aspettando l’occasione buona. Le guardie private di Leonardo, composte dagli uomini in uniforme da combattimento, erano completamente distratte. Alcune di loro erano occupate a controllare la situazione del ragazzo gravemente ferito, altre invece osservavano con circospezione fuori dal finestrino del velivolo. Sporcata dagli schizzi di sangue ed esausta, Kaname sedeva in un angolo senza che nessuno si preoccupasse della sua presenza. L’uomo di fronte a lei si era chinato dal sedile e stava parlando di qualcosa con i piloti presenti all’interno della cabina. Anche se non capiva molto bene lo spagnolo, si trattava probabilmente di un discorso sulle condizioni di Leonardo. Doveva muoversi in quel momento. Non appena il pensiero le attraversò la mente una serie di conflitti interiori iniziarono a tempestarla. La sua avventatezza sarebbe stata sufficiente? Sarebbe andato tutto secondo i suoi piani? Anche con la presenza di Kalininn a bordo del velivolo? E poi c’era lui... il povero Leonardo che stava soffrendo a causa sua... Sei pazza! Scosse leggermente il collo. Non si era già sentita in quel modo poco tempo prima? Quella insignificante compassione poteva rivelarsi fatale, ora lo sapeva molto bene. Chiuse gli occhi carichi di tensione e fece un profondo respiro. Serrò le labbra e li riaprì. Dall’anca del soldato che era rivolto verso la cabina spuntava una pistola automatica riposta all’interno della fondina. Va bene, proviamoci... Kaname allungò la mano verso la pistola, la estrasse con rapidità e si spostò dietro al soldato. In un istante l’uomo cercò di reagire afferrando la sua mano, ma fu troppo lento. Kaname riuscì ad evitarlo venendo sfiorata solo con la punta delle dita, impugnò l’arma e mirò all’avversario. “Non muovetevi o sparo!” Era da tanto tempo che non urlava ad alta voce in quel modo. Mentre teneva sotto mira l’uomo davanti a lei, gridò altre istruzioni. “Corri subito ad avvertire il pilota! Voglio che questo elicottero torni indietro!” “Ho capito, stai calma.” Uno dei soldati si mosse verso la cabina e colloquiò con i piloti all’interno. Dopo pochi istanti uno degli occupanti venne da loro, non si trattava però del pilota ma di Andrei Kalininn. Nonostante la pistola rubata al suo sottoposto che ora Kaname gli stava puntando verso il petto, Kalininn non mostrava alcun segno di sorpresa. “A quanto vedo stai bene. Credevo fossi ancora sotto shock dopo avergli sparato” disse Kalininn. “Signorina Chidori, tolga il dito dal grilletto e mi restituisca la pistola. Farò in modo che la questione finisca qui.” “Non mi dia degli ordini o sparo!” “Non faccia qualcosa di così irragionevole” replicò Kalininn con tranquillità. “Le persone che non hanno intenzione di premere il grilletto non dovrebbero tenere in mano una pistola. E’ solo una perdita di tempo e potrebbero capitare spiacevoli incidenti. Pensavo che l’esperienza di poco fa le fosse stata sufficiente.” “Intenzione di premere il grilletto, eh?” Mantenne fermamente la posizione e fece un nuovo respiro. Senza lacrime. Senza esitazioni. Senza niente che potesse dare una chance a quel vecchio veterano. Cercò di raccogliere la propria forza interiore e fissò negli occhi il suo avversario. “Quindi hai intenzione di sparagli? Intendo a Sosuke...” Nella relazione tra Kalininn e Sosuke c’erano molte cose che non sapeva. Anche nelle loro conversazioni non c’era molto che fosse trapelato. Però Kaname era sicura ci fosse un legame. Quando Sosuke si rivolgeva a lui chiamandolo ‘Maggiore’ aveva un tono di voce calmo e pieno di fiducia. ‘Mao’, ‘Kurz’, ‘capitano’, ‘sua eccellenza capoclasse’. Era simile a quando pronunciava quei nomi, anzi no, avvertiva sotto un senso di sicurezza molto più grande che echeggiava. Se quel Kalininn fosse diventato sul serio un nemico di Sosuke, lui sarebbe stato in grado di restare calmo? Sarebbe riuscito a sparargli? E dopo tutto questo, quell’uomo le faceva pure la predica con una faccia del genere? “Sparerei...” rispose Kalininn senza addurre motivazioni. Una