La successione mortis causa dei figli naturali dal 1942 al disegno di

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IL COMMENTO
» Successione mortis causa
La successione mortis causa
dei figli naturali dal 1942
al disegno di legge recante
«Disposizioni in materia di
riconoscimento dei figli naturali»(*)
Vincenzo Barba
Professore straordinario di Diritto privato
»
SOMMARIO
1. La successione del figlio naturale – 2. La successione del figlio naturale nel codice del 1942 – 3. Gli interventi della Corte Costituzionale, anteriormente
alla riforma del diritto di famiglia del 1975 – 4. La legge di riforma del diritto di famiglia – 5. Gli interventi della Corte Costituzionale, successivamente
alla riforma del diritto di famiglia del 1975 – 6. L’ultimo atto: il disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica il 16.5.2012 – 7. Variazionı̂ critiche
sugli effetti successorii riguardo ai parenti del figlio naturale premorto o deceduto nelle more del riconoscimento, secondo il disegno di legge – 8. Sulla
eliminazione del diritto di commutazione – 9. Sulla posizione dei figli naturali non riconoscibili
1. La successione del figlio naturale
I
n tema di successioni a causa di morte, certamente, la disciplina della successione del figlio naturale(1) è, tra tutte,
quella che registra il maggior numero di interventi. I quali non
sono, soltanto, del legislatore, bensı̀ anche della Corte Costituzionale, intervenuta, in alcune occasioni, con sentenze, significativamente, manipolative.
Il dato non coglie, affatto, di sorpresa; né stupisce, se soltanto si
consideri quale fosse la disciplina della successione mortis causa
del figlio naturale al momento della approvazione ed entrata in
vigore del Codice civile vigente e quali siano stati, nel tempo, i
significativi mutamenti del costume sociale del popolo italiano.
Si potrebbe, anzi, affermare, che gli interventi
legislativi in questa materia hanno avuto un
ritmo evolutivo di gran lunga inferiore o, quanto
meno, non corrispondente ai moti sociali e di
coscienza civile; al punto che, il disegno di legge
in esame, si trova, ancòra una volta, a dover
tornare e intervenire sui profili successorı̂ del
figlio naturale.
Direi, ultimo atto, di un percorso iniziato nel 1942 e, ancora,
non portato a definitivo compimento.
Perché, ancora oggi, sebbene nella manualistica e nella tratta-
* Il lavoro è destinato al Commentario sulla riforma del diritto di famiglia, a cura di C.M. Bianca.
(1) Rimangono estranei al lavoro svolto i temi, che pur risultano modi-
tistica di settore, si legga, frequentemente, che la posizione dei
figli naturali è equiparata a quella dei figli legittimi e che i primi
hanno i medesimi diritti dei secondi, una analisi della concreta
disciplina lascia trasparire la parziale verità o, meno eufemisticamente, la falsità, di questa affermazione.
Certamente, non ignota né agli autori dei manuali, né agli autori dei trattati, ai quali può, eventualmente, imputarsi soltanto
un peccato veniale, giustificato, senza dubbio, dalla difficoltà
che il giurista contemporaneo avverte, o dovrebbe avvertire, nel
dire quella che, a rigor di legge, è, ancor oggi, la verità legale.
Naturalmente non del tutto dimenticata, ma, anzi, ricordata e
salutata dal giurista, il cui animo, è noto, è, tendenzialmente,
conservatore, come eccezione al principio generale di parità di
trattamento, giustificato, troppo spesso, proprio sulla norma
costituzionale che, in materia di filiazione naturale e, aggiungerei, di unioni omosessuali, è stata la più acerrima nemica: la
norma di cui al primo comma dell’art. 29 Cost.
Regola che reca traccia dell’ideologia cattolica presente nella
nostra costituente, che mi pare attenti, troppo, al principio
personalistico e a quello solidaristico, sempre espressi dalla
Costituzione, e che esprime un sentire sociale, certamente,
non del tutto ignoto nella nostra cultura giuridico-sociale, ma
proprio, soprattutto, di quella borghesia di pirandelliana memoria, che, negli intrecci contorti e stentati della propria esistenza, non vive le azioni, ma le analizza con dialettica sottile,
quasi sofistica, e tono predicatorio.
ficati dal disegno di legge in parola, della successione al figlio naturale e,
ovviamente, della successione dei parenti naturali.
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IL COMMENTO
Norma, quindi, che se venisse, insieme ad altre, cancellata dalla
nostra Costituzione nulla toglierebbe. Piuttosto, contribuirebbe
a un diritto meno moderno, ma, sicuramente, più contemporaneo.
Soltanto la sua eliminazione, infatti, potrebbe portare alla cancellazione, nell’ipocrito complesso di norme contenute all’art.
30 Cost., dell’ultimo inciso del terzo comma, ossia quell’inciso
che serve, in ossequio al principio espresso nell’art. 29 Cost., a
mantenere su due piani distinti i cosı̀ detti figli legittimi e i figli
nati fuori dal matrimonio(2), perché agli ultimi, stabilisce la Costituzione, la legge deve assicurare ogni tutela giuridica, purché
«compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima»(3).
Mi viene, piuttosto, il dubbio che la cancellazione di queste due
norme sia addirittura essenziale ai fini della validità del progetto di legge in esame, dal momento che il loro mantenimento
potrebbe certamente suggerire, a qualche giurista, di affermarne la illegittimità costituzionale per contrarietà alle norme di
cui al 1º co. dell’art. 29 Cost. e al 3º co. dell’art. 30 Cost.
Senza che, in segno contrario, possa valere la invocazione della
norma contenuta all’art. 3 Cost. o il richiamo agli abusati principı̂ di solidarietà e personalismo. I quali, è noto, quando si
invoca la famiglia legittima, ossia quella fondata sul matrimonio, sono sempre destinati a cedere il passo. Come del resto è
accaduto, sebbene rispetto a un caso diverso e inerente alle
unioni omosessuali, nella nota sentenza della Cassazione del
2012, n. 4184(4)
Perché continua a essere solida l’idea che la repubblica debba
riconoscere i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio e non i diritti della famiglia fondata sull’affectio familiaris.
Quasi come se l’algido atto giuridico del matrimonio, possa,
sempre, sopperire il calore dell’affectio familiaris; al pari di
come, mutatis mutandis, a proposito della donazione, si è detto, che la forma serve a giustificarne la causa, perché quella
sarebbe praeterita.
zioni migliorative dello statuto successorio del figlio naturale,
rispetto a quanto non fosse previsto nel precedente codice e in
quelli delle altre legislazioni, con le quali l’Italia si è sempre
misurata.
Del ché v’ha traccia nella stessa relazione al Progetto definitivo,
nella quale al paragrafo 296, si legge: «Le innovazioni profonde
rispetto al Codice del 1865, portate in questo capo dal progetto
[Capo II], rispondono all’esigenza di migliorare sensibilmente
la condizione dei figli naturali, prima trattati con ingiusto rigore. Le disposizioni in materia successoria, sono il logico svolgimento della riforma già attuata nel libro primo. Senonché, come per quello, si è ravvisata l’opportunità, in sede di revisione,
di introdurre alcune modificazioni per evitare che il favore per i
figli illegittimi fosse pregiudizievole alla famiglia legittima che
deve essere sempre tutelata e salvaguardata, cosı̀ è sembrato
necessario in questo libro portare alcuni temperamenti all’indirizzo seguito dalla Commissione Reale».
Il quadro che consegna il legislatore del 1942 è
assai semplice e, nella struttura di base, anche a
seguito delle modificazioni che si sono rincorse, è
parzialmente differente da quello, oggi, vigente.
I figli naturali sono e già erano, a talune
condizioni, eredi legittimi.
on si può, certo, non osservare che già il testo del codice
civile approvato nel 1942 recasse molte novità e innova-
La disciplina che li riguardava era dislocata, nel libro II (Delle
successioni), titolo II (Delle successioni legittime), Capo II
(Della successione dei figli naturali e dei loro discendenti). In
una topografia del codice che, anche a un primo sguardo, tradiva, subito, l’inequivoca distanza istituita tra figli legittimi (la
cui disciplina era regolata al capo I Della successione dei parenti legittimi) e figli naturali.
Il tutto senza tralasciare di considerare che la norma, di cui
all’art. 565 c.c., che apriva il titolo e che precedeva l’apertura
dei Capi, non discorreva di figli naturali, ma, più genericamente, di parenti naturali. I quali venivano indicati, sı̀, come successibili(5), ma dopo i discendenti legittimi, gli ascendenti legittimi e i collaterali.
Nel caso di successione ab intestato i figli naturali erano cosı̀
trattati.
In mancanza di discendenti legittimi, di ascendenti e del co-
(2) Osserva G. FERRANDO, La filiazione naturale, in Trattato, diretto da G.
Bonilini e G. Cattaneo, Il diritto di famiglia, III, Filiazione e adozione,
Torino, 1997, 94, che, pur essendo vero che la scelta egualitaria recata nelle
norme costituzionali di cui agli artt. 29 e 30, nate dall’esigenza di non
svalutare l’istituto del matrimonio e della famiglia legittima, presenta
una certa ‘‘ambiguità’’, non può sottacersi che la dottrina più accorta ha
chiarito che «nel contesto di una Costituzione che pone tra i suoi principi
fondamentali il rispetto dei diritti della persona, la pari dignità e l’eguaglianza di tutti i cittadini [...], anche nell’ambito della famiglia i limiti
all’eguaglianza dovevano essere circoscritti a quelli resi necessari dall’esigenza di salvaguardare valori altrettanto fondamentali».
