Codice Procedura Penale Michela Cupini
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Codice Procedura Penale Michela Cupini
GLI ATTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA A cura Dr.ssa Michela CUPINI Comandante Polizia Municipale Montecatini Terme Le indagini preliminari e l’attività d’indagine della polizia giudiziaria La fase delle “indagini preliminari” è, nel vigente codice di procedura, una fase preprocessuale, nel senso che precede il processo vero e proprio, inteso quest’ultimo, come sede in cui l’azione penale viene esercitata dal pubblico ministero: Come già detto, la finalità delle indagini preliminari non è quella di raccogliere le prove e farne un primo vaglio processuale, ma quella di individuare ed assicurare le fonti della prova e di permettere al pubblico ministero, sulla base degli elementi individuati e raccolti, le sue determinazioni in ordine all’esercizio (o meno) dell’azione penale. Il materiale raccolto nel corso delle indagini preliminari non potrà quindi, di regola, servire come prova nel processo; esso servirà unicamente: - in un primo momento, al pubblico ministero per decidere se vi siano elementi sufficienti a concretare un’accusa ed a sostenerla, poi, in giudizio nei confronti di taluno; - in un secondo momento ( un volta prese le opportune determinazioni da parte del pubblico ministero) al giudice per le indagini preliminari (g.i.p.) per decidere sulle richieste che la pubblico ministero o dall’imputato saranno, secondo i casi, avanzate: richiesta d’archiviazione, richiesta di rinvio a giudizio, richiesta di giudizio abbreviato od i giudizio per decreto o di applicazione concordata della pena. Oltre questi limiti, la valenza probatoria o, meglio l’utilizzabilità degli atti d’indagine preliminare, di regola, non può andare. E’ conseguenza di quest’impostazione una maggiore agilità, libertà di forme e possibilità d’articolazione dell’attività di polizia giudiziaria, sia d’iniziativa che delegata. I risultati delle indagini preliminari devono servire al pubblico ministero per le sue determinazioni e, quindi, è opportuno che egli ne assuma al più presto la direzione. Parlando di “attività” d’indagine, si fa riferimento ai singoli “atti” che del più generale concetto d’attività sono frazioni o segmenti. In altri termini: l’attività degli organi di polizia giudiziaria, sia d’iniziativa sia delegata, si manifesta e si estrinseca in “atti”, cioè in frammenti di attività, ciascuno dei quali ha una propria finalità e un proprio contenuto, i quali, collegandosi fra loro come presupposto o come conseguenza, determinano lo sviluppo dell’indagine. In conclusione dobbiamo dire che, mentre nella sistematica del codice di rito previdente notevole era la categoria degli atti di polizia giudiziaria definiti come “atti d’acquisizione probatoria” (con efficacia cioè di raccolta della prova e d’anticipazione processuale), oggi questa categoria è ristretta a pochi atti eccezionali (di cui tra poco diremo), essendo la più parte di loro finalizzati a consentire al pubblico ministero di prendere le proprie “determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale”. Atti ripetibili e non ripetibili Vi sono degli atti per i quali, se pure in via d’eccezione, il principio esposto nel paragrafo precedente non può trovare applicazione, poiché, in considerazione della loro natura, non è possibile limitare le portata della loro efficace alla fase ed agli scopi delle indagini preliminari, pena la dispersione definitiva della prova: Trattasi degli atti che il codice di procedura penale indica come “non ripetibili” (o più brevemente “irripetibili”) in quanto nel momento stesso della loro esecuzione si esaurisce, si consuma ogni possibilità di ripetizione. In altri termini: non è possibile un nuovo ed ulteriore accertamento della situazione oggetto di essi: E’ chiaro che una perquisizione o un sequestro, una volta eseguiti e una volta che abbiamo raggiunto il loro scopo, rispettivamente di ricerca e d’acquisizione degli elementi di prova, non possono essere rinnovati in modo che la prova ad essi collegata possa essere acquisita mediante un atto processuale. Ormai l’atto si è consumato e correlativa efficacia probatoria del suo risultato si è già concretata nell’oggetto di esso, sì che non vi è che prendere atto di tale situazione. Questa è la ragione per cui, come vedremo, gli atti non ripetibili devono essere documentati mediante verbale e la prova ottenuta mediante l’esecuzione di essi può essere fatta valere nel giudizio: si suole parlare in tal senso di utilizzabilità negli atti nel processo: E’ per questa ragione che i verbali suddetti devono essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento e di essi può essere data lettura nel processo ai sensi dell’art. 511, comma 1 c.p.p. Va rilevato che il codice di procedura non indica specificamente quali siano gli atti non ripetibili, né enuncia una definizione di essi di carattere generale; è quindi compito dell’elaborazione dottrinaria e della pratica giurisprudenziale sopperirvi. Sono sicuramente atti non ripetibili - - - a) quelli d’iniziativa: le perquisizioni i sequestri gli atti di acquisizione e apertura immediata di plichi gli accertamenti e i rilievi urgenti sui luoghi e sulle cose oggi consentiti anche tramite prelievo di materiale biologico; gli atti, descrittivi di fatti e situazioni, compiuti in via d’urgenza, prima dell’assunzione della direzione delle indagini da parte del pubblico ministero b) tra gli atti delegati: le ispezioni le perquisizioni i sequestri le intercettazioni telefoniche Atti d’iniziativa ed atti delegati: attività meramente esecutiva di ordini o provvedimenti Come abbiamo avuto già più volte occasione di dire, gli atti di polizia giudiziaria possono essere d’iniziativa o delegati. Appartengono alla prima categoria quelli che la polizia giudiziaria compie in adempimento dei compiti assegnati dall’art. 55, comma 1, c.p.p. senza che alla sua attività sia dato impulso dall’esterno, mediante una notizia qualificata di reato o una delega o un ordine dall’A.G. In particolare, con riferimento alle funzioni della polizia giudiziaria enunciate nell’art. 55, comma 1, c.p.p., si deve sottolineare che, per quanto concerne il “prendere notizia dei reati”, la polizia giudiziaria non deve limitarsi ad attendere di essere attivata da una denunzia o da una querela, ma può e deve essere sempre solerte ed attenta nel captare sospetti, indizi, insomma ogni segnale dal quale possa arguirsi come ragionevolmente probabile l’esistenza di un reato, svolgendo di conseguenza tutte le indagini necessarie ad accertarlo. Una volta raggiunta la certezza dell’esistenza del reato, conseguono le altre attività indicate nell’art. 55, comma 1 c.p.p. ed in particolare l’esecuzione degli “atti necessari per assicurare le fonti di prova”. Dobbiamo mettere in evidenza che l’esecuzione di atti di iniziativa è possibile e doverosa anche dopo la comunicazione della notizia di reato al pubblico ministero ed anche dopo l’assunzione della direzione delle indagini Da parte di questi: le modifiche apportate dall’art. 348, commi 1 e 3, dal D.L. n. 306/1992 (convertito modificazione in legge 7 agosto 1992, n. 356) e di poi il nuovo testo del comma terzo come sostituito dall’art. 8 della legge 26 marzo 2001, n. 128 consentono l’attività di indagine di iniziativa sia con riferimento agli elementi già acquisiti all’indagine (attività di sviluppo e approfondimento) sia con riferimento agli elementi successivamente emersi. Tuttavia nel caso in cui il pubblico ministero abbia assunto la direzione delle indagini, riteniamo che il compimento di atti di iniziativa da parte della polizia giudiziaria non debba contrastare con le direttive impartite e debba altresì, essere subordinato alla duplice condizione della “necessità e dell’urgenza” per l’esecuzione dell’atto. In difetto sarà infatti, il pubblico ministero, prontamente informato, a dare le direttive del caso. Il requisito della necessità dell’atto, che deve sempre ricorrere stante il chiaro tenore letterale dell’art. 55. comma 1, c.p.p. pur essendo ovvio se isolatamente esaminato (in quanto l’atto non deve essere arbitrario e inutile, ma giustificato dalle esigenze dell’indagine), assume particolare rilievo se collegato all’ulteriore requisito dell’urgenza. Ricorre l’ipotesi della necessità e dell’urgenza ogni qualvolta esista il ragionevole rischio di non assicurare o di non assicurare adeguatamente, la fonte di prova, utile per le indagini, se si dovessero attendere le direttive del pubblico ministero. Il vigente codice di rito richiede la sussistenza del requisito dell’urgenza come presupposto necessario per il compimento di alcuni atti tipici di iniziativa. Indichiamo qui di seguito tali atti: a) assunzione, sul luogo e nell’immediatezza del fatto, di notizie ed indicazioni utili ai fini dell’immediata prosecuzione delle indagini tramite le dichiarazioni della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini b) apertura immediata di plichi o di corrispondenza : l’urgenza è data dalla necessità di acquisire fonti di prova che potrebbero andare disperse a causa del ritardo; c) perquisizioni personali o locali. Nel caso indicato nell’art. 352, comma 1, l’urgenza è rappresentata dalle situazioni di flagranza o di evasione; nel caso indicato nell’art. d) e) f) g) 352, comma2, è indicata con riferimento “a particolari motivi” che non consentano la tempestiva emissione di un decreto di perquisizione; accertamenti urgenti sui luoghi e sulle persone:l’urgenza, già sottolineata nell’intitolazione dell’articolo, è rappresentata dal pericolo che le cose, le tracce o lo stato dei luoghi vengano alterati o modificati o le cose o le tracce vengano disperse prima che il pubblico ministero possa tempestivamente intervenire; sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato ricorrendo gli stessi motivi d’urgenza di cui alla lettera precedente arresto, obbligatorio o facoltativo, in flagranza: l’urgenza è data, in ogni caso, dallo stato di flagranza; fermo di indiziato di delitto. L’urgenza è qualificata dall’esistenza di specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga: nel caso di cui all’art 384, comma 3 (fermo di indiziato dopo l’assunzione della direzione delle indagini da parte del pubblico ministero) l’urgenza è ulteriormente rinforzata dalla circostanza che non è possibile attendere il provvedimento del pubblico ministero. Per quanto concerne gli atti delegati o meramente esecutivi di ordini o provvedimenti non riteniamo di doversi soffermare in questa sede sui relativi presupposto. Infatti la loro valutazione, con riguardo all’opportunità o necessità o urgenza dell’atto e/o a qualunque altro presupposto di legittimità formale o sostanziale, non spetta alla polizia giudiziaria bensì all’A.G. che ordina l’esecuzione dell’atto. Unica valutazione in questi casi consentita alla polizia giudiziaria, chiamata all’esecuzione di un atto delegato, è quella circa l’esistenza di quei requisiti formali dell’atto la cui mancanza lo renderebbe: - inesistente: ad esempio la mancanza della firma dell’autorità mandante oppure - ineseguibile. Si veda l’art 293 comma 3 c.p.p. circa l’ordinanza che dispone la misura della custodia cautelare: la polizia giudiziaria non potrebbe eseguire il provvedimento se mancante delle generalità o comunque degli elementi di identificazione dell’imputato o se comunque queste fossero incerte o vi fosse incertezza circa il giudice che ha emesso il provvedimento. Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero può delegare alla polizia giudiziaria il compimento di tutti gli atti di indagine preliminare ad eccezione: • dell'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini che non si trovi in stato di libertà e dei confronti con la medesima (art. 370, comma 1. c.p.p.); • di tutti quegli atti per i quali singole disposizioni escludono la delegabilità, come, ad esempio, per le ispezioni, perquisizioni e sequestri negli uffici dei difensori (art. 104, comma 4, c.p.p.) oppure per le perquisizioni presso banche (art. 248, comma 2, ultima parte); • di quegli atti la cui delegabilità è esclusa dall'intrinseca natura dell'atto, come, ad esempio, gli accertamenti tecnici non ripetibili di cui ali'art. 360 c.p.p. (-), che sono di competenza del pubblico ministero ed i cui effetti sono assimilabili a quelli della perizia disposta dal giudice. A titolo esemplificativo si possono, comunque, indicare come delegabili i seguenti atti: a) ricezione di denunce, querele, istanze di procedimento presentate oralmente (art. 373, comma 1, lett. a); b) ispezioni di cose e di luoghi; e) perquisizioni; d) sequestri; e) individuazione di persone e di cose (art. 361 c.p.p.); f) assunzione di informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini (art. 362 c.p.p.); g) operazioni di intercettazione di conversazioni o comunicazioni (art. 267, comma 4 c.p.p.); h) accertamenti tecnici ripetibili (art. 359 c.p.p.). i) interrogatori e confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà (art. 370, comma 1 c.p.p.). Una particolare figura di delega alla polizia giudiziaria per l'esecuzione di atti tipici di competenza del pubblico ministero, altrimenti detta autorizzazione del pubblico ministero al compimento di atti, è prevista nel procedimento penale dinanzi al giudice di pace dall'art. 13 D.Lgs. 28 agosto 2000 n. 274, che dice: la polizia giudiziaria può richiedere al pubblico ministero l'autorizzazione al compimento di accertamenti tecnici irripetibili ovvero di interrogatori o di confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini. Il pubblico ministero, se non ritiene di svolgere personalmente le indagini o singoli atti, può autorizzare la polizia giudiziaria al compimento degli atti richiesti. Allo stesso modo provvede se viene richiesta l'autorizzazione al compimento di perquisizioni e sequestri nei casi in cui la polizia giudiziaria non può procedervi di propria iniziativa (cfr. infra parte terza, capitolo primo, paragrafo 16.6). La polizia giudiziaria può, inoltre, essere chiamata a svolgere attività meramente esecutiva di provvedimenti, emanati sia dal pubblico ministero sia da A.G. diversa, il che avviene per l'esecuzione: • del fermo di indiziato di delitto, disposto dal pubblico ministero (art. 386 c.p.p.); • delle ordinanze, che dispongono la custodia cautelare (artt. 285 e 286) od altra misura cautelare (artt. 281 e 284) od interdittiva (artt. 288 e 290 c.p.p.), così come dispone l'art. 293 c.p.p.; • l'esecuzione dei provvedimenti di accompagnamento coattivo, emessi dal pubblico ministero (artt. 376 e 377, comma 1, leti, e), dal g.i.p. (art. 399 c.p.p.) o dal giudice del dibattimento (art. 490 c.p.p.) nei confronti dell'indagato o dell'imputato e di altre persone (artt. 132 e 133 c.p.p.); • l'esecuzione delle notificazioni nei casi previsti. Secondo l'art. 151 co. 1 c.p.p. le notificazioni di atti del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari sono eseguite dall'ufficiale giudiziario, ovvero dalla polizia giudiziaria nei soli casi di atti di indagine o provvedimenti che la stessa polizia giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire. L'art. 148 co. 2 c.p.p. dispone che nei procedimenti con detenuti ed in quelli davanti al tribunale del riesame il giudice può disporre che, in caso di urgenza, le notificazioni siano eseguite dalla Polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti, con l'osservanza delle norme del presente titolo. Si ribadisce comunque che qualsiasi attività affidata alla polizia giudiziaria deve necessariamente essere ancorata alle finalità investigative di cui alt'art. 55, comma 1, c.p.p. con esclusione di qualsiasi altra attività non pertinente a finalità investigative e di accertamento dei reati (si veda l'art. 59, co. 5, c.p.p. come modificato dall'alt. 17, L. 155/2005). Attività dì indagine della polizia giudiziaria e garanzie di difesa L'assistenza e l'intervento del difensore nel corso dell'attività d'indagine ad iniziativa della polizia giudiziaria sono estremamente limitati e concernono, da un lato, le ipotesi di dichiarazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini e, dall'altro, le ipotesi di esecuzione di alcuni atti irripetibili. Riteniamo di indicare questi casi, suddividendoli in due categorie, a seconda che l'assistenza e l'intervento siano obbligatorì oppure facoltativi. a) Ipotesi d'intervento obbligatorio. È il caso delle sommarie informazioni rese dalla persona sottoposta ad indagini, che si trovi "a piede libero", vale a dire non in stato d'arresto o di fermo, (art. 350, comma 1). La polizia giudiziaria, prima di assumere le sommarie informazioni, invita l'indagato a nominare un difensore di fiducia. Qualora questi non vi provveda, viene individuato il difensore d'ufficio secondo i criteri indicati dall'ari. 97 c.p.p., come modificato dagli artt. 1, 2 e 3 legge 6 marzo 2001, n. 60. Su richiesta della polizia giudiziaria procedente un apposito ufficio, esistente presso il Consiglio dell'Ordine Forense di ciascun distretto di Corte d'appello, indica il nominativo del difensore di ufficio, tratto da elenchi in precedenza predisposti. Il difensore, di fiducia o di ufficio, deve essere tempestivamente preavvisato della data e del luogo in cui si svolgerà l'interrogatorio ed ha l'obbligo di presenziare al compimento dell'atto, così come testualmente dispone l'art. 350, comma 3, c.p.p. Il difensore, sia di fiducia che d'ufficio, può nominare un sostituto (art. 102, comma 1, c.p.p.). In caso di non reperibilità immediata, rifiuto, omessa comparizione od abbandono della difesa da parte del difensore, sia di fiducia sia d'ufficio, l'ufficiale di polizia giudiziaria operante deve chiedere il nominativo di altro difensore al suindicato ufficio, salvo nei casi di urgenza, la diretta nomina di un difensore immediatamente reperibile, previa adozione di un provvedimento motivato che indichi le ragioni dell'urgenza. Nei casi di abbandono della difesa e di rifiuto della difesa di ufficio sarà riferito, per il tramite del pubblico ministero, al Consiglio dell'Ordine Forense per i provvedimenti disciplinari di competenza (art. 105, comma 1 e 4, c.p.p.). Ai sensi dell'ari. 351, comma I-bis, e.p.p. il difensore ha, altresì, il diritto di assistere all'assunzione delle sommarie informazioni da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria nei confronti di persona imputata in un procedimento connesso ovvero di persona imputata di un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall'ari. 371, comma 2, lett. e.p.p. b) ipotesi d'intervento facoltativo. L'art. 356 c.p.p. indica gli atti di polizia giudiziaria, ai quali il difensore della persona indagata ha "facoltà di assistere, senza diritto di essere preventivamente avvisato". Essi sono • perquisizioni, personali o locali (art. 352 c.p.p.) comprese le perquisizioni di sistemi informatici e telematici (art. 9 L. 48/2008); • immediata apertura di plichi, autorizzata dal pubblico ministero (art. 353, comma 2 c.p.p.); • accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone (art. 354, comma 2, c.p.p.); • sequestro del corpo di reato e delle cose pertinenti (art. 354, comma 2, c.p.p.); • assunzione di notizie ed indicazioni utili ai fini dell'immediata prosecuzione delle indagini mediante l'interrogatorio della persona indagata sul luogo e nell'immediatezza del fatto, come si argomenta dalla lettura dell'art. 350, commi 5 e 6, c.p.p. Nei casi sopra indicati l'assistenza del difensore della persona sottoposta alle indagini non è necessaria, perciò non sorgono problemi in ordine all'individuazione di un difensore di ufficio. Il difensore non può essere che di fiducia, ed è onere della persona sottoposta alle indagini richiedere la sua assistenza all'atto e farlo tempestivamente intervenire oppure approfittare della sua casuale presenza. La polizia giudiziaria non deve comunque ritardare o rinviare l'inizio delle proprie operazioni per dare modo al difensore di assistere. Per rendere possibile questa forma di intervento l'art. 114 disp. att. al c.p.p. fa obbligo alla polizia giudiziaria, nel procedere al compimento degli atti indicati nell'ari. 356 del Codice, di avvertire la persona sotloposla alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia. L'obbligo dopo l'approvazione della L. 48/2008 sulla criminalità informatica si estende anche all'ipotesi di perquisizione e sequestro di sistemi informatici e telematici. I verbali degli atti ai quali il difensore ha diritto di assistere, sia nei casi di assistenza obbligatoria che facoltativa, devono essere immediatamente trasmessi al pubblico ministero per il deposito, che deve avvenire entro il terzo giorno successivo al compimento dell'atto (art. 366, comma 1, c.p.p.) con facoltà per il difensore di esaminarli ed estrarne copia nei cinque giorni successivi. Quando non è stato dato avviso del compimento dell'atto, al difensore è immediatamente notificato l'avviso di deposito e il termine decorre dal ricevimento della notificazione. 11 difensore ha facoltà di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano e, se si tratta di documenti, di estrarne copia. Il pubblico ministero, con decreto motivato, può disporre, per gravi motivi, che il deposito degli atti suindicati e l'esercizio delle facoltà della difesa già precisate siano ritardati, senza pregiudizio di ogni altra attività del difensore, per non oltre trenta giorni. Contro il decreto del pubblico ministero la persona sottoposta ad indagini ed il difensore possono proporre opposizione al giudice, che provvede con il rito della camera di consiglio (art. 366 come modificato dall'ari. 10, commi 1 e 2 della legge 7 dicembre 2000, n. 397). Va poi ricordato che l'art. 161 e.p.p. impone alla polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle indagini, di invitarla a dichiarare o ad eleggere domicilio per le notificazioni, avvertendola che ha l'obbligo di comunicarne ogni mutamento e che in mancanza di tale comunicazione o per il caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore. Di tale avvertimento e quindi della dichiarazione o elezione di domicilio ovvero del rifiuto di compierla deve essere dato atto a verbale. Ne consegue che, sempre nel primo atto compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle indagini, questa dovrà essere avvisata del diritto che ha di nominare un difensore di fiducia e che in caso di mancata nomina, per il compimento di atti per i quali è prevista l'assistenza del difensore, si provvederà all'individuazione di un avvocato d'ufficio a norma dell'ari. 97 c.p.p. Durante il compimento degli atti di polizia giudiziaria sopra menzionali (sub a) e b) "è vietato a coloro che v'intervengono di fare segni di approvazione o disapprovazione. Quando assiste al compimento degli atti il difensore può presentare al pubblico ministero" e, nel caso di esecuzione di atti di polizia giudiziaria all'Ufficiale procedente, "richieste, osservazioni e riserve delle quali è fatta menzione nel verbale" (art. 364, comma 7, c.p.p.). Per quanto concerne gli atti di indagine delegati, l'assistenza del difensore è necessaria, cioè assolutamente obbligatoria, per gli interrogatori ed i confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini (v. art. 370, comma 1, c.p.p. come modificato dal D.L. n. 306/1992 e relativa legge di conversione). Per tutti gli altri atti delegabili dal pubblico ministero che comportano l'assistenza del difensore, questa non è mai obbligatoria, ma semplicemente facoltativa. Occorre poi distinguere tra atti per i quali il difensore deve essere messo in condizioni di esercitare il proprio diritto mediante preavviso e atti per i quali è onere della persona sottoposta alle indagini fare intervenire il difensore. Obbligo del preavviso: concerne i casi di interrogatori e confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini in stato di libertà e le ispezioni di luoghi o di cose, sia che vi partecipi o che non vi partecipi la persona sottoposta alle indagini (art. 364 c.p.p.). Se la persona sottoposta alle indagini ha già un difensore di fiducia (per averlo in precedenza nominato), a lui è dato avviso almeno ventiquattro ore prima del compimento dell'atto. Altrimenti l'avviso, nello stesso termine, è dato al difensore di ufficio, individuato a norma dell'ari. 97 c.p.p., informando, però, la persona sottoposta alle indagini che può nominare un difensore di fiducia (art. 364, comma 2, c.p.p.). Della nomina del difensore di ufficio deve essere data comunicazione alla persona indagata con contestuale informazione sulle disposizioni