“Le notti bianche”: biografia di un sognatore

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“Le notti bianche”: biografia di un sognatore
Introduzione
“Le notti bianche”:
biografia di un sognatore
Nel numero di novembre della rivista «Annali patrii» (Otečestvennye zapiski) dell’anno 1848 Fëdor
M. Dostoevskij, all’età di ventisette anni, pubblicò
uno dei racconti tra i più riusciti del periodo giovanile: Le notti bianche, dal doppio sottotitolo «Romanzo sentimentale. Dai ricordi di un sognatore»,
che dedicò a A. Pleščeev, «al primo poeta degli anni
Quaranta», il compagno dei circoli semiclandestini di impronta utopico-socialista. Non si può escludere che l’autore abbia visto in A. Pleščeev uno dei
prototipi per il protagonista del suo racconto; infatti Dostoevskij aveva scritto il racconto in un periodo di una loro stretta amicizia ed assidua frequentazione dei circoli A. e N. Beketov, M. Petraševskij
e S. Durov.1
Successivamente, nel 1859, ormai tornato dal suo
quasi decennale esilio in Siberia, durante il breve
soggiorno a Tver’ apportò alcune correzioni al racconto, come del resto corresse tutte le opere scritte prima dell’esilio: cancellò significativamente la
1
Cfr. il commento a Le notti bianche in F. Dostoevskij, Polnoe sobranie
sočinenij v tridcati tomach (d’ora in poi citata come Polnoe sobranie), vol. 2,
Leningrad 1972, pp. 485-91.
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frase che un condannato di fronte all’esecuzione,
anche se ha un cuore di pietra, sente pentimento
e rimpianto. Certamente le esperienze vissute sulla piazza Semënovskaja (Dostoevskij con gli altri
membri del circolo Petraševskij era stato portato
in piazza per l’esecuzione e solo nell’ultimo istante la pena di morte fu commutata in deportazione)
gli avevano insegnato qualcosa. Fu aggiunto invece il brano che indica i personaggi storici e letterari tanto amati dal «sognatore» de Le notti bianche e
tolta la dedica ad A. Pleščeev. Con tali correzioni la
versione del 1859 venne anche in seguito considerata come definitiva; comunque questi cambiamenti
e ritocchi non sono così essenziali da poter parlare
di due opere completamente diverse come è avvenuto per Il sosia (Dvojnik).
Ne Le notti bianche è intrecciato come un filo di
Arianna il tema del sognatore con il quale Dostoevskij
ha un rapporto estremamente personale: negli anni
Sessanta F. Dostoevskij confessa che anch’egli apparteneva a tale categoria. Nelle lettere del periodo
giovanile più di una volta troviamo delle lamentele
di Fëdor Michajlovič per la sua solitudine, sempre
sorella del sognatore, accanto al desiderio inappagato di trasformare la propria vita in un’opera d’arte, proprio la stessa aspirazione che aveva nutrito
anche il protagonista del racconto.2
Un anno prima della pubblicazione de Le notti
bianche, al tema del sognatore fu dedicato il quarto
2
Cfr. la lettera di F. Dostoevskij al fratello Michail del 24 marzo 1845,
in Polnoe sobranie, cit., vol. 28, 1985, p. 107.
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e ultimo feuilleton su Pietroburgo che F. Dostoevskij
pubblicò il 15 giugno 1847 (gli altri tre furono pubblicati il 27 aprile, l’11 maggio, il 1° giugno) sulle
pagine del giornale «Notizie di Sanktpietroburgo»
(«Sanktpeterburgskie Vedemosti», organo dell’Accademia Imperiale delle Scienze). F. Dostoevskij accettò questo incarico, avuto per intercessione di V.
Sollogub, l’autore dell’allora celebre romanzo Tarantas, probabilmente per migliorare un po’ le sue finanze molto compromesse dai debiti suoi e del fratello Michail. F. Dostoevskij sostituì un giornalista
e pubblicista assai noto in quegli anni, E.I. Guber,
che era morto proprio verso metà aprile dello stesso anno.3 Il nucleo centrale dei quattro feuilleton è
centrato su Pietroburgo, le cui immagini si alternano tra due poli, quello della realtà e quello del sogno, quello della cronaca e quello della fantasmagoria, due facce che rivelano la doppia Pietroburgo.