(3) Per tutti, emblematico, l’argomentare di C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, in Commentario del
codice civile, a cura di magistrati e docenti, Torino, 1959, 280. Il quale a
proposito di prospettive che, de iure condendo, possano far ipotizzare un
miglior trattamento dei figli naturali, evoca, proprio, le norme di cui
all’art. 29 e 30 Cost.; o, F. DEGNI, La successione a causa di morte, I, La
successione legittima , Padova, 1938, III ed., 119, il quale scrive che le
legislazioni dei diversi popoli si sono sempre trovate d’accordo ad attribuire ai figli legittimi diritti successorı̂ poziori rispetto a quelli attribuiti
ai figli naturali. «Ciò in ossequio alla famiglia legittima base e fondamento di ogni sano ordinamento civile». In termini più generali, G. FERRANDO,
La filiazione naturale, cit., 96, secondo la quale, le residue differenze di
trattamento tra figli legittimi e figli naturali, giustificate «dall’esigenza di
proteggere l’unità della famiglia», non sono tali da «compromettere la
sostanziale unicità del contenuto del rapporto che lega il genitore al
figlio». E conclude nel senso che le residue differenze «si colgono pertanto non più a livello di disciplina del rapporto con i genitori, ma piuttosto
nei rapporti con i parenti». Diversamente e con piena consapevolezza
delle differenze, la chiara pagina di G. BONILINI, Manuale di diritto di
famiglia, Torino, 2002, II ed., 248, «la nascita, come evento di natura,
dovrebbe essere un avvenimento neutro; tuttavia, l’ordinamento giuridico, sebbene in misura assai ridotta, sul piano degli effetti, rispetto al
passato, persiste nel distinguere a seconda che essa avvenga in costanza
di matrimonio o fuori di esso».
(4) Cass., 12.3.2012, n. 4184. La sentenza può leggersi in Leggi d’Italia
professionale, e, per un commento, v. almeno, S. PATTI, I diritti delle persone
omosessuali e il mancato riconoscimento del matrimonio contratto all’estero, in Famiglia, persone e successioni, 2012, 456 e ss.
(5) L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, Milano, 1941, 168 e s.,
non dubita che i figli naturali debbano considerarsi eredi. È decisiva la
circostanza che il legislatore discorra di quote dell’eredità; mentre sarebbe
affrettato escludere che si tratti di eredi sol perché i figli legittimi hanno la
facoltà di pagare in danaro la loro quota. Gli è, però, che secondo l’A. la
posizione di erede del figlio naturale è attenuata. Perché la previsione della
facoltà di liquidazione consente, pur se esso è erede, di essere escluso dalla
divisione. Il che si giustifica per il rispetto che il legislatore conserva e
mantiene per la famiglia legittima. F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI,
Successioni per causa di morte e donazione, Padova, 1973, VI ed., 303, il
quale chiarisce che si tratta di eredi in secondo grado.
2. La successione del figlio naturale nel codice
del 1942
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IL COMMENTO
niuge del genitore, avevano diritto all’intera eredità (art. 576
c.c.)(6).
Nel caso in cui concorrevano con figli legittimi, ai figli naturali(7) spettava una quota corrispondente alla metà(8) di quella
spettante ai figli legittimi(9), purché, complessivamente, la
quota dei figli legittimi non fosse inferiore al terzo dell’eredi-
tà(10); ai figli legittimi, inoltre, era riservata la facoltà di pagare
in danaro o in beni immobili ereditari(11), a giusta stima, la
porzione spettante ai figli naturali (art. 574 c.c.)(12).
Nel caso in cui concorrevano con il coniuge del genitore, ai figli
naturali spettavano 2/3 dell’eredità, mentre al coniuge 1/3 dell’eredità (artt. 575 e 582 c.c.)(13).
(6) Si nega, dunque, un concorso dei figli naturali con i collaterali del
genitore. C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, cit., 378; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. VI, Diritto delle successioni per causa di morte, Milano, 1962, IX ed.,
78. F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di morte e
donazione, cit., 312, rilevano che la circostanza che i figli naturali escludono dalla successione i collaterali del de cuius, principio già adottato
dalla legislazione previgente, «fu oggetto di aspre critiche, perché ravvisato
troppo vantaggioso a favore dei figli naturali, tanto che fu proposto in sede
di osservazioni al progetto di ammettere un concorso anche tra figli naturali e fratelli legittimi del defunto». Questa proposta non ebbe seguito,
perché sarebbe stata in contrasto con le direttive di maggior favore adottate dal codice in materia di filiazione naturale.
(7) Spiega A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, Milano, 1943, II
ed., 59 e s., che, nel concorso tra figli legittimi e figli naturali, non ha più
ragione di porsi il problema del che accade nel caso in cui uno dei figli
legittimi rinunzi all’eredità. Perché il codice prevede che, in suo luogo,
succedano, per rappresentazione, i suoi discendenti. Nell’ipotesi, però,
in cui non vi fossero discendenti, si pone il problema, perché la rinunzia
del solo legittimo che concorre con il naturale determina l’aprirsi della
devoluzione agli ascendenti. Sicché si tratta di stabilire se si ha, in tale
caso, una nuova delazione della quota che spettava al legittimo, o della
sola quota spettante agli ascendenti. M. ALLARA, La successione familiare
suppletiva, Torino, 1954, 232, non dubita che, nel nuovo codice, in caso di
rinunzia all’eredità del figlio legittimo vi debba essere un vantaggio per i
figli naturali. La discussione sorta quando vigeva il codice abrogato non ha
più ragione di porsi.
(8) L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, cit., 167, precisa che il
codice attuale ha risolto un problema esistente sotto il vigore del vecchio.
Si è stabilito che la quota che spetta ai figli naturali è una quota di fatto e
non una quota di diritto. Ciò influisce sul calcolo, o meglio sarebbe dire,
sul metodo del calcolo. «Per questa quota bisogna calcolare ogni figlio
legittimo come due naturali e dividere l’asse ereditario per il risultato cosı̀
ottenuto, che rappresenterebbe la reale metà di quanto ad ogni figlio
legittimo viene a spettare». Cosı̀, anche C. GIANNATTASIO, Delle successioni.
Disposizioni generali – Successioni legittime, cit., 375, il quale si prova a
spiegare con un esempio: «se l’asse fittizio è pari a 120 ed esistono due figli
legittimi e due naturali, i primi avranno ciascuno 40, i secondi ciascuno
20». Efficace, A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., 58, il
quale, ribadito che si tratta di una quota di fatto e non quota di diritto,
come era nel vecchio codice, scrive: «concorrendo un figlio legittimo con
quattro naturali, si conserva la quota di fatto: 2/6 al legittimo, 1/6 per
ciascuno ai naturali. Concorrendo un legittimo con cinque naturali, poiché la quota di fatto del legittimo andrebbe al disotto del terzo, si attribuisce un terzo al legittimo e i 2/3 vengono divisi in parti uguali fra i naturali».
M. ALLARA, La successione familiare suppletiva, cit., 231, precisa che la
quota di fatto ha il vantaggio, rispetto a quella di diritto, usata nel codice
previgente, «di mantenere costante il rapporto tra la quota del figlio legittimo e la quota del figlio naturale». Secondo, F. MESSINEO, Manuale di
diritto civile e commerciale, vol. VI, Diritto delle successioni per causa di
morte, cit., 78, la norma è importante non soltanto perché ripudia il sistema della quota di diritto e adotta quello di quota di fatto, ma soprattutto perché «garantendo ai figli legittimi -in quanto legittimari- il terzo
dell’eredità, implicitamente dispone la possibilità della riduzione della
quota, spettante per legge al figlio naturale, ove ciò occorra (dopo la riduzione delle eventuali donazioni), per assicurare ai legittimi (e legittimari) il
terzo dell’eredità». F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per
causa di morte e donazione, cit., p. 306, osservano che il coordinamento
delle norme di cui all’art. 574 e 541 c.c. finiscono con l’imporre che i
calcoli per la determinazione delle quote di riserva debbono essere fatti
sulla massa fittizia.
(9) A conferma della coscienza sociale dell’epoca, si legge in L. BARASSI,
Le successioni per causa di morte, cit., 167, «riconoscere ad essi [i figli
naturali] una quota uguale sarebbe stata un’ingiuria alla famiglia legittima;
escluderli totalmente un’ingiuria al vincolo di sangue col genitore, qualunque esso sia». L’A. ricorda, anche, che i codici preunitari negavano ai
figli naturali qualunque diritto di successione in concorso con i figli legittimi.
(10) Spiega, molto bene, il senso di questa clausola di riserva, C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, cit.,
375. Se l’asse fosse 120 e vi fossero due figli legittimi e due naturali, i primi
conseguirebbero 40, ciascuno, e i secondi, 20, ciascuno. «Ad es. nel concorso di un figlio legittimo e cinque figli naturali, assegnando 40 al primo e
20 a ciascuno dei secondi, sarebbe rispettata la regola ma sarebbe violata
la quota di riserva di un terzo dell’eredità, onde nell’ipotesi innanzi fatta al
figlio legittimo spetterà un terzo, a ciascuno dei cinque figli naturali spetteranno due quindicesimi del patrimonio».
Benché l’esempio spieghi il senso della clausola di riserva, per amore di
cronaca, mette conto osservare il grossolano errore numerico nel quale è
incorso l’A. Dato l’asse di 120 e la esistenza di un figlio legittimo e cinque
figli naturali è errato ipotizzare che al primo spetti la quota di 40 e agli altri
una quota di 20. Il totale, infatti, darebbe 140 e non 120. In questo caso,
dunque, nel rispetto della regola sul doppio della quota, e con una minima
approssimazione, al figlio legittimo spetterebbe, 34,28 mentre a ciascuno
dei figli naturali 17,14.
(11) Secondo C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali –
Successioni legittime, cit., 376, sarebbe possibile anche la commutazione,
anche mediante l’assicurazione di una rendita vitalizia o l’assegno di frutti
di beni immobili o capitali ereditarı̂.