in materia di patrocinio dei non abbienti a carico dello Stato ed avviso che, ove non ricorrano i presupposti per l'ammissione a tale beneficio, egli è tenuto a retribuire il difensore di ufficio (art. 369-bis c.p.p.) Dispone l'art. 364, comma 5 e 6, c.p.p. che "nei casi di assoluta urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l'assicurazione delle fonti di prova, il pubblico ministero (o la polizia giudiziaria da questo delegata - n.d.r.) può procedere a interrogatorio, a ispezione o a confronto anche prima del termine fissato dandone avviso al difensore senza ritardo e comunque tempestivamente. L'avviso può essere omesso quando il pubblico ministero procede a ispezione e vi è fondato motivo di ritenere che le tracce o gli altri effetti materiali del reato possano essere alterati. È fatta salva, in ogni caso, la facoltà del difensore d'intervenire. Quando si procede nei modi suddetti, il pubblico ministero deve specificamente indicare, a pena di nullità, i motivi della deroga e le modalità dell'avviso": b) per il compimento di alcuni atti tipici, diversi da quelli suindicati, il preavviso ai difensori non deve essere dato, ma costoro hanno, comunque, il diritto di assistervi. Tali atti sono • le perquisizioni personali, locali anche di sistemi informatici; • i sequestri (art. 365 c.p.p.). Per tutti gli altri atti delegabili alla polizia giudiziaria non è prevista, neppure come facoltativa, l'assistenza del difensore. Anche per gli atti delegati, ai quali il difensore ha comunque diritto di assistere, è previsto il deposito di cui all'art. 366 c.p.p. sopra già esaminato. Valgono infine anche per questi atti le disposizioni di cui all'art. 364, comma 7, c.p.p. circa gli obblighi e le facoltà del difensore nel corso degli atti ai quali assiste. Si ricordi, inoltre, che la persona sottoposta alle indagini ha diritto di nominare non più di due difensori di fiducia (v. art. 96 c.p.p.) e che il difensore, sia di fiducia che di ufficio, per il caso di impedimento e per tutta la durata di questo, può designare un sostituto che ne eserciterà i diritti ed assumerà i doveri (v. art. 102 c.p.p.). La documentazione degli atti di polizia giudiziaria Lo svolgimento pratico dell'attività di investigazione non è vincolato a forme o modalità particolari. Esso può pertanto aver luogo con ogni tecnica che consenta di conseguire l'effetto cui ogni indagine tende, ossia l'assunzione di informazioni. Può quindi aversi attività di osservazione diretta, di sollecitazione ed ascolto di notizie da persona in grado di fornire particolari e dati di interesse investigativo, di apprensione di cose o documenti, di analisi tecniche e così via. È tuttavia indispensabile che l'esito di codeste investigazioni venga oggettivamente consacrato in forme documentali, che ne attestino la natura e le ragioni che vi hanno dato luogo. A tale effetto sono rivolte le disposizioni che si occupano della disciplina dell'attività di documentazione. Preliminare ad un esame dell'attività diretta di polizia è quindi la ricognizione delle modalità pratiche attraverso le quali si documenta e registra lo svolgimento degli atti compiuti. La legge processuale dedica all'argomento alcune regole guida: l'articolo 357 codice di procedura penale dispone: articolo 357 - documentazione dell'attività di polizia giudiziaria -"la polizia giudiziaria annota secondo le modalità ritenute idonee al fìne delle indagini, anche sommariamente, tutte le attività svolte, comprese quelle destinate alla individuazione delle fonti di prova. " L’annotazione La regola base per la documentazione delle investigazioni compiute è costituita pertanto dall’ annotazione". Con questo termine si intende una sorta di memoria personale, nella quale l'agente o l'ufficiale rappresenta le attività di cui è stato protagonista, il luogo e il tempo ad esse relativo, le persone che vi hanno preso parte e ogni altra informazione attinente al contenuto delle osservazioni e rilevazioni effettuate (articolo 115 disp att). Il documento così formato viene trasmesso al pubblico ministero, mentre una copia è conservata presso l'ufficio di polizia. Secondo la norma tali indicazioni dovrebbero essere succinte. In realtà vi è al riguardo libertà assoluta dell'operatore, che potrà viceversa redigere una rappresentazione dettagliata di quanto avvenuto, a suo giudizio, come è opportuno che sia quando si preveda che possa risultare utile alla memoria. Per la compilazione delle "annotazioni" non esiste, dunque, una forma specifica, indicata dalla legge, la quale si limita a prescrivere l'adozione delle "modalità ritenute idonee". Resta, quindi, affidata alla discrezionalità dell'operatore di polizia giudiziaria sia la scelta del mezzo (scrittura manuale, sistemi di videoscrittura, macchina da scrivere, stenografia o stenotipia, uso di supporti tecnici, come ad es. registratori, ecc.) sia il contenuto da dare all'annotazione, che può anche limitarsi ad una sommaria esposizione dell'attività svolta e del suo risultato. Rientra sicuramente nella categoria delle "annotazioni" quell'atto che nella prassi va sotto il nome di "relazione di servizio", per la cui nozione si veda Cass., SS.UU. 17.5.2006 n. 41281. Secondo Altri l'annotazione e la relazione di servizio sono atti formalmente simili, ma destinati a perseguire scopi diversi fra loro. La relazione di servizio, atto previsto dal vigente codice di rito, trova la sua disciplina nell'art. 28 del Regolamento di servizio della Polizia di Stato, il quale dispone che il personale su ogni fatto di particolare rilievo avvenuto durante l'espletamento del servizio deve riferire con apposita segnalazione al responsabile dell'ufficio, reparto o istituto, per gli adempimenti di legge, fatto salvo l'obbligo per il dipendente di redigere gli ulteriori atti prescritti dalle disposizioni vigenti. Secondo gli Autori citati, mentre l'annotazione è destinata a documentare nel procedimento penale l'attività di indagine di polizia giudiziaria (es. relazione su un intervento per furto in appartamento), la relazione di servizio sarebbe, invece, l'atto con cui gli operatori di polizia informano il responsabile dell'ufficio di quei fatti di cui siano venuti a conoscenza nell'attività di servizio, e anche fuori di essa, che possono non avere attinenza con le funzioni di polizia giudiziaria e di cui è opportuno che rimanga traccia per le ulteriori incombenze (es. segnalare un guasto od un incidente all'auto di servizio, riferire sui vari atti compiuti nel corso del servizio). La relazione di servizio sarebbe quindi un atto interno con eventuale rilevanza esterna, allorché contenga notizie di reato o documenti attività di indagine di polizia giudiziaria. L'annotazione, invece, ha rilevanza esterna, essendo destinata all'A.G. ed infatti la prima è indirizzata al dirigente dell'ufficio o ad altri uffici interessati, la seconda è diretta al responsabile del servizio di polizia giudiziaria ovvero direttamente al pubblico ministero. L'art. 115 disp. att. c.p.p. enuncia gli elementi che devono, comunque, risultare da ogni "annotazione" e precisamente: 1) l'indicazione dell'ufficiale o dell'agente di polizia giudiziaria che ha compiuto le attività d'indagine. A nostro avviso dovranno essere specificate anche generalità e funzioni dell'ufficiale o agente, che redige l'annotazione, qualora si tratti di soggetto diverso da quello che ha svolto l'attività d'indagine. 2) l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo in cui le attività d'indagine sono state eseguite; 3) le generalità e le altre indicazioni personali utili per l'identificazione del soggetto dal quale la polizia giudiziaria ha eventualmente ricevuto o assunto dichiarazioni; 4) le generalità e le altre indicazioni personali utili per l'identificazione delle persone delle quali la polizia giudiziaria si è avvalsa per compiere le attività d'indagine; 5) l'enunciazione succinta del risultato dell'indagine. Il documento così formato viene trasmesso al pubblico ministero, mentre una copia è conservata presso l'ufficio di polizia (articolo 115 disp. att.) Dunque l'annotazione anche quando è sommaria, come consentito dall'alt. 357, comma 1, c.p.p., non può comunque derogare ai limiti posti dall'ari. 115 disp. att. Tale norma indica la tecnica redazionale per la stesura di una corretta annotazione. Tuttavia, qualora una certa attività d'indagine non sia stata annotata o sia stata annotata parzialmente, l'effetto puramente informativo della documentazione mancante o difettosa potrà essere in qualunque momento integrato da altri atti o elementi di documentazione o informazione. La libertà di forma e la massima semplificazione si spiegano con la tendenziale inutilizzabilità nella fase processuale del dibattimento degli atti d'indagine, compiuti dalla polizia giudiziaria. Infatti, l'efficacia della "annotazione" è puramente informativa, venendo ad essere traccia e documentazione meramente storica di una certa attività svolta. Il contenuto dell'annotazione non può in nessun caso essere utilizzato come prova nel giudizio. Essa, al massimo, potrà essere usata come documentazione da consultare, su autorizzazione del Presidente, per aiuto alla memoria dell'ufficiale o agente di polizia giudiziaria, che deponga in giudizio (art. 499, comma 5, c.p.p.). È comunque sempre possibile, sull'accordo delle parti, la trasmigrazione dell'annotazione nel fascicolo del giudice. In ordine alla utilizzabilità processuale delle annotazioni si conferma quanto già ribadito dalle sezioni unite della Corte Cassazione con sentenza 17.10.2006, n. 41281 e cioè che ciò che conta non è il nomen iuris che si attribuisce all'atto, bensì la portata del suo contenuto. Nella fase delle indagini peraltro le annotazioni possono assumere una ben diversa valenza indiziaria, ai fini delle misure e decisioni proprie di questa fase. L'art. 357 c.p.p. non da alcun'indicazione circa il momento in cui deve essere redatta l'annotazione. Tale lacuna, secondo una prima possibile interpretazione, potrebbe essere colmata attraverso l'applicazione in via analogica delle regole dettate dall'art. 373, comma 4, c.p.p. relativamente all'attività d'indagine del pubblico ministero. Tale disposizione stabilisce che "gli atti sono documentati nel corso del loro compimento ovvero immediatamente dopo, quando ricorrono insuperabili circostanze, da indicarsi specificamente, che impediscono la documentazione contestuale". Si può ricorrere all'interpretazione analogica, poiché le norme processuali consentono siffatto tipo d'interpretazione, e, nel caso di specie, essa è resa possibile dal fatto che la norma, che si viene ad applicare, risulta relativa alla medesima attività di documentazione e svolta nella stessa fase del procedimento (indagini preliminari). Si è già detto che l'annotazione è la forma di documentazione ordinaria per gli atti atipici compiuti d'iniziativa dalla polizia giudiziaria; mentre per gli atti delegati dal pubblico ministero la forma di documentazione ordinaria è il verbale. Il verbale: nozione, efficacia, forma, nullità L'art. 357, comma 2, c.p.p. prescrive l'obbligo di documentazione mediante redazione del '"verbale" per determinati atti tipici di polizia giudiziaria, e cioè a) denunce e dichiarazioni costituenti condizioni di procedibilità (querele o istanze) presentate oralmente; b) sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; c) informazioni assunte, a norma dell'alt. 351; d) perquisizioni e sequestri; e) identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (art. 349); f) acquisizione di plichi o di corrispondenza (art. 353); g) accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone (art. 354); h) atti, che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a che il pubblico ministero non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini: ad esempio un'individuazione fotografica o comunque atti di assicurazione delle fonti di prova (art. 348 c.p.p.). Mediante verbale vengono, altresì, documentati il fermo e l'arresto in flagranza e le attività conseguenti di cui ali'art. 386 c.p.p. Sono tutti atti in qualche modo utilizzabili nel dibattimento (cfr. artt. 511 e 500, comma 4, c.p.p. e di cui infra Parte IL cap. Ili, paragrafo 5) e comunque "garantiti" dall'assistenza del difensore. Inoltre, quando la polizia giudiziaria compie atti su delega del pubblico ministero deve documentarli mediante redazione di verbale (art. 370, comma 1 e 2, che richiama l'art. 373 sulla documentazione degli atti del pubblico ministero). Com'è facile notare la diversità del mezzo di documentazione (verbale e non annotazione) si ricollega al maggior rilievo che tali atti assumono rispetto a quelli „ contenuto meramente informativo. Il verbale è un atto redatto da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria (art. 357, -:omma 3, c.p.p.) e, quindi, è "'atto pubblico" in ragione della sua provenienza da pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni (v. art. 476, comma 1, c.p.) (2). Circa Informa, il verbale è un atto scritto, che viene redatto in maniera contestuale al compimento degli atti, alla cui documentazione è destinato (3). Eccezionalmente il verbale può essere redatto "immediatamente dopo", qualora ricorrano insuperabili circostanze, da indicarsi specificamente, che impediscono la documentazione contestuale (artt. 357, comma 3, in relaz. 