I MATERIALI DA COSTRUZIONE NEL CASTELLO

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I MATERIALI DA COSTRUZIONE NEL CASTELLO
I MATERIALI DA COSTRUZIONE NEL CASTELLO MEDIEVALE
«La costruzione dei castelli era, presso a poco, uniforme. Quasi tutti collocati in alture, con pozzi
profondi e vaste cisterne, avevano una cinta più o meno complicata di torri, di mura merlate e di
bastioni, che rendevano difficile l'accesso al torrione più alto e più solido, che si trovava nel mezzo
e in cui ritiravansi i difensori, superata che avesse il nemico la cinta. Intorno alle mura avevano gli
assalitori molti ostacoli da vincere: giacché opere distaccate, fossi profondi, per lo più pieni d'acqua,
ponti levatoi e saracinesche ne impedivano potentemente l'accesso e nel mezzo alle volte,
soprastanti alle porte, si alzavano ed abbassavano, con ordigni, certe travi pesanti, per schiacciare
chiunque vi si appressasse»1. Confesso che, al momento di accingermi a tracciare questo profilo sui
materiali usati per l'edificazione dei castelli medievali italiani, la sicurezza descrittiva del Verdiani
Bandi—espressa nel suo ormai celebre studio sui castelli valdorciani—mi suscita non poca invidia.
Non sembra agevole, infatti, districarsi in questa analisi da una serie di problemi preliminari.
Intanto: cosa significa 'medioevo' nel parlare della edificazione dei castelli? È nel medioevo una
fortificazione longobarda quanto un castello del tardo Trecento. È nel medioevo una torre della
Calabria bizantina quanto una rocca ezzeliniana, quanto il castello di Montarrenti.
Cronologia e latitudine, insomma, possono combinarsi a complicare una materia già di per sé poco
fluida ulteriormente complicabile, peraltro, dalla consapevolezza che non è affatto possibile—nella
analisi delle strutture dei castelli italiani—procedere in linea retta dal più semplice al più
complesso, non foss'altro perché, se è vero che ad esigenze, epoche e latitudini diverse si danno in
genere risposte diverse, non di meno riteniamo che sia sostanzialmente valido l'assunto del Fournier
quando sostiene che, in fatto di tecniche costruttive, epoche molto distanti fra di loro possono aver
dato risposte tecniche simili per esigenze simili2 e che, pertanto, metodologie e materiali in uso,
poniamo, nel IX secolo possono ritrovarsi usati, ad esempio, nel XII in mezzo ad altri, invece, del
tutto diversi da quelli usati in precedenza.
Nessuna tentazione di neoevoluzionismo, insomma: il cammino dal più semplice al più complesso,
anche in questo come in tanti altri casi, risulta difficilmente proponibile.
Sul problema dei materiali usati, finora, in Italia si sono mossi gli archeologi (basterà una scorsa
alle decine di articoli e schede relative a scavi e rilevamenti pubblicati su «Archeologia Medievale»
da quattordici anni a questa parte, ad esempio, per rendersene conto) e un po' meno gli storici (dico:
gli storici abituati a maneggiare i documenti di carta). Con vistose eccezioni, beninteso, per questi
ultimi: basterà ricordare il convegno cuneese del 1981 per rendersi conto che anche fra gli storici il
problema è emerso, e basterà considerare l'eccezione più vistosa di tutte (le pagine e pagine
dedicate a questo argomento da Aldo Settia) per intravedere un campo di esplorazione tutt'altro che
mortificato che si apre per lo storico ad affiancare la ricerca sul campo propria dell'archeologo. Un
campo che spazia dal tipo di materiali usati epoca per epoca e regione per regione, al sistema di
approvvigionamento dei materiali; dai costi dei materiali stessi, all'incidenza del cantiere di un
castello sulle risorse ambientali di un territorio (boschi, cave. . .), alle mutazioni e permanenze nelle
tecniche edificatorie e nello stesso uso dei materiali.
Tutto ciò premesso, dunque, sarà subito bene specificare che questa mia comunicazione non avrà
alcuna pretesa di trattazione organica. Anzi, indiscutibilmente queste mie note risentiranno di un
certo schematismo e correranno il rischio di essere male interpretate come un tentativo di tracciare
una tipologia comune di un mai esistito castello medievale italiano riconoscibile come tale dalle
Alpi alla Sicilia. Nessuna idea del genere, in realtà. Una storia del castello italiano non può che
essere fatta—anche e soprattutto dal punto di vista della sua morfologia strutturale—per aree
omogenee, mettendo in evidenza particolarità e differenze. Non tragga in inganno, dunque, il fatto
che in queste note viene esaminata la costruzione del castello 'smontandola' materiale per materiale:
l'intento è proprio l'opposto di quello di chi sogni l'identificazione di improbabili standardizzazioni.
L'intento è quello di porre alcuni punti di discussione per capire come i singoli materiali siano stati
1
A. VERDIANI BANDI, I castelli della Val d'Orcia e la Repubblica di Siena , Siena 1926, rist. an. Siena 1973, pp.
103-104.
2
G FOURNIER, Le Châtean dans la France médiévale. Essai de sociologie monumentale, Paris 1978, pp. 11-12.
usati—in modo simile o in modo del tutto dissimile—nelle varie regioni, in relazione a tecniche
locali o a tecniche, al contrario, importate da altrove.
Materiali reperiti localmente e costituiti da conci di ogni genere si trovano nelle fortificazioni di S.
Antonio Finale (in Liguria) nel VI secolo3; fossato, mura in ciottoli, palizzata, assenza di malta o
laterizi, pietre squadrate caratterizzano le fortificazioni di Castelvecchio di Filattiera fra il V e
l'VIII4 così come conci grossolani uniti a secco e materiali di scarto usati per le murature a sacco
caratterizzano il Castellaro di Monte Dragone (Liguria) fra il VI e il VII secolo5. Gli scavi di
Castelseprio e Invillino evidenziano i resti di fortificazioni longobarde rudimentali (fondazioni in
pietra non legata su cui si innestano edifici di legno)6, ma materiali semplicissimi e tecniche
rudimentali emergono anche dalle mura longobarde di Benevento e nella torre di Pandolfo
Capodiferro sul Garigliano risalenti al X secolo7.
