Codice Procedura Penale Michela Cupini

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Codice Procedura Penale Michela Cupini
GLI ATTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA
A cura Dr.ssa Michela CUPINI
Comandante Polizia Municipale Montecatini Terme
Le indagini preliminari e l’attività d’indagine della polizia giudiziaria
La fase delle “indagini preliminari” è, nel vigente codice di procedura, una fase
preprocessuale, nel senso che precede il processo vero e proprio, inteso quest’ultimo,
come sede in cui l’azione penale viene esercitata dal pubblico ministero: Come già detto,
la finalità delle indagini preliminari non è quella di raccogliere le prove e farne un primo
vaglio processuale, ma quella di individuare ed assicurare le fonti della prova e di
permettere al pubblico ministero, sulla base degli elementi individuati e raccolti, le sue
determinazioni in ordine all’esercizio (o meno) dell’azione penale. Il materiale raccolto nel
corso delle indagini preliminari non potrà quindi, di regola, servire come prova nel
processo; esso servirà unicamente:
- in un primo momento, al pubblico ministero per decidere se vi siano elementi
sufficienti a concretare un’accusa ed a sostenerla, poi, in giudizio nei confronti di
taluno;
- in un secondo momento ( un volta prese le opportune determinazioni da parte del
pubblico ministero) al giudice per le indagini preliminari (g.i.p.) per decidere sulle
richieste che la pubblico ministero o dall’imputato saranno, secondo i casi,
avanzate: richiesta d’archiviazione, richiesta di rinvio a giudizio, richiesta di giudizio
abbreviato od i giudizio per decreto o di applicazione concordata della pena. Oltre
questi limiti, la valenza probatoria o, meglio l’utilizzabilità degli atti d’indagine
preliminare, di regola, non può andare.
E’ conseguenza di quest’impostazione una maggiore agilità, libertà di forme e
possibilità d’articolazione dell’attività di polizia giudiziaria, sia d’iniziativa che delegata.
I risultati delle indagini preliminari devono servire al pubblico ministero per le sue
determinazioni e, quindi, è opportuno che egli ne assuma al più presto la direzione.
Parlando di “attività” d’indagine, si fa riferimento ai singoli “atti” che del più generale
concetto d’attività sono frazioni o segmenti. In altri termini: l’attività degli organi di
polizia giudiziaria, sia d’iniziativa sia delegata, si manifesta e si estrinseca in “atti”, cioè
in frammenti di attività, ciascuno dei quali ha una propria finalità e un proprio
contenuto, i quali, collegandosi fra loro come presupposto o come conseguenza,
determinano lo sviluppo dell’indagine.
In conclusione dobbiamo dire che, mentre nella sistematica del codice di rito
previdente notevole era la categoria degli atti di polizia giudiziaria definiti come “atti
d’acquisizione probatoria” (con efficacia cioè di raccolta della prova e d’anticipazione
processuale), oggi questa categoria è ristretta a pochi atti eccezionali (di cui tra poco
diremo), essendo la più parte di loro finalizzati a consentire al pubblico ministero di
prendere le proprie “determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale”.
Atti ripetibili e non ripetibili
Vi sono degli atti per i quali, se pure in via d’eccezione, il principio esposto nel
paragrafo precedente non può trovare applicazione, poiché, in considerazione della
loro natura, non è possibile limitare le portata della loro efficace alla fase ed agli scopi
delle indagini preliminari, pena la dispersione definitiva della prova:
Trattasi degli atti che il codice di procedura penale indica come “non ripetibili” (o più
brevemente “irripetibili”) in quanto nel momento stesso della loro esecuzione si
esaurisce, si consuma ogni possibilità di ripetizione. In altri termini: non è possibile un
nuovo ed ulteriore accertamento della situazione oggetto di essi: E’ chiaro che una
perquisizione o un sequestro, una volta eseguiti e una volta che abbiamo raggiunto il
loro scopo, rispettivamente di ricerca e d’acquisizione degli elementi di prova, non
possono essere rinnovati in modo che la prova ad essi collegata possa essere
acquisita mediante un atto processuale. Ormai l’atto si è consumato e correlativa
efficacia probatoria del suo risultato si è già concretata nell’oggetto di esso, sì che non
vi è che prendere atto di tale situazione.
Questa è la ragione per cui, come vedremo, gli atti non ripetibili devono essere
documentati mediante verbale e la prova ottenuta mediante l’esecuzione di essi può
essere fatta valere nel giudizio: si suole parlare in tal senso di utilizzabilità negli atti nel
processo: E’ per questa ragione che i verbali suddetti devono essere inseriti nel
fascicolo per il dibattimento e di essi può essere data lettura nel processo ai sensi
dell’art. 511, comma 1 c.p.p.
Va rilevato che il codice di procedura non indica specificamente quali siano gli atti non
ripetibili, né enuncia una definizione di essi di carattere generale; è quindi compito
dell’elaborazione dottrinaria e della pratica giurisprudenziale sopperirvi. Sono
sicuramente atti non ripetibili
-
-
-
a) quelli d’iniziativa:
le perquisizioni
i sequestri
gli atti di acquisizione e apertura immediata di plichi
gli accertamenti e i rilievi urgenti sui luoghi e sulle cose oggi consentiti anche
tramite prelievo di materiale biologico;
gli atti, descrittivi di fatti e situazioni, compiuti in via d’urgenza, prima
dell’assunzione della direzione delle indagini da parte del pubblico ministero
b) tra gli atti delegati:
le ispezioni
le perquisizioni
i sequestri
le intercettazioni telefoniche
Atti d’iniziativa ed atti delegati: attività meramente esecutiva di ordini
o provvedimenti
Come abbiamo avuto già più volte occasione di dire, gli atti di polizia giudiziaria possono
essere d’iniziativa o delegati. Appartengono alla prima categoria quelli che la polizia
giudiziaria compie in adempimento dei compiti assegnati dall’art. 55, comma 1, c.p.p.
senza che alla sua attività sia dato impulso dall’esterno, mediante una notizia qualificata di
reato o una delega o un ordine dall’A.G.
In particolare, con riferimento alle funzioni della polizia giudiziaria enunciate nell’art. 55,
comma 1, c.p.p., si deve sottolineare che, per quanto concerne il “prendere notizia dei
reati”, la polizia giudiziaria non deve limitarsi ad attendere di essere attivata da una
denunzia o da una querela, ma può e deve essere sempre solerte ed attenta nel captare
sospetti, indizi, insomma ogni segnale dal quale possa arguirsi come ragionevolmente
probabile l’esistenza di un reato, svolgendo di conseguenza tutte le indagini necessarie ad
accertarlo.
Una volta raggiunta la certezza dell’esistenza del reato, conseguono le altre attività
indicate nell’art. 55, comma 1 c.p.p. ed in particolare l’esecuzione degli “atti necessari per
assicurare le fonti di prova”.
Dobbiamo mettere in evidenza che l’esecuzione di atti di iniziativa è possibile e doverosa
anche dopo la comunicazione della notizia di reato al pubblico ministero ed anche dopo
l’assunzione della direzione delle indagini Da parte di questi: le modifiche apportate
dall’art. 348, commi 1 e 3, dal D.L. n. 306/1992 (convertito modificazione in legge 7
agosto 1992, n. 356) e di poi il nuovo testo del comma terzo come sostituito dall’art. 8
della legge 26 marzo 2001, n. 128 consentono l’attività di indagine di iniziativa sia con
riferimento agli elementi già acquisiti all’indagine (attività di sviluppo e approfondimento)
sia con riferimento agli elementi successivamente emersi. Tuttavia nel caso in cui il
pubblico ministero abbia assunto la direzione delle indagini, riteniamo che il compimento di
atti di iniziativa da parte della polizia giudiziaria non debba contrastare con le direttive
impartite e debba altresì, essere subordinato alla duplice condizione della “necessità e
dell’urgenza” per l’esecuzione dell’atto.
In difetto sarà infatti, il pubblico ministero, prontamente informato, a dare le direttive del
caso.
Il requisito della necessità dell’atto, che deve sempre ricorrere stante il chiaro tenore
letterale dell’art. 55. comma 1, c.p.p. pur essendo ovvio se isolatamente esaminato (in
quanto l’atto non deve essere arbitrario e inutile, ma giustificato dalle esigenze
dell’indagine), assume particolare rilievo se collegato all’ulteriore requisito dell’urgenza.
Ricorre l’ipotesi della necessità e dell’urgenza ogni qualvolta esista il ragionevole rischio
di non assicurare o di non assicurare adeguatamente, la fonte di prova, utile per le
indagini, se si dovessero attendere le direttive del pubblico ministero.
Il vigente codice di rito richiede la sussistenza del requisito dell’urgenza come presupposto
necessario per il compimento di alcuni atti tipici di iniziativa. Indichiamo qui di seguito tali
atti:
a) assunzione, sul luogo e nell’immediatezza del fatto, di notizie ed indicazioni utili ai
fini dell’immediata prosecuzione delle indagini tramite le dichiarazioni della persona
nei cui confronti vengono svolte le indagini
b) apertura immediata di plichi o di corrispondenza : l’urgenza è data dalla necessità di
acquisire fonti di prova che potrebbero andare disperse a causa del ritardo;
c) perquisizioni personali o locali. Nel caso indicato nell’art. 352, comma 1, l’urgenza è
rappresentata dalle situazioni di flagranza o di evasione; nel caso indicato nell’art.
d)
e)
f)
g)
352, comma2, è indicata con riferimento “a particolari motivi” che non consentano la
tempestiva emissione di un decreto di perquisizione;
accertamenti urgenti sui luoghi e sulle persone:l’urgenza, già sottolineata
nell’intitolazione dell’articolo, è rappresentata dal pericolo che le cose, le tracce o lo
stato dei luoghi vengano alterati o modificati o le cose o le tracce vengano disperse
prima che il pubblico ministero possa tempestivamente intervenire;
sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato ricorrendo gli stessi
motivi d’urgenza di cui alla lettera precedente
arresto, obbligatorio o facoltativo, in flagranza: l’urgenza è data, in ogni caso, dallo
stato di flagranza;
fermo di indiziato di delitto. L’urgenza è qualificata dall’esistenza di specifici
elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga: nel caso di cui all’art 384,
comma 3 (fermo di indiziato dopo l’assunzione della direzione delle indagini da
parte del pubblico ministero) l’urgenza è ulteriormente rinforzata dalla circostanza
che non è possibile attendere il provvedimento del pubblico ministero.
Per quanto concerne gli atti delegati o meramente esecutivi di ordini o provvedimenti non
riteniamo di doversi soffermare in questa sede sui relativi presupposto. Infatti la loro
valutazione, con riguardo all’opportunità o necessità o urgenza dell’atto e/o a qualunque
altro presupposto di legittimità formale o sostanziale, non spetta alla polizia giudiziaria
bensì all’A.G. che ordina l’esecuzione dell’atto. Unica valutazione in questi casi consentita
alla polizia giudiziaria, chiamata all’esecuzione di un atto delegato, è quella circa
l’esistenza di quei requisiti formali dell’atto la cui mancanza lo renderebbe:
- inesistente: ad esempio la mancanza della firma dell’autorità mandante oppure
- ineseguibile. Si veda l’art 293 comma 3 c.p.p. circa l’ordinanza che dispone la
misura della custodia cautelare: la polizia giudiziaria non potrebbe eseguire il
provvedimento se mancante delle generalità o comunque degli elementi di
identificazione dell’imputato o se comunque queste fossero incerte o vi fosse
incertezza circa il giudice che ha emesso il provvedimento.
Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero può delegare alla polizia
giudiziaria il compimento di tutti gli atti di indagine preliminare ad eccezione:
• dell'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini che non si trovi in stato di libertà
e dei confronti con la medesima (art. 370, comma 1. c.p.p.);
• di tutti quegli atti per i quali singole disposizioni escludono la delegabilità, come, ad
esempio, per le ispezioni, perquisizioni e sequestri negli uffici dei difensori (art. 104,
comma 4, c.p.p.) oppure per le perquisizioni presso banche (art. 248, comma 2, ultima
parte);
• di quegli atti la cui delegabilità è esclusa dall'intrinseca natura dell'atto, come, ad
esempio, gli accertamenti tecnici non ripetibili di cui ali'art. 360 c.p.p. (-), che sono di
competenza del pubblico ministero ed i cui effetti sono assimilabili a quelli della perizia
disposta dal giudice.