373, comma 4, c.p.p.). Il contenuto del verbale, in conformità a quanto dispone l'art. 136 c.p.p., è rappresentato dalle seguenti indicazioni: a) la menzione del luogo, dell'anno, del mese, del giorno e, quando occorre, dell'ora in cui è cominciato e chiuso; b) le generalità delle persone intervenute e l'indicazione delle cause, se conosciute, della mancata presenza di coloro che sarebbero dovuti intervenire; c) la descrizione dell'attività compiuta dall'ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di quanto questi ha constatato o è avvenuto in sua presenza o la trascrizione delle dichiarazioni ricevute. In questo caso, stabilisce l'art. 136, comma 2, c.p.p. che per ogni dichiarazione deve essere indicato se è stata resa spontaneamente o previa domanda, riproducendosi in quest'ultima ipotesi anche la domanda. Se la dichiarazione è stata dettata dal dichiarante, o se questi si è avvalso dell'autorizzazione a consultare note scritte, n'è fatta menzione; d) la sottoscrizione, previa lettura dell'intero verbale, dell'ufficiale od agente che lo ha redatto e delle persone intervenute. Le sottoscrizioni suindicate devono essere apposte alla fine d'ogni foglio. Se alcuno degli intervenuti non vuole o non è in grado di sottoscrivere n'è fatta menzione con l'indicazione del motivo (art. 137 c.p.p.). Sulla base degli elementi ora indicati, si ritiene che le circostanze di cui il verbale è destinato a fornire prova sono a) la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato; b) l'indicazione del tempo e del luogo in cui il verbale è stato aperto e chiuso; c) l'indicazione delle persone intervenute; d) la descrizione dei fatti che il Pubblico Ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o dell'attività da lui compiuta o la trascrizione delle dichiarazioni da lui ricevute. Il verbale, in quanto atto redatto da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, è da ritenersi atto pubblico, il cui regime di efficacia è sancito dalla norma generale di cui all'ari. 2700 cod. civ. Pertanto esso fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Viceversa il contenuto dei fatti stessi, soprattutto delle dichiarazioni ricevute, può essere liberamente valutato ed apprezzato dal giudice. L'ufficiale o agente di polizia giudiziaria, che, nella redazione di un verbale: a) attesti falsamente che un fatto è stato compiuto o avvenuto alla sua presenza; b) attesti come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese; c) ometta o alteri dichiarazioni da lui ricevute; d) o comunque attesti falsamente fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, si rende autore del delitto di falsità ideologica in atto pubblico, previsto e punito dall'ari. 479 in relazione all'art. 476, comma 1, c.p. Sono cause di nullità del verbale (art. 142 c.p.p.): a) l'incertezza assoluta sulle persone intervenute; b) la mancanza della sottoscrizione dell'ufficiale o agente che lo ha redatto. La mancanza o l'insufficienza delle altre indicazioni non ne fa venire meno la validità, salva, comunque, la valutazione del suo contenuto. La negligente redazione di un verbale, specie se è causa di nullità, può essere fonte di responsabilità disciplinare dell'ufficiale od agente compilatore. Nel caso in cui la redazione del verbale avvenga con metodologie particolari diverse dalla scrittura manuale (stenotipia od altri strumenti meccanici) o sia affiancato dall'uso di strumenti tecnici (registrazioni foniche o audiovisive), la polizia giudiziaria potrà servirsi, quali ausiliari (art. 348, comma 4, c.p.p.), di "persone idonee", aventi le necessarie capacità tecniche (art. 135 c.p.p.). La riproduzione audiovisiva è ammessa, da sola o in aggiunta ad altre forme di riproduzione, come supporto alla tradizionale verbalizzazione scritta, solo quando le altre modalità di documentazione siano ritenute insufficienti ed essa sia assolutamente indispensabile (art. 134, comma 4, c.p.p.). Se nel corso della verbalizzazione è effettuata riproduzione fo-nografica o audiovisiva, nel verbale deve essere indicato anche il momento d'inizio e quello di cessazione delle operazioni di riproduzione (art. 139, comma 2, c.p.p.). Il verbale informa integrale e riassuntiva II codice di procedura vigente ha previsto due tipi di verbale, da ritenersi alternativi fra loro, e cioè: • il verbale informa integrale, che, come dice il nome, comporta la completa e pedissequa descrizione o trascrizione dell'attività svolta o constatata o delle dichiarazioni assunte. Di regola, con tale forma sono redatti i verbali che non contengono dichiarazioni, ma rappresentano tutta una serie d'operazioni e d'attività, compiute o constatate dai pubblici ufficiali, che formano l'atto; • il verbale informa riassuntiva. Come si deduce agevolmente dalla lettura dell'art. 140, comma 2, c.p.p., si tratta di una forma di documentazione prevista essenzialmente per raccogliere le dichiarazioni che vengono rese al verbalizzante. In questo tipo di verbale, che deve comunque avere tutti gli elementi già indicati nel paragrafo precedente, il contenuto delle dichiarazioni rese viene sintetizzato, compendiato, riassunto: da qui la denominazione di verbale in forma riassuntiva. Sarà comunque compito del verbalizzante curare che: a) la parte essenziale delle dichiarazioni rese sia riprodotta nell'originaria, genuina espressione; b) siano fedelmente riportate le circostanze e le condizioni ambientali nelle quali le dichiarazioni sono rese, se queste possono servire a valutarne la credibilità. Con riferimento alla documentazione degli atti redatti nella fase giurisdizionale, l'art. 134, comma 3, c.p.p. prescrive che quando il verbale è redatto in forma riassuntiva, deve essere effettuata anche la riproduzione fonografica (c.d. verbale in forma riassuntiva complessa). L'art. 140 c.p.p. (modalità di documentazione in casi particolari) stabilisce che la verbalizzazione in forma riassuntiva può, comunque, essere eseguita anche senza la riproduzione fonografica (c.d. verbale in forma riassuntiva semplice), quando si tratti di documentare atti che hanno contenuto semplice o di limitata rilevanza ovvero in tutti quei casi in cui si verifichi una contingente indisponibilità del mezzo di riproduzione o una contingente mancanza degli ausiliari tecnici necessari. La verbalizzazione degli atti d'indagine preliminare della polizia giudiziaria è regolata dall'art. 357, comma 3, c.p.p., il quale dice: "il verbale è redatto nelle forme e con le modalità previste dall'art. 373" c.p.p. Dalla lettura congiunta di tali disposizioni risulta di tutta evidenza che per gli atti d'indagine preliminare, sia d'iniziativa sia delegati, di competenza della polizia giudiziaria, per i quali è richiesta la documentazione mediante verbale, si può procedere alla redazione di verbale in forma soltanto riassuntiva, senza registrazione fonografica (art. 373, comma 3). Fanno eccezione gli atti elencati dal primo comma di tale articolo, che così dispone: articolo 373 (documentazione degli atti) 1. Salvo quanto disposto in relazione a specifici atti, è redatto verbale: a) delle denunce (333), querele (336) e istanze (341) di procedimento presentate oralmente; b) degli interrogatori (64, 374) e dei confronti (211) con la persona sottoposta alle indagini; c ) delle ispezioni (244), delle perquisizioni (247) e dei sequestri (253); d) delle sommarie informazioni assunte a norma dell'articolo 362; d bis) dell'interrogatorio assunto a norma dell'articolo 363; e) degli degli accertamenti tecnici compiuti a norma dell'articolo 360. La verbalizzazione di queste attività dovrà avvenire in forma integrale o in forma riassuntiva con registrazione fonografica (c.d. verbale in forma riassuntiva complessa). Trattasi di forme di verbalizzazione alternative fra loro e l'appartenente alla polizia giudiziaria seguirà, per la scelta, il criterio indicato all'inizio di questo paragrafo: verbale in forma integrale per la documentazione di operazioni od attività, verbale in forma riassuntiva complessa per la documentazione di dichiarazioni. Ancora, e per concludere, si rammenta che quando trattasi di documentare atti a contenuto semplice o di limitata rilevanza ad opera sia del pubblico ministero che della polizia giudiziaria, si procederà alle "annotazioni ritenute necessarie" (artt. 373, comma 3 e 357, comma 1, c.p.p.). Conclusivamente può dirsi che una stessa operazione di polizia giudiziaria può teoricamente essere documentabile sia con verbale in forma integrale, sia con verbale in forma riassuntiva e, in quest'ultimo caso, con verbale in forma riassuntiva complessa o, nei casi previsti, semplice e, infine, ove si tratti di atti di semplice contenuto, con annotazione. La scelta, come detto, dipende dalla tipologia di operazione di polizia giudiziaria che ci si appresta a documentare e dal contenuto della singola attività. Nel capitolo che segue si propone una scelta di massima tra le varie tipologie di documentazione e nella modulistica di riferimento in genere si è cercato di proporre, a seconda dei casi, più opzioni lasciando al singolo operatore la scelta finale più adeguata ed appropriata al caso concreto. Atti d'iniziativa documentabili mediante verbale informa integrale o riassuntiva Come si è già detto, a norma dell'ari. 357, comma 2, c.p.p., gli atti d'iniziativa della polizia giudiziaria, che devono essere documentati mediante redazione di verbale sono: a) gli atti di ricezione di denunce, querele o istanze presentate oralmente; b) gli atti di sommarie informazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini (art. 350 commi 1, 2, 3, 4. c.p.p.); c) gli atti di ricezione di dichiarazioni spontanee rese dalla per-sona sottoposta alle indagini (art. 350, comma 7, c.p.p.); d) gli atti d'assunzione di sommarie informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini (art. 351 c.p.p.); e) le perquisizioni (art. 352 c.p.p.); f) il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al rea-to (art. 354, comma 2, ultima alinea c.p.p.); g) gli atti d'identificazione della persona nei cui confronti ven-gono svolte le indagini e di altre persone (art. 349 c.p.p.); h) gli atti di acquisizione di plichi o di corrispondenza (art. 353 c.p.p.); i) gli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone (art. 354, commi 2e 3e, c.p.p.) l) gli atti, che descrivono fatti e situazioni, compiuti sino a che il pubblico ministero non abbia impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini. Deve inoltre essere redatto verbale m) degli atti di arresto in flagranza (artt. 380, 381, 386 c.p.p.); n) della consegna di persona arrestata in flagranza da un privato (art. 383, commi 1 e 2, c.p.p.); o) del fermo, di iniziativa, di indiziato di delitto (artt. 384, comma 2 e 386 c.p.p.); p) delle perquisizioni sul posto (art. 4, legge 22 maggio 1975, n. 152). Secondo i criteri enunciati nel paragrafo precedente, le attività indicate con le lettere da a) a d) devono essere verbalizzate in forma riassuntiva e con registrazione fonografica (c.d. forma riassuntiva complessa). Tuttavia, se si tratta di atti a contenuto semplice o di limitata rilevanza ovvero si verifica una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di ausiliari tecnici, è sufficiente la verbalizzazione in forma riassuntiva semplice, cioè senza