Commercio elettronico, aste telematiche, ADR e tutela dei consumatori

Transcript

Commercio elettronico, aste telematiche, ADR e tutela dei consumatori
COMMERCIO ELETTRONICO, ASTE TELEMATICHE, ADR E TUTELA DEI
CONSUMATORI
GIOVANNI MARIA RICCIO
SOMMARIO: 1. INTRODUZIONE. – 2. COMMERCIO ELETTRONICO E STRUMENTI DI ADR. – 3. OBBLIGHI
– 4. RECESSO E INTERPRETAZIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA. – 5. ASTE TELEMATICHE
E DISCIPLINA APPLICABILE. – 6. CONCLUSIONI.
DI INFORMAZIONE.
1.
Per valutare la situazione del commercio elettronico e delle aste telematiche in
Italia, è necessaria una riflessione preliminare sulla situazione del mercato nel nostro Paese.
Difatti, la situazione legislativa, se estremamente sintetizzata, pare piuttosto semplice,
per quanto sia frutto della trasposizione di due differenti direttive: la prima, la direttiva n.
97/7/CE sui contratti a distanza, recepita dal d. lgs. n. 185/99, poi confluito nel Codice del
consumo (artt. 50 ss.)1, e la successiva, la direttiva n. 2000/31/CE sul commercio
elettronico, recepita con il d. lgs. 70/03, solo richiamato dall’art. 61 del Codice del consumo.
Non esiste, al momento, una specifica disciplina delle aste telematiche.
Il panorama normativo, quindi, si presenta come piuttosto lineare: eppure, come si
proverà a dimostrare, esso è forse insufficiente a rispondere ad una molteplicità di
interrogativi. Inoltre, è forte l’impressione che le direttive non abbiano saputo raggiungere
gli obiettivi che si erano posti, non avendo incrementato sufficientemente gli scambi in rete
ed, in particolare, le transazioni nell’ambito del mercato interno.
Una breve analisi del mercato, infatti, evidenzia impietosamente che il maggiore
problema resta l’approccio “nazionale” dei consumatori. Gli scambi transfrontalieri (rectius:
tra differenti Paesi appartenenti all’Unione europea) rappresentano solo l’8% delle
transazioni che avvengono on-line: una percentuale minima, sebbene abbia registrato, nel
corso del 2009, una crescita notevole, pari al 30%, rispetto all’anno precedente.
Allo stesso tempo, colpisce che il settore dell’entertainment sia quello nel quale si
registra la spesa maggiore da parte dei consumatori (pari al 42%) e che, all’interno di
quest’area, rivesta un peso predominante il settore dei giochi d’azzardo, che non rientra
nell’ambito di applicazione oggettiva delle due direttive applicabili alle transazioni on-line2.

Il presente scritto costituisce, con l’aggiunta delle sole note, l’intervento al convegno “Il consumatore
e la protezione trasnfrontaliera” tenutosi presso l’Università Europea di Roma il 20 aprile 2010. Lo scritto è
destinato ad un volume curato da Alberto Gambino e Andrea Stazi di prossima pubblicazione.
1 Su tali norme sia consentito rinviare a G.M. Riccio, Contratti a distanza, in Aa.Vv., Commentario al Codice
del consumo, a cura di G. Sciancalepore – P. Stanzione, Milano, 2006 e ivi ulteriori riferimenti bibliografici.
2 Cfr. art. 2, comma 4, lett. d) della direttiva n. 31 del 2000: “La presente direttiva non si applica […] ai
giochi d'azzardo che implicano una posta pecuniaria in giochi di fortuna, comprese le lotterie e le scommesse”.
1
www.comparazionedirittocivile.it
Anche gli altri settori che hanno beneficiato maggiormente delle opportunità offerte
da internet sono solo marginalmente toccati dalla disciplina europea: si pensi, ad esempio, al
settore turistico o al settore dell’elettronica di consumo, tendenzialmente esclusa dall’ambito
applicazione oggettivo, atteso che l’art. 6, comma 3 della direttiva sulle vendite a distanza
prevede che il diritto di recesso non trovi applicazione nel caso dei software3.
Ulteriori problematiche sorgono poi nel caso in cui, sebbene la disciplina sostanziale
sia stata uniformata, si registrino ancora essenziali divergenze tra i singoli regimi fiscali
nazionali: si pensi, ad esempio, all’espansione del settore vinicolo, fortemente limitato dalla
pressione doganale, ovvero ancora al settore turistico, che si scontra con la magmatica
disciplina dei singoli Stati membri in materia di imposta sul valore aggiunto.
