Prima Parte - testo in formato PDF - Federazione Italiana Esercizi
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Prima Parte - testo in formato PDF - Federazione Italiana Esercizi
1 Diocesi di Roma Formazione Permanente del Clero Vivere la nuova alleanza da Geremia a Gesù ESERCIZI SPIRITUALI del clero di Roma di Francesco Rossi De Gasperis PRIMA PARTE Gennaio 2007 2 VIVERE NELLA NUOVA ALLEANZA DA GEREMIA A GESU’ Esercizi spirituali del clero di Roma di P. Francesco Rossi De Gasperis Fraterna Domus 20-24 novembre 06 3 Prima meditazione E’ utile renderci conto di quanto questo termine “Esercizi Spirituali” sia stato saccheggiato nella Chiesa. Se io penso che, a volte, a Gerusalemme ho dato mesi di esercizi a una sola persona! Gli esercizi spirituali non sono semplicemente delle conferenze. Noi siamo dei ministri del Signore. Una cosa certamente molto difficile è spogliarsi delle preoccupazioni del ministero per pensare al ministro. La spiritualità propria del prete diocesano è quella di santificarsi personalmente attraverso il ministero e quindi di santificare la sua opera personale con la sua santità personale, ma di far servire anche la sua opera pastorale alla santificazione propria. Mi è capitato recentemente di incontrare un sacerdote che è un esempio di grande efficienza, di donazione totale alla sua parrocchia, che a un certo punto ha voluto parlare di sé e sono venute fuori delle cose su cui ancora ripenso con meraviglia. Come mai non erano mai venute fuori prima? Come mai il fatto di farsi prendere dal suo ministero gli ha fatto dimenticare in modo anche abbastanza serio la sua vita personale e i suoi contatti con gli altri, cancellati da questa dedizione e da questo generoso dono di sé che ha fatto e che continua a fare nel suo ministero? Ciò che mi ha impressionato è la cancellazione psicologica, come dire: c’era questo nella tua vita; non ci hai mai pensato? Gli esercizi spirituali dovrebbero essere del tutto spogli dalla preoccupazione del ministero per toccare l’io. Dove sto io nel discorso della fede che faccio agli altri. Vi consiglierei di tornare proprio all’origine, che se fossimo stati battezzati da adulti dovrebbe essere l’origine del nostro Battesimo, ma questa non è l’esperienza di molti di noi e dunque l’origine della vocazione, ma prima di entrare in seminario, prima di entrare in noviziato. Cioè riuscire a fare memoria di che cosa mi è successo. Nei confronti del mondo di oggi noi siamo delle persone strane, non siamo gente normale: ce lo fanno sentire in tutti i modi! Basterebbe pensare solo al fatto che noi non ci sposiamo! Se Gesù non fosse il Messia, non fosse l’ultimo, io non avrei nessuna ragione di vivere! Siamo molti nel mondo che vivono una vita e da secoli che hanno come ultima ragione esplicativa che Gesù è venuto e che noi aspettiamo che torni. Ci interessiamo di tutto quello che avviene, cerchiamo di lavorare per un mondo migliore, ma la cosa che ci tiene in piedi è l’attesa della venuta del Signore. Non l’avvento del Natale, ma l’avvento del Signore che venga. Questo è un fatto che non possiamo negare. C’è un’umanità che cammina nella storia, apparentemente come tutti gli altri e certamente diversa proprio per questo fatto che l’ultimo motivo della sua esistenza, che è anche il primo, è la fede nel Messia che è venuto. Vi consiglierei di tornare all’origine; non che cosa mi hanno insegnato in seminario, ma che cosa mi ha fatto uscire di casa per andare in seminario? Che cosa è successo a me personalmente? Mi può essere successo prima di entrare, mi può essere successo anche in seminario e allora: che cosa mi ha fatto restare in seminario? Penso che se 4 oggi siamo ancora qui a parlare di queste cose, ciascuno di voi ha dato la sua risposta alla scelta che il Signore ha fatto di lui. Insomma: che cosa mi è successo quando io sono diventato credente? Cristiani non si nasce! Che cosa è successo in me quando io ho incominciato a credere e mi sono compromesso con questa fede fino a giocarmi la mia vita? L’esercizio spirituale dovrebbe essere un miglioramento della rimessa in moto di ciò che muove me, la mia coscienza, come persona, come credente, non come sacerdote incaricato di altri, come pastore. Queste sono tutte cose che vengono dopo e che suppongono che prima sia successo qualche cosa nella mia coscienza. Ritornare al principio mio, non solo della mia creazione, perché quello non è dipeso da me; io non ho deciso di venire al mondo, ma io mi sono trovato messo al mondo. Ciascuno di noi è gettato nel mondo! Io non ho preso parte a questo fatto di esserci; nessuno mi ha consultato! Invece si tratta di essere credente e non; non è automatico e nemmeno è un’iniziativa mia, una scelta mia. La fede non è una scelta nostra. Chi è credente sa che risponde di una scelta fatta dal Signore a una chiamata e ci possono essere dei momenti un po’ come quando Gesù dice a Pietro o agli altri: Volete andarvene anche voi? Forse pensiamo: non sarebbe mica male andarsene, ma non è possibile! Tu solo hai parole di vita eterna. Oppure come diceva Tommaso Didimo, quando Gesù voleva andare a vedere Lazzaro perché era morto: Signore, volevano ucciderti adesso anche a te e ritorniamo là? E Gesù insiste nel voler andare; alla fine Tommaso dice: Beh, andiamo, moriamo anche noi con lui! Dove andiamo al di fuori di Gesù? Io non troverei proprio nessuna ragione di vivere. Ognuno lo può sentire nelle sue tonalità del momento, della storia, dell’età, ma dobbiamo ritornare a questa radice che è il dono che Dio ci ha fatto della fede e la risposta che ha trovato spazio in noi, perché in questo principio c’è una promessa, una prospettiva… ciascuno di noi se l’è fatta a sua immagine, un’immagine puerile, infantile, artificiale… la vocazione non è mai un’immagine che noi ci facciamo! La vocazione è una cosa che viene da Dio. E’ come il nome con cui il Signore ci chiama, ma che non è il nome che ci siamo dati noi, e tuttavia c’è una dinamica che ci porta dal nostro nome al nome che lui ci dà. C’è un progetto di vita che poi si è andato svolgendo e che oggi ci trova al nostro posto. Ma qualunque sia il punto a cui noi siamo arrivati, ci dobbiamo domandare: e io chi sono in questo posto, che cosa sono diventato? Io, come uomo, come credente, come persona, come io che precede tutte le ordinazioni sacerdotali, titoli che mi danno… io come essere davanti al Signore. Questo si può fare da soli, ma gli esercizi spirituali sono un’occasione per rimettere in evidenza questo. Ho scelto di proporvi una meditazione su “entrare nella nuova alleanza”, entrare e vivere nella nuova alleanza. Noi siamo sacerdoti secondo l’ordine di Melchisedek, ma soprattutto siamo sacerdoti di Gesù Cristo, sacerdoti della nuova alleanza, della seconda alleanza; questa alleanza non è un’altra alleanza o un secondo ordine di cose, è in continuità. Tanto in continuità che la lettera agli Ebrei si è preso il grattacapo di cercare di mostrare come dall’ordine di Aronne si arriva all’ordine di Melchisedek. Ha ripreso Melchisedek, 5 che è ancora più vecchio di Aronne. Viene pure prima di Abramo, perché a lui Abramo ha offerto le decime. In questa operazione tipica dell’autore della lettera agli Ebrei, lui ha trovato un modo di dire: guardate il sacerdozio di Gesù, non è sacerdozio di Levi, perché Gesù era della tribù di Giuda e non della tribù di Levi e quindi il culto del tempio ormai si è compiuto in un altro modo, però quello che ha fatto Gesù non è l’ultima cosa nuova che lui ha aggiunto. No! Addirittura lui ha ripreso Melchisedek che veniva prima. Questa è un’operazione tipicamente ebraica in cui non si rinuncia mai a dire che il nuovo era più antico di prima, che non c’è niente che venga di nuovo senza essere preparato e senza appartenere all’unica intenzione del disegno del Signore nella storia umana. La spiritualità ebraica è sempre protesa verso il futuro, correggendo il presente attraverso la speranza di qualche cosa di meglio, di più perfetto, di un avvento di qualche cosa che deve venire, ma sempre fondato nella memoria del passato, perché Dio è uno e il Dio di ieri non può essere altro che il Dio di domani, che è il Dio di oggi e quindi l’alleanza è una sola. L’alleanza è l’amore che Dio mostra verso il suo popolo e verso l’umanità, ma si sviluppa, si evolve in tanti momenti, per cui Paolo può anche dire che il popolo di Israele è il popolo cui appartengono le alleanze (Rm 9), ma queste alleanze non sono altro che tappe differenti della stessa alleanza. Però resta il fatto che Gesù è sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek e non secondo l’ordine di Aronne e noi siamo stati ordinati sacerdoti nel sacerdozio di Cristo; anzi, noi siamo sacerdoti per un sacramento dell’ordine, ma il sacramento è il segno di una realtà diversa, del sacerdozio di Cristo, perché il vero sacerdote è uno solo, è Gesù. E il sacerdozio di Gesù è il sacerdozio della nuova alleanza, di quest’ultima tappa dell’evoluzione dell’alleanza, che noi chiamiamo “nuova”, purché questo “nuova” non voglia dire un’altra, una seconda, ma quella di Levi portata al suo compimento in Gesù e allora mi è sembrato utile, forse proficuo applicarci un pochino a questa meditazione. Come è nata la nuova alleanza? Quali sono i connotati? Perché non solo il nostro sacerdozio è il sacerdozio della nuova alleanza, ma anche noi siamo gli apostoli della nuova alleanza. Naturalmente questo suppone una conoscenza della situazione storica in cui i profeti a un certo punto hanno parlato di alleanza nuova. Ci applicheremo a capire se l’inaugurazione della nuova alleanza avviene nel sacrificio di Cristo, se Geremia parla di una cosa che si deve realizzare sei secoli dopo o se invece il sacrificio di Cristo è il primo compimento, di cui noi aspettiamo il compimento finale con la seconda venuta del Signore, in modo da entrare già in questa alleanza dall’inizio, quando appunto Geremia ne parla e allora di riconoscere già in questo inizio quei connotati che Gesù porterà a compimento, di cui aspettiamo ancora il vero e definitivo compimento nell’avvento, che è l’atteggiamento fondamentale del cristiano che aspetta il mondo che deve venire e che però già è cominciato con una prima chiamata alla situazione escatologica, a cui in qualche modo noi pure partecipiamo con il nostro celibato. 6 Seconda meditazione I ministri del Signore durante gli esercizi spirituali devono dimenticare il ministero per ricordarsi del ministro. Provvedete a che non manchi nella vostra giornata una preghiera personale. Non si tratta solo di ascoltare delle conferenze, ma dopo quello che possiamo dire qui è necessario soprattutto la mattina prevedere un tempo per la preghiera personale. L’importante è che io preghi, riprendendo certe cose che si sono viste insieme, ma anche altre cose che il Signore può dettare a ciascuno e quindi un’atmosfera di silenzio, non per dovere, ma per interesse. Sfuggire alla chiacchiera che spesso nella vita ordinaria ci consuma dal mattino alla sera. Stando al tema che abbiamo scelto: siamo invitati a vivere nella nuova alleanza, siamo sacerdoti della nuova alleanza e apostoli della nuova alleanza verso il popolo di Dio. Cercare di capire di più che cos’è questa nuova alleanza e come si passa nella nuova alleanza. Per cui la prima questione potrebbe essere: nasciamo o siamo battezzati automaticamente nella nuova alleanza? La nuova alleanza è qualcosa di già bell’e fatto in cui entriamo o è una conversione progressiva del nostro essere e poi del nostro ministero? E allora vi invito a ripercorrere attraverso la Bibbia quando e come nasce la nuova alleanza e da che cosa nasce? Perché “nuova” vuol dire sempre qualcosa in relazione a qualcosa di precedente. Presumo che in un primo momento alcuni si trovino un po’ smarriti, perché vi propongo di pregare sulla storia biblica, sulla Parola di Dio nella Bibbia e nella storia e questo non è qualcosa a cui siamo normalmente abituati. La Parola di Dio per noi è una parola, molto meno una storia. E allora una prima questione che vi propongo: che cosa vogliamo dire quando dopo aver letto qualunque pagina della Bibbia, qualunque pagina che ci propone la liturgia… ad esempio dopo aver letto la pagina del peccato di Davide con Betsabea, cosa vogliamo dire quando diciamo: Parola di Dio? Come parla Dio? Come si deve capire questo “megafono” con cui Dio qualche volta parla? “Parola”, in ebraico si dice dabar, ma dabar non è prima di tutto parola, è fatto, cosa… Dio parla facendo, producendo storia nella storia degli uomini. Noi facciamo storia! Ciascuno di noi, in qualche modo, sta scrivendo una storia, con le sue azioni, intenzioni, parole, ma facendo fatti e Dio fa i suoi fatti nei nostri fatti. Solo lui è capace di fare i suoi fatti