riproduzione fonografica (art. 357, commi 2 e 3, in relazione agli artt. 373, commi 1 e 2, 134, commi 2 e 3, 140 c.p.p.). Le attività indicate da e) a p) devono essere verbalizzate in forma integrale (cfr. art. 357, commi 2 e 3 in relazione agli artt. 373, commi 1 e 2, 134 c.p.p.). Trasmissione della documentazione degli atti al pubblico ministero e considerazioni finali La documentazione dell'attività di polizia giudiziaria è posta sempre a disposizione del pubblico ministero. Tale regola, testualmente espressa dall'art. 357, comma 4, e.p.p., riguarda la documentazione dell'attività di indagine di iniziativa nel corso delle indagini preliminari. Per quanto concerne gli atti delegati e quelli meramente esecutivi, il principio che opera è quello secondo cui la documentazione deve essere messa a disposizione dell'A.G. che ha richiesto l'attività. Circa il termine entro cui la documentazione deve essere messa a disposizione occorre distinguere: a) per le indagini di iniziativa, la documentazione delle attività compiute deve essere trasmessa entro lo stesso termine in cui deve essere comunicata al pubblico ministero la notizia del reato (art. 347, commi 1, 2-bis e 3, c.p.p.). Nel caso in cui indagini di iniziativa siano eseguite anche dopo l'intervento del pubblico ministero (art. 348, comma 3, c.p.p.), il codice non prevede alcun termine, ma prescrive che il pubblico ministero sia prontamente informato. Si deve, dunque, ritenere che, proprio perché siamo già in un periodo in cui il pubblico ministero ha preso la direzione delle indagini, l'espressione usata debba essere interpretata nel senso che la documentazione di questi atti di iniziativa deve essere trasmessa subito dopo il compimento dell'atto (salvo che lo stesso pubblico ministero, tempestivamente informato, disponga diversamente); b) per gli atti delegati o meramente esecutivi, la regola è quella della trasmissione al pubblico ministero o all'Autorità richiedente subito dopo l'esecuzione dell'atto. Tuttavia per gli atti da "mettere in deposito" ai sensi dell'art. 366 c.p.p., la trasmissione di essi dovrà avvenire "immediatamente dopo". Qualora la delega, nel caso di indagini preliminari, riguardi, anziché l'esecuzione di specifici atti, un'attività di indagine articolata secondo più ampie direttive (v. art. 348, comma 3, c.p.p.), riteniamo che la documentazione possa essere trasmessa al pubblico ministero al termine della complessiva attività di indagine delegata. Resta, comunque, fermo l'obbligo della trasmissione immediata della documentazione degli atti soggetti a deposito. Tutta la documentazione relativa agli atti di indagine preliminare, compiuti: • sia dalla polizia giudiziaria, d'iniziativa, per delega od in esecuzione di provvedimenti del pubblico ministero o del g.i.p; • sia dal pubblico ministero direttamente, è conservata in un apposito fascicolo presso l'ufficio del pubblico ministero (c.d. fascicolo del pubblico ministero). In esso deve essere anche inserito l'atto contenente la notizia di reato con ogni altra documentazione che vi si riferisca (art. 373, comma 5, c.p.p.). La documentazione contenuta nel fascicolo del pubblico ministero è pienamente utilizzabile: a) nell'ambito delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero, per fondare la richiesta al g.i.p. di incidente probatorio (art. 395 c.p.p.); da parte del g.i.p. e, limitatamente alla documentazione even-tualmente trasmessagli dal pubblico ministero, per decidere sulla richiesta di incidente probatorio, avanzata sia dal pubblico ministero che dalla persona sottoposta alle indagini; b) al momento della chiusura delle indagini preliminari: • aa) da parte del pubblico ministero, per richiedere al g.i.p. l'archiviazione (art. 408, comma 1, c.p.p.) e da parte del g.i.p., per decidere su tale richiesta; • bb) da parte del pubblico ministero, per richiedere al g.i.p. il rinvio a giudizio dell'imputato (art. 416, commi 1 e 2, c.p.p.) e da parte del g.i.p., per decidere su di essa all'udienza preliminare (art. 421 c.p.p.); • cc) da parte del pubblico ministero, per richiedere il giudizio immediato (art. 454 commi 1 e 2, c.p.p.), o il decreto di condanna (art. 459 c.p.p.), e da parte del g.i.p., per decidere su tali richieste; • dd) per fondare la richiesta sia del pubblico ministero che dell'imputato di applicazione concordata della pena (art. 444, commi 1 e 2, c.p.p.), nonché per chiedere l'imputato il giudizio abbreviato ai sensi dell'art. 438 c.p.p. e per fondare la decisione del g.i.p. su tali richieste. Per concludere, riteniamo utile richiamare l'attenzione sulla seguente considerazione: il codice di procedura penale, nel fissare i principi relativi alle varie forme di documentazione (verbale in forma integrale, verbale in forma riassuntiva, sia complessa sia semplice, annotazioni), lascia, tuttavia, ampio margine di discrezionalità all'operatore nella scelta (quando si debba redigere verbale) tra verbale in forma integrale e verbale in forma riassuntiva e nella scelta (negli altri casi) della forma e modalità di documentazione, nel senso che le "annotazioni" pur costituendo, come detto, la forma ordinaria della documentazione dell'attività di polizia giudiziaria, non sono tuttavia da ritenere prescritte come forma inderogabile di documentazione. Nulla vieta, anzi riteniamo di poterlo consigliare, che quando l'atto compiuto rivesta una particolare importanza, esso, pur se non rientrante tra quelli per i quali è prevista la verbalizzazione, sia documentato mediante verbale (in forma integrale o riassuntiva) come pure nulla vieta che l'annotazione, anziché sommariamente, sia redatta in forma più ampia, se non addirittura, qualora si tratti di dichiarazioni da assumere, mediante verbale in forma riassuntiva non accompagnato da registrazione fonografica. In sostanza, fermi i limiti posti dagli arti. 357, comma 2 e 373, comma 1, c.p.p., sta alla sagacia ed all'accorta valutazione dell'operatore di polizia giudiziaria l'adozione della forma e delle modalità di documentazione più consone alla rilevanza, in concreto e nel caso specifico, dell'atto compiuto. Ricordiamo, infine, che a norma dell'ari. 115, comma 2, disp. alt. "copia delle annotazioni e dei verbali redatti a norma dell'ari. 357 del codice è conservata presso l'ufficio di polizia giudiziaria". Classificazione degli atti di polizia giudiziaria Gli atti di polizia giudiziaria sono classificabili sotto vari profili. Abbiamo già accennato alla distinzione tra atti d'iniziativa, atti delegati, autorizzati ed atti meramente esecutivi d'ordini o provvedimenti dell'A.G. Altra distinzione si suole fare fra atti che rientrano nell'attività informativa della polizia giudiziaria (ricezione di notizie di reato e loro comunicazione al pubblico ministero) ed atti che rientrano nell'attività d'indagine della polizia giudiziaria. Questi, a loro volta, si possono ulteriormente distinguere fra atti di ricerca dei colpevoli e delle fonti di prova, ed atti d'assicurazione sempre dei medesimi. Infine esistono atti, che non rientrano nell'attività di indagine, ma che già abbiamo visto essere meramente esecutivi. Quest'attività può concernere sia l'esecuzione di specifici atti (ad es., esecuzione di un provvedimento d'accompagnamento coattivo emesso ai sensi dell'art. 133 c.p.p.) sia l'esecuzione di comandi od ordini in relazione ad atti non specificamente previsti dalla legge. Al proposito l'art. 131 c.p.p. dispone che "il giudice, nell'esercizio delle sue funzioni, può chiedere l'intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica, prescrivendo tutto ciò che occorre per il sicuro e ordi-nato compimento degli atti ai quali procede". Un'ulteriore distinzione degli atti di polizia giudiziaria può avvenire con riferimento al tipo di documentazione richiesto per ciascuno di loro (annotazione, verbale in forma integrale, verbale in forma riassuntiva, verbale in forma riassuntiva con riproduzione fonografica o annotazione nei casi semplici). Altre possibili distinzioni tra i vari atti di polizia giudiziaria saranno esaminate nei paragrafi che seguono. Atti tipici ed atti atipici Già abbiamo detto che l'attività, d'iniziativa o delegata (od autorizzata), degli organi di polizia giudiziaria si manifesta e si estrinseca in vari atti, cioè in frammenti d'attività, ciascuno dei quali ha una propria finalità e, collegandosi all'altro, come presupposto o come conseguenza, s'inserisce nello sviluppo dell'indagine. Orbene, questi atti possono assumere diverse configurazioni, ma ve ne sono alcuni che hanno una loro rappresentazione tipica, cioè sono specificamente previsti dalla legge e da questa regolati, sia per quel che riguarda presupposti e scopo, sia per quel che riguarda le modalità d'esecuzione. Una prima fondamentale distinzione degli atti di polizia giudiziaria è, quindi, quella tra atti "atipici" e atti "tipici". Questi ultimi, come detto, sono quelli previsti dalla legge e da essa regolati. I primi, invece, anche se previsti, non trovano nel codice una regolamentazione, che ne predisponga il contenuto secondo uno schema, un "tipo", prefissato. La loro adozione è svincolata da particolari presupposti ed è rilasciata alla discrezionalità operativa della polizia giudiziaria, secondo le esigenze della singola indagine. Allo stesso tempo la loro esecuzione trova il solo limite del rispetto delle regole della buona tecnica di polizia giudiziaria. Così, per fare un esempio, pedinamenti, appostamenti, ricerche di persone e di dati sono atti che rientrano tra quelli che abbiamo definito "atipici" in quanto non regolati da alcuna specifica norma di procedura. Arresto in flagranza, fermo di persona indiziata di delitto, perquisizioni, assunzione di sommarie informazioni dalla persona sottoposta alle indagini sono atti regolati, talora anche minutamente, dalle norme di procedura sia nei presupposti e negli scopi sia nelle modalità d'esecuzione e, pertanto, sono atti "tipici". Nel vigente codice di procedura penale, per quanto concerne l'attività di polizia giudiziaria, prevale il principio della "atipicità". La tipicità riguarda gli atti che incidono sulla libertà personale (c.d. "atti di coercizione personale") o che risultano attinenti alle garanzie difensive della persona sottoposta alle indagini oppure che sono suscettibili d'utilizzazione nel giudizio (atti irripetibili). Gli atti atipici trovano la loro "veste" nella documentazione per annotazione (art. 357, comma 1, c.p.p.), che è la forma più diffusa. Essa, anche se schematizzata dai requisiti posti dall'ari. 115 disp. att. in relazione al suo contenuto minimo, rispecchia, tuttavia, l'informalità e la libertà di documentazione, corrispondente alla mancanza di dettagliata regolamentazione della sostanza dell'atto. Il principio della "atipicità" degli atti consente, nella fase delle indagini preliminari, l'applicazione delle tecniche investigative più recenti ed innovative, anche di quelle sconosciute al momento della redazione del codice. Ciò contribuisce in maniera determinante ad aumentare l'incisiva efficacia delle attività d'investigazione, d'accertamento e repressione dei reati da parte della polizia giudiziaria. Riassumendo, in tema di distinzione tra atti tipici e atti atipici, si vuole ulteriormente precisare, su questa distinzione non espressamente contemplata dal codice, che è principio incontestato che gli atti direttamente regolati non esauriscono le possibilità di azione investigativa degli organi di polizia giudiziaria. Essa ha la piena facoltà di scelta concreta delle modalità con cui procedere, potendo presentarsi la necessità di atti che non rientrano nella tipologia di quelli che la legge espressamente disciplina. Atti atipici possono giustificarsi sia con le specifiche contingenze operative che di volta in volta possono presentarsi e che non avrebbe senso neppure in via esemplificativa enumerare (si pensi al transennamento della zona in cui si verificato un sinistro, a divieti di accesso od intimazioni funzionali all'espletamento di atti, di ascolto ecc.) sia in relazione alla continua evoluzione delle conoscenze e delle tecniche di accertamento e di indagine. Insegna al riguardo la Suprema Corte, sez. II, 27 marzo 2008 n. 16818: "la disciplina processuale (articoli 55 e 348 codice di procedura penale) è orientata al principio dell'atipicità