Il castello di Triflisco sul Volturno, in età longobarda, presenta una muratura composta da materiali
misti sui quali prevalgono i conci di tufo misti a schegge di pietra8, mentre nel Beneventano
longobardo nella composizione della muratura sembrano avere un ruolo di tutto rilievo i ciottoli di
fiume usati talvolta (come nel caso di Civita di Ogliara) senza l'utilizzo di alcun tipo di legante9. In
certi casi, sempre nell'area del Beneventano longobardo, dove la composizione geologica lo
permette, è il tufo invece ad assumere un ruolo di tutto rilievo. A Triflisco sul Volturno, infatti, le
fortificazioni longobarde sono caratterizzate dai conci di tufo, materiale al quale si trova unito—ma
solo in pochissimi casi: talmente sporadici da assumere rilievo di assoluta eccezione—anche
materiale laterizio che, sempre in quest'area, forma i piani orizzontali che intervallano il tufo a
Torre Catena10, o che caratterizza le coperture in tegole usate per le torri longobarde di Triflisco sul
Volturno11.
Se ho accennato a questi esempi di fortificazioni altomedievali è stato non tanto per analizzare le
(pur presenti) analogie di tecnica costruttiva e di materiali usati, quanto piuttosto perché mi
premeva di sottolineare il punto di cesura che in questo campo sembra verificarsi intorno al X
secolo, parallelamente alla più precisa definizione del processo di incastellamento dal punto di vista
giuridico istituzionale e, non meno, economico e con l'affermazione sempre meglio definita dei
poteri signorili sugli insediamenti.
Per quanto ancora caratterizzati da tipologie elementari12, infatti, i castelli che vengono costruiti nel
nord Italia dietro concessione regia presentano fra il X e l'XI secolo tipologie via via più complesse.
Aldo Settia che ha minuziosamente analizzato sui documenti scritti le morfologie di queste
fortificazioni ha potuto constatare che, su sedici castelli esaminati, dodici sono muniti di fossato e
altrettanti di merli, dieci presentano generici propugnacula, nove sono dotati di bertesche e sei di
torri13. I1 passaggio, in questo caso, da forme elementari a forme via via più complesse, del resto, è
ben evidenziato dallo stesso autore sull'esempio del castello di Nogara che all'inizio del X secolo è
munito già di bertesche, merli, propugnacoli e fossati ma che nei trent'anni successivi si cinge anche
di muraglia di pietra e di altre forme di difesa, ulteriormente rinforzate nel corso del successivo
secolo, fino a fare di questo castello un avamposto pressoché inespugnabile14.
3
T. MANNONI, L'esperienza ligure nello studio dei castelli medievali , in Castelli. Storia e archeologia , Relazioni e
comunicazioni al Convegno tenuto a Cuneo il 6-8 dicembre 1981, a cura di R. Comba, A. A. Settia, Torino 1984, P.
193.
4
IDEM, p. 194.
5
IDEM, p. 193.
6
Si veda la bibliografia specifica in P. DELOGU, Il Regno longobardo , in P. DELOGU, A. GUILLOU, G. ORTALLI,
Longobardi e Bizantini, in Storia d'Italia, diretta da G. Galasso, Torino 1980, p. 20.
7
P. PEDUTO, Torri e castelli longobardi in Italia meridionale: una nuova proposta, in Castelli, cit., p. 391.
8
IDEM, p. 399.
9
IDEM, pp. 391, 393, 395, 397.
10
IDEM, p. 393.
11
IDEM, p. 399.
12
A. A. SETTIA, Castelli e villaggi nell'Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo
, Napoli
1984, p. 198.
13
SETTIA, Castelli e villaggi, cit., p. 195.
14
IDEM, p. 204.
Intendiamoci: è assolutamente improprio farsi un'idea di questo periodo come di un epoca di
'rivoluzione' della tecnica di costruzione dei castelli. Molti castelli dell'Italia settentrionale sono
ancora probabilmente fortificati con legname e terra battuta15: castelli come Cerea, Nogara,
Brescello sono ancora costruiti facendo ricorso probabilmente in prevalenza a ciottoli di fiume16, ma
una analoga semplicità tecnica è riscontrabile anche discendendo verso altre regioni. Gli scavi di
Rocca San Silvestro, ad esempio, evidenziano (per le murature della fase del castello risalente
approssimativamente a quest'epoca) un uso di blocchi di pietra privi di lavorazione disposti in corsi
grossolani, legati con malta di cattiva qualità17. Altrettanto semplice risulta la struttura del castello
di Montecatino in Valfreddana (nella Lucchesia) il cui scavo ha evidenziato una struttura dell'XI
secolo costituita da muri a sacco rivestiti da blocchetti di pietra e riempiti con schegge litiche legate
con malta18.
Del resto, questi stessi castelli sono ancora difesi in modo estremamente rudimentale: i meruli che
guarniscono i castelli dell'Italia settentrionale fra X e XI secolo—ipotizza il Settia—sono forse
ancora costituiti da graticci che coronano la palizzata del terrapieno19; il tonimen è probabilmente
una struttura sulla quale corre una siepe morta (siepe presente talvolta anche dove siano state
costruite palizzate o anche muri)20. Fortificazioni rudimentali, peraltro, che mantengono un loro
ruolo anche quando le fortificazioni murate cominceranno ad avere (o già ampiamente avranno) un
ruolo di tutto rispetto: il castello del1'XI secolo, già munito di mura, non disdegna il complemento
di siepi e palizzate21; nel Veneto del XII secolo il castello è circondato dalla fracta che a volte è un
vallo, a volte uno steccato, a volte è una siepe morta, prevalentemente è una fascia di terreno
mantenuta ad arte fittamente boscosa e intricata (talvolta nemmeno poi tanto intricata, dato che vi
pascolano animali e vi si ritrovano coppiette ad amoreggiare). I1 castello di Codogno nel '200 è
difeso da un tonimen che in questo caso è identificabile come una palizzata; i villaggi di confine del
Vercellese, in pieno '200, sono difesi da fossati riuniti di bozalas sive spinas e a Bassano del
Grappa, già nella seconda metà del '200, intorno al fossato corre una siepe di spini22.
Tuttavia, anche se è innegabile il permanere di strutture molto semplici, a partire dal X-XI secolo la
struttura del castello cambia in maniera sostanziale. I136% dei castelli censiti da Settia per l'Italia
del nord, nel X secolo, è munito di muro e la percentuale sale al 42% (su un totale quasi doppio) per
il secolo successivo. È vero che certi castelli del Piemonte in quest'epoca sono ancora privi di mura,
ma è altrettanto vero che per molti altri si intravede una progressiva opera di fortificazione in
muratura che procede con velocità ragguardevole23. Non è forse un caso, peraltro, che gli scavi del
castello toscano di Scarlino evidenzino, anche in questo sito, per il X-XI secolo, l'adozione di
tecniche di costruzione più raffinate che in passato24.