(12) A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., pp. 74 e ss., scrive
che il diritto di commutazione non fa venir meno la qualità di erede, trattandosi soltanto di un «modo di far cessare la comunione». Priva il figlio
naturale del diritto, che gli spetterebbe quale condividente, di avere la sua
parte in natura dei beni mobili e immobili dell’eredità. Esclude l’A. che si
possa dare commutazione parziale, mentre afferma che il figlio naturale
non può rifiutare una commutazione fatta in parte con danaro in parte
con beni. Molto chiaramente, dice M. ALLARA, La successione familiare suppletiva, cit., 233, che tale previsione non serve a evitare il frazionamento
della proprietà, ma a fornire «alla famiglia legittima un mezzo più rapido
per far cessare la contitolarità del patrimonio ereditario con la famiglia
naturale, contitolarità che, dati i delicati e presumibilmente poco cordiali
rapporti tra i membri dell’una e i membri dell’altra famiglia, sarebbe fonte
di attriti e di inconvenienti, con pregiudizio dell’amministrazione dei beni
ereditari» (cosı̀ anche F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per
causa di morte e donazione, cit., 307). In ogni caso, si tratta di un atto
divisionale in senso lato, poiché estromette il figlio naturale dalla comunione. Dalla qualifica di atto divisionale, l’A. toglie l’applicabilità di importanti
regole: quella sulla garanzia evizionale (artt. 758 e 759 c.c.); quelle sulla
rescissione per lesione (art. 763 c.c.); la norma di cui all’art. 762 c.c., sulla
omissione nella divisione di uno o più beni dell’eredità. A pagina 237 e ss.,
l’A. ferma alcune conclusioni: l’esercizio della facoltà di commutazione è
indivisibile; deve escludersi un esercizio parziale oggettivo della facoltà; la
facoltà di commutazione non deve, necessariamente riguardare tutti i figli
naturali; si può pagare in parte in danaro e in parte in beni immobili ereditarı̂. F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Diritto delle
successioni per causa di morte, cit., 79 e s., precisa che si tratta di un atto
divisionale indiretto al quale non si applicano le norme dettate per la divisione. La commutazione è possibile fino alla chiusura delle operazioni divisionali, ossia con l’assegnazione; a tal momento deve aversi riguardo per
la valutazione della quota. Secondo l’A. deve ammettersi una commutazione fatta in parte con danaro e in parte con beni immobili; deve ammettersi
la possibilità che il diritto venga esercitato anche da uno solo dei figli legittimi, «purché egli se ne assuma il relativo carico totale»; deve ammettersi
che la commutazione debba essere fatta nei confronti di tutti i figli, ché una
commutazione soggettivamente parziale non sarebbe legittima. Da escludere, invece, che la commutazione possa far perdere al figlio naturale la
qualità di erede e, quindi, la responsabilità per il pagamento dei debiti
ereditarı̂. Secondo F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per
causa di morte e donazione, cit., 307, la previsione di questa opzione rende
condizionata la devoluzione della quota a favore dei figli naturali. Gli autori,
a pagina 309, escludono che la commutazione possa essere fatta in parte
con danaro e in parte con beni immobili ereditarı̂, non già perché l’obbligazione sarebbe indivisibile, ma perché si tratterebbe di facultas solutionis.
Più articolata è la risposta che propongono rispetto alla necessità di un
accordo da parte di tutti i figli legittimi. Al riguardo assumono che l’accordo
è necessario soltanto nel caso in cui si voglia pagare la quota dei figli
naturali in beni immobili ereditarı̂, mentre non sarebbe necessario nell’ipotesi in cui si volesse pagare la quota dei figli naturali in danaro. Secondo
gli autori, inoltre, non sarebbe necessario pagare a tutti i figli naturali la
quota in danaro. Poiché l’opzione è prevista, allo scopo di estromettere dalla
divisione il figlio naturale, non v’ha dubbio che tale interesse potrebbe
sussistere rispetto a taluno, ma non rispetto ad altri. Più di recente, conservando l’opinione espressa nelle precedenti edizioni, L. MENGONI, Successioni
per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, in Trattato di diritto
civile e commerciale già diretto da Cicu e Messineo e continuato da Mengoni, XLIII, 1, Milano, 1993, V ed., 77, secondo il quale l’esercizio della
facoltà è indivisibile oggettivamente e soggettivamente.
(13) Mette conto di osservare che nell’ipotesi di concorso di figli legittimi
con il coniuge la soluzione era affatto diversa. A’ sensi dell’art. 581 c.c.,
infatti, quando con il coniuge concorrevano figli legittimi soli o con figli
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Nel caso in cui concorrevano con figli legittimi e con il coniuge,
all’ultimo spettava, soltanto, l’usufrutto dell’eredità (nella misura di 1/2 in caso di concorso con un figlio e di 1/3 in caso di
concorso con più figli), mentre ai figli naturali spettava una
quota corrispondente alla metà di quella spettante ai figli legittimi, i quali avevano, comunque, la facoltà di pagare in danaro o in beni immobili ereditari, a giusta stima, la porzione
spettante ai figli naturali (artt. 581 e 574 c.c.).
Nel caso di concorso con gli ascendenti del genitore, ai figli
naturali spettavano i 2/3 dell’eredità, mentre agli ascendenti
1/3(14) (art. 575 c.c.)(15). In caso di concorso con figli legittimi
e ascendente, l’ultimo sarebbe stato escluso dalla successione e
l’eredità sarebbe stata ripartita tra i figli legittimi e naturali
secondo la disciplina dettata all’art. 574 c.c.
Nel caso di concorso con il coniuge e con gli ascendenti naturali, agli ascendenti sarebbe spettata una quota pari a 1/4 dell’eredità, al coniuge una quota pari a 1/3 e ai figli naturali la
restante parte(16) (art. 575 c.c.)(17).
Infine, e in deroga al principio secondo il quale la filiazione
naturale determinava l’insorgere di rapporti esclusivi tra i genitori, che riconoscono il figlio o nei confronti dei quali è accertata la filiazione, e il figlio stesso, la norma di cui all’art. 577
c.c. stabiliva che il figlio naturale potesse succedere all’ascen-
dente legittimo immediato del suo genitore, che non volesse o
potesse accettare l’eredità, ma solo se l’ascendente non avesse
lasciato dietro di sé, né coniuge, né discendenti o ascendenti,
né fratelli o sorelle o loro discendenti, né altri parenti legittimi
entro il terzo grado(18). Insomma se il de cuius, oltre al figlio
legittimo, che non voleva o poteva accettare l’eredità, non avesse altri che il figlio naturale del proprio figlio legittimo(19).
Tutte queste regole erano, però, destinate a valere solo per il
caso di filiazione naturale riconosciuta o giudizialmente accertata(20), perché nei casi di figli naturali non riconosciuti o non
riconoscibili, a noma dell’art. 580 c.c., costoro avevano diritto
soltanto a un assegno vitalizio(21). Il cui ammontare sarebbe
stato determinato avendo riguardo alle sostanze ereditarie e
al numero e alla qualità degli eredi(22), con l’intesa che tale
assegno non avrebbe, comunque, potuto superare l’ammontare della rendita della quota a cui i figli naturali avrebbero avuto
diritto se la filiazione fosse stata dichiarata o giudizialmente
accertata(23).
naturali, al coniuge spettava non già un terzo dell’eredità, ma soltanto
l’usufrutto di una quota dell’eredità. Pari a metà nell’ipotesi in cui concorresse con un solo figlio legittimo, o di un terzo se concorreva con più
figli legittimi o con un figlio legittimo e un figlio naturale.
(14) Osserva, però, A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., 64
e s., che gli ascendenti sono legittimarı̂ e, in quanto tali a loro spetta, 1/3.
Ciò significa che per calcolare la quota di legittima spettante agli ascendenti, deve tenersi conto della riunione fittizia. Ciò può determinare che
1/3 del relictum sia inferiore alla quota di riserva. Il che diminuisce la
quota spettante ai figli naturali. I quali pur essendo legittimarı̂, in quanto
tali, hanno diritto, in concorso con gli ascendenti a una quota inferiore a
2/3. Sul problema, efficacemente, M. ALLARA, La successione familiare suppletiva, cit., 242 e s., il quale dopo aver illustrato due casi che dimostrano
la difficoltà di coordinare questa previsione con quella che attribuisce a
questi soggetti la qualità di legittimarı̂, conclude nel senso che vi è un
grave difetto di coordinamento delle discipline «e più precisamente un
conflitto tra la norma dell’art. 575 c.c. e quella dell’art. 545 c.c.». Conflitto
che, secondo l’A., può risolversi soltanto affermando la prevalenza della
norma sulla successione necessaria. F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e
commerciale, VI, Diritto delle successioni per causa di morte, cit., 80.
(15) Mette conto di osservare che nell’ipotesi di concorso di figli legittimi
con gli ascendenti, la soluzione era affatto diversa. A’ sensi dell’art. 566 c.c.,
infatti, sarebbero succeduti, per intero e in parti eguali, soltanto i figli
legittimi.
(16) Chiarisce C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali –
Successioni legittime, cit., 377 che, in questo caso, non si tiene conto né del
numero dei figli naturali, né del numero degli ascendenti. Per il raccordo
di questa disciplina con quella sulla successione necessaria, le considerazioni di F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di
morte e donazione, cit., 311, i quali chiariscono che prima si deve aver
riguardo alle quote di riserva e solo successivamente, al riparto secondo
queste proporzioni.
(17) Mette conto di osservare che nell’ipotesi di concorso di figli legittimi
con gli ascendenti e coniuge, la soluzione era affatto diversa. A’ sensi degli
artt. 581 e 566 c.c., infatti, la presenza dei figli legittimi avrebbe escluso
dalla successione gli ascendenti. Al coniuge sarebbe spettato soltanto l’usufrutto su una quota di eredità. Pari a un mezzo in caso di concorso con
un solo figlio legittimo e pari a un terzo in caso di concorso con più figli
legittimi. Ai figli legittimi, invece, sarebbe spettato il resto.
