P1 - cc libro 5.pmd - Libri Professionali

Transcript

P1 - cc libro 5.pmd - Libri Professionali
2224
Parte I - Disciplina codicistica
2224. Esecuzione dell’opera.
Se il prestatore d’opera non procede all’esecuzione dell’opera secondo le condizioni stabilite [1662] dal contratto e a regola d’arte [1176 comma 2], il committente può fissare un
congruo termine, entro il quale il prestatore d’opera deve conformarsi a tali condizioni [1454].
Trascorso inutilmente il termine fissato, il committente può recedere dal contratto [1373],
salvo il diritto al risarcimento dei danni.
COMMENTO
Il prestatore d’opera è tenuto ad eseguire l’opera nel rispetto delle condizioni stabilite dal
contratto e a regola d’arte, cioè uniformando la prestazione a standard qualitativi determinati ed
usando la diligenza professionale tipica del settore in cui opera (diligenza c.d. qualificata o
specifica ai sensi dell’art. 1176 comma 2).
Il committente, dal canto suo, è tenuto a controllare il rispetto delle condizioni suddette. In
caso negativo, potrà assegnare al prestatore d’opera un termine ragionevole (meccanismo della
c.d. diffida ad adempiere), per provvedere, pena il diritto di recesso a favore del committente e
il risarcimento degli eventuali danni.
La disposizione in commento si uniforma a quella stabilita dal codice in tema di contratto di
appalto [1662], salva la previsione del diritto di recesso anziché di risoluzione del contratto. Il
prestatore d’opera per adempiere esattamente l’obbligo assunto, deve eseguire l’opus a regola
d’arte e secondo gli accordi intervenuti, ma, salvo il caso di una pattuizione dettagliata e completa dell’attività da svolgere, egli deve anche compiere tutte quelle attività ed opere che secondo il principio di buona fede e l’ordinaria diligenza dell’homo eiusdem condicionis ac professionis
sono funzionali al raggiungimento del risultato voluto. Pertanto, se il contratto d’opera ha ad
oggetto la riparazione di una macchina non funzionante, il prestatore è tenuto ad effettuare tutti
quegli interventi imposti dalle conoscenze e capacità tecniche che egli deve possedere al fine di
renderla funzionante non in modo precario; nè a limitare l’oggetto delle sue prestazioni può
valere la richiesta del committente di “voler risparmiare” (così Cassazione n. 21421 del 2004).
Il principio in base al quale l’autonomia e la responsabilità dell’appaltatore nell’esecuzione
dell’opera non vengono meno per il fatto che egli abbia ottemperato a specifiche richieste o
direttive del committente opera a tutela dei diritti assoluti dei terzi che possono subire lesioni
per effetto della supina esecuzione da parte dell’appaltatore di dette direttive, ma non anche nei
rapporti interni tra appaltatore (o prestatore d’opera) e committente, nei quali obbligo del primo
è solo quello di prospettare al secondo gli inconvenienti tecnici ed eventualmente i pericoli
derivanti dall’esecuzione dell’opera secondo le sue direttive e richieste, ma non quello di rifiutare il compimento dell’opera stessa (nella specie, il prestatore d’opera aveva prospettato l’inadeguatezza degli interventi di riparazione parziale del motore di un autoveicolo che il committente aveva egualmente voluti (così Cassazione n- 5981 del 1994).
GIURISPRUDENZA
Il rimedio concesso al committente nel contratto d’opera dal primo comma dell’art. 2224 c.c.
e nell’appalto dall’art. 1668, primo comma, c.c. (entrambi riproducenti sostanzialmente il disposto
dell’art. 1454 c.c. sulla diffida ad adempiere) di fissare un congruo termine rispettivamente al
prestatore d’opera e all’appaltatore che non procedono all’esecuzione dell’opera secondo le condizioni del contratto ed a regola d’arte, affinché si conformino a tali condizioni, ha carattere facoltativo, sicché, anche nel caso che non se ne sia avvalso, il committente, qualora sussista la colpa
del prestatore d’opera o dell’appaltatore, può valersi delle norme generali sulla risoluzione e sull’inadempimento dei contratti, ivi compreso l’art. 1460 c.c. (4747/1988, rv 459585).
2225. Corrispettivo.
Il corrispettivo, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le
tariffe professionali o gli usi [disp. prel. 8], è stabilito dal giudice [1657] in relazione al
242
Codice Civile - Libro V
2226
risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo [1709, 1733, 1755
comma 2, 2263 comma 2, 2223].
COMMENTO
Il contratto d’opera si configura, normalmente, quale negozio a titolo oneroso, salva la possibilità della prova contraria, che incombe sull’interessato (ad es. le parti, nell’esercizio della
loro autonomia contrattuale, possono espressamente prevedere la gratuità dell’esecuzione).
Il committente è tenuto a pagare il corrispettivo (compenso) convenuto dalle parti e solitamente ragguagliato alle tariffe professionali (valide essenzialmente per le prestazioni d’opera
intellettuali) o agli usi. In mancanza sarà il giudice a fissarlo in relazione alla natura, quantità
e qualità delle prestazioni, nonché al tempo ed ai costi occorrenti per il relativo espletamento,
secondo il duplice parametro del risultato per il committente e del lavoro per il prestatore
d’opera. La norma pertanto indica, in scala gerarchica, i parametri per definire il corrispettivo
dovuto: si deve aver riguardo innanzitutto a quanto pattuito dalle parti, quindi alle tariffe, poi
agli usi ed infine alla determinazione equitativa del giudice (così come previsto in tema di
mandato dall’art. 1709).
Il ricorso alla disposizione de qua è ammesso dalla giurisprudenza anche quando le parti,
pur avendo pattuito il corrispettivo, non ne abbiano fornito la prova (così Cassazione n. 9503
del 2005).
Si tenga presente che il principio della retribuzione sufficiente di cui all’articolo 36 della
Costituzione riguarda esclusivamente il lavoro subordinato e non può essere invocato in tema di
compenso per prestazioni lavorative autonome, ancorché rese, con carattere di continuità e coordinazione, nell’ambito di un rapporto di collaborazione, assimilabili a quelle svolte in regime
di subordinazione (così Cassazione n. 13941 del 2000).
Qualora nel corso del rapporto le prestazioni d’opera assumano una maggiore ampiezza, sia
qualitativa che quantitativa, con ulteriore dispendio per il prestatore d’opera e maggiore vantaggio per il cliente, è legittima la determinazione giudiziale del compenso per esse spettanti, in
mancanza di accordo tra le parti al riguardo, sostitutivo di quello originario, non potendo essere
perseguiti maggiori vantaggi per il committente attraverso un maggior sacrificio economico per
il prestatore d’opera senza che si determini una disarmonia tra le prestazioni dedotte in sinallagma
(così Cassazione n. 650 del 1984).
GIURISPRUDENZA
L’opera intellettuale ha carattere professionale, al fine dell’applicabilità della tariffa professionale per la determinazione del relativo compenso, quando concorrono, in concreto, due
requisiti: a) quello soggettivo, dell’iscrizione del prestatore in albo professionale; b) quello
oggettivo, della natura tecnica ed assolutamente esclusiva del professionista, di essa o, quanto
meno, quello del collegamento - in linea di coordinazione, subordinazione o per nesso
teleologico - della relativa attività non tecnica con prestazioni di carattere tecnico (1519/1988,
rv 457603).