Come è noto, l'Italia conosce prima di altre regioni europee il passaggio alla fortificazione in
muratura. In Francia, ad esempio, questa fase comincia ad affermarsi dalla seconda metà dell'XI
secolo e diviene corrente solo nel XII; i castelli ungheresi, per fare solo un altro esempio, nel XII
15
IDEM, pp. 195, 197, 200.
IDEM, p. 202.
16
17
AA.VV., Rocca San Silvestro e Campiglia. Prime indagini archeologiche
, a cura di R. Francovich, R. Parenti,
Firenze 1987, pp. 25-26.
18
G. CIAMPOLTRINI, P. NOTINI, Montecatino (Val Freddana, Com. Lucca
) Scavi 1986 nell’area del castello.
Notizia preliminare, «Archeologia Medievale», XIV, 1987, p. 260. Gli scavi di Scribla, infine, evidenziano un castello
dell'XI secolo estremamente semplice la cui cinta è formata da livelli alternati di sabbia argillosa e ciottoli (Nuovi scavi
nel castello di Scribla in Calabria in A. A. M. FLAMBARD, G. NOYÈ, Scheda: 1978-79, «Archeologia Medievale»,
VIII, 1981, p. 528).
19
SETTIA, Castelli e villaggi, cit., p. 197.
20
IDEM, pp. 202-203.
21
IDEM, p. 203. Corti e case fortificate con siepi e fossati si incontrano già nell’Italia longobarda (DELOGU,
Il Regno
longobardo, cit., p. 72).
22
SETTIA, Castelli e villaggi, cit., pp. 203, 204, 205, 371, 372.
23
IDEM, pp. 200-202.
24
AA.VV., Scarlino: un castello della costa toscana fra storia e archeologia , R. PARENTI, Le strutture murarie: cenni
sul metodo di analisi e prime considerazioni, in Castelli, cit., p. 183.
secolo sono ancora costruiti di terra e circondati da un fossato e protetti da circuiti di tronchi o da
blocchi di terra pressata25. In Italia, al contrario, le fortificazioni sono già costruite in muratura ben
prima di queste date e, anzi, in queste epoche già presentano in maniera geograficamente
generalizzata aspetti di maggiore solidità strutturale. La torre del XII secolo di Tuscania, ad
esempio, presenta nelle sue fondazioni un uso integrato di calcestruzzo e blocchi di tufo, e nelle
strutture in elevato presenta filari di blocchi di nefro (una pietra vulcanica rossa), mentre la Rocca
di Rivoli (nel Veronese) sempre nella stessa epoca, e per fare un altro esempio, si presenta con un
paramento murario di calcare locale legato con abbondante malta (la stessa malta che riveste il
paramento interno) e con un pavimento battuto di terra con grossi grumi di calce e pietra. Paramenti
di calcare contraddistinguono anche il castello di Barletta nel XII secolo, e nello stesso periodo la
pietra locale costituisce l'elemento principe delle fortificazioni dei castelli fiorentini che già a questa
data sembrano relegare l'uso del legno ad una dimensione del tutto secondaria26.
La pietra verrà usata praticamente in tutte le epoche (anche quando altri materiali entreranno
prepotentemente nei cantieri dei castelli) e in tutte le parti della Penisola. Sono in pietra certi castelli
del Friuli così come di pietrame grosso proveniente da cave vicine al cantiere è costituita la
fortificazione tardotrecentesca del castello di Cagliari, e cosi come in blocchi di arenaria sono
costruiti i coevi castelli salentini. Ma non mi dilungherò in un elenco ripetitivo; mi limito ad
osservare che l'artista (Duccio? Simone?) che in un anno imprecisato del Trecento rappresentò il
castello da poco scoperto nella sala del Mappamondo nel Palazzo del Comune di Siena (Arcidosso?
Montemassi?) lo raffigurò in mezzo a edifici di altro colore (e quindi di altro materiale) svettante
nel suo color grigio-pietra. Simbolo pictus dei tanti altri coevi castelli di pietra del Senese.
Ma se la pietra resta uno dei materiali principali del cantiere del castello non per questo risulta
essere l'unico. I castelli siciliani di Calathamet e di Caronia, nel XII secolo, presentano un uso
integrato di pietra, tufo e mattone, utilizzati anche per dare alla costruzione un profilo particolare e
creare un effetto decorativo, come si è sostenuto27; calcare e tufo sono utilizzati insieme anche nei
castelli pugliesi fra il XII e il XIII secolo, così come materiali differenziati si ritrovano usati in
molte fortificazioni della Sicilia normanna, della Toscana, del Friuli28.
Non c'è dubbio che l'uso integrato derivi in parte dal tipo di materiale reperibile in loco: dove
l'estrazione della pietra è abbondante e facile, ovviamente, l'uso di altri materiali è ridotto al
minimo, ma dove questo non si verifica sono materiali più poveri ad affiancarsi a quello più nobile.
Quando nel '300 gli abitanti del castello di Cerreto Guidi (in Toscana) si vedono gravare dell'intero
costo della costruzione delle fortificazioni; quando ci si rende conto che il trasporto di pietre dalle
lontane cave verrebbe ad accrescere il costo della costruzione in misura spropositata si decide di
usare pietra e mattoni solo per i primi due metri, in cima per il cammino di ronda, per il parapetto e
i merli, e di costruire i quattro metri e mezzo di parte intermedia «de terra»29. È probabile che criteri
non dissimili abbiano sovrinteso, in molti casi, a costruzioni di castelli con materiale vario; può
25
SETTIA, Castelli e villaggi , cit., p. 213, FOURNIER, Le Château cit., p. 80, E. FUGEDI, Castle and Society in
Medieval Hungary (1000-1437), Budapest 1986.
26
D. ANDREWS, Gli scavi a Tuscania, 1973 , «Archeologia Medievale», II, 1975, p. 356; P. J. HUDSON,
Rocca di
Rivoli Veronese, relazione della campagna di scavo del 1981, in Castelli cit. pp. 341,343-345; R. DE VITA, Castelli di
Puglia, in AA.VV., Castelli, torri ed opere fortificate di Puglia a cura di R. De Vita, Bari 1974 p.30, R.
FRANCOVICH, I castelli del contado fiorentino nei secoli XII e XIII, Firenze 1983, p. 52.
27
J. M. PESEZ, J. M. POISSON, Le château du "castrum" sicilien de Calathament (XII siècle) , in Castelli, cit., pp. 64­
65, 71.