replica indifferente con una sottile enfasi. “Ho già dato quell’ordine. Ed ho anche una ragione per averlo fatto. Ma in questo momento hai una risolutezza e una rassegnazione tale che non capiresti...” “Stai mentendo.” “Se è ciò che vuoi credere sei libera di farlo. Ma se andrai avanti con questa sciocchezza ti farò pagare le conseguenze del gesto.” “......” “Il risarcimento è la vita dell’uomo che ti sta davanti. Se intendi sparare allora fallo.” Le parole di Kalininn penetrarono nel cuore di Kaname una dopo l’altra. Davvero una ragazza alle prime armi e senza alcun tipo di addestramento sarebbe riuscita a rubare una pistola puntandola in fronte ai passeggeri dell’elicottero, ordinando al pilota di tornare indietro? Di fronte a questo, come avrebbero reagito i mercenari all’interno della cabina? Questo si stava chiedendo Kaname. Nei loro sguardi non vi era paura. Non si leggeva né volgarità, né scherno. Neppure rabbia o irritazione. Solo degli sguardi inespressivi che la fissavano. In passato avrebbe creduto di trovarsi all’interno di un luogo immaginario, ora però riusciva vagamente a capire cosa stessero pensando. Era probabile che avessero già analizzato la situazione. La pistola carica e il proiettile pronto a colpire. Non erano turbati dalla stupidità del compagno che si era fatto rubare l’arma. Se Kaname avesse sparato il proiettile avrebbe trapassato il suo corpo e forse danneggiato alcuni degli equipaggiamenti dell’elicottero. Ecco perché non aveva significato per loro che avesse preso un ostaggio. Non avevano alcun interesse nella sua vita. “Va bene, allora cosa mi dite di questo?” Kaname spostò la punta dell’arma dal petto dell’uomo al soffitto del velivolo. Immediatamente i mercenari si irrigidirono. Sopra la cabina si trovava il rotore e il sistema idraulico del mezzo. Anche essendo un elicottero militare il suo interno non era antiproiettile. Una serie ripetuta di colpi di pistola avrebbe potuto provocare seri danni. “Che ve ne pare? Potrei sparare in questo modo.” “Capisco. Vuoi provocarci un attacco di panico.” Kalininn mantenendo uno sguardo serio lasciò andare un breve lamento. Sembrava un docente di grande esperienza deluso dal fatto che il proprio studente avesse fornito una sola soluzione ad un problema. “Attualmente viaggiamo ad un’altitudine di 300 piedi e a una velocità di 120 miglia all’ora. Se subissimo un danno serio non ci sarebbe possibilità di effettuare un atterraggio di emergenza. Non c’è dubbio che moriremmo tutti nello schianto. Nel caso in cui l’atterraggio riuscisse dovresti essere abbastanza fortunata da restare l’unica illesa e con tutti noi gravemente feriti. Altrimenti le possibilità che tu riesca a scappare sono nulle.” Era proprio come aveva detto. Kaname lo aveva compreso perfettamente. A quell’altitudine e con quella velocità non vi era energia posizionale o di moto nelle pale dell’elicottero. Senza avere un sedile munito di cinture di sicurezza sotto di se, sarebbe stata sbalzata fuori nel momento dell’impatto. “Se questo ti sta bene, allora spara.” “.......” Quelle non erano menzogne urlate contro di lei o parole che cercavano di ingannare il suo cuore. Kaname avvertì un grande senso di sconfitta che la schiacciava. Andrei Kalininn non era una persona abile a manipolare gli altri usando le parole. Si limitava a dire la verità. Una verità solenne. Ed in quel momento la sola verità era che Kaname, anche armata di una pistola, non aveva alcun potere su di loro. Nonostante tutta l’intelligenza e l’inganno che era riuscita a tirare fuori in un attimo, era stata solo una sua idea modesta e audace. E una ragazzina di 17 anni capace solo di combinare guai non era un avversario molto complicato per questi eroi dal lungo passato militare. Perché quell’uomo era passato al nemico? Perché non le diceva ‘scusa se ti ho fatta preoccupare, ti riporto da Sagara’? Per quanto lo conosceva le sarebbe bastato una strizzata d’occhio. Perché invece erano solo quegli occhi severi a fissarla? “Sei