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Benvenuta/benvenuto sul sito della Facoltà di scienze della
Benvenuta/benvenuto sul sito della Facoltà di scienze della comunicazione dell’Università della Svizzera italiana! Una facoltà giovane e dinamica: internazionale, interdisciplinare e innovativa. Internazionale: studenti, assistenti e docenti vengono da tutto il mondo, e molti corsi di Master (Laurea Specialistica) sono insegnati in lingua inglese. Interdisciplinare: la comunicazione è una realtà umana molto ricca e complessa, che chiede di essere affrontata da diversi punti di vista. Ricerca e didattica in Facoltà l’indagano e la presentano a 360 gradi, sia per quando riguarda le discipline coinvolte – dalla semiotica alla linguistica, dalla storia alla psicologia, dalla sociologia al marketing, alle tecnologie… – sia per quanto riguarda gli ambiti in cui la comunicazione ha luogo, dai mass media ai nuovi media, dalla comunicazione aziendale a quella finanziaria, da quella istituzionale a quella sanitaria, da quella formativa a quella turistica… Innovativa: se l’integrazione di diversi approcci disciplinari è una delle caratteristiche più innovative della Facoltà, è innovativa anche la didattica, che fa un notevole uso delle tecnologie digitali e la relazione tra studenti e docenti/assistenti, facilitata da una relazione ottimale. La presenza di tre scuole dottorali – in argomentazione, in comunicazione sanitaria e in eLearning – è un ulteriore elemento innovativo e distintivo della Facoltà. Nel sito potrai trovare molte delle informazioni che cerchi, altre possono essere richieste direttamente per email, lettera o telefono. Ma nulla potrà sostituire l’incontro e l’esperienza diretta. Con l’augurio di poterci incontrare di persona qui in Facoltà, ti porgo cordiali saluti e gli auguri di buona navigazione, prof. PhD Lorenzo Cantoni (Decano) [Saluto del decano, dal programma degli studi 2010‐11] Il programma degli studi che avete tra le mani è insieme la testimonianza dell’intenso lavoro condotto dalla Facoltà negli anni scorsi, e un importante impegno che assumiamo di fronte a studenti e colleghe/i per l’anno accademico 2010‐2011. È però anche una preziosa occasione per riflettere sul senso della nostra attività di ricerca, d’insegnamento e di studio delle scienze della comunicazione, un’opportunità per porci la domanda che sta all’origine di ogni ricerca scientifica: Perché? Perché studiare e insegnare comunicazione? Secondo il detto latino medievale, finis habet rationem principii: nell’accingerci ad affrontare un nuovo anno accademico ci dobbiamo chiedere quale sia lo scopo, il fine, del nostro studiare, e del nostro studiare la comunicazione. *** La (ri‐)lettura di un celebre testo di Charles Perrault (1628‐1703), uno dei principali attori della Querelle des Anciens et des Modernes, ci può aiutare. Penso al racconto de Il Gatto con gli stivali. Riprendiamo la storia in breve: c’è un mugnaio che ha tre figli. Sul letto di morte decide di dividere l’eredità e lascia al primo figlio il mulino, al secondo un asino e al terzo un gatto. I primi due si mettono subito d’accordo: uno si dedica a macinare il grano e l’altro con l’asino porta i sacchi di frumento e di farina. Il terzo figlio, dopo un iniziale sgomento, pensa di mangiare il gatto e di farne un manicotto con la pelliccia, sicuro che sarebbe comunque morto di lì a poco di fame e di freddo. Il gatto, che sente il padrone ragionare tra sé e sé in tal modo, si offre di dargli una mano, e gli chiede un paio di stivali e un sacco. La situazione è tale – poche alternative, e un gatto che parla – da consigliare di accondiscendere alle sue richieste. Ricevuto quanto chiesto, il gatto corre nel bosco, mette un po’ di crusca nel sacco e finge di essere morto. Alcune lepri si avvicinano per