nutrizione ed eventi patologici ad essa collegati

Transcript

nutrizione ed eventi patologici ad essa collegati
Capitolo 14.fm Page 225 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
14
NUTRIZIONE ED EVENTI
PATOLOGICI AD ESSA
COLLEGATI
G. BARTOLOZZI
GENERALITÀ
La storia dell’alimentazione, soprattutto nel lattante
dei primi mesi, è piena di luci e di ombre, anche per la
pediatria italiana. L’allattamento al seno, che ha accompagnato l’uomo fin dalla sua prima comparsa alcuni
milioni di anni fa, all’inizio del XX secolo venne quasi
all’improvviso sostituito dall’allattamento artificiale,
con preparazioni derivate soprattutto dal latte vaccino:
fino a una trentina di anni fa chi si manteneva fedele
all’allattamento al seno e ne propagandava la grandissima utilità veniva considerato un retrogrado, che non si
teneva aggiornato sugli ultimi ritrovati della scienza
dell’alimentazione. Molti cultori delle discipline pediatriche pontificavano sull’utilità e la praticità dell’allattamento artificiale (formule), nei confronti dell’allattamento al seno.
Poi, come è avvenuto per la dieta mediterranea, si è
riaffacciato alla porta quello che era stato impropriamente gettato dalla finestra, sull’onda della stessa letteratura
anglosassone, che era stata fra le prime a favorire il
passaggio alle formule. Da una trentina di anni abbiamo
assistito a una progressiva riconversione delle diverse
scuole pediatriche nel riconoscere la grande utilità
dell’allattamento al seno, per un numero infinito di ragioni, non ultima quella dei vantaggi psicologici nei rapporti
madre-lattante.
Fortunatamente, il buon senso della popolazione
aveva cercato di arginare, a suo tempo, il dilagare dei latti
in polvere, ma l’utilizzo del latte di donna si era ridotto
a meno del 25% fra i nuovi nati. Ora la percentuale è
tornata finalmente a risalire: in un’indagine italiana del
1995-96 l’allattamento esclusivo al 1° mese è risultato
del 72,8% e del 35% alla fine del 3° mese; successivamente, in parecchie regioni d’Italia, l’allattamento materno esclusivo ha raggiunto e superato l’80%, anche per
periodi di tempo superiori ai 3 mesi.
L’Accademia Americana di Pediatria ha raccomanda-
to di mantenere l’alimentazione al seno esclusiva del
lattante per tutti i primi 6 mesi di vita e di continuare
l’allattamento anche nel 2° semestre, dopo l’inizio del
divezzamento.
Oggi le madri, appartenenti a tutti gli strati sociali,
sanno che il latte materno è il migliore alimento per il
proprio figlio e sanno o intuiscono anche il perché.
Se questo è vero, perché ancora oggi alcune madri
scelgono di alimentare il proprio figlio con il biberon?
Perché non hanno ricevuto da parte dei sanitari con i quali
sono venute in contatto alcun segno d’incoraggiamento
per l’alimentazione al seno e perché è stato loro consigliato, molto erroneamente, da parenti e amiche di non
allattare il bambino per non incorrere in un precoce
invecchiamento del seno. Le madri degli anni ’60 e ’70
dicono a questo proposito: “Se soltanto il mio dottore mi
avesse detto allora quanto era importante l’alimentazione
al seno per mio figlio!”.
Ecco che a questo punto s’inserisce la figura del
pediatra moderno che, cosciente dell’importanza dell’allattamento al seno, già mentre partecipa come docente al
corso di preparazione alla nascita, comunica alle future
madri il proprio convincimento e le guida nella scelta
dell’alimentazione al momento della nascita. Il latte materno è sempre pronto, sempre caldo, sempre sufficientemente sterile: come non approfittarne?
I vantaggi del latte umano sono, come vedremo, talmente tanti che viene difficile enumerarli.
Per prima cosa va ricordato che il latte è specie-specifico: il latte di donna è, in altre parole, formato proprio
per la crescita e lo sviluppo del piccolo dell’uomo, come
quello della mucca è destinato, attraverso un affinamento
durato milioni di anni, alla crescita del vitellino.
Ma nei casi, pochissimi, in cui la madre effettivamente
non si trovi nella condizione di allattare il proprio figlio,
il pediatra non deve insistere oltre il dovuto e non la deve
mai colpevolizzare: deve renderle invece noto che al
giorno d’oggi i latti in polvere offrono tutti ogni garanzia
per la nutrizione del bambino e che, pur non essendo
Capitolo 14.fm Page 226 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
226
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
paragonabili al latte materno, sono stati modificati a un
punto tale da permettere un ottimo e sicuro accrescimento.
Normative di legge
A parte il latte materno, la necessità di avere la disponibilità di alimenti adeguati, per caratteristiche nutrizionali e sicurezza d’uso, alle specifiche necessità del lattante e del bambino della prima e della seconda infanzia,
venne riconosciuta in Italia fin dai primi anni ’50. Gli
alimenti per l’infanzia sono regolati da una vecchia legge
(29 marzo 1951, n. 327) e dal suo regolamento di applicazione, il Decreto del Presidente della Repubblica del
30 maggio 1953, n. 578. Secondo tale legge i prodotti per
l’infanzia debbono essere sottoposti da parte del Ministero a un regime di autorizzazione preventiva all’immissione in commercio, secondo il parere di una Commissione
Scientifica, formata da esperti, selezionati dal Ministero
della Salute (già Ministero della Sanità). La Commissione aveva il compito di valutare l’idoneità della composizione del prodotto in rapporto ai requisiti igienico-sanitari richiesti.
Negli anni ’60 viene creata a livello internazionale, la
Commissione del Codex alimentarius, organo dell’ONU
per l’alimentazione (FAO) e la salute (OMS): tra i diversi
Comitati che lo compongono vi è il Comitato Codex
Nutrizione e Prodotti Dietetici, che sostiene l’allattamento al seno ed elabora norme in materia di prodotti dietetici
specifici, compresi gli alimenti per l’infanzia (Codex
Standard72 del 1981 e 156 del 1987 e successive modifiche).
A livello europeo già negli anni ’70 inizia lo sviluppo
di una legislazione comunitaria, che si propone di armonizzare le disposizioni legislative nazionali in materia
alimentare: le linee guida vengono fornite sia da organismi mondiali (Codex) che europei (per esempio ESPGHAN).
In Italia nel 1992 viene abrogata la legge, relativa ai
prodotti dietetici fino allora in uso ed entra in vigore la
Direttiva (Decreto Legislativo del 27 gennaio 1992, n.
111) che distingue gli “alimenti destinati a un’alimentazione particolare” dai “prodotti dietitici” destinati a fini
medici speciali. Fra questi sono compresi i prodotti per
l’infanzia, cioè per individui in buona salute, che vengono distinti da preparazioni che vengono usate per soggetti
con necessità specifiche, darivanti da malattie, da particolari terapie o da diete speciali (per esempio latte per
pretermine e gli idrolisati spinti).
La Comunità europea ha emanato un regolamento per
il latte per lattanti nel primo semestre di vita (latte di
partenza) e per le formule di proseguimento, recepito in
Italia con il Decreto ministeriale del 6 aprile 1994, n. 500
e successive modifiche. Tale regolamento prevede i requisiti essenziali per questi prodotti al fine di offrire
preparazioni “senza eccessi e senza difetti” per quanto
riguarda i nutrienti essenziali, in rapporto con le particolari situazioni di tolleranza fisio-metabolica delle diverse
età (Tabella 14.1).
Il Decreto ministeriale n. 500 comprende inoltre le seguenti disposizioni:
limitazioni severe in materia di pubblicità e di etichettatura;
divieto di promozioni commerciali;
divieto di distribuzione di campioni e di omaggi al
consumatore, direttamente o indirettamente, attraverso il personale sanitario dei reparti di neonatologia
(latte di partenza);
obbligo di erogare forniture gratuite o a basso prezzo
per i Centri nascite, solo su richiesta scritta del responsabile sanitario, in quantità commisurata al numero
medio di nati non allattati al seno.
I prodotti per lo svezzamento e per l’alimentazione
diversificata sono regolati dal Decreto del Presidente
della Repubblica del 7 aprile 1999, n. 128 (recepimento
delle Direttive 96/5/CE e 98/36/CE) e vengono suddivisi
in due gruppi:
alimenti a base di cereali;
altri alimenti per lattanti e bambini (baby food).
Gli alimenti a base di cereali sono prodotti essenzialmente a partire da uno o più cereali macinati (farine) e/o
tuberi o rizomi, e debbono rispondere alle seguenti prescrizioni generali:
tenore di cereali e/o tuberi o rizomi non inferiore al
25% del peso secco;
contenuto di timine non inferiore a 0,1 mg/100 kcal;
i sali di sodio possono essere aggiunti solo a scopo tecnologico (agenti lievitanti) e comunque la quantità di
sodio non deve essere superiore a 100 mg/100 kcl.
Gli altri alimenti per la prima infanzia sono i cosiddetti
baby food, comprendenti tutti i tipi di omogeneizzati,
liofilizzati e prodotti assimilabili. Il decreto n. 128 citato,
fissa le seguenti disposizioni generali per i baby food:
quantità totale di sodio non superiore a 200 mg/kcal,
a eccezione dei prodotti nei quali il formaggio sia
l’unico ingrediente, nel qual caso la quantità massima
di sodio sale a 300 mg/100 kcal;
divieto di aggiunta della vitamina D;
divieto di aggiunta della vitamina A;
quantità massima di grassi pari a 4,5 g/kcal, a eccezione dei prodotti nei quali la carne e il formaggio siano
gli unici ingredienti, nel qual caso il livello massimo
è portato a 6 g/100 kcal;
quantità massima di carboidrati per omogeneizzati di
frutta, succhi, dessert e merende;
Tabella 14.1 - Latte per lattanti. Proteine consentite e
livelli di concentrazione ammessi.
TIPO DI PROTEINE (D/100 KCAL)
Proteine del latte vaccino (modificate
o meno)
Proteine della soia (proteine + aminoacidi)
Proteine del latte vaccino, parzialmente idrolizzate
MINIMO
MASSIMO
1,8
3,0
2,25
3,0
2,25
3,0
Capitolo 14.fm Page 227 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
RICHIESTE DI NUTRIENTI (FABBISOGNO ALIMENTARE)
integrazione obbligata con vitamina C per tutti i derivati della frutta.
Norme particolari per la sicurezza e i controlli
Nel 2005 l’ESPGHAN ha emanato un position paper
nel quale non viene più citata la percentuale di caseina/
sieroproteina, come primo parametro di un latte adattato
europeo, per cui va bene anche l’80% di caseina e il 20%
di sieroproteine, come nel latte vaccino e come nei latti
statunitensi e del resto del mondo. Nello stesso position
paper si afferma che la sola imitazione della composizione del latte materno non è di per sé un sufficiente criterio
di adeguatezza, mentre viene sottolineato il principio del
“correlato funzionale”.
Passando dalla alimentazione del lattante e del bambino nei primi 2 anni di vita alla alimentazione delle età
successive, va rilevato che ai primi del 2005, negli Stati
Uniti la vecchia “piramide alimentare”, costruita oltre 10
anni fa, è stata completamente sovvertita, vista la diffusione nella popolazione dei soggetti sovrappeso e obesi,
che superano ormai negli Stati Uniti il 50% degli abitanti.
Anche le nuove norme consigliano di mangiare una grande quantità di frutta e di verdure e di fare esercizio fisico
dai 30 ai 90 minuti al giorno, ma consigliano nel contempo di usare prodotti integrali per una delle porzioni giornaliere di cereali (grano, avena o riso). I grassi non
dovrebbero costituire più del 35% delle calorie ingerite
ogni giorno e dovrebbero essere costituiti essenzialmente
da acidi grassi mono- e polinsaturi. Gli acidi grassi saturi
non dovrebbero essere consumati per più del 10% delle
calorie giornaliere, mentre il colesterolo non dovrebbe
essere ingerito in più di 300 mg al giorno. La dieta
mediterranea, che di recente era stata messa in discussione, è stata completamentre riabilitata, compresa la sua
elevata componente in carboidrati. I due obiettivi principali sono oggi per gli alimentaristi statunitensi mangiare
meno calorie e fare più attività fisica.
Il continuo progresso delle conoscenze scientifiche
porta alla necessità di una continua modifica delle norme
che regolano i prodotti alimentari, soprattutto per quei
soggetti come i bambini, che hanno peculiari caratteristiche fisiologiche.
RICHIESTE DI NUTRIENTI
(FABBISOGNO ALIMENTARE)
La richiesta individuale di nutrienti è regolata essenzialmente da caratteristiche genetico-metaboliche: per la
pediatria essa deve portare a una crescita soddisfacente,
senza che si sviluppino stati d’insufficienza energetica,
minerale o vitaminica.
Di recente sono stati identificati i quantitativi alimentari necessari, per le diverse sostanze, per prevenire stati
di deficienza nella maggior parte delle persone (Food and
Nutrition Board, National Academy of Science: National
Research Council Recommended Dietary Allowances,
227
riviste nel 1989). Poiché, in via teorica, è possibile che
alcuni nutrienti essenziali non siano stati ancora identificati, tutti i nutrizionisti consigliano di seguire a qualsiasi
età, ma soprattutto nell’infanzia, una dieta molto variata,
anche nei bambini che, come capita spesso, tendono a
essere conservatori al massimo nella loro dieta.
In Europa i fabbisogni alimentari sono stati identificati dal Comitato per la Nutrizione della Società Europea
di Gastroenterologia Pediatrica e della Nutrizione (ESPGAM); in Italia l’Istituto della Nutrizione ha stabilito i
Livelli di Assunzione Raccomandata di Nutrienti
(LARN), che sono definiti come i livelli necessari per
tutta la popolazione, tenendo conto degli estremi delle
differenze individuali (Tabella 14.2): ovviamente i
LARN sono più elevati sia dei livelli stabiliti negli Stati
Uniti che di quelli dell’ESPGAM (anche del 30% per le
proteine).
L’opinione prevalente nella comunità scientifica è che
la strategia migliore per promuovere la salute sia quella
che privilegia l’assunzione di elevate quantità di frutta e
vegetali, mentre il ricorso alla supplementazione con
vitamine e/o minerali sia consigliabile solo per determinati segmenti della popolazione con specifiche esigenze
nutrizionali e/o fisiologiche.
Acqua
In proporzione al peso, il contenuto in acqua del
lattante è superiore a quello del soggetto adulto: 75-80%
contro 55-60%. Si tratta soprattutto di liquidi extracellulari. Poiché, in senso assoluto, essi, nelle prime età della
vita, sono abbastanza scarsi, si rende necessario restaurare in breve tempo le perdite che eventualmente dovessero avvenire con la diarrea e col vomito, pena l’insorgenza di un grave stato di disidratazione.
L’acqua extracellulare del nostro organismo non deriva solo dalle fonti esterne, ma origina anche dall’interno,
per esempio dall’ossidazione di alcune molecole.
Il fabbisogno di acqua del bambino, come d’altra parte
dell’adulto, deriva da:
consumo metabolico (5-10% del totale);
perspiratio insensibilis, legata alla perdita di acqua
dalle superfici dell’organismo, come la cute e le vie
aeree, e alla sudorazione (40-50% del totale);
perdita attraverso le urine (40-50% del totale) e le feci
(3-10% del totale).
Il lattante necessita di una maggiore quantità di acqua
per kg di peso corporeo, in confronto all’adolescente e
all’adulto (Tabella 14.3): il fabbisogno di liquidi del
lattante sano rappresenta ogni giorno il 13-15% del suo
peso, contro il 2-4% dell’adulto (Figura 14.1). Il fabbisogno di acqua diminuisce percentualmente mese dopo
mese e anno dopo anno, dalla nascita all’adolescenza.
Il rene mantiene l’equilibro dei liquidi e degli elettroliti dell’organismo, variando, entro limiti diversi per età
e situazione, l’osmolarità (da 300 a 1.000 mOsm/L) e il
volume delle urine (vedi Capitolo 41, pag. 1037).
L’osmolarità ematica varia entro limiti ristretti (intorno
a 293 mOsm/L).
Capitolo 14.fm Page 228 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
228
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
Tabella 14.2 - LARN di proteine e acidi grassi essenziali per la popolazione italiana.
Lattanti
Bambini
Maschi
Femmine
ETÀ IN ANNI
PESO IN kg
PROTEINE IN g
0,5-1
1-3
4-6
7-10
11-14
15-17
18-29
30-59
60 e più
11-14
15-17
18-29
30-49
50 e più
7-10
9-16
16-22
23-33
35-53
55-66
65
65
65
35-51
52-55
56
56
56
15-19
13-23
21-28
29-42
44-65
64-72
62
62
62
43-58
56-57
53
53
53
59
70
Gestanti
Nutrici
ACIDI GRASSI ESSENZIALI IN g
3
6
4
4
4
4
5
6
6
6
6
4
5
4,5
4,5
4,5
5
5,5
0,5
0,7
1
1
1
1,5
1,5
1,5
1,5
1
1
1
1
1
1
1
(Società Italiana di Nutrizione Umana, 1996)
Tabella 14.3 - Fabbisogno medio di acqua in bambini sani a seconda dell’età.
ETÀ
3
10
3
6
9
1
2
4
10
14
18
giorni
giorni
mesi
mesi
mesi
anno
anni
anni
anni
anni
anni
PESO MEDIO IN kg
QUANTITÀ DI ACQUA NECESSARIA
NELLE 24 ORE (mL)
ACQUA NECESSARIA PER kg
NELLE 24 ORE (mL)
3,0
3,2
5,7
7,8
9,0
10,0
12,2
16,5
29,2
48,0
52,0
250-300
400-500
750-850
950-1200
1200-1400
1250-1450
1400-1500
1800-2000
2000-2500
2200-2700
2200-2700
80-100
125-150
140-160
130-155
125-145
120-135
115-125
90-100
70-85
50-60
40-50
Gran parte della popolazione italiana è ormai abituata
a bere prevalentemente acqua minerale: circa il 60%
degli italiani beve acqua minerale, più spesso naturale
(60%), più di rado effervescente naturale (18%), ancora
più di rado lievemente frizzante (12%) e meno ancora
decisamente frizzante (10%). Nella maggioranza dei casi
il consumatore pensa che un’acqua sia uguale a un’altra,
mentre le differenze fra un’acqua minerale e un’altra
sono a volte rilevanti. Il fatturato è di 3 miliardi di euro;
i marchi sono 265; gli stabilimenti 166 e gli occupati del
settore 40.000. Il consumo di acqua minerale per persona
è passato da 154,8 litri del 1999 a 195 litri del 2004: il
maggiore di tutti i Paesi del mondo. Nel 2004 gli italiani
hanno bevuto 10.700 milioni di litri di acqua minerale.
La pubblicità dell’acqua minerale in Italia è divenuta
martellante: le immagini meravigliose dei luoghi dai
quali sgorga quella determinata acqua, fanno aumentare
la paura nei confronti dell’acqua che esce dal rubinetto.
Si continua a comprare l’acqua minerale anche quando
siamo in montagna, proprio là dove ci sono le sorgenti di
quella stessa acqua minerale. Siamo l’unico Paese al
mondo dove questo accade.
Il residuo fisso è la quantità di sali inorganici contenuti
nell’acqua: esso si ottiene facendo evaporare l’acqua a
180 °C. Viene espresso in milligrammi per litro. Un’acqua
che contenga una quantità elevata di sali inorganici, determina un sovraccarico di elettroliti nel sangue e richiede un
superlavoro da parte del rene: poiché la funzione escretoria renale viene raggiunta solo fra i sei mesi e i due anni
di età, per la diluizione del latte in polvere è consigliabile
che venga usata un’acqua che abbia un residuo fisso
inferiore ai 200 mg/L o meglio 100 mg/L. Al di là dei 6
mesi il miglioramento della funzione renale permette
l’uso di acqua con una maggiore quantità di residuo fisso.
Il pH consigliato sta fra 6 e 6,8. Il contenuto di fluoro
(vedi Capitolo 34, pag. 766) deve variare fra 0,5 e 1 mg/
Capitolo 14.fm Page 229 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
RICHIESTE DI NUTRIENTI (FABBISOGNO ALIMENTARE)
229
Figura 14.2 - Fabbisogno e utilizzo calorico alle varie età.
Figura 14.1 - Bilancio idrico giornaliero nel lattante e
nell’adulto.
L. Altrettanto importante il contenuto in sodio (deve
essere il più basso possibile) e in nitrati (spesso indice di
inquinamento).
Energia
Una grande caloria o chilocaloria (1 Cal = 1 kcal) è la
quantità di calore necessario per aumentare la temperatura
di 1 kg di acqua (1 litro) da 14,5 a 15,5 °C. Il fabbisogno
calorico varia in senso assoluto alle diverse età e in varie
condizioni (Figura 14.2). Da 100 calorie per kg di peso
nel 1° anno, si passa a 80 per kg a 6 anni, per scendere a
60, a 12 anni e, infine, a 40 calorie per kg a 18 anni. Molto
diverso è anche l’utilizzo delle calorie per kg alle diverse
età: mentre il valore totale delle calorie diminuisce quasi
parallelamente alle calorie basali e alle calorie destinate
alla crescita, aumenta dalla nascita ai 6-9 anni la spesa per
i movimenti, mentre rimane quasi costante la spesa per
mantenere la temperatura corporea nei limiti normali,
come rimane costante la perdita delle calorie con le feci.
Per esempio, un bambino di 6-12 anni spende la metà del
suo fabbisogno calorico per il metabolismo basale (la
spesa minima di energia necessaria per mantenere la respirazione, la circolazione, la peristalsi, il tono muscolare,
l’attività ghiandolare e le altre funzioni vegetative), il
12% per la crescita, il 25% per l’attività fisica e circa l’8%
lo perde con le feci, come grassi non assorbiti (saponi).
Il fabbisogno calorico, necessario per ottenere un
buon accrescimento staturale e ponderale, varia notevolmente da un soggetto all’altro.
Mentre in oltre il 60% dei casi valgono i livelli indicati
nella Figura 14.2, vi è una parte di soggetti che cresce
bene solo se introita una quantità di calorie superiore a
quella indicata (per esempio nel 1° anno 120-140 kcal per
kg), ma vi è dal lato opposto della curva di Gaus anche
una parte di soggetti che cresce bene anche se introduce
solo 75-80 kcal per kg di peso. Questo concetto è fonda-
mentale per comprendere il comportamento ponderale di
alcuni bambini che mangiano poco o giusto e ingrassano
o al contrario di altri bambini che mangiano molto o
moltissimo e sono magri: trasmettere alla madre questi
nostri convincimenti può aiutarla a capire le regole del
fabbisogno alimentare e può servire a noi pediatri per
spiegare una realtà altrimenti di difficile o complessa
interpretazione.
L’apporto di macronutrienti, necessario alle varie età,
è riportato nella Tabella 14.4.
Prendendo in considerazione il latte materno come
l’alimento ideale del lattante nei primi 6 mesi di vita,
ritroviamo questa suddivisione calorica per i diversi macronutrienti:
proteine: 6-8% delle calorie totali
carboidrati: 41-43%
grassi: 52-54%.
Nelle età successive il totale delle calorie dovrebbe
essere così suddiviso fra i vari macronutrienti:
proteine: 8-12% delle calorie totali
carboidrati: 52-62% delle calorie totali
grassi: 30-34%.
Da tener presente che 1 g di carboidrati e 1 g di
proteine corrispondono a 4 calorie per ciascuno e che 1
g di grassi corrisponde a 9 calorie, mentre 1 g di alcol
etilico (ma il suo uso è completamente vietato in età
evolutiva) corrisponde a 7 calorie.
Proteine
Le proteine sono formate di aminoacidi, che si suddividono in:
aminoacidi essenziali, cioè non sintetizzabili dall’organismo e quindi necessariamente da introdurre
dall’esterno: treonina, valina, leucina, isoleucina, lisina, triptofano, fenilalanina, metionina, istidina. Arginina, cistina e taurina sono essenziali per i nati di basso
peso;
aminoacidi non essenziali, tutti gli altri che l’organismo è in grado di sintetizzare da solo e che quindi non
è necessario introdurre con la dieta.
Capitolo 14.fm Page 230 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
230
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
Tabella 14.4 - Fabbisogni di macronutrienti alle diverse età.
Lattanti
Bambini
Maschi
Femmine
ETÀ IN MESI/
ANNI
PESO MEDIO
in kg
ALTEZZA MEDIA
in cm
PROTEINE
g/die
CARBOIDRATI
g/die
GRASSI
g/die
CALORIE
TOTALI/DIE
6 mesi
12 mesi
3 anni
6 anni
10 anni
14 anni
18 anni
14 anni
18 anni
7.800
10
14
22
30
46
65
50
55
66
75
93
114
135
158
176
159
162
13
16
20
26
32
46
60
46
48
78
90
160
230
260
300
320
325
300
46
64
68
82
86
102
120
112
100
780
1.000
1.330
1.760
1.950
2.300
2.600
2.500
2.300
Per ogni proteina è necessario conoscere il valore
biologico, cioè il grado di utilizzazione. In altre parole le
proteine ad alto valore biologico contengono tutti gli
aminoacidi essenziali necessari per la sintesi dei tessuti
e hanno poco “sciupìo”: contengono proteine ad alto
valore biologico le uova, il latte, il manzo, il pesce, il
pollame, il formaggio, i legumi. Le proteine vegetali
hanno un valore biologico più basso (del 25-30%, in
confronto per esempio all’uovo): di questo si deve tener
conto nel calcolo dell’apporto proteico in un bambino.
Carboidrati
Sono il macronutriente che partecipa in maggior misura alle spese energetiche dell’organismo: quando mancano i carboidrati l’organismo attinge energie dalle riserve di grassi e di proteine. Vengono immagazzinati come
glicogeno nel muscolo e nel fegato, dai quali vengono
liberati attraverso il processo della glicogenolisi. I carboidrati si ritrovano nel latte, nei cereali, nella frutta,
nelle patate e nei vegetali; lo zucchero (un disaccaride
costituito da glucosio e fruttosio) è formato al cento per
cento da carboidrati.
Grassi
I lipidi (o grassi, rappresentati essenzialmente da trigliceridi) sono costituenti fondamentali delle membrane
di tutte le cellule; essi rappresentano inoltre le più importanti riserve di energia del nostro organismo. Sono ricercati nell’alimentazione, sia dai bambini che dagli adulti,
perché aumentano la palatabilità degli alimenti. Essi
veicolano le vitamine liposolubili (A, D, E e K). Sono
formati da acidi grassi, che differiscono fortemente l’uno
dall’altro, sia come lunghezza sia per la mancanza o la
presenza di uno o più doppi legami (acidi grassi saturi,
monoinsaturi e polinsaturi).
L’uomo non è in grado di sintetizzare gli acidi grassi
con due doppi legami (acido linoleico) e con tre doppi
legami (acido linolenico), che debbono necessariamente
essere presenti nella dieta. L’acido linoleico è il precursore dell’acido arachidonico, delle prostaglandine e dei
leucotrieni. L’acido linolenico modula la velocità di sintesi di acido arachidonico e di altri composti, che sono
essenziali per la struttura e la funzione del sistema nervoso centrale. Il latte materno contiene discrete quantità
di acidi grassi essenziali (fra il 4 e il 5% del totale delle
calorie); nelle età successive essi sono contenuti nella
dieta in una proporzione dell’1-2% delle calorie. La loro
mancanza, in un organismo in rapida crescita, determina
intertrigine, secchezza, ispessimento e desquamazione
della pelle. Un loro eccesso aumenta la produzione di
perossidi e può causare distruzione delle membrane cellulari. I grassi sono contenuti nel latte materno e vaccino,
nel rosso d’uovo, nel burro, nella carne, nel pesce, nel
formaggio, nelle noccioline e negli oli vegetali: l’olio di
oliva contiene prevalentemente acido oleico (con un doppio legame), analogamente all’olio di arachidi. Gli acidi
grassi polinsaturi (linoleico soprattutto) sono contenuti
in gran quantità (circa il 50% del totale) nell’olio di mais,
di girasole, di soia e di vinaccioli.
Il contenuto di grassi nei vari alimenti cambia con il
passare del tempo: per esempio, secondo l’Istituto Nazionale della Nutrizione il contenuto di lipidi presente in 100
g di tuorlo d’uovo (cioè di circa due uova) si è abbassato
negli ultimi anni da 11,1 g a 8,7 g. Parallelamente si è
ridotto anche il contenuto di colesterolo, che è passato da
504 mg (in due tuorli d’uovo) a 371 mg: una riduzione di
circa un quarto.
Una dieta ricca di grassi può favorire l’incremento
ponderale in quanto:
i grassi hanno un elevato rendimento calorico ed estrema palatabilità, per cui favoriscono il consumo di elevate quantità di cibo, promuovendo un bilancio energetico positivo;
hanno un minor effetto saziante e di autocompensazione mediante la regolazione dei successivi introiti;
inducono una minor termogenesi pasto-indotta (circa
il 3% del contenuto energetico per i grassi ingeriti,
contro il 5-8% dei carboidrati e il 20-25% delle proteine);
lo stoccaggio dei grassi è 8 volte superiore dopo un
pasto ricco di grassi rispetto al pasto ricco in carboidrati.
Vitamine e minerali
Vedi pag. 261 e pag. 272.
Capitolo 14.fm Page 231 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
231
DIETA DEL LATTANTE
GLI ACIDI GRASSI CIS E TRANS
I grassi trans, acidi grassi insaturi con almeno un doppio
legame in configurazione trans (Figura A), sono formati durante l’idrogenazione parziale degli oli vegetali, un processo
che converte gli oli vegetali in grassi semisolidi, come le
margarine. Da un punto di vista industriale, gli oli vegetali
parzialmente idrogenati sono convenienti per la loro lunga
vita nelle confezioni, la loro stabilità durante la frittura ad alte
temperature, il loro stato semisolido, che permette di confezionarli secondo i bisogni, e l’aumento della palatabilità di
cibi cotti e di dolci. Il consumo medio degli acidi grassi trans
negli Stati Uniti rappresenta il 2-3% del totale delle calorie
consumate. La maggior origine di grassi trans sono i cibi fritti
velocemente ad alta temperatura (patatine fritte), i prodotti
cotti in forno, i cibi per spuntini, le pizze, le margarine, i
popcorn, le torte, i cracker e molti altri. Una minima quantità
di grassi trans (0,5% dell’energia totale consumata) si trova
nella carne: essi sono prodotti dai batteri nello stomaco dei
ruminanti.
Figura A - Struttura degli acidi grassi cis e trans.
Sia l’acido oleico che l’acido elaidico sono acidi grassi
a 18 atomi di carbonio con un singolo doppio legame.
Ma l’acido oleico ha un doppio legame cis (gli atomi di
idrogeno sono dallo stesso lato), che causa una curva
o un nodo nella catena dell’acido grasso, mentre l’acido elaidico ha un doppio legame trans (gli atomi di
idrogeno sono uno da un lato e l’altro dall’altro della
molecola di acido grasso), il che raddrizza la catena
dell’acido grasso. Il legame trans conferisce alla struttura dell’acido grasso un aspetto più simile a quello
degli acidi grassi saturi, alterando le proprietà fisiologiche e gli effetti degli acidi grassi. Nell’acido elaidico
il doppio legame è presente al nono atomo di carbonio
(trans 18:1-9). (Da Mozaffarian D. et al.: Trans fatty acid
and cardiovascular disease, N Eng J Med 354:1601-13,
2006.)
La Food and Drug Administration ha deciso che dal primo
gennaio 2006 tutti i cibi debbono indicare il contenuto in
acidi grassi trans. Il Dipartimento della Salute e dell’Igiene
Mentale di New York ha chiesto ai ristoranti e ai fornitori di
cibi di eliminare parzialmente i grassi idrogenati. Anche la
Danimarca e il Canada hanno preso o prenderanno provvedimenti per limitare il consumo di acidi grassi trans.
Sulla base degli studi sperimentali e clinici, il consumo di acidi
grassi trans, ottenuti da oli parzialmente idrogenati, non
fornisce alcun apparente beneficio alimentare e ha molte
potenzialità di danno per l’organismo umano. È possibile
eliminare gli oli parzialmente idrogenati dai cibi nei ristoranti
e da quanti preparano i cibi, perché, secondo l’esperienza di
alcuni Paesi, essi possono essere largamente rimpiazzati dagli
acidi grassi cis senza aumentare i costi e senza ridurre la
qualità o la disponibilità dei cibi. La riduzione del consumo di
grassi trans porterà probabilmente a sostanziali benefici per
la salute, impedendo migliaia di malattie coronariche.
Fibre
Col nome di fibre sono indicate quelle parti dei cereali,
dei vegetali, della frutta, dei legumi, delle noci e delle
nocciole che non vengono scisse e digerite nell’uomo a
livello intestinale: esse sono costituite da carboidrati
(cellulosa) e lignina. Si ritiene comunemente che una
dieta ricca di cibi raffinati e povera di fibre possa provocare stipsi, diverticolite, calcolosi colecistica, appendicite acuta e perfino cancro del colon. D’altra parte, diete ad
alto contenuto di fibre possono portare a una riduzione
dell’assorbimento del colesterolo, dello zinco e di altri
nutrienti importanti.
È ovvio che nel 1° anno di vita, quando l’alimentazione lattea è prevalente, l’apporto di fibre è scarso e limitato ai passati di verdura ed eventualmente alle creme di
cereali integrali. È solo negli anni successivi, e in particolare dopo il secondo, che le fibre debbono rappresentare una componente essenziale nella dieta del bambino,
anche perché comincia a familiarizzare con alimenti che
entreranno a far parte della sua alimentazione quotidiana.
Essenziale per tutti è sapere che le fibre sono un alimento e
non un medicamento.
Il fabbisogno giornaliero di fibre va da 170 a 300
mg/kg/die. I bambini che siano tenuti a una dieta varia e
bilanciata introitano sufficienti quantità di fibre. Fra le
verdure bollite quelle che contengono più fibre sono i
cavolini di Bruxelles, i carciofi, i broccoli e la cicoria.
DIETA DEL LATTANTE
Il successo nell’alimentazione del lattante, come in
quella delle età successive, dipende essenzialmente da un
Capitolo 14.fm Page 232 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
232
buon rapporto psicologico, e quindi dalla cooperazione
esistente fra il bambino e la madre.
Il momento del pasto deve rappresentare un momento
di gioia, di piacere, di soddisfazione per la madre e di
esaudimento di un bisogno essenziale per la sopravvivenza del bambino. Il dovere della madre è quello di
essere in grado di procurare e di offrire i nutrienti necessari al proprio figlio, o sotto forma dell’offerta del proprio seno, ricco di latte, o sotto forma della preparazione
dei vari componenti del pasto. Deve inoltre offrirli al
bambino con dolcezza e comprensione, accettando di
buon grado (almeno esteriormente) uno scarso gradimento o addirittura un rifiuto. Ovviamente, fra i doveri
della madre non c’è quello di somministrare al cento per
cento al proprio figlio i cibi che gli ha preparato.
Come abbiamo visto, esiste un’estrema variabilità individuale nei fabbisogni alimentari, ma bisogna tenere
conto che esiste anche una grande variabilità di assunzione di alimenti fra un pasto e l’altro, come da un giorno
all’altro o da una settimana all’altra: le ragioni di questa
estrema variabilità sono spesso fisiologiche, e solo di
rado sono legate a processi patologici in divenire o manifesti. L’oscillazione nella quantità di alimenti ingeriti
dal bambino come dall’adulto, in periodi di tempo e in
circostanze diversi, porta quindi a periodi felici per la
madre, in cui il bambino riesce a finire tutto quello che
ella gli presenta, e a periodi tristi per la madre, in cui il
bambino limita i suoi introiti e dimostra di non gradire
l’ulteriore somministrazione di cibo. È necessario che il
pediatra trasmetta alla madre del “bambino che non
mangia” queste semplici informazioni e la rassicuri,
come sempre, dopo aver accertato, solo sulla base dei dati
clinici, che in effetti non esista niente di patologico.
Se la madre incautamente, durante un periodo di scarsa tendenza all’alimentazione, cerca, con le buone o con
le cattive (cioè usando un’amorosa violenza), d’introdurre cibo nella bocca del bambino nel giro di pochi giorni,
si viene a determinare un’incrinatura, all’inizio di lieve
entità e successivamente più profonda, nei rapporti fra
madre e figlio. Quali sono i segni di sazietà del bambino?
All’inizio, se sta già seduto, si ritrae di fronte al biberon,
alla tazza o al cucchiaio, poi serra fortemente la bocca,
infine sputa e soffia via l’alimento o, addirittura, per
sanzionare completamente la sconfitta della madre, vomita durante o alla fine di un pasto combattuto.
Per ricondurre il rapporto, in corrispondenza dei pasti,
alla situazione quo ante è necessario che passi del tempo;
tanto più l’intervento della madre si era manifestato con
insistenza o violenza, quanto più tempo occorre aspettare. Il lavoro del pediatra a questo punto è essenziale, egli
deve sfruttare appieno la sua presa sulla famiglia, deve
spiegare e convincere. Deve chiarire soprattutto che la
madre, o chi per essa, al momento del pasto deve mostrarsi calma e disponibile e offrire, quasi con noncuranza, il
cibo preparato, ritirandolo quando il bambino le trasmetta, anche senza parlare, il suo rifiuto ad alimentarsi. A
questo punto la madre non deve manifestare in alcun
modo la sua temporanea sconfitta davanti al bambino,
anche se internamente è in preda a un senso di colpa e
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
d’incapacità personale che compromettono il suo equilibrio. Il pediatra deve prepararla a un calvario di molti
giorni, senz’altro più di una settimana, prima che sia stato
raggiunto l’equilibrio desiderato.
Nei casi più difficili va suggerito alla persona della
famiglia che sia incaricata dell’alimentazione del bambino di passare l’incombenza a un’altra persona, ben informata; a volte è necessario che la madre non assista alla
somministrazione degli alimenti, almeno finché non sia
stato superato il periodo di crisi.
Il pediatra che non s’impegni nel ristabilire i rapporti
alimentari fra madre e bambino viene meno al suo compito, in particolare se cerca di risolvere il problema con i
farmaci (i famosi ricostituenti), e peggio ancora se questi
farmaci sono rappresentati da veri stimolanti dell’appetito, come la ciproeptadina (Periactin e simili), che sono
dotati di numerosi effetti collaterali e che non trovano fra
le loro indicazioni l’anoressia secondaria del bambino:
spesso essi sono una mescolanza di principi attivi diversi.
Secondo la moderna farmacologia, il pediatra in linea
generale deve sempre scartare le preparazioni composte
da principi diversi (salvo casi eccezionali), limitando la
prescrizione a preparazioni farmacologiche che contengano un solo principio attivo.
Allattamento al seno
DEFINIZIONI OMS
• Allattamento esclusivo: latte materno come unico alimento.
• Allattamento predominante: latte materno, come unico
alimento, ma con la somministrazione contemporanea di
liquidi, come acqua (semplice o zuccherata), e bevande
acquose, come tè, camomilla, tisane, infusioni, succhi di
frutta o soluzioni reidratanti orali.
• Allattamento complementare: latte materno con l’aggiunta di alimenti liquidi (latte di mucca, brodi di carne o
vegetali), semiliquidi (pappe di cereali, verdura, frutta,
carne, pesce) e solidi (biscotti).
• Allattamento artificiale: alimentazione senza latte materno.
Raccomandazioni OMS
Cominciare l’allattamento al seno entro un’ora dalla
nascita.
Allattare esclusivamentre al seno fino a circa 6 mesi
di età.
Introdurre alimenti complementari tra i 4 e i 6 mesi,
solo se il bambino ha fame e cresce poco.
Dare alimenti complementari a tutti i bambini da circa
i 6 mesi di età.
Continuare l’allatamento al seno fino a 2 anni o più.
Raccomandazioni dell’Accademia Americana
di Pediatria
L’obiettivo è quello di portare al 75% la percentuale
di mamme che allattano al seno esclusivamente i loro
Capitolo 14.fm Page 233 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
DIETA DEL LATTANTE
bambini nel periodo post partum precoce e ad almeno il
50% la percentuale di madri che continuano ad allattare
fino a quando il lattante non abbia raggiunto i 5-6 mesi
di età.
Il latte materno deve essere considerato l’alimento
preferito per tutti i neonati, salvo rare eccezioni.
L’allattamento al seno deve essere iniziato precocemente dopo la nascita, di solito entro la prima ora.
È opportuno che i neonati vengano alimentati ogni
volta che mostrino segno di fame, come un aumento
dello stato di allerta o di attività motoria, o movimento
delle labbra caratteristico o dimostrazione di cercare
cibo. Il pianto è un indicatore tardivo di fame.
Ai neonati allattati al seno non debbono essere dati
supplementi di acqua, glucosata o meno, pasti di latte
artificiale o altro, a meno che non esista una indicazione clinica. Debbono essere evitati succhiotti o almeno possono essere usati soltanto quando l’allattamento al seno si sia consolidato.
L’assistenza del pediatra è essenziale fin dai primi
giorni di vita.
L’allattamento materno esclusivo è sufficiente per una
crescita adeguata nel corso dei primi 6 mesi di vita.
La prevalenza dell’allattamento al seno
Secondo un’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità
(2002) su 1.627 madri è risultato:
alla dimissione dal reparto maternità allattamento
esclusivo o predominante nel 70% dei casi; allattamento misto nel 21% e allattamento artificiale nel 9%;
a 3 mesi di vita il 76% dei bambini è ancora allattato
al seno in modo completo o misto;
al 6° mese allattamento al seno nel 57% dei nuovi nati;
a 9 mesi il 34%;
a 12 mesi il 19%.
I fattori associati, in maniera statisticamente significativa all’allattamento al seno completo, sono (indagine
ISS, 2002):
istruzione alta;
età pari o superiore ai 30 anni;
non fumatrice;
pluriparità;
frequenza del corso di preparazione alla nascita;
parto spontaneo;
rooming-in;
neonato attaccato al seno entro 2 ore dal parto.
Dieta della madre
Di grande importanza nell’allattamento al seno è la
dieta della madre, che va incrementata in senso quantitativo e migliorata in senso qualitativo. La madre può
continuare a mangiare quello che ha sempre mangiato, ai
cui sapori il bambino si è già abituato in gravidanza.
Eccessi di cibi con odori/sapori intensi (asparagi, cavolo, aglio e altri) in una madre/bambino non abituati,
possono provocare disagio per il bambino nelle successive 24 ore. La somministrazione di alcol durante l’allattamento va sempre sconsigliata, perché l’alcol passa
velocemente nel latte materno, al quale conferisce un
233
odore particolare. Può essere permesso, se richiesto, un
mezzo bicchiere di vino ai pasti.
Sembra ormai accertato che almeno nei primi mesi il
latte non cambia la sua composizione, soprattutto proteica, anche in presenza di una carenza alimentare della
madre; per mantenere le giuste concentrazioni di nutrienti l’organismo della madre attinge da tutte le riserve e da
tutti i tessuti fino ai limiti del possibile, per fornire al
continuatore della specie le migliori garanzie di sopravvivenza.
Le componenti del latte che più risentono della dieta
della madre sono le vitamine, che non essendo sintetizzabili dalle cellule né immagazzinabili (salvo quelle liposolubili) dipendono strettamente dall’apporto alimentare della madre, quasi giorno dopo giorno. Inoltre, per
quanto riguarda il tipo di grassi, risulta ormai evidente
che esso è direttamente influenzato dai lipidi assunti con
la dieta dalla madre, per cui un’alimentazione ricca di
acidi grassi polinsaturi si ripercuote in breve tempo in un
aumento della concentrazione di questi acidi grassi nel
latte che il seno fornisce al lattante. Solo il colesterolo,
soggetto a una sintesi locale, viene mantenuto alla concentrazione corrente.
È risultato che l’esercizio aerobico, ripetuto 4-5 volte
alla settimana, iniziando 6-8 settimane dopo il parto, non
esercita effetti secondari sulla lattazione e migliora significativamente la buona salute della madre. Esso non ha
alcuna influenza sui livelli di IgA, lattoferrina o lisozima.
Da bandire il fumo di sigaretta, il fumo passivo e l’uso
di droghe.
L’incremento dell’apporto energetico alla madre deve
essere proporzionale alla quantità di latte prodotto dal
seno, che viene calcolato mediamente in 750 mL al
giorno, corrispondenti a circa 500 kcal al giorno. Oltre
all’energia fornita con il latte materno, bisogna considerare anche il dispendio energetico aggiuntivo, necessario per convertire l’energia introdotta dalla madre con
gli alimenti in energia trasferita al latte. Poiché nei 6 mesi
successivi al parto si verifica una perdita di peso, pari a
circa 0,5 kg al mese, può essere prevista una riduzione
del fabbisogno energetico di circa 120 kcal/die. Complessivamente il fabbisogno energetico aggiuntivo della
donna che allatta varia dalle 450 kcal nel 1° mese alle 565
kcal tra il 2° e il 3° mese, in relazione all’incremento della
quota lattea prodotta. Dopo il 6° mese le raccomandazioni sono diverse a seconda che si attui uno svezzamento
rapido (+ 250 kcal/die) o lento (+ 543 kcal/die).