28
DE VITA, Castelli di Puglia , cit., pp. 24,31,32, H. BRESC, Terre e castelli: le fortificazioni della Sicilia araba e
normanna, in Castelli, cit., p. 86, Il progetto Montarrenti (Si). Relazione preliminare. 1982 R. PARENTI, Le strutture
murarie: problemi di metodo e prospettiva di ricerca, «Archeologia Medievale», X, 1983, p. 335; Il progetto
Montarrenti (Si). Relazione preliminare, 1985, R. PARENTI, La torre B, «Archeologia Medievale», XIII, 1986, p. 283,
F. PIUZZI, Problemi di archeologia medievale in Friuli. Il castello di Flagogna. Rapporto preliminare di un saggio di
scavo, in Castelli, cit., pp. 364-367.
29
P. PIRILLO, L'organizzazione della difesa: i cantieri delle costruzioni militari nel territorio fiorentino
cit., p. 283.
, in Castelli,
darsi che siano stati alla base della decisione di Cansignorio della Scala di ristrutturare il castello di
Marostica usando pietra e cotto30, e può darsi che siano stati questi stessi i criteri che guidarono la
struttura delle torri a base di pietra e ad elevato in mattoni dei castelli gemelli (ancora una volta
scaligeri) di Bellaguardia e della Villa31 e dei vari castelli del confine pisanolucchese dove il calcare
si alterna all'arenaria, al laterizio e al legno32. Può darsi che siano stati ancora una volta questi
criteri, ma molto più probabilmente fu la ricerca di un effetto cromatico, che spinse invece gli
scaligeri ad usare, alla fine del '300, per il castello di Arzignago una pietra basaltica locale (quindi
di facile reperibilità) alternata al mattone, e ad usare un calcare biancastro per il camminamento di
ronda.
A partire dal XIII secolo, però, tra i materiali da costruzione comincia a farsi largo il mattone. Già
presente in quantità limitata nelle fortificazioni più antiche, si affaccia nel XII secolo in certe
regioni33 ma la sua introduzione non risulta—almeno all'inizio—né travolgente né rivoluzionaria.
Nei castelli pisani e lucchesi, per non- fare che un esempio, il mattone non compare mai prima del
XIII secolo, ed anche in questo caso la sua prima comparsa si limita al coronamento delle torri34.
Per moltissimi castelli, semmai, il laterizio viene usato all'inizio con maggiore frequenza per le
strutture interne rispetto a quelle esterne35. Sembra quasi un caso particolare quella cinta di
fortificazioni di Cittadella36 (nel Padovano) che negli anni Venti del '200 si costruisce tutta in
mattoni, perché per il resto è sostanzialmente fra il '300 e il '400 che il mattone assume una
dimensione di rilievo fino a costituire, in moltissimi casi di castelli di quest'epoca, il materiale più
usato.
È fra questi due secoli, d'altronde, che il laterizio viene scelto anche per restaurare castelli
precedenti37: a Scarlino entra nei rifacimenti quattrocenteschi; a Rocca Sillana—nel Pisano—il
mattone rinfodera in questo stesso secolo i vecchi paramenti di pietra; a Vottignasco (in Piemonte)
gli interventi quattrocenteschi inseriscono il laterizio su strutture che in precedenza non
conoscevano questo materiale, e a Villafalletto (ancora in Piemonte e ancora nel '400) il mattone si
inserisce di prepotenza su una struttura originaria costruita con pietre di fiume38.
Però, ad onta della introduzione di questo nuovo materiale e ad onta anche del permanere della
pietra come elemento essenziale nella costruzione del castello, non si sfugge all'impressione che
lungo tutto l'arco del medioevo la tecnica di costruzione delle fortificazioni abbia conosciuto
sostanziali permanenze di materiali tanto antichi quanto poveri. La palancata fatta di assi e terra,
presente ad esempio in castelli come San Colombano al Lambro negli ultimi anni del XII secolo,
continua ad essere presente ancora per un lungo periodo successivo: la si ritrova nel castello di
Arosio all'inizio del '200, a Chivasso ancora negli anni Trenta di quel secolo e addirittura a far parte
integrante delle fortificazioni di Vittoria (Parma) alla metà del secolo; lo spaldum costituito da una
struttura lignea che sostiene terra, usato nell'XI secolo, si ritrova ancora applicato nel primo
30
A. MORSOLETTO, Castelli, città murate, torri e fortificazioni scaligere del territorio vicentino
, in Gli Scaligeri.
1277-1387, a cura di G. M. Varanini, Verona 1988, p. 309.
31
IDEM, p. 311.
32
F. REDI, Le fortificazioni medievali del confine pisano lucchese nella bassa valle del Serchio. Strutture materiali e
controllo del territorio, in Castelli, cit., pp. 383-385.
33
Si veda ad esempio la presenza di mattoni cotti nel castello di Caronia in BRESC, Terre e castelli, cit., p. 86.
34
REDI, Le fortificazioni, cit., p. 390.
35
REDI, Le fortificazioni, cit., pp. 383, 387, 390.
36
R. PARENTI, Le tecniche di documentazione per una lettura stratigrafica dell'elevato, in Archeologia e restauro dei
monumenti, I ciclo di lezioni sulla ricerca applicata in archeologia, Certosa di Pontignano (Siena), 28 settembre-10
ottobre 1987, a cura di R. Francovich, R. Parenti, Firenze 1988, p. 256; IDEM, Sulle possibilità di datazione e di
classificazione delle murature, ivi, p. 284. Lo stesso Parenti, però avanza anche l'ipotesi (p. 257) che agli anni Venti del
'200 sia riferibile solo l'inizio dei lavori e che il completamento sia posteriore.
37
Ringrazio il dott. Andrea Giorgi per l'informazione ricavata da documentazione conservata nell'Archivio di Stato di
Siena.
38
PARENTI, Le strutture , cit., p 185, G. GUIDONI GUIDI,
Scavi sull’insediamento medievale di Rocca Sillana
(Pomarance, Pisa). Relazione preliminare (1985-1986), «Archeologia Medievale», XIV, 1987, p. 268, M. VIGLINO
DAVICO, Per una definizione dei rapporti "castrum-receptum-villa" nel Piemonte sud-occidentale: le vicende di
Villafalletto e Vottignasco, in Castelli, cit., pp. 327-331.