A titolo esemplificativo si possono, comunque, indicare come delegabili i seguenti atti:
a) ricezione di denunce, querele, istanze di procedimento presentate oralmente (art. 373,
comma 1, lett. a);
b) ispezioni di cose e di luoghi; e) perquisizioni;
d) sequestri;
e) individuazione di persone e di cose (art. 361 c.p.p.);
f) assunzione di informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle
indagini (art. 362 c.p.p.);
g) operazioni di intercettazione di conversazioni o comunicazioni (art. 267, comma 4
c.p.p.);
h) accertamenti tecnici ripetibili (art. 359 c.p.p.).
i) interrogatori e confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in
stato di libertà (art. 370, comma 1 c.p.p.).
Una particolare figura di delega alla polizia giudiziaria per l'esecuzione di atti tipici di
competenza del pubblico ministero, altrimenti detta autorizzazione del pubblico ministero
al compimento di atti, è prevista nel procedimento penale dinanzi al giudice di pace
dall'art. 13 D.Lgs. 28 agosto 2000 n. 274, che dice: la polizia giudiziaria può richiedere al
pubblico ministero l'autorizzazione al compimento di accertamenti tecnici irripetibili ovvero
di interrogatori o di confronti cui partecipi la persona sottoposta alle indagini. Il pubblico
ministero, se non ritiene di svolgere personalmente le indagini o singoli atti, può
autorizzare la polizia giudiziaria al compimento degli atti richiesti. Allo stesso modo
provvede se viene richiesta l'autorizzazione al compimento di perquisizioni e sequestri nei
casi in cui la polizia giudiziaria non può procedervi di propria iniziativa (cfr. infra parte
terza, capitolo primo, paragrafo 16.6).
La polizia giudiziaria può, inoltre, essere chiamata a svolgere attività meramente esecutiva
di provvedimenti, emanati sia dal pubblico ministero sia da A.G. diversa, il che avviene per
l'esecuzione:
• del fermo di indiziato di delitto, disposto dal pubblico ministero (art. 386 c.p.p.);
• delle ordinanze, che dispongono la custodia cautelare (artt. 285 e 286) od altra misura
cautelare (artt. 281 e 284) od interdittiva (artt. 288 e 290 c.p.p.), così come dispone l'art.
293 c.p.p.;
• l'esecuzione dei provvedimenti di accompagnamento coattivo, emessi dal pubblico
ministero (artt. 376 e 377, comma 1, leti, e), dal g.i.p. (art. 399 c.p.p.) o dal giudice del
dibattimento (art. 490 c.p.p.) nei confronti dell'indagato o dell'imputato e di altre persone
(artt. 132 e 133 c.p.p.);
• l'esecuzione delle notificazioni nei casi previsti. Secondo l'art. 151 co. 1 c.p.p. le
notificazioni di atti del pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari sono eseguite
dall'ufficiale giudiziario, ovvero dalla polizia giudiziaria nei soli casi di atti di indagine o
provvedimenti che la stessa polizia giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad
eseguire. L'art. 148 co. 2 c.p.p. dispone che nei procedimenti con detenuti ed in quelli
davanti al tribunale del riesame il giudice può disporre che, in caso di urgenza, le
notificazioni siano eseguite dalla Polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari sono
detenuti, con l'osservanza delle norme del presente titolo.
Si ribadisce comunque che qualsiasi attività affidata alla polizia giudiziaria deve
necessariamente essere ancorata alle finalità investigative di cui alt'art. 55, comma 1,
c.p.p. con esclusione di qualsiasi altra attività non pertinente a finalità investigative e di
accertamento dei reati (si veda l'art. 59, co. 5, c.p.p. come modificato dall'alt. 17, L.
155/2005).
Attività dì indagine della polizia giudiziaria e garanzie di difesa
L'assistenza e l'intervento del difensore nel corso dell'attività d'indagine ad iniziativa della
polizia giudiziaria sono estremamente limitati e concernono, da un lato, le ipotesi di
dichiarazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini e, dall'altro, le ipotesi di
esecuzione di alcuni atti irripetibili.
Riteniamo di indicare questi casi, suddividendoli in due categorie, a seconda che
l'assistenza e l'intervento siano obbligatorì oppure facoltativi.
a) Ipotesi d'intervento obbligatorio. È il caso delle sommarie informazioni rese dalla
persona sottoposta ad indagini, che si trovi "a piede libero", vale a dire non in stato
d'arresto o di fermo, (art. 350, comma 1). La polizia giudiziaria, prima di assumere le
sommarie informazioni, invita l'indagato a nominare un difensore di fiducia. Qualora questi
non vi provveda, viene individuato il difensore d'ufficio secondo i criteri indicati dall'ari. 97
c.p.p., come modificato dagli artt. 1, 2 e 3 legge 6 marzo 2001, n. 60. Su richiesta della
polizia giudiziaria procedente un apposito ufficio, esistente presso il Consiglio dell'Ordine
Forense di ciascun distretto di Corte d'appello, indica il nominativo del difensore di ufficio,
tratto da elenchi in precedenza predisposti. Il difensore, di fiducia o di ufficio, deve essere
tempestivamente preavvisato della data e del luogo in cui si svolgerà l'interrogatorio ed ha
l'obbligo di presenziare al compimento dell'atto, così come testualmente dispone l'art. 350,
comma 3, c.p.p. Il difensore, sia di fiducia che d'ufficio, può nominare un sostituto (art.
102, comma 1, c.p.p.). In caso di non reperibilità immediata, rifiuto, omessa comparizione
od abbandono della difesa da parte del difensore, sia di fiducia sia d'ufficio, l'ufficiale di polizia giudiziaria operante deve chiedere il nominativo di altro difensore al suindicato ufficio,
salvo nei casi di urgenza, la diretta nomina di un difensore immediatamente reperibile,
previa adozione di un provvedimento motivato che indichi le ragioni dell'urgenza. Nei casi
di abbandono della difesa e di rifiuto della difesa di ufficio sarà riferito, per il tramite del
pubblico ministero, al Consiglio dell'Ordine Forense per i provvedimenti disciplinari di
competenza (art. 105, comma 1 e 4, c.p.p.).
Ai sensi dell'ari. 351, comma I-bis, e.p.p. il difensore ha, altresì, il diritto di assistere
all'assunzione delle sommarie informazioni da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria nei
confronti di persona imputata in un procedimento connesso ovvero di persona imputata di
un reato collegato a quello per cui si procede nel caso previsto dall'ari. 371, comma 2, lett.
e.p.p.
b) ipotesi d'intervento facoltativo. L'art. 356 c.p.p. indica gli atti di polizia giudiziaria, ai
quali il difensore della persona indagata ha "facoltà di assistere, senza diritto di essere
preventivamente avvisato". Essi sono
• perquisizioni, personali o locali (art. 352 c.p.p.) comprese le perquisizioni di sistemi
informatici e telematici (art. 9 L. 48/2008);
• immediata apertura di plichi, autorizzata dal pubblico ministero (art. 353, comma 2
c.p.p.);
• accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone (art. 354, comma 2, c.p.p.);
• sequestro del corpo di reato e delle cose pertinenti (art. 354, comma 2, c.p.p.);
• assunzione di notizie ed indicazioni utili ai fini dell'immediata prosecuzione delle indagini
mediante l'interrogatorio della persona indagata sul luogo e nell'immediatezza del fatto,
come si argomenta dalla lettura dell'art. 350, commi 5 e 6, c.p.p. Nei casi sopra indicati
l'assistenza del difensore della persona sottoposta alle indagini non è necessaria, perciò
non sorgono problemi in ordine all'individuazione di un difensore di ufficio. Il difensore non
può essere che di fiducia, ed è onere della persona sottoposta alle indagini richiedere la
sua assistenza all'atto e farlo tempestivamente intervenire oppure approfittare della sua
casuale presenza. La polizia giudiziaria non deve comunque ritardare o rinviare l'inizio
delle proprie operazioni per dare modo al difensore di assistere.
Per rendere possibile questa forma di intervento l'art. 114 disp. att. al c.p.p. fa obbligo alla
polizia giudiziaria, nel procedere al compimento degli atti indicati nell'ari. 356 del Codice, di
avvertire la persona sotloposla alle indagini, se presente, che ha facoltà di farsi assistere
dal difensore di fiducia. L'obbligo dopo l'approvazione della L. 48/2008 sulla criminalità
informatica si estende anche all'ipotesi di perquisizione e sequestro di sistemi informatici e
telematici. I verbali degli atti ai quali il difensore ha diritto di assistere, sia nei casi di assistenza obbligatoria che facoltativa, devono essere immediatamente trasmessi al pubblico
ministero per il deposito, che deve avvenire entro il terzo giorno successivo al compimento
dell'atto (art. 366, comma 1, c.p.p.) con facoltà per il difensore di esaminarli ed estrarne
copia nei cinque giorni successivi. Quando non è stato dato avviso del compimento
dell'atto, al difensore è immediatamente notificato l'avviso di deposito e il termine decorre
dal ricevimento della notificazione. 11 difensore ha facoltà di esaminare le cose
sequestrate nel luogo in cui esse si trovano e, se si tratta di documenti, di estrarne copia. Il
pubblico ministero, con decreto motivato, può disporre, per gravi motivi, che il deposito
degli atti suindicati e l'esercizio delle facoltà della difesa già precisate siano ritardati, senza
pregiudizio di ogni altra attività del difensore, per non oltre trenta giorni. Contro il decreto
del pubblico ministero la persona sottoposta ad indagini ed il difensore possono proporre
opposizione al giudice, che provvede con il rito della camera di consiglio (art. 366 come
modificato dall'ari. 10, commi 1 e 2 della legge 7 dicembre 2000, n. 397).
Va poi ricordato che l'art. 161 e.p.p. impone alla polizia giudiziaria, nel primo atto compiuto
con l'intervento della persona sottoposta alle indagini, di invitarla a dichiarare o ad
eleggere domicilio per le notificazioni, avvertendola che ha l'obbligo di comunicarne ogni
mutamento e che in mancanza di tale comunicazione o per il caso di rifiuto di dichiarare o
eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore. Di
tale avvertimento e quindi della dichiarazione o elezione di domicilio ovvero del rifiuto di
compierla deve essere dato atto a verbale. Ne consegue che, sempre nel primo atto
compiuto con l'intervento della persona sottoposta alle indagini, questa dovrà essere
avvisata del diritto che ha di nominare un difensore di fiducia e che in caso di mancata nomina, per il compimento di atti per i quali è prevista l'assistenza del difensore, si
provvederà all'individuazione di un avvocato d'ufficio a norma dell'ari. 97 c.p.p. Durante il
compimento degli atti di polizia giudiziaria sopra menzionali (sub a) e b) "è vietato a coloro
che v'intervengono di fare segni di approvazione o disapprovazione. Quando assiste al
compimento degli atti il difensore può presentare al pubblico ministero" e, nel caso di
esecuzione di atti di polizia giudiziaria all'Ufficiale procedente, "richieste, osservazioni e
riserve delle quali è fatta menzione nel verbale" (art. 364, comma 7, c.p.p.).
Per quanto concerne gli atti di indagine delegati, l'assistenza del difensore è necessaria,
cioè assolutamente obbligatoria, per gli interrogatori ed i confronti cui partecipi la persona
sottoposta alle indagini (v. art. 370, comma 1, c.p.p. come modificato dal D.L. n. 306/1992
e relativa legge di conversione). Per tutti gli altri atti delegabili dal pubblico ministero che
comportano l'assistenza del difensore, questa non è mai obbligatoria, ma semplicemente
facoltativa. Occorre poi distinguere tra atti per i quali il difensore deve essere messo in
condizioni di esercitare il proprio diritto mediante preavviso e atti per i quali è onere della
persona sottoposta alle indagini fare intervenire il difensore.
Obbligo del preavviso: concerne i casi di interrogatori e confronti cui partecipi la persona
sottoposta alle indagini in stato di libertà e le ispezioni di luoghi o di cose, sia che vi
partecipi o che non vi partecipi la persona sottoposta alle indagini (art. 364 c.p.p.). Se la
persona sottoposta alle indagini ha già un difensore di fiducia (per averlo in precedenza
nominato), a lui è dato avviso almeno ventiquattro ore prima del compimento dell'atto.
Altrimenti l'avviso, nello stesso termine, è dato al difensore di ufficio, individuato a norma
dell'ari. 97 c.p.p., informando, però, la persona sottoposta alle indagini che può nominare
un difensore di fiducia (art. 364, comma 2, c.p.p.).
Della nomina del difensore di ufficio deve essere data comunicazione alla persona
indagata con contestuale informazione sulle disposizioni in materia di patrocinio dei non
abbienti a carico dello Stato ed avviso che, ove non ricorrano i presupposti per
l'ammissione a tale beneficio, egli è tenuto a retribuire il difensore di ufficio (art. 369-bis
c.p.p.)
