Di questo lavoro è possibile leggere un

Transcript

Di questo lavoro è possibile leggere un
I Mizuko Kuyo tra lutto, colpa e consolazione
Our is a society that seems to have long cherished the belief that through adequate definitions
it might achieve some salvation from its most troubling problems. There has been, in both
private and public talk, a great fondness for the phrase “merely a matter of semantics” - as if
matters of substantive difference do not exist and the only problem we have is the relatively
easy one of clarifying a few key terms […] if only we could pass the 'right' laws or repeal
certain other laws, our society would be on the road to solving its deepest social problems1
La maggior parte della popolazione Giapponese tende a non identificarsi all’interno di un’unica
fede religiosa, e a incorporare nel proprio orizzonte religioso, elementi derivanti dalle diverse realtà
religiose, in quella che possiamo definire una serena libertà di culto verso ogni tipo di fede.
Le principali religioni che informano la cultura giapponese sono lo Shintō (lett. Via degli Dei) e il
Buddhismo; accanto ad esse, troviamo una forte influenza del pensiero confuciano che, benchè mai
evoluto in culto vero e proprio in terra giapponese, è penetrato in profondità nella realtà locale, in
particolare nella strutturazione della famiglia e nel culto degli antenati.
Accanto a queste, troviamo quelle che vengono chiamate Nuove Religioni, termine che indica
un’ampia gamma di movimenti religiosi di origine mediamente recente, spesso nate intorno a figure
carismatiche di guaritori o sciamane, che uniscono insieme elementi shintoisti, buddhisti e cristiani.
Esistono poi una serie di minoranze religiose tra cui il Cristianesimo, che conta tra 1 e 3 milioni di
fedeli, l’Islam, l’Hinduismo, la religione Bahai, il Jainismo e le religioni proprie delle isole di
Okinawa.
L’organizzazione dello spazio e del tempo
È una caratteristica delle culture popolari stabilire i confini di uno spazio sacro separato da quello
profano attraverso leggi molto precise.
Ogni cultura opera delle scelte per definire lo spazio sacro, le sue specificità e i suoi limiti, e
queste scelte non sono mai casuali. All’origine vi è un’organizzazione generale
dell’ecosistema; in questo ordinamento viene designata la porzione spaziale più adatta a
riassumere le connotazioni del sacro2
Ma cosa viene prima, la definizione culturale su cui si struttura la vita economica, o al contrario,
viene prima quest’ultima e l’elaborazione simbolica giunge come supporto? La relazione in realtà è
bidirezionale, assistiamo a un continuo rimando tra i due aspetti della questione; se da un lato
l’elemento pragmatico condiziona il panorama culturale, a sua volta questo plasma inevitabilmente
la vita socio-economica delle comunità umane. Vi è quindi un dialogo continuo e reciproco tra la
cultura e l’ambiente, che mira a individuare in primo luogo i confini entro cui si ha l’agire umano, e
quindi i confini di cui ha bisogno una determinata società per autodeterminarsi; serve quindi a
creare quell’opposizione – culturale – tra natura e cultura.
Il Giappone non fa eccezione; è qui di notevole rilevanza, per la strutturazione di questo sistema, la
rivoluzione del 300 a.C., che introduce nel paese la risaia. Quest’elemento è il punto focale intorno
al quale ruota la concezione dello spazio giapponese; la sua introduzione comporta un notevole
intervento dell’uomo sulle terre, fino ad allora incolte, e richiede l’utilizzo di tecniche molto più
complesse rispetto a quelle legate al “taglia e brucia”, fino ad allora praticato. La risaia, ta 田,
trasforma il territorio, lo organizza e lo suddivide. Le attività ad essa legate, inoltre, scandiscono
allo stesso modo il tempo; la vita dell’uomo e il suo lavoro inizia così ad organizzarsi su ritmi
precisi, basati sull’acqua e sull’alternanza delle stagioni.
Nasce così il villaggio, sato 里, che con la risaia, ta 田, circoscrive lo spazio umano, e impone una
cesura netta tra la pianura, sede della vita umana, e la montagna, yama 山, impenetrabile, dalla
1 LaFleur W., Liquid life. Abortion and Buddhism in Japan,1992, Princeton University Press, pag. 14.
2 Ibid., pag. 631.
1
vegetazione fitta e selvaggia. Mentre il sato è la rappresentazione dello spazio ordinato, articolato, il
luogo degli uomini e della loro attività, la montagna è lo spazio disordinato, inarticolato, selvatico; è
il regno naturale in cui l’uomo non può e non deve interferire. Questo spazio selvaggio e
impenetrabile è associato a tutto ciò che non è umano;
Questa dimensione ‘altra’, che appartiene agli spiriti, è shinken to shita 森閑とした,
spazialità di silenzio e solitudine, ed è anche shingenna 森厳な, solenne, grave, che ispira
timore reverenziale.3
È sulla montagna che riposano i morti4, è nella montagna che risiedono i kami, i buddha e i
bodhisattva, e per questo molte montagne in Giappone sono sacre, e hanno dato origine a molte
pratiche cultuali e ascetiche; è il luogo per eccellenza dell’incontro con il sacro.