Duecento nel Trentino e nelle fortificazioni ezzeliniane di Padova a metà del '200, paradigmi
entrambi di una serie assai nutrita di esempi del genere39. I ciottoli di fiume usati nei castelli più
antichi continuano a rappresentare il materiale principe per castelli trecenteschi della Toscana come
Barberino Val d'Elsa e Tignano40. La terra, ben lungi dall'essere relegata a tecniche ed epoche
precedenti l'uso della muratura, continua al contrario a condividere con essa un ruolo di tutto rilievo
fra i materiali da costruzione e, anzi, conoscerà una nuova stagione quando l'introduzione delle
artiglierie imporrà di usarla insieme alla muratura per costruire la scarpa che difende la base delle
cortine. I1 tufo (che caratterizza i castelli normanno-svevi fino al XIII secolo41 o altre fortificazioni
coeve di altre parti d'Italia) continua, infine, ad avere un'utilizzazione vasta ancora per secoli42.
Ma se c'è un materiale che continua attraverso tutta la storia del castello medievale ad essere usato a
profusione, questo materiale è il legno. Certo: non se ne fa uso in identica dimensione, ma
purtuttavia le strutture lignee continuano a costituire, come una costante, parte non trascurabile
delle fortificazioni.
Sono interamente in legno—tra X e XI secolo—torri come quella di Aqui; sono in legno molte
strutture che muniscono i castelli dell'Italia settentrionale in questa stessa epoca: la spizata (forse
fatta con pali tagliati a metà nel senso della lunghezza), la britisca, il propugnaculum (una
piattaforma di legno in aggetto su una torre, almeno in area francese); sono in legno alcune strutture
interne al castello; è spessissimo in legno (a volte legno di abete) lo stesso circuito di difesa esterna
al cassero. Strutture in legno si evidenziano dagli scavi di Scribla in Calabria relativamente al
sistema di difesa del Mille; rare tracce di legno— al contrario—sembrano emergere negli
insediamenti castrensi laziali coevi43, quasi a dare ragione, in questo, a certe intuizioni di Cagiano
de Azevedo che sosteneva come il legno, prima del basso medioevo, si trovi molto usato a nord,
meno a sud e quasi per niente invece nel centro-Italia44. Le fortificazioni di Pulica, in Lunigiana,
alla fine del XII secolo sono ancora costituite da pali, vimini, siepi, steccati e altre strutture di
legname, così come la stodigarda lignea recinge nella stessa epoca Caravaggio45. Sono di legno, in
quest'epoca, merli, caditoie e altre strutture46, ma l'uso crescente di proiettili incendiari nelle
tecniche di combattimento47, il progressivo aumento del costo del legno dietro la spinta del furioso
attacco al bosco che caratterizza fino al medioevo inoltrato lo sfruttamento delle risorse ambientali;
tutto questo comincia a produrre, dal XIII secolo, una mutazione nell'edificazione delle
fortificazioni costruite sempre di più in muratura.
È ben vero, però, che ad onta delle nuove tecniche di guerra elementi lignei continuano a permanere
nelle fortificazioni anche nei secoli successivi: la spizata incontrata nel Mille la si ritrova inalterata
39
SETTIA, Castelli e villaggi, cit., pp. 372-373.
PIRILLO, L'organizzazione, cit., p. 282.
41
DE VITA, Castelli di Puglia, cit., pp. 30, 31, 32; BRESC, Terre e castelli, cit., p. 86.
42
In Toscana la rocca di Vitozza è congiunta alla porta dell'insediamento mediante un muro di tufo (R. PARENTI,
Vitozza: un insediamento rupestre nel territorio di Sorano, Firenze 1980,
p.29). In Puglia il tufo è usato in numerosi castelli ancora in pieno Cinquecento (DE VITA, Castelli di Puglia, cit., pp.
31-32) e alla fine di quel secolo le torri costiere pugliesi sono costruite con conci tufacei parallelepipedi (E. DEGANO,
Caratteristiche tipologiche e costruttive di Torre di Castiglione in Società, cultura, economia nella Puglia medievale, a
cura di V. L'Abbate, Atti del
Convegno di Studi "Il territorio a sud-est di Bari in età medievale", Conversano 13-15 maggio 1983, Bari 1985, p. 337).
43
SETTIA, Castelli e villaggi , cit., pp. 205, 197 236, 238, 212- FLAMBARD, NOYÈ, Scheda: 1978-79, cit., p. 531; P.
TOUBERT, Feudalesimo mediterraneo. Il caso del Lazio medievale, ed. it. introd. di Cinzio Violante, Milano 1977, p.
93.
44
M. CAGIANO DE AZEVEDO,
Aspetti urbanistici delle città altomedievali , «Settimane del C.I.S.A.M.», XXI
(1973),1974, ora in Casa, città e campagna nel tardo antico e nell'alto medioevo, Galatina 1986, pp. 47-48.
45
SETTIA, Castelli e villaggi, cit., pp. 372-373.
46
DEGANO, Caratteristiche, cit., pp. 338-339.
47
ANONIMO CUMANO, La guerra dei milanesi contro Como (1118-1127), tr. E. Besta, introd. A. Roncoroni, Milano
1985, pp. 30-48.
40
a Parma nel '200, e la stodigarda che recintava Caravaggio la si incontra a Brescia nel '200 e
addirittura a Milano nel 1329 a far parte integrante delle fortificazioni di Azzone Visconti48.
Ma è vero, altresì, che il legno, a partire dal XIII secolo, sembra decisamente relegato (anche se con
utilizzo quantitativamente tutt'altro che mortificato) a strutture interne o secondarie del castello. È
usato in questa funzione, ad esempio, nei castelli pisano-lucchesi del Due-Trecento ed è usato come
coronamento per i castelli euganei dell'epoca ezzeliniana; nel '200 lo si usa a protezione delle
macchine da lancio a Castelnuovo Fogliani, per i ponti di collegamento tra la dimora signorile e il
mastio a Rado (nel Vercellese), per edifici interni dentro il dongione del castello di Treviglio49. Nel
castello di Montarrenti—almeno a stare alle ricostruzioni suggerite—il legno è riservato ai
coronamenti delle torri, alle tettoie e agli avancorpi50, così come nel primo '300 il legname viene
usato dai padovani per il castello di Montegalda ma esclusivamente per restaurare alla svelta i
guasti fatti da Cangrande della Scala (1312)51.