serio con me, vero?” chiese Kaname. Era talmente triste che gli occhi erano iniettati di sangue. “Allora dimmi... non potrò mai più incontrarlo?” “Esatto. Non lo vedrai mai più” rispose Kalininn. Kaname udì bene questa premonizione che non le lasciava speranza. Per quanto si sarebbe dilaniata piangendo dal bruciante desiderio, non lo avrebbe più rivisto. Alla fine nessuno si sarebbe ferito. Proprio come Leonardo aveva scommesso. Avrebbe desiderato di stare con Sosuke, di essere libera, come qualcuno che in alternativa sarebbe sicuramente morto. Erano queste le circostanze in cui si trovava su quell’elicottero, affrontando duramente un dilemma senza soluzioni. “Siamo andati avanti abbastanza, ora restituiscimi la pistola.” “No...” Kaname alla fine puntò la canna della pistola contro la sua stessa tempia. Al tocco ruvido e freddo del metallo ebbe subito l’impulso di premere il grilletto. Esatto, voleva farlo. Sarebbe stata la cosa migliore. Tutto ciò che aveva passato era troppo. Sarebbe stato sufficiente imprimere un po’ di forza al dito perché tutto svanisse. Insicurezza, agonia, il senso di colpa per aver colpito Leonardo, questa sensazione di sconfitta e disperazione. Ma in fondo al suo cuore qualcuno stava urlando di non farlo, che era ancora troppo presto. E Kaname stava usando la sua concentrazione sovrumana per ignorarla. Non poteva avere speranza, non riusciva a crederci ormai. Non la vedeva più. Era devota alla disperazione, non fingeva più, desiderava solo la morte. La pensava in quel modo. Sarebbe stato così semplice premere il grilletto, senza pensieri, senza abbattersi... “Aspetta” intervenne Kalininn in modo pacato. Era la prima volta che si lasciava sfuggire una piccolissima dose di impazienza mentre sul suo volto si dipingeva una seria ansia. Un oscuro odore di morte proveniva da Kaname, lo poteva sentire molto bene. Era una capacità che aveva acquisito dopo aver visto migliaia di persone morire. “Fermati. Faremo quello che possiamo.” Ne era convinto. “Fate tornare indietro l’elicottero... ” replicò Kaname con voce sottile e gli occhi assenti che non mettevano più a fuoco nulla,. “E’ impossibile nella situazione attuale... Leonardo ha bisogno di cure mediche. Se tornassimo indietro sarebbe in pericolo. Ecco perché ti devi calmare e togliere la canna dalla tua tempia. Puntala verso di me.” Stava dicendo molte cose. Era la prima volta che cercava di intavolare un negoziato. Così prese l’iniziativa. “Allora permettimi di dirgli addio.” “?” “La radio... voglio solo dirgli addio e poi mi arrenderò...” ≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈ La pioggia incessante che cadeva nelle vicinanze finalmente si fermò e il silenzio calò sulla villa dopo la battaglia. Era come se il potere del Laevatein avesse dissipato le nubi cariche di rovesci. Dopo aver sterminato tutti gli AS nemici, Sosuke fece pulizia delle restanti forze avversarie. Per prima cosa recuperò Lemon e gli altri compagni che si trovavano nei guai disperdendo quelli che li stavano circondando. Non vi era nemico che poteva reggere il confronti del Laevatein, fresco vincitore della battaglia contro un Behemoth. Lemon e i veterani erano in salvo. Dopo aver visto i frutti della vittoria condotta dal Laevatein si stringevano le mani con ottimismo. Tra di loro vi era la donna del dipartimento di Intelligence chiamata Wraith. Ben presto anche Kurz, Mao e Clouseau arrivarono a bordo degli M9 facendo piazza pulita degli ultimi scampoli di resistenza e controllando i nemici che si erano arresi. Bastò loro uno sguardo per capire che il Laevatein era stato ricavato dall’Arbalest. Erano rimasti sorpresi dalla splendida battaglia di Sosuke e chiesero di poter parlare dei dettagli dopo la ritirata. Solo Kurz trovò modo di lamentarsi. “Se solo fosse stato presente quando eravamo a Melida...” “Che vuoi dire?” “Kurz, smettila” lo interruppe Mao attraverso la radio. “Sono successe molte cose, Sergente. Ne parleremo più tardi” concluse Clouseau. “Ad ogni modo quell’unità