Vantaggi del latte umano
La grande utilità del latte è ben dimostrata da queste
semplici considerazioni:
è sempre pronto: non ha bisogno di essere preparato;
è sempre fresco: il seno non ha latte immagazzinato,
come avviene nella mammella della mucca; esso
viene prodotto a richiesta, nel momento stesso in cui
il bambino comincia a succhiare e a spremere la base
dell’areola con le arcate gengivali;
è sempre caldo: ha la stessa temperatura del corpo
umano.
Capitolo 14.fm Page 234 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
234
Regolazione della secrezione
Nella regolazione della secrezione del latte dalla mammella sono presenti una componente nervosa e una endocrina: con la stimolazione delle numerose terminazioni
nervose del capezzolo da parte della bocca del bambino
parte un arco riflesso (riflesso di secrezione) che, attraverso vie nervose specifiche, giunge all’ipotalamo. Dall’ipotalamo vengono liberati stimoli ormonali che giungono
all’ipofisi, attraverso la vena porta ipofisaria: questi stimoli hanno come conseguenza la secrezione da parte
dell’ipofisi anteriore di prolattina, che agisce direttamente sulle cellule mioepiteliali dei dotti e sugli acini della
ghiandola mammaria, stimolando la formazione e la secrezione di latte e di ossitocina, che permette la fuoriuscita
del latte lungo i dotti galattofori, fino ai seni, e porta, nelle
prime settimane dopo il parto, a una contrazione dell’utero
e ne facilita l’involuzione (Figura 14.3). Il riflesso dell’ossitocina è condizionato dai pensieri (positivi e negativi),
dai sentimenti e dalle sensazioni della madre.
Gli ultrasuoni rappresentano una tecnica oggettiva e
non invasiva per lo studio della secrezione del latte dal
seno, valutando l’aumento di diametro dei dotti galattofori. Va considerato ancora vero il vecchio detto: “la
mammella dà il latte che le si chiede”. Se il neonato e il
lattante stanno bene, crescono bene e sono vigorosi nella
poppata, il latte fornito dal seno materno aumenta progressivamente, almeno fino al 2°-3° mese. Riconoscere
una componente riflessa della secrezione lattea significa
anche ammettere che esista la possibilità di una sua
riduzione, successiva alle emozioni, allo stress, alle malattie infettive e in minima parte al digiuno, perché, come
vedremo, le variazioni anche quantitative nella dieta
della madre influenzano di poco la qualità e la quantità
del latte fornito dal seno.
Composizione
L’87% del latte materno è composto di acqua. Un
lattante, cui è permesso di poppare senza limitazioni di
Figura 14.3 - Regolazione della secrezione di latte.
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
tempo e di quantità, non ha bisogno di aggiunta di acqua,
anche in climi molti caldi e asciutti.
Il contenuto in proteine (10 g/L) del latte umano è
notevolmente inferiore a quello del latte vaccino (30 g/L)
e a quello di molte altre specie, ma esso è sufficiente per
una specie, come la nostra, che deve raddoppiare il peso
della nascita, verso il 4°-5° mese e non in giorni o poche
settimane, come avviene per altri animali (Tabella
14.5). Inoltre, il profilo degli aminoacidi contenuti nel
latte di donna è ideale non tanto per l’assorbimento
quanto per l’utilizzazione, soprattutto a livello cerebrale
(Tabella 14.6).
Il latte di mucca contiene una quantità 3 volte più alta
di proteine (Tabella 14.7), fra le quali molta caseina,
difficilmente digeribile, perché si addensa in grossi coaguli e contiene alti livelli di fenilalanina, tirosina e metionina, per il metabolismo dei quali il neonato umano ha
una scarsa attività enzimatica. Per contro, il latte di
mucca contiene poche lattoalbumina, cisteina e taurina,
un importante elemento quest’ultimo per la crescita del
cervello e dei nervi: poiché la taurina è contenuta in bassa
concentrazione nel latte vaccino, essa viene di norma
aggiunta nei latti in polvere.
Le differenze riscontrate nel contenuto in proteine si
ripercuotono in modo amplificato nella concentrazione
rispettiva dei diversi aminoacidi (Tabella 14.6). Il contenuto in aminoacidi del latte umano è ovviamente destinato alla sintesi delle proteine della specie umana: usare
quantità e proporzioni diverse non è probabilmente senza
conseguenze, quando si sa che all’interno delle cellule
esiste un trasportatore per ogni singolo aminoacido. La
riduzione del contenuto proteico nei latti artificiali è stato
il primo decisivo passo per evitare di fornire ai lattanti un
carico eccessivo di aminoacidi e quindi di azoto: il passo
successivo sarà il riequilibrio almeno dei più importanti
aminoacidi.
Anche se il contenuto in grassi del latte umano e di
quello vaccino è pressoché uguale, le differenze qualitative sono moltissime e tutte di grande rilievo (Tabella
14.5).
I trigliceridi plasmatici (lipoproteine ad alta e bassa
densità, chilomicroni) a livello della mammella vengono
scissi in acidi grassi, monogliceridi e glicerolo a opera di
una lipoprotein-lipasi; queste sostanze vengono utilizzate dalle cellule degli acini ghiandolari per sintetizzare
nuovi trigliceridi, che vengono riversati nelle cisterne e
nei dotti galattofori come globuli di grasso. I grassi del
latte umano sono rappresentati da acidi grassi polinsaturi (acido linoleico) nella percentuale dell’8-12% e monoinsaturi (acido oleico) nella percentuale del 33-38%. Il
colesterolo nel latte materno è a concentrazione costante
di 160 mg/L, indipendentemente dal tipo di alimentazione materna. Il colesterolo è un importante costituente del
cervello e dei nervi, nonché di molti enzimi e vitamine a
sintesi endogena (vitamina D3): molte delle formule non
contengono colesterolo, perché i grassi presenti nel latte
di mucca sono stati completamente sostituiti da altri
grassi di varia origine. Gli acidi laurico e miristico sono
Capitolo 14.fm Page 235 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
235
DIETA DEL LATTANTE
Tabella 14.5 - Composizione del latte materno e del latte vaccino.
CARATTERISTICHE
LATTE UMANO MATURO (DA 15 GG A 15 MM DAL PARTO)
LATTE VACCINO
Calorie/L
Peso specifico
pH
Acqua
Peso totale dei solidi (g/L)
Ceneri (g/L)
690
1.031
7,01
87
129
2,02
670
1.031
6,6
87
124
7,15
Proteine totali (g/L)
Caseina
Sieroproteine
Lattoalbumina
Lattoferrina
Lattoglobulina
Albumina del siero
Immunoglobuline del siero
Azoto non proteico totale
10,6
3,7
7
3,6
1,7
–
0,32
0,1
0,324
32,46
24,9
7
2,4
–
2,5
0,4
0,8
0,252
71
7
47
tracce
40
160
52-54%
34-36%
3-4%
6-12%
2-3%
1%
44-46%
22-26%
7-8%
7-8%
6-10%
37
110
35%
30-34%
2-3%
1,5-2%
tracce
?
60%
27-30%
12-14%
12-13%
6-7%
Minerali elettropositivi (mEq/L)
Sodio (mg/L)
Potassio (mg/L)
Calcio (mg/L)
Magnesio (mg/L)
41
172
512
344
35
149
768
1.430
1.370
130
Minerali elettronegativi (mEq/L)
Fosforo (mg/L)
Zolfo (mg/L)
Cloro (mg/L)
28
141
14
375
108
91
30
1.080
Eccesso di minerali positivi (mEq/L)
13
41
Vitamine
Vitamina A (U/L)
Caroteni (mg/L)
Vitamina D (U/L)
Tocoferolo (vitamina E) (mg/L)
Tiamina (vitamina B1) (mg/L)
Riboflavina (vitamina B2) (mg/L)
Vitamina B6 (mg/L)
Acido nicotinico (vitamina PP) (mg/L)
Vitamina B12 (mg/L)
Acido folico (mg/L)
Biotina (mg/L)
Acido ascorbico (vitamina C) (mg/L)
1.900
0,25
42
2,4
0,142
0,373
0,18
1,83
tracce
35-38
2
52
1.000
0,37
20
0,6
0,43
1,56
0,51
0,74
6,6
50
22
11
Carboidrati
Lattosio (g/L)
Monosaccaridi (g/L)
Lipidi totali (g/L)
Colesterolo totale (mg/L)
Acidi grassi insaturi (% del totale)
• ac. oleico monoinsaturo (C 18:1)
• ac. palmitoleico monoinsaturo (C 16:1)
• ac. linoleico con 2 doppi legami (C 18:2)
• ac. linolenico con 3 doppi legami (C 18:3)
• ac. arachidonico con 4 doppi legami (C 20:4)
Acidi grassi saturi a catena lunga (% del totale)
• ac. palmitico (C 16:0)
• ac. stearico (C 18:0)
• ac. miristico (C 14:0)
Acidi grassi saturi a catena corta e media
(ac. laurico, caprico, caprilico, caproico, butirrico)
Capitolo 14.fm Page 236 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
236
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
Tabella 14.6 - Gli aminoacidi del latte umano e del latte
vaccino.
AMINOACIDI
Istidina
Leucina
Isoleucina
Lisina
Metionina
Fenilalanina
Treonina
Triptofano
Valina
Arginina
Alanina
Acido aspartico
Cistina
Acido glutamico
Glicina
Prolina
Serina
Tirosina
LATTE UMANO
(mg/dL)
LATTE VACCINO
(mg/dL)
22
68
100
73
25
48
50
18
70
45
35
116
22
230
0
80
69
61
95
228
350
277
88
172
164
49
245
129
75
166
32
680
11
250
160
179
Tabella 14.7 - Distribuzione calorica dei macronutrienti, in
percentuale.
MACRONUTRIENTI
Proteine
Lipidi
Carboidrati
LATTE UMANO
MATURO (%)
6-7
52-54
40-41
LATTE VACCINO
(%)
22
48-50
28-30
sintetizzati dalla ghiandola mammaria a partire dai carboidrati; gli acidi linoleico e linolenico, essendo acidi
grassi essenziali e quindi non sintetizzabili dall’uomo,
dipendono dall’apporto alimentare della madre. L’acido
docosaesaenoico (DHA) e gli oli 3, mentre sono presenti nel latte umano e nell’olio di pesce, sono assenti nel
latte vaccino e nelle comuni formule per lattanti: questi
grassi sono essenziali per la crescita cerebrale.
Il terzo componente dei macronutrienti del latte
umano è rappresentato dai carboidrati, di cui il lattosio
è la parte principale. Il lattosio è un disaccaride (glucosio
+ galattosio) presente in alta concentrazione (71 g/L),
unicamente nella secrezione lattea della gran parte dei
mammiferi. Nel latte umano il lattosio è contenuto in
concentrazione superiore del 50% rispetto a quella del
latte vaccino: in definitiva il latte umano è più dolce.
Oltre al lattosio sono contenuti circa un centinaio di
oligosaccaridi, tutti sintetizzati dalla ghiandola mammaria: essi rappresentano il 10% del totale dei carboidrati.
La loro presenza è stata evidenziata nell’ultimo decennio, anche a opera di ricercatori italiani: essi giocano un
ruolo fondamentale, non tanto come nutrienti, ma come
elementi importanti nei processi maturativi delle cellule
nervose, come favorenti l’attecchimento e la moltiplicazione del Bacillus bifidus nell’intestino, come inibenti
l’adesione dell’Escherichia coli, dotato di fimbrie e di
molecole di adesione alle cellule epiteliali dei tubuli
renali.
I minerali contenuti nel latte umano sono circa un
terzo di quelli del latte vaccino; la loro concentrazione è
indipendente dalla dieta della madre. Elementi traccia
(cobalto, ferro, rame, manganese, zinco, fluoro, iodio e
selenio) sono presenti nel latte materno in concentrazioni
diverse da quelle del latte vaccino; l’elevata biodisponibilità di alcuni di essi (ferro in prima fila) compensa
largamente il loro scarso contenuto.
Il latte umano è ricco di vitamine (A, C ed E); il
contenuto in vitamine B1, B6 e B12 dipende dal tipo di
alimentazione della madre. Anche il contenuto in vitamina D e dei suoi derivati idrosolubili dipende in parte dalla
dieta della madre e dalla sua esposizione alla luce del
sole. Il contenuto in vitamina K è relativamente basso ed
è anch’esso correlato con la dieta della madre, che dovrebbe assumere broccoli, cavoli, cavolfiori e cavolini di
Bruxelles, che d’altra parte, come si sa, conferiscono al
latte un sapore poco gradevole.
A parte i componenti nutritivi, esistono nel latte
umano sostanze e cellule essenziali nella lotta contro
l’infezione. I fattori di resistenza dell’ospite, presenti
nel latte umano, sono unici per il piccolo dell’uomo. Le
formule arricchite di nucleotidi non hanno avuto alcun
effetto nella prevenzione delle malattie. Cellule vive, e
quindi attive, si ritrovano in numero di 4.000/mm 3 nel
colostro e di 1.500 nel latte maturo. I macrofagi del latte
umano sono in grado di fagocitare batteri e virus nell’intestino. I linfociti presenti nel latte umano sono uguali ai
linfociti T e B della madre, e sono in grado di fornire una
protezione immunologica, almeno a livello faringeo e
intestinale, diretta verso quegli antigeni virali e batterici,
presenti nell’ambiente nel quale la madre e il lattante
sono immersi: sono anticorpi e cellule di difesa fatti
“su misura” (Figura 14.4). Gli anticorpi materni, acquisiti per infezione naturale o per vaccinazione, entrano nel
latte principalmente attraverso due vie: transcitosi e passaggio paracellulare: questo passaggio è aumentato durante la mastite. Il fattore bifidogeno, presente nel latte
umano insieme a un pH leggermente acido delle feci,
stimola la moltiplicazione del Bacillus bifidus, un batterio gram-positivo, che impedisce la colonizzazione dei
germi gram-negativi, saprofiti o patogeni. La crescita
dell’E. coli è soppressa anche dalla lattoferrina, presente
in buona quantità nel latte umano, che lega il ferro,
indispensabile per il metabolismo e la sopravvivenza di
questo germe. Gli alti livelli di immunoglobuline forniscono difese umorali specifiche, mentre le IgA secretorie
(SIgA) determinano una protezione particolare già nel
cavo orale, contro i microrganismi inalati o ingeriti: le
SIgA forniscono protezione anche contro le malattie
respiratorie, la diarrea e la stessa sepsi.
Esistono altri fattori umorali nel latte umano, che
svolgono un ruolo preciso: un fattore di resistenza, il
lisozima, l’interferone, il complemento e la proteina legante la vitamina B12. I lattanti alimentati esclusivamente
Capitolo 14.fm Page 237 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
DIETA DEL LATTANTE
237
Figura 14.4 - Integrazione dell’immunità mucosa fra madre e lattante con particolare interesse per la migrazione delle
cellule B “marcate” (e probabilmente delle cellule T) dalle placche del Peyer al sangue periferico fino alla ghiandola
mammaria. Tale distribuzione (frecce) al di là dell’intestino dei precursori delle plasmacellule IgA è essenziale per la
produzione a livello della mammella, e la successiva comparsa nel latte, degli anticorpi secretori (IgA e IgM) specifici per gli
antigeni intestinali (batteri e proteine alimentari). Con questo meccanismo, il lattante, alimentato al seno, riceve rilevanti
quantità di anticorpi secretori, diretti contro i microbi che stanno colonizzando le sue mucose: nello stesso tempo la mucosa
intestinale della madre è protetta da anticorpi analoghi. (Da Brandtzaeg P.: Mucosal immunity: integration between mother
and the breast-fed infant, Vaccine 21:3382-8, 2003.)
al seno hanno infatti una bassa incidenza di malattie
batteriche e virali (virus respiratorio sinciziale) a carico
dell’albero respiratorio, sia delle alte che delle basse vie
aeree. Lo stesso avviene per tutti i numerosi agenti che
danno diarrea. La presenza di monosaccaridi nel latte
umano riduce anche l’incidenza delle infezioni delle vie
urinarie nel lattante.
L’effetto favorevole in qualche caso è indiretto, come
per l’otite media: questa frequentissima malattia è legata
a un malfunzionamento della tuba. L’effetto favorevole
dell’allattamento al seno risiederebbe in una specie di
allenamento continuo che il succhiamento e la spremitura dell’areola determinano a carico del muscolo tensore
del velo palatino, essenziale per condizionare l’apertura
e la chiusura della tuba di Eustachio.
Sulle risposte immunologiche l’alimentazione con
latte umano sembra offrire numerosi vantaggi: aumenta
le risposte immuni in corso di infezioni o di malattie, ma
aumenta anche la risposta immunologica dopo la vaccinazione. Le differenze sono tanto evidenti da consigliare,
nella valutazione dell’efficacia di un vaccino, di tenere
separati i lattanti allattati al seno da quelli alimentati con
formula.
Il latte umano contiene inoltre sostanze che partecipano ai fenomeni dell’infiammazione, ma contiene anche,
e in quantità elevate, fattori antiflogistici che limitano
l’estensione delle reazioni infiammatorie, soprattutto a
livello intestinale.
Proprio per la presenza così abbondante di cellule e
di sostanze essenziali per la crescita e lo sviluppo, si ha
la tentazione di considerare il latte umano più come
un tessuto (analogamente a quanto è stato fatto per il
sangue) che come una secrezione. Se si adotta questo
punto di vista, è facilmente deducibile che la sostituzione di un tessuto con un altro (per esempio latte vaccino)
possa in qualche caso portare a fenomeni di rigetto, che
s’identificano con le manifestazioni allergiche che così
spesso si riscontrano in seguito all’uso del latte vaccino.
In effetti, il latte umano riduce di circa 10 volte il rischio
d’insorgenza delle manifestazioni allergiche, nelle loro
diverse espressioni cliniche. Sia la dermatite atopica
(eczema) che l’asma e la rinite allergica sono nettamente diminuite nei primi 2 anni di vita nei bambini alimentati con latte umano, anche con genitori che presentino
un’alta incidenza di manifestazioni allergiche. In moltissimi studi clinici è stato dimostrato, infatti, un effetto
allergico-protettivo sui lattanti alimentati al seno, dovuto in larga parte a una riduzione della permeabilità della
mucosa intestinale. La diminuita permeabilità alle macromolecole spiega la ridotta intolleranza alle proteine
del latte vaccino nei bambini che sono stati alimentati
al seno.
Capitolo 14.fm Page 238 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
238
L’uso del latte umano nei primi 4-6 mesi di vita
sembra prolungare il suo effetto benefico ben al di là del
periodo durante il quale viene usato. Si è visto che il latte
umano riduce l’incidenza del diabete mellito, del cancro
e del linfoma, della malattia di Crohn, e ritarda l’insorgenza del morbo celiaco.
Una caratteristica unica del latte umano è rappresentata dalla presenza di alcuni fattori di grande importanza,
anche se non essenziali, per la crescita, lo sviluppo e il
funzionamento di particolari organi e apparati:
fattore di crescita epidermica (EGF);
fattore di crescita nervosa (NGF), individuato per la
prima volta da Rita Levi-Montalcini;
taurina;
neuropeptidi: GIP (Gastric Inhibitory Peptide), gastrina, colecistochinina, bombesina e altri;
fattore stimolante le colonie di granulociti, una citochina che aumenta le difese antibatteriche, per la quale
esiste un recettore sui villi dell’intestino del feto e del
neonato.
Il latte umano, unico esempio fra i nutrienti presenti
in natura, contiene alcuni enzimi (soprattutto lipasi) che
sono estremamente utili per la digestione dei grassi,
anche in presenza di una bassa concentrazione di lipasi
pancreatica e di sali biliari, caratteristica dei primi mesi
di vita.
Il latte umano contiene insulina in elevate concentrazioni e sugli enterociti presenti sulle membrane intestinali sono presenti i recettori dell’insulina.
Il latte di donna contiene in basse concentrazioni tutti
gli ormoni (compresi quelli tiroidei) presenti nel sangue
circolante della madre. È contenuta anche un’elevata
quantità di lepitina.
Nell’elenco dei vantaggi, le ripercussioni psicologiche e cognitive sono state poste per ultime, ma non per
questo devono essere considerate meno importanti.
Ormai siamo tutti convinti che il neonato e poi il
lattante insieme alla madre costituiscano una diade sulla
quale conviene intervenire il meno possibile, sia da parte
dei familiari che da parte di persone estranee alla famiglia. L’attaccamento reciproco che si viene a creare con
l’allattamento al seno è formato da diverse componenti,
costituite principalmente dall’esaudimento delle necessità alimentari e dal piacere del contatto con un seno
morbido e caldo (ricordo le vecchie esperienze con le
scimmie di pezza riscaldate), al quale è possibile rimanere piacevolmente attaccati anche al di là delle necessità
alimentari. Gli effetti psicologici che ne derivano vanno
in tutti e due i sensi; basta pensare che l’assetto ormonale
della donna che allatta (prolattina in prima fila) influenza
in senso positivo gli atteggiamenti e il comportamento
materni.
Altro elemento, profondamente poetico e peculiare
della specie umana, lo sguardo, occhi negli occhi, del
bambino che poppa, con la madre (Figura 14.5): di sicuro
attraverso questo sguardo passano molte componenti,
con direzione nei due sensi: si trasmettono i sentimenti,
ma si comunicano anche la sicurezza, la difesa, l’esaudi-
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
mento delle proprie necessità. Il sorriso e il senso di
piacere traspaiono dal volto della madre e vengono percepiti sicuramente dal lattante. È possibile che passino
anche altre informazioni? È facile negarlo, ma è meglio
sperare che ciò avvenga.
Variazione nella composizione del latte a seconda
dell’età gestazionale
Il latte di una madre che abbia avuto un parto pretermine è risultato notevolmente diverso da quello successivo a un parto a termine: ha un contenuto di proteine
superiore di oltre il 15%, di grassi di oltre il 30%, e un
contenuto lievemente più basso di lattosio, mentre il
contenuto minerale è più alto. È come se il seno si
adattasse alle maggiori richieste energetiche e plastiche
del pretermine, fornendo un latte più ricco. Col trascorrere dei giorni, oltre la fine del 1° mese di vita, le
differenze col latte maturo del nato a termine si attenuano
progressivamente, fino a scomparire, ma nel frattempo
anche il peso del neonato è aumentato.
Variazione nella composizione del latte in rapporto
al tempo trascorso dal parto
Il latte di tutte le specie varia fortemente a seconda
della maturazione del neonato e del lattante.
Il primo latte che viene secreto dalla mammella umana, giallognolo e denso, viene chiamato colostro (entro i
primi 5 giorni dal parto): esso è povero di grassi, ricco di
cellule, di proteine (specialmente immunoglobuline e
IgA secretorie) e contiene un po’ meno lattosio del latte
maturo. Complessivamente il colostro presenta meno
calorie del latte maturo. Con il colostro viene somministrata al neonato una prima dose di costituenti antiinfettivi (elevato tasso di IgA secretore; cellule e sostanze
Figura 14.5 - Il lattante mentre poppa guarda la madre.
Capitolo 14.fm Page 239 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
DIETA DEL LATTANTE
ad azione immunitaria, come la lattoferrina) che lo difenderanno dai microrganismi presenti nell’ambiente. Il colostro è ricco di caroteni, che gli conferiscono il caratteristico colore giallo. Con il colostro passa inoltre una
buona quota di enzimi (lipasi del latte materno) che
stimolano la maturazione intestinale, la digestione e facilitano la fuoriuscita del meconio.
Dal colostro si passa al latte di transizione, presente
dal 6° al 10°-15° giorno dal parto: il latte di transizione
ha una composizione intermedia fra il colostro e il latte
maturo. Con l’espressione latte maturo si indica il latte
materno oltre il 15° giorno dal parto. Le caratteristiche
del latte materno si mantengono costanti per 6 mesi. Al
divezzamento, mentre si riduce la quantità totale, il latte
aumenta il suo contenuto in proteine, sodio e cloruri.
I 10 passi per promuovere l’allattamento al seno. OMSUnicef, 1989. Tutti i reparti di maternità e le altre strutture
sanitarie, preposte alla cura dei neonati dovrebbero:
1. avere un protocollo scritto che contenga specifiche regole
di comportamento riguardo all’allattamento, da comunicare sistematicamente a tutto il personale;
2. istruire tutto il personale nelle pratiche necessarie per
attuare compiutamente il protocollo;
3. informare tutte le donne in gravidanza sui vantaggi e sulla
corretta gestione dell’allattamento al seno;
4. aiutare le madri a iniziare l’allattamento nella prima
mezz’ora dopo la nascita;
5. dimostrare come allattare al seno e come è possibile
mantenere la produzione di latte, anche quando si verifica
una separazione fra madre e figlio;
6. non dare altra bevanda o alimento oltre il latte materno,
a meno che non sussista la necessità medica di offrire altre
forme di nutrimento o altri liquidi;
7. lasciare il bambino alla madre 24 ore su 24 (rooming in);
8. incoraggiare l’allattamento a richiesta;
9. non dare al neonato allattato al seno i succhiotti;
10. incoraggiare la formazione di gruppi di sostegno all’allattamento al seno e spiegare alle mamme, alla dimissione,
come mettersi in contatto con essi.
Variazione nella composizione del latte durante
la stessa poppata e nel corso della giornata
Già i nostri grandi maestri del passato ci insegnavano
che durante la stessa poppata si osservano notevoli variazioni nella composizione del latte umano: il primo latte
è quasi trasparente, povero di grassi, ma man mano che
si procede nella poppata il latte diventa sempre più cremoso, perché più ricco di grassi di almeno 2-3 volte. Ci
veniva detto che se si pone una goccia di latte, preso
all’inizio della poppata, su un’unghia questo scivola via,
come fosse acqua, non appena si ruoti il dito; ma se il
latte è preso alla fine, la goccia appare biancastra, più
densa, più spessa ed è meno soggetta a cadere quando si
239
ruoti il dito. È anche per questa ragione che si consiglia
alla madre di porgere, dopo le prime settimane, un seno
per volta o almeno di passare all’altro dopo che il primo
sia stato svuotato completamente.
Le caratteristiche del latte variano inoltre nelle 24 ore:
il contenuto di grassi tende a essere più elevato al mattino
e più basso la notte.
Non è raro riscontrare non solo una variazione nella
quantità di latte fra una mammella e l’altra, ma anche
nella sua stessa composizione.
Soppressione dell’allattamento al seno
In caso in cui si renda necessario interrompere all’improvviso l’allattamento al seno, viene usata la cabergolina (Dostinex, compresse da 0,5 mg), alla dose di 0,25
mg (mezza compressa) 2 volte al giorno per 2 giorni, con
una dose totale di 1 mg. Le controindicazioni all’uso di
questo farmaco sono la ipersensibilità all’ergotamina,
l’insufficienza epatica, le psicosi, l’ulcera peptica e la
gravidanza. Il farmaco interagisce con i macrolidi.
Vere e false controindicazioni all’allattamento
materno
Reali controindicazioni da parte della madre si verificano di rado (in meno del 5% dei neonati). Le infezioni in generale non sono una controindicazione all’allattamento al seno. L’epatite B rappresenterebbe invece una
vera controindicazione, se come di regola, tutti i nati da
madri HBsAg-positivo non ricevessero Ig specifiche
anti-HBV, immediatamente dopo la nascita (entro le
prime 12 ore), insieme al vaccino; con questa prevenzione l’allattamento al seno può considerarsi sicuro, anche
se minime quantità di virus possono essere presenti nel
latte. L’infezione sulla quale conviene soffermarsi è
quella da HIV (vedi Capitolo 28, pag. 668): come si sa,
non tutti i nati da madre HIV-positiva sono infettati dal
virus al momento della nascita. Il virus HIV tuttavia
passa nel latte materno: il latte materno rappresenta quindi una fonte ulteriore d’infezione per il neonato e il
lattante, da quantificare fra il 5 e il 6%. Nei Paesi occidentali, nei quali l’allattamento artificiale può essere
condotto con sufficiente sicurezza, l’allattamento al seno
è assolutamente controindicato, ma nei Paesi in via di
sviluppo, nei quali chi non è allattato al seno ha una
probabilità di morte nel 1° anno di circa il 50%, l’allattamento materno viene ugualmente incoraggiato.
Anche nelle infezioni materne da HLTV-1 l’allattamento al seno è controindicato.
Per il virus dell’epatite C, oggi si ritiene che l’allattamento al seno non sia controindicato.
Il CMV passa nel latte materno ed è capace di infettare
il neonato e il lattante.
Le vere controindicazioni all’allattamento al seno
sono:
lattanti con galattosemia classica (deficienza dell’enzima galattosio-1-fosfato uridiltransferasi);
tubercolosi in fase attiva;
infezione da HIV; questa controindicazione vale per i
Capitolo 14.fm Page 240 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
240
Paesi sviluppati, ma non vale per i Paesi in via di sviluppo;
madri positive per il virus linfotropico per le cellule T
umane, sia di tipo I che II;
madri che abbiano lesioni da herpes simplex sul seno
(l’allattamento può essere proseguito dopo la guarigione delle lesioni);
uso di droghe pesanti;
madri che abbiano ricevuto isotopi radioattivi per diagnosi o cura;
madri che siano state esposte a materiale radioattivo;
madri che abbiano ricevuto farmaci antimetaboliti o
antiblastici o altri farmaci che passano nel latte;
situazioni locali, che rendano difficile l’allattamento.
Purtroppo le false controindicazioni sono molto numerose e andrebbero costantemente combattute dal pediatra:
coliche gassose dei primi mesi di vita;
ittero da latte materno;
malattia emolitica del neonato;
madre HBsAg-positiva (se il neonato ha ricevuto Ig
specifiche e vaccinazione anti-HBV);
madre positiva per il virus dell’epatite C;
madri positive per il CMV;
madri con febbre, a meno che la febbre non sia dovuta
a una delle condizioni ricordate nel precedente elenco;
madri che siano esposte a bassi livelli di agenti chimici
ambientali;
madri che fumano (si consiglia di non fumare nell’ambiente domestico)
sono ammesse piccole quantità di alcol, ma sarebbe
meglio che la madre non offrisse il suo latte per 2 ore
dopo l’ingestione di alcol;
mastite, ingorgo, ragadi;
raggi X, TC, RM;
comparsa delle mestruazioni;
stato di gravidanza (non controindica un’immediata
sospensione, anche se le doppie richieste di nutrienti
necessitano di una dieta particolarmente ricca e completa per la madre);
problemi oculari della madre;
attività sportiva.
Cosa manca nel latte materno?
Nel latte di donna la quantità di vitamina C è sufficiente per i bisogni del lattante, se la madre si alimenta con
una buona quantità di frutta e verdura.
Se la madre ha una buona esposizione al sole e la sua
pelle non è iperpigmentata, il contenuto di vitamina D del
suo latte è sufficiente per assicurare il fabbisogno; in ogni
altro caso, soprattutto se il lattante per una qualsiasi
ragione non sia ben esposto ai raggi del sole, è sempre
consigliabile l’uso di un polivitaminico fin dal 1° mese
di vita. Nonostante il basso contenuto di calcio e fosforo
del latte materno, la mineralizzazione ossea nel 1° anno
di vita è uguale nei bambini allattati al seno e in quelli
alimentati con formula.
Come abbiamo visto, al basso contenuto di ferro nel
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
latte materno fa riscontro un’ottima bio-disponibilità, per
cui in corso di allattamento materno non è necessario
preoccuparsi per una sua eventuale carenza, almeno fino
al 5° mese di vita.
Il fluoro contenuto nel latte materno è inferiore a 0,5
parti per milione (0,5 mg/L), per cui conviene iniziarne
la somministrazione a 6 mesi.
La concentrazione di proteine del latte umano è relativamente bassa, ma è sufficiente in condizioni di buon
funzionamento della digestione, dell’assorbimento e di
un normale consumo. Quando, come nella fibrosi cistica,
nessuna di queste componenti si trovi in condizioni ottimali, può accadere che insorgano manifestazioni da scarso apporto proteico (edemi, anemia).
I genitori più attenti domandano al pediatra come mai
nel latte umano manchino o siano scarse alcune sostanze,
indispensabili per l’accrescimento del lattante, quando si
ritiene che il latte della madre sia l’alimento naturale del
piccolo dell’uomo. Nel rispondere è necessario far riferimento all’origine dell’uomo moderno nelle aree centrali dell’Africa, dalle quali egli, nell’ultima migrazione, si
è spinto in tutto il mondo poco più di un centinaio di
migliaia di anni fa: è molto probabile che in quelle aree
le sostanze che nei nostri climi giudichiamo carenti siano
presenti in quantità sufficiente (fluoro, ferro) o siano
sintetizzabili dall’organismo umano (vitamina D) grazie
all’esposizione ai raggi del sole.
Modalità dell’allattamento al seno
Anche se i pediatri sono convinti degli enormi vantaggi dell’allattamento al seno, spesso alcuni sbagliano al
momento di dare consigli alla madre, perché applicano
all’allattamento al seno le stesse regole imparate e applicate per l’allattamento artificiale: orari da rispettare, doppia pesata a ogni pasto, indicazione del numero dei pasti
e così via.
Ma l’allattamento al seno è un’altra cosa, ha una sua
filosofia completamente diversa da quella dell’allattamento con formula.
In primo luogo va iniziato immediatamente dopo la
nascita, anche se a questo punto la secrezione è molto
scarsa o per le prime poppate quasi assente. Le successive poppate, in un nato a termine con buon indice di
Apgar, sono regolate “a domanda”, cioè quando il bambino piange o comunque mostra di avere fame. Nella
prima settimana, non solo allo scopo di fornire nutrienti
al neonato, ma anche per stimolare la secrezione di latte,
la distanza fra un pasto e un altro non dovrebbe superare
le 4-5 ore: il successo dell’allattamento al seno dipende
in primo luogo dal neonato stesso. La somministrazione
di acqua, di soluzioni di glucosio o di formule deve essere
eseguita solo quando sia stato dimostrato che esiste
un’insufficienza della lattazione.
Non è bene, almeno inizialmente, controllare quanto
duri la poppata: nella prima settimana possono essere
necessari 3-4 minuti perché il latte fuoriesca dal capezzolo e oltre 5 minuti perché aumenti il suo contenuto in
grasso. Anche se all’inizio sarebbe utile stimolare ambe-
Capitolo 14.fm Page 241 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
DIETA DEL LATTANTE
due i seni, spesso questo non è sempre possibile. La
comparsa di dolore ai capezzoli non dipende tanto dalla
durata della poppata, quanto piuttosto dalla posizione del
lattante mentre poppa. In caso di capezzolo dolente è
importante infatti che il pediatra controlli la posizione del
bambino mentre poppa: quella migliore è addome del
lattante contro addome della madre e faccia del bambino
contro il seno della madre.
Durante la poppata la maggioranza delle madri prende
“a pinza”, con il dito indice e quello medio, la mammella,
proprio al di fuori dell’areola, in modo da rivolgere il
capezzolo verso la bocca del bambino. Per le donne che
abbiano il capezzolo dolente o la mano tanto piccola da
non poter usare la “pinza” fra secondo e terzo dito, o
quando il seno sia troppo grosso o il lattante abbia difficoltà durante la poppata, può essere più utile la pinza fra
il pollice e l’indice (detta “presa palmare”). A disposizione della bocca del lattante non deve esserci solo il capezzolo ma anche l’areola, per un raggio di 1,5-2 cm. Capezzolo e areola sono spinti fino a comprimerli sul palato del
lattante da parte della lingua, con un movimento peristaltico che spreme il latte dall’ampolla duttale fino ai dotti
galattofori nella cavità orale del lattante. Il lattante deve
essere capace di coordinare spremitura e deglutizione
(Figura 14.6).
Se a 10 giorni di vita un neonato non ha imparato a
coordinare i movimenti di suzione e deglutizione, è necessario fare attenzione, perché questa insufficienza può
rappresentare il primo segno di un’alterazione dello sviluppo neuro-motorio.
Durante le prime 2 settimane di vita il lattante poppa
in media ogni 2 ore, quindi 10-12 volte nelle 24 ore. Se,
Figura 14.6 - Modalità di assunzione del latte dal seno
materno.
A. Posizionamento del capezzolo e dell’areola
B. Aspirazione
C. Aspirazione, spremitura e deglutizione
241
come accennato in precedenza, i pasti vengono regolati
a 3-4 ore di distanza l’uno dall’altro, s’interferisce in
modo pesante sui comportamenti fisiologici del neonatolattante. Le 3-4 ore di intervallo non sono infatti necessarie per l’allattamento al seno, perché il latte umano è
facilmente digerito e lo stomaco si svuota in 90 minuti,
mentre con le formule sono necessarie almeno 3 ore, ma
a volte anche 6. La durata della poppata varia, d’altra
parte, da un lattante all’altro: alcuni lattanti poppano
velocemente e svuotano un seno in 10 minuti, altri necessitano di più tempo: il pediatra deve informare la
madre di questa variabilità individuale e non deve mai,
anche in altre occasioni riguardanti l’alimentazione,
emettere regole rigide ed eccessivamente vincolanti. La
madre si rende presto conto delle caratteristiche del
proprio lattante e deve imparare ad adattarsi alle sue
necessità e abitudini.
Dopo 2 settimane molti neonati imparano a svuotare
completamente una mammella, altri continuano a usare i
due seni, per ogni poppata.
Il lattante in generale non necessita di un succhiotto,
tuttavia il suo uso deve essere lasciato alla discrezionalità
dei genitori e non deve essere introdotto dal personale
della nursery, senza prima aver consultato la famiglia.
Cessata la nefasta abitudine della doppia pesata, una
valutazione esatta della sufficienza dell’alimentazione al
seno si ricava dal peso del bambino, che deve aumentare
di circa 200 g alla settimana, cioè di circa 800 g al mese.
Se il bambino cresce secondo questo ritmo, egli raddoppia il peso durante il 5° mese.
L’osservazione della poppata è un punto essenziale
per la valutazione dell’esistenza di difficoltà nell’allattamento: è importante che l’osservazione abbia inizio nel
momento in cui la mamma si rivolge al lattante per allattarlo e si conclude quando il piccolo si stacca dal seno; è
indispensabile prendere in considerazione non solo la
“tecnica di allattamento” (posizione, attacco, suzione),
ma tutti gli aspetti che possono aiutarci a capire le condizioni della madre e del bambino, nonché la loro relazione.
Nelle prime settimane di vita il bambino allattato al
seno emette feci (di aspetto cremoso, giallo-oro, di odore
acidulo) ogni giorno, spesso dopo ogni pasto, ma si
trovano anche lattanti che, pur alimentati al seno, emettono feci ogni 2-4 giorni; stabilito in questi casi che la
crescita sia sufficiente e così l’alimentazione, non è necessario preoccuparsene oltre.
La causa più comune di un’insufficiente somministrazione di latte umano risiede nella mancanza o nell’insufficienza di adeguate istruzioni alla madre o di un carente
supporto a domicilio. Lo stress e la stanchezza della
madre, spossata dal parto e dal puerperio, possono aggravare la situazione. Il bambino che ha fame, almeno
all’inizio, manifesta la sua voglia di mangiare, ma in
seguito può anche sopportare una dieta insufficiente e
non piangere per la fame: è questo un rilievo di cui tener
conto in molte occasioni.
Spesso una parola d’incoraggiamento e d’informazione del pediatra sulla tecnica e sulle abitudini più
Capitolo 14.fm Page 242 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
242
comuni del neonato è sufficiente per trasformare una
primipara impaurita in una madre che allatta, piena di
fiducia. Le famiglie moderne prevedono la presenza solo
dei genitori e del lattante: manca la figura della nonna
che trasmetta le giuste informazioni, per cui è il pediatra,
che, in base all’accrescimento, deve rassicurare i genitori che l’alimentazione è sufficiente: l’abolizione della
doppia pesata è, a questo riguardo, un elemento fondamentale, che riduce l’ansia della madre di non avere latte
e di non essere sufficiente per l’alimentazione del proprio figlio. La bilancia, infatti, è solo fonte di errori,
quando venga usata per determinare il peso prima e dopo
la poppata: il risultato è legato a un numero infinito di
fattori che favoriscono l’errore, come considerare il latte
assunto in una sola poppata, la durata della poppata,
l’eliminazione di urina o di feci durante la poppata e così
via. È chiaro che tenere attaccato al seno il lattante per
un’ora non permette un’esatta doppia pesata, perché
quel lattante consuma un terzo di quanto ha mangiato in
quel lasso di tempo. Per far capire questo alle madri,
basta richiamare la loro attenzione sulle variazioni di
peso tra una poppata e l’altra, valori che si discostano
poco l’uno dall’altro, perché la quantità di latte assunto
è stata escreta o utilizzata nell’arco di tempo fra le due
poppate.
Può capitare abbastanza di rado che il lattante rifiuti
il seno, con conseguente angoscia della madre che si
sente respinta e frustrata. La madre e il pediatra devono
cercare di capire perché il neonato o il lattante rifiuti il
seno (malattia, dolore, dolore nella bocca, naso chiuso,
sedazione, errori nella tecnica di allattamento, malattia
della madre, ricomparsa delle mestruazioni, cambiamento del profumo da parte della madre, assunzione di alcol).
Quando la causa sia stata trovata, il pediatra deve aiutare
la madre a rimuoverla, quando possibile. Bisogna inoltre
tentare di rendere l’allattamento di nuovo gradevole per
il bambino e per la madre, suggerendo di tenere il lattante
più vicino possibile a sé (contatto cute-cute), di prendersi
cura di lui da sola, attaccando il bambino al seno non
appena dimostri di gradirlo, senza tenere alcun conto
degli orari.
L’uso frequente del succhiotto accorcia la durata
dell’allattamento al seno: lo stesso effetto non si verifica
se il bambino succhia il pollice.
Adeguatezza nutrizionale
Per valutare se il latte materno ha le caratteristiche
necessarie per la crescita e lo sviluppo del lattante e se la
quantità somministrata è sufficiente, basta seguire la sua
crescita ponderale. Oggi, come abbiamo detto non si
pratica più la doppia pesata, che incide negativamente
sulla secrezione lattea, né si ricorre all’esame organolettico del latte materno.
Dopo i primi 7 giorni, durante i quali è bene pesare il
neonato tutti i giorni, basta, per essere sicuri, pesare il
bambino, una volta alla settimana.
I segni di un’adeguata introduzione di latte materno,
sono i seguenti:
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
un bambino, nato a termine, aumenta di 25-30 grammi
al giorno, cioè in una settimana aumenta di circa 200
g: è comunque sufficiente che cresca oltre 150 g per
settimana;
il bambino bagna 6 o più pannolini nelle 24 ore, con
urine chiare come l’acqua e con bassissimo peso specifico;
il calo ponderale dopo la nascita non deve superare il
10% del peso alla nascita.
Benefici immediati e a distanza dell’allattamento
al seno per il nuovo nato
Come abbiamo visto, l’allattamento al seno assicura i
migliori accrescimento e sviluppo per il piccolo dell’uomo. Esso inoltre lo difende a breve e a lunga distanza da
molte situazioni patologiche di grande importanza (Tabella 14.8).
Il tasso di mortalità infantile e di mortalità negli anni
successivi si abbassa negli allattati al seno. Anche la
comparsa delle malattie delle vie aeree e il rischio di
ospedalizzazione è abbassato negli allattati al seno, in
rapporto alla durata dell’allattamento.
È stato osservato che l’allattamento al seno è un potente analgesico nei neonati, durante un prelievo di sangue.
Esso ha sicuramente un effetto protettivo sulle infezioni sintomatiche da rotavirus, grazie alla presenza nel
latte umano della lactaderina, che si fissa specificatamente ai virus e ne inibisce l’infettività. Sembra offrire una
qualche protezione anche nei confronti dello sviluppo
della celiachia, ma non è chiaro se l’allattamento al seno
ritarda la comparsa dei sintomi o fornisce una protezione
permanente contro la malattia. L’allattamento al seno per
almeno 3 mesi riduce la possibilità di comparsa di enuresi, al di là dei 5 anni di vita.
È stato dimostrato che l’allattamento al seno aumenta
in modo lieve, ma statisticamente ben dimostrabile, le
capacità cognitive e il rendimento scolastico dei bambini
nelle età successive, anche se questi erano nati di basso
peso. Il rendimento risulta proporzionato alla durata
dell’allattamento, per cui è maggiore quando l’allattamento (anche non esclusivo) si prolunga fino agli 8 mesi,
un po’ minore, ma sempre presente, quando dura 5 mesi
Tabella 14.8 - Infezioni e malattie dalle quali il latte
materno difende il lattante e il bambino.