nei nostri… Qualunque cosa noi facciamo – questo è il mistero della libertà e della grazia – Dio trova il modo di fare la sua storia in ciò che noi facciamo. Fosse la grazia o fosse il peccato, Dio sa passare in mezzo ai nostri tornanti; un po’ come fa il Giordano, che viene giù dall’Ermon con delle cascate formidabili, violente, impressionanti e poi arriva al Mar Morto con la lingua di fuori, si potrebbe dire. Il tracciato del Giordano in linea d’area sarebbe di cento chilometri, in realtà sono trecento i chilometri della linea del fiume, perché passa attraverso infiniti tornanti, il fango, i sassi, la discesa del territorio ne rallenta la corsa, ma poi arriva alla fine, al Mar Morto. Un po’ così è la Parola di Dio! Forse i nostri fatti possono rallentare i 7 suoi, questo è possibile, perché il Signore accetta di farsi rallentare da noi, ma non di farsi arrestare: trova sempre il modo di passare. Quindi, quando diciamo “Parola di Dio” non pensiamo subito al suono della voce, pensiamo a ciò che avviene nella storia. Il segretario di Giovanni XXIII raccontava che quando il Papa andò a S. Paolo fuori le Mura e lì indisse il Concilio Vaticano II, poi, ritornando a casa, domandò al segretario: e adesso che cosa facciamo? Certamente lui non immaginava che cosa sarebbe venuto fuori dal Concilio Vaticano II! Lui pensava ad un aggiornamento e il Signore è passato dentro questo, non al di fuori. Il Signore fa storia dentro la storia degli uomini. Così ho pensato: Papa Ratzinger ha parlato a Ratisbona e ha suscitato un pandemonio nel mondo islamico. Leggendo la sua lezione come lezione accademica è una cosa perfetta, ma è un po’ strano che il Papa, a un certo punto, diventi un professore in cattedra; ma sono sicuro che il Signore si è servito di questo forse per suscitare un pandemonio che il Papa stesso non prevedeva. Ma certo quella lettera che gli hanno scritto dopo 38 teologi islamici è una lettera che pone dei problemi molto seri sia agli islamici sia ai cristiani e in un modo o in altro anche il Papa dovrà cercare di formulare delle risposte a tutte quelle questioni che sono abbondanti e ben documentate. Può darsi che attraverso questo il Signore faccia passare una sua parola che tocchi a noi e che tocchi loro. Quello che è importante è questo: che il Signore parla facendo storia, facendoci fare la sua storia senza saperlo. Una volta che certi fatti si sono prodotti, poi bisogna capire che cosa vogliono dire, bisogna interpretare questi fatti. Il giorno della prima pentecoste gli apostoli parlavano e la gente, pur provenendo da lingue differenti capivano quello che dicevano, questo è un fatto di cui immediatamente si cercavano delle interpretazioni. La prima interpretazione che poteva venire fuori: questi sono ubriachi! E allora Pietro: sì, noi siamo ubriachi, non di vino, ma di Spirito santo! Ecco: allora viene una parola esplicitata, una parola formulata, un discorso che vuole interpretare il fatto già avvenuto. Il fatto precede la parola detta e questa è la Bibbia. La Bibbia non è un libro di storia, ma è storia interpretata dal profeta, dall’agiografo, per conto di Dio. Questa formulazione può avvenire in tanti modi. Tutto passa attraverso la coscienza del popolo d’Israele che racconta questa storia. Un po’ come quando ciascuno di noi può dire: quel giorno il Signore mi ha chiamato al sacerdozio! Sono io che mi rendo conto di qualche cosa che mi è successo e che io interpreto finalmente come chiamata. C’è sempre l’interpretazione umana e questa interpretazione conosce diverse formulazioni. Si può dire: Dio disse…, c’è il sogno di Giuseppe, ci sono le teofanie del Sinai, ci sono i diversi modi espressivi secondo la letteratura, secondo la storia, secondo il genere letterario, secondo il tempo… ma quello che è certo: c’è un fatto di cui il Signore in qualche modo attraverso l’autore umano della Bibbia me ne dà il senso. Venendo a noi: qual è il fatto da cui comincia la nuova alleanza? E sembra chiaro che questo fatto sia la persona, la vita e la morte del re Giosia. Forse non abbiamo mai pensato di pregare sul re Giosia, invece è un personaggio fondamentale della storia della Bibbia. Per renderci conto di questa coscienza che il popolo ha di questa storia sono importanti soprattutto alcuni libri che sono libri di meditazione riflessiva su 8 questa storia. Prendiamo il Siracide al cap. 49. C’è una rilettura del popolo d’Israele dal punto di vista spirituale (dal cap. 44). E lui dice al cap. 49,44 ss.: “Se si eccettuano Davide, Ezechia e Giosia, tutti commisero peccati, poiché avevano abbandonato la legge dell’Altissimo, i re di Giuda scomparvero. Lasciarono infatti la loro potenza ad altri, la loro gloria a una nazione straniera. I nemici incendiarono l’eletta città del santuario, resero deserte le sue strade, secondo la parola di Geremia, che essi maltrattarono benché fosse stato consacrato profeta nel seno materno, per estirpare, distruggere e mandare in rovina, ma anche per costruire e piantare”. E’ Geremia il primo che parla della nuova alleanza. La nuova alleanza nasce proprio da questo fatto: da una distruzione totale, da cui nascono delle piante nuove, cioè da un evento pasquale di morte e risurrezione. Giosia è uno dei pochissimi re santi d’Israele che segna un po’ il tornante tra la distruzione della monarchia. Con Giosia e i suoi figli finisce la monarchia di Giuda e viene il tempo dell’esilio babilonese. Ciò rappresenta uno sfacelo totale, non solo da un punto di vista nazionale, politico, ma dal punto di vista teologico e religioso, perché questo vuol dire che è finita la dinastia davidica e la dinastia davidica si reggeva sulla promessa di Dio fatta a Davide. La crisi più grave della storia d’Israele è questa fine della promessa di Dio davanti a cui il popolo è rimasto sbalordito, il momento in cui perde la sua terra, l’indipendenza, ma soprattutto perde la fiducia, la fede in Dio che ha promesso che sul trono di Davide regnerebbe sempre un suo discendente e il trono di Davide non c’è più. Guardate cosa dice nei versetti precedenti su Giosia: “Il ricordo di Giosia è una mistura di incenso, preparata dall’arte del profumiere. In ogni bocca è dolce come il miele, come musica in un banchetto. Egli si dedicò alla riforma del popolo e sradicò i segni abominevoli dell’empietà. Diresse il suo cuore verso il Signore, in un’epoca di iniqui riaffermò la pietà” (Sir 49,1-3). Ci aveva detto: anche Davide è uno dei re nominati, ma anche lui ha peccato; di Giosia invece non viene raccontato nessun peccato. Giosia è veramente il re santo. Quando Geremia parlerà al figlio di Giosia (i figli di Giosia non assomigliano per niente al padre, infatti conducono il popolo alla sventura, alla distruzione del tempio di Gerusalemme e di tutto), quando Geremia parlerà contro Ioiakim (Ger 22) e accusa questo re di approfittare del fatto che il re per farsi potente, per costruirsi i palazzi reali, per farsi le case sempre più belle e più grandi, dice: “Forse tu agisci da re perché ostenti passione per il cedro? Forse tuo padre (Giosia) non mangiava e bevevo? Anche tuo padre viveva bene! Ma egli praticava il diritto e la giustizia e tutto andava bene. Egli tutelava la causa del povero e del misero e tutto andava bene;questo non significa infatti conoscermi? (Ger 22, 15-16). Cioè, tuo padre mi conosceva, dice il Signore. Era ricco, era potente, era il re, però difendeva la giustizia e il diritto, tutelava la causa del povero e del misero, tutto andava bene e questo vuol dire “conoscere il Signore”. Conoscere il Signore vuol dire essere in comunione con lui. Quindi Giosia è il re santo, uno dei pochissimi, e 9 soprattutto uno degli ultimi. Che nella coscienza del popolo d’Israele lui rappresenti un punto cruciale l’abbiamo da una bella storia che si riporta all’inizio della monarchia. Dopo la morte di Salomone i due regni si separano e comincia il regno del nord con Geroboamo, al quale il Signore sembra dare un appoggio. In che senso? E’ anche giusto che i due regni si separino, perché uno è del nord e uno del sud; ci sono culture e tradizioni diverse. Il Signore approva la divisione dei due regni, lo scisma politico e addirittura dice a Geroboamo: Io sarò con te come sono stato con Davide! Questo è molto importante per renderci conto come la cultura poi incide sulla fede, ma quando poi questo scisma diventa scisma religioso, perché Geroboamo per non far andare i pellegrini a Gerusalemme costruisce i suoi templi con due vitelli d’oro a Dan e a Betel. Allora il Signore dice: questo no! Questo è uno scisma spirituale; non è più un fatto solo culturale! E sapete come questo è il peccato di Geroboamo che viene ripetuto per tutti i regni del nord (Samaria e Israele). Questo è il peccato di Geroboamo, di aver diviso il popolo religiosamente. Un’immagine di quello che poi è successo nelle storie delle chiese. Noi ancora a Gerusalemme non possiamo recitare il Padre nostro con i greci ortodossi! Spesso la cultura coinvolge in certo qual modo anche la fede e il culto. Ma allora subito nel cap. 13 del primo libro dei Re abbiamo una storia quanto mai simpatica. “Un uomo di Dio, per comando del Signore, si portò da Giuda a Betel (dove appunto Geroboamo voleva costruire il suo tempio) e si presenta all’altare del re, l’altare scismatico, Altare, altare, così dice il Signore: Ecco nascerà un figlio nella casa di Davide, chiamato Giosia, (qui siamo quattro secoli prima che nasca questo figlio) il quale immolerà su di te i sacerdoti delle alture che hanno offerto incenso su di te, e brucerà su di te ossa umane”(1Re 13, 1-2). Cioè, verrà un re che si chiama Giosia, che distruggerà il culto scismatico di Betel. Ci sono due profeti in questo capitolo che alla fine, uno viene divorato dal leone e dall’asino, in modo che il leone e l’asino è più sacro anche dei profeti. Ma questo per mostrarvi come la Bibbia conserva la coscienza che su quest’uomo Giosia si è giocato un capitolo fondamentale della storia del popolo di Dio. Infatti quest’uomo che tra l’altro è il figlio di Amon, che è il figlio di Manasse, che è il figlio di Ezechia. Immediatamente discende da un padre e da un nonno che sono i re più empi di Gerusalemme. Hanno fatto entrare il culto assiro nel tempio del Signore e quindi hanno contaminato tutto e Manasse è stato re per 52 anni, quindi ha avuto tempo di contaminare completamente, tanto che il peccato di Manasse è quello che provocherà la fine del regno di Gerusalemme. Però è il pronipote di Ezechia che è l’altro re santo, che ha cominciato la riforma religiosa ed è il re della profezia di Isaia, della vergine, dell’Emmanuele che concepisce. Questi sono i re per bene della grande dinastia sia di Davide sia di Geroboamo, in cui si fatica molto a trovare chi sia stato fedele alla legge del Signore. Giosia diventa re a otto anni, un bambino, educato bene dai tutori, dalla madre, siamo nel 640 a. C. e regna per 31 anni. Fa riparare il tempio devastato dal nonno Manasse, fa purificare gli altari, fa distruggere l’altare di Betel, ristabilisce l’osservanza del sabato, la celebrazione della Pasqua, fa celebrare la Pasqua molto solennemente, riconquista una parte del paese che era invasa dagli Assiri, perché gli Assiri stanno tramontando; sorgono invece i Babilonesi e quindi lui approfitta di questa situazione per riconquistare una parte del regno del nord; infatti 10 morirà a Meghiddo che appartiene alla Galilea. Quindi vuol dire che il re di Gerusalemme ha riconquistato una buona parte della Samaria e della Galilea, fa distruggere tutti gli idoletti che sono stati poi trovati a Gerusalemme negli scavi della città di Davide. Sono stati trovati molti idoli della fecondità che fanno parte della riforma di Giosia. Fa una grande riforma religiosa. Facendo questi lavori nel tempio di Gerusalemme si scopre un libro, il libro della legge, che poi sarà una buona parte del Deuteronomio. Il re se lo fa leggere e piange, quando sente che cosa si sarebbe dovuto fare e invece non si è fatto, che cosa il Signore desidera che sia il suo popolo e invece è stato dimenticato, fa consultare la profetessa Culda, che dirà: il peccato di Manasse è talmente grave che tu morirai nella pace e ti unirai ai tuoi avi, ma il regno finirà, perché è impossibile rimettere in piedi un popolo così. E’ il re ideale che viene a restituire a Gerusalemme il suo splendore religioso: questi sono i fatti di Giosia. Però, che cosa succede? Succede che l’impero assiro sta tramontando e allora il faraone d’Egitto Necao II vuole approfittare di questo per affermare il suo potere specialmente sulla via maris, dove gli Egiziani hanno sempre avuto un grande dominio perché è la via che mette in comunicazione l’Egitto con l’Oriente, con l’India, con Babilonia. E quindi ufficialmente