(18) A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., 69 e ss. F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Diritto delle successioni per
causa di morte, cit., 81, «tale eccezione, ispirata a ragioni di equità e di
favore verso il figlio naturale, si giustifica, considerando che il nipote naturale è posposto alle persone, che sono menzionate nell’art. 577; e succede, soltanto quando manchino quelle persone (o taluna di esse); si giustifica, inoltre, considerando che il figlio naturale, per ogni altro rapporto
di natura personale, non entra a far parte della famiglia del genitore che lo
ha riconosciuto o nei confronti del quale, egli ha ottenuto la dichiarazione
giudiziale di figlio».
(19) Sull’aspro dibattito che l’introduzione di questa norma ha sollecitato, nella dottrina e tra gli studiosi che parteciparono alla elaborazione del
codice, F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di
morte e donazione, cit., 312 e s.
(20) L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, cit., 165, osserva che,
data la base familiare della successione legittima, solo la filiazione giuridicamente constata giustifica il diritto alla successione. Più diffusamente,
C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, cit., 384 e ss.
(21) F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di
morte e donazione, cit., 318 e ss., chiariscano che si tratta di un diritto
che nulla ha a che vedere con l’assegno di mantenimento e che, dunque,
non può configurarsi come un diritto di credito, che sia continuazione post
mortem dell’obbligato. Secondo gli AA. è evidente che si tratti di un diritto
ex novo, «il cui carattere successorio emerge, d’altra parte, oltreché dal
mantenimento della norma [...] sotto il titolo delle successioni legittime
e dalle esplicite affermazioni contenute nelle relazioni ministeriali, dalla
natura del diritto stabilito dall’art. 580 che, pel modo in cui va determinato
e corrisposto [...] ha indiscutibile causa giuridica nella successione». Si
tratta di un legato ex lege, dovuto, indipendentemente dallo stato di bisogno e, pertanto, il cui ammontare non è soggetto a variazionı̂. Poiché
legato risulta cedibile da parte del titolare e realizzabile da parte dei creditori, dell’avente diritto, mediante azione surrogatoria. Deve, però, escludersi che si tratti di un diritto di riserva. Ciò significa che esso va calcolato
sul relictum e non sul donatum e che non sono applicabili le regole fondamentali sulla riserva. Sulla base di questo rilievo gli AA. segnalano, allora, che la previsione di cui all’art. 580 c.c. risulta facilmente eludibile da
parte del testatore. Tale risultato è, però, incoerente e contrario allo spirito
informatore della nuova disciplina che «ha inteso migliorare il trattamento
successorio di codesti figli naturali con un legato di rendita vitalizia, ben
più importante dei semplici alimenti concessi dal vecchio codice, e ha
soprattutto inteso di garantirlo ad essi anche contro la volontà dichiarata
del de cuius».
(22) Sul punto le considerazioni di F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazione, cit., 322 e s.
(23) Osserva L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, cit., 166, che in
codesta previsione deve notarsi «il miglioramento in confronto al precedente codice, che assegnava solo il diritto agli alimenti». Rimane, dunque,
chiaro che tale vitalizio ha natura strettamente successoria, con conseguente applicazione delle regole circa la indegnità a succedere. Nello stesso senso, A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., 96 e ss., il
quale rileva che tale diritto non è più legato, come nel vecchio codice, al
bisogno. Occorre segnalare che l’A. è molto critico sulla modalità stabilita
dal codice per la determinazione della misura di tale assegno e per questa
ragione propone una serie di ipotesi di concorso volte a dimostrare come
in concreto possa funzionare questa modalità di determinazione. F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Diritto delle successioni per
causa di morte, cit., 82 e s., reputa che si tratti di un legato ex lege che, però,
non è subordinato alla presenza dello stato di bisogno. Poiché grava sulla
disponibile, se il genitore, in vita, ha esaurito la disponibile, o non ha
istituito alcun erede, «l’assegno vitalizio resta lettera morta, non trattandosi del diritto di un legittimario». L’assegno va calcolato sul relictum
senza tener conto del donatum.
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A ciò, deve aggiungersi, che secondo quella
disciplina erano non riconoscibili non soltanto i
figli incestuosi, salvi i casi previsti nell’art. 251 c.c.,
ma anche i figli adulterini, salvi i casi indicati
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IL COMMENTO
all’art. 252 c.c. Sicché la categoria dei figli rispetto
ai quali non era possibile il riconoscimento o
l’accertamento giudiziale della paternità o
maternità era ben più ampia di quella che, ancor
oggi, esiste.
I figli naturali erano considerati anche legittimarı̂.
La disciplina che li riguardava era dislocata, nel libro II (Delle
successioni), titolo I (Disposizioni generali sulle successioni),
Capo X (Dei legittimari).
Come legittimarı̂, i figli naturali erano, cosı̀, trattati(24).
In mancanza di discendenti legittimi, di ascendenti e del coniuge del genitore, ossia in mancanza di tutti e con prevalenza
su nessuno, avevano diritto a 1/3 dell’eredità, in caso di unico
figlio naturale, e a 1/2 dell’eredità, in caso di più figli naturali(25) (art. 539 c.c.)(26).
La quota era, però, destinata a ridursi assai significativamente
in caso di concorso(27). Il quale era, effettivamente, aperto a
tutti i legittimarı̂ possibili e immaginabili.
Nel caso in cui concorrevano con figli legittimi, la riserva
complessivamente spettante a tutti i figli era pari a 2/3 dell’eredità, ma, su tale quota, ogni figlio naturale avrebbe potuto conseguire la metà della porzione che avrebbe conseguito ciascun figlio legittimo(28), purché, complessivamente,
la quota di questi ultimi non fosse inferiore al terzo del
patrimonio(29). In ogni caso, poi, i figli legittimi avevano
facoltà di pagare in danaro o in beni immobili ereditarı̂(30),
a giusta stima, la porzione spettante ai figli naturali (art. 541
c.c.)(31).
Nel caso in cui concorrevano con il coniuge del genitore(32), a
quest’ultimo spettava l’usufrutto dell’eredità (nella misura di
5/12 del patrimonio, in caso di concorso con un figlio e di 1/
3 del patrimonio, in caso di concorso con più figli(33)), ai figli
naturali spettava una quota nella misura di 1/4 dell’eredità più
1/2 della nuda proprietà spettante al coniuge, in caso di unico
figlio naturale, ovvero una quota nella misura di 1/3 dell’eredità più 1/2 della nuda proprietà spettante al coniuge, in caso
di più figli naturali (art. 543 c.c.)(34).
(24) Molto chiaro e utile uno schema di sintesi predisposto da F. S. AZZAG. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazione,
cit., 203, sulla misura della quota disponibile e della quota di riserva spettante a ciascun legittimario nel caso in cui sia solo e nei casi di concorso
con altri.
(25) Secondo A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., 243, la
previsione di quote differenti, a seconda del numero dei figli, è la innovazione più rilevante rispetto alla disciplina recata nel codice abrogato. F.
MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Diritto delle successioni per causa di morte, cit., 306.
(26) Ma si consideri che, nell’ipotesi di soli figli legittimi, a costoro spettava, a norma dell’art. 537 c.c., la metà del patrimonio, in caso di unico
figlio legittimo, e due terzi del patrimonio, in caso di più figli legittimi. F. S.
AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazione, cit., 196, pur rilevando che la posizione dei figli naturali sia migliorata rispetto a quanto era stabilito nel vecchio codice, non mancano di
rilevare che questi ultimi sono trattati peggio dei figli legittimi. C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, cit.,
264, precisa che, perché il figlio naturale possa essere considerato legittimario, occorre che il figlio sia riconosciuto, anteriormente all’apertura
della successione, «anche se, nell’ipotesi che esso sia contenuto nel testamento, sia reso pubblico solo in epoca successiva alla morte di lui». In
coerenza con questa idea e movendo dall’assunto che la sentenza che
dichiara la filiazione naturale ha carattere costitutivo, l’A. conclude, in
armonia con la migliore dottrina, che il figlio naturale può reputarsi legittimario solo nell’ipotesi in cui abbia proposto l’azione anteriormente alla
morte del genitore, ancorché la sentenza sia successiva. L’A., tuttavia, non
manca di ricordare la diversa opinione, che non condivide, secondo la
quale nel caso di specie vi sarebbe una retroattività attinente alla sostanza
del rapporto. In senso contrario, però, a pagina 374, a proposito della
successione legittima del figlio naturale, l’A. afferma che la sentenza giudiziale di accertamento della paternità o maternità naturale ha natura
dichiarativa. Ciò significa che il diritto successorio del figlio naturale giudizialmente accertato retroagisce alla data della morte del genitore. «L’efficacia ex tunc della sentenza importa il diritto al conseguimento di interessi e di annualità arretrate, con la sola limitazione della prescrizione
quinquennale di cui all’art. 2948 c.c.». In senso univoco, A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., 56, secondo il quale la norma di cui
all’art. 276 c.c., nella parte in cui prevede che il figlio naturale possa promuove l’azione, successivamente alla morte del genitore, contro gli eredi,
dovrebbe testimoniare che la sentenza che accoglie la domanda ha effetto
retroattivo non «al giorno della domanda giudiziale, ma al giorno della
nascita del figlio».
(27) Spiegano molto bene F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazione, cit., 195, che l’idea di utilizzare la
quota di fatto piuttosto che quella di diritto, nei varı̂ casi di concorso,
rispondeva non tanto alla esigenza di calibrare tra i concorrenti la quota,
quanto piuttosto dalla esigenza di non comprimere eccessivamente la
quota disponibile. «Si è quindi meglio regolata e ridotta la mobilità della
quota di riserva, poiché il crescere di questa è ora determinato dal numero
e non dalla categoria di legittimari, e d’altro lato non può mai eccedere i
due terzi del patrimonio».