Quest’ampia confessione su Pietroburgo, del resto
molto personale, diventa l’asse portante del racconto
sentimentale di un sognatore durante le notti bianche. Nel terzo feuilleton Fëdor Michajlovič scrive:
«Tutti si osservano e si saggiano a vicenda con occhi curiosi. Ne viene fuori una sorta di confessione
generale. La gente si racconta, si descrive minuziosamente, si analizza davanti al mondo intero, spesso con dolore e sofferenza».4 Proprio un monologo così sincero e leggermente ironico darà ritmo a
3
V. Nečaeva, Rannij Dostoevskij 1821-1849, Moskva 1979, p. 198.
F. Dostoevskij, Peterburgskaja letopis’ (trad. it. Cronaca di Pietroburgo, a cura di M. Romano, Sugar, Milano 1978, p. 61), in Polnoe sobranie,
cit., vol. 18, 1978, p. 30.
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Le notti bianche, il cui protagonista è stato modellato sull’esempio dei sognatori degli anni Quaranta;
Dostoevskij ne dà un’ampia descrizione nell’ultimo feuilleton, descrizione che sarebbe in gran parte
coincisa con la presentazione del sognatore nel racconto: «Talvolta, in caratteri assetati di attività, assetati di vita immediata, di realtà, ma deboli, femminei, delicati, nasce pian piano quella che si chiama
tendenza alla fantasticheria, e l’uomo finisce col diventare non più un uomo, bensì uno strano essere di
genere neutro – il sognatore... Sono cupi e taciturni con il loro prossimo, sprofondati in se stessi, ma
amano tutto ciò che è lento, leggero, contemplativo... Amano leggere, leggere ogni sorta di libri, anche seri, specialistici, ma, di solito, dopo la seconda o terza pagina, abbandonano la lettura, perché
già pienamente soddisfatti. La loro fantasia, mobile, leggiadra e volatile, è già risvegliata, l’impressione è già scattata...».5
L’eroe nel racconto Le notti bianche narra personalmente la sua avventura: è sempre il sognatore
dei feuilleton, ma assai più studiato e approfondito, mentre certe descrizioni di Pietroburgo all’inizio dell’estate sono letteralmente riprese dai feuilleton stessi.6
In uno studio dedicato a Dostoevskij e ai suoi
personaggi sdoppiati il critico G. Gesemann considera il personaggio maschile de Le notti bianche
5 F. Dostoevskij, Peterburgskaja letopis’, cit., pp. 32-33 (trad. it. pp. 64-66).
6
P. Pascal, Dostoevskij: l’uomo e l’opera, Einaudi, Torino 1987, p. 50.
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un mascherato e scisso individualista;7 il sognatore
pietroburghese, come del resto altri personaggi di
Dostoevskij quali Ordynov, giovane studente protagonista de La padrona (Chozjajka, 1847), ed il giovane del Cuore debole (Slaboe serdce, 1848) sono, secondo il critico, cugini di primo grado, per la loro
natura demoniaca, di German della Dama di picche
di A. Puškin. Ognuno di questi personaggi è una
variante di un German immerso in un universo di
illusioni che distruggono la sua volontà e con essa
indeboliscono il suo individualismo demoniaco.
Più convincente, anche se più restrittiva, ci appare
l’analisi di V. Kirpotin, che nei racconti del giovane
Dostoevskij (come La padrona, Le notti bianche) e nel
romanzo incompiuto Netočka Nezvanova riconosce
un atteggiamento critico dell’autore nei confronti
del «sognatore romantico». Nel quarto feuilleton,
afferma Kirpotin, Dostoevskij definì il sognatore romantico come un fenomeno di indifferenza sociale
nei confronti del progresso e della trasformazione
della vita sociale; di conseguenza le sue opere sul
sognatore vanno intese come un’interpretazione artistica della tesi racchiusa nel feuilleton.8
Ma non vi è alcun dubbio che i feuilleton, come
del resto i racconti, racchiudono una problematica assai più ampia e più profonda. Nel racconto La
padrona il protagonista è immerso in un mondo ai
margini tra la realtà e il sogno, è soprattutto un artista della scienza di impronta hoffmanniana, men7
G. Gesemann, Der Träumer und der Andere, in Dostoevskij-Studien,
Reich­enberg 1931, pp. 7-18.