Dispone l'art. 364, comma 5 e 6, c.p.p. che "nei casi di assoluta urgenza, quando vi è
fondato motivo di ritenere che il ritardo possa pregiudicare la ricerca o l'assicurazione delle
fonti di prova, il pubblico ministero (o la polizia giudiziaria da questo delegata - n.d.r.) può
procedere a interrogatorio, a ispezione o a confronto anche prima del termine fissato
dandone avviso al difensore senza ritardo e comunque tempestivamente. L'avviso può
essere omesso quando il pubblico ministero procede a ispezione e vi è fondato motivo di
ritenere che le tracce o gli altri effetti materiali del reato possano essere alterati. È fatta
salva, in ogni caso, la facoltà del difensore d'intervenire.
Quando si procede nei modi suddetti, il pubblico ministero deve specificamente indicare, a
pena di nullità, i motivi della deroga e le modalità dell'avviso": b) per il compimento di
alcuni atti tipici, diversi da quelli suindicati, il preavviso ai difensori non deve essere dato,
ma costoro hanno, comunque, il diritto di assistervi. Tali atti sono
• le perquisizioni personali, locali anche di sistemi informatici;
• i sequestri (art. 365 c.p.p.).
Per tutti gli altri atti delegabili alla polizia giudiziaria non è prevista, neppure come
facoltativa, l'assistenza del difensore.
Anche per gli atti delegati, ai quali il difensore ha comunque diritto di assistere, è previsto il
deposito di cui all'art. 366 c.p.p. sopra già esaminato. Valgono infine anche per questi atti
le disposizioni di cui all'art. 364, comma 7, c.p.p. circa gli obblighi e le facoltà del difensore
nel corso degli atti ai quali assiste.
Si ricordi, inoltre, che la persona sottoposta alle indagini ha diritto di nominare non più di
due difensori di fiducia (v. art. 96 c.p.p.) e che il difensore, sia di fiducia che di ufficio, per il
caso di impedimento e per tutta la durata di questo, può designare un sostituto che ne
eserciterà i diritti ed assumerà i doveri (v. art. 102 c.p.p.).
La documentazione degli atti di polizia giudiziaria
Lo svolgimento pratico dell'attività di investigazione non è vincolato a forme o modalità
particolari. Esso può pertanto aver luogo con ogni tecnica che consenta di conseguire
l'effetto cui ogni indagine tende, ossia l'assunzione di informazioni. Può quindi aversi
attività di osservazione diretta, di sollecitazione ed ascolto di notizie da persona in grado di
fornire particolari e dati di interesse investigativo, di apprensione di cose o documenti, di
analisi tecniche e così via. È tuttavia indispensabile che l'esito di codeste investigazioni
venga oggettivamente consacrato in forme documentali, che ne attestino la natura e le
ragioni che vi hanno dato luogo. A tale effetto sono rivolte le disposizioni che si occupano
della disciplina dell'attività di documentazione.
Preliminare ad un esame dell'attività diretta di polizia è quindi la ricognizione delle modalità
pratiche attraverso le quali si documenta e registra lo svolgimento degli atti compiuti.
La legge processuale dedica all'argomento alcune regole guida: l'articolo 357 codice di
procedura penale dispone:
articolo 357 - documentazione dell'attività di polizia giudiziaria -"la polizia giudiziaria
annota secondo le modalità ritenute idonee al fìne delle indagini, anche
sommariamente, tutte le attività svolte, comprese quelle destinate alla
individuazione delle fonti di prova. "
L’annotazione
La regola base per la documentazione delle investigazioni compiute è costituita pertanto
dall’ annotazione". Con questo termine si intende una sorta di memoria personale, nella
quale l'agente o l'ufficiale rappresenta le attività di cui è stato protagonista, il luogo e il
tempo ad esse relativo, le persone che vi hanno preso parte e ogni altra informazione
attinente al contenuto delle osservazioni e rilevazioni effettuate (articolo 115 disp att). Il
documento così formato viene trasmesso al pubblico ministero, mentre una copia è
conservata presso l'ufficio di polizia. Secondo la norma tali indicazioni dovrebbero essere
succinte. In realtà vi è al riguardo libertà assoluta dell'operatore, che potrà viceversa
redigere una rappresentazione dettagliata di quanto avvenuto, a suo giudizio, come è
opportuno che sia quando si preveda che possa risultare utile alla memoria. Per la
compilazione delle "annotazioni" non esiste, dunque, una forma specifica, indicata dalla
legge, la quale si limita a prescrivere l'adozione delle "modalità ritenute idonee". Resta,
quindi, affidata alla discrezionalità dell'operatore di polizia giudiziaria sia la scelta del
mezzo (scrittura manuale, sistemi di videoscrittura, macchina da scrivere, stenografia o
stenotipia, uso di supporti tecnici, come ad es. registratori, ecc.) sia il contenuto da dare
all'annotazione, che può anche limitarsi ad una sommaria esposizione dell'attività svolta e
del suo risultato. Rientra sicuramente nella categoria delle "annotazioni" quell'atto che
nella prassi va sotto il nome di "relazione di servizio", per la cui nozione si veda Cass.,
SS.UU. 17.5.2006 n. 41281. Secondo Altri l'annotazione e la relazione di servizio sono atti
formalmente simili, ma destinati a perseguire scopi diversi fra loro. La relazione di servizio,
atto previsto dal vigente codice di rito, trova la sua disciplina nell'art. 28 del Regolamento
di servizio della Polizia di Stato, il quale dispone che il personale su ogni fatto di
particolare rilievo avvenuto durante l'espletamento del servizio deve riferire con apposita
segnalazione al responsabile dell'ufficio, reparto o istituto, per gli adempimenti di legge,
fatto salvo l'obbligo per il dipendente di redigere gli ulteriori atti prescritti dalle disposizioni
vigenti. Secondo gli Autori citati, mentre l'annotazione è destinata a documentare nel
procedimento penale l'attività di indagine di polizia giudiziaria (es. relazione su un
intervento per furto in appartamento), la relazione di servizio sarebbe, invece, l'atto con cui
gli operatori di polizia informano il responsabile dell'ufficio di quei fatti di cui siano venuti a
conoscenza nell'attività di servizio, e anche fuori di essa, che possono non avere attinenza
con le funzioni di polizia giudiziaria e di cui è opportuno che rimanga traccia per le ulteriori
incombenze (es. segnalare un guasto od un incidente all'auto di servizio, riferire sui vari
atti compiuti nel corso del servizio). La relazione di servizio sarebbe quindi un atto interno
con eventuale rilevanza esterna, allorché contenga notizie di reato o documenti attività di
indagine di polizia giudiziaria. L'annotazione, invece, ha rilevanza esterna, essendo
destinata all'A.G. ed infatti la prima è indirizzata al dirigente dell'ufficio o ad altri uffici
interessati, la seconda è diretta al responsabile del servizio di polizia giudiziaria ovvero
direttamente al pubblico ministero.
L'art. 115 disp. att. c.p.p. enuncia gli elementi che devono, comunque, risultare da ogni
"annotazione" e precisamente:
1) l'indicazione dell'ufficiale o dell'agente di polizia giudiziaria che ha compiuto le attività
d'indagine. A nostro avviso dovranno essere specificate anche generalità e funzioni
dell'ufficiale o agente, che redige l'annotazione, qualora si tratti di soggetto diverso da
quello che ha svolto l'attività d'indagine.
2) l'indicazione del giorno, dell'ora e del luogo in cui le attività d'indagine sono state
eseguite;
3) le generalità e le altre indicazioni personali utili per l'identificazione del soggetto dal
quale la polizia giudiziaria ha eventualmente ricevuto o assunto dichiarazioni;
4) le generalità e le altre indicazioni personali utili per l'identificazione delle persone delle
quali la polizia giudiziaria si è avvalsa per compiere le attività d'indagine;
5) l'enunciazione succinta del risultato dell'indagine.
Il documento così formato viene trasmesso al pubblico ministero, mentre una copia è
conservata presso l'ufficio di polizia (articolo 115 disp. att.) Dunque l'annotazione anche
quando è sommaria, come consentito dall'alt. 357, comma 1, c.p.p., non può comunque
derogare ai limiti posti dall'ari. 115 disp. att. Tale norma indica la tecnica redazionale per la
stesura di una corretta annotazione. Tuttavia, qualora una certa attività d'indagine non sia
stata annotata o sia stata annotata parzialmente, l'effetto puramente informativo della
documentazione mancante o difettosa potrà essere in qualunque momento integrato da
altri atti o elementi di documentazione o informazione.
La libertà di forma e la massima semplificazione si spiegano con la tendenziale inutilizzabilità nella fase processuale del dibattimento degli atti d'indagine, compiuti dalla
polizia giudiziaria. Infatti, l'efficacia della "annotazione" è puramente informativa, venendo
ad essere traccia e documentazione meramente storica di una certa attività svolta. Il
contenuto dell'annotazione non può in nessun caso essere utilizzato come prova nel
giudizio. Essa, al massimo, potrà essere usata come documentazione da consultare, su
autorizzazione del Presidente, per aiuto alla memoria dell'ufficiale o agente di polizia
giudiziaria, che deponga in giudizio (art. 499, comma 5, c.p.p.). È comunque sempre
possibile, sull'accordo delle parti, la trasmigrazione dell'annotazione nel fascicolo del
giudice. In ordine alla utilizzabilità processuale delle annotazioni si conferma quanto già
ribadito dalle sezioni unite della Corte Cassazione con sentenza 17.10.2006, n. 41281 e
cioè che ciò che conta non è il nomen iuris che si attribuisce all'atto, bensì la portata del
suo contenuto. Nella fase delle indagini peraltro le annotazioni possono assumere una ben
diversa valenza indiziaria, ai fini delle misure e decisioni proprie di questa fase. L'art. 357
c.p.p. non da alcun'indicazione circa il momento in cui deve essere redatta l'annotazione.
Tale lacuna, secondo una prima possibile interpretazione, potrebbe essere colmata
attraverso l'applicazione in via analogica delle regole dettate dall'art. 373, comma 4, c.p.p.
relativamente all'attività d'indagine del pubblico ministero. Tale disposizione stabilisce che
"gli atti sono documentati nel corso del loro compimento ovvero immediatamente dopo,
quando ricorrono insuperabili circostanze, da indicarsi specificamente, che impediscono la
documentazione contestuale". Si può ricorrere all'interpretazione analogica, poiché le
norme processuali consentono siffatto tipo d'interpretazione, e, nel caso di specie, essa è
resa possibile dal fatto che la norma, che si viene ad applicare, risulta relativa alla
medesima attività di documentazione e svolta nella stessa fase del procedimento (indagini
preliminari).
Si è già detto che l'annotazione è la forma di documentazione ordinaria per gli atti atipici
compiuti d'iniziativa dalla polizia giudiziaria; mentre per gli atti delegati dal pubblico
ministero la forma di documentazione ordinaria è il verbale.
Il verbale: nozione, efficacia, forma, nullità
L'art. 357, comma 2, c.p.p. prescrive l'obbligo di documentazione mediante redazione del
'"verbale" per determinati atti tipici di polizia giudiziaria, e cioè
a) denunce e dichiarazioni costituenti condizioni di procedibilità (querele o istanze)
presentate oralmente;
b) sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui
confronti vengono svolte le indagini;
c) informazioni assunte, a norma dell'alt. 351;
d) perquisizioni e sequestri;
e) identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle
persone in grado di riferire circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti (art. 349);
f) acquisizione di plichi o di corrispondenza (art. 353);
g) accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone (art. 354);
h) atti, che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a che il pubblico
ministero non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini: ad esempio
un'individuazione fotografica o comunque atti di assicurazione delle fonti di prova (art. 348
c.p.p.).
Mediante verbale vengono, altresì, documentati il fermo e l'arresto in flagranza e le attività
conseguenti di cui ali'art. 386 c.p.p.
Sono tutti atti in qualche modo utilizzabili nel dibattimento (cfr. artt. 511 e 500, comma 4,
c.p.p. e di cui infra Parte IL cap. Ili, paragrafo 5) e comunque "garantiti" dall'assistenza del
difensore.
Inoltre, quando la polizia giudiziaria compie atti su delega del pubblico ministero deve
documentarli mediante redazione di verbale (art. 370, comma 1 e 2, che richiama l'art. 373
sulla documentazione degli atti del pubblico ministero). Com'è facile notare la diversità del
mezzo di documentazione (verbale e non annotazione) si ricollega al maggior rilievo che
tali atti assumono rispetto a quelli „ contenuto meramente informativo.