è il Laevatein? Per quanto possibile facciamo in modo che i prigionieri non la vedano. Veda di scomparire con l’ECS.” Le indicazioni di Clouseau erano giuste. Avevano tutti visto quel potere di combattimento, ecco perché non aveva senso che i nemici potessero osservare i dettagli a così breve distanza. “Ricevuto... AR, attiva l’ECS. Modalità invisibile.” “Impossibile” rispose AR. “Cosa?” “Non è possibile. Attualmente questa unità non dispone di ECS.” “Cosa? Che vuoi dire?” “Posso dirla in questo modo. Con una straordinaria potenza di uscita data dal condensatore, un ottimo design del sistema di guida, una grande capacità di raffreddamento... per non parlare del Lambda Driver... non era necessario aggiungere parti inutili.” “.......” “Come informazione aggiuntiva le faccio presente che questa unità non solo manca di ECS ma anche di ECCS. Il Radar è minimale e l’equipaggiamento a raggi infrarossi non è presente, siamo molto vulnerabili agli attacchi missilistici.” “Aspetta un attimo. Siamo ridotti a poco più di un Savage?” “No, è più di un Savage. Diciamo pure un M6.” “Ma che diavoleria è mai questa?” Sosuke notò che lo schermo elettrico era improvvisamente diventato nero, era sempre più sorpreso. I sensori ottici erano simili a quelli degli M9 di ultima generaziona, ma le altre parti invece no. Si trattava di un equipaggiamento elettronico molto grezzo... come era riuscito a sopravvivere ad una battaglia simile? “Nondimeno è stata una fortuna trovarsi con il Tenente Clouseau. Grazie alla loro collaborazione e ai loro sistemi di comunicazione le nostre debolezze sono state decisamente corrette. Teniamo alto il morale e facciamo del nostro meglio, Sergente.” “Rimane ancora una componente inutile.” “E quale sarebbe, Sergente?” “Tu. Vorrei scardinarti e smantellarti per montare al tuo posto un ben più utile ECS.” “Non ha senso. Se venissi rimosso questa unità non sarebbe altro che una carcassa inutile di un M9 difettoso...” “Di nuovo parli con sfrontatezza... per prima cosa tu...” “Ho intercettato un nuovo segnale radio” informò AR interrompendo le lamentele di Sosuke. “Cosa?” “129.22 Mhz in AM, trasmittente VHS. E’ una linea aperta e non cifrata. Sta cercando di contattarla da qualche tempo.” “Io?” “Affermativo. Posso connetterla al circuito 8?” “Va bene, connetti.” “Ricevuto, connessione completata.” Provando un senso di stretta al suo petto, Sosuke ascoltò la voce attraverso la radio. Era una voce di donna. Una persona che conosceva molto bene e che con voce nostalgica chiamava il suo nome. “Sosuke, mi senti?” Si trattava della voce di Kaname. Il suo cuore ebbe un forte sussulto e gli sembrò voler uscire dalla schiena. Ad ascoltare la sua voce Sosuke si sentì come se lo avessero pugnalato. Non vi erano dubbi che fosse Kaname seppur appariva fragile, stanca e provata. Non era la Kaname che conosceva, non era la stessa persona che aveva visto per l’ultima volta nel cortile della scuola. Ripetendo continuamente le stesse parole, lo stava chiamando. “Se non puoi sentirmi prego la persona che riceverà questa comunicazione di riferire queste parole... Sagara Sosuke, riesci a sentirmi? In questo momento sono...” “Chidori...” Prima ancora che potesse pensare le sue dita si mossero. Collegò il circuito e premette il tasto per aprire la comunicazione chiamandola per nome. “Chidori...” Seguì un silenzio lontano e qualche scarica elettrostatica. Dopo qualche minuto la ragazza rispose in giapponese. “Sosuke? Mi stai ascoltando?” “Ti sento. Sono io. Dove ti trovi? Sto venendo a prenderti, dimmi dove sei. Anzi, prima di tutto sei ferita? Stai bene?” “Uhm... sto bene.” “Ho capito. Allora dimmi dove ti trovi, vengo a prenderti. Non preoccuparti, il nemico è stato annientato. AR è... anzi, sono a bordo di una nuova unità. Non credo potranno più sconfiggermi. Inoltre ci sono anche Mao e Kurz, non devi preoccuparti, verrò di certo a...” “Sosuke, calmati.” La voce di Kaname aveva un tono quasi indifferente ma Sosuke non lo notò e continuò a parlare