8 V. Kirpotin, Molodoj Dostoevskij, Moskva 1947, pp. 258-97.
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tre ne Le notti bianche ci imbattiamo in un «giovane
schilleriano», ci aggiriamo in un labirinto di «escapismo» estetico, estremamente vitale nella cultura
russa degli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento,
alla base del quale stava la teoria di Schiller sull’educazione estetica dell’uomo. Le cause che portarono alla popolarità e all’esaltazione di Schiller
come poeta e ideologo nella «fortezza del dispotismo» (così la giovane intelligencija aveva definito
la Russia di allora, in particolare dopo la sconfitta
della rivolta decabrista del 1825) sono abbastanza
chiare ed evidenti.9 Dopo ogni ondata di repressione da parte del potere, l’attività sociale assumeva
un carattere maggiormente astratto e l’ideologia
della protesta e dell’ira si trasformava in una utopia estetica. Infatti l’ideale estetico dell’uomo è indubbiamente quello più astratto e staccato dalla vita
reale. In una situazione sociale di questo tipo l’interesse per Schiller,10 in particolare per la sua idea
della libertà e per l’interpretazione dell’«anima bella», diventa pienamente comprensibile; ma questo
ideale estetico dell’«individuo libero» di Schiller,
diventato tanto caro ad A. Herzen e N. Stankevič,
non era poi così innocente... Non per niente, rimproverando nel 1848 A. Smirnova, Nicola I ebbe ad
affermare: «Il vostro Schiller e Goethe hanno rovinato la gioventù e hanno preparato l’anarchia». Ni9 Cfr. P. Čyževskij, Schiller v Rossii, in «Novyj žurnal», Tom XLV, 1954;
O. Peterson, Schiller und die russischen Dichter und Denker des 19 Jahrhunderts 1805-1881, New York 1939.
10 M. Berman, Pietroburgo: il modernismo del sottosviluppo, in L’esperienza della modernità, il Mulino, Bologna 1985, pp. 221-72.
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cola I esagerava certamente, ma non di tanto... In
quei tempi l’«escapismo» estetico era, nonostante
tutto, un’espressione di una protesta inconciliabile ed in ogni circostanza favorevole avrebbe potuto trasformarsi in una ideologia dai concreti contenuti politici.
La stima e l’ammirazione per Schiller, anche sullo
sfondo dell’entusiasmo generale, erano per Dostoevskij
del tutto eccezionali: questa passione per l’autore
de I fratelli masnadieri era incominciata nell’infanzia e, con pochi intervalli, durò fino alla morte di
F. Dostoevskij. A dieci anni aveva visto la rappresentazione de I fratelli masnadieri e l’impressione
di questo spettacolo l’accompagnò per vari decenni, al punto di non scordarsene mai nell’età adulta. Schiller, attraverso le traduzioni di V. Žukovskij,
era entrato nell’elenco delle letture preferite dei fratelli Dostoevskij; è un fatto non ignorato dalla critica che F. Dostoevskij, con uno dei suoi compagni di
scuola, Ivan Berežyckij, s’immergeva estasiato nella
lettura di Schiller.11 Quando, durante gli studi all’Istituto di Ingegneria, suo fratello Michail gli rimprovera una scarsa conoscenza di Schiller, il futuro
autore de Le notti bianche gli risponde così in una lettera del 1° gennaio del 1840: «Mi hai scritto, fratello,
che non ho letto Schiller. Ti sbagli, fratello. L’ho imparato a memoria. Parlavo e sognavo, fratello, con
le sue parole. Penso che il dono più grande del destino è stato di conoscere il grande poeta nella mia
11
Cfr. A.I. Savel’ev, Vospominanija o Dostoevskom, in «Russkaja starina», nn. 1-2, 1918, pp. 15-16.