Il verbale è un atto redatto da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria (art. 357, -:omma 3,
c.p.p.) e, quindi, è "'atto pubblico" in ragione della sua provenienza da pubblici ufficiali
nell'esercizio delle loro funzioni (v. art. 476, comma 1, c.p.) (2). Circa Informa, il verbale è
un atto scritto, che viene redatto in maniera contestuale al compimento degli atti, alla cui
documentazione è destinato (3). Eccezionalmente il verbale può essere redatto
"immediatamente dopo", qualora ricorrano insuperabili circostanze, da indicarsi
specificamente, che impediscono la documentazione contestuale (artt. 357, comma 3, in
relaz. 373, comma 4, c.p.p.).
Il contenuto del verbale, in conformità a quanto dispone l'art. 136 c.p.p., è rappresentato
dalle seguenti indicazioni:
a) la menzione del luogo, dell'anno, del mese, del giorno e, quando occorre, dell'ora in cui
è cominciato e chiuso;
b) le generalità delle persone intervenute e l'indicazione delle cause, se conosciute, della
mancata presenza di coloro che sarebbero dovuti intervenire;
c) la descrizione dell'attività compiuta dall'ufficiale o agente di polizia giudiziaria o di
quanto questi ha constatato o è avvenuto in sua presenza o la trascrizione delle
dichiarazioni ricevute. In questo caso, stabilisce l'art. 136, comma 2, c.p.p. che per ogni
dichiarazione deve essere indicato se è stata resa spontaneamente o previa domanda,
riproducendosi in quest'ultima ipotesi anche la domanda. Se la dichiarazione è stata
dettata dal dichiarante, o se questi si è avvalso dell'autorizzazione a consultare note
scritte, n'è fatta menzione;
d) la sottoscrizione, previa lettura dell'intero verbale, dell'ufficiale od agente che lo ha
redatto e delle persone intervenute. Le sottoscrizioni suindicate devono essere apposte
alla fine d'ogni foglio. Se alcuno degli intervenuti non vuole o non è in grado di
sottoscrivere n'è fatta menzione con l'indicazione del motivo (art. 137 c.p.p.). Sulla base
degli elementi ora indicati, si ritiene che le circostanze di cui il verbale è destinato a fornire
prova sono
a) la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato;
b) l'indicazione del tempo e del luogo in cui il verbale è stato aperto e chiuso;
c) l'indicazione delle persone intervenute;
d) la descrizione dei fatti che il Pubblico Ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o
dell'attività da lui compiuta o la trascrizione delle dichiarazioni da lui ricevute. Il verbale, in
quanto atto redatto da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, è da ritenersi
atto pubblico, il cui regime di efficacia è sancito dalla norma generale di cui all'ari. 2700
cod. civ. Pertanto esso fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del
documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e
degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.
Viceversa il contenuto dei fatti stessi, soprattutto delle dichiarazioni ricevute, può essere
liberamente valutato ed apprezzato dal giudice. L'ufficiale o agente di polizia giudiziaria,
che, nella redazione di un verbale:
a) attesti falsamente che un fatto è stato compiuto o avvenuto alla sua presenza;
b) attesti come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese;
c) ometta o alteri dichiarazioni da lui ricevute;
d) o comunque attesti falsamente fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, si
rende autore del delitto di falsità ideologica in atto pubblico, previsto e punito dall'ari. 479
in relazione all'art. 476, comma 1, c.p.
Sono cause di nullità del verbale (art. 142 c.p.p.):
a) l'incertezza assoluta sulle persone intervenute;
b) la mancanza della sottoscrizione dell'ufficiale o agente che lo ha redatto.
La mancanza o l'insufficienza delle altre indicazioni non ne fa venire meno la validità,
salva, comunque, la valutazione del suo contenuto. La negligente redazione di un verbale,
specie se è causa di nullità, può essere fonte di responsabilità disciplinare dell'ufficiale od
agente compilatore. Nel caso in cui la redazione del verbale avvenga con metodologie
particolari diverse dalla scrittura manuale (stenotipia od altri strumenti meccanici) o sia affiancato dall'uso di strumenti tecnici (registrazioni foniche o audiovisive), la polizia
giudiziaria potrà servirsi, quali ausiliari (art. 348, comma 4, c.p.p.), di "persone idonee",
aventi le necessarie capacità tecniche (art. 135 c.p.p.). La riproduzione audiovisiva è
ammessa, da sola o in aggiunta ad altre forme di riproduzione, come supporto alla
tradizionale verbalizzazione scritta, solo quando le altre modalità di documentazione siano
ritenute insufficienti ed essa sia assolutamente indispensabile (art. 134, comma 4, c.p.p.).
Se nel corso della verbalizzazione è effettuata riproduzione fo-nografica o audiovisiva, nel
verbale deve essere indicato anche il momento d'inizio e quello di cessazione delle
operazioni di riproduzione (art. 139, comma 2, c.p.p.).
Il verbale informa integrale e riassuntiva
II codice di procedura vigente ha previsto due tipi di verbale, da ritenersi alternativi fra loro,
e cioè:
• il verbale informa integrale, che, come dice il nome, comporta la completa e pedissequa
descrizione o trascrizione dell'attività svolta o constatata o delle dichiarazioni assunte. Di
regola, con tale forma sono redatti i verbali che non contengono dichiarazioni, ma
rappresentano tutta una serie d'operazioni e d'attività, compiute o constatate dai pubblici
ufficiali, che formano l'atto;
• il verbale informa riassuntiva. Come si deduce agevolmente dalla lettura dell'art. 140,
comma 2, c.p.p., si tratta di una forma di documentazione prevista essenzialmente per
raccogliere le dichiarazioni che vengono rese al verbalizzante. In questo tipo di verbale,
che deve comunque avere tutti gli elementi già indicati nel paragrafo precedente, il
contenuto delle dichiarazioni rese viene sintetizzato, compendiato, riassunto: da qui la
denominazione di verbale in forma riassuntiva. Sarà comunque compito del verbalizzante
curare che:
a) la parte essenziale delle dichiarazioni rese sia riprodotta nell'originaria, genuina
espressione;
b) siano fedelmente riportate le circostanze e le condizioni ambientali nelle quali le
dichiarazioni sono rese, se queste possono servire a valutarne la credibilità. Con
riferimento alla documentazione degli atti redatti nella fase giurisdizionale, l'art. 134,
comma 3, c.p.p. prescrive che quando il verbale è redatto in forma riassuntiva, deve
essere effettuata anche la riproduzione fonografica (c.d. verbale in forma riassuntiva
complessa). L'art. 140 c.p.p. (modalità di documentazione in casi particolari) stabilisce che
la verbalizzazione in forma riassuntiva può, comunque, essere eseguita anche senza la
riproduzione fonografica (c.d. verbale in forma riassuntiva semplice), quando si tratti di
documentare atti che hanno contenuto semplice o di limitata rilevanza ovvero in tutti quei
casi in cui si verifichi una contingente indisponibilità del mezzo di riproduzione o una contingente mancanza degli ausiliari tecnici necessari.
La verbalizzazione degli atti d'indagine preliminare della polizia giudiziaria è regolata
dall'art. 357, comma 3, c.p.p., il quale dice: "il verbale è redatto nelle forme e con le
modalità previste dall'art. 373" c.p.p. Dalla lettura congiunta di tali disposizioni risulta di
tutta evidenza che per gli atti d'indagine preliminare, sia d'iniziativa sia delegati, di
competenza della polizia giudiziaria, per i quali è richiesta la documentazione mediante
verbale, si può procedere alla redazione di verbale in forma soltanto riassuntiva, senza
registrazione fonografica (art. 373, comma 3). Fanno eccezione gli atti elencati dal
primo comma di tale articolo, che così dispone:
articolo 373 (documentazione degli atti)
1. Salvo quanto disposto in relazione a specifici atti, è redatto verbale:
a) delle denunce (333), querele (336) e istanze (341) di procedimento presentate
oralmente;
b) degli interrogatori (64, 374) e dei confronti (211) con la persona sottoposta alle
indagini;
c ) delle ispezioni (244), delle perquisizioni (247) e dei sequestri (253);
d) delle sommarie informazioni assunte a norma dell'articolo 362;
d bis) dell'interrogatorio assunto a norma dell'articolo 363;
e) degli degli accertamenti tecnici compiuti a norma dell'articolo 360.
La verbalizzazione di queste attività dovrà avvenire in forma integrale o in forma
riassuntiva con registrazione fonografica (c.d. verbale in forma riassuntiva
complessa). Trattasi di forme di verbalizzazione alternative fra loro e l'appartenente alla
polizia giudiziaria seguirà, per la scelta, il criterio indicato all'inizio di questo paragrafo:
verbale in forma integrale per la documentazione di operazioni od attività, verbale in forma
riassuntiva complessa per la documentazione di dichiarazioni.
Ancora, e per concludere, si rammenta che quando trattasi di documentare atti a
contenuto semplice o di limitata rilevanza ad opera sia del pubblico ministero che della
polizia giudiziaria, si procederà alle "annotazioni ritenute necessarie" (artt. 373, comma 3
e 357, comma 1, c.p.p.).
Conclusivamente può dirsi che una stessa operazione di polizia giudiziaria può
teoricamente essere documentabile sia con verbale in forma integrale, sia con verbale in
forma riassuntiva e, in quest'ultimo caso, con verbale in forma riassuntiva complessa o,
nei casi previsti, semplice e, infine, ove si tratti di atti di semplice contenuto, con
annotazione.
La scelta, come detto, dipende dalla tipologia di operazione di polizia giudiziaria che ci si
appresta a documentare e dal contenuto della singola attività. Nel capitolo che segue si
propone una scelta di massima tra le varie tipologie di documentazione e nella modulistica
di riferimento in genere si è cercato di proporre, a seconda dei casi, più opzioni lasciando
al singolo operatore la scelta finale più adeguata ed appropriata al caso concreto.
Atti d'iniziativa documentabili mediante verbale informa integrale o
riassuntiva
Come si è già detto, a norma dell'ari. 357, comma 2, c.p.p., gli atti d'iniziativa della polizia
giudiziaria, che devono essere documentati mediante redazione di verbale sono:
a) gli atti di ricezione di denunce, querele o istanze presentate oralmente;
b) gli atti di sommarie informazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini (art. 350
commi 1, 2, 3, 4. c.p.p.);
c) gli atti di ricezione di dichiarazioni spontanee rese dalla per-sona sottoposta alle
indagini (art. 350, comma 7, c.p.p.);
d) gli atti d'assunzione di sommarie informazioni dalle persone che possono riferire
circostanze utili ai fini delle indagini (art. 351 c.p.p.);
e) le perquisizioni (art. 352 c.p.p.);
f) il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al rea-to (art. 354, comma 2,
ultima alinea c.p.p.);
g) gli atti d'identificazione della persona nei cui confronti ven-gono svolte le indagini e di
altre persone (art. 349 c.p.p.);
h) gli atti di acquisizione di plichi o di corrispondenza (art. 353 c.p.p.);
i) gli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone (art. 354, commi 2e 3e,
c.p.p.)
l) gli atti, che descrivono fatti e situazioni, compiuti sino a che il pubblico ministero non
abbia impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini.
Deve inoltre essere redatto verbale
m) degli atti di arresto in flagranza (artt. 380, 381, 386 c.p.p.);
n) della consegna di persona arrestata in flagranza da un privato (art. 383, commi 1 e 2,
c.p.p.);
o) del fermo, di iniziativa, di indiziato di delitto (artt. 384, comma 2 e 386 c.p.p.);
p) delle perquisizioni sul posto (art. 4, legge 22 maggio 1975, n. 152).
Secondo i criteri enunciati nel paragrafo precedente, le attività indicate con le lettere da a)
a d) devono essere verbalizzate in forma riassuntiva e con registrazione fonografica (c.d.
forma riassuntiva complessa). Tuttavia, se si tratta di atti a contenuto semplice o di limitata
rilevanza ovvero si verifica una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di
ausiliari tecnici, è sufficiente la verbalizzazione in forma riassuntiva semplice, cioè senza
riproduzione fonografica (art. 357, commi 2 e 3, in relazione agli artt. 373, commi 1 e 2,
134, commi 2 e 3, 140 c.p.p.). Le attività indicate da e) a p) devono essere verbalizzate in
forma integrale (cfr. art. 357, commi 2 e 3 in relazione agli artt. 373, commi 1 e 2, 134
c.p.p.).