degli atti di indagine della polizia giudiziaria, alla quale compete pertanto il potere-dovere di compiere di propria iniziativa, finché non abbia ricevuto dal pubblico ministero direttive di carattere generale o deleghe per singole attività investigative, tutte le indagini che ritiene necessarie ai fini dell'accertamento del reato e dell'individuazione dei colpevoli e quindi anche quegli atti ricognitivi che quest'ultima finalità sono diretti a conseguire, quali l'individuazione di persone o di cose" (nella fattispecie, relativa a riconoscimento fotografico, la Corte ne ha affermato la natura di prova atipica, non riconduci-bile alla ricognizione di persona disciplinata dall'articolo 213 codice di procedura penale). In senso conforme, Cass. sez. II, 27 giugno 2007 n. 35612. Degli atti atipici non è quindi possibile fornire un elenco. Potranno comunque farsi rientrare in questo gruppo alcune figure, che, non essendo rammentate tra le ipotesi tipiche di atti di polizia, possono tuttavia essere ugualmente compiute per il principio della libertà di investigazione e della autonomia nella ricerca degli elementi di prova. Si veda al riguardo quanto più diffusamente si illustrò in sede di classificazione degli atti. Viceversa per gli atti tipici è agevole individuare la collocazione codicistica Essi formano oggetto, in particolare, delle disposizioni dall'articolo 349 all'articolo 354 codice di procedura penale inclusi, (identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini - articolo 349 -, sommarie informazioni della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini - articolo 350 -, altre sommarie informazioni - articolo 351 perquisizioni - articolo 352 - acquisizioni di plichi o di corrispondenza - articolo 353 -, accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro - articolo 354). La regola fondamentale che presidia l'intero corso di questa attività, è costituita dall'articolo 348, norma per così dire servente rispetto al principio dell'articolo. 55, - funzioni della polizia giudiziaria - cui si richiama - che fissa gli obiettivi fondamentali dell'attività dell'indagine di polizia; la legge utilizza l'espressione "assicurazione delle fonti di prova". Atti di coercizione, informativi e d'indagine In relazione al contenuto degli atti d'iniziativa della polizia giudiziaria è possibile fare una distinzione al loro interno fra atti di coercizione, atti informativi ed atti d'indagine. Sono "atti di coercizione personale" quelli che esauriscono il loro scopo nella sottoposizione di un soggetto ad un potere che si esplica nella sfera della persona fisica, privandolo della libertà personale. Al proposito si suole dire che per effetto di questi atti si acquisisce all'indagine, ed al processo che ne seguirà, la disponibilità della persona fisica di colui che è oggetto dell'indagine. Questi atti sono: • l'arresto in flagranza (artt. 380, 381 c.p.p.); • il fermo d'indiziato di delitto (art. 384, commi 2 e 3, c.p.p.); • l'accompagnamento coattivo per accertamenti sull'identità personale (art. 349, comma 4, c.p.p.). Ad essi vanno anche aggiunti, pur non riguardando la fase delle indagini preliminari: • il fermo d'imputato per trasgressione alle prescrizioni impostegli in occasione della scarcerazione per decorrenza di termini (art. 307, comma 4, c.p.p.); • l'arresto per fini estradizionali previsto dall'art. 716 c.p.p. Nella categoria degli "atti informativi" rientrano quelli d'assunzione della notizia di reato, vale a dire il ricevimento della denuncia, querela ed istanza di procedimento. Con concetto residuale si considerano "atti d'indagine" tutti quelli, diversi dagli atti di coercizione personale ed informativi, che possono essere compiuti nella fase delle indagini preliminari. Essi, comunque, dal punto di vista del contenuto, costituiscono esercizio dei poteri d'accertamento e d'investigazione spettanti alla polizia giudiziaria. Costituiscono atti d'indagine: I) gli atti di ricerca e assicurazione delle fonti di prova, in attuazione di quanto dispongono gli artt. 55, comma 1, e 348 c.p.p., ed in particolare: • gli atti d'identificazione (art. 349.i.2 c.p.p.); • le sommarie informazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini (art. 350, commi 1, 2, 3 e 4 c.p.p.); • l'assunzione di notizie e indicazioni utili dalla persona sottoposta alle indagini, sul luogo o nell'immediatezza del fatto (artt. 350, comma 5, c.p.p.); • l'assunzione, sempre dalla persona sottoposta alle indagini, di dichiarazioni spontanee (ari. 350. comma 7, c.p.p.); • le altre sommarie informazioni di cui all'art. 351 c.p.p.. fra le quali rientrano anche quelle particolari, perché assunte nel corso di perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto ai sensi dell'ari. 357, comma 2 lett. e); • gli atti d'individuazione (artt. 348, 361 c.p.p.); • gli atti d'acquisizione e apertura immediata di plichi sigillati o altrimenti chiusi (art. 353. commi 1 e 2, c.p.p.) e il "fermo" di corrispondenza (art. 353, comma 3, c.p.p.); • gli atti descrittivi di fatti e situazioni richiamati dall'art. 357.2 lett. /) c.p.p.; 2) gli atti di ricerca e assicurazione della prova. Sono i c.d. atti irripetibili, compiuti nella fase delle indagini preliminari, che, proprio perché irripetibili, sono utilizzabili poi, sia pure in via d'eccezione, nella successiva fase del giudizio. Nonostante il codice di rito mai definisca questi atti come atti d'acquisizione della prova, non v'è dubbio che tali essi sono, poiché il loro risultato può legittimamente essere usato come prova nel giudizio. Sono atti irripetibili: • gli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone di cui all'art. 354 c.p.p.; • le perquisizioni (art. 352 c.p.p.); • i sequestri (art. 354, comma 2, c.p.p.). Altra distinzione che si può fare all'interno di questa categoria è quella fra atti di ricerca e assicurazione di fonti di prova soggettiva e atti di ricerca e assicurazione di fonti di prova (o assicurazione della prova) aggettiva, a seconda che il loro scopo consista nel ricercare o assicurare una fonte di prova (o una prova) costituita: • da dichiarazioni di soggetti (persona sottoposta alle indagini, parte offesa, persone informate dei fatti) ovvero • da una cosa che deve essere materialmente acquisita ovvero da situazioni di luoghi, condizioni di cose o comunque dati di fatto da rappresentare o riprodurre. Nel primo caso (fonte di prova soggettiva) la circostanza oggetto della prova è sottoposta all'esame dell'indagatore e del giudice tramite la mediazione delle sensazioni di un soggetto che l'ha percepita e che la riferisce. Nel secondo caso (fonte di prova o prova oggettiva), invece, l'indagatore e il Giudice si pongono in rapporto diretto con la cosa o la situazione oggetto della prova, senza passare attraverso il filtro della percezione e del riferimento da parte di altri soggetti. Si potrà, dunque, parlare di atti d'indagine soggettiva e di atti di indagine oggettiva a seconda che scopo dell'atto sia quello di ricercare o assicurare una fonte di prova soggettiva o una fonte di prova (o una prova) oggettiva. Schema riassuntivo degli atti d'iniziativa della polizia giudiziaria /) Atti di coercizione personale: • arresto (obbligatorio e facoltativo) in flagranza (artt. 380 e 381 c.p.p.); • fermo di indiziato di delitto (art. 384, commi 2 e 3, c.p.p.); • accompagnamento coattivo (art. 394, comma 4, c.p.p.); • fermo di imputato per trasgressione alle prescrizioni (art. 307, comma 4, c.p.p.); • arresto per fini estradizionali (art. 716 c.p.p.); • accompagnamento per identificazione (art. 349 c.p.p.); • accompagnamento a seguito di flagranza nel processo con imputati minorenni (art. 18, D.P.R. 22 settembre 1988, n. 488); 2) Atti di assunzione di notizie di reato: • ricezione di denuncia; • ricezione di querela; • ricezione di referto; • ricezione d'istanza di procedimento. 3) Atti d'indagine: a) Atti di ricerca ed assicurazione delle fonti di prova • atti di identificazione (art. 349.1.2.3 c.p.p.); • sommarie informazioni dalla persona sottoposta alle indagini (art. 350.14 c.p.p.); • assunzione di notizie o indicazioni utili dalla persona sottoposta alle indagini (art. 350.5 c.p.p.); • assunzione di dichiarazioni spontanee dalla persona sottoposta alle indagini (art. 350.7 c.p.p.); • altre sommarie informazioni (art. 351 c.p.p.); • atti d'individuazione (artt. 348, 361 c.p.p.); • atti d'acquisizione e d'apertura immediata di plichi o corrispondenza (art. 353.1.2 c.p.p.); • atti descrittivi di fatti e situazioni (art. 357.2, lett. b), c.p.p.). b) Atti di ricerca ed assicurazione della prova • accertamenti urgenti (art. 354 c.p.p.); • perquisizioni (art. 352 c.p.p.); • sequestri (art. 354 c.p.p.). Atti delegati ed atti meramente esecutivi di ordini o provvedimenti Con riguardo al contenuto degli atti non di iniziativa della polizia giudiziaria riteniamo che la classificazione debba essere fatta distinguendo in primo luogo gli atti delegati da quelli meramente esecutivi di ordini o provvedimenti. I primi, come già si è visto, sono quelli che hanno come loro presupposto un provvedimento dell'Autorità Giudiziaria competente che conferisce (cioè "delega") alla polizia giudiziaria il potere di compiere un atto, che la stessa A.G. ha il potere di eseguire direttamente. Tale delega può essere rilasciata nel corso delle indagini preliminari o nelle fasi successive. Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero può delegare alla polizia giudiziaria atti d'indagine, e cioè: a) atti di ricezione di notizie di reato; b) atti di ricerca ed assicurazione delle fonti di prova; in particolare: • accertamenti tecnici ripetibili (art. 359 c.p.p.); • sommarie informazioni dalla persona offesa o da altre persone in grado di riferire su circostanze utili ai fini delle indagini (art. 362 c.p.p.); • atti d'individuazione di persone e di cose (art. 361 c.p.p.); • interrogatori e confronti, cui partecipi, presente il difensore, la persona sottoposta alle indagini, che si trovi in stato di libertà (art. 370, comma 1, c.p.p.); e) atti di ricerca e assicurazione della prova e cioè • atti d'ispezione di cose e luoghi. Riteniamo, tuttavia, siano da escludere le ispezioni personali per il disposto dell'art. 245, comma 3; • perquisizioni; • sequestri; • operazioni di intercettazioni di comunicazioni (art. 267, comma 4, c.p.p.); d) ogni atto "atipico" d'indagine (v. art. 370 c.p.p.). Nella fase del Giudizio può essere delegata dal giudice alla polizia giudiziaria l'esecuzione di provvedimenti di • ispezione (escluse le ispezioni personali); • perquisizione (art. 247, comma 2, c.p.p.); • sequestro (art. 253, comma 3, c.p.p.). Sono esecutivi quegli atti che si esauriscono in una pura e semplice attività d'esecuzione di ordini e provvedimenti dell'A.G., dalla stessa non eseguibili, e che spetta alla polizia giudiziaria istituzionalmente compiere. Con riferimento alle varie fasi del procedimento penale tali atti si distinguono nel modo seguente: a) nella fase delle indagini preliminari, alla polizia giudiziaria può essere ordinata l'esecuzione dei seguenti provvedimenti di coercizione personale • fermo di indiziato di delitto ordinato dal pubblico ministero (art. 384, comma 1, c.p.p.); • accompagnamento coattivo della persona sottoposta alle indagini o di altre persone disposto dal pubblico ministero (artt. 375, 376, 377 c.p.p.) o dal g.i.p. (arti. 399 e 133 c.p.p.); • ordinanze di custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p.) o in luogo di cura (art. 286 c.p.p.) emesse dal g.i.p.; • nella fase del giudizio, il giudice può ordinare alla polizia giudiziaria l'esecuzione di provvedimenti di accompagnamento coattivo sia dell'imputato (art. 490 c.p.p.) che di altre persone (art. 133 c.p.p.); b) nella fase dell'esecuzione delle sentenze, la polizia giudiziaria dovrà curare l'esecuzione degli ordini di carcerazione per espiazione di pene detentive emessi dal pubblico ministero. Si veda comunque quanto dispone l'art. 656 c.p.p. nel testo vigente. Questa classificazione riguarda essenzialmente i provvedimenti di coercizione personale. Comunque la categoria dei provvedimenti che possono essere emessi dall’ A.G., e la cui esecuzione spetta alla polizia giudiziaria, è molto più vasta e difficilmente rapportabile nell'ambito di una rigorosa classificazione. Lo