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vita di quel momento. Non avrei mai potuto conoscerlo meglio se non allora».12
Il propugnatore dell’educazione estetica e del
perfezionamento individuale dell’uomo, l’autore del Don Carlos, aveva sollevato un dubbio essenziale quando arrivò alla convinzione che il piano radicale del perfezionamento umano, proposto
dai pensatori dell’Illuminismo, non avrebbe potuto essere mai realizzato: la Rivoluzione francese e
la violenza collegata ad essa erano per Schiller una
chiara dimostrazione che l’umanità non era ancora giunta alle grandi mete. Una educazione estetica che sviluppasse nell’individuo tutte le virtù donategli dalla natura avrebbe dovuto sviluppare ed
accrescere in ognuno qualità tali che, trasmesse di
generazione in generazione, avrebbero infine sollevato il livello morale dell’umanità intera e l’avrebbero preparata ad una serie di mete e di aspirazioni
comuni a tutto il genere umano. Questa grandiosa
utopia schilleriana aveva chiaramente un’impronta
sociale. I comuni sforzi di tutta l’umanità avrebbero dovuto giungere al risultato di creare uno stato
ideale dove si sarebbero riconciliati sia gli interessi individuali, dalla matrice egoista, sia le necessità generali della comunità. Questa armonia avrebbe potuto essere raggiunta solo grazie al «bello»: il
ruolo dell’arte, dell’amore e dell’amicizia vengono considerati da Schiller in questo processo come
essenziali. Fra i due tipi umani che nell’ideologia
dell’autore de I fratelli masnadieri svolgono un ruo12
Lettera a M.M. Dostoevskij del 1° gennaio 1840, in Polnoe sobranie,
cit., vol. 28, 1985, p. 69.
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lo di primaria importanza, la palma viene attribuita agli idealisti e non ai realisti. Il realista, secondo
la concezione schilleriana, in ogni determinato avvenimento opera solo per cause esterne e solo per
scopi esterni; sempre e dappertutto il suo punto di
riferimento saranno le leggi della natura, l’aspetto
concreto della realtà e quello definitivo del mondo.
Un realista non oserebbe mai concedere all’uomo la
libertà, in quanto essa è considerata da lui la fonte
della vendetta e della disperazione, del male e dell’anarchia. Un realista conosce con estrema chiarezza
i suoi limiti, ciò che può e ciò che non può, e i suoi
pensieri non oltrepassano mai tale limite. L’idealista invece considera la sua volontà come fonte delle proprie aspirazioni e conoscenza, e come volere
supremo la libertà del proprio io. Si tratta di un sognatore che grazie all’arditezza del suo spirito può
realizzare l’utopia estetica di Schiller. Finché la società è organizzata in uno «stato etico di dovere» l’idealista è obbligato a portare la sua utopia estetica
nell’intimo del proprio io. L’individuo può raggiungere la libertà non tanto nella sfera dell’azione politica e dell’attività sociale, quanto nello spazio ideale del bello. In tale dimora dell’ideale, nello spazio
dello spirito, potrà entrare solo l’uomo che possiede un’«anima bella», «die schöne Seele». L’uomo
contemporaneo può raggiungere la libertà solo nella dimensione dell’ideale, nell’ambito dell’arte, attribuendo ai valori culturali una importanza maggiore di quella che dà ai beni materiali.
Lo sfondo ideologico de Le notti bianche non è
nient’altro che la trasposizione a livello artistico della polemica intorno all’«educazione estetica» schil-
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leriana che l’intelligencija russa aveva sperimentato negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento. Gli
ideologi della «riconciliazione con la realtà», il giovane V. Belinskij e M. Bakunin, appena agli inizi della loro attività pubblicistica, hanno assunto nei confronti di Schiller un atteggiamento decisamente di
rifiuto, ma gli attacchi di Bakunin, quanto quelli di
Belinskij, erano indirizzati piuttosto contro il giovane filosofo M. Stankevič, geniale diffusore della
filosofia tedesca, che al tempo aveva un notevole
influsso sulla letteratura russa. Per Stankevič il sogno e la fantasticheria erano simboli della superiorità dell’individuo sulla cupa realtà nella «fortezza
del dispotismo»; egli tratta «il regno dell’ideale»
come «la propria dimora», nella quale ci si rifugia
quando non si può andare da nessun’altra parte.