2226. Difformità e vizi dell’opera.
L’accettazione espressa o tacita dell’opera libera il prestatore d’opera dalla responsabilità
per difformità o per vizi della medesima, se all’atto dell’accettazione questi erano noti al
committente o facilmente riconoscibili, purché in questo caso non siano stati dolosamente
occultati [1665, 1667].
Il committente deve, a pena di decadenza, denunziare le difformità e i vizi occulti [1490],
al prestatore d’opera entro otto giorni dalla scoperta [1495, 1745, 2212]. L’azione si prescrive entro un anno dalla consegna [disp. att. 201].
I diritti del committente nel caso di difformità o di vizi dell’opera sono regolati dall’articolo 1668 [2946].
243
2226
Parte I - Disciplina codicistica
COMMENTO
La disciplina della responsabilità per i vizi e le difformità dell’opera si modella su quella
stabilita per il contratto di appalto [1667], fatta eccezione per i diversi termini, ivi previsti, di
decadenza per la denunzia e di prescrizione della relativa azione. La norma in commento fa poi
rinvio all’art 1668 - sempre in tema di appalto - per quanto riguarda il contenuto della garanzia,
cioè i diritti del committente nei confronti del prestatore d’opera (eliminazione del vizio/difformità, qualora possibile, a spese dell’obbligato, oppure riduzione proporzionale del prezzo, salvo in ogni caso il risarcimento del danno se vi è stata colpa. Se invece il difetto è tale da rendere
del tutto inidonea l’opera, il committente può agire per la risoluzione del contratto, essendo
integrato il criterio dell’importanza dell’inadempimento secondo le regole generali).
L’accettazione, espressa o tacita, della prestazione da parte del committente, libera il prestatore
d’opera dalla responsabilità per eventuali vizi o difformità della prestazione, riconosciuti o facilmente riconoscibili, purché non dolosamente occultati.
Da sottolineare che la norma in esame presuppone un’opera materiale e non è pertanto
applicabile al contratto di prestazione d’opera intellettuale: quest’ultima, infatti, ha per oggetto
la prestazione di un bene immateriale, in relazione al quale non sono percepibili, le difformità ed
i vizi eventualmente presenti; il complesso di grafici, disegni e calcoli rappresenta solo il corpus
mechanicum nel quale la prestazione intellettuale si estrinseca al fine di essere utilizzata dal
committente (così Cassazione n. 4704 del 1997). In ordine a tale questione si veda, nel dettaglio,
il commento sub art. 2230.
ESEMPIO
L’ingegnere, architetto o geometra, nell’espletamento dell’attività professionale, sia questa
configurabile come adempimento di un’obbligazione di risultato, o di mezzi, è obbligato ad
usare la diligenza del buon padre di famiglia, con la conseguenza che l’irrealizzabilità dell’opera per erroneità o inadeguatezza - anche per colpa lieve, in mancanza di problemi tecnici di
particolare difficoltà - del progetto affidatogli, costituisce inadempimento dell’incarico e consente al committente di autotutelarsi, rifiutandogli il compenso (così Cassazione n. 6812 del
1998).
GIURISPRUDENZA
L’art. 2226 c.c., il quale regola i diritti del committente per il caso di difformità e vizi dell’opera,
prevedendo termini di decadenza e prescrizione, trova applicazione pure nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, in forza del richiamo contenuto nella seconda parte del primo comma
dell’art. 2230 c.c., se e nei limiti in cui anche tale contratto implichi la realizzazione di un risultato
materiale, la cui consistenza possa essere colta senza le specifiche cognizioni e facoltà intellettive
del professionista (2757/1984, rv 434795).
Anche in relazione al contratto d’opera - sebbene l’art. 2226 c.c. non ne faccia richiamo l’onere della denuncia dei vizi (o difformità) trova limite nell’occultamento o nel riconoscimento da
parte del prestatore dell’opera, con la conseguenza che anche l’impegno di provvedere alla eliminazione dei difetti o vizi dell’opera dà vita ad un nuovo rapporto che si sostituisce a quello originario ed è fonte di un’autonoma obbligazione, che si prescrive nel termine ordinario decorrente dalla
data dell’assunzione dell’impegno stesso (5718/1984, rv 437400).
Il contratto che ha per oggetto una prestazione d’opera intellettuale - inquadrabile nella categoria del lavoro autonomo - comporta normalmente per il professionista un’obbligazione di “mezzi”, nell’adempimento della quale egli è tenuto ad usare la diligenza che la natura dell’attività
esercitata esige, ai sensi dell’art. 1176 c.c., tranne nel caso in cui al professionista sia stato richiesto dal cliente un “opus”, perché in tal caso l’obbligazione da lui assunta è di “risultato”, con la
conseguenza che, avendo quest’ultimo incidenza sulla causa stessa del contratto, il professionista
dovrà rispondere per le eventuali difformità ed i vizi dell’opera, da valutarsi, ai sensi dell’art. 2226
c.c., in base a criteri oggettivi, considerando la naturale destinazione dell’opera, ed in base a criteri
soggettivi, quando la possibilità di un particolare impiego o di una determinata utilizzazione sia
stata dedotta in contratto (3476/1989, rv 463466).
244
2229
Codice Civile - Libro V
Nel caso in cui viene meno la fiducia alla quale è ispirato il rapporto di opera professionale tra
cliente e professionista, a causa dell’imperfetto adempimento della prestazione del professionista,
il cliente non è obbligato ad accettare dal professionista l’offerta di altra prestazione in sostituzione
di quella difettosa, ma può senz’altro chiedere la risoluzione del rapporto e rivolgersi, così, ad altro
professionista (8799/1993, rv 483510).
In tema di contratto d’opera, i termini per la denuncia delle difformità e dei vizi dell’opera sono
quelli di cui all’art. 2226 c.c., norma che, nell’ambito del rapporto di lavoro autonomo, assorbe,
ricomprendendoli, i rimedi generali per l’inadempimento delle obbligazioni (14082/1999, rv 532199).
In tema di contratto d’opera ed in ipotesi di difformità e vizi dell’opera, ai sensi dell’art. 2226 c.c. ed al
fine di individuare il termine per la denunzia di essi, occorre distinguere i vizi noti al committente o facilmente
riconoscibili da quelli occulti, giacché nella prima ipotesi l’accettazione dell’opera senza riserve libera il
prestatore dalla responsabilità per i suddetti vizi, mentre nella seconda ipotesi il termine di decadenza di otto
giorni decorre dalla relativa scoperta, a prescindere quindi dall’accettazione dell’opera (3295/2003).
La decadenza e la prescrizione previste dall’articolo 2226 del c.c. per i contratti d’opera manuale sono inapplicabili al contratto d’opera intellettuale e in particolare a quello di prestazione
professionale (9309/2006).
2227. Recesso unilaterale dal contratto.
Il committente può recedere dal contratto [1373], ancorché sia iniziata l’esecuzione
dell’opera, tenendo indenne il prestatore d’opera delle spese, del lavoro eseguito e del mancato guadagno [1671, 1685 comma 1, 1734, 2237].
COMMENTO
Simmetricamente a quanto disposto per l’appalto [1671], al committente è concesso l’esercizio del recesso unilaterale dal contratto anche nel corso dell’esecuzione della prestazione, senza
necessità di giustificazione (recesso ad nutum), con il solo obbligo di lasciare indenne il prestatore
d’opera delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno. A quest’ultimo è fatto
obbligo, in ogni caso, di restituire i materiali non utilizzati, anche se da lui stesso forniti, e di
consegnare l’opera o il servizio, ancorché parziale, affinché entri nella titolarità del committente.