Su questo binomio spaziale si fonda la dicotomia tra omote 面 e ura 裏; omote indica il viso di una
persona, ma anche la maschera, la “faccia sociale”, ciò che è pubblico, codificato, il comportamento
accettabile che può essere manifestato. Al polo opposto abbiamo ura, che indica la parte nascosta
delle cose e dell’uomo, ciò che è interno, in ombra; qui si innesta il concetto di oku 奥, come la
profondità, il cuore intimo delle cose, l’angolo più nascosto. Questa demarcazione non è secondaria,
perché dà motivo dell’esigenza costante di racchiudere ciò che è segreto, di nasconderlo alla vista.
Il potere sacro può manifestarsi solo in questa dimensione di oku, di nascosto, e l’organizzazione
dello spazio sacro indica sempre un movimento verso un cuore intimo, verso appunto l’oku.
Le cesure, in ogni caso, non sono mai nette, ed esistono delle zone di confine, delle aree grigie, più
pericolose, perché meno strutturate, in cui è possibile entrare in contatto con gli esseri sopranaturali;
questa zona intermedia, in alcuni casi individuata nel satoyama 里山, il territori a metà tra coltivato
e selvaggio, ha delle caratteristiche particolari. Solitamente individuato in quelle zone elevate e
ricche di vegetazione ai margini dei campi, il rapporto tra uomo e natura è qui in bilico tra una
possibilità di controllo dell’uomo sull’elemento naturale, e al contrario una condizione di
dipendenza dell’uomo dalla natura. È un ecosistema precario e ambivalente, e l’intervento
dell’uomo non può mai essere completamente strutturante: questa caratteristica si rispecchia nella
concezione del satoyama come spazio ambivalente. Qui troviamo tutte quelle figure indefinite che
rappresentano le trasformazioni e la fuoriuscita dai confini tracciati; non a caso è in questo spazio
che vagano i morti inquieti, tutte quelle anime che, non più tra i vivi, non riescono tuttavia a
raggiungere la pace definitiva nel mondo dei morti.
Come accennato sopra, anche il tempo viene rielaborato con l’introduzione della coltivazione
risicola; la nuova temporalità è caratterizzata da ritmi regolari, cadenzati, fonte quindi di sicurezza e
stabilità, e l’esistenza acquista così una dimensione di prevedibilità. Come per lo spazio, con la
risaia l’uomo può imporre i propri ritmi e i propri tempi sull’imprevedibilità della natura; inoltre,
dato il carattere stesso dell’attività agricola legata al riso, il tempo umano assume la peculiarità di
ciclicità.
Il tempo dell’agire umano viene scandito da alcuni momenti di passaggio, corrispondenti all’inizio
o alla fine di alcune fasi di coltura del riso, che entrano a far parte della dimensione religiosa; sono
questi momenti sacri che marcano la temporalità quotidiana, e che danno contemporaneamente la
dimensione di un tempo altro.
L’anno giapponese è scandito da numerosi riti e festività legati ai vari momenti di attività agricola, a
partire dal ta asobi 田遊び, che consacra l’inizio della coltivazione; da qui in poi tutte le fasi più
delicate o significative vengono accompagnate da altrettanti rituali, fino alla conclusione del
raccolto e al festeggiamento, con la cerimonia del niinamesai 新嘗祭.
Oltre ai riti legati alla coltivazione del riso, ne possiamo trovare tutta un’ampia tipologia, in cui è
riconoscibile la struttura binaria di natura-cultura applicata alla dimensione temporale; se esiste il
3 Raveri, op. cit. pag. 20 – 21.
4 Possiamo infatti notare che le famose tombe a tumulo, i kofun, riprendono nella loro forma la sagoma dei monti.
2
tempo fatto proprio dall’uomo, esistono momenti di transizione, un tempo “altro” su cui l’uomo non
agisce, e in cui la sua attività si riduce. Momenti del genere sono lo Shōgatsu 正月, il capodanno, e
il bon 盆, a metà estate; entrambi questi momenti corrispondo a una pausa o una riduzione
dell’attività umana, e a questa diversità nel fluire del tempo corrispondono avvenimenti particolare.