vuole dare aiuto agli Assiri contro i Babilonesi, non tanto perché gli interessano gli Assiri, ma gli interessa di mettere le mani su questa parte del paese in modo ancora più forte di come non ce l’abbia e con un forte esercito sale dall’Egitto lungo il mare, lungo la costa filistea, Gaza, e poi per andare verso il luogo dove gli Assiri stanno difendendosi dai Babilonesi, deve passare per la Galilea. E dice a Giosia: io devo passare di là, sboccare nella valle di Esdrelon per andare verso il nord; non ho niente contro di te, ti chiedo solo il permesso di farmi passare con il mio esercito! Giosia capisce subito che se si mette con il faraone, se lo fa passare, evidentemente si mette contro i Babilonesi e siccome i Babilonesi stanno venendo in primo piano nella politica mediorientale insieme ai Medi, Giosia nega al faraone il permesso di passare. Il faraone risale la strada che va da Cesarea verso la Galilea, verso Nazareth e sfocia nella valle di Esdrelon, proprio dove c’è la fortezza di Meghiddo. Anche oggi è uno degli scavi più importanti e più interessanti. C’è una prima battaglia e Giosia viene ucciso subito da una freccia egiziana. Siamo nel 609 a. C. Mediante il suo carro viene portato a Gerusalemme e là muore. Il faraone passa, quattro anni dopo, viene sconfitto terribilmente dai Babilonesi, insieme agli Assiri e quindi viene su il potere di Nabucodonosor, che poi sarà il re dell’esilio e della distruzione di Gerusalemme. Perché i figli di Giosia non sono così santi e intelligenti come il padre, ma si fanno corrompere dal partito pro-egiziano, i quali dicono: dobbiamo contare sull’Egitto contro i Babilonesi.. loro non sanno decidersi a prendere decisione e l’unico profeta che allora parla è Geremia. Geremia era un amico di Giosia, che è stato tutore dei suoi figli, amico della regina madre vedova, amico ascoltato da questi re, ma non seguito nei suoi consigli, chiamato di notte per farsi dire che cosa il Signore veramente ci dice, ma poi nessuno ha dato retta a Geremia. E Geremia è l’unico profeta che dice il vero, un vero che è piuttosto pesante, perché lui dice: arrendetevi ai Babilonesi e salverete la città, il regno, il tempio, la dinastia davidica. Vi ricordate che Isaia un secolo e mezzo prima aveva detto invece agli Assiri il contrario. Si può essere profeta di Dio dicendo una cosa e si 11 può essere profeta di Dio dicendone un’altra dopo un secolo e mezzo, perché Dio parla attraverso i fatti della storia, non attraverso le tesi astratte. Questa morte di Giosia è raccontata due volte: nel 2Re, alla fine del cap. 23, mentre nel 2Cr è raccontato alla fine del cap. 35. “Gli arcieri tirarono sul re Giosia. Il re diede ordine ai suoi ufficiali:”Portatemi via, perché sono ferito gravemente”. I suoi ufficiali lo tolsero dal suo carro, lo misero in un altro carro e lo riportarono in Gerusalemme, ove morì. Fu sepolto nel sepolcro dei suoi padri. Tutti quelli di Giuda e di Gerusalemme fecero lutto per Giosia Geremia compose un lamento su Giosia;tutti i cantori e le cantanti lo ripetono ancora nei lamenti su Giosia; è diventata una tradizione in Israele (2Cr 35, 23-26). Giosia è morto a Meghiddo, a pochi chilometri da Nazaret. Io mi sono sempre domandato se questo fa parte delle canzoni di Israele, se Gesù ha conosciuto questo canto… Non lo so, ma certamente da Nazaret si vede bene Meghiddo e da Nazareth Gesù ha visto bene tutta la pianura di Esdrelon e Maria e Giuseppe gli hanno raccontato la storia di Israele, la pianura dove anche Saul è stato trafitto dai Filistei, la pianura di Gedeone, la pianura dove si è svolta mezza storia di Israele, dove è scorso tanto sangue. Quella morte di Giosia è stata una tragedia teologica, perché fino allora la teologia dominante del popolo era: se le cose ti vanno bene, tu sei santo, tu sei buono; se le cose ti vanno male, vuol dire che tu sei un peccatore! Sono i discorsi che poi faranno gli amici di Giobbe, proprio riprendendo queste tematiche a livello di interpretazione sapienziale. Ma qui c’è un fatto: il re più santo di Gerusalemme, quello che ha ristabilito il culto, ha purificato il tempio, ha combattuto l’idolatria, questo viene ucciso in battaglia abbandonato dal Signore! Quando questo problema si è ampliato fino al 598, i successori di Giosia, i suoi figli e anche il suo fratello fanno una politica insipiente, tanto che allora Gerusalemme viene distrutta e il tempio viene incendiato e Geremia, l’unico profeta è respinto da tutti. Allora lì succede un evento teologale molto importante: ma il Signore sta con i giusti o sta con i peccatori? Come può permettere il Signore una cosa simile? Una volta che finalmente è venuto un re giusto, santo, intelligente, che regna 31 anni e poi un giorno tutto è travolto, tanto che tutto il popolo si trova travolto nell’esilio babilonese!? Questo è il fatto, il fatto è la catastrofe, segnata da un’apparente infedeltà del Signore al patto fatto con Davide. Lì il Signore ha detto: un tuo discendente regnerà sempre sul tuo trono (2Sam 7) e adesso non c’è più né trono, né discendente. L’ultimo re davidico muore in esilio in Babilonia, l’altro che era l’ultimo, Sedecia, quello che resta, addirittura gli vengono uccisi i due figli davanti agli occhi e poi subito dopo Nabucodonosor lo fa accecare, in modo che gli resti questo colpo della uccisione dei figli. Il popolo si trova buttato fuori dal paese, perde l’indipendenza nazionale; da allora il regno di Giuda è finito, non c’è più stato un discendente di Davide sul trono. Al tempo di Gesù c’era Erode, ma Erode non era della casa di Davide; non era nemmeno un giudeo, perché era un idumeo. Quindi il regno di Israele è finito. La monarchia che è durata 4 secoli… la monarchia di Davide, i salmi dell’ascensione, tutto quello che cantiamo: il regno, il regno… dove sta più? In questa situazione Geremia che è quello che continuamente 12 ha detto: guardate, accogliete i Babilonesi, arrendetevi… non è stato seguito da nessuno; tutto il popolo lo ha abbandonato… Quando la catastrofe viene, Geremia esce da Gerusalemme, e va a ricevere un campo in eredità da suo cugino, perché è il parente più prossimo. Cioè Geremia compra un campo… Chi è che compra un campo quando il mondo sta finendo? Questa è la fine del mondo per il regno di Giuda! Dal fondo di questa catastrofe, ecco la profezia di Geremia: “Ecco verranno giorni – dice il Signore – nei quali renderò feconda la casa di Israele e la casa di Giuda (addirittura con la casa di Israele, cioè con il regno del nord che è già morto e sepolto da un secolo e mezzo!) io concluderò un’alleanza nuova. L’unico versetto della Bibbia dove si parla di alleanza nuova. Non come l’alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, un’alleanza che essi hanno violato benché fossi il loro Signore. Parola del Signore. Questa sarà l’alleanza che io concluderò con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: Riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato” (Ger, 31, 31-34). Questo è il momento più pasquale della storia dell’A.T. Come ha fatto quest’uomo, che ha portato lui stesso il segno di questa catastrofe? Il profeta non è soltanto quello che ripete le parole del Signore, ma è quello che le vive nella sua carne. A Osea il Signore ha detto: Va’ e spòsati una prostituta! Perché così si vedrà come il popolo riceve me! Isaia è andato girando nudo per tre anni per mostrare come il Signore ridurrà i regni dei Filistei. E Geremia ha vissuto la catastrofe di Giosia nella sua carne, perché essendo il vero profeta nessuno gli ha dato retta. E’ stato addirittura rigettato, minacciato di morte, gliene hanno fatto di tutti i colori proprio perché era pessimista. Egli invece diceva la verità! Proprio lui, un uomo certamente fragile, perché non era come Isaia; già da ragazzo vive da appartato, da solitario. Geremia è un uomo molto introflesso, ripiegato su se stesso, un po’ come Paolo: tutti e due infatti vengono dalla tribù di Beniamino, una tribù forte ma segnata da grandi tragedie. E proprio da lui spunta questa nuova pianta, che è l’alleanza nuova. Questo è un fatto documentato. L’alleanza nuova non è il N.T. Nel N.T. ci sarà un compimento dell’alleanza nuova, ma qui si parla dell’A.T. e si parla del tempo di Geremia e il profeta non è un indovino, che dice ciò che avverrà tra sei secoli, ma quello che succederà in questa generazione. Comincia una nuova conoscenza del Signore e quindi comincia un nuovo culto; comincia un nuovo modo di rapportarsi al Signore, un nuovo modo con cui “Dio è il vostro Dio e voi siete il mio popolo” e la formula è la stessa: “Allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo”. E’ la formula classica dell’alleanza, ma questo avviene in un modo completamente nuovo e diverso da come era avvenuto fino a quel momento. Allora c’era il tempio, c’era il regno, c’era il re, c’erano gli eserciti, i nemici erano sempre sconfitti e questo era segno che il nostro Dio è con noi, adesso invece sono i Babilonesi che ci hanno vinto, che 13 questo sia il segno che il loro Dio sia il vero Dio più del nostro? In questa situazione Geremia scopre, vede l’alleanza nuova. Dobbiamo vedere bene cos’è questa alleanza nuova, come si vive, come ci si aggiorna in questa nuova conoscenza del Signore, perché noi siamo sacerdoti della nuova alleanza. La nostra chiesa è la chiesa della nuova alleanza. Dobbiamo essere consapevoli di questo, consapevoli che in questa nuova alleanza non si vive più alla vecchia maniera della prima, ma si vive in modo nuovo. In che cosa consiste questa novità? Chiediamo al Signore che ce ne dia una qualche intelligenza per trovarci bene nei nostri vestiti, in quello che il Signore ci fa vivere, per riconoscerci nella sua volontà su di noi, per non sbagliare stile. Terza meditazione Dobbiamo renderci conto di come è nata questa nuova alleanza, di cui noi siamo i sacerdoti. Noi celebriamo il sacrificio della nuova alleanza, noi siamo stati iniziati e iniziamo il popolo di Dio alla nuova alleanza. La chiesa è la chiesa della nuova alleanza e questa nuova alleanza è l’ultima edizione dell’alleanza di Dio con il suo popolo e con l’umanità, che è cominciata con Abramo; è diventata fatto popolare al Sinai e con Gesù è giunta a un suo primo compimento, di cui aspettiamo ancora la consumazione al termine dell’avvento della nostra vita, della vita del mondo, non soltanto la vita spirituale. Aspettiamo la venuta del regno! E’ importante renderci conto perché la chiesa è nata dal tempo della nuova alleanza, quando la nuova alleanza è cominciata nella storia del popolo di Dio. Tutto questo è avvenuto verso l’inizio del secolo VI a. C. per l’opera e il genio profetico, ma non è soltanto un genio umano, è una grazia di Dio e dello Spirito santo, attraverso il profeta Geremia che è il profeta della nuova alleanza, perché è il primo che ne ha parlato in modo molto chiaro. Ne ha parlato in un momento di declino totale della prima alleanza, in un momento di disastro totale, perché è il momento dell’esilio babilonese, della fine di un mondo. La nuova alleanza nasce dall’esperienza della fine del mondo, come la risurrezione di un mondo nuovo, in cui continua la fedeltà del medesimo Dio con il suo popolo. Certo, da un punto di vista umano sarebbe interessante studiare com’è stato possibile che Geremia abbia intravisto qualcosa di simile, lui che come psicologia era portato piuttosto allo scoraggiamento, alla introspezione, alla nostalgia, lui che non aveva la solidità psicologica di un Isaia, che dice: Chi manderà il Signore? Manda me, risponde! Geremia dice: tu, Signore, mi hai sedotto, mi hai compromesso di fronte a tutti gli altri; lui che è stato rigettato da tutti, proprio come il profeta inutile da far sparire, perché è un pessimista, un disfattista, un collaboratore con i Babilonesi, che sono nemici, dunque una figura da mettere alla gogna, infatti così è stato trattato e proprio di là invece viene la voce della speranza e della risurrezione. Un profeta totalmente pasquale, un profeta che più da vicino annuncia Gesù. Il colpo di fulmine iniziale è stata la morte di Giosia a Meghiddo. Cioè la 14 morte del giusto, che non è poi soltanto un fatto individuale, ma è un fatto di tutto il suo popolo. Il re da Davide in poi era lo sposo del popolo e quindi questa tragedia per cui il re santo muore trafitto, abbandonato apparentemente da Dio è stato un colpo da cui è nata tutta un’evoluzione teologica e spirituale, di cui noi siamo ancora oggi gli eredi. Certamente non si ferma tutto alla morte di Giosia, ma dopo la morte di Giosia i suoi figli sono degeneri e conducono rapidamente, in dieci anni, Gerusalemme alla rovina. La prima deportazione del popolo a Babilonia con il suo re, senza che ci sia stata ancora la distruzione