Vi è da aggiungere che tale disciplina del recesso unilaterale dal contratto si differenzia,
sotto alcuni aspetti, da quella dettata dall’art 2237 per il contratto d’opera intellettuale [«2229
ss.], che si pone quindi quale norma speciale, prevalente su quella in esame, data la peculiarità
della prestazione d’opera intellettuale (così Cassazione n. 3062 del 2002).
2228. Impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione dell’opera.
Se l’esecuzione dell’opera diventa impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle
parti [1464], il prestatore d’opera ha diritto ad un compenso per il lavoro prestato in relazione all’utilità della parte dell’opera compiuta [1672, 2237 comma 2].
COMMENTO
Ancora una volta in analogia a quanto prescritto per l’appaltatore [1672], in caso di esecuzione parziale della prestazione per impossibilità sopravvenuta non imputabile a nessuna delle
parti [1464], al prestatore d’opera sarà comunque dovuto il compenso per il lavoro svolto, entro
i limiti dell’utilità ricevuta dal committente. Ciò significa che in capo al prestatore d’opera
incombe il c.d. rischio d’impresa.
CAPO II
DELLE PROFESSIONI INTELLETTUALI
2229. Esercizio delle professioni intellettuali.
La legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi [2062].
245
2229
Parte I - Disciplina codicistica
L’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati alle associazioni professionali1,
sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente [Cost. 33 comma 5].
Contro il rifiuto dell’iscrizione o la cancellazione dagli albi o elenchi, e contro i provvedimenti disciplinari che importano la perdita o la sospensione del diritto all’esercizio della
professione è ammesso ricorso in via giurisdizionale nei modi e nei termini stabiliti dalle
leggi speciali.
1
Vedi, anche, D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382.
COMMENTO
Il compimento di un’opera o di un servizio può avere anche natura intellettuale o artistica
(si pensi ai contratti conclusi da liberi professionisti come notai, avvocati, medici, ingegneri,
ecc.): in tal caso si parla di contratto d’opera intellettuale.
I principali punti di distinzione con il contratto d’opera manuale [«2222] possono così
sintetizzarsi:
- in capo al prestatore d’opera intellettuale, di regola, sorge un’obbligazione di mezzi, con
la conseguenza che il rischio del lavoro è a carico del committente, cioè del cliente. Viceversa,
come già detto, nel contratto d’opera manuale l’obbligazione assunta è di risultato ed il rischio
relativo grava sul prestatore d’opera.
- il prestatore d’opera manuale adempie in modo corretto la propria obbligazione solo se
raggiunge il risultato, rispondendo, in caso contrario, anche per colpa lieve; il prestatore d’opera
intellettuale, diversamente, è adempiente se impiega, nello svolgimento del proprio compito, la
diligenza richiesta, a prescindere dall’ottenimento del risultato, ed è responsabile solo per colpa
grave o dolo [2236].
- il compenso è pertanto dovuto, nel contratto d’opera manuale, a seguito del compimento
dell’opera o del servizio; al professionista intellettuale spetta in ogni caso, per il solo fatto di
avere usato le proprie energie ed il proprio tempo a vantaggio del cliente.
Per lo svolgimento delle professioni intellettuali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o
elenchi, laddove la legge lo prescriva (ad esempio: albo degli avvocati, notai, ingegneri, architetti, geometri, psicologi, giornalisti): si tratta cioè delle c.d. categorie protette, figure professionali per le quali, fin da tempi risalenti, è stata avvertita la necessità di una particolare regolamentazione e di uno specifico controllo, da parte sia dello Stato che delle associazioni rappresentative, a tutela sia dei professionisti stessi sia dei soggetti che usufruiscono delle relative prestazioni. A tali scopi provvedono i Consigli dei diversi Ordini professionali, che svolgono i compiti relativi alla tenuta degli Albi (iscrizioni, cancellazioni e simili), con tutti gli adempimenti
amministrativi connessi; la funzione disciplinare è quella di garantire, nei modi più idonei, il
prestigio ed il decoro della categoria rappresentata.
Lo Stato, dal canto suo, vigila sul corretto esercizio di tali professioni prevedendo un esame
di abilitazione per il loro esercizio [Cost. 33], al fine di garantire ai cittadini i requisiti di idoneità e capacità in coloro che la esercitano.
I professionisti intellettuali destinatari di provvedimenti negativi, quali il rifiuto dell’iscrizione all’albo o la cancellazione da esso, nonché di provvedimenti disciplinari comportanti
sanzioni che impediscano, in via temporanea o definitiva, l’esercizio della professione, possono, secondo le regole generali, agire in giudizio per la tutela delle posizioni soggettive che
assumono essere state lese.
Vi è da aggiungere che, in passato (sulla base del combinato disposto degli art. 2, L. n. 1815
del 1937 e 2232 del presente codice) era vietato l’esercizio delle professioni intellettuali in
forma societaria, tanto di persone quanto di capitali: il legislatore del ‘97, nel quadro di un più
vasto intervento a sostegno delle attività economiche e produttive (L. n. 266 del 1997), ha fatto
246
Codice Civile - Libro V
2230
cadere anche quest’ultimo tabù. In particolare, grazie al D.Lgs. n. 96 del 2001, con cui è stata
recepita la direttiva 98/5/CE in materia di esercizio della professione di avvocato, il nostro
Paese si è allineato al modello europeo, riconoscendo, tra l’altro, a pieno titolo, la possibilità di
costituire società tra avvocati, regolata dalle norme del decreto citato e, ove non diversamente
disposto, dalle norme che regolano la società in nome collettivo [2291-2312]. In particolare la
società tra avvocati:
- è iscritta in una sezione speciale dell’albo degli avvocati e alla stessa si applicano, in
quanto compatibili, le norme legislative, professionali e deontologiche che disciplinano la professione di avvocato;
- deve essere iscritta in una sezione speciale del registro delle imprese;
- non è soggetta a fallimento.
Non bisogna, da ultimo, dimenticare che l’esercizio abusivo di una professione, per la quale
è richiesta specifica abilitazione amministrativa, integra una fattispecie penalmente sanzionata
(reclusione fino a sei mesi o multa da euro 103 a 516) [c.p. 328].
ESEMPIO
a) Il carrozziere che si obbliga a riparare lo sportello dell’auto adempirà correttamente alla
propria obbligazione solo se ripristinerà effettivamente sagoma e colore precedenti, in caso
contrario non potrà pretendere il prezzo dell’opera svolta.
b) L’avvocato che si obbliga a difendere un imputato, non si impegna implicitamente a far sì
che questi venga assolto (obbligazione di risultato), ma solo ad adoperarsi affinché con tutti i
mezzi a sua disposizione possa conseguire l’assoluzione (obbligazione di mezzi). Per cui, anche
se l’imputato venisse condannato, all’avvocato diligente non potrà essere rimproverato nulla.
c) Il chirurgo plastico che fallisce palesemente il proprio intervento, ancorché prestatore
d’opera intellettuale, sarà responsabile dei danni per colpa grave.
GIURISPRUDENZA
Il precetto dell’art. 36, primo comma, Cost., relativo al diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, non è applicabile ai rapporti di lavoro autonomo, come quello concernente l’esercizio di prestazione d’opera professionale, priva del requisito della subordinazione, ancorché in
regime di parasubordinazione (7543/1990, rv 468375).
2230. Prestazione d’opera intellettuale.
Il contratto che ha per oggetto una prestazione d’opera intellettuale è regolato dalle
norme seguenti e in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del capo precedente [disp. att. 202].