Un’altra criticità è rappresentata dall’approccio – sia fatto passare il termine –
dilettantistico della piccola e media imprenditoria nazionale, che non ha saputo sfruttare
appieno la possibilità di aperture di nuovi mercati, né i vantaggi offerti dalla riduzione dei
costi transattivi, né, tanto meno, forme non convenzionali di comunicazione e di marketing
(in primo luogo, le campagne di marketing cc.dd. virali)4.
2. I cahiers de doléances potrebbero proseguire a lungo; tuttavia, appare più fruttuoso
osservare i limiti della legislazione vigente, ma, al contempo, anche i suoi punti di forza.
Per quanto riguarda il primo aspetto, uno dei maggiori aspetti critici è probabilmente
rappresentato dalla difficoltà, per i consumatori, di essere tutelati efficacemente in sede
giudiziaria.
Su questa tematica, però, sembra che da tempo si sia appuntata l’attenzione del
legislatore comunitario, che è consapevole che la “sproporzione tra la portata economica
della controversia e il costo della risoluzione giudiziaria” può “scoraggiare i consumatori” e
che, pertanto, abbattere tali problematiche significa incrementare la fiducia dei consumatori
e favorire gli scambi transfrontalieri ed il mercato interno5. È evidente, infatti, che l’obbligo
di dover tradurre l’atto giudiziario nella lingua del soggetto convenuto, così come la
necessità di individuare l’autorità competente per effettuare la notifica dell’atto stesso6,
nonché i costi transattivi legati alla gestione dell’intero processo (oltre, in taluni ordinamenti,
alla sua durata) risulta, nel caso di acquisto di beni di consumo di valore limitato, addirittura
antieconomico per i consumatori che, in caso di prodotti difettosi, viziati o, comunque, non
rispondenti alle loro aspettative, preferiranno allocare su se stessi il costo di questi disservizi,
piuttosto che intraprendere le vie giudiziarie.
Per l’esattezza, il diritto di recesso non è applicabile nel caso di contratti “di fornitura di registrazioni
audio e video, o di software informatici sigillati, aperti dal consumatore”.
4 Cfr. B. Cova – A. Giordano – M. Pallera, Viral, Guerrilla, Marketing non convenzionale. Tribal e i 10
principi fondamentali del marketing postmoderno, Milano, 2008, passim.
5 Cfr. Raccomandazione della Commissione del 30 marzo 1998 riguardante i principi applicabili agli
organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo.
6 Cfr. Regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio del 29 maggio 2000.
3
2
www.comparazionedirittocivile.it
Il tentativo di assegnare ai consumatori, anche in caso di transazioni di modesto
valore economico, degli strumenti di risoluzione delle controversie efficaci, costituisce un
processo intrapreso da tempo in sede comunitaria: basti richiamare, tra i primi esempi, la
Risoluzione del Parlamento europeo sulla comunicazione della Commissione «Piano
d'azione sull'accesso dei consumatori alla giustizia e la risoluzione delle controversie in
materia di consumo nel mercato interno» del 14 novembre 1996, nella quale già si
evidenziava la necessità di ricorrere a strumenti alternativi di risoluzione delle controversie,
che fossero in grado di assicurare l'imparzialità dell’organismo che gestiva la controversia,
l'efficacia della procedura, la sua pubblicità e la sua trasparenza.
Le linee guida tracciate nella Risoluzione del 1996, sono state poi precisate e
sviluppate con la Raccomandazione della Commissione del 30 marzo 1998, riguardante i
principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle
controversie in materia di consumo (98/257/CE) e con la successiva Raccomandazione
della Commissione del 4 aprile 2001 sui principi applicabili agli organi extragiudiziali che
partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di consumo
(2001/310/CE).
Tra i vari principi enunciati nella Raccomandazione del 19987, merita di essere
ricordato il principio di trasparenza, che impone l’obbligo di informare i consumatori sui
“tipi di controversie che possono essere sottoposti all'organo, nonché gli eventuali limiti
esistenti per quanto riguarda la copertura territoriale e il valore dell'oggetto delle
controversie”, così come l’obbligo di informarli sul “costo della procedura”, sulle “regole
sulle quali si fondano le decisioni dell'organo” (diritto, equità, codici di condotta e così via
enumerando) e sul valore giuridico delle decisioni stesse. Fondamentale è anche il principio
di efficacia, che impone “l'accesso del consumatore alla procedura, senza essere obbligato a
ricorrere ad un rappresentante legale”, “la gratuità della procedura o la determinazione di
costi moderati”, nonché “la fissazione di termini brevi tra la presentazione del reclamo
all'organo e l'adozione della decisione”.