stesso codice di procedura penale si limita a richiamare genericamente il dovere della polizia giudiziaria di svolgere "ogni attività disposta dall'A.G." (art. 55.2 c.p.p.) e di eseguire i provvedimenti con i quali l'A.G. prescrive "tutto ciò che occorre per il sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali procede" (artt. 131 e 378 c.p.p.) (-)• Stabilisce il codice di rito penale che la polizia giudiziaria è, altresì, competente ad eseguire le notificazioni degli atti dell'A.G., che è attività tipica dell'ufficiale giudiziario. L'art. 17, comma 1 della L. 31 luglio 2005 n. 155 ha peraltro precisato che: • se gli atti sono stati emessi dal giudice, di regola la notifica deve avvenire per mezzo dell'ufficiale giudiziario. Tuttavia, nei procedimenti con detenuti, il giudice può disporre che le notificazioni in caso di urgenza, siano eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono detenuti (art. 148, comma 1 e 2, c.p.p., modif. dall'ari. 9 D.L. 18 ottobre 2001, n. 374 e art. 17, comma 1, L. 31 luglio 2005, n. 155) C); • se gii atti sono stati emessi dal pubblico ministero nel corso, dunque, delle indagini preliminari, le notificazioni sono eseguite dall'ufficiale giudiziario, ovvero dalla polizia giudiziaria nei soli casi di atti di indagini o provvedimenti che la stessa polizia giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire (art. 151, comma 1 c.p.p., modificato dall'art. 17, comma 2. della L. 31 luglio 2005, n. 155). L'art. 13 del decreto legislativo 274/2000. in materia di processo davanti al giudice di pace, ha introdotto, come già ricordato, l'istituto degli atti autorizzati disponendo che, ove richiesto e giustificato da esigenze investigative, la polizia giudiziaria possa chiedere al pubblico ministero l'autorizzazione al compimento di determinati atti che non possono essere eseguiti ad iniziativa della polizia giudiziaria. Il pubblico ministero può autorizzarne il compimento ove non ritenga di intervenire personalmente. Distinzione degli atti secondo la loro utilizzabilità: piena, limitata, condizionata. Inutilizzabilità Una ulteriore classificazione degli atti di polizia giudiziaria trova origine nel vigente codice di procedura penale, ed è quella basata sull'utilizzabilità (o meno) dell'atto nel giudizio. Il concetto di utilizzabilità di un atto è di estrema importanza, sia perché è uno dei cardini fondamentali del nuovo processo penale, sia perché, dal punto di vista dell'operatore pratico, è indispensabile che, prima di accingersi al compimento di un determinato atto d'indagine, egli abbia ben chiara la visione dell'efficacia che esso potrà avere nelle future eventuali fasi. Si suole parlare di utilizzabilità di un atto, compiuto nella fase delle indagini preliminari, quando il suo contenuto, ovvero il risultato con esso conseguito, possano essere legittimamente introdotti, come elemento di prova, nel processo. Dobbiamo a questo punto sottolineare la netta separazione, che si è voluta operare nel nuovo rito penale, tra la fase delle indagini preliminari e quella del giudizio, unica sede, quest'ultima, naturalmente deputata, almeno di regola, alla formazione e raccolta della prova. Tale principio trova la sua pratica realizzazione attraverso la regola della non utilizzabilità nel giudizio degli atti di indagine preliminare. Questa regola, tuttavia, non è, e non può essere, assoluta: già abbiamo parlato dell'utilizzabilità in giudizio degli atti di indagine preliminare irripetibili. La regola della "inutilizzabilità degli atti", grazie alle sue non poche eccezioni, più che creare una barriera di impermeabilità assoluta tra la fase delle indagini preliminari e quella del giudizio, si pone come stretto e rigoroso filtro attraverso il quale solo certi atti di indagine preliminare, ed a certe condizioni, possono trasferire nel processo la loro efficacia probatoria. A questi effetti, sulla base della normativa vigente, è possibile distinguere tra utilizzabilità piena, utilizzabilità limitata, utilizzabilità condizionata, e, infine, inutilizzabilità. La distinzione suddetta, però, trova applicazione solo nella fase del giudizio, mentre nell'ambito della fase delle indagini preliminari ed ai fini dei provvedimenti con i quali tale fase può concludersi, nonché per alcuni particolari tipi di procedimento (es. applicazione della pena su richiesta, giudizio abbreviato), vige il principio opposto e cioè dell'utilizzabilità piena degli atti di indagine, con la sola eccezione di quelli espressamente dichiarati inutilizzabili da speciali disposizioni. Si vedano come esempi: • l'art. 103, comma 7, e.p.p., che dichiara l'inutilizzabilità delle ispezioni, perquisizioni, sequestri e intercettazioni di comunicazioni eseguiti in violazione delle garanzie di libertà del difensore; • l'art. 240 c.p.p., che dichiara l'inutilizzabilità dei documenti anonimi; • l'art. 63 c.p.p., che sancisce l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da soggetto che doveva essere sentito come persona sottoposta alle indagini (5); • l'art. 271 c.p.p., per quanto concerne le intercettazioni illegittime di comunicazioni. Tali norme fanno tutte riferimento a situazioni in cui le fonti di prova sono state acquisite illegittimamente, cioè in violazione di divieti normativamente posti. L'inutilizzabilità dei relativi atti è "rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento" (art. 191 c.p.p.), vale a dire anche nella fase delle indagini preliminari. Con la limitazione ora detta, gli atti d'indagine preliminare sono, quindi, tutti pienamente utilizzabili: a) per la decisione del g.i.p. sulla richiesta di incidente probatorio (artt. 392 e segg. c.p.p.); b) per la decisione del g.i.p. sulla richiesta di giudizio immediato (art. 455 c.p.p.); e) per la decisione del g.i.p. sulla richiesta di archiviazione (artt. 408, 409, 411, 415 c.p.p.); d) per le decisioni del g.i.p. a conclusione dell'udienza preliminare (artt. 421, comma 2, 425, 429 c.p.p.): sentenza di non luogo a procedere ovvero decreto che dispone il giudizio; e) ai fini della definizione del processo nell'udienza preliminare con il rito abbreviato (artt. 438-442 c.p.p.); f) ai fini dell'applicazione della pena su richiesta delle parti (artt. 444-448 c.p.p.); g) nel procedimento per decreto (artt. 459-464 c.p.p.). Gli atti di indagine preliminare compiuti dalla polizia giudiziaria, a seconda del loro grado di utilizzabilità, si distinguono in a) atti ad utilizzabilità piena. Essi, quindi, possono legittimamente essere introdotti come prova in giudizio. In questa categoria rientrano gli atti irripetibili (v. artt. 431, lett. b) e 511, comma 1, c.p.p.) e, quindi, tra gli atti d'iniziativa • gli accertamenti urgenti di cui ali'art. 354.2 c.p.p.; • le perquisizioni (art. 352 c.p.p.); • i sequestri (art. 354.2 c.p.p.). Tra gli atti delegati, sono da considerarsi irripetibili: • quelli testé indicati, quando eseguiti su delega; • le intercettazioni di comunicazioni o conversazioni (artt. 266-271); • ogni altro atto che, pur non specificamente enunciato, sia in concreto non ripe-tibile; b) atti ad utilizzabilità limitata. Taluni atti di indagine preliminare possono essere introdotti nel giudizio solo a limitati effetti. Si pensi alle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari da una persona informata sui fatti, contenute nel fascicolo del pubblico ministero Questi, dopo aver assunto nel dibattimento le vesti di testimone, rende dichiarazioni difformi a quelle fatte in precedenza ovvero rifiuta o comunque omette, in tutto o in parte, di rispondere sulle circostanze riferite precedentemente. In questi casi le dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari possono servire come mezzo di contestazione nel dibattimento, dopo che il testimone abbia già reso le sue dichiarazioni (art. 500, comma 1, come sostituito dall'art. 16, legge 1° marzo 2001, n. 63, sul giusto processo). L'utilizza-bilità di questi atti è in primo luogo limitata agli effetti della contestazione della difformità da quanto precedentemente dichiarato ed al fine di offrire al giudice elementi per stabilire la credibilità del teste (art. 500, comma 2, c.p.p.). Deve essere ben chiaro che le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili solo per consentire al giudice di valutare la credibilità del soggetto che in dibattimento ha reso una diversa versione o è rimasto silenzioso (c.d. utilizzabilità limitata); viceversa le precedenti dichiarazioni non possono costituire prova del fatto narrato. In definitiva, la contestazione serve per togliere valore alla dichiarazione dibattimentale, ma non è utile per formare la prova dell'esistenza del fatto narrato. Ciò, comunque, non vuoi dire che il giudice debba necessariamente ritenere inattendibile ciò che il dichiarante ha detto nell'udienza dibattimentale, perché egli decide in base al suo libero convincimento. L'art. 500 c.p.p. prevede, tuttavia, alcune eccezioni per cui, una volta operata la contestazione, le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili come prova dei fatto narrato. La prima eccezione si verifica quando si accerti che il teste è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro affinchè non deponga o deponga il falso. In tal caso "le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero precedentemente rese dal testimone sono acquisite nel fascicolo del dibattimento" nella loro interezza e possono essere utlizzate ai fini del giudizio. Si tratta di una applicazione dell'art. Ili, comma 5, Cost., che consente una eccezione al principio del contraddittorio in caso di provata condotta illecita (art. 500, comma 4, c.p.p.). Il giudice decide senza ritardo l'acquisizione delle dichiarazioni rese, svolgendo gli accertamenti che ritiene necessari, su richiesta della parte, che può fornire gli elementi concreti per ritenere che il testimone è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità. Tali elementi possono essere desunti anche dalle circostanze emerse nel dibattimento (art. 500, comma 5, c.p.p.). Altra ipotesi di utilizzabilità è prevista dall'ari. 500, comma 6, c.p.p., secondo cui a richiesta di parte, le dichiarazioni rese nell'udienza preliminare ed utilizzate per le contestazioni dibattimentali sono acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate ai fini della prova nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro assunzione. Contro le altre parti sono utilizzabili solo come prova della credibilità o in caso di accertata intimidazione o subornazione. La terza ipotesi di utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni è prevista dall'ari. 500, comma 7, c.p.p., secondo cui le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero sono utilizzabili se vi è "accordo fra le parti". Trattasi dell'applicazione della regola generale stabilita dall'alt. 493, comma 3 c.p.p., che introduce nel nostro sistema processuale il principio della c.d. "acquisizione concordata" (o patteggiamento sugli atti) al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero. Nelle tre ipotesi eccezionali, ora esaminate, l'utilizzabilità degli atti da limitata si trasforma in condizionata (situazione di cui ci occuperemo di qui a poco), in quanto le dichiarazioni possono essere utilizzate come prova, verificandosi la condizione che il teste sia stato intimidito o subornato, ovvero nell'udienza preliminare le dichiarazioni testimoniali siano state rese nel contraddittorio fra quelle parti nei confronti delle quali devono essere fatte valere od, infine, si tratti di acquisizione concordata. Sulle precedenti dichiarazioni rese dal! 