della città che avviene nel 598, cioè 10 anni dopo la morte di Giosia e la distruzione finale di Gerusalemme sempre sotto un re che era il figlio di Giosia, avviene nel 587, cioè 20 anni dopo. Nel frattempo c’è questa misteriosa sorte di Geremia che continua a dire quello che il Signore fa sapere al suo popolo, cioè che si arrenda ai Babilonesi, così salveranno il tempio, la città, il popolo, soprattutto l’alleanza con Davide, la monarchia, la discendenza davidica e anche questo è un fallimento. Nel cap. 7 di Geremia, il profeta parla sotto il regno di Ioiakim, che è il figlio di Giosia, e si mette sulla porta del tempio. Inutile che dite: tempio del Signore! Tempio del Signore! Perché se non riformate i vostri costumi, se non smettete l’ingiustizia, se non smettete di opprimere l’orfano, lo straniero, la vedova, se non smettete di spargere sangue innocente, il vostro culto non serve a niente e io ridurrò questo tempio come l’arca di Ciro, dove non c’è più niente. Immaginate che qualcuno si metta a piazza S. Pietro a gridare questo! E non soltanto rivolto verso Roma, ma anche verso la Città del Vaticano. E’ chiara la reazione dell’ordine costituito, che dice: questo va soppresso! Geremia ha questa coscienza: non appoggiamoci al tempio! Pratichiamo la giustizia nella nostra coscienza, cominciamo da noi! Gli esercizi sono non tanto un richiamo al nostro ministero, ma al ministro che siamo noi. In questo periodo in cui sembra finire completamente l’alleanza del Signore con Davide, perché finisce la casa di Davide. L’ultimo re davidico muore in esilio a Babilonia e quello che regnava a Gerusalemme muore in prigione, accecato da Nabucodonosor. Nel tempo dopo l’esilio si parla sempre più di Davide. Un esempio, il cap. 23 di Geremia. “Ecco, verranno giorni – dice il Signore – nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto, che regnerà da vero re e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra. Nei suoi giorni Giuda sarà salvato e Israele sarà sicuro nella sua dimora; questo sarà il nome con cui lo chiameranno: Signore-nostra-giustizia (Ger 23,5-6). C’è un gioco di parole: il Signore è nostra giustizia, mentre il re di Gerusalemme si chiamava Sedecia, che vuol dire Signore-mia-giustizia. La giustizia del Signore non si incarna più nel re, ma in tutto il popolo, a cui è promesso questo nome. Israele si chiamerà Signore-nostra-giustizia. Quante volte i salmi dopo l’esilio ne parlano, il profeta Zaccaria, Ezechiele, che viene subito dopo Geremia, parlano di Davide, il nuovo Davide. Ne parla anche il salmo 89, che dice: ho trovato Davide, mio servo; con il mio santo olio l’ho consacrato. La mia mano è il suo sostegno, il mio braccio la sua forza… Tutta la seconda metà del salmo 89 è un’esaltazione di Davide e siamo nel tempo in cui tramonta la dinastia davidica. Vedete come il Signore, che segue la giustizia della creazione, sembra poi avere un gusto particolare nel dire: più c’è morte, più io vi annunzio la vita! Più ci sono segni di morte, più io vi incito alla 15 speranza di vita. E’ famoso il cap. 37 di Ezechiele: le ossa aride. In questo campo di ossa aride a un certo punto queste ossa si rimescolano, si rimontano, diventano un esercito in marcia, e come finisce questo capitolo? “In quella terra su cui abitarono i loro padri, abiteranno essi, i loro figli e i figli dei loro figli, attraverso i secoli; Davide mio servo sarà loro re per sempre. Ma Davide è morto da quattro secoli! Farò con loro un’alleanza di pace, che sarà con loro un’alleanza eterna”( Ez 37,25-26). Questi sono gli altri nomi dell’alleanza nuova: alleanza di pace, alleanza eterna. Ci rendiamo conto come la chiesa ha fuso insieme questi nomi: la nuova ed eterna alleanza. Non c’è nessun testo biblico che parla della nuova ed eterna alleanza, ma c’era l’alleanza nuova, l’alleanza eterna, l’alleanza di pace. E’ la stessa cosa! E se ne parla adesso, nel momento in cui il popolo va a finire in esilio in Babilonia. Infatti succede che una volta che la disobbedienza del re di Gerusalemme a Nabucodonosor giunge all’estremo, Nabucodonosor viene, distrugge la città e incendia il tempio e porta il resto del popolo, soprattutto le classi bene, abbienti e più colte a Babilonia. Comincia l’esilio babilonese. E’ finita la consistenza nazionale di Israele. E siamo allora nella più grande catastrofe nazionale, perché dalla morte di Giosia, alla sorte di Geremia, siamo arrivati all’umiliazione totale del popolo. Avete tutti i salmi dell’esilio: i pagani sono entrati nella tua eredità, hanno ridotto Gerusalemme in rovina, come possiamo cantare i canti del Signore in terra straniera?… Fu allora che Geremia scrive il suo libro della consolazione (Ger capp. 30-33). Meditiamo soprattutto il capitolo della nuova alleanza (cap. 31) per vedere che cosa il profeta dice concretamente. “Ecco verranno giorni – dice il Signore - nei quali con la casa di Israele e con la casa di Giuda io concluderò un’alleanza nuova”. Con la casa di Israele e con la casa di Giuda, cioè con il regno del nord e con il regno del sud, con tutto Israele; l’alleanza nuova va a ricuperare persino le 10 tribù del nord che sono portate in esilio dagli Assiri e che non si sa che fine abbiano fatto e poi due tribù del sud, di Beniamino e di Giuda, che sono esuli a Babilonia. E che sarà quest’alleanza nuova? Un’alleanza nuova che ha gli stessi destinatari, la casa di Israele. Non come l’alleanza che ho conclusa con i loro padri, quando li presi per mano per farli uscire dal paese d’Egitto, una alleanza che essi hanno violato, benché io fossi loro Signore. Quest’alleanza nuova non sarà più come l’alleanza del Sinai, quella fatta attraverso Mosè portandoli fuori dal paese d’Egitto, e che essi hanno violato e non io. Non è Dio che rompe la sua alleanza! Per cui l’alleanza dalla parte di Dio rimane sempre la stessa. Nonostante che io fossi il loro Signore: questa espressione si può anche tradurre “nonostante io fossi il loro sposo”. Forse andrebbe tradotto così! Hanno tradito un’alleanza sponsale, che già Osea aveva proclamato. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa di Israele dopo quei giorni, questa è l’alleanza nuova! Io porrò la mia thorà nel loro animo, la scriverò sul loro cuore, allora io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Ho letto thora piuttosto che “Legge”, perché “legge” non è una buona traduzione di thora. La thora è insegnamento, è la partecipazione della sapienza di Dio al suo popolo; è più che una legge. Per noi in italiano “legge” vuol dire qualcosa di normativo, giuridico; qui si tratta di un insegnamento riservato 16 proprio al popolo mio, perchè sia partecipe della mia sapienza. La mia thora, non un’altra, quella del Sinai, io la scriverò sul loro cuore. Al Sinai l’ho data loro su due tavole di pietra, adesso la scriverò sul cuore e la conclusione di questa alleanza sarà sempre la stessa: io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo. Voi capite bene che se la thora scritta su tavole di pietra è messa nel cuore, questo vuol dire una modificazione della thora. Non si può mettere una pietra nel cuore e anche una modificazione del cuore. Qui siamo nel dono dello Spirito. La mia thora, la stessa che ho dato a Mosè, adesso gliela metto nel cuore, ma questo suppone una trasformazione del cuore e una trasformazione della thora. Bisogna ricordare questo quando leggiamo il discorso della montagna di Matteo. L’insegnamento che do al mio popolo non è più al di fuori di loro, ma è dentro di loro. Non dovranno più istruirsi gli uni gli altri, dicendo: riconoscete il Signore, perché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il Signore. Questo non abolisce il ministero dei profeti, tant’è vero che Geremia continua a profetare; però, attenzione, questo è fondamentale nella nuova alleanza. L’insegnamento esteriore è sempre preceduto dall’insegnamento interiore. Per cui l’autorità del popolo deve sempre cercare di incontrare il maestro interiore che la precede presso ogni credente. S. Agostino ha sviluppato molto la dottrina del maestro interiore che ciascuno porta in noi, per cui la parola di Dio non viene mai dall’esterno soltanto, ma viene dall’interno e incontra una parola interiore che deve, che devono accordarsi. Trovo ancora parecchi casi di persone che dicono: il padre spirituale mi ha detto: la volontà di Dio su di te è questa! Devi fare questo! Quando si fa così siamo ancora al Sinai; non è l’alleanza nuova. Chi ha l’autorità di dirmi che cosa Dio vuole da me? Che ne sai tu di che cosa Dio vuole da me? Dovrò cercarlo io e tu devi aiutarmi in questo, ma allora c’è una ricerca! La ricerca di una consonanza tra quello che Dio dice a me e quello che Dio dice a te su di me. Questo è il modo di esercitare l’autorità nella nuova alleanza. S. Ignazio ha insistito molto che negli esercizi spirituali noi cerchiamo e troviamo la volontà di Dio su di noi nella disposizione della nostra vita. E questo lo fa fare nella preghiera, ma mai andando a domandare a colui che dà gli esercizi che cosa Dio vuole da me. Io lo devo cercare nella mia anima, perché sta scritto dentro di me quello che Dio vuole da me. E poi caso mai, una volta che l’ho trovato, mi andrò a consultare, a consigliare; certamente c’è tutto lo spazio per l’aiuto e la ricerca fraterna e anche nel caso limite (noi parliamo del voto di obbedienza) in cui sia il superiore a dirmi devi fare questo, ma questa è un’autorità che io gli do, facendo il voto di obbedienza. L’obbedienza suprema è frutto della mia libertà. La mossa fondamentale viene dalla mia coscienza. Sono io davanti al Signore che mi impegno domani a volere quello che tu mi ordini. Ma senza questa volontà, questa spontaneità, questa precedenza della mia coscienza sulla tua parola non c’è nuova alleanza; si è ancora nel regno della servitù, che è l’alleanza del Sinai. Questa è la volontà di Dio scritta sulla pietra, imparala e falla. L’alleanza nuova fa nascere una comunione tra l’insegnamento esteriore e quello interiore e insegna a rispettare quello esteriore. Questo è il fondamento teologico della libertà di coscienza. Per noi cristiani rispettare la coscienza non vuol dire rispettare la soggettività dell’uomo, ma rispettare quello che Dio gli sta insegnando. Perché Dio è presente nella coscienza degli uomini prima che arriviamo noi. Quindi non è il rispetto del processo psicologico della 17 persona, questo avrà anche il suo valore, ma il rispetto della dimensione teologale del dono dello Spirito che scrive la legge del Signore nel cuore degli uomini. Nessuno può fare il padrone delle coscienze altrui. Non è che c’è un’attività davanti ad una passività. Ci sono due attività e il superiore deve cercare anche lui nella sua coscienza che cosa il Signore gli dice nei riguardi dell’altro. Non dovranno più istruirsi non vuol dire che non ci sarà più il ministero profetico, magisteriale. Questo è chiaro che c’è! Ma questo avviene in un popolo in cui tutti riconoscono ciò che il Signore sta facendo in loro, dal più piccolo al più grande. E poi l’ultima clausola della nuova alleanza: perché perdonerò la loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato. Voi ricordate come l’alleanza del Sinai seguiva un po’ questo schema: Io sono il Signore Dio tuo, io ti ho liberato dalla casa d’Egitto; dunque io sono il tuo Dio e tu sei il mio popolo. Di conseguenza, farai questo e non farai questo! Chiamo a testimonio il cielo e la terra o gli altri popoli e le nazioni per questa alleanza e se obbedirai, sarai benedetto e se disobbedirai, incontrerai le maledizioni. Questa era sempre la conclusione! Come leggiamo per esempio nel Levitico al cap. 26. Adesso c’è una cosa nuova: guardati, se sarai infedele, io ti perdonerò! Cioè: tu hai rotto la prima alleanza, io con il mio perdono ti rendo impossibile di rompere la tua. A questo punto viene subito in mente il grande capitolo di Ezechiele 16, il capitolo che è un capolavoro anche letterario di una litigata formidabile tra il Signore e Gerusalemme. Una litigata in cui il Signore gliene dice di cotte e di crude a Gerusalemme. Le traduzioni italiane non traducono veramente tutto quello che dice il testo ebraico, lo addolciscono. E come finisce questa litigata? “Anch’io mi ricorderò dell’alleanza conclusa con te al tempo della tua giovinezza e stabilirò con te un’alleanza eterna. Allora ti ricorderai della tua condotta e ne sarai confusa, quando riceverai le tue sorelle maggiori insieme a quelle più piccole e io le darò a te per figlie, ma non in forza della tua alleanza; io ratificherò la mia alleanza con te e tu saprai che io sono il Signore (ti farò vedere chi sono!) perché te ne ricordi e ti vergogni e nella tua confusione, tu non apra più bocca, quando ti avrò perdonato tutto