La Raccomandazione 310 del 2001, pur muovendosi nel solco tracciato nel 1998,
contiene alcune novità importanti. Innanzi tutto, tra le finalità, si evidenzia espressamente
l’esigenza di garantire ai consumatori un accesso semplice ed effettivo alla giustizia e di
incoraggiare ed agevolare la composizione delle controversie in materia di consumo fin sul
nascere. Allo stesso tempo, si richiama l’art. 17 della direttiva sul commercio elettronico che
stabilisce che gli Stati membri siano tenuti a provvedere affinché la loro legislazione non
ostacoli l'uso di strumenti di composizione extragiudiziale delle controversie disponibili nel
diritto nazionale8.
I principi sono sette: indipendenza, trasparenza, contraddittorio, efficacia, legalità, libertà e
rappresentanza.
8 Un’altra novità di rilievo, rispetto alla Raccomandazione del 1998, è rappresentata dal riconoscimento
del ruolo svolto dalle organizzazioni che svolgono attività di mediazione e conciliazione, le quali, pur non
essendo legittimate a rendere decisioni, ma limitando il loro operato al semplice tentativo di riavvicinare le
7
3
www.comparazionedirittocivile.it
L’importanza degli strumenti di ADR on-line è dimostrato dalla consapevolezza che la
risoluzione delle controversie, al fine di incentivare gli scambi via internet, debba essere
“semplice, rapida e poco onerosa”, ricorrendo a strumenti elettronici di risoluzione delle
controversie che non richiedano il “bisogno della comparizione fisica delle parti”9.
La Commissione, peraltro, ribadisce la necessità che le procedure di risoluzione delle
controversie siano trasparenti, ampliando gli obblighi informativi, che non devono limitarsi
al costo dello strumento di ADR prescelto dal consumatore, ma devono abbracciare anche
il numero e i tipi di querele sottoposte all’organo e i loro risultati, il tempo necessario a
risolvere le controversie; gli eventuali problemi che emergano sistematicamente dalle
controversie; ed, infine, il grado di conformità, se noto, delle soluzioni concordate10.
All’interno di questo processo di incentivazione degli scambi transfrontalieri realizzati
via internet, almeno un cenno merita anche il Regolamento CE 861/07, relativo alle
controversie cc.dd. small business, ossia a tutte le controversie il cui valore non superi i
duemila euro, esclusi interessi, diritti e spese11.
posizioni delle parti, possono, ciò nonostante, svolgere un ruolo importante, al fine di assicurare una tutela
efficace ai consumatori. Cfr. il punto della Raccomandazione del 2001, nel quale si manifesta questo cambio di
prospettiva: “Il Consiglio, nella sua risoluzione del 25 maggio 2000 relativa ad una rete comunitaria di organi
nazionali per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo, prende atto che gli organi
extragiudiziali che non rientrano nel campo di applicazione della raccomandazione 98/257/CE svolgono una
funzione di grande utilità per i consumatori e invita la Commissione a sviluppare in stretta cooperazione con
gli Stati membri criteri comuni per la valutazione di tali organi, criteri che dovrebbero assicurare tra l'altro la
loro qualità, equità ed efficienza”.
9 Cfr. Raccomandazione della Commissione, del 4 aprile 2001, sui principi applicabili agli organi
extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di consumo.
10 Deve osservarsi che, purtroppo, questa soluzione non è stata recepita pienamente dal legislatore
nazionale che, nel recente d. lgs. 28/10 in materia di mediazione nel settore civile e commerciale, non ha
incluso tra gli obblighi degli organi deputati a gestire tentativi di conciliazione anche la necessità di pubblicare
dei report periodici sulle controversie sottoposte e sul numero di conciliazioni effettivamente realizzate. È
evidente, infatti, che l’interesse dei consumatori – e, nel caso della mediazione di cui al d. lgs. 28/10, dell’attore
– nella scelta dell’ente cui rivolgere la propria istanza non può essere giustificato unicamente dal costo del
servizio o dalla vicinanza geografica dell’ente stesso, ma dovrebbe essere fondato altresì su parametri di
efficienza.
11 Per ragioni in molti casi ovvie, restano fuori dall’ambito di applicazione del Regolamento le seguenti
materie: stato o capacità delle persone fisiche; regime patrimoniale tra coniugi, testamenti e successioni e
obbligazioni alimentari (questi ultimi, invece, inclusi tra le ipotesi per cui la mediazione è condizione di
procedibilità ai sensi dell’art. 4 del d. lgs. 28/10); fallimenti e procedimenti relativi alla liquidazione di imprese;
sicurezza sociale; arbitrato; diritto del lavoro; affitto di immobili e tutela dei dati personali.