Sono salve le disposizioni delle leggi speciali.
COMMENTO
La disciplina relativa alla prestazione d’opera intellettuale ricalca, sostanzialmente, quella
prevista per il contratto d’opera [«2222 ss.], eccetto talune disposizioni che si ricollegano al
necessario obbligo di iscrizione in albi o elenchi, ovvero riguardano la diligenza richiesta nell’operato, che ivi deve essere qualificata ai sensi dell’art. 1176, cioè quella del buon professionista o del professionista medio (tra gli altri, dovere di informare il cliente sulle probabilità di
riuscita della prestazione, ad es. intervento chirurgico, esito della lite; osservanza del segreto
professionale, ecc.) [2236]. Discussa è l’applicabilità della disposizione di cui all’art. 2226,
relativa alle difformità e vizi dell’opera. In linea di principio essa è stata esclusa sulla scorta del
fatto che la norma sia riferita ad un obbligazione di risultato e come tale non si applichi alle
obbligazioni di mezzi del professionista intellettuale. Tuttavia, una parte della giurisprudenza
ha ritenuto che l’obbligazione del professionista sia di risultato nel caso, ad esempio, del progetto d’ingegneria, o di geometri ed architetti: per tale bene immateriale può parlarsi, al pari dell’opus
247
2231
Parte I - Disciplina codicistica
materiale, di difformità e vizi, con conseguente applicabilità dell’art. 2226 (cosi Cassazione n.
2540 del 1997). Occorre, in ogni caso, sempre avere riguardo al concreto atteggiarsi della volontà delle parti.
GIURISPRUDENZA
Cliente del professionista non è necessariamente il soggetto nel cui interesse viene eseguita la
prestazione d’opera intellettuale, ma colui che, stipulando il relativo contratto, ha conferito l’incarico al professionista ed è, conseguentemente, tenuto al pagamento del corrispettivo (7309/2000,
rv. 537155).
2231. Mancanza d’iscrizione.
Quando l’esercizio di un’attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o
elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della
retribuzione [1933, 2034, 2041, 2126].
La cancellazione dall’albo o elenco risolve il contratto in corso, salvo il diritto del prestatore
d’opera al rimborso delle spese incontrate e a un compenso adeguato all’utilità del lavoro
compiuto [1672, 2228, 2237].
COMMENTO
La prestazione eseguita da un professionista non iscritto nell’apposito albo o elenco, secondo le previsioni di legge, non consente a quest’ultimo di esperire azione [2034] per il pagamento
del compenso (esempio): ciò significa che l’iscrizione costituisce condizione per esigere il compenso. Nel diverso caso in cui, nel corso dell’esecuzione della prestazione, dovesse intervenire,
per un motivo qualsiasi, la cancellazione da tale albo o elenco, ciò provocherà la risoluzione ex
lege del contratto, restando salvo il diritto di ricevere il rimborso delle spese sostenute, oltre ad
un compenso adeguato all’utilità del lavoro fino ad allora effettuato.
ESEMPIO
Il professionista non iscritto all’albo, se spontaneamente retribuito dal cliente, non deve
restituire il compenso ricevuto, trovando applicazione le regole valevoli per le obbligazioni
naturali [2034].
GIURISPRUDENZA
A norma dell’art. 2231 c.c., quando l’esercizio di un’attività professionale è condizionato all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita, da chi non è iscritto non gli dà azione per
il pagamento del compenso, onde, in tali ipotesi, non può ritenersi esperibile neppure l’azione
generale di arricchimento di cui all’art. 2041 c.c.; i suddetti principi devono ritenersi applicabili
anche quando la prestazione resa sia riferibile ad una società di capitali, per essersi essa assunta
contrattualmente tale impegno, a nulla rilevando che la società si sia servita, per l’espletamento di
detta attività, di tecnici iscritti ai relativi albi (10937/1999, rv 530426).
2232. Esecuzione dell’opera.
Il prestatore d’opera deve eseguire personalmente l’incarico assunto [1176]. Può tuttavia valersi, sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari [1228], se la
collaborazione di altri è consentita dal contratto o dagli usi e non è incompatibile con
l’oggetto della prestazione [1717].
COMMENTO
Il contratto d’opera intellettuale è una fattispecie contrattuale intuitus personae, vale a dire
che per il committente risulta essenziale la persona del prestatore d’opera intellettuale e le sue
qualità, dato il vincolo fiduciario che si instaura tra le parti. Di conseguenza:
- il committente può rifiutare l’adempimento del terzo [1180];
248
Codice Civile - Libro V
2233
- il contratto non può essere ceduto [1406];
- rileva l’errore sulla persona [1429].
Rimane ferma la facoltà per il professionista di servirsi della collaborazione di sostituti ed
ausiliari, se ciò non sia escluso dal contratto o dagli usi, e non sia incompatibile con l’oggetto
della prestazione. Tale possibilità non comporta che costoro diventino parte del rapporto di
clientela, restando per converso la loro attività giuridicamente assorbita da quella del prestatore
d’opera che ha concluso il contratto con il committente. Il sostituto non è pertanto legittimato ad
agire contro il cliente medesimo per la corresponsione del suo compenso - il cui obbligo resta a
carico del professionista che si sia avvalso della sua collaborazione - difettando un valido e
diretto rapporto con il cliente stesso e non essendo prevista, come è invece in tema di appalto
[1676] la possibilità di un’azione diretta.
L’esecuzione della prestazione attraverso sostituti ed ausiliari deve avvenire sotto la direzione e la responsabilità [1228] del professionista che ha ricevuto l’incarico, facendosi inoltre
applicazione delle disposizioni delle sezioni II, III, IV del Capo I del Titolo II ai sensi del rinvio
ad esse operato dal comma 2 dell’art. 2238.
GIURISPRUDENZA
La “collaborazione”, di cui parla l’art. 2232 c.c. - là ove contempla la possibilità che il prestatore
d’opera professionale si avvalga, nella esecuzione dell’incarico, “sotto la propria direzione e responsabilità, di sostituti e ausiliari” - dovendo avvenire e svolgersi sotto la direzione del professionista
incaricato, non può riguardare l’esecuzione di una prestazione professionale che ecceda l’abilitazione del professionista incaricato (il quale non può certamente dirigere l’esecuzione, da parte di altri, di
una prestazione per la quale egli non sia abilitato) e richieda, invece, quella di un professionista più
qualificato, come è nel caso dell’ingegnere rispetto al geometra (3108/1995, rv 491233).
2233. Compenso.
Il compenso, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le
tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a
cui il professionista appartiene [1657, 1709, 1755, 2225, 2751-bis n. 2, 2965 n. 2].
In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al
decoro della professione.
Sono nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi tra gli avvocati ed i praticanti
abilitati con i loro clienti che stabiliscono i compensi professionali1.
1
Comma così sostituito dall’art. 2, D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in L. 4 agosto 2006, n. 248.
COMMENTO
L’articolo in commento introduce una gerarchia tra i criteri di liquidazione del compenso
per le prestazioni di opera intellettuale, in analogia con quanto previsto per il prestatore d’opera
manuale [2225]: in primo luogo assume rilievo l’accordo intervenuto tra le parti; in sua mancanza, le tariffe (sono infatti in vigore, con riguardo alle varie categorie di professionisti, i c.d.
tariffari, che, predisposti dalle rispettive associazioni, servono a contenere entro un determinato
limite, nel massimo e nel minimo, il compenso dovuto, al fine di garantirne la trasparenza, a
vantaggio degli utenti, e l’adeguatezza nell’interesse del professionista); quindi gli usi. Da ultimo soccorre la determinazione del giudice, sentito peraltro il parere dell’associazione professionale, dal quale egli può legittimamente discostarsi fornendo adeguata motivazione.