Sembra non del tutto consueto, in questo stesso scorcio di primo '300, trovare il legno usato come
materiale principe di certe fortificazioni in occasione della guerra fra Padova e gli Scaligeri: non
tanto per quanto riguarda le fortificazioni del ponte di Quartesolo, quanto piuttosto—per quanto si
debba tener conto dell'eccezionalità del momento52—per quelle di Longare. Così come suona poco
consueto quel castello di Fossano che all'inizio del '300 Filippo d'Acaia si fa costruire con ampie
parti in legno53. Per il resto, nel '300 l'uso del legno è decisamente limitato. Solo per alcune parti
delle fortificazioni di Talamone (metà '300) si usa questo materiale, acquistato in parte da privati, in
parte tagliato nei boschi comunali, e in parte invece fatto arrivare da Siena o da località della
Maremma54. A Gangalandi, nel 1326, la fortificazione che viene costruita in legno è solo un
approntamento provvisorio in attesa che vengano completate le opere di muratura, mentre a
Buggiano (nel Fiorentino) nello stesso secolo il legno di noce e di ontano è sostanzialmente
utilizzato per le impiallacciature di alcune porte del castello, e a Corciano—in Casentino nel '400—
il legno è usato solo per scale, terrazze, ballatoi e per i circuiti degli steccati55.
A metà del '300 i bilanci della ristrutturazione della rocca di Montefiascone evidenziano un uso di
legname di olmo e pioppo in parte acquistato da privati ma soprattutto proveniente dai boschi
camerali, per le travature, per la costruzione di un loggiato, per le armature di torri e bertesche e
soprattutto (quando la venuta di un personaggio dal largo seguito lo impone, come accade nel 1353­
54 quando arriva il cardinale di Albornoz) per tramezzare e soppalcare in legno i locali interni onde
ricavare spazi supplementari da destinare ad alloggiamenti (come lo steccatum che si costruisce
dentro il locale della tesoreria per accogliere gli ostaggi dei fuoriusciti orvietani), per conservare il
vino (si costruisce un tavolato «circumcirca quandam vegetem vini»), per ricavare infine strutture
stabulari (come il gallinaio che si costruisce in fretta e furia dentro il castello «pro retinendo pullos»
del Legato pontificio)56. I conti della ristrutturazione del castello di Cagliari alla fine del '300 ci
dicono che si usa in abbondanza legno di abete, pino e rovere (proveniente dalla stessa Sardegna ma
anche dal Lazio, dalla Campania, dalla Calabria e addirittura da Venezia) sostanzialmente per le
48
SETTIA, Castelli e villaggi, cit., p. 197.
REDI, Le fortificazioni, cit., pp. 383-386, 387; SETTIA, Castelli e villaggi, cit., pp. 373, 380, 403.
50
Il progetto Montarrenti (Si) Relazione preliminare 1984
, R. PARENTI , La torre A: una lettura stratificata
,
«Archeologia Medievale», XII,1985, pp.420-424; IDEM, La torre B, cit., p. 289.
51
MORSOLETTO, Castelli, città murate, cit., p. 301.
52
Ibidem.
53
P. CARITÀ, Il castello di Fossano da "castrum" e "palatium". Trasformazione ad opera dei duchi di Savoia nel XV
secolo, in Castelli, cit., pp. 301-308.
54
G. CHERUBINI , Signori, contadini, borghesi. Ricerche sulla società italiana del basso medioevo , Firenze 1974, P.
547.
55
PIRILLO, L’organizzazione, cit., p. 281-284, G. CHERUBINI, Il quadro storico , in AA.VV . Il castello di Porciano
in Casentino. Storia e archeologia, a cura di G. Vannini, Firenze 1987, p. 11; G. VANNINI, La documentazione
archeologica, ibidem, p. 44.
56
A. LANCONELLI, Le expensae pro reparationibus Rocche Montisflasconis (1348-1359). Note sull'attività edilizia
nel patrimonio di S. Pietro in Tuscia, in AA.VV., Le chiavi della memoria. Miscellanea in occasione del I centenario
della Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, a cura della Associazione degli ex allievi, Città del
Vaticano 1984, pp. 389, 390, 397, 398,399,400.
49
travature, per la copertura delle guardiole, per le incastellature delle fabbriche e per i solai, e che si
usa fasciame di botti per i piani di calpestio57. Lo stesso affresco del Palazzo Comunale di Siena già
ricordato ci mostra un castello in cui l'uso del legno è limitato sostanzialmente alla palizzata che
circonda il cassero, alle guardiole di legno sulla palizzata stessa ed all'incastellatura lignea sulla
sommità della torre del cassero. Solo in casi eccezionali, sembra di poter dire, da ora in avanti si
continuano a costruire castelli o comunque fortificazioni interamente di legno58
Legno reperito in loco o, in certi casi come si è visto, fatto arrivare anche da molto lontano; pietra
proveniente in genere dalle cave circostanti l'insediamento ma anche—in altri casi—da cave più
lontane quando da queste si può avere pietra migliore o di varia resa cromatica; mattoni impastati e
cotti in mattonaie non sempre vicinissime al cantiere.
Ma la costruzione di un castello prevede spesso anche l'utilizzazione di materiali provenienti da
costruzioni preesistenti, ormai in rovina e dalle quali saccheggiare per riusare. Si usano materiali
recuperati dalle mura romane per le fortificazioni longobarde di Benevento; si riusano materiali
romani o addirittura preromani per i castelli altomedievali laziali; si riusano interi tratti di
fortificazioni etrusche a Luni nell'altomedioevo. E gli scavi di Pavone, in Piemonte, evidenziano il
riutilizzo di mattoni e tegole romane per le murature e le coperture della chiesa59.
Nel Fiorentino, addirittura, fra il XII e il XIII secolo, quando il castello sorge su un preesistente
insediamento romano o etrusco, le pietre riusate danno vita a tecniche costruttive tutte particolari60.
Vecchie tegole e mattonelle vengono ripulite e riusate nel rifacimento del castello di Montefiascone
nel Trecento e altrettanto avviene con blocchi di pietra provenienti da locali demoliti intorno alla
rocca, esattamente come, nello stesso secolo, avviene per il castello di Frosinone, per quello di
Fossano61 e per la rocca di Montalcino per la quale si utilizza pietra proveniente, oltre che «dalla
vigna del Comune», anche da una vicina chiesa in demolizione62. Pietre e altri materiali provenienti
da edifici abbattuti vengono usati per vari castelli del Fiorentino nel '300; quando si ricostruisce,
anzi, il castello di Cepperello in Valdelsa abbattuto da Arrigo VII, si utilizzano per l'opera pietre e
mattoni delle case distrutte dei ghibellini di Poggibonsi63. Né il riutilizzo si limita ai materiali per la
muratura: a Cagliari, come si è detto, per i rifacimenti tardotrecenteschi del castello si riutilizza il
fasciame di botti, e nella stessa città, ma qualche decennio prima, si era utilizzato per le
fortificazioni il fasciame di tre galee vecchie «et minus aptas ad navigandum»64.