Non a caso sono questi i periodi in cui si attende il ritorno dei morti.
Infine, ricordiamo che, come in ogni società, la temporalità scandisce i ritmi e i cambiamenti della
vita umana. Il crescere fisico è suddiviso in varie fasi, per ognuna delle quali viene indicato un
ruolo ben definito, e con essi obblighi e divieti.
Mizuko Kuyo
Questa lunga parentesi analitica, apparentemente non correlata strettamente con il cuore del nostro
discorso, ha lo scopo fondamentale di fornire un retroterra, una cornice di pensiero entro cui il culto
dei mizuko va a trovare la propria collocazione; non è infatti cosa facile affrontare questo tema
senza fornire una descrizione, per quanto approssimativa, di cosa si intende per religione e per
morte in una dimensione culturale così diversa rispetto alla nostra.
La popolarità delle pratiche che rientrano sotto questo nome ha visto un picco verso la metà degli
anni Settanta del secolo scorso, quando sono stati filmati e ripresi alcuni di questi riti e trasmessi
sulla televisione come esempio di particolari pratiche in aree localizzate.
Il termine mizuko 水子 viene tradotto letteralmente con bambino d'acqua, e in tempi recenti ha
iniziato a rappresentare l'anima dei bambini abortiti5. L’immaginario vede gli spiriti dei bambini
radunarsi lungo il del fiume dei morti, sai no kawara, incapaci di attraversarlo perché i demoni
impediscono loro di salire sulla barca che conduce al di là; su questa riva grigia, quindi le piccole
anime giocano, e cercano di costruire degli stūpa con i sassi del fiume, in modo che quest’azione
permetta loro di accumulare meriti e di raggiungere l’altra sponda del fiume o una rinascita
immediata; immancabilmente i demoni arrivano e distruggono senza pietà le costruzioni, e
immancabilmente i piccoli spiriti ricominciano da capo. È un'immagine estremamente tristi, dove la
piccola anima è rappresentata sola, spesso dimenticata dai genitori, e incapace di liberarsi da questo
luogo di pena, per certi versi simile al Limbo cristiano, a metà tra la vita e la morte.
Nelle diverse preghiere e composizioni in cui questa credenza può essere rintracciata, ad un certo
punto entra in scena il bodhisattva Jizō, divinità estremamente popolare in Giappone, le cui valenze
analizzeremo più avanti, che distrugge i demoni e salva i piccoli dal loro stato di tristezza e miseria.
L'insieme dei riti per i mizuko opera a partire da questa visione, da questa immagine molto vivida di
quanto accade alle anime dei bambini abortiti nell'aldilà, elaborando diverse varianti o mettendo
l'accento su diversi elementi.
Possiamo qui sottolineare che l’azione di Jizō contro i demoni, in difesa delle piccole anime
solitarie, è estremamente rapida e totalizzante, e non lascia spazio alla descrizione dell’effettivo
scontro tra queste due figure: in altre parole, non esiste un vero scontro tra bene e male, tra demoni
e dio salvatore, ma anzi l’azione di Jizō è assoluta e totalizzante, garantendo alle anime dei piccoli
bambini l’immediata salvezza.
Inoltre, possiamo ancora notare la componente di sorprendente indifferenza che i genitori sembrano
provare nei confronti di queste anime sole, elemento che in alcuni inni può giustificare il
risentimento da parte dei mizuko verso la famiglia che lo ha respinto, ma che più spesso ha la
funzione narrativa di sottolineare la triste condizione delle anime erranti.
Nella pratica, possiamo individuare diverse attività cultuali dei mizuko kuyo, a seconda delle
dimensioni, dei tipi e dei costi del rito prescelto.
Un primo genere di riti, certamente i più semplici e forse anche i più antichi, sono quelli che
vengono gestiti dalle donne della comunità locale, che si sono organizzate in sorte di associazioni
informali per prendersi cura del santuario locale di Jizō. Si tratta di una sorta di cura perpetua
5 Il termine si riferiva per estensione anche ai bambini nati morti, morti poco dopo la nascita o morti in tenera età. La
particolare connessione con l'aborto è emersa intorno alla metà del secolo scorso.
3
rivolta ad una statua collocata agli incroci o sul ciglio della strada. Tale cura consiste nel
posizionare dei fiori di fronte alla statua, nel lavarla di tanto in tanto, e nell'accensione di qualche
bastoncino di incenso. I santuari di Jizō, la cui protezione si rivolge tanto ai bambini morti in tenera
età quanto ai bambini abortiti, sono quindi spesso il più vicino possibile alle diverse comunità
locali.