nel microfono. “No, sono calmo. Ci sono molte cose di cui vorrei parlarti. Molte cose che non riesco a capire del tutto. Ho esitato troppe volte ma ora sono qui. Però non posso raggiungerti. Ecco perché Chidori dobbiamo smetterla di parlare e devi dirmi dove ti trovi. Se non sai la tua posizione prova a dirmi cosa hai vicino, se ci sono nemici...” “Sosuke, fermati.” La voce di Kaname si interruppe. “Perché? Se non so dove ti trovi non posso raggiungerti.” “Non è che...” Per quanto fosse difficile da ascoltare, la sua voce risuonò nelle orecchie. “Basta... non venire più a cercarmi.” “Che vuoi dire? Non capisco.” “Non seguirmi. In questo momento sono insieme a Kalininn su un elicottero. C’è anche Leonardo. Penso di averlo ucciso, povero Leonardo... ho già provato molte volte a scappare e ho capito che è inutile. Queste persone non mi lasceranno mai andare via. Se continuo ad oppormi, qualcuno si farà male. Ecco perché non voglio, mi dispiace. Non cercare di seguirmi. Sono felice che tu sia riuscito ad arrivare sino a questo punto. Però, credo che...” “Chidori, ma di cosa stai parlando?” Di nuovo ci fu un lungo silenzio e una serie di scariche. Sosuke non capiva di cosa stesse parlando, non riusciva a comprendere come potesse dirgli di non seguirla più. No... Era una bugia, lo aveva capito. Nella sua mente aveva ancora l’immagine del volto senza vita di Nami. Ovviamente Kaname non sapeva chi fosse ma per lui era il simbolo di tutte le persone che erano morte. Nel suo viaggio per seguirla il numero di cadaveri era salito. Sia che fosse un nemico o un semplice passante. Ed era un fatto talmente semplice che Kaname lo aveva già capito. Durante il suo addio alla scuola era stato uno dei principali problemi sollevati. Ed ora gli chiedeva di non seguirla. Il fatto che avesse detto una cosa del genere era la prova di ciò. Si sarebbe fatta carico di tutte le responsabilità e ne avrebbe sofferto. Sosuke si limitò a distogliere lo sguardo da quella verità. “Ecco perché Sosuke... devi dimenticarti di me.” A quelle parole la sua vista divenne completamente nera. Come se fosse stato lanciato di colpo nel più profondo dello spazio. Una sensazione di galleggiare che finiva nell’oscurità. “Aspetta Chidori, io...” “Ho già detto a sufficienza. Noi siamo già...” Senza sapere che altro fare, Sosuke strinse i pugni sui comandi mentre ascoltava Kaname brontolare e blaterare qualcosa nel canale radio. Sembrava che fosse in preda a un delirio da febbre. “Non voglio!” disse all’improvviso. “Non voglio che accada!” Il tono della sua voce si fece più forte. “Sosuke, mi stai ancora ascoltando?” “Si...” “Ti do un ordine in qualità di vice presidente del Consiglio Studentesco. Va bene?” Sosuke udì chiaramente il rumore di qualcuno che tirava su con il naso. Kaname stava piangendo. “Vieni a salvarmi. Non importa quanti dovranno essere sacrificati. Anche dovessero essere centinaia, migliaia o milioni non mi interessa. Ecco perché devi venire a prendermi! Usa tutto quello che hai, anche quell’inutile e testarda mancanza di senso comune e le tue noiose conoscenze tecniche e abilità di soldato. Sconfiggi qualsiasi avversario e corri ad abbracciarmi! Lo puoi fare, non è vero?” “Si. Lo farò.” Dentro al suo petto una forza sorprendente si fece strada e Sosuke replicò fermamente alla ragazza. Esatto. Per quale motivo stava esitando? Centinaia di persone erano morte, aveva passato ogni genere di difficoltà... ma se fosse riuscito ad abbracciarla, di cosa avrebbe dovuto aver paura? “Verrò di certo. Aspettami.” “Uhm...” borbottò Kaname con un filo di voce. “Sosuke... ti voglio bene.” “Anche io. Ti amo.” Sentendosi uscire le parole in modo così spontaneo, Sosuke rimase sorpreso. “Sono felice... la prossima volta che ci vedremo dovremo comportarci come si deve, voglio baciarti. Con tutte le mie forze. Non mi interessa dove saremo, va bene? E’ una promessa.” “Si, te lo prometto. Il fruscio e le scariche elettrostatiche erano sempre peggiori. L’elicottero si stava allontanando