Il castello del tardo medioevo italiano, insomma, presenta una complessa coesistenza di usi di
materiali; una elastica coesistenza di tecniche nuove e di permanenze; una contemporaneità di
strutture più semplici e di altre più complete e sofisticate. Ancora per il '200 nell'Italia settentrionale
si possono sostanzialmente censire due tipi di castello: un tipo (riservato ai castelli più importanti)
interamente in muratura; un secondo (destinato invece ad insediamenti secondari) che presenta la
muratura esclusivamente nei principali elementi difensivi e si struttura, per il resto, utilizzando il
57
C. MANCA, Il libro di conti di Miguel Ça-Rovira, Padova 1969, pp. 21-23; 31-34; 153.
VERDIANI BANDI, I castelli della Val d’Orcia, cit., p. 158.
59
PEDUTO, Torri e castelli , cit., p. 391; D. ANDREWS , Castelli e incastellamento nell'Italia centrale: la problematica
archeologica, in Castelli, cit., p. 129, SETTIA, Castelli e villaggi, cit, p. 476. Sulla riutilizzazione di materiali di
precedenti fasi di incastellamento pre-medievale (ellenistiche e tardo classiche) si veda per Genova M. MILANESE,
Scavi nell'oppidum preromano di Genova. Genova-San Silvestro I «Studia Archaeologica», 48, 1987, pp. 64, 70.
60
FRANCOVICH, I castelli del contado , cit., p. 52. E probabile che qualcosa di analogo accada a Montereale
Valcellina (Pordenone) dove gli scavi del castello hanno evidenziato materiale probabilmente proveniente da edifici
precedenti demoliti (Ricerche archeologiche nel castello di Montereale Valcellina (Pordenone). Campagne di scavo del
1983, 1984, 1985, 1986, D. ANDREWS, Il rilievo dei ruderi, «Archeologia Medievale», XIV, 1987, p. 104).
61
LANCONELLI, Le "expensae " , cit., p. 401, A. CORTONESI , Il lavoro edile nel Lazio del Trecento: Frosinone,
cantiere della rocca, a. 1332, in Castelli, cit., p. 252; CARITÀ Il castello di Fossano, cit., p. 300.
62
Informazione gentilmente fornitami dal dott. Andrea Giorgi che ringrazio.
63
PIRILLO, L’organizzazione, cit., p. 282.
64
MANCA, Il libro di conti , cit., pp. 22-23; G. MELONI , Note sulle difese della Sardegna aragonese nel 1333 , in Le
società mediterranea all'epoca del Vespro, Atti del XI Congresso di storia della Corona d'Aragona, Palermo-Erice, 25­
30 aprile 1982, Palermo 1984, III, pp. 414-415.
58
legno65. Ma già alla metà del '200 castelli come quello di Pontenuovo presso Pavia ("muratum
excepto ab un latere") sembrano eccezioni66 poiché al contrario la tipologia corrente è quella di un
castello ben munito e ben murato, talvolta inespugnabile come quel castello siciliano delle Gerbe
che in pieno Trecento si prospetta come un impenetrabile quadrato murato, munito di una torre per
ciascun angolo (due circolari e due quadrate), con una torre intermedia nel mezzo della cortina fra
ogni coppia di torri angolari, circondato da un parapetto basso e cinto all'esterno di esso da un
ulteriore circuito di fossato. Quel castello delle Gerbe sopra i cui merguli Pere Sarroca, capitano
catalano, si lasciò muriri inpassalatu et assicatu continuando a stringere, anche da morto, in mano
quelle chiavi che, esse sole, avrebbero potuto permettere ai nemici del suo signore e sovrano di
penetrare all'interno dell'imprendibile fortificazione67.
Alla complessità dei materiali da costruzione per le strutture esterne fa, peraltro, spesso da
contrappunto un'analoga complessità dei materiali usati per gli interni, per le rifiniture, per le varie
strutture accessorie che completano il castello. A Frosinone, nel primo '300, il 48% della spesa
complessiva è assorbita dal costo dei materiali metallici, del ferro, del piombo, dei vari tipi di chiodi
e di altri materiali simili68. A Montefiascone, a metà dello stesso secolo, gangheri, bullette, aguti e
chiavi, costituiscono i materiali ferrosi di più comune uso insieme al piombo utilizzato per fissare
saldamente nel muro i cardini di porte e finestre. Qui, anzi, per risparmiare si acquista ferro grezzo
che viene lavorato all'interno stesso del castello in una forgia appositamente costruita69 riuscendo in
questo modo sicuramente a contenere i costi, diversamente da quanto deve essere successo nello
stesso periodo per il castello di Talamone per il quale si utilizza una parte minima di materiale
ferroso locale e, al contrario, una gran quantità di metallo fatto arrivare dalla lontana Siena70. Cunei
e viti di ferro incidono per oltre il 98% di tutti i materiali ferrosi usati per il castello di Cagliari
provenienti in gran patte dalla bottega del mercante-fabbro Messaguer Berenguer71. Ma solo una
parte del materiale ferroso proviene invece da produzione locale quando alla fine del '300 si lavora
alla rocca casentinese di Romena: il resto proviene dalla un po' più lontana Bibbiena72.
Le legature delle murature sembrano seguire anch'esse un iter di progressivo raffinamento: dalle
malte povere di certe fortificazioni altomedievali o del X-XI secolo si passa progressivamente ad un
uso di leganti via via più resistenti. I castelli due-trecenteschi della linea pisano-lucchese, ad
esempio, presentano impasti talvolta particolarmente resistenti e malte talvolta associate a
cocciopesto73. I leganti, peraltro, talvolta provengono da calcinai anche relativamente distanti: a
Romena in Casentino la calce viene portata da due fornaci distanti circa 5 chilometri e mezzo, e la
sabbia in parte viene dal greto dell'Arno distante 2 chilometri e mezzo e in parte da una cava più
vicina (un chilometro e mezzo)74, analogamente a quanto accade a Cagliari dove la calce viene
prelevata da località esterne alla città, diversamente da quanto avviene, invece, ad esempio, a
Frosinone dove per i restauri del castello si realizza ex novo una calcara per la calce75.
Le esigenze costruttive e soprattutto il variato uso di materiali determinano anche un diseguale
impiego di leganti ed una differente loro composizione. A Firenzuola il rapporto calce/pietra per
ogni braccio di muro varia secondo il tipo di materiale usato per fare la calce stessa: 3,1/2 moggia di
calce se per farla si usa pietra di cava, 5 moggia se si usa pietra di fiume. A Romena la
composizione della malta registra un rapporto di 28,5 di calce e 71,5 di sabbia che è analogo a
65
SETTIA, Castelli e villaggi, cit., p. 369.