Stankevič si era affidato al sogno per salvaguardare la propria purezza morale; del resto si sentiva disgustato dagli attacchi nei confronti di Schiller, che
adorava in quanto «poeta delle nebbie». Aveva intuito tutti i pericoli connessi alla situazione di estraneità e di isolamento dell’uomo e nonostante tutto
non voleva macchiare la sua «bella anima» e riconciliarsi con la realtà.
All’inizio degli anni Quaranta ci fu una violenta
ondata di critiche nei confronti «dei giovani seguaci
di Schiller»: A. Herzen cominciò a considerare criticamente il suo passato schilleriano, in particolare i
suoi pensieri «caotici»; la pubblicistica russa sferrò
un attacco frontale nei confronti dei sognatori romantici, in particolare contro i loro seguaci. A. Herzen scriveva ora con ironia che il sognare era uno
stato patologico dell’anima dominata dall’eccessiXIV
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va inclinazione alla riflessione, inclinazione che si
rivelava tipica per gli intellettuali degli anni Quaranta delusi e «oppressi» dalla patria; accusava la
sua generazione di essersi immersa nei sogni e nelle
illusioni. Gli faceva eco V. Majkov che rimproverava ai sognatori la poeticizzazione della propria impotenza di fronte alla vita; fu proprio lui a forgiare
la definizione e chiamare tale periodo come «il periodo comico del romanticismo» in cui rientrano le
fantasticherie, la contemplazione e l’autoesaltazione. Herzen, che aveva provato su di sé «l’educazione estetica schilleriana», non arrivò però a fare un
chiaro elogio dell’antagonista del sognatore, ossia
del realista giudizioso. Dietro le riflessioni e definizioni astratte di Schiller riusciva a scorgere la faccia
ribelle di un filisteo. Infatti Herzen si pronunciava
malvolentieri a proposito dei due opposti modelli, prendendo posizione chiaramente a favore della teoria del centro dorato. Secondo Herzen si sarebbero trovati all’infuori della vita sia gli uomini
eternamente immersi nella quotidianità, inconsciamente attratti dal movimento generale, superficiali
e limitati, sia i sognatori, colmi di una nostalgia indefinita e di sofferenze che temono i volgari incontri con la realtà. I primi sarebbero ritornati allo stato
animale senza giungere a quello umano, sarebbero vissuti contenti dietro lo steccato; i secondi si sarebbero allontanati dalla vita verso qualche deserto
da dove non si sarebbero più mossi: si tratta di due
sponde e la vita dignitosamente scorre tra di esse.13
13 A.
Herzen, Sobranie sočinenij, vol. II, Moskva 1954, pp. 71-72.
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Ma Herzen si rese conto assai in fretta di che cosa
avrebbe potuto significare l’aspra solitudine dello
spirito nella «fortezza del dispotismo» e condusse
una critica ironica nei confronti degli ideologi che
troppo affrettatamente avevano a suo tempo criticato l’idea del «bello spirito» di Stankevič. Anche
Belinskij si rese conto ben presto quanto valore potesse avere l’impeto del «bello spirito» e già all’inizio del 1840 giunse ad una sostanziale revisione
critica delle sue idee precedenti e ad una moderata
riabilitazione della «Schönseeligkeit».
F. Dostoevskij comprese profondamente il significato umanitario dell’«escapismo» generale all’epoca di Nicola I e quale ruolo continuasse ad avere in
Russia la filosofia della negazione della vita. Mentre stava lavorando al racconto Le notti bianche venne pubblicato il romanzo di I. Gončarov Una storia
comune (1847), e non è escluso che Dostoevskij abbia considerato questo romanzo come una conferma
delle sue convinzioni: Dostoevskij come Gončarov
era dell’avviso che molti ideali romantici non solo
non avessero perso nulla della loro ricchezza intellettuale, ma svolgessero in Russia un ruolo di primissima importanza sociale.