(28) Secondo L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, cit., 193 si
tratta sempre di una quota di fatto, da calcolare allo stesso modo in cui
si calcola la quota nel caso di successione legittima. F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazione, cit., 198 e s.
(29) Spiega A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., 244, che
tale previsione serviva ad attenuare il risultato di svantaggio che l’adozione
della quota di fatto avrebbe potuto determinare a carico dei figli legittimi,
in presenza di un elevato numero di figli naturali. Ove ciò accade, infatti,
«il terzo viene attribuito ai figli legittimi e l’altro terzo ripartito, in parti
uguali, fra i figli naturali». In tema osserva, L. MENGONI, Successioni per
causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Trattato di diritto
civile e commerciale già diretto da Cicu e Messineo e continuato da Mengoni, XLIII, 2, Milano, 2000 IV ed., 157, che l’affermazione secondo cui
l’art. 537 c.c. è una attenuazione del sistema della quota mobile accolto
nel sistema francese «è esatto da un punto di vista di politica legislativa;
ma i due sistemi hanno un’origine storica diversa, risalendo l’uno al diritto
romano, l’altro al diritto germanico».
(30) Sulla differenza tra questo diritto e quello previsto in tema di successione legittima, F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per
causa di morte e donazione, cit., 204 e s. Secondo gli autori, perché possa
esercitarsi la facoltà nel caso di riserva, occorre «che ai figli legittimi sia
stata attribuita col testamento l’eredità oltre il limite della disponibile, e
che, per la lesione subita, i figli naturali agiscano in riduzione delle disposizioni testamentarie». La tesi, però, non convince appieno, perché se è
vero che i figli legittimi, a cui sia attribuito meno del dovuto debbano agire
in riduzione, non credo che si possa escludere che possano, comunque,
decidere di liquidarli in danaro. Precisa L. MENGONI, Successioni per causa
di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 163, che il diritto di
commutazione non spetta ai figli legittimi quando la quota di riserva è
attribuita al figlio naturale dallo stesso testatore, né per la quota di riduzione spettante ai figli naturali sui beni legati o donati. «Non tanto perché
tali beni, nella misura in cui sono assoggettati a riduzione, non cadono in
comunione tra figli legittimi e naturali, quanto perché non si tratta di
comunione ereditaria».
(31) C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni
legittime, cit., 274, precisa che si tratta di una vera e propria facoltà, per
l’esercizio della quale è necessario il consenso di tutti i figli legittimi,
ammessi al beneficio. Essa non muta la natura successoria della quota e
può essere esercitata fino all’effettiva assegnazione della quota. Secondo
A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., 244, la facoltà di commutazione riguarda la quota ereditaria, «non la quota di riduzione delle
donazioni cui il figlio naturale avesse diritto, poiché riguardo ad essa, non
essendovi comunione, non ricorrono i motivi per cui la facoltà è accordata». S. PIRAS, La successione per causa di morte. Parte generale. La successione necessaria, in Trattato di diritto civile diretto da Grosso e SantoroPassarelli, II, 3, Milano, 1965, 231.
(32) L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, cit., 194; C. GIANNATTASIO,
Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, cit., 280.
(33) Chiarisce A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., 246, che
nel caso di unico figlio l’usufrutto del coniuge grava per 1/12 sulla quota
del legittimario e per 4/12 sulla disponibile; in caso di più figli, l’usufrutto
del coniuge grava sulla disponibile per 2/12.
(34) Ma si consideri che in caso di concorso di figli legittimi con il coniuge, la soluzione era affatto diversa. A’ sensi dell’art. 542 c.c., infatti,
quando con il coniuge concorreva un solo figlio legittimo, la quota di
patrimonio a questo riservata è di 1/3 in piena proprietà. 1/3 spetta in
usufrutto al coniuge e la nuda proprietà dei beni assegnati in usufrutto al
coniuge spetta per una metà al figlio. Qualora i figli erano più, la quota di
patrimonio riservata a essi e al coniuge era complessivamente 2/3. Su
questa quota al coniuge spettava l’usufrutto di una porzione pari al quarto
RITI,
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IL COMMENTO
al coniuge l’usufrutto di 1/3 del patrimonio, agli ascendenti
una quota pari a 1/5 della riserva e al figlio naturale il residuo
oltre i 3/5 della nuda proprietà spettante al coniuge; mentre in
caso di più figli naturali, attribuendo al coniuge l’usufrutto di
1/3 del patrimonio, agli ascendenti una quota pari a 1/6 della
riserva e al figlio naturale il residuo, oltre alla nuda proprietà
spettante al coniuge, (art. 546 c.c.)(42).
Anche nel caso di successione necessaria valeva la regola che
era legittimario soltanto il figlio naturale la cui filiazione fosse
giuridicamente constatata. I figli naturali non riconosciuti o
non riconoscibili potevano, soltanto, conseguire, sulla disponibile, un assegno vitalizio, il cui ammontare sarebbe stato determinato in relazione alla consistenza dell’eredità e al numero
e alla qualità degli eredi(43).
Non molto migliore era la disciplina sulla successione testamentaria. La quale, al fine di contenere i vantaggi economici
che il figlio naturale avesse potuto conseguire da un animo
particolarmente liberale del genitore, recava un complesso di
disposizioni, profondamente restrittive, nelle quali, addirittura,
si faceva questione, per i figli naturali, di capacità di ricevere
per testamento (cfr. artt. 592-594)(44).
Nel caso in cui concorrevano con figli legittimi e con il coniuge,
la quota di riserva complessiva era pari a 2/3 dell’eredità(35). Al
coniuge spettava soltanto l’usufrutto dell’eredità nella misura
di 1/4 del patrimonio. La residua parte della quota di riserva
era divisa tra i figli legittimi e naturali secondo le proporzioni
segnate nell’art. 541 c.c. (ogni figlio naturale avrebbe potuto
conseguire metà della porzione che avrebbe conseguito ciascun figlio legittimo, purché, complessivamente, la quota di
questi ultimi non fosse inferiore al terzo del patrimonio e in
ogni caso, i figli legittimi avevano facoltà di pagare in danaro o
in beni immobili ereditari, a giusta stima, la porzione spettante
ai figli naturali(36)). Nella stessa proporzione doveva essere ripartita anche la nuda proprietà dei beni assegnati in usufrutto
al coniuge. Ma, su essa, i figli legittimi avevano diritto di conseguire una parte maggiore, se ciò fosse stato necessario per
integrare il minimo che loro spettava secondo quanto disposto
dall’art. 541 c.c. (art. 542 c.c.).
In caso di concorso con gli ascendenti del genitore(37), la quota
complessiva di riserva era di 1/2 in caso di unico figlio naturale
e di 2/3 in caso di più figli naturali(38). La riserva doveva essere
distribuita in modo tale che all’ascendente spettasse una quota
uguale a quella che sarebbe spettata a ciascun figlio (art. 545
c.c.)(39).
In caso di concorso con figli legittimi e ascendente(40), l’ascendente sarebbe stato escluso (arg. ex art. 537 c.c.) e la riserva
sarebbe spettata soltanto ai figli legittimi e naturali, secondo la
disciplina dettata all’art. 541 c.c.
Nel caso di concorso con il coniuge del genitore e con gli
ascendenti naturali(41), la quota complessiva di riserva era pari
a 2/3, da ripartire: in caso di unico figlio naturale, attribuendo
Sicché si limitava la stessa autonomia testamentaria(47), perché
il de cuius, non avrebbe potuto, anche volendo, agevolare i
del patrimonio del defunto, mentre le residua parte della quota di riserva e
la nuda proprietà dei beni assegnati in usufrutto al coniuge spettava ai
figli.
(35) Per una analisi dei principali problemi, anche legati all’esistenza di
un legato in sostituzione di legittima a favore del coniuge, C. GIANNATTASIO,
Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, cit., 274 e ss.
F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di morte e
donazione, cit., 200.
(36) In senso contrario, F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Diritto delle successioni per causa di morte, cit., 307.
(37) Il numero degli ascendenti non influisce sulla misura della quota. A.
CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., 246.
(38) L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, cit., 193 e s. C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni legittime, cit.,
282, si prova in alcune esemplificazioni concrete: «cosı̀ nel caso di concorso di uno o più ascendenti e di un figlio naturale, nel quale la quota di
riserva è pari alla metà del patrimonio del defunto, all’ascendente (o agli
ascendenti) spetterà un quarto e al figlio naturale pure un quarto; nel caso
di concorso di un ascendente (o più ascendenti) e due figli naturali, nel
quale la quota di riserva salirà a due terzi del patrimonio del defunto,
all’ascendente (o al gruppo di ascendenti) spetteranno due noni e a ciascuno dei figli naturali spetteranno pure due noni; nel caso di concorso di
un ascendente (o più ascendenti) e tre figli naturali, all’ascendente (o agli
ascendenti) spetterà un sesto e a ciascuno dei tre figli naturali pure un
sesto del patrimonio del de cuius; nel caso di concorso di un ascendente (o
gruppo di ascendenti) e quattro figli naturali, all’ascendente (o agli ascendenti) spetterà ugualmente un sesto, ma a ciascuno dei quattro figli naturali spetterà soltanto un ottavo».
(39) Ma si consideri, che nell’ipotesi di concorso di figli legittimi con gli
ascendenti, la soluzione era affatto diversa. Argomentando dall’art. 537
c.c., infatti, risultava che unici legittimarı̂ erano i figli legittimi.
(40) L’ipotesi non è presa in considerazione da L. BARASSI, Le successioni
per causa di morte, cit., 193 e s. e da C. GIANNATTASIO, Delle successioni.
Disposizioni generali – Successioni legittime, cit., 282.
(41) C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni
legittime, cit., 283.