• Enterite acuta e cronica da Shigella, Salmonella sp., Campylobacter, E. coli, Vibrio cholerae, Helicobacter pylori, rotavirus
• Enterite necrotizzante del prematuro
• Infezioni delle vie aeree superiori (otite media cuta) e inferiori
• Batteriemie, sepsi e meningiti
• Infezioni delle vie urinarie
• Colite ulcerosa e morbo di Crohn
• Migliori risposte ai vaccini
• Ridotti tassi di morbilità e mortalità infantili
• Diabete mellito non insulino-dipendente
Capitolo 14.fm Page 243 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
DIETA DEL LATTANTE
e ancora evidente quando l’allattamento al seno dura 3
mesi. A ogni livello le differenze, nei confronti dell’allattato artificialmente, risultarono statisticamente significative (p < 0,0001). È stata evidenziata anche una
diretta associazione fra la durata dell’allattamento al
seno e l’intelligenza dell’adulto. È stato rilevato successivamente che le migliori prestazioni cognitive degli
allattati al seno non erano dovute tanto al latte stesso,
quanto a fattori genetici e socio-ambientali che avrebbero complessivamente una valida influenza.
L’allattamento al seno riduce il rischio di obesità nel
bambino. L’allattamento al seno condiziona uno sviluppo del timo superiore a quello riscontrato nei lattanti
alimentati con formula, sia all’età di 4 che di 10 mesi.
Anche se il latte materno si associa a un aumento dei
livelli di colesterolo totale e di LDL durante l’infanzia,
nell’adolescenza e nell’adulto si hanno tassi medi inferiori a quelli dei soggetti allattati artificialmente.
Contrariamente a quanto si riteneva fino a oggi, l’allattamento al seno non diminuisce l’incidenza di asma o
di dermatite atopica, quando il controllo venga esteso di
una decina di anni, mentre sembra che nei primi 5-6 anni
di vita, esso possa avere un effetto preventivo.
Benefici dell’allattamento al seno per la madre
L’allattamento al seno raramente ha effetti negativi per
la donna, mente invece sono ormai ben chiari gli effetti
favorevoli, primo fra tutti una riduzione della comparsa
del cancro del seno, un ridotto rischio di cancro delle
ovaie, una possibile riduzione delle fratture dell’anca e di
osteoporosi nel periodo successivo alla menopausa, ma
anche un miglioramento di alcune precedenti patologie
croniche. Come affermano Davanzo e Bruno, l’allattamento al seno è compatibile con l’aspirazione della donna
moderna di evitare eccessivi condizionamenti e rigide
limitazioni sulla dieta, attività fisica, attività sessuale e più
in generale su qualità della vita sociale e di relazione.
Durante i primi 6 mesi dopo il parto, le prime mestruazioni sono spesso anovulatorie (intorno al 41%), ma
successivamente questa percentuale si riduce notevolmente. Il rischio di ovulazione, e quindi di gravidanza, si
riduce quando i pasti al seno siano esclusivi, abbiano una
frequenza molto alta e venga assunta un’elevata quantità
di latte per pasto. D’altra parte, oltre i 6 mesi dal parto il
rischio di ovulazione aumenta progressivamente, per cui
si rendono necessarie precauzioni se si vuole evitare una
nuova gravidanza.
Benefici per la società
Oltre agli specifici vantaggi di salute per il bambino e
per la madre, sono stati dimostrati benefici economici,
familiari e ambientali. Questi benefici comprendono una
riduzione del potenziale costo per la salute della popolazione, valutato in 3,6 miliadi di dollari per anno, negli
Stati Uniti, una riduzione dell’assenteismo dei genitori
dal lavoro, un maggior tempo dedicato all’attenzione per
i figli, insieme a una riduzione delle malattie dei bambini.
Va considerato infine un ridotto carico di spesa per
243
l’acquisto del latte in polvere e delle attrezzature per la
sua somministrazione.
Durata ed effetti spiacevoli dell’allattamento
al seno
Con l’allattamento al seno il piccolo cresce e si sviluppa nel modo più adatto per il suo organismo. Quanto
deve durare l’allattamento al seno? La risposta è molto
semplice: quanto più a lungo possibile, anche se bisogna
ricordare che alla fine del 5° mese è necessario iniziare
il divezzamento. Il problema non è quindi quanto deve
durare l’allattamento, ma quando deve iniziare il divezzamento.
Non vi sono più dubbi sulla necessità di lasciare la
madre libera di decidere per quanto continuare, o meglio
quando sospendere, l’allattamento al seno, secondo le
scelte, inappellabili, sue e del proprio bambino, ma va
ricordato che con l’allattamento al seno esclusivo per
tutto il 1° anno è stato osservato che, in confronto a un
lattante che abbia iniziato il divezzamento alla fine del
5° mese, l’allattato al seno all’età di 1 anno pesa in
media mezzo kg in meno e soprattutto ha una lunghezza
inferiore di 2 cm, in confronto a quello allattato artificialmente. Quindi l’introduzione di alimenti diversi dal
latte alla fine del 1° semestre di vita o poco prima ha una
sua ragione biologica importante, che non può essere
trascurata.
L’analisi del latte materno di madri che allattano per
oltre un anno ha permesso di mettere in evidenza che è
presente un significativo aumento dei grassi e del contenuto di energia.
L’ittero da latte materno è un inconveniente ben
conosciuto: ormai da decenni si sa che i nati a termine
allattati al seno sviluppano ittero più spesso e per periodi
di tempo più lunghi, in confronto agli allattati artificialmente. Questo ittero si embrica col cosiddetto ittero
fisiologico: a volte compare anche qualche giorno più
tardi, intorno all’8° giorno di vita (vedi Capitolo 9, pag.
117). In presenza di ittero da latte materno, il pediatra
deve solo rassicurare. Esiste tuttavia un altro inconveniente: il lattante alimentato al seno tende a rimanere
sveglio durante la notte o rischia di svegliarsi più spesso
di quanto non avvenga nel bambino alimentato con formula. I frequenti risvegli notturni della madre possono
portare addirittura alla diminuzione della secrezione lattea e quindi all’interruzione dell’allattamento al seno.
D’altra parte bisogna ricordare che una buona distinzione
fra veglia e sonno viene raggiunta nella maggior parte dei
casi solo a 4-5 mesi di vita. Il pediatra, fin dall’inizio
dell’allattamento, deve parlare con la madre di questo
problema.
Il dubbio che sia il succhiotto che il succhiare il dito
potessero avere influenze negative sulla durata dell’allattamento al seno esclusivo, o comunque sulla sua durata
in generale, era sorto più volte nella mente dei pediatri.
Oggi è stato provato che ambedue le situazioni accorciano la durata dell’allattamento al seno, nonostante le
madri siano fortemente motivate.
Capitolo 14.fm Page 244 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
244
Il latte materno nel pretermine
Come abbiamo visto, il latte delle madri che hanno
partorito un neonato pretermine ha una diversa composizione, rispetto al latte di madri di nati a termine: esso
presenta una maggiore concentrazione di azoto totale,
azoto proteico, sodio, cloro, magnesio, ferro, ramer e
zinco. Le ragioni di questa differenza non sono state
ancora chiarite, ma la ragione potrebbe consistere nel
ridotto volume di latte, prodotto dalle madri dei pretermine. In effetti questo tipo di latte si adatta meglio ai
fabbisogni nutrizionali del pretermine. Tuttavia le differenze riscontrate si attenuano e scompaiono dopo le
prime settimane.
Nei nati con peso inferiore ai 1.500 g, un’alimentazione esclusiva con latte umano non può fornire un adeguato apporto di nutrienti, determinando di conseguenza una
ridotta velocità di crescita e deficit nutrizionali. Anche
il latte di madri di nati pretermine non riesce, dopo le
prime settimane, a coprire gli elevati bisogni nutrizionali. Al fine di mantenere i vantaggi del latte umano, i
nutrizionisti hanno tentato di arricchirlo in proteine e
minerali: non essendo possibile dal punto di vista della
praticità, l’utilizzo di proteine derivate dal latte umano,
sono stati usati altri fortificanti (proteine, calcio e fosforo), senza trovare ancora una formula buona per tutti i
nati con peso molto basso. Se il latte umano non è
disponibile esistono formule particolari per i pretermine
e per i piccoli per la data.
Banca del latte umano
La donazione del latte umano si avvicina molto alla
donazione del sangue, in quanto, come abbiamo visto,
anche il latte umano deve essere considerato come un
tessuto.
Per tutte le sue caratteristiche nel contenuto di nutrienti e di fattori di difesa, il latte umano diviene indispensabile in molte patologie del neonato e del lattante. Per
questo, fin dal 1971, è stata creata presso l’Ospedale
Meyer di Firenze una Banca del latte, dove le madri
nutrici donano gratuitamente il proprio latte a favore sia
dei bambini ricoverati che di quelli che, a domicilio, ne
abbiano assoluto bisogno. A metà dell’anno 2000 esistevano in Italia almeno altre 17 Banche del latte umano
che, in assenza di una legislazione chiara, operano per la
raccolta e la conservazione di linee guida locali, con
ampia variabilità individuale. Su 18 Centri, 16 effettuano
uno screening per HCV, 15 per HIV, 14 per HBV e 9 per
CMV. Tutti richiedevano esami di screening per tubercolosi e lue.
Nel 1993 la Human Milk Banking Association of
North America (HMBANA) ha pubblicato alcuni documenti con precise indicazioni per l’organizzazione di una
Banca del latte umano, ai quali si ispirano le linee guida
di molti Centri italiani.
Nella Tabella 14.9 sono riportate le modalità di eliminazione dei batteri e dei virus dal latte umano. Come si
legge, rimane impossibile eliminare l’HBV e l’HCV dal
latte umano con la pastorizzazione, per cui si rende
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
necessario per questi due virus effettuare uno screening
nelle madri: è d’altra parte necessario tener conto che il
latte di donne HCV-positive può essere utilizzato tranquillamente anche dal proprio figlio.
Dopo pastorizzazione, il latte può essere conservato
in congelatore (da –18 a –20 °C) per 2 mesi; una recente
pubblicazione stabilisce dei limiti molto più ampi: 3
mesi se il latte viene assunto da un nato da parto prematuro o da un nato a rischio e 6 mesi per il nato a termine
sano.
Cosa passa nel latte materno, oltre ai nutrienti?
Nel latte passano molte sostanze, come l’alcol o le
molecole contenute in alcuni alimenti, che conferiscono
al latte umano odori e sapori particolari, spesso non
graditi al lattante o che inducono l’emissione di feci più
“lente”: tutti i vegetali appartenenti alle brassicacee (per
esempio cavolo, cavolini di Bruxelles), gli asparagi, le
cipolle, i pomodori, la cioccolata e alcune bacche. Nel
latte materno sono state anche ritrovate proteine derivate
dal latte vaccino.
Se si somministra a una donna che allatta una quantità
di alcol etilico corrispondente a 0,3 g/kg (corrispondenti
a circa 160 mL di vino a 12° per una donna di 60 kg) già
dopo mezz’ora/un’ora il latte ha un odore particolare,
parallelamente alla presenza di alcol al suo interno (in
media 32 mg/dL). Il lattante succhia inizialmente nel
primo minuto più latte contenente alcol, ma complessivamente nella poppata egli assume significativamente
meno latte.
Oltre all’alcol esistono molte droghe che devono essere assolutamente evitate dalle madri che allattano. Per
quanto riguarda la marijuana, sembra che il rapporto
rischio/beneficio sia a favore dell’allattamento al seno.
Per il fumo di tabacco (nicotina) è risultato come molto
probabile che esso diminuisca la durata della lattazione:
comunque i figli di madri che fumano sigarette e allattano hanno meno infezioni respiratorie di quelle presentate
da lattanti alimentati con formula. Tuttavia, le madri
devono stare attente ad astenersi dal fumo in presenza del
Tabella 14.9 - Eliminazione di virus e batteri dai liquidi
biologici, compreso il latte umano.
VIRUS E BATTERI
Batteri
HIV
CMV
HBV, HCV
HTLV-I e -II
MODALITÀ DI ELIMINAZIONE
Uccisi a 56 °C per 30 min
Inattivato a 56 °C per 30 min
La pastorizzazione sembra inattivarlo; il
congelamento a –20 °C diminuisce la carica
virale, ma non elimina il virus
Per eliminarli dai liquidi biologici occorre riscaldare a 60 °C per 10 ore
Inattivati a 56 °C per 30 min e dal congelamento per 12 ore a –20 °C
(Da Chiappini et al.: Problematiche infettivologiche delle Banche del latte
umano, Giorn It Inf Pediatr 3:29-33, 2001.)
Capitolo 14.fm Page 245 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
245
DIETA DEL LATTANTE
proprio figlio almeno nei 30 minuti precedenti la poppata
per diminuire la possibilità di una soppressione sul riflesso della montata lattea e per ridurre il tasso di nicotina
nel latte.
Sebbene tutti i farmaci passino nel latte materno in
minore o maggiore quantità, a seconda delle qualità
farmacologiche del composto, la maggior parte dei farmaci può essere somministrata con sicurezza alla madre
che allatta, in dosi terapeutiche. Fanno eccezione i farmaci che passano in grandi quantità nel latte, e che
quindi raggiungono alti livelli nel lattante, e quelli che
hanno effetti collaterali gravi anche a dosi basse. Sfortunatamente mancano molti dati epidemiologici riguardanti gli effetti collaterali di alcuni farmaci negli allattati
al seno.
Quando vi sia in gioco la salute della madre, il medico
deve considerare il rischio per il lattante in confronto agli
indubbi benefici che la donna ricava dal farmaco e che
il lattante ottiene con l’alimentazione al seno. Purtroppo,
abbastanza spesso, questa valutazione è molto difficile,
per le infinite variabili che si possono riscontrare: il tipo
e la gravità della malattia materna, il tipo e la dose di
farmaco somministrato, l’età gestazionale del neonato,
l’età cronologica, la quantità totale di latte consumato e,
infine, la presenza di altri componenti nella dieta del
lattante.
Le sostanze che hanno una molecola più grande, il pH
acido, un alto potenziale di legame con le proteine di
trasporto e un grande volume di distribuzione si ritrovano
in piccole quantità nel latte umano. I farmaci caratterizzati da una bassa biodisponibilità per via orale hanno
scarse conseguenze sul neonato e sul lattante perché non
sono assorbiti dal suo apparato gastro-intestinale.
Il Committee on Drugs dell’Accademia Americana di
Pediatria ha pubblicato di recente (2001) una completa
messa a punto sull’argomento.
Alcuni farmaci sono, d’altra parte, assolutamente controindicati (Tabella 14.10).
In molti casi esistono altri farmaci corrispondenti, che
non hanno le stesse conseguenze negative sulla lattazione o sul lattante. Per esempio, al posto del tiuracile può
essere usato il propiltiuracile, che non ha gli stessi effetti
negativi. Il metronidazolo in alcune circostanze può essere somministrato in un’unica forte dose, anche se questo richiede una temporanea sospensione di 24 ore
dell’allattamento al seno, durante la quale può essere
usato latte della stessa madre, raccolto nei giorni precedenti e mantenuto a –20 °C.
Nella Tabella 14.11 sono riportati i farmaci da scegliere nelle donne che allattano.
L’aspirina, il paracetamolo e l’ibuprofen, se assunti in
dosi moderate, non hanno ripercussioni sull’allattamento. Anche se gli antibiotici passano tutti nel latte in basse
concentrazioni, essi possono ugualmente essere somministrati alla madre, quando si tratti di sostanze ammesse
nella prescrizione in bambini nel 1° anno di vita.
L’impianto di protesi di silicone per scopi estetici non
costituisce una controindicazione all’allattamento.
Nel latte materno è stata dimostrata anche la presenza
di inquinanti di origine ambientale, fra i quali:
pesticidi cloro-organici, come il DDT;
policlorobifenili;
piombo;
mercurio.
Cosa concludere?
Il piccolo dell’uomo deve ricevere latte materno
esclusivo fino alla fine del 5°-6° mese, in seguito l’alimentazione va integrata gradualmente con nutrienti
diversi dal latte, in modo da permettergli di sviluppare al completo le sue potenzialità di accrescimento e
di sviluppo.
Allattamento con formula
Il latte vaccino è la base per la preparazione del latte
artificiale: esso viene sottoposto dall’industria alimentare a modificazioni profonde delle varie componenti, per
avvicinarlo sempre di più alle caratteristiche del latte
materno, che rimane il punto di riferimento insostituibile
nell’alimentazione del lattante, almeno nei primi 6 mesi
di vita.
Il termine formula fu coniato nel 1903 da Thomas Morgan
Rotch in riferimento ai complessi calcoli matematici elaborati
per realizzare un alimento derivato dal latte vaccino, in grado
di soddisfare i fabbisogni nutritizi dei lattanti pretermine. Egli
era convinto che la sua “alimentazione percentuale” avrebbe
ridotto l’elevata mortalità (80-90%) dei lattanti non alimentati al seno.
Va ricordato che l’allattamento artificiale, a parte ogni
altra considerazione, ha un suo elevato costo economico,
che può essere difficilmente sostenibile per qualche famiglia: da 550 euro a 900 euro per neonato durante tutto
il 1° anno di vita.
Il latte vaccino come tale nel 1° anno di vita non viene
più consigliato nella dieta del lattante normale, anche se
la stessa bollitura modifica la caseina in esso contenuta,
in modo tale che, a contatto con l’acidità presente nello
stomaco del lattante, si formano coaguli piuttosto piccoli
e quindi più facilmente digeribili. Le ragioni per le quali
nel 1° anno non viene più consigliato il latte vaccino in
commercio sono numerose:
determina microemorragie intestinali;
ha un eccesso di acidi grassi saturi e difetto di acidi
grassi essenziali (acido linoleico);
gli elementi traccia e le vitamine sono per qualità e
quantità molto differenti da quelle presenti nel latte
umano;
il carico proteico è molto elevato;
il carico di sali è troppo elevato, per la funzionalità renale del lattante nel 1° anno di vita.
Capitolo 14.fm Page 246 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
246
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
Tabella 14.10 - Farmaci e sostanze che richiedono un’attenta valutazione prima di essere prescritti a una donna che allatta.
CATEGORIA
PRINCIPIO ATTIVO
SPECIFICO O COMPOSTI
CONSIDERAZIONI E TRATTAMENTI ALTERNATIVI
Analgesici
Meperidina, ossicodone
Usare farmaci alternativi. Gli allattati al seno da madri che hanno ricevuto la meperidina sono a maggior rischio di avere uno stato depressivo neurocomportamentale
dei lattanti le cui madri ricevano morfina. Nei lattanti il livello di esposizione all’ossicodone può raggiungere il 10% della dose terapeutica. Per una forte analgesia la
morfina può essere usata con cautela. Il paracetamolo e i farmaci antinfiammatori
non steroidei sono sicuri.
Antiartritici
Sali d’oro, metotrexato,
aspirina ad alte dosi
Considerare farmaci alternativi ai sali d’oro. Considerare alternative anche al metotrexato, sebbene le basse dosi abbiano rischi più bassi di quando il metotrexato viene
usato nella chemioterapia anticancro. Alte dosi di aspirina vanno usate con cautela,
perché è stato descritto il caso di un lattante con acidosi metabolica: il lattante va
monitorato clinicamente.
Anticoagulanti
Fenindione
Usare farmaci alternativi, come il warfarin e l’acenocumarolo o l’eparina.
Antidepressivi e litio
Fluoxetina, doxepina e litio
Usare con cautela. Sebbene la loro concentrazione nel latte sia bassa, sono state riportate coliche (fluoxetina) e sedazione (doxepina). Le concentrazioni di litio nel lattante possono essere vicine alle dosi terapeutiche.
Antiepilettici
Fenobarbital, etosuccimide,
primidone
Negli allattati al seno l’esposizione a questi farmaci può eccedere del 10% la dose
terapeutica. Considerare le alternative, come la carbamazepina, la fenitoina e l’acido
valproico.
Antimicrobici
Cloramfenicolo, tetracicline
Usare alternative a questi farmaci. L’anemia aplastica da CAF è possibile nell’allattato
al seno. Sebbene negli allatati al seno non sia stata riportata la colorazione dei denti,
il rischio potenziale esiste e deve essere comunicato alla madre.
Anticancro
Tutti (ciclofosfamide,
metotrexato, doxorubicina)
Per il loro potente effetto, i farmaci citotossici non vanno somministrati a donne che
allattano.
Ansiolitici
Diazepam, alprazolam
Evitare l’uso prolungato dei due farmaci. L’uso intermittente presenta pochi rischi,
mentre l’uso regolare porta a un accumulo (letargia, scarso accrescimento). Con l’alprazolam è stato descritto un caso di sindrome da sospensione.
Farmaci per il sistema
cardio-vascolare
e antipertensivi
Acebutololo, amiodarone,
atenololo, nadololo, sotalolo
Questi farmaci vanno usati con cautela, per gli alti livelli che possono raggiungere
nel lattante. I due antagonisti -adrenergici propranololo e labetololo sono considerati sicuri.
Farmaci endocrini
e ormoni
Estrogeni, bromocriptina
Estrogeni e bromocriptina possono sopprimere la produzione di latte. I contraccettivi
orali contegono poco o nessun estrogeno e quindi hanno un minimo rischio; una
certa cautela, tuttavia, va osservata anche con il loro uso.
Farmaci
immunosoppressori
Ciclosporina, azatioprina
Il livello di questi due farmaci nel sangue della madre va monitorato. Tuttavia, in alcuni casi nei quali il lattante al seno fu esposto all’azatioprina, non vennero notati
effetti spiacevoli.
Farmaci per
Teofillina
l’apparato respiratorio
La teofillina va usata con cautela. Quando le dosi siano alte, i livelli nel lattante possono essere elevati (cioè il 10% della dose terapeutica).
Composti radioattivi
Tutti
L’allattamento al seno deve essere sospeso per tutta la durata dell’emivita dei composti radiomarcati.
Droghe
Tutte
L’uso di droghe controindica l’allattamento al seno. È stata descritta la tossicità per
cocaina in lattanti le cui madri ne facevano uso. Il metadone invece è sicuro nelle
donne che allattano, quando assunto alla dose di 80 mg al giorno. La buprenorfina
può esssere un valido sostituto del metadone.
Altre sostanze
Alcol, caffeina, nicotina
Per evitare l’esposizione del lattante all’etanolo, la madre non dovrebbe assumere
alcol o non consumare più di un bicchiere 2 o 3 ore prima della poppata. L’ingestione
di moderate quantità di caffeina è sicura. Il fumo è controindicato nelle madri che
allattano.
Altri farmaci
Ioduri e iodio, ergotamina,
ergonovina
Usare alternative alle sostanze antisettiche contenenti iodio. L’ergotamina e l’ergonovina possono sopprimere la secrezione di latte. D’altra parte, l’uso della metil-ergonovina per stimolare l’involuzione dell’utero viene considerata sicura nelle donne
che allattano.
(Da Ito S.: Drug therapy for breast-feeding women, N Engl J Med 343:118-26, 2000.)
Capitolo 14.fm Page 247 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
247
DIETA DEL LATTANTE
Tabella 14.11 - Farmaci di scelta nelle donne che allattano.
CATEGORIA
PRINCIPIO ATTIVO O COMPOSTI
COMMENTI
Analgesici
Paracetamolo, ibuprofen, flurbuprofen,
ketorolac, sumatriptan, morfina
Il sumatriptan può essere somministrato nella cura della cefalea.
Per un’analgesia profonda può essere somministrata la morfina.
Anticoagulanti
Warfarin, acenocumarolo, eparina regolare
e a basso peso molecolare
Negli allatati al seno, figli di madri che assumevano warfarin, la presenza nel sangue non è dimostrabile e il tempo di sanguinamento
non si è modificato
Antidepressivi
Sertralina, antidepressivi triciclici
Anche la fluoxetina può essere somministrata, ma con grande cautela (vedi Tabella 14.10).
Antiepilettici
Carbamazepina, fenitoina, acido valproico
Il livello di esposizione a questi farmaci nei lattanti è inferiore al 10%
della dose terapeutica, tenendo conto del peso.
Antistaminici (anti-H1)
Loratidina
Si possono somministrare anche altri antistaminici, ma mancano ancora dati sulla concentrazione di questi farmaci nel latte umano.
Antimicrobici
Penicilline, cefalosporine,
aminoglicosidi, macrolidi
Da evitare l’uso di cloramfenicolo e di tetracicline.
Antagonisti
-adrenergici
Labetalolo, propranololo
Anche gli inibitori dell’enzima angiotensina-convertente e i calcio-antagonisti sono da considerarsi sicuri.
Farmaci endocrini
Propiltiuracile, insulina, levotiroxina
I livelli di propiltiuracile nei lattanti alimentati al seno è inferiore
all’1% della dose terapeutica per il peso; la funzione tiroidea del lattante non viene interessata.
Glicocorticoidi
Prednisone e prednisolone
La quantità di prednisolone che il lattante potrebbe ingerire con il
latte materno è inferiore allo 0,1% della dose terapeutica, tenendo
conto del peso.
(Da Ito S.: Drug therapy for breast-feeding women, N Engl J Med 34:118-26, 2000.)
Le due principali modificazioni alle quali viene sottoposto il latte vaccino sono la riduzione dell’apporto proteico (dai 3,5 g/dL del latte vaccino a livelli più vicini a
quelli del latte materno, che ne contiene solo 1 g/dL) e la
riduzione dei sali, cioè delle ceneri, che nel latte di mucca
sono contenuti in quantità 3 volte superiore a quella del
latte materno (oltre 3 g/dL contro circa 1 g/dL), rappresentando un carico di soluti difficilmente eliminabile dal
rene del lattante dei primi mesi, che, come si sa, presenta
una fisiologica moderata insufficienza. Nel passato era
molto usata la diluizione del latte vaccino, che se attenua
in parte il surplus di proteine e di sali, contemporaneamente diluisce anche il lattosio (che è già presente nel
latte vaccino in quantità ridotta in confronto al latte
materno: 4 g/dL contro i 7 g/dL) e i grassi, che sono
contenuti nei due latti nella stessa concentrazione assoluta, ma si differenziano per la composizione qualitativa, che non viene modificata dalla diluizione. Nella
preparazione dei latti artificiali, i grassi saturi del latte
vaccino sono sostituiti da oli vegetali, ricchi di acidi
grassi insaturi e vengono aggiunte vitamine e, spesso,
ferro.
Il compito del pediatra è facilitato dalla formulazione
di alcune raccomandazioni del Comitato per la Nutrizione della Società Europea di Gastroenterologia Pediatrica
e di Nutrizione (ESPGAN), pubblicate sulla Gazzetta
Ufficiale della Comunità Europea (n. 321/91): le direttive stabiliscono che gli Stati membri della Comunità
devono provvedere affinché gli alimenti per lattanti dei
primi mesi e i latti di proseguimento siano introdotti in
commercio solo se rispondono alle norme riguardanti la
composizione e l’etichettatura.
Come abbiamo visto (pag. 226), viene definito alimento per lattanti (latte per lattanti) il prodotto alimentare, destinato a bambini nei primi 4-6 mesi di vita, in
grado di fornire da solo il fabbisogno nutritivo per queste
età, e alimento di proseguimento (latte di proseguimento) il prodotto alimentare, destinato all’alimentazione dei
lattanti dopo il 4°-6° mese di vita, che rappresenti il
componente principale di un’alimentazione di un bambino che abbia iniziato il divezzamento.
La composizione del latte adattato, stabilita dall’ESPGAM, è riportata nella Tabella 14.12.
Il latte artificiale è posto in commercio secondo due
modalità:
in confezione liquida, che non richiede la ricostituzione del latte al momento della preparazione dell’alimento e che quindi impedisce gli errori di diluizione,
che così spesso la madre compie involontariamente.
Tuttavia la confezione, una volta aperta, anche se
mantenuta in frigorifero, deve essere usata entro le 24
e massimo entro le 48 ore. Anche a confezione chiusa
questi latti hanno comunque una durata un po’ più
breve di quella dei latti in polvere. Ovviamente la confezione liquida elimina i problemi del contenuto in sali
dell’acqua in cui viene diluito il latte in polvere;
in polvere: questi latti necessitano di essere diluiti in
acqua al momento dell’uso e quindi richiedono un’at-
Capitolo 14.fm Page 248 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
248
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
Tabella 14.12 - Caratteristiche e composizione del latte adattato.
Non deve contenere:
• amidi o farine
• miele (per prevenire il botulismo del lattante)
• fattori di crescita
• sostanze addensanti
Non deve essere acidificato
Deve essere a bassa concentrazione di sali:
• sodio non superiore a 12 mEq/L
• sodio + potassio + cloro non superiori a 50 mEq/L
Valore calorico:
• 62-72 kcal/dL
Carboidrati:
5,4/8,2 g/dL di lattosio
Rapporto Ca/P:
1,2/2; calcio fra 40 e 50 mg/dL; fosforo 20-35 mg/dL
Ferro:
0,7/1,4 mg/dL
Zinco:
0,2/0,3 mg/dL
Grassi in quantità tale da fornire il 50% delle calorie totali:
Rame:
• 2,7-4,1 g/dL
30-40 g/dL
• 50% di grassi insaturi, tenendo conto che il 3-6% delle calorie totali
deve essere rappresentato da acido linoleico
Magnesio:
• l’assorbimento deve essere non inferiore all’80%
0,5/0,6 mg/dL
Proteine: intorno al 10% delle calorie totali:
Osmolarità totale:
• 1,2/1,9 g/dL
non deve eccedere del 10% quella del latte materno (270 mOsm/L)
• rapporto caseina/proteine del siero < 1*
* Nel 2005 l’ESPGHAN ha emanato un position paper nel quale non viene più citata la percentuale di caseina/sieroproteina, come primo parametro di un latte
adattato europeo, per cui va bene anche l’80% di caseina e il 20% di sieroproteine, come nel latte vaccino e come nei latti statunitensi e del resto del mondo.
tenta scelta dell’acqua minerale da usare. Sono da preferire le acque che contengano sali al di sotto dei 100
mg/L (residuo fisso), per non aggravare ulteriormente
il carico di soluti del latte vaccino, artificialmente ridotto dalle case produttrici di latti: quelle più spesso
usate, messe in ordine crescente per il residuo fisso
sono Amorosa, San Carlo, Humana, Levissima, Norda, Pejo, Fiuggi e altre.
Da alcuni decenni i latti in polvere del commercio sono
tutti dei buoni sostituti del latte umano e tutti rispondono
allo scopo di fornire al lattante le migliori probabilità di
crescere e di svilupparsi (Tabella 14.13). La difficoltà
nella quale si ritrova oggi il pediatra è quella di dover
scegliere fra prodotti troppo numerosi: le differenze fra
l’uno e l’altro non sono poi tali da facilitare la scelta. È
bene che il pediatra familiarizzi con uno di questi, ne
impari la precisa composizione e le esatte modalità d’uso;
è opportuno, comunque, che ne conosca, anche meno
approfonditamente, altri, nel caso che la scelta da lui fatta
non incontri il gradimento del piccolo paziente.
Oltre un anno fa sono entrati in commercio due latti
formulati per l’infanzia, ciascuno del tipo 1 e 2; uno di
questi, preparato dalla COOP ha il nome di Crescendo
1 e 2. Il prezzo per una confezione da 900 grammi è di
9 euro, una cifra da tre a cinque volte inferiore a quella
degli altri latti del commercio. La differenza di prezzo
viene giustificata dalla presenza negli altri latti del
commercio di sostanze diverse, fra le quali l’acido linolenico, l’acido eicosapentaenoico, l’acido docosaesanoico, l’acido linoleico e l’acido arachinodico (tutti
acidi grassi a lunga catena, essenziali). Come abbiamo
già detto, l’aggiunta di queste sostanze non apporta
alcun beneficio riguardo allo sviluppo visivo o generale
nei nati a termine, mentre, almeno sullo sviluppo visivo
una certa azione sembra che l’abbiano nei pretermine.
Penso che il pediatra non possa, al momento della
prescrizione di un latte artificiale, non parlare ai genitori
di questa possibilità di risparmio; sarà poi libero di
esprimere, con scienza e coscienza, il proprio parere al
riguardo.
I latti adattati (Tabella 14.12) derivano tutti dal latte
vaccino, opportunamente trattato. Fra i latti modificati,
quelli parzialmente adattati hanno un contenuto di
grassi leggermente inferiore a quello dei latti adattati; al
contrario le proteine hanno un contenuto lievemente superiore e contengono oltre al lattosio, altri carboidrati,
quali le maltodestrine, l’amido, il saccarosio e anche
monosaccaridi. Possono essere usati nei casi di eccessiva
fermentazione del lattosio: le maltodestrine ne riducono
l’osmolarità. I latti acidificati fanno parte della continuazione di una vecchia tradizione, secondo la quale
l’acidificazione permetterebbe una miglior flocculazione
della caseina.
I latti per il pretermine hanno una componente proteica più elevata (2/2,2 g), al lattosio sono state aggiunte
maltodestrine, in alcuni latti fra i grassi sono presenti gli
MCT e gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga ( 3 e 6
nella giusta proporzione) e sono state spesso aggiunte
taurina e carnitina.
Gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga, come l’acido arachidonico e l’acido docosaesaenoico (DHA
22:6n-3) sono coinvolti nello sviluppo del cervello e in
particolare della sostanza grigia. Il latte umano, come
abbiamo visto, contiene quantità di DHA più elevate di
quelle presenti nei latti in polvere, che spesso non ne
contengono affatto. Da queste conoscenze deriva la moderna tendenza di aggiungere acido arachidonico e DHA
alle formule per migliorare lo sviluppo neurologico: sono
Capitolo 14.fm Page 249 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
249
DIETA DEL LATTANTE
Tabella 14.13 - Elenco dei latti artificiali disponibili in Italia*.
TIPO DI LATTE
NOME DEI LATTI
Latti di crescita
Aptamil latte di crescita
Junior drink
Latte Guigoz
Latte Mio
Latte Mio 5 cereali
Latte Mio crescita
Latte prima crescita
Latte per l’infanzia, latte crescita
Similac formula plus 1,
polvere e liquido
Latti interi adattati
Aptamil 1
Aptamil 1 C/Milupan NF,
polvere e liquido
Blemil plus 1 AC
Blemil plus 1 AS
Enfamil Premium 1
Formulat 1, polvere e liquido
Humana 1, polvere e
liquido
Humana 1 con LC-PUFA e
prebiotici, liquido e polvere
Humana plus, polvere e
liquido
Mellin 1, polvere e liquido
Mellin 1 progress
Miltina 1, polvere e liquido
Miltina LB
Milumil 1
Mumilk 1
Nativa 1, polvere e liquido
Neolatte 1
Nidina 1, polvere e liquido
Nidina 1 active
Nidina 1 PE liquido e polvere
Novolac 1
Nutrilon 1
Nutrilon 1, polvere e liquido
O-LAC plus
Plasmon primi giorni
Similac formula plus 1
Unimil liquido e polvere
Pantolac 1
Pelargon 1
Latti modificati
Latti interi parzialmente adattati
acidificati
Latte privo di proteine del latte,
per i primi giorni di vita
Latte antirigurgito
Aptamil Primergen
Aptamil AR1
Blemil plus 1 AR
Enfamil pregel lipid 1
Formulat 1 pregel
Aptamil HA 1 con LCP
Milupan
Aptamil pepti 1
Enfamil HA digest
Humana AR1
Mellin AR 1
Nidina Confort 1
Nutrilon pepti 1
Enfamil premium 1
Humana HA 1
Hypolac
Mellin HA
Multina ipo 1, polvere e liquido
Nativà HA 1 ipoallergenico
Neolatte
Nidina 1 active excel
Latti “0” per il pretermine
Formulat pre-0 liquido
Formulat 0, liquido
Humana 0B con LC-PUFA
liquido
Mellin 0, liquido
Miltina 0, liquido
Pre-aptamil con LCP Milupan
Pre-Humana con LC-Pufa
Prenidina, liquido e polvere
Latti di proseguimento
I latti con la sigla AR o Confort sono
antirigurgito
I latti con la sigla HA o IPO sono
ipoallergenici
Aptamil 2
Aptamil HA 2
Aptamil pepti 2
Aptamil conformil 2
Aptamil 3
Beby bio 2
Bebilac 2
Blemil plus 2 AR
Blemil plus 2 forte
Enfamil HA digest
Enfamil premium 2
Enfamil PreGel LIPIL 2
Formulat 2 pregel
polvere e liquido
Humana 2 con prebiotici
Humana HA 2
Humana AR 2
Humana 3, polvere e liquido
Latte di crescita
Latte di proseguimento
Mellin 2, polvere e liquido
Mellin Pantolac 2
Mellin AR 2
Miltina 2, polvere e liquido
Miltina ipo 2
Milumil 2, polvere e liquido
Mumilk 2
Nativà 2, polvere e liquido
Nativà HA 2, ipoallerginico
Neolatte 2
Neolatte 3
Neolatte HA 2
Nidina 2, polvere e liquido
Nidina 2 active excel
Nidina HA 2 ipoallergenico
Nidina Confort 2
Nutrilon 2 plus, polvere e liquido
Nutrilon 3
Nutrilon pepti 2
Pelargon 2
Risolac 2
Similac formula plus 2
Similac RA
Latte ipoallergenico
* I prodotti sono ricavati dall’Informatore Farmaceutico 2007, Parafarmaceutici.
stati studiati i potenziali evocati visivi, l’indice di sviluppo mentale di Bayley e l’indice di sviluppo psicomotorio,
nei nati a termine senza riscontrare alcuna variazione.
Nel contempo non è risultato nessun effetto nemmeno
sulla crescita. Nei nati da parto prematuro invece è stato
rilevato un effetto benefico sull’acutezza visiva, mentre
sui risultati delle prove di sviluppo mentale e sulla crescita staturale e ponderale l’effetto è stato nullo.
Nei soggetti allergici alle proteine del latte vaccino la
prima alternativa da suggerire è quella dell’impiego del
latte di soia (Tabella 14.15), verso il quale a volte
compare, poco dopo l’introduzione, un processo di allergizzazione del tutto sovrapponibile a quello verso le
proteine del latte vaccino. Il latte di soia ha il vantaggio
di non contenere lattosio, sostituito con carboidrati di
diverso tipo, di essere costituito da grassi vegetali, com-
Capitolo 14.fm Page 250 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
250
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
preso l’acido linoleico, e di avere un’aggiunta di metionina, di taurina e di carnitina. I latti ipoallergenici, i
famosi HA, non trovano applicazione nel trattamento
delle allergie alle proteine del latte vaccino e non sono
più nemmeno usati nella prevenzione della stessa allergia, quando il neonato provenga da una famiglia in cui
sia evidente una tara allergica. Il peso molecolare dei
loro peptidi è quasi sempre inferiore ai 6.000 Da, ma con
una distribuzione percentuale diversa da quella che si
riscontra negli idrolisati spinti: per prima cosa le frazioni
inferiori ai 1.500 Da sono quantitativamente molto minori, mentre la massima parte è distribuita fra i 3.500 e i
6.000 Da.
Nei lattanti sicuramente allergici al latte vaccino, che
non tollerino il latte di soia, trovano una loro precisa
indicazione gli idrolisati proteici spinti (Tabella 14.16).
Esiste poi una categoria di latti artificiali poveri di
lattosio, da usare quando si sospetti un’intolleranza secondaria al lattosio (la primitiva è eccezionale), in alternativa al latte di soia.
Come abbiamo visto, oltre il 6° mese l’alimentazione
con latte viene fatta con i cosiddetti latti di proseguimento, la cui composizione è stata fissata dall’ESPGAM
(vedi Tabella 14.14). Questi latti possono essere usati
anche fino all’età di 2-3 anni. Secondo l’ESPGAM il latte
di proseguimento è un alimento da impiegare come com-
ponente liquida, in una dieta per il divezzamento del
bambino a partire appunto dal 6° mese di vita.
Alimentazione integrativa dell’allattamento al seno,
nei primi mesi di vita
Pur riconoscendo che per il lattante, il latte della
propria madre rappresenta quanto di meglio gli possa
essere offerto per nutrirsi e quindi per crescere e per
differenziarsi, bisogna riconoscere che esistono alcune
situazioni nelle quali è necessario integrare il latte materno con alcuni pasti di formula.
È evidente che il tipo di alimento che viene offerto al
lattante deve avere come scopo primario quello di perTabella 14.14 - Composizione dei latti di proseguimento.
CARATTERISTICHE
E COMPONENTI
TIPO DI NUTRIENTI
E LORO QUALITÀ
Valore calorico
Proteine
60-80 kcal/dL
2,1-3,1 g/dL
Carboidrati
Grassi
5,7-8,6 g/dL
2,7-4 g/dL, con più del 2,7% del totale
delle calorie, come acido linoleico
Ferro
0,7-1,2 mg/dL
Tabella 14.15 - Latti dietetici disponibili in Italia*.
TIPO DI LATTE
NOME DEI LATTI
Latti di soja
Latti di soja di proseguimento
Latti poveri di lattosio
Formulat Biosoya 1
Humana Sinelac 1
Aptamil soja, latte di crescita
Formulat Biosoya 2
Al 110
Isomil 1
Prosobee 1
Soyamil unico
Prosobee 2
Humana Sinelac 2
Isomil 2
HN 25
Humana disanal
* I prodotti sono ricavati dall’Informatore Farmaceutico 2007, Parafarmaceutici.
Tabella 14.16 - Latti idrolisati spinti. Composizione peptidica percentuale secondo il peso molecolare*.
PESO MOLECOLARE
NOME
ORIGINE
<1.500 Da
1.500/3.500 Da
3.500/6.000 Da
> 6.000 Da
Polilat
Caseina
100
0
0
0
Nutramigen
Caseina LV
95,5
3,5
0,5
0,5
Pregestimil
Caseina LV
97,0
2,0
0,5
0,5
Hypolac
Siero
88,1
9,1
2,0
0,8
Alfarè
Siero LV
88,0
8,0
1,5
2,5
Pepti Junior
Siero LV
85,0
11,5
1,5
2,0
Nutrilon pepti
Siero LV
84,0
12,0
2,0
2,0
Pregomin
Soia, collageno di suino
80,0
20,0
Similac RA
Siero LV
77,8
21,2
0,99
0,1
Nutramigen 1 e 2 LGG
* I prodotti sono ricavati dall’Informatore Farmaceutico 2007, Parafarmaceutici.
Capitolo 14.fm Page 251 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
DIETA DEL LATTANTE
mettergli un accrescimento adeguato (circa 800 g al
mese per il nato a termine, cioè circa 200 g a settimana,
almeno dalla 2a-3a settimana di vita fino ai primi 4-5
mesi); per tale ragione è opportuno che la madre, una
volta alla settimana, sempre nello stesso giorno della
settimana e meglio alla stessa distanza dal pasto, pesi il
lattante, nudo, dopo avergli fatti il bagnetto e dopo
averlo opportunamente asciugato: ella registrerà in successione, in un apposito quaderno, il peso riscontrato. In
tal modo la madre ha sempre modo di controllare se la
quantità di latte che ha dato al bambino nella settimana
precedente sia stata sufficiente per le sue necessità di
accrescimento ponderale; poiché il peso rilevato può
essere variamente influenzato da fattori diversi (distanza
dal pasto, emissione di urine e di feci, infezioni clinicamente evidenti ma anche inapparenti, variazioni transitorie, e quindi nei limiti del normale, dell’appetito e
dell’accrescimento), per stabilire se effettivamente esista un’insufficienza alimentare, è giusto non limitarsi
alla valutazione di una settimana, ma è necessario attendere il risultato di almeno 2 settimane. L’esperienza
insegna che spesso dopo una settimana di scarso accrescimento in peso, il lattante riprende a crescere normalmente (cioè intorno ai 200 g a settimana), tanto che a
volte esso riprende il peso che non aveva guadagnato in
precedenza. Ma se per 2 settimane di seguito il lattante
cresce meno di 150 g a settimana è giusto discutere il
problema con la madre ed eventualmente introdurre
un supplemento alimentare, costituito da latte artificiale. In questo caso s’inizia con la somministrazione
negli ultimi 3 pasti della giornata, dopo la poppata, di 50
g di latte artificiale, pronti ad aumentarlo a seconda delle
richieste del bambino e nel caso in cui permangano
rallentamenti nell’accrescimento ponderale. Anche se
l’introduzione di una “aggiunta” al latte materno viene
eseguita per pochi pasti e dopo la poppata al seno, essa
porterà come conseguenza, a minore o maggiore distanza, una riduzione della componente latte umano nell’alimentazione di quel lattante. Tuttavia, è necessario ricordare che uno dei primi compiti del pediatra è quello di
permettere un accrescimento adeguato del proprio assistito, molto meglio se alimentato col latte materno, ma
ugualmente bene anche se è stato fatto ricorso all’alimentazione artificiale.