Nel romanzo di I. Gončarov un nobile romantico, inesperto della vita, viene messo in tentazione
dal demone del raziocinio borghese. Alla fine però
vince la ragione e insieme a tale trionfo l’idea della
riconciliazione fra ideale e realtà diventa di nuovo
attuale. Il romanzo di I. Gončarov era di almeno dieci anni in ritardo sull’argomentazione letteraria della teoria della «riconciliazione con il mondo» e non
c’è da stupirsi se il demone del giovane protagoniXVI
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sta Aduev parla un po’ il linguaggio dei primi articoli di A. Herzen e di V. Belinskij. Il romanzo documenta allo stesso tempo le conseguenze della caduta
dei sognatori romantici. I. Gončarov aveva illustrato come, dopo la cacciata della «Schönseeligkeit», dei
cuori umani s’impossessasse il calcolo borghese; del
resto la vittoria della mediocrità era piuttosto inevitabile e di ciò si rendevano conto non solo l’autore della Storia comune, ma anche altri rappresentanti
della sua generazione, come ad esempio il pubblicista V. Botkin. Gončarov, magari anche contro la sua
volontà, aveva rivelato le conseguenze morali del
«realismo esistenziale»: non importava la derisione
e la caricatura di uno Stankevič-Aduev provinciale, perché presto costui, con la forza del suo sogno,
sarebbe diventato il nemico inconciliabile della mediocre ragione. Il realista Aduev uccideva il sogno
e la fantasia e capitolava davanti alla realtà prosaica della «fortezza del dispotismo».
F. Dostoevskij aveva dedicato Le notti bianche alla figura di un sognatore, ossia ad un parente stretto delle «belle anime» in senso schilleriano, che aveva trasformato il suo «escapismo» estetico in una ideologia
etica di protesta. Le ragioni che hanno sospinto i russi in tale dimensione di sogno, di ideale, Dostoevskij
le aveva descritte nel feuilleton in modo da non lasciare dubbi: «E come non stancarsi poi, come non
cedere all’impotenza, inseguendo eternamente le impressioni, come si insegue una rima per un cattivo
verso, tormentandosi nella sete di un’attività esteriore, diretta, e spaventandosi, fino a farsene una malattia, delle proprie illusioni e di tutti quegli artifizi
con i quali ai nostri giorni ci si sforza di riempire in
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qualche modo il vuoto avvizzito della consueta e incolore esistenza quotidiana?».14 Ma era difficile trovare negli anni Quaranta «un’attività seria» o «fare
del bene»15 e di conseguenza veniva necessariamente scelto il regno del sogno, dell’ideale, rendendosi
però conto di quale sofferenza avrebbe atteso il sognatore fuori dal «paradiso dell’illusione».
Il regno dell’ideale del protagonista de Le notti bianche è stato creato dalla letteratura romantica:
W. Scott, P. Mérimée, E.T.A. Hoffmann, A. Puškin e
soprattutto V. Žukovskij.16 Erano questi gli scrittori
più amati dal protagonista. La sua ammirazione nei
confronti del «sognatore sentimentale» V. Žukovskij
diventa chiara, in quanto l’eroe de Le notti bianche è
lontano da quella particolare poesia che considerava
la solitudine elegiaca del sognatore, «la gioia della
tristezza», la «joy of grief», come uno stato di irripetibile esaltazione. Il sognatore di Dostoevskij sembra far eco a Hoffmann, per cui il sogno è felicità,
ma contemporaneamente contiene un bruciante veleno. Il sognatore sta male nella sua tana pietroburghese nella quale, durante le lunghe ore di solitudine, attraversa paesi lontani, vive in epoche remote.
Si vergogna del suo isolamento, lui stesso considera
ridicolo il distacco dalla vita, sa bene che la «Schönseeligkeit» è nonostante tutto una dimensione illusoria piuttosto che una dimensione ideale. Come
Ordynov, nel racconto La padrona, è convinto che il
contatto con la vita, «l’entrata nella vita», prima o
14
F. Dostoevskij, Peterburgskaja letopis’, cit., p. 30 (trad. it. p. 61).
Ibid., p. 31; (trad. it. p. 61).
16 J. Catteau, La création littéraire chez Dostoïevski, Paris 1978, pp. 80-89.
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dopo, sarebbe stata per lui inevitabile, e proprio per
questo avverte un immenso terrore e un rifiuto fisico di fronte alla vita stessa, tanto da decidere di abbandonare la sua tana: una decisione del genere significava una brusca trasgressione dei princìpi dei
«giovani schilleriani». V. Odoevskij, idealista, educato nel pensiero della filosofia tedesca, una delle
tipiche «anime belle» degli anni Trenta in Russia,
ammoniva se stesso e il suo interlocutore immaginario: «Ricordati! Sei solo, tutto solo nel tuo mondo. Chiuditi di conseguenza nella tua solitudine,
piangi, soffri, fatica, ma non mostrare agli uomini
né le tue lacrime sacre, né la tua sacra fatica».17 L’eroe de Le notti bianche invece aveva mostrato le sue
lacrime, la sua anima, la sua disperazione ad una
ragazza diciassettenne, incontrata per caso sul lungofiume a Pietroburgo.