mangiare la crusca, e il gatto, svelto, chiude il sacco e corre alla corte del re, riuscendo a ottenere udienza (se ve lo chiede un gatto…). Si presenta al re dicendogli che lo manda il marchese di Carabà per offrire a sua Altezza della cacciagione; il sovrano, goloso, ringrazia di cuore il gatto, che porterà alla corte altra cacciagione nei giorni e nei mesi successivi. Un giorno il re e la sua bellissima figlia escono per una passeggiata in carrozza. Il gatto allora corre dal padrone e gli dice di spogliarsi e buttarsi nel fiume. Quando la carrozza passa da quel punto, il gatto si getta in mezzo alla strada chiedendo aiuto per il suo padrone derubato dai briganti; il re ordina di fermare la carrozza, fa rivestire il giovane con abiti nobiliari e lo fa salire accanto alla principessa, che s’invaghisce immediatamente del bel giovane. Nel frattempo il gatto corre avanti chiedendo ai contadini lungo la strada di dire al re che tutte le terre circostanti appartengono al marchese di Carabà. In fondo alla strada si poteva vedere un castello che, da qualche anno, era di proprietà di un orco; il gatto arriva al castello ed è ammesso alla presenza dell’orco, a cui chiede se sia vero che è in grado di fare cose incredibili, come trasformarsi in un elefante o in un leone. Immediatamente l’orco lo accontenta e si trasforma in un leone; il gatto, spaventato, si ripara sul lucerniere. Quando l’orco torna delle sue fattezze, il gatto gli chiede se è capace di trasformarsi in qualcosa di piccolo piccolo, come un topolino. L’orco, vanitoso, si trasforma, e il gatto se lo mangia in un sol boccone. Nel frattempo arriva al castello la carrozza con il re, la figlia e il giovane, che ormai tutti credono essere il marchese di Carabà; il gatto li invita a sedere a tavola per gustare un pranzo luculliano. Il re, che ha visto nel marchese di Carabà un ottimo partito per la figlia, chiede al giovane se è disposto a prenderla in sposa. Il marchese acconsente entusiasta, il matrimonio viene celebrato e tutti vissero felici e contenti… *** Naturalmente il racconto può essere letto a diversi livelli, e Perrault stesso si premura di proporne ben due morali. A chi è in università, e si occupa d’insegnare e imparare, insegna senz’altro che ogni generazione può dare in eredità tre tipi di cose: i beni materiali (il mulino), la forza fisica (l’asino), oppure l’intelligenza (il gatto). Nella misura in cui c’interessiamo solo di mulini e di asini, se va molto bene, rimaniamo quelli che eravamo, cioè dei mugnai. Il vero salto di qualità, un salto che permette al figlio del mugnaio, che rischiava di morir di fame, di diventare prima marchese di Carabà e poi principe, avviene solo curandosi del gatto, promovendo cioè la crescita dell’intelligenza, la crescita spirituale. L’università non è chiamata a curarsi di mulini, né tantomeno di asini, ma di gatti. Questo ci chiede anche la società, soprattutto in un mondo in continuo cambiamento: abbiamo bisogno di gatti che reinventino i mulini e sostituiscano gli asini. Se le traduzioni italiane del titolo hanno privilegiato la calzatura, il titolo francese è Le Maître Chat ou Le Chat botté: si tratta dunque anche di un gatto che ha frequentato un Master (in inglese è infatti The Master Cat). Ciò che lo rende così potente, e utile al suo giovane padrone, è il fatto che sa parlare: sa comunicare in modo persuasivo con lui, il Re, i contadini, l’orco. Il dono della parola, il logos come capacità insieme di discorso e di ragionamento, di comunicazione/condivisione di ciò che pensiamo e vogliamo, è ciò che studiamo nella nostra facoltà, è ciò in cui desideriamo diventare esperti (master, appunto). È un percorso affascinante e impegnativo, per questo vi auguro di coltivare il gatto che è in voi, e di indossare robusti stivali! prof. Lorenzo Cantoni Decano