L’importante è che fino alla fine del 5° mese non
sia somministrato al lattante alimento diverso dal
latte, sia esso di donna o vaccino, cioè che si proceda
al divezzamento non prima dell'inizio del 6° mese.
L’altra situazione nella quale il pediatra deve prescrivere un latte artificiale (latte adattato) è quando la madre,
solo dopo qualche mese dal parto, debba tornare al lavoro. La legge italiana tutela abbastanza la donna, sia in
gravidanza che nel 1° anno di vita del bambino, ma
possono esistere situazioni particolari nelle quali, già nei
primi mesi, ella debba lasciarlo per una parte o per tutta
la giornata. La decisione di sostituire alcuni pasti con un
latte artificiale diviene obbligata: nella maggior parte dei
casi il latte artificiale viene offerto al lattante nelle ore
251
intermedie della giornata, mentre al primo pasto del
mattino e nella notte egli si attacca al seno materno.
Anche in questo caso comunque l’allattamento al seno è
destinato prima o poi a ridursi fino a cessare.
Allattamento artificiale sostitutivo del latte materno
Vi sono, come abbiamo visto (pag. 239), alcune rare
controindicazioni all’allattamento al seno ed esistono
d’altra parte altrettanto rare condizioni in cui la madre
non produce una quantità di latte sufficiente per iniziare
l’allattamento. In questi casi è necessario passare immediatamente all’allattamento artificiale, ricorrendo a un
latte adattato, per fornire al neonato l’energia necessaria
per la sua sopravvivenza e per la sua crescita.
Tecnica per l’allattamento artificiale
Il biberon graduato deve essere accuratamente sciacquato e bollito dopo ogni pasto: è possibile anche sciacquare ogni biberon alla fine del pasto e bollire per 5
minuti tutti insieme i biberon e i succhiotti della giornata,
da mantenere poi in frigorifero, ben coperti, fino al
momento dell’uso. Solo dopo i 6 mesi di età è possibile
sciacquare in acqua corrente i biberon, ricorrendo
all’ebollizione ogni 5-7 giorni. Il succhiotto deve essere
sufficientemente morbido, deve avere le perforazioni
adatte e, al momento del pasto, non deve contenere aria.
Prima della preparazione del pasto la madre deve lavarsi
accuratamente le mani e deve porre i vari utensili e la
polvere su una tavola pulita, coperta con un telo di
bucato. La presenza della madre o comunque di un
adulto è sempre necessaria durante la somministrazione
del latte artificiale, per non privare il lattante del contatto
fisico e del senso di sicurezza conferiti da un adulto,
pronto a staccare il biberon non appena questo sia stato
svuotato. La bottiglia deve esser riscaldata precedentemente alla poppata fino alla temperatura del corpo ed è
sempre bene controllarne il calore facendo cadere qualche goccia sul polso.
L’eruttazione dell’aria ingerita durante il pasto è importante per evitare rigurgiti o dolori addominali, ma non
è detto che essa debba avvenire per forza dopo ogni
poppata. Il pasto deve durare 5-25 minuti, a seconda della
forza che ha il bambino nel succhiare la tettarella. Da
ricordare che esiste un’ampia variabilità nella quantità di
latte ingerito da un pasto all’altro nello stesso giorno e
ancor più da un giorno all’altro. Non vi è motivo di
allarme se alla fine della settimana, con la pesata, il
lattante dimostra di essere cresciuto ugualmente intorno
ai 200 g.
Poiché il nato a termine fino al 6° mese richiede per
crescere 80-120 kcal/per kg di peso (media 100 calorie)
e poiché un latte adattato fornisce in media 65 kcal per
dl, si può dare alla madre l’indicazione che nelle 24 ore
il lattante dovrebbe assumere 160 mL/kg, suddivisi nel
numero dei pasti. Per esempio, a un bambino di 5.200 g,
va offerta nelle 24 ore una quantità totale di latte artificiale di 5,2 160 mL = 832 mL, che suddivisi in 6 pasti
danno circa 140 mL a pasto per 6 volte. Ricordando
Capitolo 14.fm Page 252 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
252
l’estrema variabilità del singolo lattante, il pediatra, dopo
aver fornito alla madre queste indicazioni generiche,
deve subito affermare che esiste un certo numero di
lattanti che cresce bene anche con 80 kcal per kg, mentre
altri necessitano di 120 e a volte anche di 130 calorie per
kg: ne deriva che la quantità di latte da somministrare per
pasto e nelle 24 ore deve essere trovata in una giusta
proporzione fra il calcolo teorico sopra descritto e l’effettiva richiesta di nutrienti del bambino. La pesata settimanale ci confermerà nell’aver trovato la giusta quantità
di alimento.
La quantità media di acqua richiesta da un lattante
nei primi mesi è proprio quella di 160 mL/kg, che
corrisponde alla quantità media di latte per kg che
dobbiamo somministrargli. Se il latte artificiale è liquido non va manipolato, ma se viene scelto un latte in
polvere è bene consigliare alla madre di usare 1 misurino da 5 g ogni 30 mL di acqua, cioè 3/3 1/2 misurini in
100 mL e 61/2/7 in 200 mL di acqua. L’acqua nella quale
sciogliere il latte in polvere deve essere una di quelle
precedentemente ricordate, a bassissimo contenuto di
sali: l’acqua va messa nella polvere agitando bene il
biberon, in modo che non rimangano ammassi, anche
piccoli, di polvere.
Quanti pasti si devono somministrare al giorno?
Quanto più il lattante si allontana dalla nascita e tanto
più basso sarà il numero dei suoi pasti: 6-7 pasti nel 1°
mese, ancora 6 pasti (ma vanno bene anche 5) nei
successivi 4 mesi; alla fine del 5° mese i pasti debbono
essere 5, per scendere a 4 alla fine del 6° mese, quando
l’alimentazione passa al “tutto vitto” (Tabelle 14.17 e
14.18). Anche in questo caso il pediatra deve sottolineare che questi numeri sono solo teorici, che vanno bene
per la gran parte dei lattanti, ma può essere che il
bambino di cui stiamo parlando desideri un numero di
pasti superiore, ma anche inferiore: l’importante è sempre che alla pesata settimanale egli abbia dimostrato di
crescere la quota dovuta (intorno ai 200 g). La distanza
fra un pasto e l’altro sarà proporzionata al numero di
pasti: ogni 3 ore con 7 pasti, ogni 3 ore e mezzo con 6
pasti, 4 ore con 5 pasti e così via. Non trattandosi di latte
materno, lo svuotamento gastrico di un allattato artificialmente richiede almeno 2 ore e mezzo/3 ore; per
questo non va dato il pasto successivo se non siano
passate almeno 3 ore; è possibile invece attendere un
lasso di tempo superiore allo stabilito se il bambino non
mostri di aver fame. Va ricordato che il momento del
pasto, anche se artificiale, deve essere piacevole per il
lattante, come per il bambino, perché corrisponde a un
esaudimento di un bisogno e a un momento di grande
comunione con la madre e con il padre. Trasformare
questo naturale rapporto in una battaglia per far ingerire
al bambino la quantità di alimento che la madre ritiene
sia necessaria per la sua crescita è uno degli errori più
frequenti delle donne italiane, che il pediatra deve in
tutti i modi prevenire, soffermandosi a lungo sulla dinamica del pasto.
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
Tabella 14.17 - Numero dei pasti nelle 24 ore a seconda
dell’età.
ETÀ
NUMERO DEI PASTI NELLE 24 ORE
a
6-10
6-8
6
5-6
4
3-4
1 settimana
2a-4a settimana
1-3 mesi
4-6 mesi
7-9 mesi
10-12 mesi
Tabella 14.18 - Quantità di latte per pasto nel primo anno.
ETÀ
a
QUANTITÀ PER PASTO
a
1 -2 settimana
3a settimana-2° mese
3°-4° mese
5°-6° mese
> 7° mese fino all’anno
60-90 mL
120-150 mL
150-180 mL
180-210 mL
210-240 mL
In fondo ogni lattante, come ogni bambino, è il principale responsabile nel determinare la quantità di latte da
ingerire (Tabelle 14.17 e 14.18).
Se la madre decide di dare uno o più pasti fuori di casa,
non è bene che ponga nel termos il latte già preparato, ma
è meglio che nel termos porti l’acqua calda e in un piccolo
contenitore pulito la quantità di polvere che di solito usa
per preparare il pasto per il bambino. La mescolanza della
polvere nell’acqua verrà fatta al momento del pasto, con
le precauzioni alle quali abbiamo sopra accennato (corpora non agunt nisi soluta). Lo stesso vale per i pasti che
la madre prevede di dare nella notte, a meno che ella non
conservi il latte preparato in frigorifero e lo riscaldi prima
di offrirlo al proprio bambino.
I moderni componenti delle formule
I grandi passi compiuti nella conoscenza della fisiopatologia dell’alimentazione enterale hanno portato
all’identificazione dei nutrienti chiave che possono giocare un ruolo essenziale sia per la crescita sia per i
processi di guarigione, nelle sepsi e nell’infiammazione.
Molti di questi sono stati aggiunti alle formule, presenti
in commercio:
L-arginina;
glutamina;
taurina;
nucleotidi;
acidi grassi 3 e 6;
carnitina;
fattori di crescita: fattore- 2 trasformante la crescita;
antiossidanti;
probiotici: Lactobacillus acidophilus, Lactobacillus
GG;
prebiotici.
Capitolo 14.fm Page 253 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
IL DIVEZZAMENTO E LA DIETA DEL 2° SEMESTRE DI VITA
IL DIVEZZAMENTO E LA DIETA
DEL 2° SEMESTRE DI VITA
Il termine divezzamento indica il passaggio da una dieta
esclusivamente lattea (quella dei primi 5 mesi di vita) a una
dieta nella quale guadualmente vengono introdotti altri cibi,
quasi sempre di tipo solido, a partire dall’inizio del 6° mese
(mai prima del compimento del 4° mese e mai dopo il compimento del 6°, secondo l’European Society of Gastroenterology, Hepatology and Nutrition (ESPGHAN).
L’introduzione dei cibi solidi prima del 6° mese di vita
non ha alcun vantaggio, né sull’accrescimento, né sul
comportamento del lattante (non dorme meglio o più a
lungo) rispetto all’introduzione più tardiva. Una mucosa
intestinale non ancora ben adatta a sopportare il contatto
con alimenti diversi dal latte può non sempre servire da
barriera per impedire la penetrazione di composti diversi,
che possono contribuire a determinare nelle età successive intolleranze o vere e proprie allergie. È un fatto che
da quando l’allattamento al seno è stato ampiamente
promosso e da quando l’introduzione di alimenti diversi
dal latte è stata spostata all’inizio del 6° mese, la comparsa delle diarree croniche aspecifiche (vedi Capitolo 35,
pag. 813), così frequente fino a una quindicina di anni fa,
si è oggi notevolmente ridotta.
Ricordo che nel passato l’introduzione delle farine
veniva iniziata nel corso del 3° mese e che, ancor oggi,
in alcune parti d’Italia, l’introduzione delle farine, degli
“omogeneizzati” di carne e a volte dello stesso tuorlo
d’uovo è anticipata ai primi pochi mesi di vita. Come se
introdurre precocemente alimenti diversi dal latte fosse
il segnale di un alto grado di civiltà o una conquista delle
moderne conoscenze: direi, senza ombra di dubbio, che
il messaggio è proprio in senso contrario. In fondo va
ricordato che la comparsa dei denti avviene in media al
compimento dei 6 mesi e che, quando la selezione naturale contribuì a stabilire questi limiti, non erano ancora
in commercio né frullatori, né alimenti omogeneizzati,
né tantomeno liofilizzati.
Prima di procedere nella trattazione della dieta del
bambino dal 6° mese all’anno è bene premettere alcuni
concetti generali che varranno, come vedremo, per tutta
la vita: vi sono alcune regole d’oro da tenere sempre
presenti:
nella prescrizione della dieta all’inizio del 6° mese, è
necessario tenere conto degli usi regionali, almeno di
quelli che non si allontanino di molto dagli schemi generali di alimentazione. Per esempio, nell’Italia centrale il divezzamento s’inizia con le farinate del commercio (di riso o di grano), mentre al Nord vengono
usate farine multicereali e pappe lattee da affiancare
al latte di proseguimento;
ugualmente, nella prescrizione della dieta è necessario
tenere conto delle abitudini della famiglia e soprattutto dell’assetto che la famiglia intende darsi, dopo l’in-
253
troduzione di una nuova persona, con i suoi bisogni e
i suoi interessi;
la somministrazione di un pasto deve essere effettuata
quando il bambino abbia dimostrato di avere fame;
non ci deve far paura se egli passa dei periodi di scarso
appetito, anche di alcuni giorni;
non c’è alcuna ragione nel continuare a offrire un cibo
che il bambino abbia dimostrato di non gradire, né è
tantomeno necessario forzarlo a ingerire un cibo che
egli abbia decisamente rifiutato;
al momento di stabilire le dosi, il pediatra deve essere
sempre molto elastico, per evitare che la madre prenda
la prescrizione alla lettera, intervenendo con “violenza” sul lattante o sul bambino;
la maggior parte dei bambini viene sottoposta a
un’iperalimentazione da parte di genitori che confondono l’accettazione del cibo, che essi offrono, con
l’appetito;
l’appetito del bambino è il miglior indice della giusta
quantità di alimento necessaria: rispettare queste esigenze eviterà alla famiglia molti futuri problemi.
Dunque all’inizio del 6° mese di vita si procede alla
somministrazione di alimenti diversi dal latte, cominciando con piccole quantità, come 1-2 cucchiaini, disciolte almeno inizialmente nel latte (Tabella 14.19).
Questi nuovi alimenti (per esempio le farine lattee di riso
o grano, o le pappe lattee) possono essere somministrati
mediante il biberon, ma possono, con grande dolcezza,
essere eseguiti anche i primi tentativi di somministrazione col cucchiaino.
Abbiamo già visto che il bambino al 6° mese fa 5 pasti:
si comincia a sostituirne uno (il 2° o il 3°, a seconda delle
esigenze della madre) con una farina o con una pappa
lattea (200-220 g di acqua, a quest’età va bene anche
un’acqua che abbia una concentrazione di sali superiore
a quella indicata per i primi mesi, con 40-48 g di polvere:
è bene almeno inizialmente provvedere all’esatta pesata
della polvere, perché la madre si renda conto della massa
da somministrare), che all’inizio viene data nella quantità
di pochi cucchiaini per valutarne il gradimento e la tollerabilità; dopo 5-7 giorni, raggiunta la quantità stabilita,
si passa a due farinate (la prima al 2°-3° pasto e la
seconda al 4°-5° pasto, a seconda delle necessità della
madre).
Riso o grano? È tradizione iniziare con il riso, per
passare poi dopo un mese al grano e agli altri cereali. È
chiaro che questo modo di comportarsi non ha come
scopo quello di ridurre o annullare l’incidenza del morbo
celiaco, perché non ne sarebbe affatto capace; esso ha
solo lo scopo di mettere in contatto con la mucosa dell’intestino l’amido di riso, che è risultato più precocemente
e più facilmente aggredibile dagli enzimi intestinali del
lattante.
Farina lattea o pappa lattea? Non ci sono molte
differenze: nella prima il contenuto proteico è, nella
maggior parte dei casi, un po’ più basso di quanto non sia
presente nella pappa lattea, mentre al contrario i lipidi
sono maggiormente presenti nella farina lattea che nella
pappa lattea: comunque le differenze sono talmente ri-
Capitolo 14.fm Page 254 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
254
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
Tabella 14.19 - Alimenti per il divezzamento*.
TIPO DI ALIMENTO
NOME COMMERCIALE
Crema di riso
Guigoz – Crema di riso
Humana – Crema di riso
Mellin – Crema di riso
Crema di riso e frutta
Crema di riso con verdura
Guigoz – Crema di riso con frutta
Nestlè Mio – Crema di riso con verdure
Crema d’orzo
Milupa crema d’orzo bio – Crema d’orzo
Crema multicereali
Guigoz – Fiocchi 5 cereali
Humana – Crema multicereali
Mellin – Crema mais e tapioca
Mellin – Crema multicereali
Mellin – Crema ai cereali biologici
Milupa – Crema di riso, mais, tapioca bio
Milupa Crema multicereali – Crema
multicereali
Milupa Crema multicereali bio – Crema
multicereali
Milupa – Crema cereali/frutta mista
Nolac – Crema di riso, semi di carruba,
mais e tapioca
Guigoz – Fiocchi di 5 cereali
Milupa Milfarin riso – Farina lattea
Milupa Milfarin – Farina lattea, biscotti con
miele
Milupa Milcrema mela con pezzettini
(crema di riso con latte e mela), Junior
Crema di cereali/Frutta mista
Farina dei cereali senza glutine (riso ecc. )
Farina di cereali con glutine
Farina lattea al riso (senza glutine)
Farina lattea al riso con frutta (o altro)
Farina lattea con glutine
Farina lattea con biscotti e miele
Farina lattea con glutine e frutta (o altro)
Farina lattea ai 7 cereali
Minestrine
Pappa al riso
Pappa al riso (o mais o tapioca) con frutta
Pappa con biscotti
Pappa con glutine, frutta (o altro)
Pappa multicereali
Pappa alla soja
Pastina
Semolino
Verdure
Milupa Milfarin – Farina lattea 7 cereali
Guigoz – Farina lattea biscottata
Milupa Milfarin biscotti con miele – Farina
lattea
Milupa Milfarin – Farina lattea, biscotti con
miele
Milupa Milfrutta – Farina lattea, mela,
banana, yogurt
Milupa Milfrutta – Farina lattea, mela
Milupa Milfarin 7 cereali – Farina lattea
Milupa Le minestrine
Dieterba – Pappa al riso
Selac – Pappa lattea con mele
Mellin – Pappa con biscotti
Mellin – Pappa lattea con frutta mista
Mellin – Pappa lattea con mela
Nestlè Mio – Pappa lattea, frutta mista
Nestlè Mio – Pappa lattea, mele
Eurofood – Pappa multicereali
Humana – Pappa alla soja con cereali senza
glutine
Milupa Fior di pasta – Pastina dietetica
Guigoz – Semolino
Miluvit bio Milupa – Semolino
Mellin Verdure
Milupa Le verdure
* I prodotti sono ricavati dall’Informatore Farmaceutico 2007, Parafarmaceutici.
Milupa crema di riso-Miluris bio – Crema
di riso
Nestlè Mio – Crema di riso
Nestlè Mio – Crema di riso con verdure
Nestlè Mio – Crema di riso con mais e
tapioca
Milupa Fior di cereali “Crema d’orzo” –
Crema d’orzo biologico
Milupa Fior di cereali “Crema di riso
Miluris” – Crema di riso biologico
Milupa Fior di cereali “Crema
multicereali” – Crema multicereali
biologici
Nestlè Mio – Crema di riso, mais e tapioca
Nestlè Mio – Crema multicereali
Nestlè Mio – Fiocchi di grano integrale con
orzo e avena
Nestlè Mio – Farina lattea biscottata
Milupa Milfarin riso – Farina lattea
Nestlè Mio – Farina lattea al riso
Milupa Milfrutta mela, banana, con yogurt
– Farina lattea
Milupa Milfrutta mela – Farina lattea
Humana – Farina lattea
Nestlè – Farina lattea biscottata
Milupa Milfrutta – Farina lattea con frutta
mista e fette biscottate
Milupa Milfrutta mista – Farina lattea
Milupa Milfrutta – Farina lattea pera
Humana – Farina lattea con frutta mista
Mellin – Minestrina
Selac – Pappa lattea con banane
Selac – Pappa lattea con banane
Selac – Pappa lattea con frutta mista
Selac – Pappa lattea con mele
Milupa Som – Pappa
Nestlè Mio – Semolino
Mellin – Passato di verdure
Capitolo 14.fm Page 255 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
IL DIVEZZAMENTO E LA DIETA DEL 2° SEMESTRE DI VITA
dotte che la scelta può essere lasciata libera, a seconda
delle abitudini regionali o familiari.
Dopo la somministrazione della farina lattea o della
pappa lattea è possibile aggiungere della frutta fresca,
come succo di arancia (5 cucchiaini) o un quarto di mela
grattata.
Raggiunta la fine del 6° mese è possibile passare a 4
pasti (in media ogni 4 ore, ma vanno bene anche 3 o 5
ore, come va bene anche che il lattante riceva, a richiesta,
5 pasti), a quello che in generale viene chiamato “tutto
vitto”.
Il 1° e il 3° pasto saranno uguali: costituiti da latte di
proseguimento (200-220 g di acqua con 6 e mezzo 7
misurini da 5 g), con l’aggiunta di 3 cucchiaini di biscotti
granulati ed eventualmente, dopo qualche settimana, 1-2
cucchiaini di caffè d’orzo, nel caso che il sapore del latte
non fosse più gradito.
Il 2° pasto richiede un notevole impegno di tempo e
di lavoro da parte della madre:
250 g di brodo di verdura (1 litro di acqua, 1 pugnetto di tutte le verdure di stagione, ben lavate, senza sale;
far bollire per un’ora, e poi colare; quello che passa attraverso il colino è il brodo di verdura, che va conservato in frigorifero e va rifatto tutti i giorni per impedire
la trasformazione dei nitrati, di cui sono ricche le moderne verdure, in nitriti). Dopo qualche settimana può
essere usato anche il brodo di carne, scegliendo la
carne magra e provvedendo al mantenimento del
brodo in frigorifero, allo scopo di procedere all’eliminazione del grasso che si addensa in superficie: il
brodo di carne tenuto in frigorifero può essere usato
anche il giorno successivo o può essere congelato per
il suo uso anche entro 7 giorni;
20 g di pastina per l’infanzia, tipo 0. Inizialmente la
madre deve provvedere a identificare quanta pastina
in cucchiai (con o senza cupola) corrisponda ai 20 g:
successivamente, identificata la quantità, le dosi possono essere stabilite a occhio. Vanno bene anche la
crema di riso o il semolino;
2 cucchiaini di parmigiano;
1 cucchiaino di olio extravergine di oliva;
1 cucchiaino di olio di semi (di girasole, di soja, di
mais, di vinaccioli indifferentemente), allo scopo di
dare acidi grassi polinsaturi, essenziali. L’olio di arachidi è sovrapponibile, come acidi grassi polinsaturi,
all’olio di oliva, che contiene in generale quantità
troppo basse;
un pezzetto (40-50 g) di patata e di carota, usate per
il brodo, schiacciate opportunamente; dopo qualche
mese è bene passare anche qualche verdura (zucchini
per esempio);
30 g di agnello o di coniglio o di petto di pollo, cotto
a vapore, nel forno a microonde o bollito, frammentato e frullato nel brodo. La carne di pollo (o di tacchino)
è quella a più basso contenuto di grassi. Dopo qualche
settimana è possibile passare alla carne di bue, di qualunque parte si tratti, purché sia fresca e sufficientemente morbida. La carne può essere sostituita da 40 g
255
di pesce magro (sogliola, nasello, spigola, orata, dentice e altri);
frutta (sempre fresca): mela, arancia, banana (un
quarto), mescolate e pestate, in una quantità di una decina di cucchiaini. La pera, che contiene una discreta
quantità di sorbitolo, può essere aggiunta per i bambini che abbiano una scarsa tendenza all’eliminazione
delle feci.
Il 4° pasto può essere uguale al 2°, solo che al posto
dei 30 g di carne (che sono sufficienti per concorrere a
coprire il fabbisogno proteico, insieme a tutte le altre fonti
di proteine) va usato un formaggino ipolipidico per i
primi mesi da 60 g. Attenzione che molti dei formaggini
in commercio, definiti “per bambini”, hanno un contenuto di grassi superiore al 60%. Tuttavia, può avvenire che
per qualche settimana il lattante gradisca a cena la stessa
farinata o la stessa pappa lattea, che era abituato a prendere nel 6° mese; in questo caso è inutile insistere con la
minestrina e può essere mantenuta la farinata, che a
questo punto può essere di grano o multicereale.
Nel 2° semestre di vita i nutrienti possono essere
offerti con diverse modalità: il 1° e il 3° pasto possono
essere somministrati con lo stesso biberon usato nei mesi
precedenti, mentre per il 2° e il 4° è meglio usare il
cucchiaino o, se l’alimento è sufficientemente diluito,
anche direttamente la tazza, modalità difficilmente ottenibile prima degli ultimi mesi del 1° anno. Comunque
ogni lattante ha le sue preferenze, che, quando non si
allontanino molto da quelle della maggioranza degli altri
lattanti, vanno rispettate.
Nella maggior parte dei casi il pediatra e i genitori non
incontrano alcuna difficoltà alla somministrazione del
latte e biscotti al 1° e 3° pasto, ma possono sorgere
difficoltà per il pasto della minestrina; in effetti questo è
un pasto non dolce, che può incontrare il mancato gradimento del lattante, abituato al sapore dolce per tutti i
primi mesi di vita. In questo caso è possibile tornare alla
farina lattea o alla pappa lattea, come abbiamo visto per
il 2° o 4° pasto; dopo 7 giorni è tuttavia utile proporre di
nuovo il pasto non dolce, per saggiarne il gradimento. In
caso di nuovo rifiuto è possibile ridurre nella minestrina
il contenuto della pastina e aggiungere un cucchiaino di
zucchero, per renderla più gradita al gusto del lattante.
Passano così il 7° e l’8° mese. All’inizio del 9° mese
conviene cambiare la composizione del 2° pasto, quello
della prima minestrina della giornata. A quest’età è possibile compiere i primi tentativi per un’alimentazione
composta da primo, secondo con contorno e frutta. Il
primo può essere la pasta asciutta con il pomodoro: si può
adoperare la stessa pastina usata per fare la minestra, ma
si possono usare anche i capelli d’angelo, in quantità di
30-40 g, non scolati completamente, perché un po’ di
acqua di cottura può tornare utile; a questi si aggiungono
due cucchiaini di olio di oliva extravergine, un cucchiaio
di sugo di pomodoro fresco e due cucchiaini di parmigiano. Al secondo possiamo dare il nome di “polpetta”: 30
g di carne rossa, tritata, un pezzetto di patata lessa, un po’
di mollica di pane e un ottavo di tuorlo d’uovo, che serve
Capitolo 14.fm Page 256 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
256
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
a tenere insieme l’impasto: si cuoce al vapore o nel forno
a microonde. Si serve con un piccolo zucchino lesso,
condito con olio e limone, segue la frutta. A cena rimane
il “pastone” preparato nei mesi precedenti, pronti a passare a una cena uguale al pranzo, sempre sostituendo la
carne (la polpetta) con il formaggino con pochi grassi.
A quest’età è possibile passare dai biscotti granulati
del 7°-8° mese ai biscotti Marie, molto meno ricchi di
grassi e altrettanto gradevoli al palato.
Ci avviamo in tal modo gradualmente al compimento
del 1° anno di vita.
DIETA NEL SECONDO ANNO
DI VITA
Il passaggio dal 1° al 2° anno di vita non rappresenta
per l’organismo del bambino un brusco cambiamento
nella crescita, nello sviluppo delle varie funzioni o, infine, nei comportamenti psico-neuro-motori. Questo passaggio è meglio visibile alla fine del 2° anno, al momento
dell’ingresso nel 3° anno di vita, quando molte attività e
funzioni, giunte a maturazione completa, si avvicinano a
quelle tipiche dell’adolescente e dell’adulto. In fondo,
nella suddivisione in fasi della pediatria generale è già
implicito questo concetto: il primo stadio, quello della
prima infanzia, va infatti dalla nascita alla fine del 2°
anno, comprendendo in un’unica fase tutto il periodo di
tempo necessario perché l’organismo del nuovo nato si
adatti completamente alla vita extrauterina e maturi tutte
le funzioni basilari che lo rendono sufficientemente autonomo nell’ambiente in cui vive.
Ma per i genitori il compimento del 1° anno è un punto
importante nella vita della famiglia e anche del proprio
figlio. Essi non si rendono conto che esiste una continua,
e a volte difficilmente percepibile, trasformazione di
tutte le funzioni e attività, di cui alcune maturano prima
e altre maturano dopo il compimento del 1° anno.
Queste caratteristiche riguardano anche l’alimentazione. Alcuni bambini mantengono le preferenze per il
gusto (per la trattazione del gusto vedi Capitolo 34, pag.
765) e per il tipo di preparazione già presenti alla fine del
1° anno, altri passano facilmente ai 3 pasti al giorno,
partecipando volentieri alle abitudini alimentari della
famiglia. Vi sono alcuni bambini, pochi a dire il vero, che
preferiscono continuare ad assumere i nutrienti (latte e
biscotti) al 1° e 3° pasto, allo stato semiliquido nel
biberon, e altri ancora che vorrebbero ricevere latte e
biscotti come unico alimento a tutti i pasti. In certi casi
si assiste alla persistenza di abitudini che risalgono al 1°
anno di vita, per l’abbandono delle quali il bambino
preferisce rimandare.
Oltre il 1° anno il pediatra non è tenuto a stabilire una
dieta precisa; egli deve permettere il passaggio graduale
della dieta alle abitudini familiari e regionali, intervenendo soltanto quando le deviazioni dalle regole generali
dell’alimentazione potrebbero comportare un nocumento per la salute attuale e futura del bambino. Come al
solito il pediatra non deve entrare nella privatezza della
famiglia, se non richiesto ufficialmente o quando riscontri comportamenti a rischio.
Quindi, pur lasciando una notevole elasticità nella
dieta del bambino, il pediatra deve fornire alla madre i
concetti generali sui fabbisogni dietetici e sui rischi che
alcuni alimenti possono a lungo andare presentare.
Il primo punto che il pediatra deve affrontare coi
genitori è quello del rallentamento della crescita staturale
e ponderale dei bambini nel 2° anno di vita: in questo
periodo il bambino crescerà in altezza in media una
decina di centimetri (contro i 25 del 1° anno) e in peso 22,5 kg (contro i 7 kg del 1° anno). Questo rallentamento
della velocità di crescita è un evento fisiologico, da
ricordare ai genitori, al quale va collegato un rallentamento evidente delle richieste alimentari giornaliere,
spesso già presente negli ultimi mesi del 1° anno di vita,
legato anche alla riduzione nel numero di calorie necessarie per kg di peso, che scende nel 2° anno (vedi Figura
14.2) a 90 per kg, contro le 100-120 del 1° anno. Da
ricordare la variabilità di appetito nello stesso giorno o in
giorni diversi, insieme a caratteristiche individuali, alle
quali abbiamo in precedenza accennato.
Portare a conoscenza della madre l’insieme di queste
modificazioni sulla quantità di nutrienti nel 2° anno di
vita serve per la prevenzione di tentativi di forzare il
bambino nella somministrazione dei pasti giornalieri,
quando egli dimostri di non gradire un’ulteriore assunzione di cibo. Nella maggior parte dei casi il bambino non
sopporta che l’adulto interferisca con la sua alimentazione, si ribella e rifiuta il cibo, non tanto perché non lo
gradisca e non abbia fame, quanto per assumere un
atteggiamento negativo, quasi punitivo nei confronti dei
genitori. Ogni pasto diviene una battaglia, che il bambino
riesce a vincere sistematicamente.
La riunione della famiglia in occasione del pasto dovrebbe essere piacevole e la conversazione dovrebbe
essere rivolta all’esposizione di problemi che riguardano
tutti. La televisione deve restare nel soggiorno. Il bambino deve essere posto su una sedia comoda, con poggiapiedi, di altezza giusta per portarlo a livello della tavola.
Come regola generale risulta opportuno rispettare,
entro certi limiti, i gusti del bambino, sia nel senso delle
preferenze che dei rifiuti categorici. Le caratteristiche
alimentari del bambino nei primi 2 anni sono destinate a
durare per molti anni.
Nel bambino che ha compiuto il 1° anno può gradualmente essere iniziato un tentativo d’indurlo ad alimentarsi da solo: entro la fine del 2° anno questo obiettivo è
quasi sempre raggiunto.
Nelle Figure 14.7 e 14.8 e nella Tabella 14.20 vengono riportati in modo succinto i consigli che possono
essere rivolti alla madre sulla quantità e sulla composizione dei vari nutrienti non solo nel 2° anno di vita, ma
anche nei successivi.
Come è possibile osservare, guardando la vecchia e
la nuova piramide, le differenze sono molto importanti.
Quello che salta subito agli occhi è il passaggio alla
Capitolo 14.fm Page 257 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
DIETA NEL SECONDO ANNO DI VITA
257
Figura 14.7 - Vecchia piramide alimentare 1992.
Figura 14.8 - Nuova piramide alimentare 2003.
punta della piramide della carne rossa, messa allo stesso
livello del burro, da usare limitatamente, come il riso
molato e il pane bianco, le patate, la pasta e i dolci. Il
pesce, la carne bianca (pollo) e le uova vengono posti al
terzo livello, dopo il latte e i formaggi. I legumi e i
vegetali sono da consumare in abbondanza; la frutta è
raccomandata. Il pane e la pasta integrale, insieme agli
oli vegetali (mono-insaturi [oliva, arachidi] e poli-insaturi [girasole, soia, vinaccioli, mais]) vanno consumati
a tutti i pasti.
L’indicazione che se ne ricava è abbastanza generica,
ma è sufficiente per specificare che la dieta del bambino
debba essere assolutamente varia: un eccesso di un gruppo di nutrienti può comportare uno sbilanciamento o, in
ultima analisi, un eccesso di assunzione e quindi la possibilità di un sovrappeso. Analogamente, un eccessivo
consumo di latte e un ridotto introito di carne possono
alla lunga, contribuire all’insorgenza di un’anemia da
carenza di ferro.
L’organizzazione della dieta deve essere fatta su base
Capitolo 14.fm Page 258 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
258
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
Tabella 14.20 - Assunzione di cibi raccomandata, in accordo con la piramide alimentare.
ALIMENTO
Pane
Riso, pasta, cereali
Vegetali
Frutta
Latte
Formaggio
Carne, pesce
GRANDEZZA
DELLA MISURA
1 ANNO
MISURE/DIE
2-3 ANNI
MISURE/DIE
4 ANNI E PIÙ
MISURE/DIE
1 fetta
30-40 g
120 g
1 mela, 1 banana
240 ml
40-50 g
60-90 g
1-2
1-2
1/2
1/2
1/2
1/2
1/2-1
2-4
2-4
1
1
1
1
Metà-1
3-11
3-11
3-5
2-4
1-3
1-3
1-3
settimanale o, meglio, bisettimanale, rispettando un giusto equilibrio fra i vari nutrienti: le quantità assunte
dipendono dalla disponibilità del bambino. Qualunque
farmaco per forzare l’appetito è assolutamente da
proscrivere.
Qualche consiglio pratico: all’anno si può passare dal
latte di proseguimento al latte vaccino, parzialmente
scremato (va bene anche lo yogurt semimagro). Non
dovrebbe essere concesso più di un tuorlo d’uovo alla
settimana; un tuorlo conteneva 250 mg di colesterolo,
oggi sembra, per i cambiamenti nella dieta dei polli, che
in ogni tuorlo siano contenuti poco più di 150 g di
colesterolo, per cui si può consumare un uovo ogni 5
giorni. La quantità di carne dovrebbe essere compresa
fra i 30 e i 50 g al giorno, in alternativa si può dare il
pesce fra 40 e 60 g al giorno. Sia carne che pesce
dovrebbero essere preferibilmente magri. I formaggi
dovrebbero essere a basso contenuto di grassi, come il
raveggiolo, la ricotta, la mozzarella e il parmigiano.
Eliminare il burro e preferire l’olio di oliva extravergine;
far ricorso agli oli di semi, ricchi di acidi grassi polinsaturi (olio di girasole, di mais, di soia, di vinaccioli). Da
ricordare l’importanza delle fibre nell’alimentazione
(vedi pag. 231).
Capita abbastanza spesso che i bambini al di là dell’età
di un anno frequentino la mensa scolastica all’asilo nido
o alla scuola materna.
All’asilo nido il pasto costituisce un momento particolarmente delicato, perché esso rappresenta la prima delega che la mamma fa verso un altro adulto. Esso contribuisce a rompere quella simbiosi madre/bambino che si è
costituita subito dopo la nascita. Già alla scuola materna,
ma ancora di più nella scuola elementare, si possono
mettere in atto le prime tappe dell’educazione alimentare.
DIETA DEL BAMBINO
E DELL’ADOLESCENTE
La dieta dei bambini oltre i 2 anni di età non si discosta
dalle regole generali, sopra ricordate, né dalla composizione della piramide alimentare. Il pediatra deve sottolineare ai genitori l’importanza dei cereali, dei legumi,
delle verdure e della frutta.
Oltre i 2 anni i grassi non debbono superare il 30%
delle calorie totali, ricordando che 1 grammo di grassi
fornisce 9 calorie, di cui un terzo possono essere grassi
saturi (già presenti nella gran parte degli alimenti: dal
latte, alla carne, all’uovo) un po’ meno di un terzo da
acidi grassi polinsaturi (oli di semi) e un po’ più di un
terzo da acidi grassi monoinsaturi, presenti nell’olio di
oliva e di arachidi. La quantità giornaliera di colesterolo
non deve eccedere i 100 mg/1.000 calorie: da ricordare
che un solo tuorlo d’uovo ne contiene almeno 150 mg.
Può capitare talvolta che i bambini anche prima dei 2
anni, ma soprattutto fra i 2 e i 6 anni, consumino un’eccessiva quantità di succhi di frutta (più di 360 mL al
giorno). A parte gli inconvenienti legati al possibile
manifestarsi d’intolleranze e di allergie, bisogna tener
conto della possibilità d’insorgenza di carie dentaria, di
diarrea osmotica da malassorbimento di carboidrati e di
obesità (Tabella 14.21). Non è stata trovata invece un’associazione fra elevato consumo di succhi di frutta e
riduzione dei parametri di crescita staturale, come si
sospettava alcuni anni fa.
LA DIETA MEDITERRANEA
Vi è un accordo generale che una dieta di tipo mediterraneo, nella quale l’olio di oliva rappresenti la fonte principale di grassi,
contribuisca alla prevenzione dei fattori di rischio cardio-vascolare, come la dislipidemia, l’ipertensione, il diabete, l’obesità e, infine,
la malattia coronarica. Vi sono inoltre prove che suggeriscono che la dieta mediterranea gioca un ruolo preventivo nei confronti di
alcuni tumori, fra i quali in primo luogo il cancro del colon. Essa è caratterizzata da abbondanza di alimenti derivati dal mondo
vegetale, come pane, pasta, verdure, insalata, legumi, frutta e noci; essa è costituita da basse o moderate quantità di pesce, pollame,
formaggi e uova, con piccole quantità di carne bovina, basse o moderate quantità di vino, normalmente consumato durante i pasti.
Questa dieta, quindi, risulta povera in acidi grassi saturi, ricca in carboidrati complessi e fibre e ha un alto contenuto di acidi grassi
moninsaturi, derivati principalmente dalll’olio di oliva.
Capitolo 14.fm Page 259 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
259
I CIBI TRANSGENICI E GLI ALIMENTI BIOLOGICI
Tabella 14.21 - Raccomandazioni dell’American Academy of Pediatrics sull’uso dei succhi di frutta (modificata).
• I succhi di frutta non debbono essere introdotti nella dieta prima dei 6 mesi: essi non offrono alcun beneficio nutritizio
• I succhi di frutta non offrono benefici nutritizi nemmeno in bambini oltre i 6 mesi. Essi non debbono essere considerati un sostituto della
frutta. La loro assunzione deve avvenire di rado; non vanno somministrati prima di andare a letto
• L’assunzione dei succhi di frutta deve essere limitata a 120-170 g al giorno per bambini da 1 a 6 anni e a 225-340 g al giorno per soggetti
da 7 a 18 anni, corrispondenti grossolanamente a due bottigliette al giorno
• I bambini debbono essere incoraggiati a mangiare la frutta intera; il succo di frutta non è appropriato per il trattamento della disidratazione
o della diarrea
• I lattanti, i bambini e gli adolescenti non debbono bere succhi di frutta che non siano stati pastorizzati, perché potrebbero contenere patogeni, che possono causare gravi malattie
• Un eccessivo consumo di succhi di frutta può portare a ipernutrizione (obesità) o a malnutrizione da malassorbimento di carboidrati
• L’eccessivo consumo di succhi di frutta può essere associato a diarrea, flatulenza, distensione addominale e carie dentaria, per cui di fronte
a un bambino con carie dentaria è necessario conoscere quanti succhi di frutta consumi; il consumo consentito è di 10 mL/kg/die
• Succhi di frutta diversa, assunti in quantità appropriata per l’età del bambino, si accompagnano difficilmente a sintomi clinici
• I pediatri debbono routinariamente discutere con i genitori la differenza che esiste fra succo di frutta e assunzione di frutta, in modo che
essi la comprendano
• I succhi di frutta contenenti calcio rappresentano una sorgente di calcio biodisponibile, ma mancano gli altri nutrienti che sono contenuti
nel latte materno, nelle formule o nel latte di mucca
Tabella 14.22 - Minuti di attività sportiva per bruciare l’energia fornita dai diversi alimenti.
ALIMENTO
KCAL
CALCIO
NUOTO
TENNIS
Cioccolata 30 g
170
35
29
Cono gelato 120 g
Patatine fritte 120 g
Caramelle n. 4
254
410
120
52
84
24
43
70
20
Mela 240 g
Cereali per la prima colazione 30 g
102
111
21
23
Latte parzialmente scremato 125 g
111
23
L’alimentazione dell’adolescente deve essere molto
vicina a quella dell’adulto: in questa età più che nelle
altre è importante tener conto della propensione o meno
all’introduzione di nutrienti, nel rispetto delle preferenze
individuali: come al solito il pediatra deve intervenire
soltanto quando ci si allontani troppo dalle regole generali, già esposte per l’alimentazione. L’obesità e l’anoressia mentale sono i due spettri di cui il pediatra e la
famiglia debbono tener conto in questa fascia di età.
Nell’adolescente che pratica uno sport, l’esercizio
spesso serve a riequilibrare la bilancia delle entrate e delle
uscite energetiche. Nel ragazzo obeso l’esercizio fisico è
più efficace della restrizione calorica (Tabella 14.22).
I CIBI TRANSGENICI
E GLI ALIMENTI BIOLOGICI
Grazie alla biotecnologia sono state determinate modifiche fondamentali in alcune specie, in generale appartenenti al mondo vegetale, nelle quali, grazie all’introduzione o alla sostituzione di un gene, sono determinate
GINNASTICA
BASKET
STUDIO
43
70
34
170
64
103
30
106
171
50
51
82
24
254
410
120
17
18
26
28
43
47
20
21
102
111
18
28
47
21
111
variazioni non solo nella catena polipeptidica derivata da
quel gene, ma spesso a carico di caratteri diversi, privi di
un’apparente correlazione con il nuovo gene.
Le conseguenze per l’uomo, che più frequentemente
si associano all’applicazione delle tecniche di biotecnologia ai costituenti della dieta, sono essenzialmente di tre
tipi:
cambiamenti nella concentrazione e nella biodisponibilità dei componenti caratteristici dell’alimento;
alterazioni della composizione e nella quantità degli
allergeni;
eventuale aumento della quantità di sostanze tossiche
o antinutrizionali, prima contenute in basse concentrazioni.
L’enorme espansione della biotecnologia, verificatasi
in questi ultimi anni, ha messo in evidenza la grande e
promettente potenzialità di questa tecnica sia nel campo
dell’alimentazione che della medicina. Tuttavia, il suo
impiego desta numerose preoccupazioni sotto il profilo
scientifico, alimentare e commerciale. Non è infatti facilmente prevedibile quali siano i cambiamenti che le
manipolazioni geniche possono determinare in termini di
allergenicità, metabolismo, biodisponibilità e interazioni
Capitolo 14.fm Page 260 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
260
fra i diversi nutrienti. Dalla loro introduzione nel mercato
mondiale, il numero degli alimenti contenenti OGM,
posti in commercio, e di conseguenza il numero dei
consumatori, è cresciuto in modo esponenziale, senza
che si siano registrati ad oggi casi eclatanti di danni alla
salute umana. Tuttavia l’assenza di prove non costituisce
prova di assenza di effetti indesiderati, soprattutto sul
lungo termine.
È inoltre da ricordare che al momento attuale non
esiste ancora un consenso sui diversi interventi da utilizzare per controllare i vari passaggi che portano alla
disponibilità di un cibo transgenico, come non è standardizzato il tipo di prova da applicare, né quale debba
essere l’organismo preposto a controllare ed eseguire gli
esperimenti, né, infine, quali debbano essere le modalità
di diffusione dei risultati.