(42) Mette conto di osservare che nell’ipotesi di concorso di figli legittimi
con gli ascendenti e coniuge, la soluzione era affatto diversa. A’ sensi
dell’art. 542 c.c., infatti, la presenza dei figli legittimi avrebbe escluso dalla
successione necessaria gli ascendenti. Se con il coniuge concorreva un
solo figlio legittimo, la quota di patrimonio a questo riservata è di 1/3 in
piena proprietà. 1/3 spetta in usufrutto al coniuge e la nuda proprietà dei
beni assegnati in usufrutto al coniuge spetta per una metà al figlio. Qualora i figli erano più, la quota di patrimonio riservata a essi e al coniuge era
complessivamente 2/3. Su questa quota al coniuge spettava l’usufrutto di
una porzione pari al quarto del patrimonio del defunto, mentre la residua
parte della quota di riserva e la nuda proprietà dei beni assegnati in usufrutto al coniuge spettava ai figli.
(43) L. BARASSI, Le successioni per causa di morte, cit., 194.
(44) Chiarisce F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI,
Diritto delle successioni per causa di morte, cit., 162, che «la ragione dei
limiti alla c.d. capacità di ricevere, sanciti negli artt. 592 e 593, risiede nella
difesa della famiglia legittima, contro l’eccessivo favore verso il figlio naturale (non-riconosciuto o non-riconoscibile)».
(45) Secondo C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto
italiano, I, Milano, 1952, II ed., 320 si tratta di una incapacità che riguarda
il solo figlio e che non può estendersi ai di lui discendenti. Oltre l’argomento letterale, l’A. adduce la norma di cui all’art. 599 c.c., la quale considera tra le persone interposte, escludendo, dunque, che possano essere
incapaci di ricevere per testamento, i discendenti legittimi del figlio naturale. A pagina 321 e s., l’A. assume che in questo caso non potrebbe riconoscersi ai figli legittimi la facoltà di commutazione. L’argomento è letterale: se il legislatore lo avesse voluto, avrebbe richiamato la disciplina,
come ha fatto in tutti gli altri casi in cui ha voluto concedere questa facoltà
ai figli legittimi. In senso contrario, F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e
commerciale, VI, Diritto delle successioni per causa di morte, cit., 161, «la
norma vale, anche, per il discendente legittimo del figlio naturale, che il
capov., dell’art. 599 considera, con presunzione iuris et de iure, persona
interposta».
(46) C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I,
cit., 318 e s., spec. 320, dopo aver trascritto il testo della Relazione del
Guardasigilli, n. 114, nella quale si dava atto del perché il nuovo codice,
diversamente dal primo progetto, avesse mantenuto la incapacità parziale
di ricevere per testamento dei figli naturali riconosciuti, solo se costoro
concorrevano con i figli legittimi e non anche con gli ascendenti, dice che
la motivazione non è affatto convincente. E precisa che: «la ragione che si
può addurre a giustificazione della norma di cui all’art. 592, è quella che fu
addotta già dal Pisanelli a sostegno della norma dell’art. 768 del codice
precedente: l’omaggio, cioè, dovuto alla famiglia legittima e la tutela degli
interessi di essa».
(47) Cosı̀, già, F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI,
Diritto delle successioni per causa di morte, cit., 160 e s.
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Famiglia, Persone e Successioni 10
I figli naturali, nei casi di filiazione giuridicamente
constatata, non potevano, infatti, ricevere per
testamento(45) più di quanto costoro avrebbero
potuto conseguire se la successione si fosse
devoluta secondo la legge (art. 592, I co., c.c.)(46).
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IL COMMENTO
proprı̂ figli naturali e far conseguire loro, più di quanto avrebbero potuto conseguire secondo le discipline sulla successione
legittima. Il che, veniva a significare che, in presenza dei figli
legittimi, soltanto per ipotizzare il caso più semplice, il de cuius
avrebbe dovuto far conseguire ai figli legittimi una quota di
fatto pari al doppio di quella che avrebbe potuto far conseguire
ai figli naturali.
In aggiunta, a ulteriore aggravio della loro posizione giuridica
soggettiva, si stabiliva che i figli naturali riconoscibili, quando
la filiazione risultava nei modi indicati nell’art. 279 c.c., non
avrebbero, comunque, potuto ricevere per testamento più di
quanto costoro avrebbero potuto conseguire se la filiazione
fosse stata riconosciuta o accertata (art. 592, II co., c.c.)(48).
Ancora peggiore, la posizione dei figli naturali non riconoscibili, la cui filiazione risulta accertata nei modi indicati dall’art.
279 c.c. e quella dei figli naturali riconoscibili, ma non riconosciuti (cfr. art. 593 c.c.)(49).
Se concorrevano con i figli legittimi, non avrebbero potuto
conseguire, per testamento, più della metà di quanto conseguiva, nella successione, il meno favorito dei figli legittimi. In caso
di disposizioni testamentarie più favorevoli, l’eccedenza andava ripartita, nelle stesse proporzioni, tra figli legittimi e figli non
riconoscibili(50). Il tutto fermato da una clausola di salvaguardia dei figli legittimi, la quale prevedeva che, in ogni caso, i figli
naturali non riconoscibili non potevano ricevere, complessivamente, più di un terzo dell’eredità(51) e che i discendenti legittimi avevano la facoltà di pagare in danaro o in beni immobili
ereditari, a giusta stima, la porzione loro spettante.
Se concorrevano con il coniuge del genitore naturale, i figli
naturali non riconoscibili, per testamento, non avrebbero, comunque, potuto conseguire più del terzo dell’eredità; l’eventuale eccedenza doveva essere attribuita al coniuge(52).
I figli naturali non riconoscibili e quelli non riconosciuti, quan-
do ricorrevano le ipotesi di cui all’art. 279 c.c. e il testatore non
avesse disposto a loro favore, avevano, però, diritto a conseguire nei confronti degli eredi e dei legatarı̂ del genitore, a cui era
attribuita la porzione disponibile, un assegno vitalizio nei limiti
stabiliti dall’art. 580 c.c. (cfr. art. 594 c.c.)(53). Ciò spiega, anche
la collocazione di questa disciplina, la quale, ben lungi dal
prevedere una specie di riserva a loro favore, si limitava ad
attribuire loro un mero diritto di credito, che poteva gravare,
soltanto, sulla quota disponibile.
A questo quadro di sperequazione, deve aggiungersi che, nel
codice del 1942, in tema di rappresentazione, pur se vi fosse già
stato un timido tentativo, volto a parificare la posizione giuridica dei figli legittimi a quella dei figli naturali, esso è riuscito
soltanto in parte. Se, per un verso, si affermava che la rappresentazione ha luogo, nella linea retta a favore anche dei discendenti dei figli naturali (art. 468 c.c.)(54), per altro verso, si stabiliva che potevano succedere nel luogo e nel grado del loro
ascendente, che non avesse voluto o potuto accettare l’eredità
(cfr. art. 468 c.c.)(55), soltanto i discendenti, escludendo, dunque, i discendenti naturali(56). Il che significava che, se l’istituito che non poteva o non voleva succedere era figlio naturale
dell’ereditando, potevano succedere per rappresentazione i
suoi discendenti, purché si fosse trattato di discendente legittimo e non di discendente naturale(57).
Ferma, invece, era la distanza tra la posizione delle due tipologie di figli, in tema di collazione.
Il legislatore aveva stabilito, all’art. 738 c.c. che sia i figli legittimi che i figli naturali erano tenuti alla collazione(58). Tuttavia,
il legislatore aveva stabilito che i figli naturali, nonostante qualunque dispensa, non avrebbero potuto conseguire nella successione più di quanto è indicato dall’art. 592 c.c., anche quando, per rinunzia o altra causa, non fossero venuti alla succes-
(48) C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I,
cit., 322 e s.; F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Diritto
delle successioni per causa di morte, cit., 161, il quale precisa che in ogni
caso, non potrebbe operare come deroga alla disciplina dettata dall’art.
592 c.c., neppure una dispensa da collazione.
(49) Non manca di rilevare la scarsa armonia della disciplina C. GANGI, La
successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., 320, il quale
osserva che in caso di figli naturali riconosciuti esiste una incapacità parziale; nel caso di figli naturali non riconoscibili o non riconosciuti, la cui
filiazione risulta a norma dell’art. 279 c.c., sono colpiti da incapacità parziale di ricevere per testamento; nel caso di figli naturali non riconosciuti o
non riconoscibili, non vi sarebbe nessuna incapacità. A pagina 232, l’A.
afferma che in un caso del genere, i terzi interessati, a esempio i figli
legittimi, «non potrebbero agire in giudizio per far accertare il loro stato,
e stabilirne quindi la incapacità parziale di ricevere».
(50) C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I,
cit., 324 e s.
(51) Spiega C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., 325, che tale limite venne stabilito, come risulta nella relazione del Guardasigilli n. 289, allo scopo di evitare che nell’ipotesi in cui vi
fosse un solo figlio legittimo e figli naturali in numero superiore a due,
questi ultimi «potessero assorbire tutta la disponibile, cioè la metà del
patrimonio, e potessero quindi venire a conseguire più di quanto potrebbero ricevere se invece di un figlio legittimo vi fosse il coniuge, ossia più di
un terzo».
(52) C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I,
cit., 325, dice che la mancata previsione di una regola di concorso con gli
ascendenti si spiega perché, secondo la relazione del Guardasigilli al Codice (n.1, c.) la incapacità di ricevere dei figli non riconoscibili è posta
soltanto in rapporto al coniuge.
(53) Si tratta dice C. GANGI, La successione testamentaria nel vigente diritto italiano, I, cit., 327, di attribuzione diversa da un credito alimentare;
pertanto, è dovuto indipendentemente dallo stato di bisogno; non è soggetto a variazionı̂. Non è, però, neppure, una quota di riserva, sicché non
possono trovare applicazione le norme speciali sulla riserva.