Ad un secondo livello, possiamo individuare i riti che hanno il loro fulcro nell'altare domestico,
dove i mizuko vengono incorporati alla stregua di ogni altro antenato della famiglia. In questo caso
non vengono individuate nette distinzioni tra le due categorie di spiriti, e il mizuko viene ricordato e
omaggiato insieme agli altri antenati sul butsudan.
Passando ad un livello di maggior complessità, e uscendo in qualche modo dalla dimensione privata
e domestica, si collocano altri tipi di attenzioni, in primo luogo la commissione di una statua ad
immagine di Jizō, e la sua collocazione rituale all'interno di uno degli ormai numerosi cimiteri
adibiti al culto dei mizuko. Tali cimiteri sono nati, di solito, in connessione ai templi del Buddhismo
istituzionale, ma si è assistito negli ultimi anni alla nascita di luoghi e di templi indipendenti che si
occupano esclusivamente della commemorazione dei mizuko: si tratta in questi casi di istituzioni
che non hanno una storia antica, né legittimazione da parte delle fonti classiche, e che assomigliano
di più ad iniziative imprenditoriali, i cui intenti commerciali sono evidenti.
All'interno dei grandi templi buddhisti, i rituali per i mizuko hanno in ogni caso trovato la loro
propria dimensione. In particolare, in molti luoghi di culto, si può trovare una grande statua di Jizō,
o anche un gruppo di sei statue più piccole, con un bavaglino rosso. È qui che i genitori che hanno
compiuto un aborto possono eseguire dei semplici riti di commemorazione; si inchinano
profondamente, osservando un rispettoso silenzio, accendono qualche candela e recitano brevi
preghiere. Alcuni templi riservano nicchie al cui interno possono essere collocate bambole e altri
piccoli oggetti e giocattoli che rappresentano un legame con il bambino o il feto abortito. All'interno
di alcuni templi è possibile trovare un cimitero dedicato a Jizō, rivolto specificamente ai bambini
abortiti.
Al di fuori del Buddhismo, i mizuko kuyo sono stati oggetto di attenzioni da parte di quelle che
vengono definite Nuove Religioni, culti nati a partire dalla fine della seconda guerra mondiale
dall'attività di una figura carismatica che ha raccolto intorno a sé un buon numero di fedeli. Le
nuove religioni spesso incorporano elementi misti di Cristianesimo, Shintoismo e Buddhismo, e
anno forti elementi sciamanici, proprio nella figura del fondatore (o della fondatrice) e dei suoi
eredi.
In generale, i rituali per i mizuko vengono eseguiti in vari momenti dell'anno, a partire dalle feste
per gli spiriti degli antenati, come il bon, la festa per i morti di Agosto, quando gli defunti fanno
ritorno alle loro dimore e alle loro famiglie tra i vivi. Si tratta di riti di preghiera, in cui gli officianti
e i fedeli si riuniscono per rendere omaggio ai defunti; a volte, accanto alle preghiere, i fedeli
scrivono dei brevi messaggi ai bambini, oppure ergono statue del dio Jizō come omaggio al mizuko.
Oltre a questi momenti di preghiera legati al ritorno degli antenati, i riti per i mizuko possono essere
tenuti regolarmente su base annuale, mensile o a richiesta dei fedeli interessati; alcuni templi inoltre
hanno istituito servizi di preghiera e ricordo dedicati espressamente ai mizuko. Portiamo ad esempio
il tempio Ninnanji, che offre dei servizi speciali per i bambini abortiti con cadenza mensile, o il
tempio Adashino Nenbutsu-ji di Kyoto che conduce mizuko kuyo speciali il 24 di ogni mese.
Questa breve descrizione non può che essere preliminare ad un'analisi più approfondita dei
significati e delle valenze religiose che soggiacciono ai rituali, e delle motivazioni che agiscono da
spinta per la perdurante forza di queste attività.
Questo breve cenno sulla ritualità connessa ai mizuko cerca in primo luogo di portare alla luce una
realtà diversa, in cui l’aborto e le problematiche individuali ad esso connesse vengono ritualizzate
ed elaborate in un prospettiva non intimistica ma in certa misura pubblica e sociale. Si è voluta dare
una breve descrizione del fenomeno, così da poter fornire una suggestione su quanto accade in terra
nipponica, tenendo presente gli elementi di confronto e spesso aspro contrasto tra diverse
4
interpretazioni del fenomeno. Si è voluto presentare la possibilità di avvicinarsi alla difficilissima
tematica dell’aborto non a partire dai confronti cui siamo abituati, ma da un punto di vista diverso,
nella convinzione che nuove prospettive possano favorire un discorso diverso e una possibile
diversa direzione del dialogo.
5