Di tutte le varietà OGM per le quali è stato autorizzato
il rilascio nell’ambiente, solo due, la soia resistente al
glifosato di Monsanto e il Bt-mais di Novartis, sono state
autorizzate anche per l’impiego negli alimenti.
In risposta alla sempre maggiore disponibilità di alimenti transgenici, è sorta negli ultimi decenni una sempre
più diffusa disponibilità di alimenti biologici. Negli ultimi anni molti organismi internazionali (Nazioni Unite,
OMS, FAO, Comunità europea e altri) e nazionali (Decreto Ministeriale 22 marzo 2000, n. 5.173) hanno sottolineato quali debbano essere le tecniche agricole che
caratterizzano la cosiddetta “agricoltura sostenibile”:
“Con il nome di agricoltura sostenibile s’intende quell’insieme di pratiche agricole che, mediante un’accurata gestione delle risorse, permette di soddisfare le esigenze
agricole dell’umanità, migliorando nello stesso tempo la
qualità dell’ambiente e conservando le difese naturali”.
Nell’ambito dell’“agricoltura sostenibile” e per rispondere alle esigenze di sicurezza del consumatore sono
state individuate diverse tecniche di gestione agricola, fra
le quali sono comprese:
l’agricoltura controllata (precision agriculture);
la lotta biologica integrata (Integrated Pest Management, IPM);
l’agricoltura biologica (organic agriculture).
L’agricoltura biologica è oggi regolamentata sia dalla
CEE (Regolamento CE 2092/91) che dallo Stato italiano
(Decreto Legislativo 17 marzo 1995, n. 220). Essa è
quindi una delle diverse modalità dell’“agricoltura sostenibile”: molte delle tecniche che vi sono impiegate, come
la rotazione delle colture, l’utilizzo di strati protettivi
organici e inorganici da distribuire sul terreno agricolo,
e l’integrazione fra raccolti e allevamenti animali, vengono praticate secondo diversi “sistemi agricoli”.
La caratteristica principale è che sono proibiti quasi
tutti gli interventi sintetici, fatta eccezione per alcuni
prodotti fitosanitari per i quali esiste un’apposita lista,
annessa alla legge vigente sull’agricoltura biologica. I
Paesi nei quali l’agricoltura biologica ha trovato la massima espansione sono gli USA e il Canada. In Italia la
percentuale di terreni agricoli convertiti o in conversione
nell’anno 2000 è del 5,3%: le regioni nelle quali la
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
superficie agricola convertita è più estesa sono la Sardegna, la Calabria e la Puglia (1998). Nonostante tutto ciò,
il consumo domestico di alimenti biologici in Italia è solo
dell’1% del consumo alimentare totale.
Come distinguere i prodotti alimentari derivati da
un’’“agricoltura biologica”?
Le tipologie di etichettatura sono tre:
prodotto bio al 95-100%: si tratta di prodotti i cui ingredienti sono al 95-100% di produzione biologica.
Avremo così un olio extravergine di oliva da agricoltura biologica, una marmellata di fragole da agricoltura biologica e così via;
prodotto bio al 70%: i prodotti in cui dal 70 al 95%
degli ingredienti di origine agricola sia di origine biologica possono far riferimento al biologico solo
nell’elenco degli ingredienti e non nella denominazione di vendita. Se un prodotto contiene ingredienti di
origine biologica in misura inferiore al 70% non può
fare alcun riferimento al biologico né in etichetta né
nella pubblicità;
prodotti in conversione: questa categoria è costituita
dai prodotti i cui ingredienti sono sì coltivati con metodo biologico, ma per un periodo che, pur superiore
ai 12 mesi, è inferiore a quello necessario per poter essere ufficialmente biologici (periodo superiore ai 2 anni). Questa categoria deve utilizzare la dicitura “prodotto in conversione all’agricoltura biologica”. Il prodotto può contenere solo un ingrediente di origine
agricola, per cui non possono esistere una macedonia
di frutta in conversione all’agricoltura biologica o dei
tortellini in conversione all’agricoltura biologica,
mentre possono esistere, per esempio, la farina di mais
in conversione, l’olio extravergine di oliva in conversione e il succo di mele in conversione.
In particolare i prodotti destinati all’infanzia sono
sottoposti a una rigorosa normativa e ad un’oculata scelta
di materie prime che ne preveda il controllo alla produzione (sul campo e nell’allevamento) progettandone e
perseguendone la qualità.
VITAMINE
Sotto il nome “vitamine” si comprendono sostanze organiche
molto diverse l’una dall’altra, che si ritrovano in molti cibi in
grande quantità e che sono necessarie in quantità minima
(come traccia) per le normali funzioni metaboliche dell’organismo.
Le vitamine si suddividono in due grandi gruppi:
vitamine liposolubili: vitamina A, D, K ed E;
vitamine idrosolubili: tutte le altre (vitamine del complesso B, vitamina C, riboflavina, biotina, acido folico
e altre).
Le vitamine liposolubili richiedono per l’assorbimento la lipasi e la bile (sali biliari), per cui alcune malnutri-
Capitolo 14.fm Page 261 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
261
VITAMINE
zioni, alcuni malassorbimenti e molte patologie epatiche
di tipo colestatico si accompagnato a bassi livelli ematici
di queste vitamine. Nonostante la definizione riportata in
cornice, l’organismo umano ricava due di queste vitamine (la vitamina D e la K) anche dalla sintesi endogena, la
prima sulla cute, a opera dei raggi ultravioletti, e la
seconda grazie alla sintesi intestinale da parte di alcuni
normali saprofiti. Quando queste due sostanze vennero
identificate come vitamine negli alimenti, furono classificate come vitamine perché ancora non si sapeva che
esse erano, in effetti, sintetizzate anche all’interno
dell’organismo.
Le vitamine liposolubili hanno un’altra importante
caratteristica che le distingue da quelle idrosolubili, cioè
quella di essere immagazzinate, essenzialmente dal fegato: per tale ragione esistono malattie da eccesso di dose
(soprattutto per la vitamina A e D), o in seguito a una
forte somministrazione (intossicazione ad andamento
acuto) o in seguito all’accumulo nel fegato di dosi giornaliere superiori al fabbisogno, ma non poi così elevate
da dare manifestazioni acute (intossicazioni ad andamento cronico). Tuttavia, pur essendo idrosolubili, anche
l’acido folico, la vitamina B12 e la biotina necessitano di
lunghi periodi di tempo, prima di dare fenomeni di carenza, sempre perché esse vengono in parte immagazzinate. Per le altre vitamine, una volta eliminate dalla dieta,
i sintomi di carenza possono comparire già dopo una
settimana o al massimo tre.
Ne deriva proprio la corretta abitudine di somministrare nel 1° anno di vita un preparato multivitaminico
(Protovit gocce [in 1 mL, corrispondente a 24 gocce,
sono contenute 5.000 UI di vitamina A, 2 mg di tiamina, 1,27 mg di riboflavina, 10 mg di nicotinamide, 1
mg di piridossina (vitamina B6), 10 mg di pantenolo,
0,1 mg di biotina, 50 mg di acido ascorbico, 1000 UI
di vitamina D2, 3 mg di vitamina E], alla dose di 5
gocce 2 volte al giorno, dal 15° giorno di vita al 6°-12°
mese). Questo preparato contiene la vitamina D, in forma
idrosolubile, il cui uso è indicato anche nei lattanti alimentati esclusivamente con latte materno.
Per il fabbisogno delle vitamine alle diverse età si
veda la Tabella 14.23.
I pediatri dovrebbero essere a conoscenza del fabbisogno vitaminico quotidiano dei bambini e degli adolescenti di diversa età e di diverso sesso, ma soprattutto
dovrebbero essere a conoscenza dei sintomi e dei segni
delle carenze e degli eccessi vitaminici, per essere in
grado d’intervenire attivamente prima che si verifichi
una grave e permanente sofferenza di alcuni organi
vitali.
Vitamine liposolubili
Vitamina A
La vitamina A è stata scoperta nel 1913 da E.V.
McCollum.
Sebbene con il nome vitamina A si indichi uno specifico composto chimico, come il retinolo e i suoi esteri,
oggi questo termine viene usato in modo più generico per
descrivere composti diversi che mostrano l’attività biologica del retinolo. Il termine retinoidi si usa d’altra parte
per indicare il retinolo e altri derivati presenti in natura.
Si tratta di una vitamina liposolubile, termostabile,
che si ritrova in natura sotto due forme:
il retinolo, un alcol presente in forma esterificata negli
animali in forma cis e trans
l’acido retinoico, nel quale il gruppo alcolico è stato
ossidato: esso mantiene molte delle attività della vitamina A, ma ha perduto la funzione sulla visione e sulla
riproduzione, mentre ha mantenuto l’attività sulle cellule epiteliali. L’acido retinoico trans (tretinoina)
sembra essere la forma attiva della vitamina A in tutti
i tessuti fuorché nella retina. Esso è più potente da 10
a 100 volte del retinolo. Di recente sono stati sintetizzati molti analoghi dell’acido retinico, come l’etretinato e l’acitretina (i cosiddetti retinoidi di seconda ge-
Tabella 14.23 - Fabbisogno di vitamine per età e per sesso.
Lattanti
Bambini
Adolescenti
e adulti
maschi
Adolescenti
e adulti
femmine
ETÀ IN
MESI/ANNI
VIT. A
(UI)
VIT. D
(UI)
VIT. K
( g)
VIT. E
(mg)
0-6 mesi
7-12 mesi
1-3 anni
4-6 anni
7-10 anni
11-14 anni
15-18 anni
19-24 anni
25-50 anni
> 50 anni
11-14 anni
15-18 anni
19-24 anni
25-50 anni
> 50 anni
1.000
1.000
1.500
1.500
2.500
3.300
3.300
3.300
3.300
3.300
2.500
2.500
2.500
2.500
2.500
200
200
200
200
200
200
200
200
200
200
200
200
200
200
200
5
10
15
20
30
45
65
70
80
80
45
55
60
65
65
3
4
6
7
7
10
10
10
10
10
8
8
8
8
8
VIT. C TIAMINA RIBOFLA- NIACINA VIT. B6
(mg)
(mg)
VINA (mg)
(mg)
(mg)
30
35
40
45
45
50
60
60
60
60
50
60
60
60
60
0,3
0,4
0,7
0,9
1
1,3
1,5
1,5
1,2
1,1
1,1
1,1
1,1
1,1
1
0,4
0,5
0,8
1,1
1,2
1,5
1,8
1,7
1,7
1,4
1,3
1,3
1,3
1,3
1,2
5
6
9
12
13
17
20
19
19
15
15
15
15
15
13
0,3
0,6
1
1,1
1,4
1,7
2
2
2
2
1,4
1,5
1,6
1,6
1,6
FOLATI
( g)
25
35
50
75
100
150
200
200
200
200
150
180
180
180
180
VIT. B12
( g)
0,3
0,5
0,7
1
1,4
2
2
2
2
2
2
2
2
2
2
Capitolo 14.fm Page 262 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
262
nerazione) e i retinoidi aromatici (arotinoidi), chiamati anche retinoidi di terza generazione.
1 g di retinolo è uguale a 3,3 UI. In natura si trovano
anche provitamine, che rappresentano un pigmento delle
piante, come l’ -, il - e il -carotene e la criptoxantina,
la cui potenza vitaminica è circa 1/6 del retinolo.
Il retinolo si ritrova nel fegato, nell’olio di fegato di
pesci, nel latte intero, nel burro, nel tuorlo d’uovo; i
carotinoidi sono invece contenuti in alte concentrazioni
nelle piante, nei vegetali verdi, nella frutta e nei vegetali
gialli; anche le carote li contengono in alte quantità.
La vitamina A svolge un ruolo importante come componente dei pigmenti retinici, rodopsina e iodopsina, necessari per la visione con scarsa illuminazione e nella
formazione e nella maturazione degli epiteli. È coinvolta
anche nello sviluppo dei denti e delle ossa. Avrebbe
anche un effetto protettivo verso le malattie degenerative.
La vitamina A gioca un importante ruolo in immunologia, soprattutto nello sviluppo delle sottopopolazioni
dei linfociti Th1 e Th2: si ritiene che essa inibisca la
risposta Th1 e promuova la risposta Th2.
Carenza. Nelle forme conclamate i segni e sintomi
principali si sviluppano a carico dell’occhio: nictalopia,
fotofobia, xeroftalmia, congiuntivite, cheratomalacia,
fino alla cecità. La sua carenza può determinare anche
deficit dell’accrescimento, apatia, ritardo mentale, alterazioni cutanee, difettosa formazione di osso epifisario e
di smalto dentario e, occasionalmente, ipertensione endocranica. Il trattamento si basa sulla somministrazione
immediata di 100.000 UI di vitamina A, per via orale, da
ripetere il giorno successivo.
Di recente è stato dimostrato che una carenza subclinica di vitamina A, soprattutto in bambini malnutriti,
determina un incremento della morbilità e della mortalità
per malattie infettive in genere e per il morbillo in particolare. Da estesi studi in Paesi in via di sviluppo è
risultato che la somministrazione regolare di un supplemento di vitamina A contribuisce in modo decisivo alla
sopravvivenza dei bambini. Il regime raccomandato prevede 100.000 UI di vitamina A una tantum in bambini
dai 6 mesi a 1 anno di età e di 200.000 UI per i bambini
di 1 anno o più, che vivano in aree dove la letalità per
morbillo sia elevata. La deficienza di vitamina A determina, infatti, profondi effetti sul sistema immunitario, sia
umorale che cellulare.
Con metà di queste dosi si ottiene una corrispondente
protezione della mortalità, ma non della morbilità.
Iperdosaggio. Esiste una tossicità acuta con dosi di 1
milione e oltre di unità, anche in una sola somministrazione, caratterizzata da un aumento improvviso della
pressione intracranica (vomito, cefalea, stato stuporoso):
nel passato i cacciatori polari presentavano un quadro del
genere, quando mangiavano il fegato di orso polare, che
contiene più di 1 milione di unità di vitamina A per
grammo di tessuto. Esiste inoltre una tossicità cronica,
per l’uso prolungato quotidiano (per oltre un mese) di
dosi di vitamina A superiori alle 30.000 UI al giorno, di
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
frequente prescritte per il trattamento dell’ittiosi o di altre
malattie della pelle: nelle forme da somministrazione
cronica si manifestano anoressia, cute secca con fine
desquamazione, cheilite, tumefazione della milza e del
fegato, tumefazione dolente delle ossa lunghe, fragilità
ossea, alopecia, aumento della pressione intracranica e
aumento dei livelli ematici di vitamina A. Dato che il
carotene in eccesso non viene convertito in vitamina A,
l’esagerata assunzione di carote non provoca sintomi di
tossicità, tuttavia conferisce alla cute una caratteristica
colorazione arancione, che non interessa le sclere e la
mucosa orale, come invece si riscontra in corso di ittero
da iperbilirubinemia.
Elevate concentrazioni di vitamina A nella dieta hanno
un effetto teratogeno.
Il rischio di fratture è risultato più elevato negli uomini
che avevano i più alti livelli di retinolo del siero.
Analoghi della vitamina A, come l’isotretinoina e
l’acido 13-cis-retinoico, sono usati con successo nel trattamento dell’acne dell’adolescente; quando si prescrivono vitamina A o derivati in un adolescente di sesso
femminile è bene accertarsi che la paziente non sia in
stato di gravidanza, perché la somministrazione di vitamina A in queste condizioni comporta un pericolo reale
per il prodotto del concepimento. Esiste infatti una stretta
relazione fra l’uso di questi derivati della vitamina A e la
presenza di malformazioni multiple nel prodotto del concepimento. È necessario comunque che la paziente sia
avvertita di questo pericolo potenziale.
Vitamina D
In natura si ritrovano due forme attive di vitamina D:
la vitamina D2 (ergocalciferolo), presente nel regno
vegetale;
la vitamina D3 (colecalciferolo), presente nel regno
animale, uomo compreso.
Si tratta di due vitamine liposolubili, termostabili, che
differiscono soltanto per un doppio legame fra il carbonio 22 e 23 e per un gruppo metilico al carbonio 24: esse
vengono considerate oggi come dei protormoni; cioè
come prodotti che richiedono poche modificazioni per
passare da vitamine a sostanze che hanno tutte le caratteristiche degli ormoni (25-idrossi-colecalciferolo e 1-25
diidrossi-colecalciferolo). Sia la vitamina D2 che la vitamina D3 richiedono le stesse modificazioni per passare a
ormoni e posseggono nell’uomo la stessa attività, per cui
spesso vengono globalmente indicate sotto la denominazione di vitamina D, senza specificare di quale tipo di
vitamina in effetti si tratti. Un g di vitamina D è uguale
a 40 UI, per cui 1 mg è uguale a 40.000 UI.
Il fabbisogno di vitamina D negli Stati Uniti, di recente, è stato abbassato da 400 a 200 UI al giorno; la
supplementazione va iniziata nei primi 2 mesi di vita,
anche nei soggetti alimentati esclusivamente con latte
umano. La supplementazione di calcio e vitamina D per
molti anni in donne dopo la menopausa non ha alcun
effetto sull’incidenza del cancro colon-rettale.
La vitamina D3, oltre a essere assorbita dall’intestino,
viene sintetizzata nella cute per azione della luce solare
Capitolo 14.fm Page 263 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
263
VITAMINE
ultravioletta su uno steroide precursore, il 7-deidrocolesterolo. Sia il colecalciferolo introdotto con la dieta che
quello prodotto dalla sintesi endogena vengono idrossilati nel fegato a 25-idrossi-colecalciferolo (o 25-OHD3
o calcidiolo); questa sostanza viene ulteriormente idrossilata in posizione 1 nel rene per passare all’1-25-diidrossi-colecalciferolo (o 1-25-(OH)2D3 o calcitriolo). Il 25idrossi-colecalciferolo è la forma di vitamina D circolante a livelli più elevati (25 ng/mL), con un’emivita di 15
giorni, quindi molto lunga.
Nel 1998 è stato approvato negli Stati Uniti un nuovo
derivato della vitamina D, il paracalcitolo (19-nor-1,25diidrossivitamina D2) per il trattamento dell’iperparatiroidismo nella insufficienza renale cronica: esso sopprime la secrezione del paratormone più velocemente del
calcitriolo.
Come abbiamo visto le due vitamine hanno simili
attività fisiologiche: esse stimolano l’intestino ad aumentare l’assorbimento del calcio e del fosforo, attraverso la
modificazione della permeabilità intestinale. Il secondo
bersaglio della vitamina D è rappresentato dall’osso: la
vitamina D determina, facilitando l’assorbimento intestinale, un aumento della disponibilità di calcio e di fosforo,
in quantità sufficiente a determinare la cristallizzazione
a livello delle superfici ossee; il calcitriolo agisce inoltre
aumentando il riassorbimento dell’osso, in questo facilitato dal paratormone. Questo effetto sul riassorbimento
dell’osso sembra in contrasto con l’azione principale di
mineralizzazione dell’osso, caratteristica della vitamina
D: i due effetti in sostanza concorrono a determinare il
rimodellamento secondo le linee di forza, muscolari e
statiche; è attraverso questa via che la vitamina D regola
i livelli di fosfatasi alcalina del siero. Il calcitriolo stimola
inoltre il riassorbimento renale del calcio dal tubulo
distale. Ciò determina un incremento del calcio plasmatico, che blocca a livello renale la sintesi del calcitriolo,
mediante un feedback negativo. Vitamina D e paratormone, attraverso questi vari meccanismi, regolano inoltre i
livelli di calcio e di fosforo nel sangue (Figura 14.9).
Il calcitriolo ha inoltre un importante effetto regolatorio sul sistema immunitario: esso promuove la differenziazione dei precursori dei monociti a monociti e macrofagi, inibisce la citotossicità delle cellule natural killer,
diminuisce la sintesi di interferon e la sintesi di IL-2 e
di IL-12. Esso, d’altra parte, aumenta la sintesi dell’interleuchina-4, -5 e -10, nonché le IgA secretorie a livello
delle mucose e le IgG1 del siero. Se ne può concludere
che questa vitamina, nella sua forma attivata, inibisce le
risposte Th1 e promuove le risposte Th2.
La dieta del lattante è povera di vitamina D; sia il latte
materno sia il latte vaccino ne contengono in quantità
insufficiente a coprire il fabbisogno: di sicuro nei nostri
lontanissimi antenati, provenienti dall’Africa centrale,
l’esposizione al sole era sufficiente per le necessità
dell’organismo umano. Nei latti in polvere rinforzati la
vitamina D è contenuta in quantità sufficiente. La vitamina D si ritrova inoltre nell’olio di fegato di merluzzo
e nel tuorlo d’uovo; i vegetali, i cereali e la frutta ne
contengono in quantità molto limitate.
Figura 14.9 - Attività della vitamina D.
Carenza di vitamina D: il rachitismo carenziale
Quando la carenza vitaminica si verifica prima della saldatura
delle epifisi ossee, cioè durante l’età evolutiva, la conseguenza diretta è rappresentata dal rachitismo; se la carenza si
verifica invece nell’adulto, si manifesta un altro quadro clinico, molto diverso, chiamato osteomalacia.
La carenza di vitamina D non sempre si associa alla
presenza di manifestazioni cliniche di rachitismo o di
osteomalacia: talvolta, come può capitare nell’adolescente, essa è visibile soltanto dagli esami di laboratorio,
caratterizzati da bassi livelli di 25-OH-D e da alti livelli
di paratormone.
Da un punto di vista patogenetico generale è necessario premettere che nella genesi delle deformazioni ossee,
tipiche del rachitismo, vanno considerati due meccanismi basilari:
le alterazioni a carico di un osso sono tanto più frequenti quanto maggiore è la sua velocità di crescita;
le alterazioni inoltre sono soprattutto a carico di quelle
ossa sottoposte ai maggiori gradienti di forza.
Ne deriva che le alterazioni ossee del rachitismo saranno diverse nel loro comparire, a seconda dell’età del
soggetto e quindi delle ossa, in quel momento sottoposte
alla maggiore velocità di crescita e ai maggiori gradienti
di forza (dinamica e statica).
Capitolo 14.fm Page 264 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
264
Le alterazioni ossee determinate dal rachitismo hanno, inoltre, la tendenza a permanere come tali o comunque a modificarsi scarsamente, anche dopo che il rachitismo sia stato trattato opportunamente e sia in effetti
guarito.
La causa predominante del rachitismo è rappresentata
da due condizioni:
l’insufficiente introduzione della vitamina D con la
dieta, al di sotto del fabbisogno giornaliero. La dieta
del lattante contiene scarse quantità di vitamina D: il
latte di mucca ne contiene 0,5-4 UI/dL e il latte di
donna una quantità idonea solo se la madre si espone
sufficientemente alla luce del sole. La maggior parte
dei latti in polvere o liquidi del commercio sono fortificati con la vitamina D;
la scarsa esposizione alla luce del sole, che per mezzo
dei raggi ultravioletti (296-310 µm) ne condiziona la
sintesi nella cute. Questi raggi non passano attraverso
il vetro delle finestre, né superano le barriere di plastica, che fanno parte delle moderne carrozzine.
Nei Paesi industrializzati è oggi eccezionale il riscontro del rachitismo clinico, sia perché tutti i bambini
ricevono precocemente un supplemento vitaminico, sia
perché è stata rivalutata l’esposizione al sole. Esistono
altre cause, eccezionalmente rare, come la mancata attivazione della vitamina D, per malattie epatiche o renali
(rachitismi D-resistenti e rachitismi D-dipendenti), o la
rottura dell’omeostasi calcio-fosforo per le cause più
diverse (scarso assorbimento della vitamina D per malattia celiaca, steatorrea, pancreatite, fibrosi cistica). Il trattamento con farmaci anticonvulsivanti, come il fenobarbitale e la fenitoina, accelera, per induzione enzimatica,
il metabolismo della vitamina D, mentre l’uso dei corticosteroidi inibisce l’assorbimento del calcio dall’intestino e quindi antagonizza l’azione della vitamina D.
Fra i fattori di rischio vanno ricordati il basso peso alla
nascita e il colorito molto scuro della cute, che impedisce
ai raggi ultravioletti di penetrare attraverso gli strati
superficiali.
A carico dell’osso si verifica un arresto o un rallentamento della crescita normale della cartilagine metafisaria
e della fisiologica deposizione di calcio. Si ha come
conseguenza una sovrabbondanza di tessuto osteoide e
una profonda irregolarità della metafisi. Il tessuto osteoide, sollecitato dalle linee di forza, si distribuisce lateralmente portando a un ingrossamento e a una deformazione
delle estremità delle ossa e al famoso rosario rachitico. Il
mancato riconoscimento di questa situazione di scarsa
rigidità delle ossa, porta, se non trattato, alle deformazioni rachitiche tipiche.
Le manifestazioni cliniche del rachitismo compaiono
dopo mesi di deficienza di vitamina D. Il primo segno di
rachitismo (dal 3° al 5° mese di vita) è rappresentato dalla
craniotabe, caratterizzata dalla comparsa di una marcata
cedevolezza, quando con un dito si prema in corrispondenza della squama dell’occipite o sulla parte posteriore
dei parietali; il segno si apprezza sia in seno alla squama
ossea, lontano dalle suture, che lungo le suture stesse. Il
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
veloce accrescimento del cranio nei primi mesi di vita (la
circonferenza aumenta di 3 cm al mese nei primi 2 mesi
e complessivamente 9 cm nel 1° semestre, mentre nel
restante della vita aumenta solo di 11 cm) contribuisce
alla comparsa di questo primo segno di rachitismo.
Quando il pediatra inizi il trattamento con vitamina D,
dalla mancanza di consistenza si passa alla consistenza
membranacea e a quella pergamenacea, che, nell’arco di
settimane, porta a una consistenza maggiore, che si accompagna alla sensazione che si prova premendo una
pallina da ping-pong. La craniotabe e la posizione sdraiata del lattante dei primi mesi portano a una deformazione della rotondità del cranio, che appare schiacciato
posteriormente (caput quadratum), ma può anche determinare, talvolta, un’evidente asimmetria (plagiocefalia).
La posizione supina, consigliata oggi per la prevenzione
della SIDS, accentua le deformità del cranio. La fontanella anteriore è ampia e non ossificata, anche fino al 2°
anno. Le ossa frontali sono ispessite e sporgenti (bozze
frontali prominenti). La circonferenza cranica tende a
essere maggiore del normale e tale rimane, nonostante le
cure, per tutta la vita. L’eruzione dei denti è a volte
ritardata.
Nel lattante di 6 mesi e per tutto il 1° anno i segni da
ricercare accuratamente sono quelli a carico del torace:
il rosario rachitico e il solco di Harrison. Il nome
“rosario rachitico” (per distinguerlo dal rosario dello
scorbuto, che vedremo successivamente) deriva da un
ingrossamento delle giunzioni condro-costali, che si distribuiscono sulla parte anteriore del torace, come un
rosario. Questi ingrossamenti possono essere soltanto
palpabili, ma nelle forme più gravi anche visibili. Mentre
la parte superiore del torace viene spinta in avanti (petto
carenato, a pollo), la parte inferiore rimane medialmente
infossata (torace a calzolaio): il diametro antero-posteriore del torace a questo livello è molto ridotto. Il solco
di Harrison, ben evidente talvolta anche nei soggetti
adulti come esito di rachitismo, corrisponde all’inserzione del diaframma sulle coste: esso si manifesta in corrispondenza della 6a costa, con un profondo infossamento,
mentre la parte inferiore del torace viene spinta in fuori
(torace a campana o a violino). Il solco di Harrison
insorge per la continua trazione del diaframma a livello
dell’inserzione sulle coste, in occasione di ogni atto
respiratorio.
Col proseguire del processo rachitico, nel 2° semestre,
cominciano a comparire gli ingrossamenti a carico
delle metafisi delle ossa lunghe (soprattutto evidenti al
polso e alle caviglie), visibili a occhio nudo e dimostrabili con la palpazione (Figura 14.10). Il costituente principale di queste tumefazioni è il tessuto osteoide, che
proprio perché privo di depositi di calcio non è visibile
alla radiografia delle ossa, che d’altra parte mostrano
un’immagine “a coppa” delle metafisi delle ossa lunghe.
Quando dopo l’anno il bambino comincia a camminare
e quindi a esercitare sollecitazioni statiche e dinamiche
sugli arti inferiori, si notano sempre di più le gravi
deformazioni della diafisi del femore, della tibia e della
Capitolo 14.fm Page 265 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
265
VITAMINE
Figura 14.10 - Rachitismo florido: slargamento delle metafisi distali del radio e dell’ulna. (Dalla Collezione del Prof.
G. Baldasseroni.)
fibula con la comparsa, progressivamente sempre più
evidente, delle gambe vare. Sono osservabili a volte
fratture a legno verde, completamente asintomatiche.
A tutto questo si associano deformità della colonna,
del bacino e riduzione della velocità di crescita.
La diagnosi si basa sulla storia clinica (mancata somministrazione di supplementi di vitamina D e scarsa
esposizione ai raggi del sole) e sui dati clinici, che vanno
ricercati, come abbiamo detto, in sedi diverse a seconda
dell’età. Gli esami di laboratorio e la radiografia delle
ossa confermeranno il sospetto diagnostico (Figura
14.11). Il livello di calcio nel sangue non si discosta
molto dalla norma (intorno a 9 mg/dL contro i 9-10 di
norma), mentre è notevolmente abbassato il livello di
fosforo, che dai normali 4-6 mg/dL, passa nel rachitico a
1,5-2,5 mg/dL. Sia la normalità del livello di calcio che
i bassi livelli di fosforo sono legati all’iperparatiroidismo
secondario, che si viene a verificare nel soggetto rachitico (vedi Capitolo 43, pag. 1141). Il paratormone, per
mantenere il calcio entro i livelli normali, lo mobilita dai
depositi ossei, ma inibisce anche, a livello tubulare, il
riassorbimento del fosforo, per cui si ha un’iperfosfaturia
e un’ipofosfatemia. L’attività della fosfatasi alcalina
ossea è notevolmente aumentata e raggiunge livelli di 23 volte superiori alla norma, per l’età. Essa ritorna alla
norma in seguito al trattamento con vitamina D e alla
guarigione del rachitismo.
Le deficienze di vitamina D si accompagnano sempre
ad aminoaciduria e ad un’aumentata escrezione di citrato
nelle urine, insieme a una diminuita capacità da parte del
rene di acidificare le urine. Le infezioni delle vie aeree
superiori e inferiori sono più frequenti nei bambini con
rachitismo.
Con dosi adeguate di vitamina D il rachitismo guarisce nell’arco di molti giorni o di poche settimane, fino
alla ricostituzione di una struttura ossea normale. Come
è stato accennato in precedenza, questo non significa che
le deformazioni ossee scompaiano nello stesso arco di
tempo: l’osso per riprendere la forma normale richiede
mesi o anni, anche se qualche stigmata di rachitismo
rimane per la vita.
Il rachitismo può essere prevenuto con la somministrazione di vitamina D (il fabbisogno è di 200-400 UI
al giorno in neonati a termine, 800 UI nel pretermine) e
con l’esposizione al sole.
La vitamina D va somministrata alle donne in stato di
gravidanza e alle madri che allattano.
Per la cura sono sufficienti le somministrazioni giornaliere di 2.000-6.000 unità di vitamina D per 4-6 settimane, o 0,5-2,0 µg di 1,25-diidrossicolecalciferolo per
un uguale periodo di tempo. Purtroppo in Italia non esiste
un preparato in gocce di sola vitamina D che permetta di
raggiungere le dosi indicate; tutti i preparati orali a basso
dosaggio di vitamina D sono associati alla vitamina A in
una proporzione di 1:4: il pediatra deve stare attento
quindi, nel somministrare la vitamina D, di non superare
le dosi tossiche di vitamina A, alle quali è stato accennato
nel capitolo precedente (20.000-30.000 UI al giorno).
L’uso delle cosiddette dosi urto (da 400.000 a 600.000
UI in una sola dose) può essere utile quando la madre non
dia sufficienti garanzie di accettazione delle indicazioni
del pediatra o quando il loro uso serva per differenziare
un rachitismo legato a deficienza di vitamina D o di raggi
solari dai rari rachitismi D-resistenti, da avviare a un
centro pediatrico specializzato.
IPERFOSFATASEMIA TRANSITORIA
La fosfatasi alcalina è un sensibile indicatore delle malattie dell’osso e del fegato nei bambini e negli adulti. L’attività plasmatica della
fosfatasi alcalina aumenta più rapidamente della bilirubinemia nell’ostruzione biliare: l’aumento può superare di 10 volte il livello
normale (valore normale nei bambini da 1 a 9 anni = 14,5-42 U/dL).
Capita di rado di riscontrare in bambini e adulti senza malattie delle ossa e del fegato livelli elevati anche di 20-70 volte (superiori a
1.000 U/dL). Nella maggior parte dei casi i livelli ritornano nella norma entro 4 mesi dal rilevamento. In molti di questi bambini
l’aumento della fosfatasi alcalina è stato riscontrato in corso di gastro-enterite acuta; appropriati esami di laboratorio escludono la
presenza di sofferenza delle ossa e del fegato.
Il riconoscimento di questa condizione benigna previene il ricorso a ulteriori esami non necessari e a trattamenti inappropriati di
questi pazienti.
Capitolo 14.fm Page 266 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
266
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
Figura 14.11 - Algoritmo diagnostico per il rachitismo vitamina D-deficiente. (Da Joiner
T.A. et al.: The many faces of
vitamin D deficiency rickets, Pediatr Rev 21:296-302, 2000.)
Una volta superato un rachitismo carenziale, è necessario continuare la somministrazione giornaliera di vitamina D, alla dose di 400 UI al giorno.
Carenza di vitamina D: la tetania rachitogena
La tetania è una situazione d’ipereccitabilità del sistema nervoso centrale e periferico, originata da un’anormale concentrazione di ioni nel liquido extracellulare che bagna le cellule
nervose e i loro prolungamenti.
Le alterazioni degli ioni riguardano soprattutto una
diminuzione del calcio, del magnesio o degli idrogenioni
(alcalosi) o un aumento del sodio e del potassio.
Per quanto riguarda il calcio, la tetania si sviluppa
quando la concentrazione di calcio ioni è inferiore a 2,5
mg/dL (valori normali di calcio ioni intorno a 5 mg/dL);
a concentrazione normale di albumina questa concentrazione di calcio ioni corrisponde a 7 mg/dL di calcio
totale. Per il magnesio si può avere tetania quando i valori
si abbassano al di sotto di 1 mg/dL.
La tetania ipocalcemica, la forma più frequente di
tetania, può derivare:
da un’alterazione della funzione delle paratiroidi o da
una loro completa mancanza (vedi Capitolo 43, pag.
1138);
da una deficienza di vitamina D o da un’alterazione
del suo metabolismo (tetania rachitogena).
Si ritiene che la tetania rachitogena sia legata a un’insufficiente attività della paratiroide, che non riesce a
mantenere lo stato d’iperattività, secondaria all’ipocalcemia per difetto di vitamina D. Le condizioni che possono
portare all’insufficienza transitoria della paratiroide sono
per lo più rappresentate da un’infezione infettiva acuta,
che precede l’insorgenza del quadro clinico, oppure
dall’esposizione improvvisa ai raggi del sole (la tetania
rachitogena è una malattia della primavera) o dalla somministrazione di vitamina D a dosi relativamente elevate.
Il quadro clinico della tetania rachitogena è dominato
dalla crisi convulsiva, generalizzata, di breve durata e
Capitolo 14.fm Page 267 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
VITAMINE
spesso senza perdita di conoscenza. Lo spasmo carpopedale non si rileva di frequente in pediatria, mentre il
laringospasmo con cianosi ed episodi di apnea si verificano abbastanza di frequente. L’irritabilità o la letargia,
i tremori e le fibrillazioni muscolari sono sintomi altrettanto frequenti. Si parla di tetania latente quando il
quadro clinico spontaneo della tetania manchi e la situazione di tetania si possa riscontrare solo con la provocazione di alcuni stimoli: positività del riflesso del facciale,
del peroniero, dello spasmo carpo-pedale, associati al
quadro umorale o strumentale caratteristici. Di rado si
nota bradicardia: all’ECG è sempre evidente un allungamento del tratto QT, suggestivo dell’ipocalcemia. Fra gli
esami di laboratorio risaltano l’abbassamento dei livelli
della calcemia (al di sotto di 7 mg/dL) e il notevole
aumento dei livelli della fosforemia, che raggiunge anche
i 10-12 mg/dL, a ulteriore documentazione del transitorio
blocco dell’iperparatiroidismo secondario, caratteristico
del rachitismo. All’elettromiografia è presente il quadro
tipico, caratterizzato da abbassamento di tutti i livelli di
stimolazione e inversione dei termini medi: oggi questo
tipo di esame strumentale è eseguito di rado.
Lo scopo del trattamento è quello di riportare al più
presto i livelli di calcio nei limiti di norma; questo può
essere ottenuto con la somministrazione di cloruro di
calcio, per os, mescolato al latte in una concentrazione
dell’1-2%, e alla dose di 4 g al giorno, almeno inizialmente, da ridurre a 2 g al giorno per qualche settimana.
Al posto del cloruro di calcio può essere usato anche il
lattato di calcio, per os, o il gluconato di calcio per via
venosa (5-10 mL di una soluzione al 10%). Il fenobarbital ha un’attività anticonvulsivante anche quando la convulsione sia sostenuta da ipocalcemia, esso quindi può
essere utile quando la somministrazione di calcio non
risulti sufficiente a bloccare l’attacco convulsivo, ma non
può essere utilizzato per la diagnosi differenziale ex
juvantibus. Una volta vinta la fase acuta, può essere utile
somministrare la vitamina D per os, alla dose di 2.0004.000 UI al giorno per la cura del rachitismo, per poi
passare alle 400 UI al giorno, come dose profilattica, fino
all’età di un anno.
Rachitismo vitamina D-resistente (ipofosfatemia
familiare)
La più comune forma di rachitismo, non su base
nutrizionale, è il rachitismo vitamina D-resistente o ipofosfatemia familiare.
Si tratta di una malattia prevalentemente a ereditarietà
dominante legata all’X (il gene è localizzato sul cromosoma X a livello Xp22.31-p21.3): di rado l’eredità è di
tipo autosomico recessivo. Il meccanismo patogenetico
si collega a un difetto nel riassorbimento, a livello del
tubulo prossimale, dei fosfati; si associa anche un difetto
della conversione del 25(OH)D a 1-25(OH)2D.
I bambini che ne siano affetti mostrano gambe vare e
bassa statura. Si notano spesso anomalie dentarie (dentina
intraglobulare) e, di rado, difetti dello smalto. I livelli
della calcemia sono pressoché normali, mentre è presente
267
un certo grado d’ipofosfatemia. Si differenzia dal rachitismo classico per la mancanza di aminoaciduria, di glicosuria e di bicarbonaturia e per la presenza di un’evidente
fosfaturia.
Il trattamento si basa sulla somministrazione orale di
fosfati: nei bambini piccoli da 0,5 a 1 g di fosfati nelle 24
ore, in 5-6 dosi e nei bambini più grandi da 1 a 4 g/die
sempre in 5-6 dosi. Al calcio si associa la somministrazione di vitamina D (2.000 UI/kg/die) o il diidrotachisterolo, alla dose di 0,02 mg/kg/die, o l’1-25(OH)2D alla
dose di 50-65 ng/kg/die.
Rachitismo vitamina D-dipendente
Il rachitismo vitamina D-dipendente si rende evidente
a 3-6 mesi di età, quando si nota che, nonostante la
prevenzione con 400-600 UI/die di vitamina D, si sviluppa ugualmente il rachitismo. La calcemia e la fosforemia
sono a livelli bassi. Che si tratti di una vera e propria
forma di rachitismo classico è dimostrato dalla presenza
d’iperparatiroidismo con aminoaciduria, glicosuria e bicarbonaturia.
Il trattamento si basa sulla somministrazione di
200.000-1.000.000 UI di vitamina D al giorno o meglio
di 1-2 g di 1-25(OH)2D.
L’ipotesi patogenetica si basa sulla riduzione o l’assenza dell’enzima 1-25(OH)2D-1 e-idrossilasi.
Ipervitaminosi D
Un’elevata somministrazione di vitamina D può portare alla comparsa di sintomi e segni uguali a quelli presenti
nell’ipercalcemia idiopatica (sindrome di Williams). La
vitamina D in dosi elevate determina ipercalcemia, sia
perché aumenta l’assorbimento di calcio dall’intestino
sia perché mobilita calcio e fosforo dal tessuto osseo e
facilita la loro deposizione nei tessuti molli.
A dir la verità fra una scarsa sensibilità all’azione della
vitamina D, come si ritrova in qualche forma di rachitismo vitamina D-resistente, e un’eccessiva sensibilità,
come si ritrova nella sindrome di Williams, esiste una
vasta gamma di risposte individuali alla vitamina D, per
cui un lattante, trattato in via preventiva con dosi corrispondenti al fabbisogno, può ugualmente mostrare qualche segno di rachitismo, mentre, d’altra parte, un lattante,
pur non avendo ricevuto alcun tipo di profilassi e non
essendo stato esposto ai raggi del sole, può non mostrare
alcun segno di deficit vitaminico.
Se si applica questo concetto all’ipervitaminosi D, ben
si comprende come possa accadere che un bambino della
prima infanzia che abbia ricevuto 400.000 UI di vitamina
D ogni 2 giorni per 10 somministrazioni possa non presentare alcun sintomo o segno, mentre un altro bambino
solo dopo 600.000 UI in una sola dose mostra già i segni
d’intossicazione.
I sintomi e i segni possono insorgere acutamente con
nausea, stipsi o diarrea, perdita di peso, poliuria e sete
intensa, nicturia e, successivamente, calcificazioni a carico dei vari tessuti e soprattutto del rene; ma possono
insorgere anche a distanza di qualche mese dalla sommi-
Capitolo 14.fm Page 268 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
268
nistrazione con anoressia, costipazione, poliuria e polidipsia intense, irritabilità; seguono i segni del danno renale
con calcificazioni metastatiche. La radiografia delle ossa
mostra una diffusa osteoporosi, a testimonianza dell’effetto calcio-mobilitante della vitamina D (pensare che
questa vitamina una volta era detta, con verità parziale,
calcio-fissatrice).
Il trattamento si basa sull’immediata sospensione, al
minimo sospetto, della somministrazione di vitamina D,
e all’eliminazione, altrettanto immediata, del calcio
dall’alimentazione (uso di acqua distillata). L’uso di
cortisone, da riservare ai casi più gravi, blocca comunque
l’assorbimento di calcio dall’intestino. Anche l’impiego
dei bifosfonati (pamidronato) per via venosa si è dimostrato utile nel trattamento dell’ipercalcemia.
Vitamina K
La vitamina K naturale appartiene al gruppo dei naftochinoni; è una vitamina liposolubile, che per essere
assorbita richiede la trasformazione in micelle a opera dei
sali biliari e della lipasi pancreatica. Essa è stabile al
calore; ha un forte potere ossidante.
La vitamina K si ritrova prevalentemente nelle foglie
dei vegetali verdi, nel muscolo, nel fegato: è ampiamente
distribuita in natura. Essa viene d’altra parte sintetizzata
dai batteri presenti nel colon dell’uomo, dal quale viene
assorbita direttamente o, in caso di reflusso, nel tenue, in
modo da fornire una sorgente endogena, in aggiunta alla
vitamina contenuta nella dieta.
La vitamina K induce una modificazione caratteristica
di alcune proteine (protrombina, e i fattori VII, IX e X),
promovendo il passaggio da acido glutamico ad acido carbossi-glutamico. Con la carbossilazione queste proteine divengono sostanze attive. Oltre ai fattori della coagulazione K-dipendenti, nel plasma sono state trovate
altre 3 proteine K-dipendenti (proteine C, S e Z). Di
recente è stato dimostrato che la carbossilazione vitamina K-dipendente è importante anche nella sintesi di osteocalcina, una proteina presente nelle ossa.
Carenza. Quando si consideri l’apporto di vitamina
K i neonati mostrano una situazione speciale, perché la
placenta rappresenta un organo relativamente poco efficiente per la trasmissione dei lipidi e quindi anche della
vitamina K. D’altra parte la flora intestinale, che abbiamo visto importante per la sintesi endogena, manca
completamente all’inizio ed è comunque scarsa nei
primi giorni di vita. Quindi i fattori della coagulazione
K-dipendenti nei primi giorni di vita possono essere solo
il 30% di quelli delle età successive; se il valore della
protrombina scende al di sotto del 10% ne segue una
malattia emorragica del neonato. Esiste una malattia
emorragica del neonato precoce e una tardiva (da 2 a 12
settimane).