(54) La norma sulla rappresentazione, consente ai discendenti di colui
che non possa o non voglia succedere anche di avvantaggiarsi dei diritti
che il loro ascendente aveva quale legittimario. Cosı̀, A. CICU, Successione
legittima e dei legittimari, cit., 242: «in caso di loro [figli naturali] premorienza, assenza, indegnità, rinunzia, sono legittimari per rappresentazione
i loro discendenti legittimi». Anche S. PIRAS, La successione per causa di
morte. Parte generale. La successione necessaria, in Trattato di diritto civile
diretto da Grosso e Santoro-Passarelli, II, 3, Milano, 1965, 230, «anche nel
campo della successione familiare cogente si applica l’istituto della rappresentazione, limitatamente [...] alla categoria dei discendenti dei figli
legittimi e dei figli naturali del dante causa».
(55) C. GIANNATTASIO, Delle successioni. Disposizioni generali – Successioni
legittime, cit., 377 e s.
(56) F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI, Diritto delle
successioni per causa di morte, cit., 460, «la rappresentazione opera in
limiti molto ristretti: in favore, cioè, dei soli discendenti legittimi. Non
opera, quindi, né in favore dei discendenti naturali (salvo il caso, di cui
all’art. 577 [...]), né di tutti gli altri possibili successori [...] Invece, perché
operi la rappresentazione, non è necessario che il rappresentato sia ascendente legittimo; dal 1º co. dell’art. 468, si ricava che può succedere per
rappresentazione, il discendente legittimo di un rappresentato, che sia
figlio naturale del de cuius».
(57) A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., 56.
(58) Secondo F. MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, VI,
Diritto delle successioni per causa di morte, cit., 609, non sarebbero tenuti a collazione, tra loro, i figli naturali. Perché costoro non sarebbero,
tra loro, parenti. L’A., precisa la portata della norma in parola alla pagina
161, nella quale chiarisce che la dispensa da collazione non può operare
come deroga alla norma di cui all’art. 592 c.c. Non può ritenere la donazione eccedente, pur se non viene alla successione, neppure per interposta persona. Ne consegue che «la quota ab intestato, che spetta al
figlio naturale, deve calcolarsi, non soltanto sul relictum, ma altresı̀ sul
donatum». Nello stesso senso, F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI,
Successioni per causa di morte e donazione, cit., 681, i quali precisano
che i figli legittimi sono tenuti a collazione tra loro e nei confronti dei
figli naturali, che i figli naturali sono tenuti alla collazione con i figli
legittimi, mentre «è ovvio che l’obbligo della collazione non possa cedere anche a carico dei figli naturali nei confronti degli altri figli naturali».
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IL COMMENTO
sione. Disponendo che si sarebbe dovuta applicare la norma di
cui all’art. 599 c.c., in tema di persone interposte(59).
3. Gli interventi della Corte Costituzionale,
anteriormente alla riforma del diritto di famiglia
del 1975
E
ra inevitabile che, con l’approvazione della Costituzione,
con il conseguente mutamento del sistema delle fonti, con
l’instaurazione di un sistema rigido e gerarchico, che ha sottoposto la legge ordinaria alla Costituzione, con l’affermazione
della laicità dello Stato e con l’iniziale moto di coscienza sociale, i giuristi pratici cominciassero a protestare contro il trattamento più severo fatto ai figli naturali, in tema di successione
a causa di morte, dal codice civile, in confronto con i figli
legittimi. La protesta sfocia in
talune istanze indirizzate alla Corte
Costituzionale, con le quali, nel torno degli anni
che va dal 1960 e fino al 1975, si chiede, che venga
dichiarata la illegittimità costituzionale di talune
delle norme, che prevedevano, per i figli naturali,
un trattamento deteriore rispetto a quello che la
legge riservava ai figli legittimi.
Era, del pari, inevitabile, però, che la protesta non potesse condurre a risultati brillanti, perché le norme costituzionali invocate a sostegno della incostituzionalità delle regole successorie
contenute nel codice civile e sottoposte al vaglio, erano quelle
che la disparità fondavano e giustificavano siccome necessaria.
E la Corte Costituzionale, anche quando finisce con l’eliminare
talune norme, ben lungi dal considerare il figlio naturale, figlio,
ossia ben lungi dall’aprirsi a soluzioni di modernità, finisce col
gridare la differenza che tra costoro deve sussistere, chiudendo
vecchi cancelli assai difficili da scavalcare.
Quest’orizzonte di domande e problemi spiega, una prima decisione della Corte Costituzionale(60). La quale, non mancando
di avvertire l’opportunità di un cambiamento, ammonisce sulla
infondatezza della questione di costituzionalità degli artt. 467,
468 e 577 c.c., con una decisione nella quale è facile cogliere un
alto grado di ipocrisia giuridica.
Per un verso, si afferma che l’art. 30 Cost., consente di desumere «un innegabile favore per la prole naturale», ma, per altro
verso, si precisa che che la norma costituzionale contiene una
riserva che solo la legge può sciogliere, sicché dovrà essere «il
legislatore a stabilire fino a che punto la maggiore tutela del
figlio naturale sia, caso per caso, cioè nella eventuale determinazione di uno status e delle conseguenze di esso anche in
(59) Osserva A. CICU, Successione legittima e dei legittimari, cit., 82 e ss.,
che questa disciplina finisce con l’escludere che il figlio naturale possa
essere dispensato dall’imputazione. Perché mentre i figli legittimi che fossero dispensati dall’imputare ciò che hanno ricevuto per donazione non
devono conferire le donazioni, «il figlio naturale deve imputare e, per il
supero, restituire le donazioni a lui fatte anche con la dispensa da collazione. Donde risulta evidente che l’obbligo di imputazione c’è anche se
manca l’obbligo di collazione. E cosı̀ pure nel caso in cui il figlio naturale
rinunzi alla successione o non venga alla successione per altra causa: es.,
per indegnità».
(60) C. Cost., 6.7.1960, n. 54, in CED Cassazione, la cui massima suona,
cosı̀: «L’art. 30 della Costituzione 3º co. non contiene una disciplina precisa
della tutela dei figli nati fuori del matrimonio, ma soltanto una generica
disciplina di favore per gli stessi, rimettendo al legislatore ordinario il
compito di stabilire fino a che punto la loro maggiore tutela sia caso per
caso, cioè nella eventuale determinazione di uno status e delle conseguen-
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Famiglia, Persone e Successioni 10
campo successorio, compatibile coi diritti dei componenti la
famiglia legittima»(61).
Sta di fatto che, in quella sentenza, trincerandosi, formalmente,
dietro la riserva di legge, ma sostanzialmente sulla idea di una
ontologica diversità, il sistema legislativo rimane immutato(62).
Perché, comunque, i figli naturali sono altro e diversi dai figli
legittimi. Perché sono figli nati da persone non unite in matrimonio, ossia fuori dal matrimonio, unico atto capace di legittimare e fondare la società familiare. Ai figli naturali debbono,
dunque, prevalere tutti i parenti legittimi, quale che sia l’affectio di quella borghese famiglia legittima. Ciò, in che sta la parte
sostanziale e vera della decisione, si legge, a tutte lettere, nelle
parole del giudice delle leggi, quando giustifica la infondatezza
della questione di legittimità costituzionale rispetto agli articoli
sottoposti al vaglio. «Per quanto riguarda i primi due, essi attribuiscono il diritto di rappresentazione ai soli discendenti
legittimi di chi non può o non vuole accettare l’eredità del
proprio ascendente o collaterale: come tale la norma non contrasta col terzo comma dell’art. 30 Cost., che è ben lungi dal
negare questo diritto dei discendenti legittimi; né può essere
dichiarata costituzionalmente illegittima in quanto non estende il beneficio della successione indiretta anche al figlio naturale: infatti, nei casi in cui aspirano alla successione, oltre che il
figlio naturale del figlio o del fratello del de cuius, altri parenti
legittimi di questo, come i fratelli o gli zii, prima di ammettere
alla successione il figlio naturale occorrerà vedere quanto ciò
sia compatibile coi diritti di quegli altri parenti: problema al
quale, come si è detto, solo il legislatore ordinario potrà dare
una soluzione precisa.Analoga conclusione si impone relativamente all’art. 577 c.c.; esso ammette a succedere in via diretta il
figlio naturale del figlio del de cuius solo quando non ci siano
parenti di quest’ultimo entro il terzo grado; cioè quando non ci
siano persone che, secondo quel che si è detto essere il significato da dare al terzo comma dell’art. 30 Cost., fanno parte di
quella famiglia legittima del de cuius, della quale soltanto il
legislatore potrà valutare i diritti nei cui confronti si dovrà regolare l’ampiezza della tutela dei figli naturali»(63).
Si potrebbe dire che il tempo non era ancora maturo per quella
declaratoria di incostituzionalità.
Il tempo, però, sembra compiersi appena nove anni dopo,
quando, sulla medesima questione, la Corte Costituzionale ritorna, su istanza del medesimo tribunale, e, all’esito della propria decisione(64), dichiara l’incostituzionalità dell’art. 577 c.c.
e l’incostituzionalità parziale degli art. 467 e 468 c.c.(65)
Errato sarebbe, però, sulla base di questa
sentenza di valutare una apertura della Corte
Costituzionale ai figli naturali, in quanto figli; di
ze di esso anche in campo successorio, compatibile coi diritti dei componenti la famiglia legittima. I limiti contenuti nelle norme degli artt. 467,
468 e 577 c.c., per quanto riguarda la successione dei figli naturali e dei
loro discendenti, non sono in contrasto col suddetto art. 30 della Costituzione, terzo co.. In detta norma è espressa la insindacabile valutazione del
legislatore ordinario circa la compatibilità della tutela dei figli naturali coi
diritti dei membri della famiglia legittima».
(61) Cosı̀, si legge nella motivazione della sentenza C. Cost., 6.7.1960, n.
54, cit.
(62) F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di
morte e donazione, cit., 312.
(63) Cosı̀, si legge nella motivazione della sentenza C. Cost., 6.7.1960, n.
54, cit.
(64) C. Cost., 14.4.1969, n. 79, in Giur. it., 1969, 1219 e s.