Trasmissione della documentazione degli atti al pubblico ministero e
considerazioni finali
La documentazione dell'attività di polizia giudiziaria è posta sempre a disposizione del
pubblico ministero. Tale regola, testualmente espressa dall'art. 357, comma 4, e.p.p.,
riguarda la documentazione dell'attività di indagine di iniziativa nel corso delle indagini
preliminari.
Per quanto concerne gli atti delegati e quelli meramente esecutivi, il principio che opera è
quello secondo cui la documentazione deve essere messa a disposizione dell'A.G. che ha
richiesto l'attività.
Circa il termine entro cui la documentazione deve essere messa a disposizione occorre
distinguere:
a) per le indagini di iniziativa, la documentazione delle attività compiute deve essere
trasmessa entro lo stesso termine in cui deve essere comunicata al pubblico ministero la
notizia del reato (art. 347, commi 1, 2-bis e 3, c.p.p.). Nel caso in cui indagini di iniziativa
siano eseguite anche dopo l'intervento del pubblico ministero (art. 348, comma 3, c.p.p.), il
codice non prevede alcun termine, ma prescrive che il pubblico ministero sia prontamente
informato. Si deve, dunque, ritenere che, proprio perché siamo già in un periodo in cui il
pubblico ministero ha preso la direzione delle indagini, l'espressione usata debba essere
interpretata nel senso che la documentazione di questi atti di iniziativa deve essere
trasmessa subito dopo il compimento dell'atto (salvo che lo stesso pubblico ministero, tempestivamente informato, disponga diversamente);
b) per gli atti delegati o meramente esecutivi, la regola è quella della trasmissione al
pubblico ministero o all'Autorità richiedente subito dopo l'esecuzione dell'atto. Tuttavia per
gli atti da "mettere in deposito" ai sensi dell'art. 366 c.p.p., la trasmissione di essi dovrà
avvenire "immediatamente dopo". Qualora la delega, nel caso di indagini preliminari,
riguardi, anziché l'esecuzione di specifici atti, un'attività di indagine articolata secondo più
ampie direttive (v. art. 348, comma 3, c.p.p.), riteniamo che la documentazione possa
essere trasmessa al pubblico ministero al termine della complessiva attività di indagine
delegata. Resta, comunque, fermo l'obbligo della trasmissione immediata della
documentazione degli atti soggetti a deposito.
Tutta la documentazione relativa agli atti di indagine preliminare, compiuti:
• sia dalla polizia giudiziaria, d'iniziativa, per delega od in esecuzione di provvedimenti del
pubblico ministero o del g.i.p;
• sia dal pubblico ministero direttamente,
è conservata in un apposito fascicolo presso l'ufficio del pubblico ministero (c.d. fascicolo
del pubblico ministero). In esso deve essere anche inserito l'atto contenente la notizia di
reato con ogni altra documentazione che vi si riferisca (art. 373, comma 5, c.p.p.).
La documentazione contenuta nel fascicolo del pubblico ministero è pienamente
utilizzabile:
a) nell'ambito delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero, per fondare la
richiesta al g.i.p. di incidente probatorio (art. 395 c.p.p.); da parte del g.i.p. e, limitatamente
alla documentazione even-tualmente trasmessagli dal pubblico ministero, per decidere
sulla richiesta di incidente probatorio, avanzata sia dal pubblico ministero che dalla
persona sottoposta alle indagini;
b) al momento della chiusura delle indagini preliminari:
• aa) da parte del pubblico ministero, per richiedere al g.i.p. l'archiviazione (art. 408,
comma 1, c.p.p.) e da parte del g.i.p., per decidere su tale richiesta;
• bb) da parte del pubblico ministero, per richiedere al g.i.p. il rinvio a giudizio dell'imputato
(art. 416, commi 1 e 2, c.p.p.) e da parte del g.i.p., per decidere su di essa all'udienza
preliminare (art. 421 c.p.p.);
• cc) da parte del pubblico ministero, per richiedere il giudizio immediato (art. 454 commi 1
e 2, c.p.p.), o il decreto di condanna (art. 459 c.p.p.), e da parte del g.i.p., per decidere su
tali richieste;
• dd) per fondare la richiesta sia del pubblico ministero che dell'imputato di applicazione
concordata della pena (art. 444, commi 1 e 2, c.p.p.), nonché per chiedere l'imputato il
giudizio abbreviato ai sensi dell'art. 438 c.p.p. e per fondare la decisione del g.i.p. su tali
richieste.
Per concludere, riteniamo utile richiamare l'attenzione sulla seguente considerazione: il
codice di procedura penale, nel fissare i principi relativi alle varie forme di documentazione
(verbale in forma integrale, verbale in forma riassuntiva, sia complessa sia semplice,
annotazioni), lascia, tuttavia, ampio margine di discrezionalità all'operatore nella scelta
(quando si debba redigere verbale) tra verbale in forma integrale e verbale in forma
riassuntiva e nella scelta (negli altri casi) della forma e modalità di documentazione, nel
senso che le "annotazioni" pur costituendo, come detto, la forma ordinaria della
documentazione dell'attività di polizia giudiziaria, non sono tuttavia da ritenere prescritte
come forma inderogabile di documentazione. Nulla vieta, anzi riteniamo di poterlo
consigliare, che quando l'atto compiuto rivesta una particolare importanza, esso, pur se
non rientrante tra quelli per i quali è prevista la verbalizzazione, sia documentato mediante
verbale (in forma integrale o riassuntiva) come pure nulla vieta che l'annotazione, anziché
sommariamente, sia redatta in forma più ampia, se non addirittura, qualora si tratti di
dichiarazioni da assumere, mediante verbale in forma riassuntiva non accompagnato da
registrazione fonografica. In sostanza, fermi i limiti posti dagli arti. 357, comma 2 e 373,
comma 1, c.p.p., sta alla sagacia ed all'accorta valutazione dell'operatore di polizia
giudiziaria l'adozione della forma e delle modalità di documentazione più consone alla rilevanza, in concreto e nel caso specifico, dell'atto compiuto. Ricordiamo, infine, che a norma
dell'ari. 115, comma 2, disp. alt. "copia delle annotazioni e dei verbali redatti a norma
dell'ari. 357 del codice è conservata presso l'ufficio di polizia giudiziaria".
Classificazione degli atti di polizia giudiziaria
Gli atti di polizia giudiziaria sono classificabili sotto vari profili. Abbiamo già accennato alla
distinzione tra atti d'iniziativa, atti delegati, autorizzati ed atti meramente esecutivi d'ordini
o provvedimenti dell'A.G.
Altra distinzione si suole fare fra atti che rientrano nell'attività informativa della polizia
giudiziaria (ricezione di notizie di reato e loro comunicazione al pubblico ministero) ed atti
che rientrano nell'attività d'indagine della polizia giudiziaria. Questi, a loro volta, si possono
ulteriormente distinguere fra atti di ricerca dei colpevoli e delle fonti di prova, ed atti
d'assicurazione sempre dei medesimi. Infine esistono atti, che non rientrano nell'attività di
indagine, ma che già abbiamo visto essere meramente esecutivi. Quest'attività può
concernere sia l'esecuzione di specifici atti (ad es., esecuzione di un provvedimento
d'accompagnamento coattivo emesso ai sensi dell'art. 133 c.p.p.) sia l'esecuzione di comandi od ordini in relazione ad atti non specificamente previsti dalla legge. Al proposito
l'art. 131 c.p.p. dispone che "il giudice, nell'esercizio delle sue funzioni, può chiedere
l'intervento della polizia giudiziaria e, se necessario, della forza pubblica, prescrivendo
tutto ciò che occorre per il sicuro e ordi-nato compimento degli atti ai quali procede".
Un'ulteriore distinzione degli atti di polizia giudiziaria può avvenire con riferimento al tipo di
documentazione richiesto per ciascuno di loro (annotazione, verbale in forma integrale,
verbale in forma riassuntiva, verbale in forma riassuntiva con riproduzione fonografica o
annotazione nei casi semplici). Altre possibili distinzioni tra i vari atti di polizia giudiziaria
saranno esaminate nei paragrafi che seguono.
Atti tipici ed atti atipici
Già abbiamo detto che l'attività, d'iniziativa o delegata (od autorizzata), degli organi di
polizia giudiziaria si manifesta e si estrinseca in vari atti, cioè in frammenti d'attività,
ciascuno dei quali ha una propria finalità e, collegandosi all'altro, come presupposto o
come conseguenza, s'inserisce nello sviluppo dell'indagine. Orbene, questi atti possono
assumere diverse configurazioni, ma ve ne sono alcuni che hanno una loro
rappresentazione tipica, cioè sono specificamente previsti dalla legge e da questa regolati,
sia per quel che riguarda presupposti e scopo, sia per quel che riguarda le modalità
d'esecuzione. Una prima fondamentale distinzione degli atti di polizia giudiziaria è, quindi,
quella tra atti "atipici" e atti "tipici". Questi ultimi, come detto, sono quelli previsti dalla
legge e da essa regolati. I primi, invece, anche se previsti, non trovano nel codice una
regolamentazione, che ne predisponga il contenuto secondo uno schema, un "tipo",
prefissato. La loro adozione è svincolata da particolari presupposti ed è rilasciata alla
discrezionalità operativa della polizia giudiziaria, secondo le esigenze della singola
indagine. Allo stesso tempo la loro esecuzione trova il solo limite del rispetto delle regole
della buona tecnica di polizia giudiziaria. Così, per fare un esempio, pedinamenti,
appostamenti, ricerche di persone e di dati sono atti che rientrano tra quelli che abbiamo
definito "atipici" in quanto non regolati da alcuna specifica norma di procedura. Arresto in
flagranza, fermo di persona indiziata di delitto, perquisizioni, assunzione di sommarie
informazioni dalla persona sottoposta alle indagini sono atti regolati, talora anche
minutamente, dalle norme di procedura sia nei presupposti e negli scopi sia nelle modalità
d'esecuzione e, pertanto, sono atti "tipici".
Nel vigente codice di procedura penale, per quanto concerne l'attività di polizia giudiziaria,
prevale il principio della "atipicità".
La tipicità riguarda gli atti che incidono sulla libertà personale (c.d. "atti di coercizione
personale") o che risultano attinenti alle garanzie difensive della persona sottoposta alle
indagini oppure che sono suscettibili d'utilizzazione nel giudizio (atti irripetibili).
Gli atti atipici trovano la loro "veste" nella documentazione per annotazione (art. 357,
comma 1, c.p.p.), che è la forma più diffusa. Essa, anche se schematizzata dai requisiti
posti dall'ari. 115 disp. att. in relazione al suo contenuto minimo, rispecchia, tuttavia,
l'informalità e la libertà di documentazione, corrispondente alla mancanza di dettagliata
regolamentazione della sostanza dell'atto. Il principio della "atipicità" degli atti consente,
nella fase delle indagini preliminari, l'applicazione delle tecniche investigative più recenti
ed innovative, anche di quelle sconosciute al momento della redazione del codice. Ciò
contribuisce in maniera determinante ad aumentare l'incisiva efficacia delle attività
d'investigazione, d'accertamento e repressione dei reati da parte della polizia giudiziaria.
Riassumendo, in tema di distinzione tra atti tipici e atti atipici, si vuole ulteriormente
precisare, su questa distinzione non espressamente contemplata dal codice, che è
principio incontestato che gli atti direttamente regolati non esauriscono le possibilità di
azione investigativa degli organi di polizia giudiziaria. Essa ha la piena facoltà di scelta
concreta delle modalità con cui procedere, potendo presentarsi la necessità di atti che non
rientrano nella tipologia di quelli che la legge espressamente disciplina. Atti atipici possono
giustificarsi sia con le specifiche contingenze operative che di volta in volta possono
presentarsi e che non avrebbe senso neppure in via esemplificativa enumerare (si pensi al
transennamento della zona in cui si verificato un sinistro, a divieti di accesso od intimazioni
funzionali all'espletamento di atti, di ascolto ecc.) sia in relazione alla continua evoluzione
delle conoscenze e delle tecniche di accertamento e di indagine.
Insegna al riguardo la Suprema Corte, sez. II, 27 marzo 2008 n. 16818: "la disciplina
processuale (articoli 55 e 348 codice di procedura penale) è orientata al principio
dell'atipicità degli atti di indagine della polizia giudiziaria, alla quale compete pertanto il
potere-dovere di compiere di propria iniziativa, finché non abbia ricevuto dal pubblico
ministero direttive di carattere generale o deleghe per singole attività investigative, tutte le
indagini che ritiene necessarie ai fini dell'accertamento del reato e dell'individuazione dei
colpevoli e quindi anche quegli atti ricognitivi che quest'ultima finalità sono diretti a
conseguire, quali l'individuazione di persone o di cose" (nella fattispecie, relativa a
riconoscimento fotografico, la Corte ne ha affermato la natura di prova atipica, non
riconduci-bile alla ricognizione di persona disciplinata dall'articolo 213 codice di procedura
penale). In senso conforme, Cass. sez. II, 27 giugno 2007 n. 35612.