4
www.comparazionedirittocivile.it
In sede comunitaria, l’ultimo step è rappresentato dalla Direttiva 2008/52/CE relativa
a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, recepita – non senza
polemiche – dal legislatore nazionale con il d. lgs. 20 marzo 2010, n. 2812.
I diversi interventi comunitari hanno spinto molto sulla opportunità che la
mediazione si svolga via internet: in questo modo, infatti, potrebbero evitarsi alle parti i
costi di eventuali spostamenti e si potrebbe garantire una procedura più agile. Il ricorso alla
mediazione13 on-line, è – a parere di chi scrive – un’occasione importante per rilanciare il
commercio elettronico, perché potrebbe essere uno strumento fondamentale per i
consumatori che, senza essere costretti ad imbattersi nelle già menzionate problematiche
inevitabilmente connesse all’esperimento di un’azione giudiziaria, potrebbero comunque
ottenere la soddisfazione dei propri interessi.
Il punto, com’è facilmente intuibile, merita una più attenta riflessione, non consentita
in questa sede. Ci limitiamo, però, a rimarcare che il legislatore nazionale, preoccupato dalla
necessità di deflazionare il contenzioso esistente, abbia trascurato il ricorso alle procedure
telematiche, dedicandogli un’attenzione limitata e rimettendo la loro organizzazione agli
Sul decreto in questione, all’interno di una bibliografia già ampia, v. Aa.Vv., La mediazione nelle
controversie civili e commerciali, a cura di A. Castagnola – F. Delfini, Padova, 2010; G. De Palo – L. D'Urso – D.
Golann, Manuale del mediatore professionista. Strategie e tecniche per la mediazione delle controversie civili e commerciali
(ADR Risoluzione alternativa delle controversie), Milano, 2010; Aa.Vv., Mediazione e conciliazione, a cura di G. Buffone,
Milano, 2010, nonché, per un panorama legislativo, v. G. Sciancalepore – S. Sica, Codice della mediazione e della
conciliazione, Torino, 2010.
13 La mediazione è definita dall’art. 1 della direttiva come “un procedimento strutturato,
indipendentemente dalla denominazione, dove due o più parti di una controversia tentano esse stesse, su base
volontaria, di raggiungere un accordo sulla risoluzione della medesima con l’assistenza di un mediatore”. Pare
interessante osservare che il legislatore nazionale, in sede di recepimento della direttiva, abbia, all’art. 1, scisso
la mediazione, qualificata come “l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad
assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia,
sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa” dalla conciliazione, definita “la
composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione”. Pertanto, la mediazione
rappresenterebbe la fase della negoziazione, mentre la conciliazione l’eventuale risultato positivo, per mezzo
del raggiungimento dell’accordo, della negoziazione stessa. La dicotomia creata dal legislatore italiano, però,
non dovrebbe determinare differenze applicative, rivestendo una valenza solo qualificatoria e classificatoria. È
probabile che tale scelta sia stata indotta dal tentativo di mantenere un collegamento, anche sul piano
terminologico, con il d. lgs. 5/03, che aveva introdotto il processo societario e che, agli artt. 38-40, conteneva
la disciplina della conciliazione societaria, prima esperienza, nel nostro ordinamento positivo, in cui la gestione
della controversia era stata assegnata anche ad enti privati, per mezzo della possibilità di rivolgersi – da parte
dei soggetti in lite – anche alle organizzazioni accreditate presso il Ministero della Giustizia, oltre che alle
camere di commercio, ai sensi del D.M. 222/04.
12
5
www.comparazionedirittocivile.it
statuti degli enti, pubblici e privati, accreditati presso il Ministero della Giustizia e deputati a
gestire i tentativi di conciliazione, ora disciplinati dal D.M. 180 del 201014.
3. Rivolgendo l’attenzione alle questioni che riguardano il diritto positivo, non può
non notarsi che le direttive comunitarie su vendite a distanza e commercio elettronico, più
che alla fase patologica del contratto, sembrano essere principalmente rivolte ad assicurare
un bilanciamento delle posizioni di imprenditori e consumatori nella fase delle trattative ed
a determinare una non vincolatività, seppur limitata temporalmente, delle scelte operate dai
consumatori.
In questo senso, è possibile leggere l’analitica previsione di norme relative agli
obblighi di informazione ed alla possibilità di esercitare un diritto di recesso, cui non fa da
contraltare un analogo interesse per il momento della conclusione del contratto, per la cui
disciplina si continua a fare, in larga misura, ricorso al diritto nazionale dei singoli Stati
membri.
Gli obblighi di informazione hanno, nel contesto del commercio elettronico, una
triplice finalità.