Per questa ragione l’Accademia Americana di Pediatria raccomanda di somministrare al 1° giorno di vita 1
mg di vitamina K per via intramuscolare (fitomenadione
o fillochinone = Konakion fiale da 10 mg), da ripetere
dopo 7 giorni nei nati da parto prematuro, o per os a
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
gocce, alla dose di 1-2 gocce da 1 mg, da ripetere nei
giorni successivi (fitomenadione = Konakion gocce, 1
goccia = 1 mg): alla nascita, alla dimissione e a 3-4
settimane (vedi Capitolo 9, pagg. 95 e 142). Per la prevenzione della malattia emorragica tardiva del neonato è
preferibile la somministrazione di 1 mg di vitamina K per
via parenterale.
In Italia una Consensus Conference della Società Italiana di Neonatologia (2004) ha dato invece le seguenti
raccomandazioni da applicare nel bambino allattato
esclusivamente al seno:
vitamina K (0,5 mg IM) alla nascita, seguita da 25 g
al giorno di vitamina K dal 15° giorno fino a 14 settimane, oppure
vitamina K (2 mg per os) alla nascita, seguita da 25 µg
al giorno di vitamina K dal 7° giorno fino a 14 settimane.
Questa raccomandazione è a ragione tuttora molto
dibattuta nel mondo pediatrico italiano. Riporto quanto
affermato dal Laboratorio Mario Negri di Milano:
“A tutt’oggi in Italia sono disponibili due formulazioni orali di vitamina K: il Konakion gocce e la Vita K;
confrontando gli schemi posologici delle due formulazioni risulta che la supplementazione del Konakion comporta un costo nettamente inferiore e non grava sulla
famiglia, trattandosi di un farmaco rimborsabile dal SSN.
Sebbene la Società Italiana di Neonatologia proponga di
eseguire la profilassi nei primi 3 mesi di vita, secondo lo
schema olandese di 25 g/die, riteniamo che lo schema
danese (1 mg alla settimana) sia da preferirsi per il minor
costo e la migliore compliance e che potrebbe essere
adottato in Italia come supplementazione successiva alla
somministrazione IM alla nascita”.
I suggerimenti del Mario Negri mi sembrano molto
opportuni; perché il rapporto di spesa fra l’uno e l’altro
tipo di prevenzione corrisponde a 1 contro 70.
I soggetti trattati con antibiotici a largo spettro per
lunghi periodi, quelli alimentati per via parenterale e
quelli con ostruzione biliare cronica o affetti da sindromi
da malassorbimento lipidico sono particolarmente esposti al rischio di carenza da vitamina K. In caso di malattia
emorragica da deficit di vitamina K, è necessario somministrare immediatamente vitamina K sintetica (fitomenadione = Konakion fiale da 10 mg, alla dose di 5 mg
per via parenterale).
Nonostante sia stata sospettata, non è risultata alcuna
associazione fra uso di vitamina K e leucemie o tumori
solidi nell’infanzia.
Iperdosaggio. In seguito all’elevato potere ossidante
della vitamina K, quando questa venga usata in eccesso
per via parenterale (vitamina K sintetica) nei nati pretermine, può determinare emolisi intensa e iperbilirubinemia a reazione indiretta, fino all’ittero nucleare.
Vitamina E
La vitamina E fa parte di un gruppo di composti
chimici, chiamati tocoferoli, di cui la forma più attiva è
rappresentata dall’ -tocoferolo. Si tratta della quarta vi-
Capitolo 14.fm Page 269 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
269
VITAMINE
tamina liposolubile (oltre alle vitamine A, D e K), la cui
azione principale è quella di agire come antiossidante,
che concorre alla protezione dei fosfolipidi di membrana
e di altri componenti dell’organismo, dall’attività dei
perossidi. Come per le altre vitamine liposolubili, per il
suo assorbimento è necessaria l’azione della bile.
Si ritrova nell’olio di vari semi, nelle foglie dei vegetali verdi, nei legumi e nelle noci. Il fabbisogno giornaliero nell’infanzia è di 3-7 mg al giorno.
Carenza. Fino a una decina di anni fa si riteneva che
la carenza di questa vitamina si associasse prevalentemente all’anemia emolitica del pretermine; successivamente è stato osservato che la carenza di vitamina E
provoca anche un danno neuronale progressivo sia nei
bambini che negli adulti. La carenza si manifesta quasi
esclusivamente in seguito a uno scarso assorbimento,
della durata di molti mesi o di anni, in soggetti con un
malassorbimento dei grassi, associato o meno a patologia
delle vie biliari.
Iperdosaggio. Non sono conosciute manifestazioni
da iperdosaggio.
Vitamine idrosolubili
Le vitamine idrosolubili comprendono molte vitamine, di cui ne vengono ricordate solo 7, quelle di maggiore
interesse per l’età pediatrica. Tutte agiscono prevalentemente come cofattori nelle reazioni biochimiche. L’intero gruppo è largamente diffuso nelle piante e negli animali. Data la loro ampia diffusione in natura, se il soggetto segue una dieta varia ed equilibrata è molto difficile
che mostri una carenza per una di queste vitamine. Come
avviene per le vitamine liposolubili, nei Paesi occidentali
gli stati carenziali sono comunemente associati a malattie
croniche, ad alimentazioni profondamente squilibrate
basate sull’uso di un singolo nutriente, all’uso cronico di
farmaci o alcol per l’adulto, tutte situazioni che interferiscono con i normali assorbimento e metabolizzazione
di una particolare vitamina. Purtroppo, nei Paesi in via di
sviluppo, i quadri legati a deficit di vitamine idrosolubili
(come anche di vitamine liposolubili) si associano spesso
a malnutrizioni proteico-caloriche.
Vitamina C
La vitamina C (acido L-ascorbico o vitamina antiscorbutica) si ritrova abbondantemente nei succhi di frutta,
nei pomodori, nelle bacche, nel melone, nel cavolo, nei
vegetali verdi: essa viene distrutta completamente dalla
cottura. La sua azione è rivolta all’integrità e al mantenimento del materiale intercellulare, alla facilitazione
dell’assorbimento del ferro, alla conversione dell’acido
folico (acido pteroilglutamico) in acido folinico (acido
tetra-pteroilglutamico), al metabolismo della tirosina e
della fenilalanina, all’attività della succinin-deidrogenasi
e della fosfatasi alcalina nei bambini e non negli adulti.
L’esposizione cronica dei bambini al fumo passivo
porta a un abbassamento dei livelli dell’acido ascorbico
nel siero.
Carenza. La mancanza di vitamina C nella dieta porta, alla lunga, alla comparsa dei segni e dei sintomi dello
scorbuto, una grave malattia caratterizzata da indebolimento delle strutture del collageno, responsabile di emorragie capillari diffuse. Tali emorragie sono alla base di
manifestazioni petecchiali ed ecchimotiche sulla cute, di
copiose emorragie gengivali e di emorragie sottoperiostee. Esiste un rosario dello scorbuto (da porre in diagnosi
differenziale col rosario rachitico) che è caratterizzato da
un’angolazione più acuta. Nei bambini si possono verificare anche ritardi o blocchi dell’accrescimento. Il fabbisogno giornaliero va da 30 a 60 mg, ma bastano 10 mg
per prevenire la comparsa dello scorbuto. Il trattamento
si basa sulla somministrazione di vitamina C, alla dose di
25 mg 4 volte al giorno, per 4-5 giorni e successivamente
di 25 mg 2 volte al giorno fino alla guarigione.
La mancanza di vitamina C avrebbe anche un effetto
ritardante sulla guarigione delle ferite.
Iperdosaggio. Non esistono prove che elevate quantità di vitamina C abbiano effetti acuti, ma la somministrazione cronica, attraverso l’acidificazione delle urine
e l’ossaluria, può facilitare l’insorgenza di una calcolosi.
Le esperienze accumulate in proposito sono molto vaste,
perché dosi elevate di vitamina C (fino a 2-5 g al giorno)
sono state consigliate per la profilassi e il trattamento
delle infezioni delle vie aeree superiori: per tale uso è
utile ricordare che non esiste alcuna prova sull’efficacia
della vitamina C per quanto riguarda l’incidenza, la durata o la gravità di queste malattie.
Tiamina
La tiamina (o come veniva chiamata nel passato la
vitamina B1, o vitamina anti beri beri o aneurina) è una
vitamina labile al calore: essa agisce, come coenzima
(tiamina pirofosfato), nelle reazioni di decarbossilazione
ossidativa, interessanti i carboidrati. Le richieste di tiamina aumentano quindi con l’aumento dell’apporto di
carboidrati. Ai livelli dietetici abituali la tiamina viene
rapidamente assorbita nel tratto prossimale del tenue.
Viene escreta con le urine, sia intatta che come metaboliti. Si ritrova nel fegato, nella carne, specialmente di
maiale, nella farina di grano integrale, in generale in tutti
i cereali, nei legumi e nelle noci. Il fabbisogno giornaliero varia fra 0,3 e 1,3 mg al giorno.
Carenza. La carenza di tiamina provoca una riduzione della decarbossilazione ossidativa, soprattutto a carico
dei carboidrati. La conseguenza clinica principale è il
beri beri, i cui sintomi e segni coinvolgono il sistema
nervoso e il sistema cardio-vascolare: confusione mentale, acidosi lattica, debolezza muscolare, atassia, paralisi
periferica, oftalmoplegia, edema (beri beri umido) o impoverimento della massa muscolare (beri beri secco),
tachicardia e cardiomegalia. Possono comparire, variamente combinati fra loro, anche stanchezza, irritabilità,
anoressia, costipazione, cefalea, insonnia, tachicardia,
polinevrite, insufficienza cardiaca, edema, elevazione di
acido piruvico nel sangue, afonia.
Capitolo 14.fm Page 270 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
270
Sono state riportate tre morti in bambini israeliani per
una grave deficienza di tiamina, in seguito all’alimentazione con un latte di soia, povero di questa vitamina, che
aveva ottenuto la certificazione Kosher (Promed 12 novembre 2003).
Prove attendibili per la dimostrazione della carenza di
tiamina sono rappresentate dal dosaggio della transchetolasi eritrocitaria e dalla misurazione dell’attività enzimatica prima e dopo l’aggiunta di tiamina pirofosfato. La
tiamina può essere dosata anche come tale nel sangue
intero. I pazienti con carenza semplice possono essere
trattati con 5 mg di tiamina al giorno per os. Nei bambini
gravemente ammalati, per una carenza cronica, è necessario somministrare 10 mg 2 volte al giorno, per via
endovenosa. Nel trattamento della cardiomiopatia fulminante sono necessari 100 mg di tiamina, insieme a un
energico trattamento dello scompenso cardiaco.
Iperdosaggio. Non sono stati segnalati effetti tossici
per dosi elevate di tiamina, somministrate per bocca.
Sono state invece segnalate reazioni da ipersensibilità a
dosi elevate di tiamina per via venosa, a bolo.
Riboflavina
La riboflavina veniva chiamata nel passato vitamina
B2. Si tratta di una vitamina idrosolubile, termostabile,
che agisce essenzialmente come componente di due coenzimi flavinici, la flavina mononucleotide e la flavinaadenina dinucleotide, che catalizzano parecchie reazioni
di ossidoriduzione, del metabolismo dei carboidrati,
degli aminoacidi e degli acidi grassi. Tra gli enzimi che
richiedono la presenza di riboflavina vi sono la ossidasiflavina, mononucleotide-dipendente, responsabile della
conversione della piridossina fosforilata a coenzima funzionale, e la idrossilasi flavina adenina dinucleotidedipendente, coinvolta nella conversione del triptofano a
niacina. Contribuisce alla formazione del pigmento retinico per l’adattamento alla luce.
La vitamina B2 si ritrova nel latte, nei formaggi, nel
fegato e in altri organi, nella carne, nelle uova, nel pesce,
nei vegetali con le foglie verdi, nei cereali. Viene facilmente assorbita dalla parte prossimale del tenue e viene
escreta con i suoi metaboliti nelle urine. Il fabbisogno
giornaliero di riboflavina varia da 0,4 a 1,8 mg.
Per valutare l’apporto di riboflavina viene comunemente dosato un enzima eritrocitario, facilmente disponibile, che richiede la flavina adenina dinucleotide come
coenzima.
Carenza. La mancanza di riboflavina si associa con
la comparsa di cheilosi, stomatite angolare, dermatite
seborroica, fotofobia, visione offuscata, prurito agli occhi, vascolarizzazione corneale, scarso accrescimento e
anemia. Poiché la riboflavina viene consumata durante la
fotodegradazione della bilirubina, nei neonati trattati con
la fototerapia è possibile che si instauri una situazione di
carenza. Questo è vero soprattutto per i neonati allattati
al seno, perché il contenuto di riboflavina del latte materno è inferiore a quello che si trova nel latte in polvere
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
del commercio. I neonati carenti rispondono bene a 0,5
mg di riboflavina, somministrati 2 volte al giorno; nelle
età successive sono necessari 1 mg 3 volte al giorno per
diverse settimane.
Iperdosaggio. La somministrazione, anche di forti
dosi, non presenta rischi.
Niacina
La niacina è conosciuta anche col nome di nicotamide,
di acido nicotinico o di vitamina antipellagra. Si tratta
di una vitamina idrosolubile, termostabile, il cui fabbisogno (da 5 a 20 mg al giorno) è in parte soddisfatto dalla
conversione del triptofano alimentare in niacina. La niacina è contenuta nella carne bovina, nel pollame, nei
pesci, nel fegato, negli oli di semi, nei cereali, nei vegetali
verdi e nelle noccioline. La nicotamide agisce come
componente di due coenzimi, la nicotamide adeninina
dinucleotide e la nicotamide adenina dinucleotide fosfato
(NAD e NADP). Questi enzimi sono presenti in tutte le
cellule e partecipano a diversi processi metabolici, come
la glicolisi, il metabolismo degli acidi grassi e la respirazione tissutale. D’altra parte, la nicotamide partecipa al
metabolismo dei nucleotidi, attraverso una serie di attivazioni e di inibizioni enzimatiche che coinvolgono la
sintesi e la degradazione di coenzimi niacinici. Per la
valutazione della copertura nutrizionale della niacina si
ricorre alla determinazione di due dei molti metaboliti
urinari, l’N-1 metilniacinamide e l’N-1 metil-6-piridone3-carbossamide.
Carenza. La pellagra (pelle ruvida) è la malattia più
conosciuta, riconducibile a una carenza di niacina. Esiste
anche una sindrome da carenza dei fattori vitaminici B (e
quindi anche di niacina), caratterizzata da diarrea, dermatite e demenza. I primi sintomi della pellagra sono
rappresentati da glossite, stomatite, insonnia, anoressia,
debolezza, irritabilità, dolori addominali, perdita della
memoria, fobie e senso di vertigine.
Il trattamento viene eseguito preferibilmente per bocca, con dosi giornaliere di 100 mg nell’adulto; contemporaneamente è utile somministrare vitamine dell’intero
gruppo B.
Iperdosaggio. Dosi elevate di acido nicotinico (e non
di nicotamide) determinano vasodilatazione, arrossamenti (flush) al volto, vampate di calore, cefalea, prurito
ed epatomegalia. L’effetto compare 7-10 minuti dopo la
somministrazione di acido nicotinico e dura circa 30
minuti. In alcuni tipi di trattamento dell’iperlipidemia
sono usate dosi elevate e ripetute di niacina, che a lungo
andare possono dare resistenza al trattamento insulinico
ed epatopatia.
Piridossina
La piridossina è conosciuta anche sotto il nome di
vitamina B6: si tratta di una vitamina termolabile. Essa
comprende 3 forme chimicamente, metabolicamente e
funzionalmente correlate: la piridossina, il piridossale e
Capitolo 14.fm Page 271 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
271
MINERALI
la piridossamina. Queste sostanze idrosolubili si ritrovano in molti cibi, specialmente nelle carni, nel fegato, nei
pesci, nel pollame, nei vegetali verdi, nei cereali integrali,
nella soia, nelle noci e nel tuorlo d’uovo. Il fabbisogno
giornaliero varia, a seconda dell’età, fra 0,3 e 2 mg.
Queste forme sono convertite nel fegato, nei globuli rossi
e in altre cellule dei tessuti, in piridossal fosfato e piridossamina fosfato, che agiscono principalmente come coenzimi nelle reazioni di transaminazione, di decarbossilazione e di trans-solfurazione. Il piridossalfosfato partecipa anche alla decarbossilazione e racemizzazione di alcuni aminoacidi, ad altre trasformazioni degli aminoacidi,
dei lipidi e delle fosforilasi nucleiche. Gli esteri dell’acido fosforico delle forme attive della piridossina sono
idrolizzati prima del rilascio dalle cellule o sono metabolizzati in prodotti ossidativi inattivi, escreti con le urine.
Carenza. L’anemia megaloblastica (vedi Capitolo
38, pag. 953) del lattante e della donna in stato di
gravidanza è, nella maggior parte dei casi, secondaria a
un malassorbimento di acido folico. La malattia è caratterizzata anche da glossite, ulcere del faringe e alterazioni dell’immunità. Nei bambini con carenza di acido
folico sono necessarie dosi quotidiane orali comprese fra
1 e 5 mg.
Carenza. Nella maggioranza dei casi la carenza di
piridossina si ritrova in soggetti che presentano carenze
di tutte le vitamine del complesso B. La carenza della
piridossina determina irritabilità, convulsioni, dermatite,
anemia ipocromica, neurite periferica in soggetti adulti
che ricevano isoniazide, e ossaluria. In caso di errori
congeniti del metabolismo della piridossina sono necessarie dosi di piridossina di molto superiori al fabbisogno
abituale: talvolta possono essere necessari quantitativi di
200-600 mg al giorno per avere una risposta clinica. Si
parla in questi casi di convulsioni piridossino-dipendenti e di anemia piridossino-dipendente.
Cianocobalamina
Oggi con il nome di cianocobalamina viene definita
una vitamina idrosolubile, dalle molteplici funzioni, alla
quale nel passato veniva dato il nome di vitamina B 12.
Questa vitamina è termostabile in soluzione neutra ed è
distrutta dalla luce. Per il suo assorbimento è necessario
il fattore intrinseco gastrico di Castle. Essa si ritrova nel
muscolo e in vari organi, nei pesci, nelle uova, nel latte
e nei formaggi. Quando la cianocobalamina viene somministrata all’uomo, essa viene convertita, dopo la rimozione del cianuro, nelle forme metabolicamente attive:
metilcobalamina, adenosilcobalamina e idrossicobalamina. Il fabbisogno giornaliero va da 0,3 a 2 g, a
seconda dell’età. Essa trasferisce le unità di carbonio e i
gruppi metilici nelle purine. È essenziale per la maturazione dei globuli rossi nel midollo osseo e per il metabolismo del tessuto nervoso; entra nella trasformazione
dell’acido folico in acido folinico.
Iperdosaggio. Di recente è stata osservata una neuropatia sensoriale.
Folati
Con i nomi di folati e folacina si indicano composti
che hanno proprietà nutrizionali e struttura chimica simili a quelle dell’acido folico (acido pteroilglutamico). Le
forme metabolicamente attive (acido folinico o acido
tetra-pteroilglutamico) sono essenziali per molte attività
metaboliche del nostro organismo. Si tratta di sostanze
poco solubili in acqua e termolabili. Si ritrovano nel
fegato, nei vegetali verdi, nelle noci, nei cereali, nel
formaggio, nella frutta, nei lieviti, nei fagioli e nei piselli.
Il fabbisogno giornaliero è di 25-200 g. L’acido folinico
è coinvolto nella formazione e nel metabolismo delle
unità di carbonio; partecipa alla sintesi delle purine, delle
pirimidine, delle nucleoproteine e dei gruppi metilici.
La somministrazione di acido folico alle donne, poco
prima e durante la gravidanza (vedi Capitolo 6, pag. 76)
ha un effetto protettivo nei confronti dei difetti del tubo
neurale: per tale ragione in alcune nazioni (Canada) i
cereali vengono fortificati con acido folico (0,1-0,2 mg
al giorno).
La somministrazione di acido folico in soggetti che
già hanno presentato un infarto del miocardio, pur abbassando il livello di omocisteina, non riduce il rischio
cardio-vascolare. Analogamente la somministrazione di
acido folico non migliora le prestazioni cognitive, pur
abbassando l’omocisteina.
Iperdosaggio. Dosi molto elevate di acido folico (anche di 100 volte superiori al normale fabbisogno) possono scatenare crisi convulsive, in soggetti la cui epilessia
sia stata controllata con la fenitoina, per un’azione competitiva con la fenitoina a livello neuronale. Comunque è
meglio evitare la somministrazione di dosi elevate (10
mg al giorno) di acido folico per lunghi periodi di tempo.
Carenza. L’anemia perniciosa giovanile, dovuta a
difetti dell’assorbimento, è la conseguenza più comune;
più difficile che sia in gioco una mancanza nella dieta
(vedi Capitolo 38, pag. 954). La carenza può essere anche
secondaria a gastrectomia, malattia celiaca, malattie infiammatorie croniche dell’intestino, uso prolungato di
acido para-amino-salicilico (PAS) o di neomicina. Il trattamento, che consiste nella somministrazione parenterale
della vitamina, deve essere effettuato ogni 1-2 mesi.
Iperdosaggio. Non è mai stata segnalata tossicità da
iperdosaggio; tuttavia le macrodosi, per la loro assoluta
inutilità, sono da sconsigliare.
MINERALI
Molti minerali sono componenti essenziali dell’organismo umano. Già nel feto le ceneri rappresentano il 3%
del peso del corpo, proporzione che gradualmente aumenta fino a raggiungere la percentuale del 4,3 nell’adulto. L’83% delle ceneri origina dall’osso e il 10% dal
Capitolo 14.fm Page 272 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
272
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
Tabella 14.24 - Fabbisogno giornaliero dei principali minerali alle varie età.
ETÀ IN MESI/ANNI
CALCIO
( g)
FOSFORO
( g)
MAGNESIO
( g)
FERRO
( g)
ZINCO
( g)
IODIO
( g)
SELENIO
( g)
Lattanti
0-6 mesi
7-12 mesi
400
500
300
600
40
60
6
7
5
4
40
50
8
8
Bambini
1-3 anni
4-6 anni
7-10 anni
11-14 anni
15-17 anni
18-29 anni
30-59 anni
60 anni e più
11-14 anni
15-17 anni
18-29 anni
30-59 anni
60 anni e più
800
800
1.000
1.200
1.200
1.000
800
1.000
1.200
1.200
1.200
800
1.200-1.500
800
800
1.000
1.200
1.200
1.000
800
1.000
1.200
1.200
1.000
800
1.000
80
120
170
270
400
350
350
350
280
300
280
280
280
7
9
9
12
12
10
10
10
12-18
18
18
18
10
4
6
7
9
9
10
10
10
9
7
7
7
7
70
90
120
150
150
150
150
150
150
150
150
150
150
10
15
25
35
45
55
55
55
35
45
55
55
55
1.200
1.200
1.200
1.200
30
18
7
12
150
180
55
70
Adolescenti
e adulti
maschi
Adolescenti
e adulti
femmine
Gestanti
Nutrici
Livelli di assunzione giornalieri di nutrienti raccomandati per la popolazione italiana (LARN). Società Italiana di Nutrizione Umana, revisione 1996.
muscolo; ogni grammo di proteine comprende lo 0,3% di
minerali.
La funzione dei minerali e degli elementi traccia
(oligoelementi, la cui concentrazione nei liquidi del
corpo umano è inferiore a 100 mg/100 mL) contenuti nel
nostro organismo è determinata dalle loro cariche elettriche, ma in parte anche dalla loro mobilità e dal loro
legame con componenti biologici. Per quanto riguarda la
carica elettrica, hanno carica positiva (cationi) il calcio,
il magnesio, il potassio e il sodio, mentre hanno carica
negativa (anioni) il cloro, il fosforo e lo zolfo. I minerali
contenuti in più alta concentrazione e gli elementi traccia
possono essere suddivisi, da un punto di vista biologicofunzionale, in 3 grandi gruppi:
primo gruppo: il sodio e il potassio si legano in modo
molto debole a molecole organiche caricate negativamente, per cui possono attraversare le membrane cellulari senza grandi difficoltà. Essi sono usati per esempio per il trasporto di cariche elettriche lungo i nervi;
secondo gruppo: il calcio e il magnesio formano complessi più stabili con enzimi, acidi nucleici e altre molecole organiche. Essi agiscono modificando o controllando le funzioni di queste molecole: per esempio
il calcio contribuisce alla contrazione e al rilasciamento dei muscoli;
terzo gruppo, costituito dagli elementi traccia (ferro,
zinco, rame, cobalto, manganese, selenio, nichel,
cromo e altri): questi minerali formano complessi permanenti con alcuni enzimi e proteine, ad azione non
enzimatica, dei quali divengono un componente funzionale integrante.
I minerali possono causare malattia sia perché deficitari sia perché insufficienti in caso di aumento della
richiesta, sia, infine, perché presenti in eccessiva quantità
(tossicità).
Il fabbisogno giornaliero dei principali minerali è
riportato nella Tabella 14.24.
Calcio
Il calcio si ritrova soprattutto nel latte vaccino, nei
formaggi, nelle foglie dei vegetali verdi, nel salmone e nei
bivalvi. È assorbito nella parte superiore del tenue, grazie
alla vitamina D e in parte alla vitamina C, al lattosio e
all’acidità dell’ambiente. Il suo assorbimento è inibito
dalla presenza di elevate quantità nella dieta di acido
ossalico, acido fitico, grassi, fibre e fosfati. Si deposita
nelle ossa e nei denti e si mantiene in equilibrio dinamico
con gli altri tessuti dell’organismo, grazie all’azione del
paratormone, della vitamina D in forma attiva e della
calcitonina. Della quantità ingerita circa il 70% è escreto
con le feci, il 10% con le urine, mentre il 15-25% viene
trattenuto, a seconda della velocità di crescita staturale.
Nel sangue è presente in concentrazione di 9-11 mg/dL,
di cui il 50-60% in forma ionizzata e il resto legato all’albumina. Ne deriva che in soggetti ipoalbuminemici (nefrosi in fase acuta) livelli di calcio totale di 7 mg/dL non
si accompagnano ai segni della tetania, perché, mentre è
diminuito il calcio legato all’albumina, il calcio ione è in
concentrazione normale.
Rappresenta un elemento essenziale nella formazione
della struttura delle ossa e dei denti, della contrazione
muscolare, della coagulazione del sangue (da ricordare
che in caso di grave ipocalcemia, si muore prima di
tetania che di difetto della coagulazione, per cui la somministrazione di calcio, prima di interventi chirurgici
quali tonsillectomia, adenoidectomia, è assolutamente
non necessaria), dell’attività del cuore e della produzione
del latte dal seno materno.
Una sua ridotta assunzione porta a una scarsa mineralizzazione delle ossa e dei denti, a rachitismo e tetania
Capitolo 14.fm Page 273 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
273
MINERALI
nell’età evolutiva, a osteomalacia e osteoporosi nell’adulto. Può avere conseguenze sull’accrescimento. L’“epidemia” di fratture del collo del femore nelle donne anziane
ha sollevato di recente il problema dell’apporto di calcio
nelle varie età della vita: è risultato che l’introduzione di
calcio nella dieta o come preparato in età prepuberale e
puberale (circa 1 g al giorno) aumenta l’apposizione di
calcio nelle ossa, che si prolunga successivamente per
tutta la vita. È necessario che la supplementazione di
calcio abbia una lunga durata (oltre 2 anni), perché assunzioni di durata inferiore (anche di un anno) non determinano alcun beneficio nell’indurre e nel mantenere la
massa ossea. Anche l’attività sportiva in fase immediatamente prepuberale e puberale gioca a favore della deposizione di calcio nelle ossa.
Nelle Tabelle 14.25 e 14.26 sono elencati i preparati
di calcio disponibili in Italia e le concentrazioni di calcio
nei vari alimenti.
Non si conosce un effetto tossico per un eccesso di
assunzione con la dieta, ma quando viene somministrato
per via endovenosa in alte dosi può portare a blocco
cardiaco e a calcoli renali.
Di recente è stata sottolineata l’importanza delle proteine leganti il calcio in molte malattie del bambino.
Cloro
Il cloro è una parte costituente del sale da cucina
(NaCl), si ritrova nella carne, nel latte e nelle uova.
Viene facilmente assorbito; circa il 92% viene escreto
con le urine, in parte con le feci e il sudore; costituisce
circa i 2/3 degli anioni del plasma; si ritrova nei liquidi
intra- ed extracellulari: i livelli sierici variano fra 99 e
106 mEq/L. È essenziale per il mantenimento della pressione osmotica, del bilancio acido-base; si ritrova come
HCl nel succo gastrico.
Per la presenza di vomito incoercibile, eccessiva sudorazione (fibrosi cistica) o per l’uso prolungato d’infusioni di glucosio senza sali, durante una terapia con
ACTH di lunga durata o in pazienti con alcalosi congenita, si può manifestare un’alcalosi ipocloremica. Non si
conoscono conseguenze cliniche per eccesso di somministrazione.
Cobalto
È ampiamente distribuito in natura. È un componente
della molecola della vitamina B12 e dell’eritropoietina.
Non si conoscono le conseguenze della sua carenza. Il
suo eccesso determina cardiomiopatia e gozzo tiroideo.
Tabella 14.25 - Preparazioni di calcio per uso orale in Italia.
FARMACO
CALCIO IN MG
VITAMINA D UI
COMPRESSE O BUSTINE /DIE
CLASSE SSN
1.000
1.000
625
1.000
1.000
500
600
880
300
880
300
400
400
400
1
1
2
1
2
2
2
A
A
Cbis
A
A
A
A
500/1.000
0
1
A
500
200
2
C
Calcio carbonato + vitamina D
• Biocalcium D3
• Cacit vitamina D3
• Calcidon
• Calcium D3 Sandoz
• Eurocal D3
• Ideos
• Metocal vitamina D3
Calcio lattogluconato + carbonato
• Calcium Sandoz
Calcio fosfato
• Calisvit
Tabella 14.26 - Contenuto in calcio di alcuni alimenti.
ALIMENTO
QUANTITÀ
CALCIO (mg)
ALIMENTO
Latte scremato
Yogurt magro alla frutta
Formaggio Groviera
Formaggio svizzero
1 tazza
302
Mozzarella
30 g
183
250 g
30 g
30 g
300
287
272
Cavolo
Formaggio americano
Formaggio cremoso
1/2 tazza
30 g
1 tazza
179
174
126
Fichi secchi
Cereali arrichiti di calcio
10 fichi
3/4 di tazza
269
250
Sardine sott’olio
Parmigiano
2 sardine
1 cucchiaio
92
69
Formaggio Cheddar
Succo di arancia arricchito
con Ca
30 g
204
Broccoli bolliti
1/2 tazza
36
180 g
200
(Integrazioni di Calcio. Medical letter 29:45-7, 2000.)
QUANTITÀ
CALCIO (mg)
Capitolo 14.fm Page 274 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
274
Cromo
Si ritrova nei lieviti; è importante per la regolazione
della glicemia e per il metabolismo dell’insulina. La sua
mancanza negli animali porta a diabete mellito. Non si
conoscono le conseguenza da iperdosaggio.
Ferro
Si ritrova nel fegato, nella carne, nel tuorlo d’uovo, nei
vegetali verdi, nei cereali integrali, nei legumi e nelle noci.
Viene assorbito in forma ferrosa (ferro bivalente), a seconda delle necessità dell’organismo, utilizzando l’azione
del succo gastrico e della vitamina C. L’assorbimento è
ostacolato dalle fibre, dai fitati e dalla steatorrea. Circola
nel sangue allo stato ferrico (ferro trivalente) legato alla
transferrina. Viene immagazzinato nel fegato, nella milza,
nel midollo osseo e nei reni come ferritina e come emosiderina per essere utilizzato successivamente, a seconda
delle necessità (vedi Capitolo 38, pag. 949). Viene perduto in minima parte con le urine e col sudore. Circa il 90%
del ferro introdotto viene perduto con le feci. È necessario
per la sintesi dell’emoglobina e della mioglobina e per il
trasporto dell’O2 e della CO2. Si ritrova anche negli enzimi ossidativi, nel citocromo C e nella catalasi.
Un deficiente apporto o un eccesso di perdita porta
all’anemia da carenza di ferro, microcitica, ipocromica
(vedi Capitolo 38, pag. 949). Si associa a irritabilità,
anoressia, insufficienza a crescere. Alte concentrazioni
di ferro nella dieta e basso contenuto di fosforo possono
portare a emosiderosi (Bantu). Esiste un avvelenamento
da eccessivo apporto come farmaco.
Fluoro
Si ritrova nell’acqua, nei frutti di mare, nelle piante e
in tutti gli animali (a seconda del contenuto di fluoro delle
acque e del suolo). Viene facilmente assorbito, viene
trattenuto in quantità di 0,6 mg al giorno (quando se ne
ingerisca 1 mg); è escreto con le urine e col sudore; si
deposita nelle ossa e nello smalto dei denti, coi quali è
sempre in equilibrio dinamico. Una ridotta assunzione
facilita l’insorgenza della carie; un eccesso di somministrazione (4-8 mg/24 ore) per lunghi periodi di tempo
porta alla fluorosi, caratterizzata dalla comparsa di macchie bluastre sulla superficie dei denti.
Fosforo
Si ritrova nel latte, nei derivati del latte, nel tuorlo
d’uovo, nei cibi freschi, nei legumi, nelle noci e nei
cereali integrali. Circa il 70% del fosforo è assorbito
come fosfati liberi; la vitamina D e il paratormone partecipano al metabolismo del fosforo sia per quanto riguarda l’assorbimento intestinale che l’escrezione urinaria
(vedi pag. 263). Si ritrova nel sangue come fosfolipidi,
esteri organici, fosfati inorganici, a livelli di 4-7 mg/dL
nel lattante e nel bambino. Il rapporto fosfati inorganici/
organici nel sangue intero è di 1:20. È un importante
costituente delle ossa e dei denti. Si ritrova nella struttura
del nucleo e nel citoplasma di tutte le cellule. Partecipa
al mantenimento del rapporto acido-base e alla trasfor-
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
mazione e alla trasmissione degli impulsi nervosi. È
importante nel metabolismo dei carboidrati, delle proteine e dei grassi.
Un suo ridotto apporto con la dieta si accompagna a
rachitismo, soprattutto nei nati di basso peso e quando si
associ a una dieta povera di calcio. La sua mancanza
determina stanchezza muscolare. Un suo eccesso nell’alimentazione durante la guarigione del rachitismo rende
possibile lo sviluppo di una tetania; una tetania può svilupparsi anche nel neonato quando nella formula ci sia un
basso rapporto calcio/fosforo (1:1).
Iodio
Si ritrova nel sale da cucina, arricchito di iodio, nei
pesci e nei frutti di mare, negli alimenti originari di aree
non gozzigene. Viene facilmente assorbito dall’intestino;
circola come iodio inorganico e organico: si concentra
(25 volte contro 1) nella tiroide, dove si lega con aminoacidi per venire a far parte successivamente della tiroglobulina. Da questa, per azione degli enzimi proteolitici, si
liberano tiroxina (T4) e triiodo-tironina (T3) che si ritrovano nel sangue. L’escrezione dello iodio avviene principalmente per via urinaria. Le brassicacee e alcuni farmaci, che interferiscono col metabolismo dello iodio,
sono gozzigeni.
La deficienza nutrizionale dello iodio può portare alla
comparsa del gozzo o al cretinismo endemico. L’assunzione di alimenti ricchi di iodio è senza conseguenze;
l’uso dello iodio come farmaco può portare alla comparsa
di gozzo (vedi Capitolo 43, pag. 1137).
Magnesio
Si ritrova nei cereali, nei legumi, nelle noci, nella
carne e nel latte. L’assorbimento attraverso il tenue varia
a seconda dell’introduzione. Viene eliminato in piccole
quantità con le urine. Si ritrova nella struttura delle ossa
e dei denti; attiva gli enzimi del metabolismo dei carboidrati. È un importante catione intracellulare che partecipa
a molti metabolismi.
Nel corso di malassorbimento si può verificare una
carenza, che è caratterizzata da irritabilità muscolare e
nervosa, tetania, diabete mellito; si associa spesso a ipocalcemia e ipopotassiemia. Un’eccessiva introduzione
con la dieta è senza conseguenze; usato come farmaco
per infusione può dare segni e sintomi tossici.
Manganese
Si ritrova nei legumi, nelle noci, nei cereali integrali,
nelle foglie dei vegetali verdi. È poco assorbito dall’intestino, è presente nel plasma; ha un metabolismo particolarmente alto nei mitocondri; l’escrezione avviene con
la bile; compete con il ferro. Agisce attraverso l’attivazione enzimatica, specialmente delle superossido-dismutasi; si ritrova nella struttura ossea, partecipa al metabolismo dei carboidrati.
Non è stata descritta una sofferenza da deficit di manganese nella dieta, né un quadro da eccesso alimentare.
Determina encefalopatia quando inalato cronicamente.
Capitolo 14.fm Page 275 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
MINERALI
Molibdeno
Si ritrova nei legumi, nei cereali, nei vegetali con
foglie verde scuro, negli organi interni degli animali.
Viene facilmente assorbito dall’intestino ed è escreto
principalmente con la bile e poco con le urine. È un
importante componente di alcuni enzimi: la xantinoossidasi per la trasformazione della xantina in acido urico
e l’aldeido-ossidasi del fegato. È necessario per la mobilitazione del ferro dalla ferritina nel fegato. Nell’uomo
non sono stati rilevati quadri clinici né da difetto, né da
eccesso.
Potassio
Si ritrova in tutti i cibi. Viene assorbito facilmente, a
seconda delle necessità. Viene escreto per l’80% con le
urine e in parte col sudore e con le feci. Nel bambino in
crescita ne viene conservato circa l’8%. I livelli sierici
variano da 4 a 5,6 mEq/L. È essenziale per la contrazione
muscolare, per la conduzione degli impulsi nervosi, per
la pressione osmotica intracellulare e per il bilancio dei
liquidi intra- ed extracellulari. Controlla il ritmo cardiaco.
Nel digiuno o in alcune condizioni patologiche in cui
il suo livello si abbassa (diarrea, acidosi diabetica, uso di
elevate dosi di ACTH), insorgono stanchezza muscolare,
anoressia, nausea, distensione addominale, irritabilità,
confusione, tachicardia. L’eccesso di potassio, come si
verifica nella malattia di Addison, nell’iperplasia surrenale congenita, nell’insufficienza renale e nella somministrazione di sali contenenti elevate quantità di potassio,
aumenta i livelli fino a 10 mEq/L e può associarsi a
blocco cardiaco.
Rame
Si ritrova nel fegato, nelle ostriche, nella carne, nei
pesci, nei cereali integrali, nelle noci, nei legumi. È
assorbito con le proteine ricche di zolfo; viene trasportato
nel plasma dalla ceruloplasmina; si ritrova nei globuli
rossi in forma labile e in forma stabile nell’emocupreina;
le più alte concentrazioni si ritrovano nel fegato e nel
sistema nervoso centrale; è escreto nell’intestino e nella
bile. È essenziale per la produzione dei globuli rossi, per
la sintesi della transferrina, per la formazione dell’emoglobina, per l’assorbimento del ferro, per l’attività della
tirosinasi, della catalasi, dell’uricasi, della citocromo Cossidasi, della deidrogenasi, dell’acido 8-aminolevulinico e della lisil-ossidasi.
L’alterazione del suo metabolismo porta alla malattia
di Wilson e alla sindrome di Menkes. Il suo ridotto
apporto con la dieta può portare ad anemia refrattaria,
osteoporosi, neutropenia, depigmentazione cutanea, ritardo nell’età ossea, fratture ossee, pseudoparalisi, atassia, aumento del colesterolo nel siero. Il suo eccesso porta
a cirrosi, emolisi, gastrite.
Selenio
Si ritrova nei vegetali e nella carne. È un cofattore
della glutatione-perossidasi nella respirazione cellulare.
La sua mancanza nella dieta porta alla malattia di Kashin,
275
caratterizzata da cardiomiopatia e miosite. Il suo eccesso
si accompagna a edema, se c’è un’inadeguata escrezione
insieme a un eccesso di liquidi per via parenterale.
Sodio
È un costituente del sale da cucina (NaCl). Si ritrova
nei cibi freschi, nel latte, nelle uova, nei cibi conservati,
nei conservanti in genere, nei glutamati. È rapidamente
assorbito dall’intestino; è escreto principalmente con le
urine (98%); il suo assorbimento avviene in parallelo con
l’assorbimento del cloro. L’escrezione renale è controllata dall’ACTH, dall’ADH e dall’aldosterone; è il principale catione extracellulare. Piccole quantità si ritrovano anche nel muscolo e nella cartilagine. Nel sangue il
suo livello va da 135 a 145 mEq/L. Una dieta a basso
contenuto di sodio provoca nausea, diarrea, crampi muscolari, disidratazione, ipotensione. Un suo eccesso con
la dieta porta a edema, se si associa a un’inadeguata
escrezione o a un’eccessiva somministrazione di liquidi
per via venosa.
Viene definita “ipernatremia” un aumento della concentrazione di sodio nel sangue superiore a 145 mEq/L.
Viene definita “iponatremia” una riduzione della concentrazione di sodio nel sangue, inferiore a 135 mEq/L.
La principale conseguenza dell’iponatremia è l’afflusso di acqua nello spazio intracellulare, con conseguente
rigonfiamento delle cellule, che può portare a edema
cerebrale ed encefalopatia.
Nella sindrome da inappropriata secrezione di
ADH (ormone antidiuretico) è presente iponatremia (Na
plasmatico < 120 nEq/L. Essa è causata da una un’elevata
secrezione di ADH in assenza di uno stimolo osmotico o
ipovolemico. Questa sindrome è associata a un gran
numero di malattie, comprendenti le malattie del sistema
nervoso centrale (meningite), affezioni polmonari o somministrazione di farmaci (vincristina, ciclofosfamide,
carbamazepina e altri). I sintomi di allarme per una
sindrome da inappropriata secrezione di ADH sono una
lieve espansione del volume del sangue circolante, con
concentrazioni più basse del normale di creatinina, urea,
acido urico e potassio. L’iponatremia di questa sindrome
non risponde alla somministrazione di sodio, in assenza
di restrizione di liquidi. La restrizione nella somministrazione di liquidi è il punto essenziale della terapia; tutti i
liquidi per via venosa debbono essere almeno normosalini. Se essi non correggono il sodio del plasma, va
somministrato cloruro di sodio al 3% (nella soluzione
fisiologica NaCl è allo 0,91%).
Nei bambini l’ipernatremia si osserva principalmente
in soggetti ospedalizzati nei quali è stato impedito di bere
per una o un’altra ragione. I pazienti che ne sono colpiti
sono ai limiti per l’età e sono debilitati per una malattia
acuta o cronica: spesso di tratta di nati pretermine. La
gastro-enterite rimane la causa principale di una ipernatremia. L’ipernatremia origina da una fuoruscita di liquidi dallo spazio intracellulare allo spazio extracellulare,
per mantenere l’equilibrio osmotico. Questo porta a una
disidratazione cerebrale e a un rimpiccolimento delle
Capitolo 14.fm Page 276 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
276
cellule. Il volume cerebrale può ridursi anche del 1015%. Possono svilupparsi trombosi dei seni venosi ed
emorragie intracerebrali. I bambini sono inizialmente
agitati e irritabili, ma i sintomi possono progredire fino
alla letargia, alle convulsioni e al coma. Il trattamento si
basa sulla somministrazione di soluzioni ipotoniche
(0,45% di NaCl in destrosio al 5%).
Zinco
Si ritrova nella carne, nei cereali, nelle noci e nel
formaggio. Viene assorbito facilmente, è escreto principalmente dall’intestino, compete con il rame. È il costituente di molti enzimi, fra i quali l’anidrasi carbonica dei
globuli rossi, essenziale per gli scambi di CO2. È un
costituente della carbossipeptidasi dell’intestino per
l’idrolisi delle proteine e della deidrogenasi del fegato.
Si ritrova nel fegato e in altri organi, nel muscolo, nelle
ossa e nei globuli bianchi e rossi. La sua concentrazione
nei tessuti è più alta nei soggetti giovani. Il suo assorbimento compete col rame.
Un deficit di zinco può essere causato da diete ricche
di cereali, che, per l’alto contenuto di fitati, inibiscono
l’assorbimento dello zinco.
La mancanza di zinco nella dieta determina nanismo,
anemia da carenza di ferro, epato-splenomegalia, iperpigmentazione, ipogonadismo, acrodermatite enteropatica, depressione dell’immunocompetenza, scarsa tendenza alla cicatrizzazione delle ferite. Il suo eccesso
nella dieta può derivare dall’uso di utensili di ferro
galvanizzato, usati per cuocere le vivande; porta a una
deficienza di rame e a una diminuzione delle lipoproteine ad alta densità.