In ragione del particolare favor assegnato dal legislatore al contratto d’opera intellettuale rispetto a quello manuale, il compenso deve essere ragguagliato all’importanza dell’opera e al decoro della professione: da notare infatti che il codice parla qui di compenso, anziché di corrispettivo
come nell’art. 2225, proprio ad indicare la diversità di natura dell’opera intellettuale rispetto a
quella manuale, e la particolare posizione che la prima assume rispetto alla controprestazione
monetaria del cliente, non valutabile in termini economici alla stessa stregua di quella materiale.
249
2233
Parte I - Disciplina codicistica
La remunerazione della prestazione intellettuale, quindi, seppur espressa in una somma di
denaro, si calcola secondo criteri non strettamente economici, quali la considerazione sociale
che riceve quel determinato tipo di prestazione intellettuale (l’importanza dell’opera) ed il prestigio sociale che la circonda (il decoro della professione). Si noti che il lavoro intellettuale si
differenzia da quello manuale, dando vita ad un’autonoma figura contrattuale, soltanto quando
si tratti di lavoro autonomo: ogni differenza viene meno quando la prestazione sia resa sotto
forma di lavoro subordinato, la quale, intellettuale o meno, soggiace alle medesime regole e
garanzie degli artt. 2094 e ss.
Con riferimento alla professione forense, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 223 del
2006, convertito in L. n. 248 del 2006 e recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e
sociale, ed in particolare, nel contesto normativo dedicato alla tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali, sono da ritenersi nulli, se non redatti in forma scritta, i patti conclusi dagli avvocati (e dai praticanti abilitati, cioè praticanti avvocati abilitati al patrocinio) con i
loro clienti che stabiliscono compensi professionali commisurati al raggiungimento degli obiettivi prestabiliti (art. 2).
Il citato decreto sostituisce l’ultimo comma della norma in oggetto che, nella versione precedente la riforma, prevedeva, per la professione di avvocato, il c.d. divieto del patto di quota
lite - ora, appunto, soppresso, salvo ritenerlo nullo se non redatto per iscritto - che trovava il suo
fondamento nell’esigenza di assoggettare a disciplina il contenuto patrimoniale di un peculiare
rapporto di opera intellettuale, al fine di tutelare contestualmente l’interesse del cliente e la
dignità e la moralità della professione forense, che sarebbe risultata pregiudicata tutte le volte in
cui, nella pattuizione riguardante il compenso, si fosse ravvisata la partecipazione del professionista agli interessi economici finali ed esterni alla prestazione, giudiziale o stragiudiziale, richiestagli. Il comma oggetto della novella legislativa disponeva che i professionisti “neppure
per interposta persona possono stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che
formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio, sotto pena di nullità e di danni”,
al fine di assicurare appunto l’estraneità dei terzi alla soluzione della lite.
Il divieto in commento, che integrava, ante modifica, anche illecito disciplinare, risaliva
addirittura al Corpus Iuris Civilis di Giustiniano ed è stato poi inserito nelle legislazioni europee, a differenza di quanto accade ad esempio negli Stati Uniti, dove tale pratica è ampiamente
diffusa. Attualmente, quindi, sussiste la possibilità per il professionista di pattuire con il cliente
compensi - sotto le più varie modalità - parametrati al raggiungimento degli obbiettivi perseguiti, con il solo limite del rispetto della forma scritta ad substantiam, in linea con le disposizioni a
tutela del consumatore oggi vigenti.
Inoltre, la normativa suddetta, a completamento di un trend evolutivo sulla scorta delle
indicazioni provenienti dall’Unione Europea e dall’Autorità Garante della Concorrenza e del
Mercato, ha apportato modifiche significative al sistema tariffario fino ad ora vigente per le
professioni intellettuali in genere: in particolare, sono stati abrogati i divieti, stabiliti nelle discipline legislative e regolamentari relative, di derogare alle tariffe obbligatorie fisse e minime. Più
in particolare, è venuto meno il principio della obbligatorietà delle tariffe minime: ciò vale
nell’ambito del rapporto cliente/professionista, non già con riferimento alla liquidazione delle
spese di giudizio da parte del giudice, che, secondo il disposto del citato art. 2, dovrà comunque
sempre oscillare tra il massimo ed il minimo risultante dalle tariffe vigenti. Continuano quindi
ad operare, sotto ogni aspetto, le tariffe professionali in mancanza di accordo tra le parti del
rapporto contrattuale.
In conclusione, la forma scritta è obbligatoria ora per ogni pattuizione relativa a compensi
professionali, sia essa stipulata antecedentemente la prestazione che ex post; sia diretta a derogare minimi tariffari e diritti fissi oppure a stabilire un c.d. patto di quota lite.
È di tutta evidenza come tale riforma abbia inciso in modo particolare sulla professione
forense, nell’ambito della quale sono stati abbattuti alcuni capisaldi, di tradizione persino
millenaria.
250
Codice Civile - Libro V
2234
Il credito del professionista per il compenso delle prestazioni è di valuta e non di valore e si
estingue, quindi, con moneta avente corso legale nello Stato e per il suo valore nominale, salvo
il diritto del creditore, in presenza dei presupposti richiesti dall’art. 1224, al pagamento degli
interessi legali ed ai maggiori danni, che egli dimostri, anche con elementi di prova indiretta, di
avere subito a causa della mora del suo debitore (così Cassazione n. 4018 del 1996).
GIURISPRUDENZA
In tema di compenso per prestazioni professionali, non è consentito all’interprete ipotizzare un
nuovo tipo di prestazione professionale rispetto a quelle previste dalla legge, sulla base del disposto del secondo comma dell’art. 2233 c.c., per il quale “in ogni caso” la misura del compenso deve
essere adeguata alla importanza dell’opera ed al decoro professionale, significando tale norma
soltanto che, in caso di compenso convenzionale, una eventuale deviazione dalle tariffe (che non
siano inderogabili) è illegittima ove violi il suddetto criterio (1990/1985, rv 439902).
Il divieto del cosiddetto patto di quota lite, fra l’avvocato, procuratore o patrocinatore ed il suo
cliente, si ricollega essenzialmente all’esigenza di assoggettare ad una disciplina uniforme, garantita da controlli pubblicistici, il contenuto patrimoniale del rapporto professionale, al fine di tutelare
sia l’interesse del cliente, sia la dignità e la moralità del professionista, sia la funzione giurisdizionale, suscettibile di essere pregiudicata da apporti di difesa viziati. Ne consegue che la nullità di
quel patto, sancita dall’art. 2233, terzo comma, c.c., prescinde dalla circostanza del verificarsi di
un indebito lucro per il professionista, e può essere fatta valere da ciascuno dei contraenti, senza
che si richieda la deduzione e dimostrazione di uno specifico interesse a rimuoverne gli effetti
(6073/1985, rv 443208).
Non sussiste il patto di quota lite, vietato dal terzo comma dell’art. 2233 c.c., non solo nel caso
di convenzione che preveda il pagamento al difensore, sia in caso di vittoria che di esito sfavorevole della causa, di una somma di denaro (anche se in percentuale all’importo, riconosciuto in
giudizio alla parte) ma non in sostituzione, bensì in aggiunta all’onorario, a titolo di premio (cosiddetto palmario), o di compenso straordinario per l’importanza e difficoltà della prestazione professionale, ma anche quando la pattuizione del compenso al professionista - ancorché limitato agli
acconti versati - sia sostanzialmente - anche se implicitamente - collegata all’importanza delle
prestazioni professionali od al valore della controversia e non in modo totale o prevalente all’esito
della lite (4078/1986, rv 446885).