Da un lato, essi segnano un ancoraggio ai parametri della “fisicità”, che dovrebbero
ingenerare una maggiore fiducia nel consumatore, superando il limite costituito
dall’impossibilità di visionare dal vivo il bene oggetto del contratto. Si pensi, ad esempio,
all’obbligo di indicare il numero di iscrizione al repertorio delle attività economiche o al
registro delle imprese (art. 7, lett. d) d. lgs. 70/03), ovvero “il numero della partita IVA o
altro numero di identificazione considerato equivalente nello Stato membro, qualora il
prestatore eserciti un'attività soggetta ad imposta” (art. 7, lett. g) d. lgs. 70/03).
In secondo luogo, e non si tratta di una novità nella legislazione consumeristica, gli
obblighi di informazione dovrebbero determinare un livellamento delle asimmetrie
informative dalle quali generalmente trae vantaggio il professionista/imprenditore: il
richiamo è nuovamente all’art. 7 e, specificatamente, all’obbligo di indicare “in modo chiaro
ed inequivocabile dei prezzi e delle tariffe dei diversi servizi della società dell'informazione
forniti, evidenziando se comprendono le imposte, i costi di consegna ed altri elementi
aggiuntivi da specificare”.
Infine, è indubbio – e, ancora una volta, evidenti sono le finalità di tutela per i
consumatori – che il legislatore comunitario abbia voluto gravare i contratti di cui si discorre
di specifici obblighi, iscrivendo la materia di cui si tratta nella tendenza che, con una felice
espressione, è stata riassunta con l’espressione neo-formalismo procedimentale15.
Il legislatore, parimenti, sembra aver sostanzialmente trascurato le mediazioni transfrontaliere, che
pure costituivano l’oggetto principale della direttiva comunitaria. Provocatoriamente, verrebbe, infatti, da
chiedersi quale carattere transfrontaliero possono rivestire le controversie nel settore condominiale, inserite tra
le materie per le quali sarà necessario – quale condizione di procedibilità – ricorrere al tentativo preventivo di
conciliazione.
15 Il riferimento è a S. Sica, Atti che devono farsi per iscritto. Art. 1350, Milano, 2003, passim.
14
6
www.comparazionedirittocivile.it
Peraltro, la direttiva n. 7 del 1997 prevede altresì un obbligo di conferma scritta delle
informazioni, quasi a voler riaffermare il requisito della materialità sulla speditezza delle
procedure informatiche. Inoltre, a tali obblighi, devono cumularsi quelli fissati dall’art. 12
del D. Lgs. 70/2003, che ha recepito la direttiva sul commercio elettronico16.
4. L’altro “pilastro” sul quale immaginariamente poggia la disciplina dei contratti online è rappresentato dalla possibilità per i consumatori di recedere dal contratto. La direttiva
comunitaria specifica che il termine, entro cui possa esercitarsi tale diritto, non può essere
inferiore a sette giorni lavorativi ed il recesso deve avvenire senza alcuna penalità in capo al
consumatore. Si tratta di una forma di recesso ad nutum, atteso che il consumatore non è
obbligato a specificare il motivo della propria scelta17.
La direttiva comunitaria prevede un regime poco elastico, atteso che le uniche spese
gravanti sul consumatore sono quelle “dirette di spedizione dei beni al mittente” (art. 6, par.
1). Tali spese, peraltro, possono essere previste “eventualmente”: gli Stati membri, quindi,
potrebbero anche escludere qualsiasi restituzione ed allocare i costi del recesso unicamente
in capo alla parte professionale.
La Corte di Giustizia ha avuto occasione di pronunciarsi sul punto in due occasioni.
Nella prima decisione, del settembre del 2009, i giudici comunitari si sono intrattenuti
sul § 312 BGB, nel punto in cui stabilisce che il consumatore potrebbe essere “tenuto a
corrispondere un’indennità per il deterioramento della cosa derivante da un uso della stessa
conforme alla sua destinazione, purché sia stato informato per iscritto, al più tardi al
momento della conclusione del contratto, di tale conseguenza e della possibilità di
evitarla”18.
La Corte ha statuito che il disposto di cui all’art. 6, nn. 1 e 2 debba essere
“interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale la quale preveda in modo
generico che il venditore possa chiedere al consumatore un'indennità per l'uso di un bene
acquistato tramite un contratto a distanza nel caso in cui quest'ultimo ha esercitato il suo
diritto di recesso entro i termini”.