dalla portata della radio. Non aveva più senso inseguire Kaname. Almeno in quel momento. “Non importa se ci vorranno anni o secoli, ti aspetterò...” “Non preoccuparti. Verrò da te.” “Ascolta... cerca all’interno del frigorifero nella villa. C’è un Hard Disk...” Ciò che Kaname disse in seguito non era più comprensibile. Un terribile ronzio interruppe la comunicazione come un temporale e poi la linea cadde nel silenzio. ≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈ Dopo che la comunicazione radio si fu interrotta, Kaname si tolse le cuffie e lasciò andare la pistola che aveva tra le mani. “Ho finito.” Riconsegnò la pistola ad uno dei mercenari. Kalininn che era l’unico a capire il giapponese ed aveva ascoltato la loro comunicazione inarcò pesantemente il sopracciglio. “Mi hai davvero sorpreso” disse alla ragazza. “Credevo che fossi davvero alla disperazione e che avresti premuto il grilletto contro la tua tempia.” “Facevo sul serio...” replicò Kaname con il volto provato. Se gli avesse permesso di inseguirla, sarebbe stata notata di certo da Kalininn. Non si trattava di fingere o fare sul serio, era stata una guerra psicologica dentro di lei. “In questo momento non intendo lasciarle fare come vuole, come ad esempio andarsene da questo luogo. All’inizio volevo dirgli addio, però...” Si prese la testa tra le mani per la vergogna. “Esatto... ho cambiato idea, ecco tutto.” Sentirsi pronunciare delle parole dure a Sosuke aveva permesso a se stessa di capire. Non poteva farci nulla. Da quel momento Sosuke avrebbe attraversato numerosi pericoli, ci sarebbero state altre vittime. Sapeva quanto fosse stata arrogante e irresponsabile. Però voleva incontrarlo. Quel sentimento non era una bugia. Almeno su quello non poteva davvero farci nulla. “Quindi ti sei rassegnata.” “Si.” Mentre la osservava, Kalininn si lasciò sfuggire un sospiro. “Da questo momento Sosuke non esiterà più. Neppure se sarò io di fronte a lui... non esiterà a premere il grilletto. Gli hai dato un potere incontenibile. Ecco perché non volevo farti usare la radio. Ma il tuo sguardo di morte mi ha convinto, sono stato sconfitto.” “Che sportività...” “Però a proposito dell’Hard Disk, voglio sapere di cosa si tratta.” “Anche se ve lo dicessi sarebbe inutile” sentenziò Kaname in modo un po’ forzato. “A parte me e Tessa, nessuno può capire il suo contenuto.” ≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈≈ “Cavolo...” L’M9 atterrò sul ponte del Tuatha De Danaan e Kurz si lasciò andare ad un commento secco in faccia a Sosuke. “Sosuke, ti voglio bene! Anche io ti amo! O quel che era... ce l’hai fatta alla fine. Perché ora non crepi con tutte le tue forze?” “Non ci vediamo da sei mesi, è stato improvviso...” blaterò Sosuke con sguardo imbarazzato. La conversazione da poco avuta con Kaname era avvenuta su un canale aperto e lui se n’era dimenticato. Sin da quando l’elicottero da trasporto li aveva riportati sul sottomarino, le conversazioni di Mao e Kurz su Kaname non avevano fatto altro che ridicolizzarlo. Anche Lemon, Courtney e Seals, insieme a Wraith, erano stati portati a bordo. Lemon inoltre doveva aver sentito l’intera conversazione per radio. Aveva voluto incontrarlo dopo l’operazione e lo aveva guardato negli occhi come se volesse dirgli qualcosa. Gli era uscita solo una parola e aveva blaterato “con il tuo permesso”. Anche se non capiva bene il giapponese era riuscito a intuire il senso del discorso. “Mi dispiace, Lemon.” “No, non ti scusare. Almeno presentami i tuoi superiori. Siamo riusciti ad arrivare sino a questo punto, voglio solo essere certo che i restanti membri della Mithril siano amici e non nemici.” Lemon e compagni erano stati collocati in un angolo del magazzino e non potevano muoversi. Per quanto imperfetto si trovavano all’interno di una delle ultime super armi, il sottomarino De Danaan. Anche se ai membri dell’intelligence straniera era permesso camminare liberamente, l’equipaggio non era così rigido. “Ah... credo sia impegnata sul ponte