quello che hai fatto” (Ez 16, 60-63). Ecco questa è la profezia di Geremia riferita da Ezechiele, che è un suo discepolo. Cioè: tu continua a tradirmi, tu continua ad andare con il babilonese, con l’assiro e con l’arabo, tu che sei assetata come una cavalla nel deserto e vai con il primo che passa. Tu continua ad offendermi e io continuo a perdonarti e vediamo chi avrà l’ultima parola! Questa è l’alleanza nuova! Questa è la parabola del figlio prodigo; questo è Gesù che dice: il tuo fratello ti offende, tu perdonalo 490 volte. Non c’è limite al perdono di Dio! Quante volte si sente dire: sì, Dio è paziente! Poi però a un certo punto, basta, perché c’è l’abuso della grazia e non c’è più perdono! Questa è un’invenzione ideologica. Il Signore perdona sempre, anzi non punisce mai! Siamo noi che ci puniamo con i nostri peccati e con le nostre mancanze; non è il Signore che aggiunge del male al male che già ci siamo fatti! Certo la punizione c’è! E’ la mia parola, che rimbalza su di te, perché la parola di Dio non si può buttar fuori dalla finestra; rientra dalla porta; perché è di Dio la parola! Ma non è perché il Signore si arrabbia e ti fa del male. Il Signore perdona! Da parte sua il Signore dà i vestiti a 18 coloro che si sono ritrovati nudi dopo il peccato; mette il segno della misericordia sulla fronte di Caino, perché nessuno lo uccida. Guardiamo come si presenta la nuova alleanza. Intanto è un’alleanza con lo stesso popolo; non è un’altra alleanza. E’ la thora del Sinai, però questa volta è scritta sul vostro cuore e se voi non reggete la fedeltà, da parte mia, io perdono sempre, in modo che nessuno più romperà questa alleanza, perché il Signore perdona. Questa idea era già entrata con Osea, un secolo e mezzo prima, nel regno del nord, quando Osea aveva formulato le cose in questi termini: il popolo è la sposa del Signore; il popolo è diventato la sposa adultera, ma lo sposo non rinuncia alla sua sposa, non rinuncia al primo amore. Allora, introducendo questa immagine del rapporto sponsale, cambia anche l’immagine dello sposo, cioè lo sposo non rinuncia mai alla sposa e cerca di riportarla nel deserto, di ricuperarla, per riportarla al primo amore. Dio non rinuncia al primo amore! Non ha due amori, non ha due parole, non ha due thora, ma c’è un progresso nella comunione tra lui e il suo popolo. Questo è ricuperato ancora di più da Ezechiele. Sapete che Ezechiele era un sacerdote, anche Geremia era di classe sacerdotale, ma non legittimata, che è stato quello che è andato con gli esuli a Babilonia ed è stato un po’ il cappellano degli esiliati, di cui Geremia è rimasto il padre spirituale con il suo insegnamento, ma non è mai andato con gli esiliati a Babilonia. E’ morto addirittura portato in Egitto dal partito opposto, ma Ezechiele è stato discepolo di Geremia che ha formato tutta una classe di sacerdoti, che accompagnassero gli esiliati a Babilonia e che ne risuscitassero lo spirito religioso, per cui il disastro più grande dal punto di vista anche spirituale è diventata invece l’occasione di una rinascita spirituale di prima grandezza, che è la spiritualità dopo l’esilio. Ezechiele dice a un certo punto, al cap. 36, qualcosa di più forte di quello che ha detto Geremia: “Vi prenderò dalle genti, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre sozzure e da tutti i vostri idoli; vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne”. E’ chiaro: se la legge è messa nel cuore, il cuore deve essere di carne e la legge anche diventa di carne, non diventa più la legge di pietra. Porrò il mio spirito dentro di voi. Non soltanto scriverò la mia thora sul vostro cuore, ma porrò lo spirito mio dentro il vostro cuore. Questa è la Pentecoste! Che poi è lo Spirito del Figlio, perché altrimenti non potremo ricevere lo Spirito del Padre, se non fosse lo Spirito del Figlio. Nessuno di noi può diventare padre, possiamo diventare figli di Dio! E’ soltanto nel Figlio che diventiamo figli! Questa è la nuova alleanza! Questa è l’alleanza di cui si parla nel capitolo seguente con le ossa aride che marciano insieme come un nuovo popolo. E da allora in poi c’è questa possibilità di entrare nella nuova alleanza, come un processo in divenire. Vedete la grande importanza del pellegrinaggio di Giovanni Paolo II nell’anno giubilare. Lui ha voluto proprio mostrare partendo da Ur dei Caldei, che ha celebrato in Vaticano, e poi è andato al Sinai. E’ stato il primo papa che è andato al Sinai! Per mostrare che di lì si parte per crescere e andare a finire al monte delle beatitudini. Ma perché è la prima alleanza che diventa la seconda, in questo progresso della conoscenza del Signore. Ma questa 19 è un’opportunità, un’offerta, è un’iniziativa da parte di Dio, ma poi evidentemente va ricevuta e accolta. Come pregare su questo? Siamo entrati nella nuova alleanza? Ci stiamo con tutti e due i piedi o con un piede solo? Mi disse un religioso una volta: Padre. io dico l’ufficio in comune con la mia comunità; quindi mai l’Ufficio delle letture. Dico Lodi e Vespri e basta! Vorrei sapere se dopo il Vaticano II c’è ancora l’obbligo di dire ogni ora, compieta?… E io gli risposi: Vorrei sapere se dopo il Vaticano II ci sono ancora questioni di questo genere? Perché questo deve essere una convinzione nostra; non è che io dico l’ufficio perché c’è l’obbligo! Io lo voglio celebrare! Io credo che dopo il Vaticano II, veramente dopo Gesù Cristo, non bisogna fare nulla per obbligo. Perché Gesù ha detto: Padre, se è possibile, passi da me questo calice, ma se è la tua volontà, io la voglio fare! Nel tempo della nuova alleanza noi abbiamo la legge del Signore scritta nel cuore e quindi se devo fare qualche cosa, prima di farla, la voglio fare. Il Signore non vuole più l’offerta di animali, vuole l’offerta del cuore, vuole i sì del figlio. Ce l’hai il maestro nel cuore, fai quello che ti dice! Si può vivere oggi proprio ignorando totalmente la nuova alleanza. Quando metto la mia coscienza in contrasto con la parola di Dio, non conosco la pace e la gioia dell’alleanza nuova. Vediamo dove stiamo noi, dove sto io, perché è vero che tante volte nella fretta, nell’urgenza delle cose, forse non abbiamo il tempo di volere noi quello che Dio vuole da noi. C’è una preghiera nella liturgia che dice: Signore, dacci di volere quello che tu vuoi e di desiderare quello che tu prometti. Che non ci sia più contrasto tra quello che io desidero e quello che tu mi dici di fare. La nuova alleanza non è qualcosa in cui si sta e di addormentarsi, ma è una invenzione di comunione. Se ne può anche uscire! Certo, se uno perde questo spirito filiale, ma allora dobbiamo ritornarci dentro, dobbiamo riprendere, perché adesso siamo in una situazione di popolo di Dio, in cui questo è offerto a tutti. Ma è un’offerta che va accolta. E’ un sì a cui bisogna dire “amen” per entrarci e per viverci nella pace e nella gioia. La nuova alleanza non è un mondo di cose da fare, ma un modo di essere. Quello che conta è essere e non fare. E se dobbiamo fare e se dobbiamo dire, questo fare e questo dire ci aiuti a essere; cominci e finisca con l’essere, perché è solo questo che ci porta al Signore. Il Signore ha fatto il cielo e la terra… ma l’unica cosa che il Signore ci chiede è la nostra coscienza e il nostro amore. Così è cominciata l’alleanza nuova al tempo di Geremia e di Ezechiele. E’ cominciata, perché sarebbe sbagliato e semplicistico dire: Geremia ed Ezechiele annunciavano quello che si sarebbe poi realizzato al tempo di Gesù. No! I profeti parlavano del loro tempo! Parlavano del ritorno dall’esilio. Geremia dice: Ecco verranno giorni.. in cui la popolazione ritornerà, ci sarà un’abbondanza di greggi, di figli… Sta parlando del ritorno dall’esilio. Quindi l’alleanza nuova è cominciata nel secolo VI a. C. E quando Gesù ha celebrato la cena: questo è il sangue della nuova alleanza, cioè questa è la nuova alleanza di cui parlava Geremia e che io porto a compimento nella mia persona; quindi un primo compimento di quell’alleanza che è già cominciata sei secoli fa, perché è nato quello che poi noi chiamiamo il giudaismo che è un fatto spirituale. Non è più il popolo del Sinai, ma il popolo della preghiera, 20 del digiuno, dell’elemosina, della sinagoga… è il popolo dove quello che conta prima di tutto è l’atteggiamento spirituale. E da questo viene fuori Maria presentata al tempio. Maria presentata al tempio è una figlia della nuova alleanza di Geremia, come Zaccaria ed Elisabetta. Come Giuseppe, come i pastori, come Anna, come Simeone. E’ di lì che vengono. Questo è il popolo della nuova alleanza. Sono già sei secoli che in Israele si può vivere secondo questa nuova alleanza. Non è automatico, ma c’è già il popolo dei poveri di Dio che sono introdotti a questo. C’è Ester che vive secondo la thora, anche facendo la sposa del re in esilio. C’è Tobia. C’è tutto il popolo del ritorno dall’esilio; c’è il profeta Zaccaria… E’ da lì che noi veniamo, è di lì che nasce la chiesa! Quarta meditazione Si può dire che all’inizio del secolo VI a. C. si leva dal popolo di Dio, Israele, in esilio, come una canzone nuova che attraversa parecchi decenni e che rimarrà poi il canto finale di questo popolo che ancora noi cantiamo nelle Lodi, nei Vespri e nella Compieta di ogni giorno. Il cantico di Zaccaria, il cantico di Maria e il cantico di Simeone sono il risultato di questa grande canzone che si leva dai luoghi dell’esilio, da Babilonia, ma anche dalla parte opposta, dall’Egitto, dove Geremia è stato trasportato dal partito filo-egiziano; da situazioni di abbandono, di distruzione vi è questa speranza nuova, intonata da Geremia e da Ezechiele, ma poi soprattutto documentata in un grande poema del secondo Isaia (capp. 40-55) e poi in tanti Salmi, per esempio il salmo 50 e 51, il miserere. Dal profeta Baruc e poi per tutta una serie di altri scritti che compongono la letteratura biblica dall’esilio in poi, fino al N.T. Insieme con voi vorrei meditare alcuni aspetti di questa alleanza nuova che viene celebrata e che tocca direttamente anche noi, perché noi siamo in questa linea. La chiesa è nata molto più dall’esilio che dalla sinagoga, che dal tempio; come le strutture della nuova alleanza si delineano in questi testi che rappresentano veramente la seconda parte dell’A.T. Non diciamo che la nuova alleanza appartiene all’A.T., appartiene alla seconda parte dell’A.T. E l’alleanza del Sinai non si estende a tutto l’A.T., ma soltanto a una prima parte, perché poi viene l’annuncio di Geremia e la realizzazione di questa alleanza già nel ritorno dall’esilio. Ora un primo aspetto su cui vi invito a meditare può essere questo: che tipo di culto nuovo nasce in questa situazione? Sappiamo bene per esperienza personale che c’è sempre una tensione molto forte tra il culto sacramentale e il culto esistenziale, tra il culto dei segni e il culto delle persone e del cuore. Questo è già presente in Isaia, nei profeti del secolo VII, Amos, Osea, ma questo si fa ancora più acuto nel primo periodo di Geremia, dove a un certo punto egli parla apertamente della circoncisione del cuore. Il cap. 4 di Geremia, in uno dei passi più belli che appartiene a quei testi dell’alleanza in cui il popolo viene trasformato nella sposa del Signore, dai capp. 2 a 4. Il profeta dice: 21 “Circoncidetevi per il Signore, circoncidete il vostro cuore, uomini di Giuda e abitanti di Gerusalemme perché la mia ira non divampi come fuoco e non lo bruci senza che alcuno lo possa spegnere, a causa delle vostre azioni perverse” (Ger 4,4). La circoncisione del cuore. Ancora oggi in Israele, quando nasce un bambino, la prima cosa che la famiglia prepara è la celebrazione della circoncisione, l’ottavo giorno. Allora si prepara tutto il cerimoniale, si prepara anche un banchetto, una festa, si invitano gli amici; è la prima cosa a cui pensare in un certo senso, un po’ come da noi si pensa al battesimo. E chi pensa alla circoncisione del cuore di coloro che preparano questo? Questo problema c’è anche da noi: il padrino chi è? Forse un divorziato… Ma non è questa la prima cosa che salta in mente ai genitori! Si pensa subito al culto sacramentale, al culto dei segni. Geremia dirà: “Ecco, giorni verranno – oracolo del Signore – nei quali punirò tutti i circoncisi che rimangono non circoncisi: l’Egitto, Giuda, Edom, gli Ammoniti e i Moabiti e tutti coloro che si tagliano i capelli alle estremità delle tempie, i quali abitano nel deserto, perché tutte queste nazioni e tutta la casa di Israele sono incirconcisi nel cuore” (Ger 9, 24-25). Il profeta mette insieme coloro che praticano la circoncisione come una ragione igienica e quelli che sono circoncisi nel popolo di Dio che dovrebbero esserlo per la circoncisione del cuore e dice: è inutile che vi presentate come circoncisi! Non siete affatto circoncisi, siete incirconcisi come i pagani! E’ meglio dirsi cattolico o esserlo senza dirlo? E’ meglio essere battezzati, iscritti nel libro dei battesimi o essere prima di tutto credenti nella fede, nel cuore? Geremia parla anche di un’altra circoncisione, quella delle orecchie. “A chi parlerò e chi scongiurerò perché mi ascoltino? Ecco, il loro orecchio non è circonciso, sono incapaci di prestare attenzione. Ecco, la parola del Signore è per loro oggetto di scherno; non la gustano!”