Tuttavia, la medesima decisione circoscrive questo profilo, precisando che, in ogni
caso, è ammissibile che “venga imposto al consumatore il pagamento di un'indennità per
l’uso di tale bene nel caso in cui egli abbia fatto uso del detto bene in un modo
incompatibile con i principi del diritto civile, quali la buona fede o l'arricchimento senza
giusta causa, a condizione che non venga pregiudicato il fine della detta direttiva e, in
particolare, l'efficacia e l'effettività del diritto di recesso, ciò che spetta al giudice nazionale
determinare”.
Sui problemi di coordinamento tra le due normative, sia consentito rinviare a G.M. Riccio, Contratti a
distanza, cit., 428 s.
17 Così G. Alpa, La legge sui diritti dei consumatori, in Corr. giur., 1998, 998.
18 Corte di Giustizia, 3 settembre 2009, C-489/07.
16
7
www.comparazionedirittocivile.it
La sentenza in questione è stata ripresa successivamente nel 2010, quando la Corte di
Giustizia ha puntualizzato che le uniche spese dovute dal consumatore possano essere
quelle “dirette” alla spedizione del bene19. Alla luce di tale interpretazione, sarebbe contraria
al diritto comunitario la disciplina nazionale che prevede, a carico del consumatore, le spese
di trasporto del bene: diversamente, il consumatore potrebbe essere scoraggiato
dall’ammontare di tali spese e decidere di non esercitare il diritto di recesso20. Allo stesso
modo, devono ritenersi illecite le eventuali condizioni contrattuali che prevedono spese
ulteriori in capo ai consumatori21.
5. La disciplina comunitaria su contratti a distanza e commercio elettronico non trova
applicazione nel caso di aste telematiche. L’esclusione è spiegabile agevolmente: difatti, se il
consumatore potesse esercitare il diritto di recesso, verrebbe a vanificarsi il meccanismo
concorrenziale dell’asta, che prevede l’esclusione dei peggiori offerenti.
Nell’ambito del diritto comunitario, peraltro, manca una definizione di asta telematica
e non è ben chiaro se sia possibile configurare una responsabilità a titolo contrattuale in
capo al gestore del sito, per violazioni di obblighi di controllo o di protezione nei confronti
degli utenti del sito stesso.
Deve osservarsi, poi, che, all’interno delle aste telematiche, agiscono spesso dei
venditori professionali. In questo caso (ad esempio su e-Bay), i venditori utilizzano un
sistema per mezzo del quale è possibile sottrarre il bene all’asta, acquistandolo
immediatamente ad un prezzo fisso.
È possibile che, anche in questo caso, non trovi applicazione la normativa
comunitaria ed, in particolare, le disposizioni in materia di obblighi di informazione e di
recesso?
Corte di Giustizia, 15 aprile 2010, C-511-08.
Si veda anche quanto affermato, a proposito della fattispecie, nelle conclusioni dell’Avvocato
Generale: “Qualora le spese di spedizione dovessero parimenti essere addebitate al consumatore, siffatto
addebito, che sarebbe necessariamente tale da scoraggiare quest’ultimo dall’esercizio del suo diritto di recesso,
sarebbe in contrasto con lo scopo stesso dell’art. 6 della direttiva […] Inoltre, un siffatto addebito sarebbe atto
a rimettere in discussione l’equilibrata ripartizione dei rischi tra le parti nei contratti conclusi a distanza,
accollando al consumatore tutte le spese connesse al trasporto dei beni. Peraltro, il fatto che il consumatore sia
stato informato dell’importo delle spese di consegna prima della conclusione del contratto non può ridurre il
carattere dissuasivo che avrebbe l’addebito di tali spese al consumatore sull’esercizio da parte di quest’ultimo
del suo diritto di recesso”.
21 È discutibile, invece, che sia imposto ai consumatori – così come avviene nel caso di Yoox, un sito
che vende abbigliamento – che, in caso di recesso di un ordine contenente più beni, i beni spessi vadano
restituiti in un’unica spedizione.
19
20
8
www.comparazionedirittocivile.it
La risposta, a tale quesito, non può che essere negativa22. Non è possibile, infatti,
arrestarsi alla formalistica notazione dello strumento utilizzato, ma devono osservarsi le
modalità attraverso le quali si realizza la transazione. Nel caso in questione, difatti, paiono
essere realizzati tutti i presupposti per l’applicazione delle disposizioni a favore dei
consumatori: si tratta, infatti, di venditori professionisti, che agiscono per mezzo di uno
strumento informatico – con modalità di comunicazione a distanza –, i quali non
aggiudicano il bene al miglior offerente, ma si limitano a metterlo in vendita ad un prezzo
fisso. Peraltro, le aste telematiche sono accomunate ai contratti a distanza dall’impossibilità
per l’acquirente di visionare, dal vivo, il bene oggetto del contratto.