Degli atti atipici non è quindi possibile fornire un elenco. Potranno comunque farsi rientrare
in questo gruppo alcune figure, che, non essendo rammentate tra le ipotesi tipiche di atti di
polizia, possono tuttavia essere ugualmente compiute per il principio della libertà di
investigazione e della autonomia nella ricerca degli elementi di prova. Si veda al riguardo
quanto più diffusamente si illustrò in sede di classificazione degli atti.
Viceversa per gli atti tipici è agevole individuare la collocazione codicistica
Essi formano oggetto, in particolare, delle disposizioni dall'articolo 349 all'articolo 354
codice di procedura penale inclusi, (identificazione della persona nei cui confronti vengono
svolte le indagini - articolo 349 -, sommarie informazioni della persona nei cui confronti
vengono svolte le indagini - articolo 350 -, altre sommarie informazioni - articolo 351 perquisizioni - articolo 352 - acquisizioni di plichi o di corrispondenza - articolo 353 -,
accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone. Sequestro - articolo 354).
La regola fondamentale che presidia l'intero corso di questa attività, è costituita
dall'articolo 348, norma per così dire servente rispetto al principio dell'articolo.
55, - funzioni della polizia giudiziaria - cui si richiama - che fissa gli obiettivi fondamentali
dell'attività dell'indagine di polizia; la legge utilizza l'espressione "assicurazione delle fonti
di prova".
Atti di coercizione, informativi e d'indagine
In relazione al contenuto degli atti d'iniziativa della polizia giudiziaria è possibile fare una
distinzione al loro interno fra atti di coercizione, atti informativi ed atti d'indagine.
Sono "atti di coercizione personale" quelli che esauriscono il loro scopo nella
sottoposizione di un soggetto ad un potere che si esplica nella sfera della persona fisica,
privandolo della libertà personale. Al proposito si suole dire che per effetto di questi atti si
acquisisce all'indagine, ed al processo che ne seguirà, la disponibilità della persona fisica
di colui che è oggetto dell'indagine.
Questi atti sono:
• l'arresto in flagranza (artt. 380, 381 c.p.p.);
• il fermo d'indiziato di delitto (art. 384, commi 2 e 3, c.p.p.);
• l'accompagnamento coattivo per accertamenti sull'identità personale (art. 349, comma 4,
c.p.p.).
Ad essi vanno anche aggiunti, pur non riguardando la fase delle indagini preliminari:
• il fermo d'imputato per trasgressione alle prescrizioni impostegli in occasione della
scarcerazione per decorrenza di termini (art. 307, comma 4, c.p.p.);
• l'arresto per fini estradizionali previsto dall'art. 716 c.p.p.
Nella categoria degli "atti informativi" rientrano quelli d'assunzione della notizia di reato,
vale a dire il ricevimento della denuncia, querela ed istanza di procedimento.
Con concetto residuale si considerano "atti d'indagine" tutti quelli, diversi dagli atti di
coercizione personale ed informativi, che possono essere compiuti nella fase delle indagini
preliminari. Essi, comunque, dal punto di vista del contenuto, costituiscono esercizio dei
poteri d'accertamento e d'investigazione spettanti alla polizia giudiziaria.
Costituiscono atti d'indagine:
I) gli atti di ricerca e assicurazione delle fonti di prova, in attuazione di quanto dispongono
gli artt. 55, comma 1, e 348 c.p.p., ed in particolare:
• gli atti d'identificazione (art. 349.i.2 c.p.p.);
• le sommarie informazioni rese dalla persona sottoposta alle indagini (art. 350, commi 1,
2, 3 e 4 c.p.p.);
• l'assunzione di notizie e indicazioni utili dalla persona sottoposta alle indagini, sul luogo
o nell'immediatezza del fatto (artt. 350, comma 5, c.p.p.);
• l'assunzione, sempre dalla persona sottoposta alle indagini, di dichiarazioni spontanee
(ari. 350. comma 7, c.p.p.);
• le altre sommarie informazioni di cui all'art. 351 c.p.p.. fra le quali rientrano anche quelle
particolari, perché assunte nel corso di perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza
del fatto ai sensi dell'ari. 357, comma 2 lett. e);
• gli atti d'individuazione (artt. 348, 361 c.p.p.);
• gli atti d'acquisizione e apertura immediata di plichi sigillati o altrimenti chiusi (art. 353.
commi 1 e 2, c.p.p.) e il "fermo" di corrispondenza (art. 353, comma 3, c.p.p.);
• gli atti descrittivi di fatti e situazioni richiamati dall'art. 357.2 lett. /) c.p.p.;
2) gli atti di ricerca e assicurazione della prova. Sono i c.d. atti irripetibili, compiuti nella
fase delle indagini preliminari, che, proprio perché irripetibili, sono utilizzabili poi, sia pure
in via d'eccezione, nella successiva fase del giudizio. Nonostante il codice di rito mai
definisca questi atti come atti d'acquisizione della prova, non v'è dubbio che tali essi sono,
poiché il loro risultato può legittimamente essere usato come prova nel giudizio. Sono atti
irripetibili:
• gli accertamenti urgenti sui luoghi, sulle cose e sulle persone di cui all'art. 354 c.p.p.;
• le perquisizioni (art. 352 c.p.p.);
• i sequestri (art. 354, comma 2, c.p.p.).
Altra distinzione che si può fare all'interno di questa categoria è quella fra atti di ricerca e
assicurazione di fonti di prova soggettiva e atti di ricerca e assicurazione di fonti di prova
(o assicurazione della prova) aggettiva, a seconda che il loro scopo consista nel ricercare
o assicurare una fonte di prova (o una prova) costituita:
• da dichiarazioni di soggetti (persona sottoposta alle indagini, parte offesa, persone
informate dei fatti)
ovvero
• da una cosa che deve essere materialmente acquisita ovvero da situazioni di luoghi,
condizioni di cose o comunque dati di fatto da rappresentare o riprodurre. Nel primo caso
(fonte di prova soggettiva) la circostanza oggetto della prova è sottoposta all'esame
dell'indagatore e del giudice tramite la mediazione delle sensazioni di un soggetto che l'ha
percepita e che la riferisce. Nel secondo caso (fonte di prova o prova oggettiva), invece,
l'indagatore e il Giudice si pongono in rapporto diretto con la cosa o la situazione oggetto
della prova, senza passare attraverso il filtro della percezione e del riferimento da parte di
altri soggetti. Si potrà, dunque, parlare di atti d'indagine soggettiva e di atti di indagine
oggettiva a seconda che scopo dell'atto sia quello di ricercare o assicurare una fonte di
prova soggettiva o una fonte di prova (o una prova) oggettiva.
Schema riassuntivo degli atti d'iniziativa della polizia giudiziaria
/) Atti di coercizione personale:
• arresto (obbligatorio e facoltativo) in flagranza (artt. 380 e 381 c.p.p.);
• fermo di indiziato di delitto (art. 384, commi 2 e 3, c.p.p.);
• accompagnamento coattivo (art. 394, comma 4, c.p.p.);
• fermo di imputato per trasgressione alle prescrizioni (art. 307, comma 4, c.p.p.);
• arresto per fini estradizionali (art. 716 c.p.p.);
• accompagnamento per identificazione (art. 349 c.p.p.);
• accompagnamento a seguito di flagranza nel processo con imputati minorenni (art. 18,
D.P.R. 22 settembre 1988, n. 488);
2) Atti di assunzione di notizie di reato:
• ricezione di denuncia;
• ricezione di querela;
• ricezione di referto;
• ricezione d'istanza di procedimento.
3) Atti d'indagine:
a) Atti di ricerca ed assicurazione delle fonti di prova
• atti di identificazione (art. 349.1.2.3 c.p.p.);
• sommarie informazioni dalla persona sottoposta alle indagini (art. 350.14 c.p.p.);
• assunzione di notizie o indicazioni utili dalla persona sottoposta alle indagini (art. 350.5
c.p.p.);
• assunzione di dichiarazioni spontanee dalla persona sottoposta alle indagini (art. 350.7
c.p.p.);
• altre sommarie informazioni (art. 351 c.p.p.);
• atti d'individuazione (artt. 348, 361 c.p.p.);
• atti d'acquisizione e d'apertura immediata di plichi o corrispondenza (art. 353.1.2 c.p.p.);
• atti descrittivi di fatti e situazioni (art. 357.2, lett. b), c.p.p.).
b) Atti di ricerca ed assicurazione della prova
• accertamenti urgenti (art. 354 c.p.p.);
• perquisizioni (art. 352 c.p.p.);
• sequestri (art. 354 c.p.p.).
Atti delegati ed atti meramente esecutivi di ordini o provvedimenti
Con riguardo al contenuto degli atti non di iniziativa della polizia giudiziaria riteniamo che
la classificazione debba essere fatta distinguendo in primo luogo gli atti delegati da quelli
meramente esecutivi di ordini o provvedimenti. I primi, come già si è visto, sono quelli che
hanno come loro presupposto un provvedimento dell'Autorità Giudiziaria competente che
conferisce (cioè "delega") alla polizia giudiziaria il potere di compiere un atto, che la stessa
A.G. ha il potere di eseguire direttamente. Tale delega può essere rilasciata nel corso
delle indagini preliminari o nelle fasi successive.
Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero può delegare alla polizia
giudiziaria atti d'indagine, e cioè:
a) atti di ricezione di notizie di reato;
b) atti di ricerca ed assicurazione delle fonti di prova; in particolare:
• accertamenti tecnici ripetibili (art. 359 c.p.p.);
• sommarie informazioni dalla persona offesa o da altre persone in grado di riferire su
circostanze utili ai fini delle indagini (art. 362 c.p.p.);
• atti d'individuazione di persone e di cose (art. 361 c.p.p.);
• interrogatori e confronti, cui partecipi, presente il difensore, la persona sottoposta alle
indagini, che si trovi in stato di libertà (art. 370, comma 1, c.p.p.);
e) atti di ricerca e assicurazione della prova e cioè
• atti d'ispezione di cose e luoghi. Riteniamo, tuttavia, siano da escludere le ispezioni
personali per il disposto dell'art. 245, comma 3;
• perquisizioni;
• sequestri;
• operazioni di intercettazioni di comunicazioni (art. 267, comma 4, c.p.p.);
d) ogni atto "atipico" d'indagine (v. art. 370 c.p.p.).
Nella fase del Giudizio può essere delegata dal giudice alla polizia giudiziaria
l'esecuzione di provvedimenti di
• ispezione (escluse le ispezioni personali);
• perquisizione (art. 247, comma 2, c.p.p.);
• sequestro (art. 253, comma 3, c.p.p.).
Sono esecutivi quegli atti che si esauriscono in una pura e semplice attività d'esecuzione
di ordini e provvedimenti dell'A.G., dalla stessa non eseguibili, e che spetta alla polizia
giudiziaria istituzionalmente compiere. Con riferimento alle varie fasi del procedimento
penale tali atti si distinguono nel modo seguente:
a) nella fase delle indagini preliminari, alla polizia giudiziaria può essere ordinata
l'esecuzione dei seguenti provvedimenti di coercizione personale
• fermo di indiziato di delitto ordinato dal pubblico ministero (art. 384, comma 1, c.p.p.);
• accompagnamento coattivo della persona sottoposta alle indagini o di altre persone
disposto dal pubblico ministero (artt. 375, 376, 377 c.p.p.) o dal g.i.p. (arti. 399 e 133
c.p.p.);
• ordinanze di custodia cautelare in carcere (art. 285 c.p.p.) o in luogo di cura (art. 286
c.p.p.) emesse dal g.i.p.;
• nella fase del giudizio, il giudice può ordinare alla polizia giudiziaria l'esecuzione di
provvedimenti di accompagnamento coattivo sia dell'imputato (art. 490 c.p.p.) che di altre
persone (art. 133 c.p.p.);
b) nella fase dell'esecuzione delle sentenze, la polizia giudiziaria dovrà curare l'esecuzione
degli ordini di carcerazione per espiazione di pene detentive emessi dal pubblico
ministero. Si veda comunque quanto dispone l'art. 656 c.p.p. nel testo vigente.
Questa classificazione riguarda essenzialmente i provvedimenti di coercizione personale.