Tabella 14.27 - Cause della sindrome da inappropriata
secrezione di ADH.
Malattie del sistema nervoso centrale
Infezioni: meningite, encefalite
Tumori
Alterazioni vascolari
Psicosi
Idrocefalo
Chirurgia dell’ipofisi posteriore
Malattie del polmone
Polmonite
Tubercolosi
Asma
Ventilazione a pressione positiva
Pneumotorace
Carcinomi
Carcinoma broncogenico
Cancro con cellule a chicco di avena
Del duodeno
Del pancreas
Neuroblastoma
Farmaci
Vincristina
Ciclofosfamide per via venosa
Carbamazepina
Inibizione della riassunzione di serotonina
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
La somministrazione di 70 mg di zinco alla settimana
riduce in Bangladesh il tasso di mortalità e di polmonite
nei bambini piccoli. La somministrazione di micronutrienti ha ridotto la prevalenza longitudinale della diarrea
e può anche ridurre la mortalità per diarrea nei bambini
dei primi anni di vita.
Zolfo
Tutti i cibi ricchi di proteine contengono l’1% di zolfo.
Le sole sorgenti utilizzate per l’apporto di zolfo sono la
cistina e la metionina; le forme inorganiche non sono
utilizzate dall’uomo. Viene escreto come solfato inorganico o come eteri di zolfo, con le urine e con la bile. È un
costituente delle proteine delle cellule, della cocarbossilasi, della melanina, dei muco-polisaccaridi, dell’umor
vitreo, del liquido sinoviale, del tessuto connettivo, della
cartilagine, dell’eparina e dell’insulina. Partecipa al metabolismo del tessuto nervoso, ai meccanismi di detossificazione (solfatazione). È presente nei gruppi SH del
coenzima A, della cistationina e del glutatione.
Non si conoscono le conseguenze di una sua mancanza nella dieta. L’insufficienza a crescere nella deficienza
proteica potrebbe essere dovuta in parte alla mancanza di
aminoacidi contenenti zolfo (cistina e metionina). Una
dieta ricca di zolfo non è pericolosa.
VALUTAZIONE DELLO STATO
NUTRIZIONALE
Dalla valutazione dello stato di nutrizione di un bambino si ottengono dati essenziali sull’assunzione di cibo,
sul suo assorbimento e sulla sua utilizzazione tissutale.
Una sua frequente determinazione consente di migliorare
la qualità della vita del bambino, permettendo l’identificazione dei soggetti a rischio di sviluppare difetti o
eccessi nutrizionali.
Dopo un’accurata anamnesi, è indispensabile la valutazione delle misure antropometriche (vedi Capitolo 11,
pagg. 166 e 170), quali il peso, l’altezza, la circonferenza
cranica (nei soggetti al di sotto dei 2 anni), l’indice di
massa corporea e la plicometria (che vedremo successivamente).
Anche l’analisi dietetica è essenziale: essa può essere
eseguita attraverso un questionario sulla frequenza del
consumo dei diversi alimenti e sulla registrazione per 7
giorni dell’apporto alimentare. Nei casi in cui sia necessario approfondire la ricerca, può essere utile la determinazione di alcuni esami di laboratorio: emoglobina, ematocrito, volume corpuscolare medio, albuminemia, creatininemia, ferritinemia, transferrinemia e altro.
DIGIUNO PROLUNGATO
La fame e la mancanza di cibo hanno delle conseguenze a breve e a lungo termine sulla salute.
Capitolo 14.fm Page 277 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
277
MALNUTRIZIONE
Fra le conseguenze tardive del digiuno durante la
gravidanza vi è in primo luogo una ridotta crescita fetale
e un rischio aumentato di cardiopatie, ictus e diabete
nell’età adulta. Durante la grande fame dell’inverno
1944-45 in Germania i bambini concepiti o nati avevano
un peso di 300 grammi più basso della media; analogamente durante l’assedio di Stalingrado del 1941-44 il
peso alla nascita dei nati a termine risultò inferiore di
500-600 grammi: circa la metà di quelli che nacquero
nella prima metà del 1942 pesavano meno di 2.500 g.
Una buona parte di questi mostrarono nella vita adulta un
vario grado d’ipertensione, il 15% presentò un aumento
del rischio di malattia ischemica di cuore e il 35% un
rischio aumentato di ictus emorragico.
Analogamente il digiuno cronico, dopo la nascita,
particolarmente all’inizio o durante la pubertà, può aumentare la vulnerabilità per le malattie cardio-vascolari
in età adulta.
MALNUTRIZIONE
Per malnutrizione s’intende ogni alterazione della nutrizione,
dovuta sia a una dieta non bilanciata o insufficiente, che a un
difetto della digestione o dell’assorbimento e dell’utilizzazione dei nutrienti. La malnutrizione più comune è quella proteico-calorica, primitiva o secondaria, che determina gravi
ripercussioni sulle condizioni generali dell’organismo:
• peso corporeo al di sotto del 85% del peso atteso per l’età;
• rapporto peso ideale/altezza al di sotto del 75%.
Mentre nei Paesi industrializzati un deficit primitivo
di macronutrienti nella dieta è un’evenienza eccezionale,
nei Paesi in via di sviluppo la malnutrizione proteicocalorica primitiva è una causa frequente di morbilità e di
morte nei bambini al di sotto dei 5 anni.
La malnutrizione più comune è quella proteico-calorica, primitiva o secondaria, che determina gravi ripercussioni sulle condizioni generali dell’organismo.
La forma secondaria è presente anche fra i nostri
bambini. Essa riconosce diverse origini, riportate nella
Tabella 14.28.
Il marasma è una forma particolarmente grave di
malnutrizione.
Mentre nell’adulto i nutrienti sono richiesti essenzialmente per il mantenimento dello status quo dell’organismo e per le spese energetiche, in relazione ai movimenti,
nel bambino l’apporto energetico, soprattutto quello proteico, deve rispondere alla naturale esigenza di crescita,
tipica dell’età evolutiva.
Una valutazione precisa dello stato nutrizionale presenta, da un punto di vista pratico, notevoli difficoltà.
Le ripercussioni sul peso sono quelle più immediate,
mentre quelle sull’altezza avvengono più tardivamente e
Tabella 14.28 - Cause di deficit secondario di malnutrizione proteico-calorica.
CONDIZIONE DI BASE
Aumento delle richieste caloriche
Aumentate perdite caloriche:
• per maldigestione
• per alterato assorbimento
Ridotta assunzione
proteico-calorica
CAUSE
Infezioni
Cancro
Fibrosi cistica
Malassorbimento
Anoressia mentale
Cancro
Restrizione degli introiti
per fattori sociali
Combinazione delle diverse
componenti
sono inizialmente meno accentuate. All’ispezione e alla
palpazione risulta evidente la perdita del sottocutaneo e
delle masse muscolari. Ne consegue che la testa sembra
più grande del normale, anche se questa impressione è
relativa. L’edema è di rado presente. La pelle è secca e
sottile; anche i capelli sono sottili e radi. I bambini colpiti
da malnutrizione grave sono deboli e stanchi, spesso
poco partecipi a quanto li circonda; frequenti la bradicardia e l’ipotermia. Sulla lingua è evidente l’atrofia delle
papille filiformi, che si associa spesso a una stomatite da
Candida. Poiché il grasso della guancia (bolla di Bichat)
è grasso bruno, e poiché esso viene perduto per ultimo
nell’utilizzo dei depositi, può risultare che vi sia in questi
bambini un aspetto relativamente paffuto del volto, nonostante le gravi condizioni generali. L’addome può
apparire molto disteso o eccessivamente piatto. Nei Paesi
in via di sviluppo risulta spesso che questi bambini siano
stati divezzati da poco e che abbiano ricevuto un’alimentazione inappropriata: la diarrea cronica è un reperto
comune, la cui origine può essere diversa.
Nei Paesi occidentali, sia la diarrea cronica che il
malassorbimento sono spesso secondari a difetti di digestione e di assorbimento (fibrosi cistica, morbo celiaco e
altro); nei Paesi in via di sviluppo, invece, le cause sono
completamente diverse e in qualche modo legate alla
diarrea cronica; la diarrea può essere secondaria alla
malnutrizione (atrofia della mucosa, malassorbimento),
ma anche all’aumentata suscettibilità del malnutrito alle
infezioni virali, batteriche, protozoarie e parassitarie,
secondarie all’immunodeficienza dei linfociti T e B
(conta linfocitaria inferiore a 1.500 cellule/mm 3, situazione di anergia alle prove cutanee per l’ipersensibilità
ritardata). D’altra parte possono essere i ripetuti episodi
di diarrea, con fasi prolungate di digiuno e con l’uso di
reidratanti orali ipocalorici, a contribuire alla malnutrizione.
La diagnosi di malnutrizione si basa su vari parametri:
anamnesi alimentare accurata;
determinazione del centile attuale del paziente e valutazione della deviazione della situazione del paziente
Capitolo 14.fm Page 278 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
278
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
nei confronti della mediana, per quanto riguarda peso,
altezza e circonferenza cranica;
valutazione del precedente ritmo di crescita;
determinazione dell’Indice di Massa Corporea (IMC)
e misurazioni comparate nel tempo della circonferenza del braccio e dello spessore delle pliche cutanee
(vedi pag. 281);
esecuzione, valutazione e interpretazione dei risultati
degli esami biochimici (proteinemia, albuminemia,
transferrina, emoglobinemia, glicemia, calcemia, fosforemia, attività della fosfatasi alcalina, livello di
acido folico nel siero).
Nei casi più gravi di diarrea, di malnutrizione e di
malassorbimento, l’alimentazione per via parenterale
trova un’utile applicazione.
Una forma particolare di grave malnutrizione proteico-calorica è rappresentata dal kwashiorkor, nel quale,
al quadro della malnutrizione grave, si associa la presenza di edema, che maschera la grave perdita di peso. La
dermatite è comune: nelle sedi sottoposte a sfregamento
la pelle si pigmenta fortemente, fuorché nelle aree fotoesposte: i capelli, radi e sottili, possono presentare una
colorazione rossastra/grigiastra.
Il trattamento è complesso e di difficile esecuzione,
tali e tante sono le carenze da rimediare. Spesso è richiesta l’alimentazione parenterale.
OBESITÀ
Per obesità s’intende un accumulo eccessivo e generalizzato
di grasso, nel tessuto sottocutaneo e negli altri tessuti, che
può essere identificato e quantizzato determinando l’indice
di massa corporea e lo spessore delle pliche cutanee, mediante l’uso del plicometro.
L’obesità rappresenta uno dei più difficili problemi da
affrontare nella pratica quotidiana. È ben conosciuto il
senso di frustrazione che attanaglia il pediatra quando si
rende conto che la famiglia non è motivata a seguire le
sue prescrizioni e soprattutto quando ne scaturisce (ma
come potrebbe essere altrimenti?) un insuccesso terapeutico. D’altra parte il pediatra, di fronte a una malattia così
difficile da trattare, così frequente e così facilmente attribuibile a una forma di devianza sociale, è spesso portato
a colpevolizzare famiglia e pazienti, quando i suoi sforzi
non siano coronati da successo.
Eppure l’identificazione dell’obesità e del sovrappeso
è una parte essenziale della pediatria preventiva, al fine
di ridurre la possibilità che il bambino o l’adolescente
obeso si trasformi in un adulto obeso, con tutte le sue
conseguenze (aumento della mortalità, malattie cardiovascolari, arteriosclerosi e diabete mellito). D’altra parte,
l’obesità non rappresenta in se stessa una vera e propria
malattia, quanto piuttosto un insieme di sintomi che
hanno una correlazione più o meno stretta (a seconda
dell’età del bambino) con l’obesità dell’adulto: quanto
più è avanzata l’età dell’obeso in età evolutiva tanto più
è facile che sia seguita dall’obesità dell’adulto. In effetti,
per quanto riguarda la prima, la seconda e parte della
terza infanzia, l’obesità dell’adulto avviene in una minoranza (dal 10 al 30%) dei soggetti in sovrappeso o obesi
da bambini. È stato osservato che il peso elevato alla
nascita o durante il 1° mese di vita si accompagna a
rischio di sovrappeso a 3 anni. Ma va ricordato anche
che l’obesità dell’adulto è più facile quando l’eccesso di
grasso del bambino sia molto grave, quando esistano casi
di obesità nella famiglia e, infine, quando l’obesità sia
iniziata in età adolescenziale.
IL RUOLO DEL PEDIATRA
NELLA PREVENZIONE DELL’OBESITÀ
Il pediatra gioca un ruolo importante nella prevenzione
dell’obesità.
Dalla nascita in poi egli consiglia l’alimentazione del bambino, secondo due indirizzi:
• offrendo gli alimenti in appropriate quantità;
• regolandosi secondo le modalità con le quali il bambino
esprime le sue necessità (senso di fame).
Solo in questo modo il bambino può sviluppare le sue capacità discriminative e divenire parte attiva nella regolazione di
se stesso.
Secondo lo studio Bogalusa i livelli sia dell’indice di
massa corporea che lo spessore della piega tricipitale nel
bambino si associano ad obesità nell’adulto. La grandezza di queste associazioni longitudinali aumenta con l’età
del bambino, ma anche l’indice di massa corporea dei più
giovani (da 2 a 5 anni) si associa moderatamente all’obesità dell’adulto (r = 0,33-0,41). Gli obesi a 2-5 anni è più
facile che siano obesi da adulti, in confronto ai bambini
che hanno un indice di massa corporea inferiore al 50°
centile.
Tuttavia è stato osservato che anche uno stato di
magrezza nel 1° anno o nei primi 2 anni di vita, si associa
nelle età successive a un’adiposità di rimbalzo che si
accompagna ad alterate curve da carico di glucosio e da
diabete nelle età successive.
Esistono due periodi critici nello sviluppo e nella
persistenza del sovrappeso in età pediatrica; essi sono:
il periodo prenatale;
il periodo dell’adolescenza;
il periodo di rimbalzo dell’adiposità, dopo un’infanzia
sottopeso.
La differenziazione fra obesità vera e “sovrappeso”
è spesso molto difficile, perché non esistono nella pratica
metodiche adatte a differenziarle. In teoria l’obesità è un
eccessivo aumento di grasso nell’organismo e il sovrappeso è sì un aumento del proprio peso, ma senza che,
accanto a un aumento della massa magra, vi sia un
Capitolo 14.fm Page 279 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
279
OBESITÀ
eccessivo accumulo di grassi. Segni indiretti di obesità,
specialmente nel bambino verso la fine della terza infanzia e nell’adolescente, si ricavano dagli esami di laboratorio che nell’obeso mostrano aumento della pressione
arteriosa, aumento della lipidemia e dei livelli di lipoproteine insieme a un aumento dei livelli di insulina plasmatica e, spesso, delle aminotransferasi.
Identificazione
Questo punto rappresenta il primo passo nell’avvicinamento al bambino obeso. A causa della difficoltà a
misurare la massa grassa, l’obesità può essere espressa
con l’indice di massa corporea, che si correla bene con la
quota di massa grassa sia nei bambini che negli adulti.
Gli indici usati a questo proposito sono:
l’indice di massa corporea (IMC), che si ricava dal
rapporto fra il peso in kg, diviso per l’altezza in metri,
al quadrato (Figure 14.12 e 14.13);
lo spessore della piega tricipitale, da rilevare con un
compasso graduato (Tabella 14.29);
la circonferenza del braccio (Tabella 14.30), negli ultimi tempi caduta in disuso.
Ognuna delle metodiche ha i suoi vantaggi e i suoi
limiti. La classificazione OMS e le linee guida americane
definiscono come sovrappeso l’indice di massa corporea
di 25-30 kg/m2 e l’obesità come un indice di massa
corporea di 30 kg/m2 o superiore. L’IMC è facilmente
rilevabile da tutti: quando il valore del paziente in studio
si colloca oltre l’85° centile per l’età e per il sesso si parla
di rischio di obesità, mentre quando è sul 90° centile od
oltre si parla senz’altro di obesità. Tuttavia, l’IMC non
permette un’esatta distinzione fra massa magra e massa
grassa. Il fisiologico aumento annuale dell’IMC durante
l’infanzia è da attribuire soprattutto alla componente
magra e alla statura, piuttosto che alla componente grassa
dell’organismo: quindi l’aumento dell’IMC non va semplicemente interpretato come un aumento dell’adiposità,
ma come una variazione nella composizione dell’organismo, associata alla crescita. È indispensabile quindi, per
un’esatta interpretazione dell’IMC, tenere sempre conto
dell’età e del sesso del soggetto in esame, da confrontare
con specifiche tabelle dei centili (vedi Figure 14.12 e
14.13).
La misurazione dello spessore della piega tricipitale a
metà lunghezza del braccio corrisponde maggiormente al
grasso totale dell’organismo: anche per la piega tricipitale valori superiori all’85°-90° centile sono indicativi di
obesità. La circonferenza del braccio è meno collegata
con l’IMC.
Epidemiologia: un’epidemia di obesità?
Senza che nel nostro Paese si raggiungano gli elevati
livelli di obesità di molte nazioni del mondo occidentale
(Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e altre), anche in
Italia l’obesità, nei limiti sopra riportati, è presente in
circa il 7% della popolazione, con un tasso crescente dal
Tabella 14.29 - Centili per la piega tricipitale, in mm.
ETÀ
IN ANNI
5
10
25
1-1,9
2-2,9
3-3,9
4-4,9
5-5,9
6-6,9
7-7,9
8-8,9
9-9,9
10-10,9
11-11,9
12-12,9
13-13,9
14-14,9
15-15,9
16-16,9
17-17,9
18-18,9
19-24,9
25-34,9
35-44,9
45-54,9
55-64,9
65-74,9
6
6
6
6
6
5
5
5
6
6
6
6
5
4
4
4
5
4
4
5
5
6
5
4
7
7
7
6
6
6
6
6
6
6
6
6
5
5
5
5
5
5
5
6
6
6
6
6
8
8
8
8
8
7
7
7
7
8
8
8
7
7
6
6
6
6
7
8
8
8
8
8
MASCHI
50
75
90
95
5
10
25
FEMMINE
50
75
90
95
10
10
10
9
9
8
9
8
10
10
11
11
10
9
8
8
8
9
10
12
12
12
11
11
14
14
14
12
14
13
15
13
17
18
20
22
22
21
18
16
16
20
20
20
20
20
19
19
16
15
15
14
15
16
17
16
18
21
24
28
26
24
24
22
19
24
22
24
23
25
22
22
6
6
7
7
6
6
6
6
8
7
7
8
8
9
8
10
10
10
10
10
12
12
12
12
7
8
8
8
7
6
7
8
8
8
8
9
8
10
10
12
12
12
11
12
14
16
16
14
8
9
9
8
8
8
9
9
10
10
10
11
12
13
12
15
13
15
14
16
18
20
20
18
10
10
10
10
10
10
11
12
13
12
13
14
15
16
17
18
19
18
18
21
23
25
25
24
12
12
12
12
12
12
13
15
16
17
18
18
21
21
21
22
24
22
24
27
29
30
31
29
14
15
14
14
15
14
16
18
20
23
24
23
26
26
25
26
30
26
30
34
35
36
36
34
16
16
15
16
18
16
18
24
22
27
28
27
30
28
32
31
37
30
34
37
38
40
38
36
12
12
11
11
11
10
12
10
13
14
16
14
14
14
11
12
12
13
15
16
16
15
14
15
Capitolo 14.fm Page 280 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
280
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
Figura 14.12 - Percentili dell’indice di massa corporea in
soggetti di sesso femminile, da 2 a 20 anni – USA. (Da
Strauss R.S.: Childhood obesity, Pediatr Clin North Am
49:175-201, 2002.)
Figura 14.13 - Percentili dell’indice di massa corporea nel
maschio, da 2 a 20 anni – USA. (Da Strauss R.S.: Childhood
obesity, Pediatr Clin North Am 49:175-201, 2002.)
nord al sud mentre la percentuale di soggetti in sovrappeso è di 2-3 volte maggiore. Ricordando alcuni esempi
più estremi negli Stati Uniti la prevalenza del sovrappeso
è raddoppiata nei bambini fra 6 e 11 anni e triplicata in
quelli tra 12 e 17 anni, tra il 1976-1980 e il 1999-2000.
Circa il 15% dei teen-ager americani rientra nella categoria degli obesi. Gli afro-americani, gli ispano-americani (messicani e portoricani), gli indiani piva e altri nativi
americani hanno una particolare predisposizione all’obesità. Un confronto del sovrappeso e dell’obesità nei bambini e negli adulti nel 1999-2000 e nel 2003-2004 ha
messo in evidenza che:
nei soggetti di sesso femminile non si è manifestato un
aumento dell’incidenza dell’obesità (33,4% contro
33,2%);
nei soggetti di sesso maschile invece c’è stato un aumento del sovrappeso dal 14% al 18,2%.
I dati riguardanti l’Europa hanno messo in evidenza
che una maggiore prevalenza del sovrappeso è presente
nelle aree dell’Europa sud-occidentale. Spesso i bambini
con sovrappeso diventano adolescenti e adulti obesi, con
i conseguenti fattori di rischio tanto maggiori quanto più
precoce è stato l’esordio dell’obesità. L’obesità nei genitori, la classe economica medio-alta della famiglia e il
livello di educazione dei genitori sono tutti fattori che
contribuiscono in modo evidente all’obesità del bambino
L’OBESITÀ IN ITALIA NEI BAMBINI IN ETÀ SCOLARE
Durante l’anno scolastico 1991-1992 sono stati raccolti i dati antropometrici di 7.291 bambini, afferenti alla 2a classe della scuola
elementare e alla 1a classe della scuola media, in 13 città italiane (in 9 regioni). Sono stati considerati normali i bambini con rapporto
peso reale/peso ideale compreso fra l’80 e il 120%; sono stati considerati sovrappeso quelli con un indice fra il 120 e il 140% e sono
stati considerati obesi quelli con un rapporto superiore al 140%.
Le frequenze di sovrappeso e di obesità sono risultate rispettivamente del 16,5% e del 6,9% nei maschi e del 12,7% e del 3,6% nelle
femmine. È stato osservato un andamento crescente con l’aumentare dell’età. Le frequenze di soggetti con rapporto peso reale/peso
ideale superiore al 120% e al 140% sono risultate significativamente più elevate nell’Italia meridionale rispetto a quelle osservate nei
centri settentrionali (rispettivamente 26,1% contro 16,5% e 8,0% contro 3,7%).
Questi livelli di sovrappeso e di obesità avvicinano la situazione italiana a quella degli altri Paesi sviluppati.
Capitolo 14.fm Page 281 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
281
OBESITÀ
Tabella 14.30 - Centili per la circonferenza del braccio, in mm.
ETÀ
IN ANNI
5
10
25
1-1,9
2-2,9
3-3,9
4-4,9
5-5,9
6-6,9
7-7,9
8-8,9
9-9,9
10-10,9
11-11,9
12-12,9
13-13,9
14-14,9
15-15,9
16-16,9
17-17,9
18-18,9
19-24,9
25-34,9
35-44,9
45-54,9
55-64,9
65-74,9
142
141
150
149
153
155
162
162
175
181
186
193
194
220
222
244
246
245
262
271
278
267
258
248
146
145
153
154
160
159
167
170
178
184
190
200
211
226
229
248
253
260
272
282
287
281
273
263
150
153
160
162
167
167
177
177
187
196
202
214
228
237
244
262
267
276
288
300
305
301
296
285
MASCHI
50
75
159
162
167
171
175
179
187
190
200
210
223
232
247
253
264
278
285
297
308
319
326
322
317
307
170
170
175
180
185
188
201
202
217
231
244
254
263
283
284
303
308
321
331
342
345
342
336
325
90
95
5
10
25
FEMMINE
50
75
90
95
176
178
184
186
195
209
223
220
249
262
261
282
286
303
311
324
336
353
355
362
363
362
355
344
183
185
190
192
204
228
230
245
257
274
280
303
301
322
320
343
347
379
372
375
374
376
369
355
138
142
143
149
153
156
164
168
178
174
185
194
202
214
208
218
220
226
221
233
241
242
243
240
142
145
150
154
157
162
167
172
182
182
194
203
211
223
221
224
227
237
230
240
251
256
257
252
148
152
158
160
165
170
174
183
194
193
208
216
223
237
239
241
241
252
247
256
267
274
280
274
156
160
167
169
175
176
183
195
211
210
224
237
243
252
254
258
264
264
265
277
290
299
303
299
164
167
175
177
185
187
199
214
224
228
248
256
271
272
279
283
295
283
290
304
317
328
335
326
172
176
183
184
203
204
216
247
251
251
276
282
301
304
300
318
324
298
319
342
356
362
367
356
177
184
189
191
211
211
231
261
260
265
303
294
338
322
322
334
350
324
345
368
378
384
385
373
e dell’adolescente. Anche l’attività o, al contrario, l’inattività della famiglia risultano elementi importanti. Il
tempo trascorso davanti al televisore, non solo per l’immobilità che comporta, ma anche per la sicura influenza
sull’introito di cibi, è un fattore nettamente favorente. I
ragazzi e le ragazze che passano davanti al televisore più
di 4 ore al giorno hanno più grasso nel loro organismo e
hanno un indice di massa corporea più elevato di quelli
che guardano la televisione per meno di 2 ore al giorno.
È stata trovata una relazione stretta fra fruizione televisiva durante i pasti, consumo di cibi da parte del bambino
e obesità. L’obesità è prevalente nelle aree urbane.
Il fenomeno dell’obesità nel Regno Unito è risultato
così evidente negli ultimi anni da essere considerato
come una vera e propria epidemia: nel 1999 il 22% dei
bambini all’età di 6 anni e il 31% all’età di 15 anni è
sovrappeso, mentre sono obesi il 10% dei bambini a 6
anni e il 17% a 15 anni. Se si pensa, come abbiamo visto,
che il rischio per un bambino di diventare un adulto obeso
è tanto più alto quanto maggiore è l’età del soggetto, si
comprende facilmente quale allarme questi dati abbiano
suscitato nel Regno Unito.
Eziologia
L’obesità va compresa fra le malattie multifattoriali,
nelle quali fattori genetici e ambientali si confondono.
L’obesità è una situazione tipica dei mammiferi; gli
insetti, i pesci e i rettili, insieme a quasi tutti gli uccelli,
non hanno bisogno di grasso per isolare i loro corpi caldi
in un ambiente a bassa temperatura, né hanno bisogno di
grasso per la gravidanza o per l’allattamento.
Il grasso infatti ha varie funzioni:
la principale è quella d’immagazzinare energia, da
consumare nei periodi di scarsa assunzione di nutrienti;
agisce come isolante e come difesa dei tessuti sottostanti;
serve come riserva per alcuni steroidi e partecipa attivamente al loro metabolismo;
concorre nelle persone sane a regolare l’assunzione di
alimenti, attraverso un ormone, la leptina.
Il tessuto adiposo cresce nei primi 6 mesi di vita
extrauterina, soprattutto aumentando il numero degli adipociti (iperplasia): il loro numero continua ad aumentare
lentamente durante tutta la vita; nell’obesità non è tanto
aumentato il numero degli adipociti, quanto il loro volume (iperplasia).
È bene subito premettere che l’obesità testimonia
un’eccessiva assunzione di cibi per il bambino che andiamo esaminando, soprattutto nei confronti del suo consumo di energia, il che può significare in alcuni casi particolari che in senso assoluto l’assunzione di cibi non superi
quella media per l’età, ma che essa è ugualmente in
eccesso per un ridotto consumo di energia o per un particolare metabolismo del soggetto (quante volte non abbia-
Capitolo 14.fm Page 282 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
282
mo creduto a una madre che ci diceva che il suo bambino,
pur essendo grasso, mangiava quantità normali di alimenti!). Al contrario molti soggetti assumono cibo in eccesso,
ma non sono grassi perché hanno spese energetiche elevate, insieme a un metabolismo particolarmente attivo.
È molto probabile che nel passato l’obesità non fosse
da considerare come una situazione nettamente patologica, perché grazie ad essa era possibile prevenire i lunghi
periodi di scarsezza di cibo, verificabili alternativamente
a periodi di ricchezza di cibo (alternanza fra i periodi di
vacche magre e i periodi di vacche grasse). Ma oggi, è
bene ricordarlo, siamo costantemente in un periodo di
vacche grasse, anche perché siamo riusciti a risolvere un
problema che ha assillato l’uomo fino dalle sue origini,
quello della conservazione degli alimenti.
I soggetti che sono stati alimentati con latte materno
non mostrano differenze nei confronti dell’obesità quando esaminati a 3-5 anni, ma nei soggetti valutati a 9-14
anni è stato riscontrato che quelli che erano stati alimentati esclusivamente con latte materno per i primi 6 mesi
hanno un minor rischio di essere sovrappeso. Questo
rischio è risultato proporzionale alla durata dell’allattamento al seno: era maggiore per i soggetti che erano stati
allattati per almeno 7 mesi, contro quelli che erano stati
allattati per 3 mesi o meno. I bambini nati piccoli per l’età
gestazionale e magari nei primi 2 ani di vita hanno meno
probabilità di presentare successivamente una tendenza
verso l’obesità, in confronto alla popolazione in generale.
Sulle cause di obesità si sono da sempre fronteggiati
due punti di vista:
quello che la attribuisce a cause ambientali;
quello che la attribuisce a cause genetiche.
Anche se nel passato i sostenitori dell’una o dell’altra
causa si sono continuamente alternati: negli ultimi anni
l’influenza della genetica ha assunto il ruolo principale
nella determinazione dell’obesità sia nel bambino che
nell’adulto, mentre l’ambiente, sia familiare che extrafamiliare, non ha dimostrato il ruolo che si riteneva giocasse nel passato. Studi su gemelli identici adottati in famiglie diverse (studi danesi e studi negli USA) hanno mostrato che l’indice di massa corporea si avvicina più a
quello dei genitori biologici, che a quello dei genitori
adottivi: è stata riscontrata una concordanza di 0,7-0,9 fra
i gemelli monozigoti e dello 0,35-0,45 fra i gemelli
dizigoti. Il contributo della genetica all’obesità è stato
calcolato fra il 64 e il 94%. Tuttavia, l’eredità non va
interpretata come un’influenza determinante al 100%,
come il colore degli occhi o dei capelli; alle influenze
genetiche infatti si sommano le abitudini alimentari del
soggetto, per cui al limite può accadere anche che una
forte influenza genetica, in mancanza di fonti energetiche, non abbia possibilità di manifestarsi.
Attraverso quali meccanismi agisce l’ereditarietà?
Relativamente di recente sono state identificate due vie:
la via della leptina;
la via della melanocortina.
Prima di parlare di queste vie è necessario riflettere sul
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
ruolo del tessuto adiposo nell’organismo. Oggi sappiamo
che il tessuto adiposo è più complesso di quanto non lo
si ritenesse: esso infatti si comporta come un organo
endocrino che libera ormoni in risposta a stimoli specifici
extracellulari ed è capace di cambiare il proprio stato
metabolico. Le sostanze che secerne (fra le quali la
leptina) vengono di norma indicate con il nome di adipochine.
La scoperta del gene ob e della sua adipocito-specifica
proteina (detta leptina, dal greco
, che significa
“magro”) ha fornito il primo legame fisiologico fra obesità e sistema regolatore del peso del corpo umano. La
concentrazione di leptina è regolata da modificazioni
nell’espressione del gene ob, che, a livello degli adipociti, porta alla sintesi della leptina, una proteina costituita
da 167 aminoacidi. Esiste di norma un sistema di regolazione (feedback) fra gli adipociti e i centri della sazietà
dell'ipotalamo ventro-mediale, dai quali dipendono, in
occasione di un aumento della leptina, una diminuzione
dell’appetito e un aumento delle spese di energia. In
pratica, nel soggetto normale la leptina, formata dalle
cellule del tessuto adiposo bianco (adipociti), segnala ai
recettori della leptina, localizzati nell’ipotalamo, l’entità
dei depositi di grasso, per limitare e ridurne l’accumulo
(Figura 14.14).
Nel soggetto normale l’aumento della leptina, determinato dall’aumento della massa del tessuto adiposo,
determina una riduzione degli introiti alimentari e aumenta le spese di energia, che tendono a riportare la
Figura 14.14 - Regolazione della sintesi di leptina.
Capitolo 14.fm Page 283 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
OBESITÀ
massa del tessuto adiposo al livello individuale. In tal
modo la leptina e i recettori della leptina fanno parte di
un’ampia ansa di feedback. Nei lattanti si ritrovano elevate quantità di lepitina perché questo ormone è contenuto in forti quantità nel latte umano.
A parte modificazioni nei geni della leptina, vanno
ricordate, perché connesse con l’obesità, le modificazioni dei geni dei recettori della leptina, della propiomelanocortina, della pro-ormone convertasi 1, dei recettori 3
e 4 della melanocortina, del fattore di trascrizione SIMI;
l’elenco si allunga anno dopo anno. Mutazioni in omozigosi per alcuni di questi geni determinano obesità grave,
precoce e in genere associata a fenotipi caratteristici
(ipogonadismo ipogonadotropo con deficit di leptina,
capelli rossi e ipocortisolismo). La mutazione MC4R del
recettore della melanocortina è la causa nota più frequente di obesità monogenica e comprende il 4% delle cause
di obesità precoce grave.
È possibile concludere che è molto probabile che
l’obesità pediatrica sia un disordine poligenico con una
suscettibilità determinata da complessi fattori genici.
Per quanto riguarda la leptina, negli adipociti dei
soggetti obesi, sia bambini che adulti, contrariamente a
quanto ci si sarebbe dovuto aspettare, è stata ritrovata una
quantità all’incirca doppia di mRNA ob e nel sangue una
quantità elevata di leptina, senz’altro maggiore di quella
che si ritrova nei soggetti normali: sebbene vi siano molti
altri fattori che contribuiscono all’elevazione dei livelli
di leptina nel sangue (per esempio la quantità degli introiti calorici), i valori ritrovati sono risultati strettamente
correlati con la percentuale di grassi nell’organismo.
Quale può essere la spiegazione di questo
apparente paradosso?
Escluso che la leptina dell’obeso presenti modificazioni nella struttura chimica o nella funzione, ne risulta
che l’unica spiegazione dell’aumentata concentrazione
di leptina ritrovata nei soggetti obesi (sia bambini che
adulti) risiede nella diminuita sensibilità alla leptina dei
meccanismi centrali ipotalamici, che regolano gli introiti
di cibo e la spesa energetica, per cui i segnali partiti dagli
adipociti non attivano i meccanismi centrali di regolazione e quindi non riducono, come di norma, l’appetito, e
non aumentano, come di norma, le spese energetiche. In
pratica, nell’obeso viene a mancare un indispensabile
meccanismo di freno all’introito di nutrienti: la resistenza ipotalamica all’azione centrale della leptina porta, in
ultima analisi, a un aumento dell’appetito e a una riduzione delle spese energetiche. Viene ipotizzato che la
leptino-resistenza possa rappresentare in qualche fase
della vita (adolescenza, gravidanza) un normale processo
di crescita e di sviluppo e che l’obesità comporti un’alterazione permanente di questo processo normale di resistenza temporanea all’azione della leptina.
Le influenze genetiche nell’obesità si spiegano quindi
con un mancato meccanismo di autoregolazione.
Nel frattempo sono stati identificati molti bambini che
non producono leptina: essi, pur nati con un peso norma-
283
le, aumentano progressivamente i loro depositi di grasso,
in seguito a un appetito vorace. Bambini di questo tipo
sono rari e sono stati trattati e guariti facilmente con la
somministrazione di leptina ricombinante. Anche in soggetti con lipodistrofia, deficienza di leptina e resistenza
all’insulina, la somministrazione di leptina migliora le
condizioni cliniche e il controllo glicemico, mentre riduce il livello di trigliceridi.
Quindi, sebbene l’assenza di leptina possa causare
obesità nell’uomo, la maggior parte degli obesi ha un
eccesso di leptina, per cui leptina/peso corporeo sono
due componenti che si correlano facilmente. Da questo
punto di vista l’obesità si correla al diabete tipo 2: come
si sa nel diabete tipo 2 è la resistenza all’insulina che
causa la malattia (che almeno inizialmente è presente in
aumentata quantità), mentre nell’obesità la resistenza
all’azione della leptina promuove l’aumento della massa
grassa.
Accanto alla via della leptina è stata dimostrata di
recente la via della melanocortina, una strada altrettanto
eccitante che parte dal nucleo ipotalamico ventro-mediale e, attraverso l’ -ormone stimolante i melanociti, inibisce o stimola l’appetito e aumenta o reprime le spese
energetiche, agendo sui nuclei dell’ipotalamo laterale e
sul nucleo paraventricolare.
Va ricordato che l’obesità è una componente di
molte sindromi genetiche umane rare, quali la sindrome di Prader-Willi (vedi Capitolo 4, pag. 43), la sindrome
di Bardet-Biedl e altre. Inoltre alcuni disordini endocrini
(deficit di ormone della crescita, deficit di ormone tiroideo, ipercotisolismo e pseudoipoparatiroidismo) possono
eccezionalmente presentarsi come un’obesità.
Si può affermare senza ombra di dubbio che in condizioni
normali il bilancio energetico del soggetto in età evolutiva
deve essere in pari, cioè l’energia assunta deve essere uguale
a quella spesa, per l’accrescimento, per il metabolismo basale, per l’attività motoria e per l’effetto termico dei diversi cibi.
In ultima analisi il grasso del corpo aumenta quando
gli introiti di energia superino le spese: questo è tanto più
vero quando si abbia a che fare con piccoli eccessi di
introiti per lunghi periodi di tempo.
Il bambino obeso, nella maggior parte dei casi, non
mangia cibi particolari, come pensano i genitori: egli non
mangia più amidi di quanti non ne mangino i suoi fratelli
o i suoi amici, la verità è che egli mangia troppo di tutto.
Il bambino obeso spende energie, come ogni altro bambino, ma le sue spese sono equivalenti a quelle di un
bambino non obeso e non sono affatto rapportate al suo
peso, perché altrimenti non sarebbe grasso.
Il guadagno in peso, acquisito durante le vacanze,
tende a rimanere: intorno alle festività di Natale il guadagno si aggira intorno a mezzo kg; poiché non risulta
che questo aumento venga perso nei mesi successivi, si
può concludere che esso contribuisce in modo determi-
Capitolo 14.fm Page 284 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
284
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
nante al progressivo aumento del peso corporeo sia durante l’età evolutiva che durante l’età adulta. Deriva
anche da questo, la necessità, alla quale è stato accennato
in precedenza, di attuare un controllo settimanale del
peso (meglio sarebbe giornaliero) per ricondurlo al più
presto alla situazione quo ante. Tanto prima si cerca di
eliminarlo, in confronto al momento dell’acquisizione, e
tanto più facile è riuscire a perderlo.
Bambini che siano oltre l’85° centile di indice di
massa corporea è più facile che continuino a guadagnare
peso e raggiungano l’obesità all’adolescenza, in confronto ai bambini che abbiano un IMC che sia inferiore al 50°
centile; l’identificazione del rischio di obesità aiuta genitori e pediatri a prendere provvedimenti per limitarne
la progressione.
L’eccesivo consumo di bevande dolci è stato di recente ritenuto elemento importante nella genesi dell’obesità:
di qui la necessità di limitare sempre il loro uso (una o al
massimo due confezioni nelle 24 ore) sia nella prevenzione che nel trattamento. Un’eccessiva introduzione di
latte vaccino all’adolescenza può contribuire all’aumento di peso. L’allattamento al seno (vedi pag. 232) protegge dall’obesità durante tutta la vita.
L’obeso diviene spesso resistente anche all’insulina,
per cui i suoi livelli d’insulina circolante sono aumentati:
l’insulina riduce la lipolisi e aumenta la sintesi dei grassi
con l’assunzione di alimenti. Accanto agli aumentati
livelli d’insulina si riscontra una riduzione nel numero
dei recettori cellulari per questo ormone.
farsi pallide e assumere l’aspetto di vere e proprie cicatrici
permanenti. Sono di frequente reperto anche le intertrigini, in corrispondenza delle pieghe di grasso o al di sotto
delle mammelle, e lesioni flogistiche di vario tipo.
L’anticipazione dell’inizio della pubertà nelle ragazze
bianche è stato messo in connessione con il dilagare
dell’obesità. Ne deriva che l’altezza finale può essere
inferiore nell’obesa a quella delle coetanee che hanno
maturato più lentamente.
Altrettanto importanti delle modificazioni somatiche,
sono le variazioni psicologiche che accompagnano
l’obesità. Va riconosciuto che la società moderna non è
comprensiva verso l’obeso: l’obesità viene considerata
come un’ipergratificazione e come un’eccessiva indulgenza verso se stessi. L’ideale per l’aspetto del corpo è
rappresentato dalla magrezza e dalla normoconformazione. Il bambino obeso non piace, è goffo, è goloso, non è
capace di partecipare attivamente e con successo a uno
sport. Egli viene estromesso dal gruppo ed è spesso
escluso da qualsiasi attività. Per tutto questo nel bambino
si creano alterazioni della propria immagine corporea e
insorge una tendenza alla depressione. Questi fenomeni
si accentuano in corrispondenza dell’adolescenza. Non
vi è dubbio che le modificazioni psicologiche contribuiscono in qualche modo a far sì che il bambino si rifugi
nell’alimentazione. La dimostrata anticipazione del menarca negli ultimi decenni si pensa che possa essere
collegata con l’aumentata incidenza del sovrappeso e
dell’obesità fra le ragazze.
Manifestazioni cliniche
L’obesità può manifestarsi a qualunque età, ma esistono alcuni periodi nei quali appare più di frequente: il 1°
anno di vita, fra i 5 e i 6 anni e nell’adolescenza.
L’obesità non solo si manifesta come un eccesso di
peso, ma è responsabile anche di numerose modificazioni psico-sociali e anche di funzioni fisiologiche e di
caratteristiche anatomiche.
Il bambino obeso non è solo più grasso dei suoi
coetanei, ma spesso è anche più alto e ha un’età ossea più
avanzata. Il grasso si localizza alla regione mammaria,
all’addome, che diventa pendulo e che, quando il bambino sta seduto, forma numerose pieghe (bambino “Michelin”). I genitali esterni del soggetto di sesso maschile a
un esame superficiale sembrano poco sviluppati, coperti
come sono dal grasso presente al pube, ma basta premere
con le dita alla base del pene, per fargli riacquistare le
loro effettive dimensioni.
Il grasso si accumula anche sui fianchi, per cui l’incavo
si trova molto più in alto rispetto alla norma, proprio per
la presenza dei “manubri” adiposi. Sono più spesso colpiti gli arti superiori e le cosce; quasi costante è il ginocchio valgo, che a volte raggiunge livelli eccezionali.
Sulla pelle dei fianchi, delle cosce e talvolta anche delle
mammelle è possibile ritrovare, in corrispondenza della
pubertà, le famose strie rubre, rappresentate da smagliature della pelle, ad andamento parallelo e a raggiera, che
col tempo perdono il caratteristico colore rossastro per
Esami di laboratorio e diagnosi
Il soggetto obeso presenta un’elevazione delle concentrazioni di proteina C reattiva e del numero dei globuli
bianchi in confronto alla popolazione non obesa; queste
elevazioni non possono essere spiegate con la presenza
di una malattia o con altri fattori associati: esse sono
probabilmente espressione di minimi processi flogistici
asintomatici e minime lesioni endo-vascolari, legate al
deposito di grassi fin dai primi anni di vita.
Per la comparsa di steatosi epatica e di steatoepatite,
il livello delle aminotransferasi nell’obeso è molto spesso elevato. È possibile che dalla steatosi si passi a vari
gradi di steatosi micro- e macrovescicolare e alla fibrosi
periportale.
Come abbiamo già detto, gli elementi essenziali per
stabilire la diagnosi di sovrappeso sono l’IMC, lo spessore della piega tricipitale e la circonferenza del braccio.
Nei soggetti che risultino con IMC superiore all’85°
centile o addirittura sopra il 95° centile (con un IMC di
30 o più) è necessario approfondire le ricerche, per stabilire l’importanza del quadro e l’eventuale presenza di
fattori di rischio. L’esame deve riguardare:
storia familiare, positiva per malattie cardio-vascolari,
per livello aumentato di colesterolo, per diabete mellito o per obesità nei genitori;
pressione arteriosa elevata, secondo metodi e criteri
ufficiali;
livelli di colesterolo totale superiori a 200 mg/dL, con
Capitolo 14.fm Page 285 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
285
OBESITÀ
aumento delle lipoproteine a densità bassa (LDL) e
molto bassa (VLDL);
forte incremento annuale dell’IMC, con aumento
nell’ultimo anno di 2 unità;
considerazione da parte del paziente della propria situazione di sovrappeso, sia da un punto di vista personale, che emotivo e psicologico.