Dinanzi a tale ricostruzione, non sembra possibile nutrire seri dubbi sulla possibilità
di sottrarre tali pratiche all’applicazione delle direttive su commercio elettronico e su vendite
a distanza.
Potrebbe, al più, ragionarsi sulla possibilità di configurare degli obblighi di natura
contrattuale – in termini di obblighi di protezione nei confronti dei consumatori – in capo al
soggetto che gestisce il servizio sul quale avviene l’asta telematica. Tale soggetto, infatti, è
legato da un rapporto contrattuale con gli utenti-acquirenti e con gli utenti-venditori ed
ottiene un ricavo dalle transazioni che avvengono sul sito23.
Della questione se ne è occupata la giurisprudenza francese, la quale ha stabilito – con
una pronuncia molto controversa – che il gestore del sito, pur non vendendo direttamente i
beni, si impegnerebbe comunque a garantire una prestazione, consistente nella messa a
disposizione di un servizio attraverso il quale altri soggetti vendono, e, per ciò solo, sarebbe
tenuta a garantire l’esecuzione delle transazioni commerciali compiute sul sito stesso24. Una
soluzione analoga – volta a gravare il gestore del sito sul quale avviene l’asta – è stata
adottata anche in un caso australiano25.
Pare interessante osservare che, recentemente, e-Bay ha inserito l’obbligo per i venditori
professionisti di inserire, all’interno dell’asta, la possibilità per il consumatore di recedere dal contratto e di
restituire il bene.
23 La questione, però, non coinvolge la possibilità che il gestore del sito sia chiamato a rispondere per
l’utilizzo illecito da parte degli utenti, come nel caso in cui siano messi all’asta prodotti contraffatti. Della
questione se n’è occupata sovente – seppur con orientamenti differenti – sia la giurisprudenza statunitense sia
quella di alcuni ordinamenti europei (in particolare, quella francese).
24 Trib. Grande Instance Grenoble, 1 febbraio 2007, disponibile su Juriscom, www.juriscom.net.
Interessante anche la decisione del Trib. Grande Instance Rennes, 26 marzo 2007, anch’essa disponibile su
Juriscom, nella quale – in un caso di phising – è stata dichiarata la responsabilità di e-Bay “sur le fondement
d’un mandat apparent”. Difatti, a giudizio della corte, “La Société Ebay international AG convient être tenue
d’une obligation d’information sur les risques de fraude et la sécurité des transactions à l’égard des personnes
inscrites sur le site ebay.fr et au demeurant la présence de pages consacrées à ces domaines sur ledit site, établit
au besoin l’existence de cette obligation à la charge de la Société Ebay International AG”.
25 Evagora v eBay Australia & New Zealand Pty Limited [2001] VCAT 49.
22
9
www.comparazionedirittocivile.it
La giurisprudenza italiana, al contrario, è dell’avviso che il gestore del sito sul quale
avviene l’asta telematica non sia gravato da alcun obbligo di garanzia, limitandosi a svolgere
un’attività di mera intermediazione tecnica26.
Si tratta, a parere di chi scrive, di una conclusione corretta, che rappresenta anche un
ossequio alle disposizioni della direttiva sul commercio elettronico, le quali prevedono
l’assenza di responsabilità del prestatore intermediario – nel nostro caso, il gestore del sito –
laddove non selezioni né l’informazione trasmessa (il bene messo all’asta), né il destinatario
dell’informazione stessa (i possibili bidders).
6. L’esiguità delle pronunce giudiziarie non consente di trarre conclusioni
soddisfacenti. Siamo, peraltro, al cospetto di pronunce di merito e, quindi, non sorprende
che gli indirizzi delle corti, che si fondano su profili legislativi differenti e tipici dei singoli
ordinamenti giuridici, siano antitetici.
Si tratta di un aspetto decisivo, dal momento che la certezza sul regime giuridico
applicabile agevolerebbe l’espansione del mercato delle aste on-line, e determinerebbe
l’ingresso nello stesso mercato – allo stato espressione di un rigido oligopolio27 – di altri
player. Le regole più elementari sulla concorrenza insegnano, inoltre, che dell’allargamento
del mercato ne avvantaggerebbero anche i consumatori, che potrebbero fruire di servizi più
efficienti e di prezzi migliori.
Allo stesso tempo, l’indeterminatezza delle regole di responsabilità – contrattuale o
extracontrattuale – tende a scoraggiare i consumatori, i quali non si sentono
opportunamente tutelati e, di conseguenza, preferiscono evitare il commercio elettronico e
le aste telematiche, rivolgendosi a canali di vendita tradizionali.