IDEM, p. 367.
67
A. VARVARO, Le chiavi del castello delle Gerbe. Fedeltà e tradimento nella Sicilia trecentesca , Palermo 1984, pp.
11, 37.
68
CORTONESI, Il lavoro edile, cit. pp. 253-254.
69
LANCONELLI, Le "expensae ", cit., pp. 403, 405.
70
CHERUBINI, Signori, cit., p. 550.
71
MANCA, Il 1ibro di conti, cit., pp. 34-35.
72
PIRILLO, L'organizzazione, cit., p. 280.
73
REDI, Le fortificazioni, cit., p. 386.
74
PIRILLO, L’organizzazione, cit., p. 280.
75
CORTONESI, Il lavoro edile, Cit., p. 246; MANCA, Il libro di conti, cit., pp. 27-29.
66
quello riscontrabile a Montefiascone—più o meno nella stessa epoca—ma diverso dalla
composizione del legante cagliaritano che oltre alla calce e alla sabbia prevede anche l'uso di
ghiaia76. A Montefiascone, invece, per rinforzare e soprattutto impermeabilizzare i leganti si
uniscono alla calce grasso animale, o olio, o cera, o resina, mentre per stuccare le giunture del
pavimento si uniscono alla malta tegole polverizzate77.
I1 problema dei materiali isolanti ed impermeabilizzabili viene risolto, in genere, in maniere del
tutto originali da luogo a luogo, facendo ricorso alle risorse locali: a Cagliari, ad esempio, si usa lo
smalto e si stende sui tetti del castello uno strato impermeabilizzante di pece78, mentre nei castelli
della Sicilia normanna si fa ricorso alla ghiaia di mare secondo un uso conservatosi poi per secoli79.
Per i pavimenti della Rocca di Rivoli Veronese nel XII secolo si usa terra con grumi di calce e
pietra, mentre a Cagliari i pavimenti del castello sono completati da uno strato di calce viva, legno
ed alghe marine80.
I tetti, in genere sono coperti da tegole e coppi: così a Fossano, a Montefiascone, Frosinone e
Montarrenti; ma non così, invece, nei castelli pisani e lucchesi che sono coperti di pozzolana81.
Più difficile, invece, evidenziare la presenza o meno di intonaco: forse sono intonacati castelli come
Scarlino (almeno per la fase trecentesca); di certo lo sono castelli come quello di Ponte a Serchio,
mentre altri sono decisamente murati a faccia-vista, come il castello di Cagliari, ad esempio, il quale
presenta però abbellimenti nelle modanature rifinite in gesso e talvolta colorate82. Tracce di
intonaco dipinto sembrano evidenziarsi nel castello (usato fino al '400) di Montella (Avellino), così
come abbellimenti sono presenti (né l'uso è eccezionale) nella fase duecentesca del castello pugliese
di Conversano, secondo uno schema generalizzato e riscontrabile in tutta la Puglia fino al '500
inoltrato83.
Problemi particolari comporta invece la costruzione di strutture accessorie interne al castello stesso,
in particolar modo la costruzione degli impianti di approvvigionamento idrico. A Rocca San
Silvestro nella fase relativa all'XI-XIII secolo la cisterna del castello viene impermeabilizzata con
strati di malta e cocciopesto, non molto diversamente da quanto si fa nella stessa epoca in Sicilia nel
castello di Calathamet la cui cisterna è rivestita da uno strato di calce idraulica84. Blocchi calcarei
nella parte superiore e mattoni in quella inferiore caratterizzano la cisterna della Rocca di Rivoli
Veronese in questa stessa epoca85. Ma il capolavoro di ingegneria idraulica riscontrabile all'interno
di un castello medievale è probabilmente quello ancora leggibile nel castello di Porciano in
Casentino: qui un complesso sistema idrico di raccolta e di depurazione delle acque piovane utilizza
un condotto di cotto inserito dentro la cortina muraria e raccoglie le acque meteoriche dall'alto della
torre per convogliarle dentro una vasca di decantazione in pietra, intonacata, coperta da una volta a
botte. Da qui un condotto interrato provvisto di una serie di filtri in pietra conduce l'acqua verso un
altro drenaggio costruito con sassi di fiume, da cui, finalmente, l'acqua arriva pulitissima nella
cisterna principale di raccolta86.
DUCCIO BALESTRACCI
76
PIRILLO, L'organizzazione, cit., p. 279-280; LANCONELLI, Le "expensae" , cit., p. 401; MANCA, Il libro di conti ,
cit., p. 22.
77
LANCONELLI, Le "expensae ", cit., pp. 401-402.
78
MANCA, Il libro di conti cit., pp. 23, 29. Sull'uso dello smalto unito a calcestruzzo per il riempimento e
l’impermeabilizzazione del sacco si veda il trattato di FERDINANDO MOROZZI, Delle case de' contadini, Firenze
1770, pp. 36-38.
79
BRESC, Terre e castelli, cit., p. 87.
80
HUDSON, Rocca di Rivoli Veronese , cit., pp. 343-345, MANCA Il libro di Conti , cit. pp. 23, 26. A Triflisco sul
Volturno si usa il cocciopesto per i pavimenti di epoca longobarda (PEDUTO, Torri e castelli, cit., p. 399).
81
CARITÀ, Il castello di Fossano , cit., p. 303; LANCONELLI, , Le "expensae " cit., p. 399, CORTONESI, Il lavoro
edile, cit., p. 245, 252; PARENTI, La torre A, cit., p. 425; REDI, Le fortificazioni,cit., p. 387.
82
PARENTI, Le strutture, cit., p. 186; REDI, Le fortificazioni, cit., p. 384; MANCA, Il libro di conti, cit., pp. 20-22.
83
M. ROTILI, Ricerche archeologiche nel castello di Montella (Avellino). Nota preliminare, «Archeologia Medievale»,
VIII, 1981, p. 553, DEGANO, Caratteristiche, cit., p. 340, DE VITA,Castelli di Puglia, cit. p. 32.
84
AA.VV., Rocca San Silvestro e Campiglia, cit., p. 27; PESEZ, POISSON, Le château, cit., p. 65.
85
HUDSON, Rocca di Rivoli Veronese, cit., p. 341.
86
VANNINI, La documentazione archeologica, cit. pp. 39-40.