di comando, ma verrà subito.” Il suo superiore. Non aveva ancora incontrato Tessa. Nei due giorni di licenza a Guam aveva passato il suo tempo con dei soldati veterani. “Signor Sagara...” Si voltò nella direzione da cui proveniva la voce e vide Tessa. Doveva aver lasciato il controllo del ponte a Mardukas e si era precipitata da loro il più velocemente possibile. “Comandante.” “Non ci si vede da molto tempo.” Aveva un sorriso gentile. Era sempre stata molto magra, ma questa volta appariva quasi consumata. Anche se non aveva sentito tutti i dettagli del racconto, doveva aver passato momenti molto difficili dopo l’attacco generale all’isola di Melida. “Si, Comandante. Sono contento che stia bene.” “Già. Sono successe molte cose... ma ora stiamo bene. Sono lieta di vedere che è salvo.” Era estremamente tranquilla. Non era perché fosse indifferente, di certo un fiume di emozioni era scaturito da lei in quel momento, ma non ve n’era traccia nella voce. Appariva soltanto la felicità per il rientro di uno dei suoi sottoposti. Esatto, era la sola attitudine che traspariva. A Sosuke non era chiaro però se stesse trattenendo le sue emozioni di fronte a tutti o se fosse il suo reale stato d’animo. “Bene... vuole tornare in servizio con noi?” “Riguardo questo... ecco... ne ho l’intenzione ma è successo tutto troppo in fretta. Le chiedo di poterci pensare su un momento.” “Ho capito, ne parleremo di nuovo.” Tessa non mostrò alcun segno di disappunto. “Le presento alcune delle persone che mi hanno aiutato. Michael Lemon del dipartimento di Intelligence Francese, poi l’Ammiraglio con cui eravate amici...” “Signorina Tessa!” Un urlo echeggiò nel magazzino ed i due veterani corsero verso Tessa. Nonostante fossero molto agili, le guardie di Tessa ci impiegarono qualche istante a bloccarli. Tessa che era rimasta sorpresa come se dal nulla fosse spuntato un orso fissò Sosuke con sguardo interrogativo. “Che cosa ci fanno loro qui?” Le due persone che li tenevano fermi stavano per farsi sopraffare dal loro entusiasmo. “No, ecco... hanno dimostrato di avere buoni agganci...” “Questo lo sapevo, ma perché li ha portati con lei?” “Sarebbe stato senza cuore abbandonarli in questo momento.” “Ha ragione, però...” Cambiando completamente discorso, Sosuke proseguì a presentare Lemon. “Comunque sia, lui è Lemon. Un agente della DGSE con informazioni molto utili. E’ furbo ed inoltre mi ha salvato la vita, può fidarsi di lui. E’ stato il mio...” Guardò nella direzione di Lemon e lo trovò immobile come un’idiota, con la bocca mezza aperta e che fissava Tessa mentre la sua temperatura interna saliva. “Lemon?” “......” “Lemon, lei è il mio superiore...” “Eh? Cosa?” “Ti ho detto che te l’avrei presentata, no?” “Sul serio? Vuoi presentarmi questa ragazza?” “Ehi...” Kurz, Mao e Clouseau che erano apparsi dal dietro si lasciarono andare a qualche commento divertito come ‘è già cotto di lei’, ‘come lo capisco’ e ‘un altro membro si è unito al fanclub’. L’altoparlante interno richiamò Tessa, si trattava di un annuncio da parte di Mardukas. Dopo avergli dato alcune risposte via interfono, Tessa si rivolse nuovamente ai presenti. “Bene. Non posso darvi un benvenuto come si deve perché la nave procede attualmente in navigazione silenziosa e si sta ritirando verso mari più tranquilli. Per il resto del viaggio vi prego di limitare schiamazzi e confusione. Sono lieta di ospitarvi a bordo del Tuatha De Danaan.” Di risposta una voce provenne dall’elicottero da trasporto. Il Laevatein stava parlando attraverso gli speaker esterni. “A proposito di benvenuto, spero includa anche me, signorina Testarossa.” “E’ ovvio AR. Sono contenta che anche tu sia salvo.” “La ringrazio, Comandante.” Tsudou Make My Day di Shoji Gatou Edito da Kodansha © 2007 Scansioni e Reperimento immagini di: John Petrucci Blu Realizzato da HinaWorld Translatons Traduzione ed Adattamento di: John Petrucci Blu http://www.hinaworld.it – http://www.hinaworld.net
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