A tal riguardo, chi scrive è dell’avviso che sia necessario scindere nettamente – per
quanto ciò sia possibile – la posizione di chi fornisce gli strumenti tecnici (ossia i gestori
delle aste) e quella di coloro che immettono i contenuti (ossia i venditori).
I gestori dei servizi di aste, infatti, dovrebbero essere responsabili nel solo caso in cui
agiscano non quali meri intermediari tecnici, ma – e trattasi francamente di ipotesi remota –
laddove assicurino il buon esito della transazione sia per la fase dell’esecuzione (in
particolare, la consegna del bene) sia per la corrispondenza delle qualità del bene a quelle
Interessante, anche se non riguarda la responsabilità contrattuale, la decisione del Trib. Lucca, 20
agosto 2007, inedita, secondo cui: “L’hosting provider che consenta agli utenti di accedere ad un news group
non può essere ritenuto responsabile per i messaggi che passano attraverso i propri elaboratori. Ciò in quanto
il provider si limita a mettere a disposizione degli utenti lo “spazio virtuale” dell’area di discussione e non ha
alcun potere di controllo e di vigilanza sugli interventi che vi vengono man mano inseriti. Diversamente
ragionando, si verrebbe ad introdurre una nuova ed inaccettabile ipotesi di responsabilità oggettiva, in aperta
violazione alla regola generale di cui all’art. 2043 c.c. che, come è noto, fonda la responsabilità civile sulla colpa
del danneggiante”.
27 Sul perché internet crei facilmente monopoli o oligopoli si rinvia a
26
10
www.comparazionedirittocivile.it
promesse o essenziali o, ancora, per eventuali difetti inerenti ai processi di produzione,
fabbricazione, formazione e conservazione del bene compravenduto28.
I bidders, ossia i soggetti che mettono all’asta il bene, dovrebbero viceversa essere gli
unici responsabili. Del resto, provando ad immaginare un parallelo col “mondo reale”, il
rapporto tra il gestore dell’asta ed i venditori è assimilabile a quello intercorrente tra l’editore
di un sito di annunci (come, per citare degli esempi noti, Portobello o Porta Portese) ed il
soggetto che utilizza il giornale per mettere in vendita un bene: è evidente che l’editore del
sito non potrà essere responsabile per eventuali vizi, né per il caso in cui il venditore si
rifiuti di consegnare il bene.
Per quanto riguarda i venditori professionisti (per esempio i cc.dd. power sellers di
eBay), come si è ricordato, dovrebbero trovare applicazione nei loro confronti le due
direttive (e relative leggi nazionali di recepimento) su vendite a distanza e commercio
elettronico, atteso che la loro posizione è del tutto assimilabile a quella di un professionista
che effettua un’offerta al pubblico per mezzo di un sito internet.
In un settore, come quello in esame, in continuo divenire sarebbe ambizioso provare
a tracciare soluzioni definitive. Tuttavia, la bipartizione tra fornitori di mezzi tecnici e
fornitori di contenuti potrebbe costituire una “bussola” in grado di far orientare gli
interpreti – ed, in special modo, i giudici, chiamati a svolgere un ruolo fondamentale – in un
settore che a causa del tecnicismo e dell’assenza di una legislazione specifica, si presta a
molteplici e spesso contrastanti interpretazioni29.
Naturalmente, nei casi evidenziati, saranno esperibili l’azione per mancanza di qualità promesse o
essenziali di cui all’art. 1497 c.c. o l’azione per vizi redibitori di cui all’art. 1490 c.c. Sulla distinzione tra le due
azioni e sui relativi presupposti, v., da ultimo, Cass., 29 aprile 2010, n. 10285, in Guida al diritto, 2010, n. 27, 59.
29 Allo stesso modo, dovrebbe essere incentivato il ricorso agli strumenti di risoluzione alternativa delle
controversie realizzati per via telematica. A tal proposito, pare da salutare con favore la scelta di e-Bay di
inserire, tra le proprie condizioni generali di contratto, una clausola, rubricata “Mediazione e arbitrato”,
secondo cui “Tutte le controversie derivanti dal presente Accordo, ove il valore complessivo della
controversia sia inferiore a EUR 10.000 (diecimila euro), potranno essere devolute al tentativo di conciliazione
previsto dal Servizio di Mediazione e Conciliazione Online della Camera Arbitrale di Milano. Nel caso di
mancata conciliazione, la controversia sarà risolta da un arbitro unico, in conformità al Regolamento Arbitrale
della Camera Arbitrale di Milano. L'arbitrato avrà luogo presso la sede della Camera Arbitrale di Milano”.
28
11
www.comparazionedirittocivile.it