Meno dell’1% delle obesità in età evolutiva è dovuto a cause diverse dall’eccesso di alimentazione (Tabella 14.31).
Il 34,7% dei bambini adolescenti e obesi ha una pressione arteriosa elevata (27,9% pre-ipertensione e 6,8%
ipertensione): più i soggetti erano obesi e maggiore era
la quantità di lipoproteine a molto bassa densità (40,3%).
Ne consegue che è necessario nei bambini obesi con
indice di massa corporea superiore al 90° centile o meglio all’85° centile valutare l’assetto lipidico.
Un terzo dei bambini e degli adolescenti obesi ha una
sindrome da resistenza all’insulina; tuttavia il diabete
tipo 2 è molto meno frequente. La perdita di peso ( 0,5
dell’indice di massa corporea) si associa costantemente
a un miglioramento della sensibilità all’insulina.
Conseguenze e complicazioni
Il principale rischio dell’obesità in età evolutiva è
quello di trapassare a un’obesità dell’adulto. A parte
questo il rischio principale riguarda la comparsa delle
malattie cardio-vascolari (Tabella 14.32) e l’insorgenza
della steatoepatite. Una forte obesità nel bambino si
associa a una rigidità della parete arteriosa e a disfunzione dell’endotelio, elemento importante nella genesi
dell’ateroma.
L’obesità del bambino si accompagna a un aumento
marcato della sindrome metabolica (vedi Capitolo 22,
pag. 386) e del diabete tipo 2: la curva da carico di
glucosio patologica è un buon indicatore dell’aumentato
rischio.
In giovani adolescenti l’obesità viscerale si accompagna spesso a iperandrogenismo e iperinsulinismo: circa
il 50% del testosterone circolante deriva nelle giovani
Tabella 14.31 - Diagnosi differenziali nell’obesità dell’età
evolutiva.
CAUSE GENERALI
SITUAZIONE PATOLOGICA SPECIFICA
Cause endocrine
Sindrome di Cushing
Ipotiroidismo
Iperinsulinemia
Disfunzione ipotalamica
Sindrome di Prader-Willi
Sindrome dell’ovaio policistico
(Stein-Leventhal)
Pseudoipoparatiroidismo tipo I
Sindrome di Turner
Sindrome di Laurence-Moon-Biedl
Sindrome di Alström-Hallgren
Sindrome di Cohen
Sindrome di Carpenter
Sindromi genetiche
Altre sindromi
Tabella 14.32 - Complicazioni dell’obesità in età evolutiva.
COMPLICAZIONI
GENERALI
SITUAZIONE PATOLOGICA SPECIFICA
Cardio-vascolari
Aumento della pressione arteriosa
Aumento dei livelli di colesterolo totale
Aumento della trigliceridemia
Aumento delle lipoproteine a bassa densità (LDL)
Aumento delle lipoproteine a densità molto bassa (VDL)
Diminuzione delle proteine ad alta densità (HDL)
Iperinsulinismo e aumento della resistenza all’insulina
Diabete mellito non insulino-dipendente
Nei soggetti di sesso femminile:
• menarca precoce
• menopausa precoce
• disordini mestruali
• sindrome dell’ovaio policistico
Nei soggetti di sesso maschile:
• diminuiti livelli di testosterone
• oligospermia
• aumentati livelli di estradiolo
Colelitiasi
Steatoepatite (spesso con ipertransaminasemia), fibrosi periportale, cirrosi
Sindrome di Pickwick: apnea ostruttiva nel
sonno
Ipoventilazione polmonare primaria
Asma
Alterazioni della funzione polmonare
Endocrine
Gastro-intestinali
Polmonari
Muscoloscheletriche
Osteoartrite
Malattia di Blunt (tibia vara)
Epifisi femorali punteggiate
Neurologiche
Pseudotumor cerebri
donne dal tessuto adiposo. D’altra parte l’insulino-resistenza stimola l’ovaio e il surrene a produrre androgeni.
Ne consegue spesso un elevato rischio di disordini mestruali e dell’esordio precoce della sindrome dell’ovaio
policistico, quadro reversibile con il calo ponderale.
L’obesità infine determina molte alterazioni cardiache, sia strutturali che emodinamiche: essa induce un
aumento del flusso sanguigno e della gittata cardiaca, con
conseguente tendenza all’aumento della pressione arteriosa. Le apnee notturne che così spesso si riscontrano
nell’obeso, affetto da apnea ostruttiva nel sonno (vedi
Capitolo 36, pag. 851), possono contribuire all’ipertensione dell’arteria polmonare. Tutto questo conduce a una
cardio-miopatia.
Comunque è da evitare di collegare direttamente un
elevato indice di massa corporea con un aumento della
mortalità totale: recenti studi hanno messo in evidenza
che:
pazienti in sovrappeso con indice di massa corporea
fra 25 e 30 hanno un minor rischio di mortalità totale
e di mortalità per cause cardio-vascolari;
pazienti obesi (IMC fra 30 e 35) non hanno un aumen-
Capitolo 14.fm Page 286 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
286
tato rischio di mortalità totale e per malattie cardio-vascolari;
pazienti fortemente obesi (IMC 35) non hanno un
aumento della mortalità totale, ma hanno un rischio
maggiore di mortalità cardio-vascolare.
Questi rilievi dimostrano che l’indice di massa corporea non è in grado di discriminare la massa magra e la
massa grassa del nostro corpo.
Come abbiamo visto l’obesità si associa spesso a un
aumento, per lo più modesto, delle aminotransferasi,
riconducibile a una steatosi epatica non-alcolica. Alcuni
di questi casi di steatosi evolvono in fibrosi epatica, fino
alla cirrosi, con modificazioni non più transitorie, ma
permanenti. I soggetti in sovrappeso od obesi, soprattutto
se di sesso femminile, vanno incontro a deformità degli
arti inferiori (ginocchio valgo soprattutto) che li predispongono ad alterazioni ossee nelle età succesive e a
traumi di vario tipo, fino alle fratture.
Casi di pseudotumor cerebri sono stati descritti, con
una frequenza 15 volte il normale, in soggetti con elevato
indice di massa corporea.
L’obesità e l’insulino-resistenza condizionano uno
stato “microinfiammatorio” (vedi pag. 284) che sta alla
base delle più gravi complicazioni cardio-vascolari ed
epatiche. La popolazione obesa ha una maggiore tendenza a sviluppare infezioni di vario tipo, comprese quelle
post-operatorie, e a presentare delle complicazioni, come
conseguenza dell’infezione.
Gli adolescenti sovrappeso e obesi vengono emarginati nella società.
Il sovrappeso e l’obesità possono contribuire a un’insufficiente capacità di allattamento al seno nelle prima
settimana dopo il parto.
È stato notato un aumento nel numero delle morti in
donne obese con ridotta attività fisica: obesità e inattività
sono due forti predittori, che agiscono indipendentemente. Una perdita degli anni di vita è stata notata d’altra
parte in ambedue i sessi.
Prevenzione e trattamento
È ormai chiaro che la prevenzione del sovrappeso e
dell’obesità deve inziare prima della gravidanza e deve
continuare nella prima infanzia.
Nel campo della prevenzione il pediatra deve avvertire la famiglia che è inutile somministrare nutrienti al di
là di quanto non richieda l’istinto del bambino, che è
necessario ridurre il numero delle ore che il bambino
passa davanti al televisore, e che è sempre utile spendere
energia per camminare, per l’esecuzione di esercizi ginnici a domicilio o per praticare qualche sport.
L’Accademia Americana di Pediatria raccomanda che
tutti i bambini con almeno due fattori di rischio (storia
familiare di diabete mellito tipo 2, screening per il diabete mellito tipo 2 a partire dall’età di 10 anni, appartenenza
a gruppi etnici suscettibili, ipertensione, dislipidemia,
acantosi nigricans, sindrome dell’ovaio policistico)
siano sottoposti ad accertamenti, a partire dall’età di 10
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
anni, e successivamente ogni 2 anni. La curva da carico
di glucosio è la prima prova per lo screening del diabete
mellito tipo 2 nel bambino e nell’adolescente.
Bastano 50 calorie in più al giorno per aumentare di peso 2,5
kg in un anno. 50 calorie corrispondono a:
• 1 cucchiaino di burro;
• 2 cucchiaini e mezzo di zucchero.
Un basso peso alla nascita per l’età gestazionale, indice di insufficienza placentare, fumo materno in gravidanza, o alternativamente macrosomia per diabete materno
gestazionale, possono essere associati successivamente a
obesità.
Per prima cosa il pediatra, di fronte a un bambino
obeso, deve domandare ai genitori se essi sono d’accordo
con questa diagnosi: a volte il bambino obeso giunge
all’ambulatorio del pediatra per una malattia intercorrente e il rilievo dell’obesità è occasionale. Una volta trovato
l’accordo coi genitori è bene accertare se essi siano
convinti che essere obesi comporta un certo rischio per
la salute, attuale e futura, del bambino; se la risposta è sì,
va posta l’ultima domanda, quella dalla quale dipende il
successo o meno della vostra opera: “il bambino e la
famiglia sono coscienti che per dimagrire sono necessari
un forte impegno e una qualche sofferenza da parte di
tutti?”. Se le risposte sono tutte positive, il pediatra può
offrire la propria opera per cercare di risolvere il sovrappeso del bambino.
In un bambino già obeso queste possono essere le
linee direttive:
ridurre gli introiti alimentari (meglio se sotto la guida
di un dietista, ma sempre sotto il controllo del pediatra);
aumentare i consumi;
coinvolgere la famiglia, attraverso il colloquio, dal
quale deve risaltare la difficoltà di raggiungere anche
un parziale successo;
conquistare la fiducia della famiglia e del bambino per
aumentare le probabilità di successo.
Una restrizione calorica media può essere iniziata in
qualsiasi bambino obeso o sovrappeso, quando la famiglia sia motivata a cambiare la abitudini alimentari. Tuttavia una riduzione o un arresto del peso si raggiungono
più facilmente con un aumento della spesa energetica.
Sono sempre da prescrivere un ridotto consumo degli
zuccheri semplici e un aumentato consumo di fibre.
Molta importanza è stata data all’induzione del senso
di sazietà dopo un pasto. A questo proposito è stato fatto
riferimento all’indice glicemico, che misura gli effetti di
un alimento sui livelli post-prandiali della glicemia; esso
viene definito come l’area al di sotto della curva di
risposta glicemica dopo il consumo di 50 g di carboidrati,
con riferimento al pane bianco o al glucosio. I cibi che
evocano un rapido aumento dei livelli della glicemia
Capitolo 14.fm Page 287 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
287
ALTRI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
sono chiamati “ad alto indice glicemico”, mentre quelli
che determinano una minima fluttuazione sono chiamati
“a basso indice glicemico”. Le diete a basso indice
glicemico hanno bassi livelli di glicemia, scarsa risposta
in insulina, migliorano il profilo dei lipidi, aumentano la
sensibilità all’insulina e riducono la lipogenesi. Le diete
a basso indice glicemico sono utili nei bambini e negli
adolescenti obesi, nei quali le percentuali di secrezione
d’insulina sono generalmente più alte di quelle presenti
nei loro coetanei magri; con questa dieta il prolungato
senso di sazietà, associato con i cibi a basso indice
glicemico, è un metodo efficace per ridurre l’introito
calorico e per ottenere un controllo del peso di lunga
durata. Nella pratica una dieta a basso indice glicemico
consiste di carne di pollo, verdure con condimento, frutta
e biscotti a pranzo, insieme a prosciutto, formaggio e una
mela a cena.
Un aumento dell’attività motoria è sempre fortemente
opportuno.
Va escluso nel bambino qualsiasi trattamento farmacologico rivolto alla soppressione del senso della fame.
Qualche studioso limita l’intervento farmacologico nel
bambino e nell’adolescente ai soggetti che abbiano un
IMC al 95° percentile o più. Tra i farmaci anoressizzanti
l’unico agente approvato in età pediatrica è la sibutramina, un inibitore non selettivo della riassunzione della
serotonina, della norepinefrina e della dopamina. Tuttavia il soggetto trattato va controllato strettamente perché
sono stati descritte, durante il trattamento, che non deve
durare più di 2 anni, lieve ipertensione e tachicardia.
L’orlistat, un inibitore della lipasi pancreatica, che aumenta le perdite fecali di trigliceridi, ha permesso di
ottenere buoni risultati. Negli Stati Uniti l’orlistat è indicato in soggetti di età superiore ai 12 anni.
È opportuno che il trattamento farmacologico venga
preso in considerazione nelle forme complicate di obesità o quando fallisca il nostro intervento sullo stile di vita
e sulle abitudini alimentari.
Per il trattamento della steatoepatite è stata suggerita
la somministrazione di vitamina E; l’acido ursodesossicolico non ha dimostrato alcuna efficacia.
Il consumo di latte e latticini ha una forte associazione
inversa con la sindrome di resistenza all’insulina fra
adulti obesi, tanto da ridurre il rischio di diabete tipo 2 e
di malattie cardio-vascolari.
Camminare e correre richiedono spese energetiche
maggiori per il bambino obeso. Non è tanto difficile far
perdere peso a un bambino nei primi mesi di cura, quanto
è difficilissimo impedire che egli in breve tempo, se
l’impegno della famiglia si attenua, riprenda il suo sovrappeso iniziale. Da un punto di vista generale non è
tanto importante perdere peso, quanto instaurare un diverso rapporto con il cibo. Se riusciamo a mantenere il
peso, riscontrato alla prima visita, alla fine del semestre
successivo, dobbiamo considerarlo un evidente successo, perché nel frattempo l’indice di massa corporea si
localizza in un binario inferiore, perché, come abbiamo
visto, le curve dell’indice di massa corporea crescono
con l’aumentare dell’età.
Non conviene quindi impegnarsi in un soggetto in via
di sviluppo nel tentativo di farlo diminuire di peso; il
nostro obiettivo, altrettanto valido, deve essere quello di
mantenere il peso nel tempo. Questa sarebbe già una
bella vittoria.
ALTRI DISTURBI DEL
COMPORTAMENTO ALIMENTARE
I disturbi del comportamento alimentare comprendono situazioni molto complesse, legate a condizioni psicologiche, biologiche e sociali. Esse si distribuiscono in
un continuum che va dalla assoluta normalità al paziente
affetto dal quadro più grave, assumendo caratteristiche
diverse a seconda dell’età.
La frequenza con la quale queste manifestazioni si
presentano in età evolutiva rende necessario che il pediatra acquisisca le nozioni indispensabili per impostare
prima il sospetto e poi la diagnosi di queste diverse situazioni, che, solo apparentemente, sembrano essere costituite da fenomeni contrari, quali l’anoressia e la bulimia.
Anoressia nervosa
L’anoressia infantile, cioè l’anoressia secondaria dei
primi 2-3 anni di vita, legata a fattori psico-sociali per un
alterato rapporto madre/figlio, pur essendo una situazione assolutamente diversa dalla anoressia nervosa, ha
comunque degli effetti diretti sia sull’accrescimento staturo-ponderale che sullo sviluppo cognitivo.
Completamente diversi il quadro e le conseguenze
dell’anoressia nervosa che colpisce soprattuto soggetti
di sesso femminile in corrispondenza della pubertà.
L’aumentata incidenza e prevalenza dell’obesità,
dell’anoressia e della bulimia nervosa nei bambini e negli
adolescenti ha reso indispensabile che il pediatra divenga
familiare con la precoce identificazione e con l’appropriato trattamento dei disordini della nutrizione. Durante
l’ultima decade, la prevalenza dell’obesità nei bambini e
negli adolescenti è aumentata in modo significativo, accompagnandosi a un’enfasi poco salutare nel prescrivere
diete e a perseguire perdite di peso.
Oggi si pensa che negli Stati Uniti lo 0,5% delle adolescenti soffra di anoressia nervosa e che dall’1 al 5%
risponda ai criteri della bulimia nervosa. Dal 10 al 15% di
tutti i casi sono rappresentati dai maschi. Accanto a questi
c’è un numero molto più largo di soggetti con forme più
lievi, che non rientrano nei criteri del Diagnostic and
Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-IV) per
l’anoressia e la bulimia nervose.
In Italia nel 2000 sono stati identificati 65.000 soggetti
con anoressia o bulimia, con 8.500 nuovi casi all’anno.
La causa dell’anoressia mentale è sconosciuta.
In una buona percentuale di casi la malattia fa seguito
Capitolo 14.fm Page 288 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
288
a tentativi di perdere peso, che improvvisamente sfociano nella paura di essere grassi e nella costante preoccupazione di divenire sempre più sottili.
Il pediatra deve essere sempre pronto a sospettare
un’anoressia mentale in un adolescente che dimostri
un’evidente perdita di peso; egli inoltre, per quanto riguarda la prevenzione, deve tener sempre presente la
possibilità di sviluppo dell’affezione, ogni volta che si
trovi di fronte a un adolescente con peso lievemente
superiore al normale. Egli deve cercare di convincerlo ad
alimentarsi nel modo più adatto e deve spingerlo verso la
pratica di uno sport: non deve mai intervenire in modo
pesante, ma deve, come sempre, dimostrarsi disponibile
e comprensivo nei suoi confronti.
Sono stati individuati alcuni fattori predisponenti, fra
i quali in primo luogo un comportamento perfezionista,
scarsa stima di se stessi e in ben il 40% dei casi una storia
di leggero sovrappeso (Tabella 14.33).
Un altro costante aspetto che caratterizza l’anoressia
mentale è l’evidente piacere del paziente di aver raggiunto un basso peso, per ragioni personali ed emotive. Al
contrario, ogni aumento in peso anche minimo determina
uno stato di grave ansietà, che viene immediatamente
superato quando l’aumento in peso sia scomparso. Le
ragazze affette da anoressia nervosa sono delle brave
cuoche e delle scolare diligenti.
Nonostante la riduzione dell’introito di nutrienti, solo
eccezionalmente si manifestano segni o sintomi di carenze vitaminiche, ma i capelli cadono di frequente, mentre
sulle spalle e al volto compare una peluria sottile, simile
a lanugine. La pelle è ruvida, con una desquamazione
furfuracea.
Nei confronti della dieta prevalgono due comportamenti antitetici:
il primo è caratterizzato dal digiuno, dall’astinenza o
dalla forte restrizione;
il secondo è rappresentato dalla bulimia occasionale,
che si manifesta in improvvisi impulsi a mangiare in
gran quantità, spesso un solo tipo di alimento. Alla
fine dell’abbuffata viene sovente provocato il vomito,
o vengono usati lassativi e diuretici per impedire la
comparsa di un aumento di peso. L’esecuzione di eserTabella 14.33 - Elementi per la diagnosi di anoressia
nervosa.
• Sforzi per scendere di peso al di sotto del minimo per l’età e per
l’altezza
• Calo di peso al di sotto del 15% di quello ideale e insufficienza
a seguire il naturale guadagno in peso durante la crescita, con
la conseguenza di avere un peso che è al di sotto del 15% di
quello che ci si aspetta per l’età e per l’altezza
• Alterazione dell’immagine corporea: sentirsi grassi, nonostante
l’evidente stato di estrema magrezza
• Intensa paura d’ingrassare, anche di fronte a un’evidente perdita di peso
• Assenza di almeno 3 cicli mestruali
• Nessuna malattia che giustifichi la perdita di peso
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
cizi sfrenati è un altro metodo per tenere il peso sotto
controllo.
Altri aspetti comprendono la bradicardia, l’osteopenia, il ritardo nello svuotamento gastrico, la linfopenia,
l’ECG a basso voltaggio, la diminuzione del FEV1, l’ipotermia, la miopatia, la neuropatia e, nelle forme gravissime, i segni della sofferenza cerebrale. Alla risonanza
magnetica è evidente un deficit della sostanza grigia, che
persiste anche quando il peso sia stato riacquistato.
Il livello di leptina è molto basso.
Nella maggioranza delle pazienti l’amenorrea, che
insorge quando il peso scende al di sotto dei limiti normali, è dovuta ai bassi livelli ematici di ormone luteinizzante, che porta a una ridotta stimolazione ovarica, a
bassi livelli di estriolo e di progesterone. Le modificazioni nell’asse ipotalamo-ipofisi-tiroide comportano un abbassamento dei livelli ematici di T3 e di T4. La produzione di cortisolo è alta: l’impiego del desametazone non
modifica, come di norma, i livelli di cortisolo. Il guadagno in peso e il raggiungimento dei livelli normali correggono tutte le modificazioni endocrine già descritte nei
soggetti con anoressia mentale.
La diagnosi differenziale prevede: la malattia di Addison, l’ipertiroidismo, il diabete mellito, la presenza di
tumori, la tossicodipendenza, la depressione primaria, la
schizofrenia e i disordini ossessivo-compulsivi.
È essenziale che il trattamento sia di tipo multidisciplinare (pediatra, psicologo, neurologo, dietista), basato
soprattutto su un programma alimentare e su una terapia
individuale e familiare. Il trattamento risulta sempre
molto difficile, perché spesso la famiglia nega l’esistenza
della malattia e ne maschera i sintomi. Lo scopo del
trattamento è quello di ripristinare il giusto peso e di
ristabilire un corretto comportamento alimentare. Un
adeguato apporto di nutrienti, eventualmente per via
endovenosa, è d’altra parte essenziale per salvare la vita
di questi pazienti, ammalatisi acutamente: il ricovero in
ospedale (quando la perdita di peso superi il 25%) e il
momentaneo allontanamento dalla famiglia possono essere necessari. Da ricordare che l’anoressico, mentre
rifiuta il cibo, accetta quasi volentieri le medicine e le
diverse prescrizioni mediche, purché non riguardino i
nutrienti. Una volta superata la fase acuta, prima d’iniziare il trattamento vero e proprio è bene, alla presenza
del paziente e dei genitori, stabilire, attraverso la discussione e il compromesso, uno schema preciso di trattamento. Se il trattamento ha successo, si passa a un’alimentazione su base volontaria con l’assunzione di pasti
regolari. Il trattamento deve prevedere anche la cura di
alcune complicazioni, come la disidratazione, l’ipopotassiemia, le gravi disritmie, o la sospensione dell’uso
improprio di alcuni farmaci, come lassativi e diuretici.
Chi segue direttamente il paziente deve anche tener conto
della possibilità, relativamente frequente, di tentativi di
suicidio o di suicidi veri e propri.
In qualche caso è indicata una terapia antidepressiva
o di stimolo dell’appetito: in questo caso la ciproeptadina (Periactin) trova la sua vera indicazione.
Capitolo 14.fm Page 289 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
289
ALTRI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Tabella 14.34 - Caratteristiche rispettive dell’anoressia e della bulimia nervosa.
ANORESSIA NERVOSA
Forte preoccupazione per il cibo
Perdita di peso
Sesso femminile
Storia familiare
Metodi per controllare il peso
Senso di colpevolezza e di vergogna
Negazione del fenomeno
Personalità
Età d’esordio
Endocrinopatia/metabolismo
Complicazioni cardio-vascolari
Complicazioni gastro-intestinali
Aspetti psichiatrici
BULIMIA NERVOSA
Sì
Grave
95%
Positiva per anoressia mentale
Grave restrizione alimentare, vomito,
esercizio fisico
Nessuno
Sì
Ritirata, asessuale
Bimodale: 13-14 anni e 17-18 anni
Amenorrea, aumento dell’ormone
della crescita, osteoporosi, ipotermia,
ipercarotenemia
Bradicardia, ipotensione, aritmie
Stitichezza, elevazione dell’attività
degli enzimi epatici
Depressione, suicidio, paure ossessive
A distanza di 21 anni dalla remissione, poco più della
metà dei soggetti risulta completamente guarito, il 20%
circa si ritrova in una situazione intermedia, mentre il
26% ha avuto un’evoluzione sfavorevole; il 15,6% del
totale (tutti i soggetti appartenevano all’ultimo gruppo)
era andato incontro a morte, per condizioni collegate
all’anoressia mentale. In tempi più brevi il rischio di
recidiva è del 30-40% e la letalità si aggira fra il 3 e il
5%; nei sopravvissuti la persistenza di problemi psicologici è elevata (20%).
Bulimia nervosa
Pur sembrando superficialmente che la bulimia sia il
contrario dell’anoressia, se si osservano meglio i due
fenomeni sulla base di quanto rilevato in un sempre
maggior numero di soggetti, risulta evidente che esistono
fra i due quadri molti punti di contatto, che giustificano,
come fanno molti studiosi, la descrizione dell’anoressia
mentale e della bulimia nello stesso capitolo.
Il comportamento di un paziente con bulimia mentale
è caratteristico: rimane preda di episodi, sempre più
frequenti, di abbuffamento, senza riuscire a controllare
la sua iperalimentazione. Abbiamo già visto come episodi di bulimia possano in qualche paziente entrare a far
parte del quadro di un’anoressia nervosa (Tabella 14.34).
L’applicazione di una dieta, in un soggetto con peso di
poco superiore al normale, è, nella maggior parte dei casi,
una precondizione necessaria per lo sviluppo della bulimia. La prevalenza è intorno al 5%, con un rapporto
femmine/maschi di 5-6:1, cioè un po’ più basso di quello
dell’anoressia mentale.
Durante la crisi di bulimia il paziente ingerisce quantità impensabili del cibo proibito, quasi sempre ricco in
Sì
Fluttuante
90-95%
Positiva per depressione
Restrizione e crisi bulimiche con vomito indotto
e uso di diuretici e lassativi
Sì
No
Libera, eterosessuale
17-25 anni
Irregolarità mestruali, ipopotassiemia
Miocardite e infarto miocardico acuto da ipecacuana,
usata per procurarsi il vomito
Dilatazione e rottura gastrica, esofagite, tumefazione
delle parotidi, erosione dello smalto dei denti
Comportamenti impulsivi, dipendenza da alcol
o da droghe, depressione, suicidio
carboidrati e in grassi (Tabella 14.35), ma può mangiare
anche gli avanzi di cibo, assolutamente non graditi al
palato. I cibi vengono assunti con grande rapidità e di
nascosto, senza tener conto del gusto. Il vomito conclude
spesso la crisi bulimica: la maggior parte delle alterazioni
metaboliche è un effetto diretto del vomito.
Confrontando un paziente bulimico con uno con anoressia nervosa, è più facile riscontrare nei soggetti con
bulimia alterazioni della personalità, difficoltà a controllare gli impulsi (piccoli furti, tossicodipendenza, promiscuità sessuale), storia personale o familiare di alterazioni affettive, insieme a una risposta positiva ai farmaci
antidepressivi. Questi pazienti risultano spesso imbarazzati, si sentono colpevoli, si vergognano delle loro crisi
bulimiche.
Si deve sempre adottare un avvicinamento multidisciplinare al problema (dietisti, educatori, psicologi, psichiatri, pediatri, neurologi): i farmaci antidepressivi trovano una corretta indicazione. Il 5% di questi pazienti
tenta il suicidio.
Intolleranze e allergie alimentari
Una persona mangia nella sua vita da 2 a 3 tonnellate
di alimenti, ma, nonostante questo, la maggior parte degli
individui non mostra reazioni contrarie ai cibi. Tuttavia,
circa il 25% di essi pensa di avere una reazione allergica
a un alimento, anche se in realtà la prevalenza di questi
disturbi è molto inferiore e va dal 2 all’8% nei bambini
piccoli fino a meno del 2% nell’adulto.
Le più comuni fonti di allergia o intolleranza nel
bambino sono rappresentate dal latte vaccino (2%), dalle
uova (1,3%), dalle noccioline (0,5%), dalla soia, dal
grano, dalle noci, dai pesci e dai frutti di mare.
Capitolo 14.fm Page 290 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
290
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
Tabella 14.35 - Criteri diagnostici nella bulimia nervosa secondo il DSM-IV.
• Episodi ricorrenti di alimentazione sfrenata, con rapido consumo di grandi quantità di cibo in brevi periodi di tempo: almeno 2 episodi alla
settimana per 3 mesi
• Eccessivo interessamento per la forma e per il peso del corpo
• Almeno 3 delle 5 situazioni riportate:
– consumo di cibi altamente calorici, spesso difficilmente digeribili, durante un’abbuffata
– consumo di altri cibi relativamente basso, durante una crisi di bulimia
– alla fine della crisi bulimica, dolori addominali, vomito indotto, sonno e interruzione dei rapporti sociali
– ripetuti tentativi di perdere peso con diete restrittive, purganti, diuretici e vomito provocato
– frequenti fluttuazioni del peso, di oltre 4,5 kg, sia verso l’alto che verso il basso
• Consapevolezza di avere un anormale comportamento alimentare, paura di essere incapace di fermare l’introduzione di cibo con la volontà;
mancanza assoluta di controllo durante la crisi bulimica
• Depressione e autocommiserazione dopo la crisi
• Esclusione dell’anoressia nervosa e di cause fisiche conosciute degli episodi di bulimia
Le reazioni alimentari contrarie, cioè le risposte
anormali all’ingestione di un alimento (Tabella 14.36),
possono essere suddivise per quanto riguarda la causa in:
reazioni contrarie non immunomediate (Tabella
14.37);
reazioni contrarie immunomediate (Tabella 14.38 e
Figura 14.15), da suddividere in IgE-mediate e non
IgE-mediate.
L’avvelenamento, chiamato ciguatera, è la più comune causa non immune di malattia di origine alimentare,
dovuta a sostanze chimiche presenti in alcuni pesci
tropicali, che si sono alimentati con alghe dinoflagellate.
La malattia è caratterizzata inizialmente da gravi sintomi gastro-intestinali, seguiti da compromissione neurologica.
Nei Paesi occidentali la più comune intolleranza è
quella al lattosio, presente nel latte vaccino, per deficienza della lattasi intestinale. La mancanza dell’enzima
porta a un’aumentata concentrazione di lattosio nel colon, dove i batteri lo convertono in CO2, idrogeno e
acqua. I sintomi, legati a un’eccessiva produzione di gas,
comprendono crampi addominali, flatulenza e diarrea. In
Italia altre condizioni ereditarie-metaboliche sono l’insufficienza pancreatica e la deficienza di glucosio-6fosfato-deidrogenasi.
Un fenomeno molto frequente nelle reazioni immuni
a carico dell’apparato gastro-intestinale è quello della
tolleranza, cioè, della scomparsa, dopo anni dall’inizio,
della sintomatologia legata all’introduzione, per esempio, delle proteine del latte vaccino. Un soggetto diventa
tollerante quando una proteina alimentare può entrare in
circolo o può venire in contatto con tutte le cellule immuni senza indurre una manifestazione immunologica.
In seguito all’acquisizione della tolleranza, un bambino
che nel 1° anno di vita aveva dimostrato la comparsa di
sintomi (vomito, diarrea, sintomi generali) al contatto
con le proteine del latte vaccino, durante il 2° anno, o
Tabella 14.37 - Cause di reazioni contrarie non immunomediate.
Metaboliche
Tabella 14.36 - Manifestazioni immuni indotte dagli alimenti.
SEDE DELLA REAZIONE
Cute
Albero respiratorio
Apparato gastro-intestinale
Generalizzata: anafilassi
TIPO DI REAZIONE
Orticaria acuta e angioedema
Orticaria da contatto
Orticaria cronica e angioedema
Dermatite atopica
Dermatite erpetiforme
Rinite allergica
Asma
Emosiderosi polmonare indotta
dagli alimenti
Enterite acuta
Indotta dai cibi
Indotta dall’esercizio
(Modificata da Spergel J.M. e Pawlowski N.A.: Food allergy: mechanism,
diagnosis and management in children, Pediatr Clin North Am 49:73-96,
2002.)
Farmacologiche
Tossiche
Infettive
Disaccaridasi deficienza: deficienza di lattasi
Favismo: deficienza di glucosio-6-fosfatodeidrogenasi
Insufficienza pancreatica: fibrosi cistica
Galactosemia
Fenilchetonuria e altri errori congeniti del
metabolismo
Caffeina
Istamina
Tiramina
Aromi e conservanti: metabisolfito di sodio
Colori: tartrazina
Tossine batteriche o fungine: Clostridium
botulinum, aflatossine
Tossine dei pesci: tonno, sgombro
Chimiche: ciguatera
Contaminanti: metalli pesanti, pesticidi
Parassiti: Giardia
Batteriche: Salmonella sp.
Virali: epatite
(Sampson H.: Food allergy II: diagnosis and management, J Allergy Clin Immunol 103:981-9, 1999.)
Capitolo 14.fm Page 291 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
ALTRI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Tabella 14.38 - Reazioni contrarie immuno-mediate a
carico dell’apparato gastro-intestinale.
TIPO D’IMMUNOMEDIAZIONE
QUADRO CLINICO
IgE-mediate
Allergia orale
Ipersensibilità immediata dell’apparato gastro-intestinale (vomito, nausea, coliche, dolori addominali, diarrea)
Non IgE-mediate
Enteropatia da proteine alimentari
Enterocolite, proctite, enteropatia
indotte dalle proteine alimentari
(FPIES): vomito e diarrea, associati a quadro shock-simile
Proctite da proteine alimentari
Meccanismi immuni misti
(IgE e cellule T)
Esofagite eosinofila
Gastrite eosinofila
Gastroenterite eosinofila
Figura 14.15 - Valutazione di
sintomi gastro-intestinali, sospetti di essere IgE-mediati.
291
meglio al suo compimento, tollera al 100% queste proteine, che non sono più capaci d’indurre una reazione
immune.
Per definire una reazione contraria immunologica
IgE-mediata è necessario che essa avvenga rapidamente,
spesso entro pochi minuti e sempre prima di due ore e
mezzo. Le forme intestinali immuni non IgE-mediate
iniziano in generale dopo 1,5 ore dall’ingestione dell’alimento; anche nelle forme miste l’inizio dei sintomi è
ritardato.
È stato visto che ritardare l’esposizione iniziale ai
cereali dopo i 6 mesi può amentare, invece che diminuire,
il rischio di sviluppare un’allergia al frumento.
La sola terapia efficace per l’allergia alimentare è
l’allontanamento dell’alimento in causa. I farmaci vengono usati in generale solo per trattare alcuni sintomi
atopici specifici; a volte gli steroidi per via orale sono
indicati nelle gravi enteropatie. Tutti i pazienti a rischio
di anafilassi debbono essere abituati a riconoscere i primi
Capitolo 14.fm Page 292 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
292
14 - NUTRIZIONE ED EVENTI PATOLOGICI AD ESSA COLLEGATI
sintomi e a trattare adeguatamente le eventuali crisi di
anafilassi. L’adrenalina autoiniettabile rappresenta un
mezzo essenziale, da mettere a disposizione dei soggetti
ad alto rischio.
ALIMENTAZIONE IN ALCUNE
SITUAZIONI NORMALI
E PATOLOGICHE
Nutrizione enterale e parenterale
Esistono alcune controindicazioni all’alimentazione
per via orale, rappresentate dalle ostruzioni e dalle perforazioni intestinali, dalla ritenzione gastrica, dalle
gravi emorragie gastro-intestinali, dalle malattie croniche intestinali o dalla prematuranza: tutte situazioni che
richiedono vie alternative per la somministrazione dei
nutrienti.
Altre volte, in occasione di situazioni di ridotta digestione intestinale o d’ipersensibilità alle proteine del latte, vengono usate diete, cosiddette elementari, costituite
da idrolisati proteici spinti (vedi pag. 250), che hanno
come caratteristica comune quella di essere poco palatabili. In questi casi, specialmente nei bambini più grandi,
la soluzione viene somministrata, mediante un tubino
naso-gastrico, direttamente nello stomaco (alimentazione enterale); questa via di somministrazione è molto
usata anche nei pretermine e nei bambini che abbiano
comunque difetti della deglutizione o in quelli nei quali
si voglia forzare l’assunzione di cibo. Nei casi più gravi
all’alimentazione enterale va associata l’alimentazione
parenterale per via venosa.
Esistono alcune complicazioni che possono insorgere
in seguito all’inserzione di un catetere naso-gastrico:
prima fra tutte l’erosione del setto nasale, la risalita del
catetere in esofago e la successiva discesa nelle vie aeree,
il passaggio dallo stomaco al duodeno o, infine, la perforazione della parete gastrica. I cateteri di silastic riducono
l’incidenza delle complicazioni. Se si prevede che l’alimentazione enterale debba durare a lungo, si può ricorrere a una gastrostomia percutanea, con posizionamento
di un catetere.
La nutrizione parenterale va presa in considerazione
quando non sia possibile un apporto alimentare adeguato
alla crescita normale, con la più semplice alimentazione
enterale: nonostante questo, in ogni caso l’alimentazione
enterale rimane la preferita, perché più fisiologica, meno
costosa e gravata da minori complicazioni. Spesso la
nutrizione parenterale completa quella enterale, almeno
finché quest’ultima sia in grado di fornire una parte
relativamente elevata di nutrienti.
La nutrizione parenterale trova la sua indicazione
nelle anomalie congenite gastro-intestinali, nelle enteriti
necrotizzanti gravi, nella sindrome dell’intestino corto,
nella diarrea intrattabile, che non risponde all’alimentazione enterale. Ma essa può trovare un utile impiego
anche in pazienti con traumi estesi, ustioni, malattie
maligne, insufficienza di molteplici organi e apparati e,
nelle forme gravi, di malattie infiammatorie croniche.
Nella maggior parte dei casi per la nutrizione parenterale viene usata una via di accesso venosa periferica,
sostituita da una via di accesso centrale quando quella
periferica non sia più praticabile. Nel caso in cui si
preveda un uso prolungato, può essere istituita fin
dall’inizio una via di accesso centrale. Mediante soluzioni dei diversi nutrienti si somministrano calorie, aminoacidi, elettroliti, vitamine, minerali (eccetto il ferro),
elementi traccia e acidi grassi essenziali. Le calorie non
proteiche sono costituite da carboidrati (glucosio) e da
un’emulsione di lipidi al 20%.
Le soluzioni usate per la nutrizione parenterale periferica sono costituite da:
soluzione di glucosio al 10-12%;
soluzione di aminoacidi al 2-3% o più (per fornire 0,82 g di proteine/kg/24 ore nei bambini di qualche anno,
di 1,5-3 g/kg/24 ore nei nati a termine e di 2,5-3,5/kg/
24 ore nei pretermine);
lipidi, all’inizio 0,5-1 g/kg/24 ore per arrivare a 2-4 g/
24 ore (compresi di acidi grassi essenziali).
La densità calorica delle soluzioni di glucosio e di
aminoacidi è limitata dall’osmolarità delle soluzioni
(10% di glucosio = 550 mOsm), poiché soluzioni con
un’osmolarità superiore a 600 mOsm/l causano flebite
nelle vene periferiche. Sono i lipidi, dotati di elevata
densità calorica e di bassa osmolarità, che forniscono le
calorie necessarie rimanenti. Da tener presente che le
necessità caloriche per via venosa sono del 10% inferiori
a quelle richieste nell’alimentazione enterale, per la mancanza di perdite con le feci e di spese caloriche, in seguito
all’effetto termico dei nutrienti.
Le soluzioni usate per la nutrizione parenterale centrale differiscono da quelle usate per l’accesso periferico,
soprattutto per la concentrazione di glucosio, che può
essere elevata al 20% e, in rari casi, fino al 30%. La
concentrazione di aminoacidi, di minerali traccia e di
vitamine va adattata al singolo paziente. Il catetere viene
posizionato chirurgicamente in una branca della vena
succlavia o della vena giugulare e attraverso un tunnel
nel sottocute viene messo in comunicazione con l’esterno a livello della parete anteriore del torace; esso viene
spinto prossimalmente fino all’atrio destro. L’elevato
flusso ematico nelle vene centrali diminuisce il rischio
nell’uso di soluzioni altamente concentrate.
Nel corso della nutrizione parenterale vanno di continuo controllati il catetere, la sua sede d’infissione nella
cute, il bilancio dei liquidi e degli elettroliti, la crescita e
le risposte metaboliche del bambino.
Gli esami di laboratorio comprendono la determinazione della glicemia, dell’azoto ureico, della creatinina,
del calcio, del fosforo, del magnesio, della bilirubina
(coniugata e non coniugata), dell’albumina, degli enzimi
epatici e dei trigliceridi: essi vanno determinati prima
dell’inizio del trattamento e poi con cadenza settimanale.
Le complicazioni sono numerose: si tratta di complicazioni di tipo metabolico, di tipo tecnico (riferentesi al
Capitolo 14.fm Page 293 Thursday, July 17, 2008 2:43 PM
ALIMENTAZIONE IN ALCUNE SITUAZIONI NORMALI E PATOLOGICHE
catetere) e di tipo infettivo. Quella che si verifica abbastanza spesso, quando la nutrizione enterale perduri per
oltre 2 settimane, è l’alterata funzione dell’albero epatobiliare con la comparsa della colestasi, che consiglia il
passaggio in tempi brevi all’alimentazione enterale. Lo
sbocco del catetere deve essere accuratamente pulito con
soluzioni asettiche, in situazioni di assoluta sterilità. Nei
pretermine l’uso prolungato dell’alimentazione enterale
o della nutrizione parenterale può successivamente rendere difficile il passaggio alla nutrizione per le vie naturali, per la perdita del riflesso della deglutizione: per
evitare questo inconveniente viene comunemente usato
il succhiotto, allo scopo di mantenere un minimo di
funzione: spesso alla fine della nutrizione parenterale è
necessario attendere qualche giorno perché il lattante
riacquisti in pieno tutte le sue funzioni.
Alimenti contaminati
e sicurezza alimentare
Di recente si sono verificati numerosi episodi che
hanno richiamato l’attenzione dell’opinione pubblica
sulla sicurezza degli alimenti, che sono risultati contaminati da:
sostanze chimiche di origine naturale o xenobiotici;
agenti eziologici di malattie infettive;
contaminanti fisici;
altro.
Capita spesso che la popolazione, eccessivamente allarmata, smetta di consumare tutti quei prodotti che in
qualche modo potrebbero essere fonte di potenziali rischi. Purtroppo non sempre sono disponibili informazioni scientifiche che consentano un’adeguata analisi dei
rischi. Tuttavia merita ricordare che, dopo brevi periodi
di grande allarmismo, l’interesse dei mass-media si abbassa e anche i consumatori riacquistano la necessaria
serenità, almeno fino all’allarme successivo.
Ricordo l’allarme per il Sudan I del 9 maggio 2003,
l’allarme per la semicarbazide (usata per sigillare i
293
vasetti di vetro degli omogeneizzati e liofilizzati), l’allarme per i norovirus (calicovirus) e del tutto di recente
per il virus dell’influenza aviaria, che ha messo in crisi
il mercato della carne del pollo e degli altri animali da
cortile.
Un aspetto particolare è quello del trattamento di
prodotti alimentari con radiazioni ionizzanti: questa
tecnica, riconosciuta dalla FAO già nel 1984, continua a
provocare ancora oggi perplessità e dibattiti. Mentre
l’Unione Internazionale delle Organizzazioni dei Consumatori (UICO) è contraria, tutte le altre organizzazioni
internazionali sono a favore della sua applicazione su
larga scala. In effetti il trattamento radiante presenta
vantaggi e svantaggi. Fra i primi, i più importanti riguardano la maggior sicurezza sanitaria degli alimenti e la
riduzione del deterioramento; inoltre questa tecnica richiede un basso consumo di energia e quindi un impatto
ambientale ridotto rispetto ad altre metodiche di conservazione. Tra gli svantaggi vi sono: la perdita selettiva
delle vitamine; non tutti i microrganismi, le tossine, le
spore, gli enzimi e i virus, presenti nel cibo al momento
del trattamento, sono completamente inattivati dalle dosi
somministrate di irradiazione.
Vengono usati i raggi , emessi da una sorgente di
cesio 137 o di cobalto 60 o da fasci di fotoni o di elettroni.
In Italia il trattamento degli alimenti con radiazioni
ionizzanti è disciplinato dal Decreto Legislativo del 30
gennaio 2001 n. 945, che dà attuazione alle Direttive
comunitarie 1999/2/CE e 1999/3/CE. I prodotti sottoposti a irradiazione debbono essere provvisti di un’etichetta
con la dicitura “irradiato” e l’indicazione della denominazione e dell’indirizzo dell’impianto che ha effettuato
l’irradiazione. In Italia è consentito sottoporre a irradiazione le patate, l’aglio e le cipolle. L’Istituto Superiore
di Sanità individua i metodi che possono essere utilizzati
per irradiare; esso ha inoltre il compito di eseguire le
analisi di revisione. Presto l’Italia si troverà costretta ad
affrontare l’immissione nel mercato interno di prodotti
trattati in altri Paesi europei.
Parte I.fm Page 2 Monday, July 14, 2008 4:36 PM