La decisione coraggiosa di fuggire dal regno dei
sogni si affaccia alla mente del protagonista durante una delle solitarie passeggiate per Pietroburgo, al
tempo delle notti bianche. La scelta di questo scenario, forse del tutto naturale per un Dostoevskij
abitante di Pietroburgo, assume qui i contorni dello sfondo essenziale nel dramma del sognatore.18
Il titolo del racconto racchiude in una certa misura
anche un significato simbolico: esiste un antico detto greco, ricordatoci dalla Utopia di Thomas More
(Tommaso Moro), che parla della fragilità delle decisioni prese di notte, al buio, quando la fantasia di17 Cfr. P. Sakulin, V. Odoevskij, myslitel’-pisatel’, in Iz istorii russkogo idea-
lizma, Moskva 1913, vol. I, p. 402.
18 N. Anciferov, Peterburg Dostoevskogo, Peterburg 1923, p. 56.
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storce e iperbolizza tutti gli affari del giorno; esso
stabilisce, parlando con il linguaggio di K. Jaspers,
«il diritto del giorno sulla passione della notte».
Una contrapposizione del genere non era estranea
ai romantici; molti eroi romantici conducevano una
vita doppia: di giorno piena di banalità e di ipocrisie e di notte colma di conoscenza vera, di misteriose e nascoste faccende dello spirito. I romantici
tedeschi amavano le tenebre e la notte che avevano
eletto come sorella della morte, come l’anticamera
del nulla. Anche Dostoevskij nel suo racconto si rivolge al «regno della notte»: se confrontiamo i due
racconti La padrona e Le notti bianche notiamo che in
senso letterario sono avvenuti decisivi cambiamenti:
ne La padrona la notte è nera, stilizzata nel senso della fantasia popolare, colma di attese indeterminate
e fantastiche; nel racconto successivo lo scrittore ha
rischiarato la notte letteraria. Dostoevskij non è attratto affatto dal buio completo di una notte mistica di Novalis, non l’attira nemmeno il firmamento
stellato della nostalgia di Byron o di Puškin. La sua
notte è bianca e piena di luce. Tutto di conseguenza in questo racconto diventa reale e demistificato
attraverso l’immaginazione. La speranza dell’eroe
è reale e potente e tanto più feroce sarà la vendetta del destino. Tra quattro pareti affumicate e grondanti di umidità di una tana pietroburghese, verso la mattina, dopo una notte bianca, crudelmente
reale, si svolgerà il vero dramma, non inventato e
non sognato, del giovane schilleriano.
Proprio durante una notte simile l’eroe del racconto ha incontrato sul lungofiume della Fontanka una
ragazza che risveglia in lui il sentimento dell’amore.
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Infatti l’amore è il simbolo della «vita reale» anche
per altri protagonisti-sognatori dei precedenti racconti di Dostoevskij, come DevuŠkin, il personaggio
di Povera gente, e Ordynov, de La padrona,19 ma ogni
«anima bella» teme l’amore in quanto una felice dimora per due avrebbe decisamente trasformato le
regole del «regno dell’ideale» in regole che governano un «angolino filisteo». La felicità familiare veniva considerata da ogni sognatore come una specie di riconciliazione con la realtà, tuttavia esisteva
anche una forma di amore che permetteva alle «belle anime» di rimanere nel regno dell’utopia estetica:
gli amanti potevano difendersi dalla prosaica felicità
«piccoloborghese» se solo li univa l’armonia di sogni comuni e gli stessi interessi intellettuali.