Al professionista è consentita la prestazione gratuita della sua attività professionale per i motivi
più vari che possono consistere nell’”affectio”, nella “benevolentia”, o in considerazioni di ordine
sociale o di convenienza, anche con riguardo ad un personale ed indiretto vantaggio. Al di fuori di
tali ipotesi i patti in deroga ai minimi della tariffa professionale sono nulli perché contrari a norma
imperativa sia per gli ingegneri che per gli architetti (8787/2000, rv. 538115).
Nella disciplina delle professioni intellettuali, poiché il contratto costituisce la fonte principale
per la determinazione del compenso, mentre la relativa tariffa rappresenta una fonte sussidiaria e
suppletiva alla quale è dato ricorrere, ai sensi dell’art. 2233 c.c., solo in assenza di pattuizioni al
riguardo, le limitazioni al potere di autonomia delle parti e la prevalenza della liquidazione in base
a tariffa possono derivare soltanto da leggi formali o da altri atti aventi forza di legge riguardanti
gli ordinamenti professionali, sicché sono illegittime, e vanno disapplicate dal giudice, le disposizioni regolamentari che prevedano, in mancanza di delega legislativa, l’inderogabilità dei minimi
tariffari. Ne consegue che va esclusa l’inderogabilità dei minimi tariffari previsti dall’art. 3 del
D.P.R. 22 ottobre 1973 n. 936, che ha approvato la tariffa dei dottori commercialisti, mancando
un’espressa previsione al riguardo nella relativa legge di delega (legge 28 dicembre 1952 n.
3060) (1317/2003, rv. 560115).
2234. Spese e acconti.
Il cliente, salvo diversa pattuizione, deve anticipare al prestatore d’opera le spese occorrenti al compimento dell’opera e corrispondere, secondo gli usi, gli acconti sul compenso.
COMMENTO
Anche per i prestatori d’opera intellettuale vale il principio della c.d. postnumerazione del
compenso (pagamento dopo l’esecuzione dell’opera): ciò nonostante, il committente è tenuto ad
251
2235
Parte I - Disciplina codicistica
anticipare le spese occorrenti al compimento della prestazione e corrispondere, in base agli usi,
gli acconti su tale compenso (esempio).
ESEMPIO
Nicola si rivolge al suo avvocato per risolvere una controversia civilistica, insorta col vicino
di casa, a proposito di confini. Egli sarà tenuto ad anticipare le spese necessarie per portare
avanti la causa e corrispondere eventuali acconti sul compenso richiesto dall’avvocato. Qualora
Nicola si rifiutasse di ottemperare ai suoi obblighi, l’avvocato potrebbe rifiutarsi di iniziare o di
proseguire il suo operato opponendo eccezione di inadempimento [1460].
Si tenga presente che il termine di prescrizione del diritto al compenso e al rimborso spese è
quello abbreviato di tre anni [2956 n. 2].
2235. Divieto di ritenzione.
Il prestatore d’opera non può ritenere le cose e i documenti ricevuti, se non per il periodo strettamente necessario alla tutela dei propri diritti secondo le leggi professionali [2961].
COMMENTO
Al professionista è riconosciuta la facoltà di ritenere le cose e i documenti ricevuti dal cliente per l’esecuzione della prestazione: si tratta appunto del c.d. diritto di ritenzione, mezzo di
tutela preventiva del credito attraverso il quale il creditore che detenga una cosa del debitore (in
questo caso del cliente), può rifiutarsi di restituirla fino quando il suo credito non sia stato
soddisfatto, così agendo in autotutela privata, senza ricorrere al giudice. I crediti dei professionisti intellettuali godono inoltre di un privilegio generale sui beni mobili del debitore ai sensi
dell’art. 2751-bis n. 2, in considerazione dell’esigenza di assicurare il soddisfacimento prioritario di tale categoria di crediti che, trovando titolo nella retribuzione per le prestazioni effettuate,
costituiscono il mezzo di sostentamento di tali lavoratori. D’altro canto la violazione dell’obbligo di restituzione configurerebbe ipotesi penalmente sanzionata (nella specie, appropriazione
indebita ex art. 646 c.p.).
2236. Responsabilità del prestatore d’opera.
Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore
d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave [1176, 1218].
COMMENTO
Si è detto che le obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale sono, di regola,
obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si
obbliga a prestare la propria opera al fine di raggiungere il risultato desiderato, ma non a conseguirlo (esempio n. 1). Si tratta pertanto di obbligazioni caratterizzate da aleatorietà degli esiti,
nelle quali al professionista viene richiesto solo il massimo impegno volto all’ottenimento del
risultato, dipendendo quest’ultimo anche da fattori e circostanze che sfuggono al suo controllo.
Ne discende che l’inadempimento del professionista non può essere desunto dal mancato
raggiungimento del risultato utile sperato dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei
doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale ed in particolare:
- dovere di diligenza: trova qui applicazione, come già visto, in luogo del criterio tradizionale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale [c.d.
specifica o qualificata ex art. 1176 comma 2], che deve essere commisurata alla natura dell’attività esercitata, sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della
sua attività è quella media, propria del settore di riferimento, cioè la diligenza posta nell’esercizio della propria attività dal professionista di preparazione professionale e di attenzione medie,
a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto non involga la soluzione di
problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità del professionista è
252
Codice Civile - Libro V
2236
attenuata, configurandosi solo nel caso di dolo o colpa grave ai sensi dell’art. 2236. Da ricordare
che nel concetto di diligenza che qui interessa è da ricomprendere anche la perizia, cioè l’abilità
tecnica richiesta per l’esercizio di quella data prestazione professionale;
- dovere d’informazione: in capo al professionista grava l’obbligo di informare, in modo
quanto più possibile completo ed adeguato alle circostanze del caso, il soggetto destinatario
della prestazione. Così, il medico deve informare il paziente sui possibili rischi di esito negativo, sulle possibilità di buona riuscita dell’intervento o della prestazione terapeutica, sulle pratiche alternative a disposizione (c.d. consenso informato); l’avvocato, allo stesso modo, deve
esporre al cliente la linea difensiva che intende seguire, prospettandone i profili di rischio e di
successo. La sua violazione è fonte di responsabilità contrattuale, con conseguente obbligo di
risarcimento del danno (esempio n. 2).
La disposizione in commento introduce una limitazione di responsabilità del professionista
intellettuale nell’ipotesi in cui egli si trovi ad affrontare un problema tecnico “di speciale difficoltà”, cioè, secondo la costante interpretazione, un caso di particolare complessità, ad esempio
perché ancora dibattuto, o non ancora sperimentato o studiato a sufficienza, avente i caratteri
della eccezionalità o della straordinarietà. In tale situazione, il professionista è esonerato dalla
responsabilità per colpa lieve, rispondendo soltanto qualora versi in colpa grave o dolo.
A partire dalla fondamentale pronuncia della Corte Costituzionale n. 116 del 1973, la giurisprudenza ritiene che tale esonero da responsabilità valga soltanto con riferimento alla colpa
per imperizia e non per la diligenza e la prudenza che, a maggior ragione, in casi di particolare
difficoltà devono essere prestate in modo superiore.