Comunque la categoria dei provvedimenti che possono essere emessi dall’ A.G., e la cui
esecuzione spetta alla polizia giudiziaria, è molto più vasta e difficilmente rapportabile
nell'ambito di una rigorosa classificazione. Lo stesso codice di procedura penale si limita a
richiamare genericamente il dovere della polizia giudiziaria di svolgere "ogni attività
disposta dall'A.G." (art. 55.2 c.p.p.) e di eseguire i provvedimenti con i quali l'A.G.
prescrive "tutto ciò che occorre per il sicuro e ordinato compimento degli atti ai quali
procede" (artt. 131 e 378 c.p.p.) (-)• Stabilisce il codice di rito penale che la polizia
giudiziaria è, altresì, competente ad eseguire le notificazioni degli atti dell'A.G., che è
attività tipica dell'ufficiale giudiziario. L'art. 17, comma 1 della L. 31 luglio 2005 n. 155 ha
peraltro precisato che:
• se gli atti sono stati emessi dal giudice, di regola la notifica deve avvenire per mezzo
dell'ufficiale giudiziario. Tuttavia, nei procedimenti con detenuti, il giudice può disporre che
le notificazioni in caso di urgenza, siano eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui
i destinatari sono detenuti (art. 148, comma 1 e 2, c.p.p., modif. dall'ari. 9 D.L. 18 ottobre
2001, n. 374 e art. 17, comma 1, L. 31 luglio 2005, n. 155) C);
• se gii atti sono stati emessi dal pubblico ministero nel corso, dunque, delle indagini
preliminari, le notificazioni sono eseguite dall'ufficiale giudiziario, ovvero dalla polizia
giudiziaria nei soli casi di atti di indagini o provvedimenti che la stessa polizia giudiziaria è
delegata a compiere o è tenuta ad eseguire (art. 151, comma 1 c.p.p., modificato dall'art.
17, comma 2. della L. 31 luglio 2005, n. 155). L'art. 13 del decreto legislativo 274/2000. in
materia di processo davanti al giudice di pace, ha introdotto, come già ricordato, l'istituto
degli atti autorizzati disponendo che, ove richiesto e giustificato da esigenze investigative,
la polizia giudiziaria possa chiedere al pubblico ministero l'autorizzazione al compimento di
determinati atti che non possono essere eseguiti ad iniziativa della polizia giudiziaria. Il
pubblico ministero può autorizzarne il compimento ove non ritenga di intervenire
personalmente.
Distinzione degli atti secondo la loro utilizzabilità: piena, limitata,
condizionata. Inutilizzabilità
Una ulteriore classificazione degli atti di polizia giudiziaria trova origine nel vigente codice
di procedura penale, ed è quella basata sull'utilizzabilità (o meno) dell'atto nel giudizio.
Il concetto di utilizzabilità di un atto è di estrema importanza, sia perché è uno dei cardini
fondamentali del nuovo processo penale, sia perché, dal punto di vista dell'operatore
pratico, è indispensabile che, prima di accingersi al compimento di un determinato atto
d'indagine, egli abbia ben chiara la visione dell'efficacia che esso potrà avere nelle future
eventuali fasi.
Si suole parlare di utilizzabilità di un atto, compiuto nella fase delle indagini preliminari,
quando il suo contenuto, ovvero il risultato con esso conseguito, possano essere
legittimamente introdotti, come elemento di prova, nel processo. Dobbiamo a questo punto
sottolineare la netta separazione, che si è voluta operare nel nuovo rito penale, tra la fase
delle indagini preliminari e quella del giudizio, unica sede, quest'ultima, naturalmente
deputata, almeno di regola, alla formazione e raccolta della prova.
Tale principio trova la sua pratica realizzazione attraverso la regola della non utilizzabilità
nel giudizio degli atti di indagine preliminare. Questa regola, tuttavia, non è, e non può
essere, assoluta: già abbiamo parlato dell'utilizzabilità in giudizio degli atti di indagine
preliminare irripetibili.
La regola della "inutilizzabilità degli atti", grazie alle sue non poche eccezioni, più che
creare una barriera di impermeabilità assoluta tra la fase delle indagini preliminari e quella
del giudizio, si pone come stretto e rigoroso filtro attraverso il quale solo certi atti di
indagine preliminare, ed a certe condizioni, possono trasferire nel processo la loro
efficacia probatoria. A questi effetti, sulla base della normativa vigente, è possibile
distinguere tra utilizzabilità piena, utilizzabilità limitata, utilizzabilità condizionata, e, infine,
inutilizzabilità. La distinzione suddetta, però, trova applicazione solo nella fase del giudizio,
mentre nell'ambito della fase delle indagini preliminari ed ai fini dei provvedimenti con i
quali tale fase può concludersi, nonché per alcuni particolari tipi di procedimento (es.
applicazione della pena su richiesta, giudizio abbreviato), vige il principio opposto e cioè
dell'utilizzabilità piena degli atti di indagine, con la sola eccezione di quelli espressamente
dichiarati inutilizzabili da speciali disposizioni. Si vedano come esempi:
• l'art. 103, comma 7, e.p.p., che dichiara l'inutilizzabilità delle ispezioni, perquisizioni,
sequestri e intercettazioni di comunicazioni eseguiti in violazione delle garanzie di libertà
del difensore;
• l'art. 240 c.p.p., che dichiara l'inutilizzabilità dei documenti anonimi;
• l'art. 63 c.p.p., che sancisce l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da soggetto che
doveva essere sentito come persona sottoposta alle indagini (5);
• l'art. 271 c.p.p., per quanto concerne le intercettazioni illegittime di comunicazioni.
Tali norme fanno tutte riferimento a situazioni in cui le fonti di prova sono state acquisite
illegittimamente, cioè in violazione di divieti normativamente posti. L'inutilizzabilità dei
relativi atti è "rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento" (art. 191
c.p.p.), vale a dire anche nella fase delle indagini preliminari.
Con la limitazione ora detta, gli atti d'indagine preliminare sono, quindi, tutti pienamente
utilizzabili:
a) per la decisione del g.i.p. sulla richiesta di incidente probatorio (artt. 392 e segg. c.p.p.);
b) per la decisione del g.i.p. sulla richiesta di giudizio immediato (art. 455 c.p.p.);
e) per la decisione del g.i.p. sulla richiesta di archiviazione (artt. 408, 409, 411, 415 c.p.p.);
d) per le decisioni del g.i.p. a conclusione dell'udienza preliminare (artt. 421, comma 2,
425, 429 c.p.p.): sentenza di non luogo a procedere ovvero decreto che dispone il giudizio;
e) ai fini della definizione del processo nell'udienza preliminare con il rito abbreviato (artt.
438-442 c.p.p.);
f) ai fini dell'applicazione della pena su richiesta delle parti (artt. 444-448 c.p.p.);
g) nel procedimento per decreto (artt. 459-464 c.p.p.).
Gli atti di indagine preliminare compiuti dalla polizia giudiziaria, a seconda del loro grado di
utilizzabilità, si distinguono in
a) atti ad utilizzabilità piena. Essi, quindi, possono legittimamente essere introdotti come
prova in giudizio. In questa categoria rientrano gli atti irripetibili (v. artt. 431, lett. b) e 511,
comma 1, c.p.p.) e, quindi, tra gli atti d'iniziativa
• gli accertamenti urgenti di cui ali'art. 354.2 c.p.p.;
• le perquisizioni (art. 352 c.p.p.);
• i sequestri (art. 354.2 c.p.p.).
Tra gli atti delegati, sono da considerarsi irripetibili:
• quelli testé indicati, quando eseguiti su delega;
• le intercettazioni di comunicazioni o conversazioni (artt. 266-271);
• ogni altro atto che, pur non specificamente enunciato, sia in concreto non ripe-tibile;
b) atti ad utilizzabilità limitata. Taluni atti di indagine preliminare possono essere introdotti
nel giudizio solo a limitati effetti. Si pensi alle dichiarazioni rese in sede di indagini
preliminari da una persona informata sui fatti, contenute nel fascicolo del pubblico
ministero Questi, dopo aver assunto nel dibattimento le vesti di testimone, rende
dichiarazioni difformi a quelle fatte in precedenza ovvero rifiuta o comunque omette, in
tutto o in parte, di rispondere sulle circostanze riferite precedentemente. In questi casi le
dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari possono servire come mezzo di
contestazione nel dibattimento, dopo che il testimone abbia già reso le sue dichiarazioni
(art. 500, comma 1, come sostituito dall'art. 16, legge 1° marzo 2001, n. 63, sul giusto
processo). L'utilizza-bilità di questi atti è in primo luogo limitata agli effetti della
contestazione della difformità da quanto precedentemente dichiarato ed al fine di offrire al
giudice elementi per stabilire la credibilità del teste (art. 500, comma 2, c.p.p.).
Deve essere ben chiaro che le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili solo per consentire
al giudice di valutare la credibilità del soggetto che in dibattimento ha reso una diversa
versione o è rimasto silenzioso (c.d. utilizzabilità limitata); viceversa le precedenti
dichiarazioni non possono costituire prova del fatto narrato. In definitiva, la contestazione
serve per togliere valore alla dichiarazione dibattimentale, ma non è utile per formare la
prova dell'esistenza del fatto narrato. Ciò, comunque, non vuoi dire che il giudice debba
necessariamente ritenere inattendibile ciò che il dichiarante ha detto nell'udienza
dibattimentale, perché egli decide in base al suo libero convincimento.
L'art. 500 c.p.p. prevede, tuttavia, alcune eccezioni per cui, una volta operata la
contestazione, le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili come prova dei fatto narrato.
La prima eccezione si verifica quando si accerti che il teste è stato sottoposto a violenza,
minaccia, offerta o promessa di denaro affinchè non deponga o deponga il falso. In tal
caso "le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico ministero precedentemente rese
dal testimone sono acquisite nel fascicolo del dibattimento" nella loro interezza e possono
essere utlizzate ai fini del giudizio. Si tratta di una applicazione dell'art. Ili, comma 5, Cost.,
che consente una eccezione al principio del contraddittorio in caso di provata condotta
illecita (art. 500, comma 4, c.p.p.). Il giudice decide senza ritardo l'acquisizione delle
dichiarazioni rese, svolgendo gli accertamenti che ritiene necessari, su richiesta della
parte, che può fornire gli elementi concreti per ritenere che il testimone è stato sottoposto
a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità. Tali elementi possono
essere desunti anche dalle circostanze emerse nel dibattimento (art. 500, comma 5,
c.p.p.). Altra ipotesi di utilizzabilità è prevista dall'ari. 500, comma 6, c.p.p., secondo cui a
richiesta di parte, le dichiarazioni rese nell'udienza preliminare ed utilizzate per le
contestazioni dibattimentali sono acquisite al fascicolo del dibattimento e valutate ai fini
della prova nei confronti delle parti che hanno partecipato alla loro assunzione. Contro le
altre parti sono utilizzabili solo come prova della credibilità o in caso di accertata
intimidazione o subornazione.
La terza ipotesi di utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni è prevista dall'ari. 500,
comma 7, c.p.p., secondo cui le dichiarazioni contenute nel fascicolo del pubblico
ministero sono utilizzabili se vi è "accordo fra le parti". Trattasi dell'applicazione della
regola generale stabilita dall'alt. 493, comma 3 c.p.p., che introduce nel nostro sistema
processuale il principio della c.d. "acquisizione concordata" (o patteggiamento sugli atti) al
fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero.
Nelle tre ipotesi eccezionali, ora esaminate, l'utilizzabilità degli atti da limitata si trasforma
in condizionata (situazione di cui ci occuperemo di qui a poco), in quanto le dichiarazioni
possono essere utilizzate come prova, verificandosi la condizione che il teste sia stato
intimidito o subornato, ovvero nell'udienza preliminare le dichiarazioni testimoniali siano
state rese nel contraddittorio fra quelle parti nei confronti delle quali devono essere fatte
valere od, infine, si tratti di acquisizione concordata.
Sulle precedenti dichiarazioni rese dal! 'imputato di un procedimento connesso (art. 12,
lett. a), c.p.p.), una volta che questi sia chiamato a rendere l'esame di cui all'art. 210 c.p.p.
nel procedimento contro il coimputato, il comma quinto del citato articolo impone al giudice
di applicare le regole sulla contestazione probatoria valevoli per il testimone e più sopra
esaminate (art. 500 c.p.p.). Se il dichiarante rifiuta di rispondere o cambia versione rispetto
al passato, le precedenti dichiarazioni possono essere contestate a colui che le ha rese.