(Ger 6,10). Parlano della parola del Signore, ascoltano, ma essa non incide; non taglia l’impurità del loro cuore, l’impurità del loro ascolto; si sono abituati a questa parola. La circoncisione è il segno della prima alleanza, della fede di Abramo ed è veramente un sacramento della prima alleanza, che deve significare evidentemente quello che poi il profeta mette in primo piano. E allora sempre già dai secoli precedenti si pone il problema: che cosa viene prima: il culto sacramentale o il culto esistenziale? Bisogna rendersi puri, nel senso del Levitico, per essere accetti al Signore o ci si può presentare al Signore così come si è peccatori, sporchi, impuri ed è lui che ci purifica e ci rende atti al culto? Questo è un discorso tipicamente sacerdotale, che viene fuori ogni volta che ci poniamo il problema: mi devo confessare per andare a celebrare l’Eucaristia o posso confessarmi dopo? Appena siamo in una religione di segni, e certamente l’ebraismo e il cristianesimo sono delle religioni di segni, perché sono fondamentalmente delle religioni di incarnazione, si pone questo problema. Perché il sacerdote e il levita che incontrano l’uomo aggredito dai briganti non l’aiutano, mentre il buon samaritano l’aiuta? Perché probabilmente sono a Gerusalemme e in quella settimana dovevano rendere culto nel tempio, non possono contaminarsi con le ferite e con il sangue di qualcuno che è stato aggredito dai briganti e quindi dicono che a soccorrere quel malcapitato ci penserà qualcun altro. 22 I profeti di Israele normalmente sono molto chiari: prima viene il cuore e poi viene il segno della carne. Che cosa porta di nuovo la nuova alleanza? Molto semplice: il tempio è distrutto, non c’è più! Non ci sono più i sacrifici, non ci sono più i segni, il popolo è portato in esilio. Immaginate le nostre chiese completamente distrutte, immaginate che siamo portati in Iraq, dove non c’è più niente; i preti non hanno più nulla da fare, perché non ci sono più i sacrifici da offrire e non per niente Geremia ed Ezechiele sono sacerdoti, sacerdoti che non hanno mai esercitato l’ufficio sacerdotale, proprio perché sono in situazioni o di estromissione dalle classi sacerdotali oppure in esilio, sui fiumi di Babilonia. Il Signore a un certo punto ha risolto in problema in modo radicale; non c’è più niente, c’è nel cuore questo profondo sconforto e questo dubbio della fede. Il Signore ha mancato alla sua alleanza. Finché il regno del nord o di Israele è stato distrutto dagli Assiri (721 a. C.) e la gente è stata portata in esilio a Ninive, quello era un regno scismatico, erano fratelli separati… qualcuno avrà pure detto: se lo sono meritato! Ma noi eravamo il regno di Davide, la città santa di Gerusalemme, l’ortodossia vivente; adesso è finito tutto, è finito il mondo! Dio non ha mantenuto la sua promessa o forse c’è un dio più potente di lui, quello dei Babilonesi che si chiama Marduk o forse Dio non c’è e allora è meglio che ognuno si faccia gli affari propri! Questa è la situazione dell’esilio di Babilonia. In questa situazione Geremia, Ezechiele, il secondo Isaia, nasce questa canzone in mezzo al popolo di Israele, ma ci siamo noi! Cioè: la circoncisione, i lavaggi rituali, le purificazioni ripetute… tutto questo alla fine è un lusso, che ci rimane? Ci rimango io! E allora ci si rende conto che il luogo del culto non è il segno sacramentale, ma è l’essere stesso dell’uomo e della donna, cioè l’essere umano. Allora si scopre quello che ancora si trova in questi testi, per esempio nei salmi 50 e 51, il sacrificio delle labbra, che è l’atto di fede; il sacrificio delle labbra che confessa nel tuo nome – dirà la lettera agli Ebrei – proprio riprendendo questa tradizione. La professione di fede sono io! E si scopre che tutti i discorsi che si possono fare sulla nostra vocazione, ma alla fine la mia vocazione sono io, posto dal Signore con la proposta che mi fa della sua alleanza di diventare quello che gli dica di sì. Io sono chiamato non a essere francescano, gesuita, sacerdote…io sono chiamato a essere me stesso come partner di Dio. Mi si può anche togliere tutto, ma io ci sono; c’è il mio corpo. La scoperta del corpo è essenziale nel culto di Dio, e non perché è pulito, lavato con gli unguenti o coi profumi, ma perché è il segno della mia fede. Da qui nasce il sacerdozio di Gesù, perché Gesù si è trovato esattamente in una situazione di esilio. Lo dice la lettera agli Ebrei: Gesù non era sacerdote e nemmeno poteva esserlo, perché apparteneva alla tribù di Giuda; poteva essere un re deposto, caduto in miseria; Giuseppe lo era, era infatti un artigiano, non un miserabile certamente e suo figlio era un artigiano, forse un falegname o un fabbro. Quindi un re decaduto, ma certamente non un sacerdote. Gesù non è mai entrato nell’atrio del sacerdote nel tempio di Gerusalemme; non ha mai offerto un sacrificio nel tempio di Gerusalemme. Forse ha portato degli animali, dei piccioni con i genitori o con i discepoli, ma certamente non ha mai esercitato l’ufficio sacerdotale nel suo tempio! Perché? Gesù che cosa ha voluto dire? Ce lo dice la lettera agli Ebrei al capitolo decimo! 23 “Per mezzo di quei sacrifici che si rinnovano di anno in anno il ricordo dei peccati, poiché è impossibile eliminare i peccati con il sangue di tori e di capri. Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato” (Ebr 10,4-5). E cita il salmo 40, che è appunto un salmo di nuova alleanza. “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: vengo io – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro per fare, o Dio, la tua volontà” (Ebr 10, 5-7). Dovremmo apprezzare veramente e profondamente questa lezione, perché a che cosa pensiamo quando pensiamo a Gesù, Sommo Sacerdote? Certo l’Apocalisse ce ne ha ridato un’icona tipicamente sacerdotale e legale insieme, il grande vestito, la cintura d’oro… ma la lettera agli Ebrei ci dice: “Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono,essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek” (Ebr 5,7-10). “Reso perfetto (teleiothèis)” = questo è il verbo che nell’A.T. serve per la consacrazione sacerdotale. L’ordinazione sacerdotale di Gesù è quando imparò l’obbedienza dalle cose che patì. Il giorno dell’ordinazione sacerdotale di Gesù non è la Cena, ma sulla croce, nudo sulla croce: lì è stato reso perfetto! Lì è stato consacrato sacerdote! Questo è anche il nostro sacerdozio! Ricordo bene una trasmissione della radio della comunità ebraica di Roma, molti anni fa, era la festa dei tabernacoli. E nella festa dei tabernacoli, il giudeo osservate deve portare in mano una palma, un cedro, della mirra. C’era la preghiera di uno nei campi di concentramento che dice: Signore, oggi è la festa dei tabernacoli; dovrei portarti questi frutti, ma non ho niente. Sì, ho qualche cosa, c’è la mia spina dorsale; questa è la palma! C’ho il mio fegato; questo è il cedro! C’ho il mio cuore; qui ti porto la mirra. Ecco, vengo io! Questo è esattamente il sacerdozio di Gesù. Quel giudeo pregava perfettamente nella linea della nuova alleanza! Non c’è più tempio, non c’è più luogo, non c’è più altare, non c’è più sacrificio, non ci sono più gli animali, non ci sono più vesti sacerdotali, non c’è incenso, non c’è organo, non c’è niente! Ci sono io! Cosa è stato necessario per scoprire la realtà? Che spariscano tutti questi segni esterni, anche se santi; spariscano le immagini, perché l’uomo si è ridotto alla sua nudità davanti a Dio. Così si riscopre la radice del culto, si riscopre che si può essere membra del popolo di Dio anche fuori di Gerusalemme, anche senza il tempio, anche senza il sacerdozio. Si riscopre il culto esistenziale che è assolutamente primario, proprio perché viene dal mio corpo. Ora voi capite da dove Paolo tira fuori quell’esortazione della lettera ai Romani, che noi leggiamo in tutte le Lodi delle feste dei santi e delle sante. “Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra 24 mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rom 12,1-2). “Offrire, presentare”, “Sacrifico vivente, santo e gradito a Dio”: questi sono aggettivi e sostantivi propri del culto del tempio di Gerusalemme. “E’ questo il vostro culto spirituale” (Loghikèn latrèian imòn) = Questo e il culto “logico”, non spirituale, se no sarebbe “pneumatiche”. Questo è il culto secondo la Parola, vivere secondo parola di Dio, questo è dare culto a Dio; certo poi sarà lo Spirito che ci rende capaci di questo. “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo”: ecco la circoncisione, “ma trasformatevi rinnovando la vostra mente…” (metamorfouste) da “metamorfosis” che vuol dire trasfigurazione. “Buono, gradito e perfetto” sono aggettivi del culto del tempio di Gerusalemme. Le vittime devono essere maschio, intero, senza difetti, come dice Malachia. Il coltello che uccide queste vittime è il discernimento spirituale tra ciò che è mondano e ciò che è secondo la parola di Dio. Questa è la santità cristiana. La chiesa non ha trovato un testo migliore di questo per metterlo nelle Lodi dei santi e delle sante! Vuol dire che riconosce in esso l’essenza della santità cristiana. Il culto secondo la vita, secondo la parola di Dio, che non sia però una lectio divina fatta così all’assemblea, ma sia una lectio che produce un discernimento, la circoncisione del cuore, la circoncisione delle orecchie, il sacrificio delle labbra, la lode di Dio e soprattutto il rimuovere tutto ciò che è mondano per conformarsi alla volontà di Dio. Ma questo viene dall’esilio, questa è l’applicazione di quello che abbiamo letto di Gesù nella lettera agli Ebrei, e quello che sta scritto nella lettera agli Ebrei viene dal salmo 40, dalla spiritualità dell’esilio; questa è la nostra liturgia! Allora vedete che la liturgia, la morale, la teologia sono una cosa sola se si va all’osso. La liturgia è l’esistenza umana secondo la Parola di Dio. Che poi questo si faccia rivestendosi di paramenti o quando uno è messo nudo davanti al forno crematorio, come Edith Stein. Quella nudità di Auschwitz è una profezia! Questo è il culto di Dio: vengo io! Questa è la nuova alleanza! La nuova alleanza non è iscrizione a un registro; è chi vive questo, vive nella nuova alleanza, anche se non è battezzato; vuol dire che ha la fede e la fede viene prima del battesimo. Mentre si può essere battezzati cento volte, ma se uno non ha la fede, non ha proprio niente! Questa è la prima caratteristica essenziale della nuova alleanza, dove il Signore forza il suo popolo a questo. Il Signore è capace di questo: ci può anche togliere tutto perché noi riscopriamo che cosa c’è nel fondo di noi. E allora non pensiamo soltanto come si fa un po’ troppo alla difesa della vita di qui. Noi siamo preoccupati delle cellule staminali, dell’aborto, dell’embrione, dell’eutanasia, della difesa della vita, dove la vita è soltanto la vita qui su questa terra. Sembra che questa sia oggi la grande battaglia della chiesa, ma la vita è ben altro; continua oltre più in là della morte. La vita è Dio; è Dio il vivente! E’ nella pagina della prima creazione, al quinto giorno, quando Dio crea le piante, gli animali e altri viventi, allora dice: E Dio li benedisse! E così entra la benedizione nella creazione! E la benedizione è ciò che dà il Benedetto, cioè il Signore. Difendiamo la vita, ma allora confessiamo veramente qual è la vita che portiamo in noi e a quale vita siamo destinati nella pienezza della rivelazione della parola, altrimenti non viviamo secondo la parola di Dio, ma secondo le prescrizioni dei 25 medici! E chi può parlare al mondo di questa pienezza di vita se non la chiesa? Perché la chiesa ce l’ha dal Cristo risorto: è lui il vivente! E’ lui la misura della nostra vitalità! E’ lui la promessa della nostra longevità! Ma senza la risurrezione di Gesù, non si saprebbe niente della nostra vita, qual è la stazione finale della nostra esistenza. C’è una preghiera nel libro di Daniele. Il libro di Daniele è scritto nel tempo della persecuzione di Antioco IV (2° sec. a. C.), ma come spesso si fa, anche nelle opere liriche, si rappresenta una situazione presente ricordando una situazione passata, allora Daniele fa una preghiera dopo il cantico di Azaria nella fornace e poi ci illustra questa situazione del popolo dell’esilio. Celebra le benedizioni del Signore, di Israele, tutto quello che hai fatto per noi, per i nostri padri, e poi: “Ora invece, Signore, noi siamo diventati più piccoli di qualunque altra nazione, ora siamo umiliati per tutta la terra a causa dei nostri peccati. Ora non abbiamo più né principe, né capo, né profeta, né olocausto, né sacrificio, né oblazione, né incenso, né luogo per presentarti le primizie e trovar misericordia. Potessimo esser accolti con il cuore contrito e con lo spirito umiliato,(ecco il culto: il cuore contrito e lo spirito umiliato) come olocausti di montoni e di tori, come migliaia di grassi agnelli. Tale sia oggi il nostro sacrificio davanti a te e ti sia gradito,perché non c’è confusione per coloro che confidano in te. Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto. Fa’ con noi secondo la tua clemenza, trattaci secondo la tua benevolenza, secondo la grandezza della tua misericordia. Salvaci con i tuoi prodigi, dà gloria, Signore, al tuo nome”(Dan 3,37-43). Questa è la nuova alleanza. Per carità, dopo l’esilio si ritorna. Neemia comincerà a ricostruire l’altare, ci sarà il tempio ricostruito. Zorobabele e il sacerdote Giosuè stabiliranno i sacrifici; questo è giusto, si deve tornare al culto dei segni, ma provenendo dal culto dell’esistenza. Deve essere chiaro che prima di tutto ci vuole l’io e poi ci vorranno le vesti, l’incenso, le musiche, i segni, le benedizioni… E’ stata una rieducazione di Dio al suo popolo; è stata una grande lezione per riscoprire che cosa viene prima e che cosa viene dopo, che cosa è essenziale, senza del quale tutto il resto è vano oppure invece che cosa è accessorio, anche se sommamente conveniente, perché il popolo esprima il suo culto pubblicamente. Il miserere: “Crea in me un cuore pure, rinnova in me uno spirito saldo! Apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode! Poiché non gradisci il sacrificio e se offro olocausti non li accetti; uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato tu, o Dio, non disprezzi”. Il timore del Signore è il sacrificio vero! “Nel tuo amore fa’ grazia a Sion; rialza le mura di Gerusalemme; allora gradirai i sacrifici prescritti, l’olocausto e l’intera oblazione, allora immoleranno vittime sopra il tuo altare”. Ricostruiamo la città, il tempio, forse più modestamente di quello di Salomone; allora ti saranno graditi i sacrifici. Il profeta non è contro il sacerdote, è lui stesso il sacerdote. Il profeta è contro il culto vuoto dei segni senza sostanza, dei sacramenti senza fede, speranza e carità e questo è il nostro sacerdozio, non quello di Aronne e dei leviti e in questo essere sacerdote che è essere un uomo devoto del Signore. 26 Questo è il sacerdozio radicale, il sacerdozio dei fedeli che viene prima del sacerdozio ministeriale. Il sacerdozio ministeriale è al servizio del sacerdozio dei fedeli, che è il sacerdozio del popolo di Dio e il sacerdote-ministro non è dispensato dall’essere sacerdote nella sua esistenza, nel suo corpo. Per questo: gli esercizi spirituali sono prima di tutto del ministro poi verrà anche il ministero. La dedizione, la presentazione al tempio, l’Amen dentro il sì che Dio ci dice: questo è il punto essenziale che riannoda la relazione tra l’uomo e Dio. Quinta meditazione Stiamo cercando di cogliere i caratteri essenziali di questa nuova alleanza, proclamata da Geremia, da Ezechiele e dal secondo Isaia. Ci interessano questi caratteri essenziali, perché ci condizionano nella prosecuzione di questa economia che è affidata anche alle nostre mani, alla chiesa del N.T. Rimane affidata certamente a Israele, primo popolo di Dio, ma noi siamo aggiunti a quest’economia, siamo diventati pienamente partecipi di questa economia che, anzi, attraverso il Messia di Israele che noi riconosciamo come il nostro Messia, ci è affidato un compimento che già portiamo in noi, anche se in modo iniziale. Per cui, in un certo senso, nella fede neotestamentaria ci è dato di capire questa parola rivolta ad Israele forse ancora di più di quello che i giudei possono capire oggi. Questo lo dobbiamo dire a bassa voce per ragioni di cortesia e di dialogo con gli Ebrei, ma certamente la fede di Gesù ci rende capaci di leggere queste scritture, come lui ha fatto con i due di Emmaus in un modo più comprensivo di quanto non lo possano fare i rabbini odierni, i quali partono bene ma non sono ancora arrivati a quella rivelazione che a noi è stata data, non per nostro merito, ma perché fa parte della nostra vocazione. Fino ad ora abbiamo parlato della interiorizzazione del culto, dalla dimensione rituale o sacramentale alla dimensione esistenziale. Ora presentiamo un altro aspetto altrettanto fondamentale, e che è anche molto pertinente alla nostra situazione presente. Voi capite subito che trasportare il culto dalla dimensione rituale alla dimensione esistenziale vuol dire mettere in primo piano il laico, il laòs= il popolo di Dio. Perché se il sacerdozio è l’esistenza umana, questa riguarda ogni uomo e ogni donna ed è questo il dono di Gesù, che promuove l’esistenza dell’essere umano a un’esistenza sacerdotale. Essere uomo, compresa la donna, vuol dire essere il liturgo di Dio. Quindi l’interiorizzazione del culto vuol dire mettere in primo piano il popolo sacerdotale. Il sacerdozio diventa comune per tutti, una vocazione! Non pensate mai a qualcosa di bell’e fatto, questa è la vocazione con cui Dio ci invita a realizzarla poi. Tutte le cose di Dio sono una proposta alla nostra libertà. Dopo la creazione tutto il resto non è mai un dato di fatto già sistemato, è un ruolo da svolgere, un compito da attuare; ma questo vuol dire che il popolo (laòs) diventa il primo soggetto del culto del Signore. E dunque il sacerdozio non è più il fatto di una classe. Nel sacerdozio di Aronne, sacerdoti si nasce, basta essere figli di un altro sacerdote e si appartiene alla classe sacerdotale. Questo è rimasto anche oggi, anche se non c’è il tempio, c’è la 27 tradizione di famiglie sacerdotali. Nelle feste ebraiche ancora oggi tre o quattro volte l’anno c’è lo spazio per la benedizione dei sacerdoti e l’unica cosa che fanno i sacerdoti in alcune feste, danno la benedizione sacerdotale, quelli appunto che sono di classe sacerdotale; è l’unica cosa che rimane perché non c’è il tempio e quindi non c’è nessun esercizio del sacerdozio. Non c’è da offrire vittime; tutto il resto diventa un culto laicale, cioè del popolo che compie questo ufficio sacerdotale nella lode del Signore. E allora è in questo tempo, con la nuova alleanza, che nasce la sinagoga. La sinagoga non è il tempio, vuol dire “convocazione”, assemblea ed è un’assemblea laicale. Che cosa si può fare a Babilonia dove non c’è più Gerusalemme, non c’è più il tempio, dove Giosia aveva centralizzato il culto da tutti i vari santuari del paese? Ecco, questo è interessante da un punto di vista storico: gli Assiri sono stati un impero veramente distruttivo di tutte le altre identità; gli Assiri non permettevano nemmeno che le comunità degli esuli stessero insieme, infatti le 10 tribù del nord sono sparite! Ci sarà tutta una letteratura di come si va a ricercare chi sono questi dispersi delle 10 tribù del regno d’Israele. Invece i Babilonesi sono stati molto più rispettosi delle identità nazionali, per cui anzi all’interno dell’impero babilonese si sono formate delle comunità molto solide e Babilonia è rimasta il centro principale del giudaismo fino al decimo secolo dopo Cristo. E’ a Babilonia che è stato fatto il talmud babilonese, il grande talmud, che è l’opera dei giudei di Babilonia. I Babilonesi hanno favorito le comunità giudaiche, per questo Ezechiele e i suoi sacerdoti hanno potuto svolgere un’azione pastorale molto proficua. I reduci dall’esilio erano dei giudei molto più ferventi di quelli che sono partiti, proprio per quest’azione pastorale nella diaspora, nella dispersione. E dunque è nata la sinagoga, perché siamo in esilio, che cosa ci resta da fare? Non abbiamo sacerdoti in funzione, non abbiamo sacrifici da offrire, ma ti vengo a chiamare, mettiamoci insieme e preghiamo il Signore. E allora viene la sinagoga, in cui bisogna essere almeno 10. Se siamo 9, bisogna andare a cercare il decimo per incominciare a pregare. Si prega con la parola, la thorà, che è l’unica cosa che è rimasta. Il capo della sinagoga è un rabbi; il rabbi è uno che ha studiato e sa le cose meglio degli altri, ma è un laico, assolutamente un laico. E’ un’assemblea totalmente laicale, che è destinata a essere la convocazione di tutto il popolo di Dio. E quindi nasce il culto sinagogale come culto laicale; è quello a cui Gesù ha partecipato. Nella sinagoga poi sempre si invita qualcuno che è venuto da fuori per parlare. Per questo abbiamo il discorso di Gesù nella sinagoga di Nazaret o quando Paolo andava con Barnaba o altri nelle sinagoghe; in questa maniera hanno annunciato l’evangelo nelle sinagoghe. E’ così che è nato il cristianesimo! Cosa molto importante da capire. Nasce qui il giudaismo come religione. Non si può dire che Abramo fosse giudeo o che Davide fosse giudeo. Giudaismo è una parola che è riservata al culto e alla religione di Israele dopo l’esilio. Cioè la religione di Israele si costituisce proprio come religione giudaica. Perché Giuda? Perché è la tribù dell’esilio di Babilonia evidentemente. E nasce il giudaismo come religione, perché cosa era la religione di Israele prima dell’esilio? E’ nata nel deserto, al Sinai, poi con il tempo dei giudici, poi con il tempo dei re, della monarchia, ma la religione consisteva praticamente nelle feste liturgiche. Basta leggere l’Esodo, i Numeri, il Deuteronomio… sono queste feste grosse, soprattutto 28 tre: la Pasqua, la Pentecoste e i Tabernacoli, in cui si facevano pellegrinaggi a Gerusalemme oppure in altri santuari, ma Giosia aveva riunito tutti gli altri santuari, proprio per evitare culti ambigui e mezzo idolatrici che erano sparsi nel paese. Tutti dovete venire al tempio di Gerusalemme, per cui poi una volta distrutto il tempio non c’è stato più santuario. E fino a un certo punto, non tanto preciso, il culto del sabato. Ma l’osservanza sabbatica è cominciata soprattutto dopo l’esilio, proprio con la sinagoga. Il re era il rappresentante di Dio, quindi bastava essere un buon cittadino e compiere queste funzioni di culto esterno soprattutto per essere nella religione di Israele. Una volta che la religione è affidata a tutti e poi non c’è più un centro religioso, si sente un bisogno fondamentale, quello di creare una tradizione orale. Questo è molto importante quando noi oggi parliamo degli Ebrei. Gli Ebrei non contano solo sulla Scrittura. La Scrittura è la thora scritta e si chiama la “thorà del libro”, ma poi c’è la “thorà della bocca”, che è la tradizione orale e mai troverete un ebreo che parte solo dalla Scrittura! I libri della Scrittura per Israele sono il testo della Bibbia al centro e tutto intorno la tradizione orale, cioè che cosa ci hanno insegnato i nostri padri, i maestri principali?