In particolare, con riferimento al settore della responsabilità medica, tradizionalmente la
giurisprudenza ha distinto, nell’interpretazione dell’art. 2236, tra interventi c.d. di routine ed
interventi di speciale difficoltà: con riguardo ai primi, la limitazione di responsabilità ai soli casi
di dolo e colpa grave non si applica, vale a dire che il medico risponde qui anche per colpa lieve,
atteso il carattere ordinario dell’intervento e la bassa probabilità statistica di risultato negativo
che fanno presumere la colpa del medico. Diversamente, nel caso di interventi complessi trova
spazio la disposizione de qua, essendosi in presenza di significativi rischi di esiti infausti. In tale
quadro interpretativo, la giurisprudenza riteneva sussistere l’onere della prova della colpa medica in capo al paziente danneggiato, nel caso di interventi complessi, cioè ad alto rischio di
errori; viceversa, negli interventi di routine, faceva applicazione del principio res ipsa loquitur,
cioè della presunzione in base alla quale l’eventuale esito negativo è da ascrivere ad errore del
professionista: spetta pertanto al sanitario la controprova di aver osservato la diligenza dovuta,
vale a dire dell’assenza di errore.
Va sottolineato peraltro che l’ambito di applicazione della norma in esame va progressivamente restringendosi, dal momento che gli sviluppi scientifici e del sapere umano rendono
“ordinarie” una serie di prestazioni in passato ritenute di eccezionale difficoltà. Di ciò si è avuta
una particolare dimostrazione nell’ambito appunto della colpa medica, con riguardo alla quale,
negli ultimi anni, va affermandosi un atteggiamento di maggior rigore, a tutela del paziente, da
parte della giurisprudenza: si assiste infatti al passaggio da una concezione di privilegio e di
indulgenza verso l’operato della classe medica, volta a garantire quanto più possibile l’esercizio
della professione al riparo da contenziosi in caso di errori e negligenze, ad una di favor nei
confronti della salute dei singoli quale bene primario da salvaguardare. A riguardo, occorre
ricordare che, a partire dalla pronunzia della Cassazione n. 10297 del 2004, la giurisprudenza ha
puntualmente applicato l’orientamento espresso dalle S.U. nel 2001 con sentenza n. 3533 - in
tema di ripartizione dell’onere probatorio nella responsabilità contrattuale - anche nell’ambito
della responsabilità medica, cioè da inadempimento colpevole: il giudice di legittimità è intervenuto per chiarire come l’inadempimento si presuma e spetti al danneggiato soltanto la prova
del danno e del titolo contrattuale dal quale deriva l’obbligo della prestazione. Estendendo così
tali principi all’inadempimento delle obbligazioni professionali, viene superata la distinzione
tra interventi complessi e non, unificandosi il sistema dell’onere della prova, che non grava mai
253
2236
Parte I - Disciplina codicistica
sul destinatario della prestazione, cioè sul paziente nel caso di prestazione sanitaria. La
controprova dell’assenza di colpa incombe sempre sul professionista, ed al fine di potersi giovare della limitazione di responsabilità prevista dall’art. 2236 dovrà dimostrare la speciale difficoltà dell’intervento.
Dalla casistica giurisprudenziale in merito al concetto di colpa grave, rilevante ai sensi
dell’art. 2236, si evince che questa deve concretizzarsi in un errore grossolano, in un’imperizia inescusabile o nell’ignoranza di principi elementari relativi a quella data attività professionale: così, si è ritenuto l’inadempimento del legale nell’ipotesi di scadenza dei termini di
impugnazione, di nullità della notifica, della proposizione di un appello palesemente infondato, della mancata proposizione di richieste istruttorie di evidente utilità (tra le altre: Cassazione n. 2836 del 2002 e n. 5928 del 2002). Viceversa, sempre con riferimento all’attività forense, spazio operativo per la limitazione della responsabilità si è ravvisato con riguardo all’attività di interpretazione di leggi o alla risoluzione di questioni opinabili, suscettibili di opzioni
risolutive differenti (c.d. errore di merito). Dall’esame delle pronunce in argomento emerge
l’impiego della c.d. tecnica delle chance, intesa come occasione di ottenere un risultato favorevole: l’accertamento del nesso causale tra la condotta negligente dell’avvocato e l’insuccesso della lite è svolto in termini probabilistici, valutando, attraverso un giudizio prognostico,
quante “serie ed apprezzabili possibilità di successo” avrebbe avuto l’attività del professionista se svolta correttamente (in tal senso la giurisprudenza, a partire da Cassazione n. 1286 del
1998). Con riferimento all’attività professionale del notaio, la casistica più significativa riguarda il mancato o inesatto espletamento delle visure catastali o ipotecarie, e di tutte le
attività preparatorie e successive alla redazione dell’atto, nonché, più di recente, l’inosservanza dell’obbligo di informare il cliente sul regime fiscale dell’atto da rogare (così Cassazione n. 309 del 2003).
ESEMPIO
1. In situazioni involgenti l’impiego di specifiche e squisite nozioni tecniche il professionista
deve comunque porre in essere i mezzi concettuali ed operativi che, in vista dell’opera da realizzare, appaiono idonei ad assicurare quel risultato che il committente e preponente si ripromette dall’esatto e corretto adempimento dell’incarico, con la conseguente valutazione del suo comportamento alla stregua della diligentia quam in concreto (così Cassazione n. 4245 del 1983).
2. Nel rapporto fra paziente e chirurgo praticante la chirurgia estetica, detto dovere non
è limitato, come nel rapporto fra cliente e terapeuta in genere (chirurgo o medico che sia),
alla prospettazione dei possibili rischi del trattamento suggerito (in quanto tale da porre in
pericolo la vita o l’incolumità fisica del paziente), ma concerne anche la conseguibilità o
meno, attraverso un determinato intervento, del miglioramento estetico perseguito dal cliente
in relazione alle esigenze della sua vita professionale e di relazione (così Cassazione n.
4394 del 1985).
GIURISPRUDENZA
In applicazione dei principi dettati dagli artt. 2236 e 1176, secondo comma, c.c. l’avvocato
deve considerarsi responsabile verso il suo cliente in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni
di legge e in genere nei casi in cui per negligenza od imperizia compromette il buon esito del
giudizio, mentre nei casi di interpretazione di leggi o di risoluzione di questioni opinabili, deve
ritenersi esclusa la responsabilità dell’avvocato medesimo nei confronti del suo cliente a meno di
dolo o colpa grave (11612/1990, rv 470017).
In tema di responsabilità del medico, ai sensi dell’art. 2236 c.c., la limitazione di responsabilità
ai casi di dolo o colpa grave si applica, non a tutti gli atti del medico, ma solo a quelli che trascendono la preparazione professionale media, altrimenti il medico risponde anche per colpa lieve, spettando al cliente provare che l’atto del medico era di facile esecuzione e che per effetto dell’opera del
medico egli ha subito un peggioramento delle proprie condizioni di salute, salvo per il medico, in tal
caso, di provare di avere eseguito la prestazione con diligenza (977/1991, rv 470735).
254
Codice Civile - Libro V
2237
La disposizione dell’art. 2236 c.c., che, nei casi di prestazioni che implichino la soluzione di
problemi tecnici particolarmente difficili, limita la responsabilità del professionista ai soli casi di dolo
o colpa grave, non trova applicazione per i danni ricollegabili a negligenza o imprudenza, dei quali
il professionista, conseguentemente, risponde anche solo per colpa lieve. Pertanto il medico risponde
dei danni conseguenti alla violazione, per negligenza, del dovere di informazione del paziente sui
possibili esiti dell’intervento chirurgico, al quale egli è tenuto in ogni caso ed in special modo in quello
di interruzione volontaria della gravidanza, in cui il diritto della paziente alla informazione è espressamente sancito dall’art. 14 della legge 22 maggio 1978 n. 194 (6464/1994, rv 487340).