Se nonostante le contestazioni, questi insiste nella nuova versione dei fatti o nel rifiuto, le
precedenti dichiarazioni sono utilizzabili solo come prova sulla sua credibilità. Possono
costituire prova del fatto nelle ipotesi di cui ai commi da quattro a sette dell'ari. 500 c.p.p.
Con riferimento alle dichiarazioni rese in precedenza dalle parti private (imputato,
coimputato, parte civile, responsabile civile e persona civilmente obbligata per la pena
pecuniaria), l'art. 503. comma 3, c.p.p., in relazione al loro esame dibattimentale detta una
disciplina del tutto analoga a quella più sopra esaminata con riferimento al testimone. La
contestazione è ammessa se sussiste difformità fra dichiarazioni precedenti e
dibattimentali rese dalla stessa persona che viene esaminata. La lettura delle dichiarazioni
precedenti può essere effettuata soltanto dopo che il soggetto esaminato ha deposto sulle
circostanze da contestare. Le dichiarazioni precedenti sono utilizzabili per valutare la
credibilità del dichiarante (art. 503, comma 4, che richiama l'art. 500, comma 2, c.p.p.):
siamo dinanzi ad una ipotesi di utilizzabilità limitata.
Tuttavia regole ulteriori, relative alla utilizzabilità degli atti, valgono per le dichiarazioni rese
in sede di esame da parte dell'imputato e del coimputato (art. 503, comma 5 e 6. c.p.p.).
Trattasi dell'esame svolto ai sensi dell'ari. 208 c.p.p., che tendenzialmente ha per oggetto
"il fatto proprio". In tal caso vi sono due situazioni nelle quali le precedenti dichiarazioni,
una volta contestate, sono utilizzabili come prova del fatto rappresentato; con la
particolarità che, se sono contestate all'imputato A. esse sono utilizzabili anche nei
confronti del coimputato B, il cui difensore è presente in dibattimento e può effettuare il
controesame.
• L'art. 503, comma 5, considera le dichiarazioni alle quali il difensore dell'imputato aveva
diritto di assistere ed assunte dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria delegata.
Tali dichiarazioni, una volta "contestate" sono acquisite nel fascicolo per il dibattimento e,
di conseguenza, sono utilizzabili come prova del fatto narrato.
• L'art. 503, comma 6, estende l'effetto appena menzionato a determinate dichiarazioni
rilasciate dall'imputato prima del dibattimento e, partitamente, alle dichiarazioni assunte
dal giudice: a) nell'interrogatorio di garanzia che segue l'esecuzione di una misura
cautelare (art. 294); b) nell'interrogatorio in sede di revoca della misura cautelare
personale (art. 299); e) nell'interrogatorio reso in sede di convalida dell'arresto o del fermo
(art. 391); d) nell'interrogatorio intervenuto nel corso dell'udienza preliminare (art. 422).
Per concludere, si ritiene di avere chiaramente dimostrato come possono essere utilizzate
ai fini delle contestazioni nel dibattimento, i seguenti atti assunti dalla polizia giudiziaria
durante la fase delle indagini preliminari:
• le dichiarazioni rese dall'imputato, quando era ancora persona sottoposta alle indagini,
in sede di sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria a norma dell'ari. 350,
commi 1, 2, 3, 4 e 7, e.p.p. oppure su delega del pubblico ministero (artt. 362 e 370,
c.p.p.);
• le dichiarazioni rese da testimoni, quando erano ancora persone informate sui fatti, in
sede di sommarie informazioni assunte d'iniziativa dalla polizia giudiziaria (art. 351 c.p.p.)
oppure su delega del pubblico ministero (artt. 362 e 370
c.p.p.);
• le dichiarazioni rese da persone imputate nel medesimo procedimento od in procedimento connesso, quando erano ancora persone indagate, e venivano interrogate dalla
polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero (art. 370 c.p.p.);
• le dichiarazioni rese dalle altre parti private diverse dall'imputato.
e) atti ad utilizzabilità condizionata. Sono atti, compiuti nella fase delle indagini preliminari
dalla polizia giudiziaria, che diventano pienamente utilizzabili nel giudizio, qualora si
verifichino determinate condizioni. Rientrano in questa categoria:
• le dichiarazioni assunte dalla polizia giudiziaria, d'iniziativa o su delega del pubblico
ministero, nei confronti di persone informate sui fatti. Esse, come si è appena detto,
diventano pienamente utilizzabili nel giudizio, mediante acquisizione nel fascicolo per il
dibattimento, quando si verifica la condizione della loro utilizzazione per le contestazioni al
testimone nelle tre ipotesi eccezionali più sopra esaminate (teste intimidito o subornato,
dichiarazioni rese all'udienza preliminare ed usate per le contestazioni dibattimentali,
accordo fra le parti).
• le dichiarazioni dell'indagato alle quali il difensore aveva diritto di assistere, assunte
dalla polizia giudiziaria su delega e contenute nel fascicolo del pubblico ministero,
diventano utilizzabili mediante l'acquisizione nel fascicolo per il dibattimento, se sono state
usate per le contestazioni a nonna di quanto esposto sopra (art. 503, comma 5, c.p.p.);
• le stesse dichiarazioni di cui sopra rese dall'indagato alla polizia giudiziaria (sempre nel
corso d'atti delegati dal pubblico ministero) a condizione che l'imputato sia contumace o
assente ovvero si rifiuti di sottoporsi all'esame. In tali casi le dichiarazioni sono utilizzate
mediante lettura e a richiesta di parte. Tali dichiarazioni non possono essere utilizzate nei
confronti di altri senza il loro consenso salvo che ricorrano i presupposti di cui all'articolo
500. comma 4, c.p.p. (teste intimidito o subornato) (cfr. art. 513, comma 1, come integrato
dall'alt. 18, comma 1, lett. a) legge 1° marzo 2001, n. 63 sul giusto processo).
•
le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da persona coimputata nello stesso
procedimento o in un procedimento connesso (art. 210, comma 1 ) ovvero di un reato
collegato (art. 210, comma 6) nelle ipotesi ed alle condizioni più sopra esposte. Costoro
hanno l'obbligo di presentarsi in dibattimento e di sottoporsi all'esame, ma hanno la facoltà
di non rispondere e, se rispondono, non sono punibili per falsa testimonianza. Soltanto se
non è possibile ottenere la presenza del dichiarante" (anche mediante accompagnamento
coattivo, se del caso) ovvero procedere ad esame a domicilio, rogatoria internazionale od
esame a distanza, il giudice può leggere su richiesta di parte le precedenti dichiarazioni,
ma unicamente se la non ripetibilità dipende da fatti e circostanze imprevedibili al momento della dichiarazione (art. 513, comma 2, c.p.p.). Se la non ripetibilità era prevedibile,
i soggetti predetti avrebbero dovuto essere sentiti con incidente probatorio su richiesta di
parte (art. 392).
• ogni atto assunto dalla polizia giudiziaria nella fase delle indagini preliminari quando,
per fatti o circostanze imprevedibili ne è divenuta impossibile la ripetizione (irripetibilità
sopravvenuta). L'utilizzazione dell'atto, mediante lettura, non è però automatica, ma anche
in questo caso avviene a richiesta di parte (art. 512 c.p.p. modificato dal D.L. n. 306/1992
e relativa legge di conversione);
• le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria da cittadino straniero residente all'estero, a
condizione che lo straniero non sia stato citato oppure, anche citato, non sia comparso.
L'utilizzabilità è ulteriormente condizionata dalla richiesta di parte che il giudice può
accogliere "tenuto conto degli elementi acquisiti" (art. 512-bis, introdotto dal D.L. n.
306/1992 e relativa legge di conversione 7 agosto 1992, n. 356).
d) atti inutilizzabili. Salve le eccezioni già indicate, nel vigente sistema processuale penale
opera il principio della non utilizzabilità in giudizio degli atti compiuti dalla polizia giudiziaria
nella fase delle indagini preliminari. In particolare non sono utilizzabili le dichiarazioni rese
dall'indagato, dai soggetti indicati nell'articolo 210 e dalle persone informate sui fatti alla
polizia giudiziaria nel corso di qualsiasi atto di iniziativa o delegato delle indagini
preliminari. Del pari è vietata la lettura in giudizio dei verbali e degli altri atti di
documentazione della polizia giudiziaria (art. 514 e.p.p.). Tuttavia, l'ufficiale o l'agente di
polizia giudiziaria, esaminati come testimoni, possono, nel corso della deposizione e su
autorizzazione del Presidente, consultare tali atti, se da lui redatti, come aiuto della
memoria (arti. 514, comma 2 in relaz. 499, comma 5, c.p.p.). L'art. 195, comma 4, come
modificato dalla legge n. 63/2001 sul giusto processo, stabilisce che "gli ufficiali e gli agenti
di polizia giudiziaria non possono deporre sul contenuto" delle sommarie informazioni
assunte da testimoni ed imputati connessi, delle denunce, querele o istanze, delle
informazioni e delle dichiarazioni spontanee rese dall'indagato. La ratio che ha indotto il
legislatore a vietare la c.d. testimonianza indiretta della polizia consiste nella volontà di
evitare aggiramenti della regola in base alla quale le precedenti dichiarazioni di testimoni
sono utilizzabili soltanto ai fini delle contestazioni e per stabilirne la credibilità (art. 500,
comma 2). La testimonianza indiretta della polizia avrebbe potuto veicolare in dibattimento
(e rendere utilizzabile) l'intera deposizione resa dal possibile testimone fuori dalle regole
del contraddittorio.
Autorevole giurisprudenza (cass. pen. SS.UU., 28.5 - 24.9.2003 n. 36747 RV. 225469)
ritiene che il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria,
che il comma 4 dell'alt. 195 cod. proc. pen. stabilisce con riguardo al contenuto delle
dichiarazioni acquisite con le modalità di cui agli artt. 351 e 357, comma 2, lett. a) e b)
stesso codice, si riferisce tanto alle dichiarazioni che siano state ritualmente assunte e
documentate in applicazione di dette norme, quanto ai casi nei quali la polizia giudiziaria
non abbia provveduto alla redazione del relativo verbale, con ciò eludendo proprio le
modalità di acquisizione prescritte dalle norme medesime. A confermare tale orientamento
è intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza 29 luglio 2008, n. 305 con cui è stata
dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'alt. 195, comma 4, c.p.p. ove interpretato nel
senso che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria non possono essere chiamati a
deporre sul contenuto delle dichiarazioni dei testimoni soltanto se acquisite con le modalità
di cui agli articoli 351 e 357, comma 2, lettera a) e b) c.p.p. e non anche nel caso in cui,
pur ricorrendone le condizioni, tali modalità non siano state osservate. Gli "altri casi" cui si
riferisce l'ultima parte della disposizione, per i quali la prova è ammessa secondo le regole
generali sulla testimonianza indiretta, si identificano con le ipotesi in cui le dichiarazioni
siano state rese da terzi e percepite al di fuori di uno specifico contesto procedimenta-le di
acquisizione, in una situazione operativa eccezionale o di straordinaria urgenza e, quindi,
al di fuori di un dialogo tra teste e ufficiale o agente di polizia giudiziaria, ciascuno nella
propria qualità.
La norma in esame vieta la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria sulle
informazioni assunte di iniziativa (il richiamo infatti è all'art. 351 c.p.p.), niente dice su
quelle assunte su delega del pubblico ministero (e di cui agli artt. 362 co. 2 e 370 e.p.p.), il
che potrebbe farne ritenere l'ammissibilità. A conclusione di questo paragrafo riteniamo di
dover sottolineare, richiamandoci all'accenno fatto all'inizio di esso, la notevolissima
importanza pratica della distinzione degli atti di polizia giudiziaria secondo la loro
utilizzabilità. L'operatore di polizia giudiziaria, nell'accingersi ad un atto, soprattutto di
iniziativa, deve avere ben presenti quali possono essere le future possibilità di
utilizzazione di esso, e ciò allo scopo di decidere se procedere d'iniziativa all'assunzione di
esso oppure rimettere ogni valutazione al prudente apprezzamento del pubblico ministero,
che potrà procedere direttamente all'assunzione dell'atto oppure delegarne il compimento.
Il pubblico ministero, d'altra parte, potrebbe anche decidere sulla convenienza di un
eventuale incidente probatorio, ove ne sussistano i presupposti. Sempre con riferimento
ali'utilizzabilità dell'atto, gli appartenenti alla polizia giudiziaria dovranno scegliere la forma
di documentazione più opportuna, seguendo i seguenti criteri:
• annotazione per gli atti non utilizzabili;
• verbalizzazione in forma riassuntiva per le dichiarazioni eventualmente utilizzabili per le
contestazioni;
• verbalizzazione in forma integrale per gli atti irripetibili.