Inizialmente l’eroe de Le notti bianche insegue ancora la speranza di poter realizzare un ideale simile,
in quanto è convinto che il destino gli abbia inviato
dall’eternità l’anima destinata a lui. La gioia di questa scoperta svanisce rapidamente quando Nasten’ka
stessa gli annuncia l’esistenza di quel terzo che lei ama
«sopra ogni cosa». Per quanto Nast’ja desideri ardentemente aiutare il sognatore ad uscire dalla sua buia
tana, sottopone alla sua attenzione un disegno in un
certo senso persino previsto dalle «belle anime» in
pena: «Dio stesso vi ha mandato. Che cosa farei ora,
se non mi foste vicino? Come siete altruista! Come sapete amarmi! Quando un giorno sarò sposata, vivremo in grande amicizia, più grande di quella dei fra-
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N. Trubetzkoy, Dostoevskij als Künstler, The Hague, London-Paris
1964, p. 70.
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telli. Vi amerò quasi come lui...».20 Un simile triangolo
d’amore, di amicizia, costruito su una intensa passionalità sarebbe terminato inevitabilmente con la disgregazione. Di questo ci parla soprattutto la storia
di Werther e di conseguenza, alla comparsa di quel
terzo, il protagonista de Le notti bianche non pensa di
prendere sul serio le assicurazioni di una ragazzina
di diciassette anni e ritorna nella sua tana solitaria.
L’avventura sulle rive della Fontanka durante le
quattro notti bianche pietroburghesi porta il giovane
schilleriano al risveglio, alla presa di coscienza della realtà, ma, come scriveva F. Dostoevskij nel suo
feuilleton sul sognatore, «Il ritorno alla realtà è terribile; l’infelice non riesce a sopportarlo e riprende
il suo veleno a nuove dosi, ancora maggiori».21 Il futuro dunque dell’eroe de Le notti bianche non potrà
che continuare in una sempre maggiore disperazione
ed un crescente distacco dalla vita. Cosciente della
situazione senza una via d’uscita, si chiuderà sempre di più nella sua solitudine e passerà la vita sognando nel suo triste regno delle illusioni. Quel regno non è altro in quel momento storico che il male
presente, circoscritto, al quale la cupa realtà «della
fortezza del dispotismo» condannava i russi. Schiller stesso riteneva che «l’anima bella» della sua utopia è straripante di forza e di energie solari, mentre la stessa anima nel racconto di Dostoevskij non
ricorda un trionfatore, si tratta di un uomo povero,
spaventato, sofferente. «E voi sapete, signori,» così
20
21
F. Dostoevskij, Belye noči, in Polnoe sobranie, vol. 2, 1972, p. 128.
F. Dostoevskij, Peterburgskaja letopis’, cit., p. 33 (trad. it. p. 66.)
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scriveva Dostoevskij nel suo feuilleton «che cosa sia
un sognatore? È l’incubo pietroburghese, è il peccato personificato, è una tragedia, silenziosa, segreta,
cupa, selvaggia, con tutti i suoi violenti orrori, le sue
catastrofi, peripezie, intrecci e svolgimenti...».22 Del
resto si sa di quanto dolore, disperazione, solitudine era costellata la vita di due anime belle come N.
Stankevič o V. Odoevskij, come è dimostrato dalle lettere, dai diari, dalle confessioni. Il schilleriano «regno dell’ideale» del protagonista de Le notti
bianche è stato colmato anche dalla disperazione di
uno Stankevič e di un V. Odoevskij sofferenti proprio per l’isolamento delle «anime belle» in Russia.
Le notti bianche è stata la prima opera di Dostoevskij
che poneva sotto gli occhi di tutti una definitiva
distruzione del «regno dell’ideale» schilleriano.
A questo tema Dostoevskij sarebbe tornato ancora più di una volta, nella sua produzione letteraria
successiva, come ad esempio nei romanzi Umiliati e offesi, Delitto e castigo, L’adolescente, e ne I fratelli
Karamàzov. Ma della sconfitta dei fragili ammiratori del poeta tedesco Dostoevskij ormai avrebbe scritto con la tristezza di un uomo che assiste
al crollo definitivo degli ideali romantici, distrutti impietosamente dal cinismo e dalla volgarità
(pošlost’) della nuova generazione che si stava facendo spazio in Russia.
Giovanna Spendel
22 Ibid.,
p. 32; (trad. it. p. 65).
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