Per il notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, delle risultanze
dei registri immobiliari attraverso la loro visura, nonché l’informativa al cliente sul suo esito e,
nell’ipotesi di constatazione di presenza di iscrizioni pregiudizievoli, la dissuasione del cliente dalla
stipula dell’atto, costituiscono, salva l’espressa dispensa degli interessati dalla suddetta verifica,
obblighi derivanti dall’incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fanno parte dell’oggetto della
prestazione d’opera professionale, poiché, pur essendo il notaio tenuto, quale professionista, ad
una prestazione di mezzi e comportamenti e non di risultato, l’opera di cui è richiesto non si riduce
al mero compito di accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell’atto, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive, necessarie perché sia assicurata la
serietà e certezza dell’atto giuridico da rogarsi ed in particolare la sua attitudine ad assicurare il
conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti dell’atto. Ne
consegue che l’inosservanza di detti obblighi dà luogo a responsabilità contrattuale per inadempimento del contratto di prestazione d’opera professionale, a nulla rilevando che la legge professionale non faccia riferimento a tale responsabilità, posto che essa si fonda sul contratto di prestazione d’opera professionale e sulle norme che disciplinano tale rapporto privatistico. In relazione alla
suddetta inosservanza il notaio non può invocare la limitazione di responsabilità prevista per il
professionista dall’art. 2236 c.c. con riferimento al caso di prestazione implicante la soluzione di
problemi tecnici di speciale difficoltà, in quanto tale inosservanza non è riconducibile ad imperizia,
cui trova applicazione quella limitazione, ma a negligenza o imprudenza, cioè alla violazione del
dovere della normale diligenza professionale media esigibile ai sensi del secondo comma dell’art.
1176 c.c., rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve, essendo inapplicabile l’art. 2236 c.c.
L’accertamento della violazione del dovere sancito dal secondo comma dell’art. 1176 c.c. invece
che della ricorrenza di una fattispecie di responsabilità attenuata ex art. 2236 c.c. è, comunque,
riservato al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato
(5946/1999, rv 527535).
In tema di responsabilità professionale la relazione tra gli artt. 1176 e 2236 c.c. è di integrazione per complementarità e non già per specialità, cosicché vale come regola generale quella
della diligenza del buon professionista (art. 1176, comma secondo, c.c.) con riguardo alla natura
dell’attività prestata, mentre quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà opera la successiva norma dell’art. 2236 c.c., delimitando la responsabilità professionale al dolo o alla colpa grave (499/2001, rv 543135).
2237. Recesso.
Il cliente può recedere dal contratto [1373], rimborsando al prestatore d’opera le spese
sostenute e pagando il compenso per l’opera svolta [2227].
Il prestatore d’opera può recedere dal contratto per giusta causa [2119]. In tal caso egli ha
diritto al rimborso delle spese fatte e al compenso per l’opera svolta, da determinarsi con
riguardo al risultato utile che ne sia derivato al cliente [1671, 1685, 1725, 1738, 2228, 2231].
Il recesso del prestatore d’opera deve essere esercitato in modo da evitare pregiudizio al
cliente.
COMMENTO
La facoltà di recesso assegnata al cliente ricalca le medesime disposizioni sancite per l’appalto e per il contratto d’opera [2227]: rimborso al prestatore delle spese sostenute per l’esecuzione della prestazione e pagamento del lavoro sino ad allora svolto.
255
2238
Parte I - Disciplina codicistica
La facoltà di recesso accordata al prestatore d’opera intellettuale è possibile solo in
presenza di una giusta causa capace di far venir meno l’elemento fiduciario su cui si fonda
il rapporto negoziale (ad es. incapacità o impossibilità del professionista, sopravvenute
durante l’esecuzione della prestazione, di portare a compimento, in modo vantaggioso per
il committente, l’incarico intrapreso). Tale facoltà va, inoltre, esercitata in modo da non
risultare pregiudizievole per il cliente, tenuto, in ogni caso, al rimborso delle spese e al
pagamento della retribuzione entro i limiti dell’utilità conseguita dall’operato del professionista cui si è rivolto. Si è posto infatti, in giurisprudenza, la questione della responsabilità dell’avvocato in caso di rinuncia da parte sua al mandato ricevuto: il legale è tenuto a
svolgere l’incarico fino al subentro di altro professionista ed inoltre ha l’obbligo di informare quest’ultimo delle incombenze effettuate fino a quel momento e di quelle da svolgere
nell’immediato (ad esempio atti in scadenza), pena la sua responsabilità per inadempimento
contrattuale.
GIURISPRUDENZA
L’art. 2237 c.c., il quale pone a carico del cliente che receda dal contratto d’opera il compenso
per l’opera svolta (indipendentemente dall’utilità che ne sia derivata), può essere derogato dai
contraenti, i quali possono subordinare il diritto del professionista alla realizzazione di un determinato risultato, con la conseguenza che il fatto oggettivo del mancato verificarsi dell’evento dedotto
come oggetto della condizione sospensiva comporta l’esclusione del compenso stesso, salvo che il
recesso “ante tempus” da parte del cliente sia stato causa del venir meno del risultato oggetto di
tale condizione (11497/1992, rv 479082).
In materia di prestazioni professionali, il recesso operato ai sensi dell’art. 2237 c.c. non
fa perdere al prestatore d’opera recedente il diritto al compenso per le prestazioni eseguite,
tale compenso non può che essere determinato alla stregua dei criteri previsti dall’art. 2225
c.c., che pone in primo piano la determinazione negoziale. Sicché, in caso di pattuizione
forfettaria del corrispettivo, correttamente la parte di esso spettante per le prestazioni rese
alla data del recesso viene determinata in misura proporzionale rispetto all’intero compenso
(10444/1998, rv 519934).
2238. Rinvio.
Se l’esercizio della professione costituisce elemento di un’attività organizzata in forma di
impresa, si applicano anche le disposizioni del titolo II.
In ogni caso, se l’esercente una professione intellettuale impiega sostituti o ausiliari, si
applicano le disposizioni delle sezioni II, III e IV del capo I del titolo II.
COMMENTO
La norma dispone il rinvio alla disciplina del lavoro nell’impresa (Titolo II del Libro
IV) qualora l’attività intellettuale sia parte di un’attività esercitata in forma di impresa: ciò
significa che i liberi professionisti non sono mai, in quanto tali, imprenditori ai sensi dell’art
2082 e assoggettati alla relativa disciplina; essi lo diventano solo se ed in quanto la professione intellettuale sia svolta nell’ambito di altra attività di per sé organizzata come impresa. Ciò che caratterizza, infatti, secondo autorevole opinione, il libero professionista rispetto all’imprenditore, è il fatto di non assumere, nell’esercizio della propria attività, il rischio
del lavoro, sussistente invece in capo, come abbiamo detto, anche al prestatore d’opera
manuale.
ESEMPIO
a) Vittorio, medico chirurgo, gestisce la clinica privata nella quale svolge la sua professione
di medico, accanto a quella di altri professionisti.
b) Piero, artista, gestisce il teatro nel quale recita.
c) Alessandro, inventore, sfrutta a scopo di lucro la propria invenzione.
256