'imputato di un procedimento connesso (art. 12, lett. a), c.p.p.), una volta che questi sia chiamato a rendere l'esame di cui all'art. 210 c.p.p. nel procedimento contro il coimputato, il comma quinto del citato articolo impone al giudice di applicare le regole sulla contestazione probatoria valevoli per il testimone e più sopra esaminate (art. 500 c.p.p.). Se il dichiarante rifiuta di rispondere o cambia versione rispetto al passato, le precedenti dichiarazioni possono essere contestate a colui che le ha rese. Se nonostante le contestazioni, questi insiste nella nuova versione dei fatti o nel rifiuto, le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili solo come prova sulla sua credibilità. Possono costituire prova del fatto nelle ipotesi di cui ai commi da quattro a sette dell'ari. 500 c.p.p. Con riferimento alle dichiarazioni rese in precedenza dalle parti private (imputato, coimputato, parte civile, responsabile civile e persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria), l'art. 503. comma 3, c.p.p., in relazione al loro esame dibattimentale detta una disciplina del tutto analoga a quella più sopra esaminata con riferimento al testimone. La contestazione è ammessa se sussiste difformità fra dichiarazioni precedenti e dibattimentali rese dalla stessa persona che viene esaminata. La lettura delle dichiarazioni precedenti può essere effettuata soltanto dopo che il soggetto esaminato ha deposto sulle circostanze da contestare. Le dichiarazioni precedenti sono utilizzabili per valutare la credibilità del dichiarante (art. 503, comma 4, che richiama l'art. 500, comma 2, c.p.p.): siamo dinanzi ad una ipotesi di utilizzabilità limitata. Tuttavia regole ulteriori, relative alla utilizzabilità degli atti, valgono per le dichiarazioni rese in sede di esame da parte dell'imputato e del coimputato (art. 503, comma 5 e 6. c.p.p.). Trattasi dell'esame svolto ai sensi dell'ari. 208 c.p.p., che tendenzialmente ha per oggetto "il fatto proprio". In tal caso vi sono due situazioni nelle quali le precedenti dichiarazioni, una volta contestate, sono utilizzabili come prova del fatto rappresentato; con la particolarità che, se sono contestate all'imputato A. esse sono utilizzabili anche nei confronti del coimputato B, il cui difensore è presente in dibattimento e può effettuare il controesame. • L'art. 503, comma 5, considera le dichiarazioni alle quali il difensore dell'imputato aveva diritto di assistere ed assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria delegata. Tali dichiarazioni, una volta "contestate" sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento e, di conseguenza, sono utilizzabili come prova del fatto narrato. • L'art. 503, comma 6, estende l'effetto appena menzionato a determinate dichiarazioni rilasciate dall'imputato prima del dibattimento e, partitamente, alle dichiarazioni assunte dal giudice: a) nell'interrogatorio di garanzia che segue l'esecuzione di una misura cautelare (art. 294); b) nell'interrogatorio in sede di revoca della misura cautelare personale (art. 299); e) nell'interrogatorio reso in sede di convalida dell'arresto o del fermo (art. 391); d) nell'interrogatorio intervenuto nel corso dell'udienza preliminare (art. 422). Per concludere, si ritiene di avere chiaramente dimostrato come possono essere utilizzate ai fini delle contestazioni nel dibattimento, i seguenti atti assunti dalla polizia giudiziaria durante la fase delle indagini preliminari: • le dichiarazioni rese dall'imputato, quando era ancora persona sottoposta alle indagini, in sede di sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria a norma dell'ari. 350, commi 1, 2, 3, 4 e 7, e.p.p. oppure su delega del pubblico ministero (artt. 362 e 370, c.p.p.); • le dichiarazioni rese da testimoni, quando erano ancora persone informate sui fatti, in sede di sommarie informazioni assunte d'iniziativa dalla polizia giudiziaria (art. 351 c.p.p.) oppure su delega del pubblico ministero (artt. 362 e 370 c.p.p.); • le dichiarazioni rese da persone imputate nel medesimo procedimento od in procedimento connesso, quando erano ancora persone indagate, e venivano interrogate dalla polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero (art. 370 c.p.p.); • le dichiarazioni rese dalle altre parti private diverse dall'imputato. e) atti ad utilizzabilità condizionata. Sono atti, compiuti nella fase delle indagini preliminari dalla polizia giudiziaria, che diventano pienamente utilizzabili nel giudizio, qualora si verifichino determinate condizioni. Rientrano in questa categoria: • le dichiarazioni assunte dalla polizia giudiziaria, d'iniziativa o su delega del pubblico ministero, nei confronti di persone informate sui fatti. Esse, come si è appena detto, diventano pienamente utilizzabili nel giudizio, mediante acquisizione nel fascicolo per il dibattimento, quando si verifica la condizione della loro utilizzazione per le contestazioni al testimone nelle tre ipotesi eccezionali più sopra esaminate (teste intimidito o subornato, dichiarazioni rese all'udienza preliminare ed usate per le contestazioni dibattimentali, accordo fra le parti). • le dichiarazioni dell'indagato alle quali il difensore aveva diritto di assistere, assunte dalla polizia giudiziaria su delega e contenute nel fascicolo del pubblico ministero, diventano utilizzabili mediante l'acquisizione nel fascicolo per il dibattimento, se sono state usate per le contestazioni a nonna di quanto esposto sopra (art. 503, comma 5, c.p.p.); • le stesse dichiarazioni di cui sopra rese dall'indagato alla polizia giudiziaria (sempre nel corso d'atti delegati dal pubblico ministero) a condizione che l'imputato sia contumace o assente ovvero si rifiuti di sottoporsi all'esame. In tali casi le dichiarazioni sono utilizzate mediante lettura e a richiesta di parte. Tali dichiarazioni non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso salvo che ricorrano i presupposti di cui all'articolo 500. comma 4, c.p.p. (teste intimidito o subornato) (cfr. art. 513, comma 1, come integrato dall'alt. 18, comma 1, lett. a) legge 1° marzo 2001, n. 63 sul giusto processo). • le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da persona coimputata nello stesso procedimento o in un procedimento connesso (art. 210, comma 1 ) ovvero di un reato collegato (art. 210, comma 6) nelle ipotesi ed alle condizioni più sopra esposte. Costoro hanno l'obbligo di presentarsi in dibattimento e di sottoporsi all'esame, ma hanno la facoltà di non rispondere e, se rispondono, non sono punibili per falsa testimonianza. Soltanto se non è possibile ottenere la presenza del dichiarante" (anche mediante accompagnamento coattivo, se del caso) ovvero procedere ad esame a domicilio, rogatoria internazionale od esame a distanza, il giudice può leggere su richiesta di parte le precedenti dichiarazioni, ma unicamente se la non ripetibilità dipende da fatti e circostanze imprevedibili al momento della dichiarazione (art. 513, comma 2, c.p.p.). Se la non ripetibilità era prevedibile, i soggetti predetti avrebbero dovuto essere sentiti con incidente probatorio su richiesta di parte (art. 392). • ogni atto assunto dalla polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari quando, per fatti o circostanze imprevedibili ne è divenuta impossibile la ripetizione (irripetibilità sopravvenuta). L'utilizzazione dell'atto, mediante lettura, non è però automatica, ma anche in questo caso avviene a richiesta di parte (art. 512 c.p.p. modificato dal D.L. n. 306/1992 e relativa legge di conversione); • le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da cittadino straniero residente all'estero, a condizione che lo straniero non sia stato citato oppure, anche citato, non sia comparso. L'utilizzabilità è ulteriormente condizionata dalla richiesta di parte che il giudice può accogliere "tenuto conto degli elementi acquisiti" (art. 512-bis, introdotto dal D.L. n. 306/1992 e relativa legge di conversione 7 agosto 1992, n. 356). d) atti inutilizzabili. Salve le eccezioni già indicate, nel vigente sistema processuale penale opera il principio della non utilizzabilità in giudizio degli atti compiuti dalla polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari. In particolare non sono utilizzabili le dichiarazioni rese dall'indagato, dai soggetti indicati nell'articolo 210 e dalle persone informate sui fatti alla polizia giudiziaria nel corso di qualsiasi atto di iniziativa o delegato delle indagini preliminari. Del pari è vietata la lettura in giudizio dei verbali e degli altri atti di documentazione della polizia giudiziaria (art. 514 e.p.p.). Tuttavia, l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria, esaminati come testimoni, possono, nel corso della deposizione e su autorizzazione del Presidente, consultare tali atti, se da lui redatti, come aiuto della memoria (arti. 514, comma 2 in relaz. 499, comma 5, c.p.p.). L'art. 195, comma 4, come modificato dalla legge n. 63/2001 sul giusto processo, stabilisce che "gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto" delle sommarie informazioni assunte da testimoni ed imputati connessi, delle denunce, querele o istanze, delle informazioni e delle dichiarazioni spontanee rese dall'indagato. La ratio che ha indotto il legislatore a vietare la c.d. testimonianza indiretta della polizia consiste nella volontà di evitare aggiramenti della regola in base alla quale le precedenti dichiarazioni di testimoni sono utilizzabili soltanto ai fini delle contestazioni e per stabilirne la credibilità (art. 500, comma 2). La testimonianza indiretta della polizia avrebbe potuto veicolare in dibattimento (e rendere utilizzabile) l'intera deposizione resa dal possibile testimone fuori dalle regole del contraddittorio. Autorevole giurisprudenza (cass. pen. SS.UU., 28.5 - 24.9.2003 n. 36747 RV. 225469) ritiene che il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, che il comma 4 dell'alt. 195 cod. proc. pen. stabilisce con riguardo al contenuto delle dichiarazioni acquisite con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b) stesso codice, si riferisce tanto alle dichiarazioni che siano state ritualmente assunte e documentate in applicazione di dette norme, quanto ai casi nei quali la polizia giudiziaria non abbia provveduto alla redazione del relativo verbale, con ciò eludendo proprio le modalità di acquisizione prescritte dalle norme medesime. A confermare tale orientamento è intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza 29 luglio 2008, n. 305 con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'alt. 195, comma 4, c.p.p. ove interpretato nel senso che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono essere chiamati a deporre sul contenuto delle dichiarazioni dei testimoni soltanto se acquisite con le modalità di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettera a) e b) c.p.p. e non anche nel caso in cui, pur ricorrendone le condizioni, tali modalità non siano state osservate. Gli "altri casi" cui si riferisce l'ultima parte della disposizione, per i quali la prova è ammessa secondo le regole generali sulla testimonianza indiretta, si identificano con le ipotesi in cui le dichiarazioni siano state rese da terzi e percepite al di fuori di uno specifico contesto procedimenta-le di acquisizione, in una situazione operativa eccezionale o di straordinaria urgenza e, quindi, al di fuori di un dialogo tra teste e ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ciascuno nella propria qualità. La norma in esame vieta la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria sulle informazioni assunte di iniziativa (il richiamo infatti è all'art. 351 c.p.p.), niente dice su quelle assunte su delega del pubblico ministero (e di cui agli artt. 362 co. 2 e 370 e.p.p.), il che potrebbe farne ritenere l'ammissibilità. A conclusione di questo paragrafo riteniamo di dover sottolineare, richiamandoci all'accenno fatto all'inizio di esso, la notevolissima importanza pratica della distinzione degli atti di polizia giudiziaria secondo la loro utilizzabilità. L'operatore di polizia giudiziaria, nell'accingersi ad un atto, soprattutto di iniziativa, deve avere ben presenti quali possono essere le future possibilità di utilizzazione di esso, e ciò allo scopo di decidere se procedere d'iniziativa all'assunzione di esso oppure rimettere ogni valutazione al prudente apprezzamento del pubblico ministero, che potrà procedere direttamente all'assunzione dell'atto oppure delegarne il compimento. Il pubblico ministero, d'altra parte, potrebbe anche decidere sulla convenienza di un eventuale incidente probatorio, ove ne sussistano i presupposti. Sempre con riferimento ali'utilizzabilità dell'atto, gli appartenenti alla polizia giudiziaria dovranno scegliere la forma di documentazione più opportuna, seguendo i seguenti criteri: • annotazione per gli atti non utilizzabili; • verbalizzazione in forma riassuntiva per le dichiarazioni eventualmente utilizzabili per le contestazioni; • verbalizzazione in forma integrale per gli atti irripetibili.