… Questo si ritrova nella chiesa ortodossa, perché i monaci greci ortodossi non diranno mai che si parte dalla Bibbia, ma si parte dalla Bibbia con il commento di Basilio, di Gregorio Nisseno e di Crisostomo. Si legge il testo nella tradizione. E questo è molto cattolico, perché noi diciamo sempre che non c’è la “sola Scriptura”, ma c’è la tradizione. Questa tradizione da dove nasce, dove si sviluppa, come si evolve? Qui, nell’esilio babilonese, nasce tutto un sistema di religiosità che è sostenuto dalla parola scritta, attualizzata, interpretata secondo le varie tradizioni del popolo che si trova nella storia, disseminato in mezzo alle genti. Questa tradizione orale si articola intorno alle tre dimensioni fondamentali della Bibbia e cioè il rapporto con Dio, il rapporto con gli altri uomini e il rapporto con la terra. Questa è già la grande struttura della creazione. L’uomo è creato da Dio, quindi sopra di lui c’è il Signore e sotto di lui c’è la terra e a fianco a lui c’è la donna. Questa è la struttura della creazione; i primi due racconti della creazione in modo diverso presentano questa realtà e tutti i peccati umani sono o peccati contro Dio o peccati contro il fratello e la sorella o peccati contro la terra. Abbiamo il peccato del giardino, dell’uomo e della donna, il peccato di Caino e il peccato dei costruttori della torre di Babele. E quando questi peccati confluiscono in una situazione collettiva abbiamo il diluvio di Noè. Tutta la storia di Israele si deve studiare e pregare secondo quest’ordine: il rapporto con Dio, il rapporto con il prossimo, il rapporto con la terra. Però capite subito che quando questo diventa una religione, si comincia a vedere come ci si rapporta con il Signore… si crea tutto un sistema molto ricco di precetti, di canoni. In fondo i canoni del Diritto Canonico ripetono questa struttura. La morale si organizza in questo modo. In modo molto più ricco che al tempo della monarchia, dove bastava andare in pellegrinaggio presso certi santuari e celebrare certe feste liturgiche! Perché in questa situazione di sacerdozio laicale diventa, per esempio, molto importante la vita di famiglia. Non si va più al tempio, non c’è più! Bisogna che la casa familiare diventi un tempio e quindi la celebrazione del sabato che è proprio una liturgia domestica. La donna che accende le candele, si prepara la cena…il pranzo freddo del sabato perché non si cucina, tutte le regole più minuziose 29 che gli uomini sono capaci di inventare quando creano loro qualche cosa! Si determinano i giorni di digiuno, i modi di pregare. Quante volte al giorno si prega; si costituisce l’ufficio della preghiera (l’ordo), le feste liturgiche si arricchiscono di tante prescrizioni, nasce per esempio la cena pasquale. La casa diventa anche il luogo della catechesi, perché non c’è il tempio dove si fanno le lezioni. I sacerdoti non insegnano più, sono i genitori che insegnano ai bambini la fede. Come per esempio la struttura della cena pasquale: il più piccolo che domanda al papà: perché oggi si mangia questo e non quell’altro? Perché abbiamo queste erbe…? E il papà spiega! La scuola di catechismo diventa la famiglia e poi ci sono infinite prescrizioni di come si assistono gli anziani, di come si seppelliscono i morti… Tutto questo nasce nell’esilio, perché il popolo deve diventare lui il conduttore del culto del Signore e vedete come nascono queste figure poi della seconda parte dell’A.T. come Tobia. Tobia è a Ninive portato dagli Assiri, ma va seppellendo i cadaveri che trova per la strada, insegna al figlio di come andarsi a cercare la moglie e come pregare. Il libro di Tobia è un libro meraviglioso di religione familiare, di gente che non ha più il tempio, ha la nostalgia di Gerusalemme; ma alla fine stiamo in esilio e dobbiamo essere il popolo del Signore. Ester è una ragazza che fa parte dell’harem di Assuero; sta in una situazione – come dice nella sua preghiera – che gli pesa; dice: io non posso vedere il letto dei pagani! Però tu mi hai messo in questa situazione e io ti prego, Signore, perché ho soltanto te come mio sostegno! Cioè si può vivere di fede, di speranza e di carità anche in esilio. Questo è un fatto completamente nuovo da un punto di vista religioso. Alla fede, alla speranza e alla carità si aggiungono queste tre dimensioni, che si concretizzano nella preghiera, nella elemosina e nel digiuno. La fede ha bisogno di essere pregata per essere viva; la carità ha bisogno di diventare elemosina; e il rapporto con la terra si esprime con i digiuni per mostrare che la terra è importante, bisogna mangiare, bisogna alimentarsi, però non bisogna lasciarsi prendere da quell’ubriacatura della torre di Babele, in cui avendo scoperto come si costruiscono i mattoni, allora l’umanità si è ubriacata e vuole costruire una torre che tocchi il cielo. Questo ci invita a una grossa riflessione perché la religione è necessaria alla fede. Senza la struttura della nostra vita religiosa non si vive di fede, di speranza e di carità; bisogna concretizzarla anche in certe pratiche. Poi nella vita religiosa della chiesa è venuta fuori la povertà, la castità e l’obbedienza, ma sono ancora tre nomi delle stesse dimensioni: perché l’obbedienza è il rapporto con Dio, la povertà è il rapporto con la terra, la castità è il rapporto con i fratelli e le sorelle. Sono tutti nomi che si possono cambiare… questo vuol dire che la religione è mobile! Sono strutture che poi ciascuno arricchisce con le sue devozioni, con le su scelte, con le sue preferenze. Pensate cos’è nelle nostre chiese la devozione a Maria? La devozione a Maria conosce varietà infinite che sono tutte più o meno legittime. Generalmente teniamo di più alle cose create da noi che alle cose che vengono da Dio, ci parlano di più. Ricordo che da bambino andavo con mia madre nella chiesa del Gesù, era una messa squallida! Era tutto buio, in latino, e nessuno capiva niente, il sacerdote aveva le spalle rivolte verso il popolo. Finita la messa, s’accendeva improvvisamente tutta la 30 chiesa e suonava l’organo potentemente perché c’era la benedizione eucaristica. Perché quello era l’unico momento in cui il popolo cantava in italiano. La religione diventa allora più importante del sacramento della fede. Questo è un aspetto molto importante della nuova alleanza, perché da una parte questo creare un vocabolario, delle pratiche, delle tradizioni umane è necessario per sostenere la fede, la speranza e la carità; ma dall’altra parte c’è un grande pericolo: che la religione diventi più importante della fede e prenda il posto della fede. E questo è il problema che si trova davanti Gesù quando dice: Voi avete messo le vostre tradizioni di uomini davanti alla parola di Dio. Ma questo succede in tutte le generazioni. Anche perché la religione si crea a forza anche di cultura. Non basta solo la parola di Dio; si arricchisce la parola di Dio di tradizioni di uomini che vivono in una certa cultura. Certamente la nostra religione delle chiese latine risente dell’impero romano; basta vedere il culto che abbiamo del Papa e dell’imperatore. Il culto delle chiese bizantine risente dell’impero bizantino; il culto delle chiese russe risente della Russia degli zar. La lingua, i costumi, il modo di costruire le chiese, l’architettura, l’arte, l’iconografia. Tutto questo è nutrito dalla cultura del popolo in mezzo a cui viviamo, anche non cristiano. Che poi a un certo punto la nostra religiosità diventa irriconoscibile da parte degli ortodossi, perché sono colpiti più da certi effetti culturali nostri che dalla nostra fede, che è la stessa. Se io vado nella chiesa del santo Sepolcro e davanti all’altare della croce, greco, io mi faccio il segno della croce come facciamo noi, probabilmente ci sarà una vecchietta molto devota che mi verrà a dire che questo è eretico. Questo modo di farsi il segno della croce diventa più importante della fede! Ma questo purtroppo è comune ed è la tentazione della tradizione orale. Se la tradizione orale diventa più importante della tradizione scritta, e allora le tradizioni di uomini diventano più importanti della parola di Dio. E questo è nato prima di tutto nel momento dell’esilio. E’ nato prima di tutto in un senso positivo; perché veramente anche se oggi sono passati parecchi secoli dal VI secolo a. C. però se voi entrate in una famiglia ebraica come anche in una famiglia cristiana ben formata, voi avete una testimonianza di fede, di carità, di apertura ai poveri, che è estremamente edificante. Quindi, questa fede sostenuta dalla religione è una cosa sacrosanta ed è quello in cui dobbiamo impegnarci, pur mantenendo ciò che è di Dio e ciò che è degli uomini e quindi essendo pronti a cambiare, anche ad evolversi, come è avvenuto nelle chiese più o meno lentamente, più o meno rapidamente. Ma guai al lato negativo. Se per qualcuno il Concilio di Trento diventa più importante del N.T., allora abbiamo il caso di Lefevre, con le conseguenze che conosciamo; se qualcuno dice: meno male che la Scrittura è stata scritta in greco, perché il greco è più preciso dell’ebraico! Così abbiamo messo a posto certe cose definitivamente, attenzione, bisogna vedere. Perché se Dio ha parlato in ebraico, ha cominciato a parlare in un certo modo. La manomissione di ciò che è di Dio da parte degli uomini, magari fatta con le migliori intenzioni! Il rischio è che le nostre prescrizioni diventano più importanti del respirare davanti al Signore. Perché sto facendo questi libri “sentieri di vita”? Perché non ne posso più degli esercizi ignaziani! Perché S. Ignazio non era ignaziano. A un certo punto la costruzione ignaziana degli esercizi è diventato un prefabbricato che si ripete 31 continuamente e in cui dentro si utilizza la Sacra Scrittura. Non si può utilizzare la Sacra Scrittura in funzione di una creazione di un uomo. Allora, apprezziamo la dinamica ignaziana, ma cominciamo dalla parola di Dio. Quello che è importante è la parola di Dio. Però Ignazio mi rivela – e questo è il suo dono nella chiesa – una maniera di leggere la parola di Dio che non sia lo studio accademico, perché questo è l’altro estremo. La Scrittura diventa uno studio accademico riservato agli iniziati che poi non vogliono più parlare. Diversi esegeti vi diranno: a me la Bibbia interessa come libro e come letteratura, ma non voglio entrare nella teologia, perché la Bibbia è parola di Dio e la teologia è parola di uomini; non mi ritrovo nella teologia! Ma la parola di Dio deve servire al popolo di Dio per vivere di fede, non per fare discorsi accademici. Allora, partiamo dalla parola e Ignazio ci ha rivelato che si legge la parola per convertirsi alla parola, non per studiare la parola, per fare conferenze semplicemente; che la Bibbia è un corso di esercizi spirituali che Dio fa fare al suo popolo e allora è preziosa la dinamica ignaziana. Il fatto di dire che questa parola che tu hai capito va pregata e poi ti devi convertire ad essa. Soltanto allora capirai la parola di domani! Però diamo a Dio quello che è di Dio e a Ignazio quello che è di Ignazio e non forziamo la parola di Dio dentro un discorso umano che è tra l’altro un discorso del ‘500 e quindi non può essere automaticamente il nostro modo di parlare di oggi. E’ ignaziano questo? Secondo me sì, ma certamente non è quello che molti miei confratelli fanno, invece essendo assolutamente rigidi nelle settimane ignaziane, dove si fa la meditazione, dove si fa la riflessione… Guai se tutte le nostre spiritualità, le regole religiose… diventano più importanti del N.T. Quando l’umano viene prima, la religione prende il posto della fede. Ma questo è il problema della nuova alleanza, perché da una parte, questo dà una solidità alla vita religiosa che certamente non c’è senza di questo, ma d’altra parte questo può diventare addirittura un sostituto della vita di fede. Quando dire il rosario diventa più importante che fare un atto di carità… Il grande problema del giudaismo oggi è quello che dopo la seconda distruzione del tempio, da parte dei Romani, i Giudei si sono ritrovati in una situazione simile a quella del VI secolo e si è ripresentata la stessa esigenza di rinforzare. Ormai il popolo ebraico era sparso nella diaspora; non c’era più nemmeno la terra propria, e allora hanno deciso di mettere per iscritto la tradizione orale ed è nato il talmud. E questa continuano a chiamarla la tradizione orale, ma è in realtà la quantità di libri. E se voi mettete per iscritto la tradizione orale, siete ingessati! Noi non abbiamo messo per iscritto la tradizione. La tradizione orale deve rimanere orale per poter cambiare, per poter progredire, per poter adattarsi alle situazioni storiche. La religione deve sostenere la vita teologale, che è essenziale! Senza sacramenti si può vivere, ma non senza fede, speranza e carità. Ci sono dei santi che non hanno potuto celebrare l’Eucaristia nel campo di concentramento, né altri sacramenti, ma sono diventati santi per un aumento di fede, speranza e carità. E la fede precede anche il battesimo, che è il segno della fede. Però senza sacramenti, senza vita religiosa, senza una prassi religiosa non si può vivere finalmente di fede; la fede non è un nome astratto, bisogna metterlo in pratica, bisogna viverlo. Ciascuno lo vivrà nella sua cultura, nella sua lingua, secondo le sue tradizioni, ispirandosi al modo di pregare 32 orientale, occidentale… E questo problema è un problema di nuova alleanza; è un problema che ce lo portiamo appresso nelle varie età… Se io ricordo la pietà a cui siamo stati educati nel noviziato nel 1944, non lo riconosco certamente nei novizi che incontro oggi. Certo ci ha educato a qualche cosa che siamo invitati a rivivere nelle situazioni di oggi, non ripetendo le stesse forme, ma incarnandole in un altro modo di essere. Però è un impegno; ciascuno è responsabile. Che cosa è diventata la mia pietà, la mia preghiera, la mia elemosina, il mio digiuno? E non è detto che allora bisogna ritornare a mangiare il pesce tutti i venerdì; no, bisogna ritrovare un modo serio di digiunare che corrisponda al significato che il digiuno ha nell’educazione che Dio dà al suo popolo. Chiediamo il Signore che illumini ciascuno e anche ciascuna comunità, perché in queste cose ci si sostiene anche insieme. Perché se quello vicino a me, invece di pregare sta con la radio accesa e un altro sente la musica, la mia preghiera diventa non solo disturbata, ma mi sento solo, abbandonato… Questo è un problema di nuova alleanza.