(65) F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di
morte e donazione, cit., 312.
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IL COMMENTO
cogliere modernità della decisione o equilibrio di
soluzioni. Perché, a leggere, attentamente, la
motivazione, la declaratoria di incostituzionalità,
per quanto possa apparire paradossale, finisce
con l’essere una importante affermazione di
disparità(66).
La quale stride, oggi, ancor di più, con il senso di legalità, se
soltanto si pensa che quella decisione venne assunta, mettendo
a suo fondamento, non soltanto l’art. 30 Cost., ma, soprattutto,
l’art. 3 Cost.
Ma ho già detto, che l’art. 29 e l’art. 30 di certo sono stati e
sono, ancora, gli acerrimi nemici dei figli naturali e della famiglia fondata sull’affectio familiaris, ma non anche sul matrimonio quale atto.
Il rilievo appena svolto è facile da cogliere se soltanto si considera che l’attenzione del giudice delle leggi è ferma sull’art. 467
c.c., mentre l’incostituzionalità dell’art. 577 c.c. e dell’art. 468
c.c. sono, soltanto, una conseguenza della incostituzionalità del
primo; diremmo una necessità logico-giuridica(67).
Il ragionamento del giudice, movendo dal presupposto che la
Costituzione non ha, affatto, assimilato figli naturali e figli legittimi, «ché anzi l’ampiezza dei diritti dei primi nei confronti
dei secondi dev’essere determinata, in ossequio alla preminenza di questi ultimi e sia pure con criteri di razionalità, dal potere discrezionale del legislatore ordinario»(68), giunge alla conclusione che «l’assimilazione è innegabile (solo) là dove manchi una famiglia legittima»(69).
Poiché, però, la famiglia legittima comprende coniugi e figli,
ma non anche collaterali o ascendenti, essendo questo il nuovo
modello famigliare assunto a paradigma dal legislatore, allora è
possibile dire che i figli naturali, se non vi siano i figli legittimi,
possono essere direttamente tutelati.
La tutela del figlio naturale si apre soltanto se il genitore naturale non ha coniuge o figli legittimi. In tema di rappresentazione, però, non si può porre un problema di conflitto tra coniuge
e figli naturali, dacché il coniuge, per rappresentazione, non
potrebbe, comunque, succedere. Rimangono soltanto i figli legittimi. La cui presenza, in ossequio all’art. 30, terzo co., Cost.,
deve far escludere ogni diritto dei figli naturali e la cui assenza
può consentire di aprire alla loro possibilità di succedere per
rappresentazione.
Siamo, ancora ben lungi, dunque dal dire che, in tema di rap-
presentazione, i figli naturali e i figli legittimi stanno sullo stesso piano. Stanno proprio su piani distinti. Gli ultimi escludono
il diritto dei primi, riconoscibile soltanto in loro assenza.
Ecco, dunque, l’esito finale della decisione, che afferma sı̀, l’incostituzionalità dell’art. 467 c.c., ma limitatamente alla parte in
cui esclude dalla rappresentazione il figlio naturale di chi, figlio
o fratello del de cuius, non potendo o non volendo accettare,
non lasci o non abbia discendenti legittimi.
Nulla aggiunge o toglie la incostituzionalità delle altre due norme. Solo necessaria conseguenza, senza nessuna ulteriore valutazione; mero coordinamento di discipline, priva di epimachia rispetto a ciò che la motivazione condotta rispetto alla
incostituzionalità dell’art. 467 c.c. ha consentito di avvertire.
Nulla aggiunge, in termini sostanziali, al fine di realizzare una
eguaglianza sostanziale tra figli nati da persone unite in matrimonio e figli nati da persone non unite in matrimonio(70),
uguaglianza che, anzi, è ulteriormente dismagata.
Allo stesso stile argomentativo e, dunque, alla medesima incapacità di innovare sostanzialmente la posizione giuridica successoria del figlio naturale, si ispirano tre successive decisioni.
Le quali, pur avendo, di certo, il merito di migliorare la condizione giuridica successoria del figlio naturale, sono, ancora,
assai ben lontane dall’affermare che i figli naturali hanno i
medesimi diritti dei figli legittimi.
Lo stile argomentativo, dicevo, è identico a quello della sentenza del 1969; le decisioni si limitano, infatti, a cancellare dall’ordinamento quelle norme che prevedono il concorso dei figli
naturali con ascendenti e collaterali o l’incapacità di ricevere
per testamento del figlio naturale.
Non toccano affatto e, anzi, ribadiscono, la differenza tra figli
legittimi e figli naturali.
Cosı̀, accade in una sentenza dell’anno successivo(71), con la
quale viene dichiara l’illegittimità costituzionale del 1º co. dell’art. 593 c.c. e, per logica conseguenza, l’illegittimità costituzionale dell’art. 593, co. 2º, c.c.; dell’art. 593, co. 4º, c.c., nella
parte concernente l’applicabilità delle disposizioni contenute
nei co. 1º e 2º ai figli non riconosciuti, dei quali sarebbe ammissibile il riconoscimento a norma degli artt. 251 e 252, 3º co.,
c.c.; dell’art. 592 c.c.; dell’art. art. 599 c.c., nella parte in cui si
riferisce agli anzidetti articoli 592 e 593 c.c.
Con questa sentenza, cade l’incapacità dei figli naturali di ricevere per testamento, oltre una certa misura(72). Incapacità
che appariva, già, davvero assai paradossale, se solo si pensa,
come non manca di rilevare la stessa Corte, non tanto alla
(66) In senso contrario, senza dimenticare che si tratta di un testo del
1973, F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di
morte e donazione, cit., 313 e s..
(67) A norma dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la quale statuisce che «La Corte Costituzionale, quando accoglie una istanza o un
ricorso relativo a questioni di legittimità costituzionale di una legge o di
un atto avente forza di legge, dichiara, nei limiti dell’impugnazione, quali
sono le disposizioni legislative illegittime. Essa dichiara, altresı̀, quali sono
le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata».
(68) Cosı̀, si legge nella motivazione della sentenza C. Cost., 14.4.1969, n.
79, cit.
(69) Cosı̀, si legge nella motivazione della sentenza C. Cost., 14.4.1969, n.
79, cit.
(70) Chiaro risulta nella motivazione della sentenza C. Cost., 14.4.1969,
n. 79, cit., nella quale si legge, rispetto alla incostituzionalità dell’art. 468
che «Dichiarata l’illegittimità dell’art. 467 si deve fare altrettanto, [...] per
l’art. 468; il quale riserva la successione per rappresentazione ai soli
discendenti di chi non può e non vuole accettare: siccome per discendenti si sono intesi sempre, ovviamente, quelli legittimi, anche questa
norma è incostituzionale, poiché nega il diritto al figlio naturale in assenza di discendenti legittimi del padre e rispetto alla incostituzionalità
dell’art. 577 c.c. che ‘‘L’art. 577 ammette alla successione ab intestato il
figlio naturale del figlio del de cuius, ma solo se quest’ultimo non lasci né
coniuge né parenti entro il terzo grado.’’ La norma ha come presupposto,
nel Codice, l’assenza d’un diritto di rappresentazione del figlio naturale
ed è stata emanata (si dice) aequitatis causa, proprio in sostituzione di
quel diritto. Perciò, comunque si qualifichi la situazione, l’art. 577 è
totalmente illegittimo, poiché risponde a un sistema successorio che
contrasta col diritto di rappresentazione del figlio naturale. Infatti, dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 467, quegli succede o non succede a
seconda che non vi siano o vi siano discendenti legittimi del rappresentato; mentre a norma dell’art. 577 succederebbe o non succederebbe a
seconda che non vi fossero o vi fossero coniugi o parenti entro il terzo
grado del de cuius: il che non si concilia col principio ricavato dal raffronto dell’art. 467 con l’art. 30 Cost.».
(71) C. Cost., 28.12.1970, n. 205, in Giust. civ., 1971, III, 81 e ss.
(72) F. S. AZZARITI, G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di
morte e donazione, cit., 366 e s., dicono che in virtù della sentenza, «non
è più vero che i figli illegittimi debbano avere un trattamento ereditario,
nelle successioni testamentarie, inferiore a quello dei figli legittimi, con la
conseguente completa equiparazione dei primi ai secondi, e con l’eliminazione della preminenza della famiglia legittima, sancita peraltro nella
Costituzione, e della sua maggior tutela di fronte agli illegittimi».
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IL COMMENTO
posizione dei figli legittimi, per i quali non v’era alcuna limitazione, bensı̀ alla posizione degli estranei alla famiglia legittima,
a favore dei quali il de cuius avrebbe potuto, sempre, in assenza
di altri legittimarı̂, liberalmente disporre(73)
Ancora, la sentenza della Corte Costituzionale del 1973(74), la
quale dichiara la incostituzionalità dell’art. 539 c.c., limitatamente alla parte in cui, a favore dei figli naturali, quando la
filiazione è riconosciuta o dichiarata, è riservato, in mancanza
di figli legittimi e di coniuge, soltanto un terzo del patrimonio
del genitore, se questi lascia un solo figlio naturale, o la metà,
se i figli naturali sono più, e non, come per i figli legittimi, la
metà del patrimonio del genitore, se questi lascia un figlio solo,
o i due terzi, se i figli sono più e, sempre, per logica necessità di
coordinamento, l’incostituzionalità dell’art. 545 c.c. e dell’art.
546 c.c. e, conseguentemente, dell’art. 538 c.c., dell’art. 539 c.c.
e dell’art. 540 c.c., nelle parti in cui fanno richiamo ai predetti
art. 545 e art. 546.
Sentenza che, certamente, sembra innovare il
sistema e parificare la posizione dei figli naturali a
quella dei figli legittimi, ma sol perché si tratta di
situazioni nelle quali mancano del tutto i figli
legittimi, ossia quei soggetti che, primariamente,
debbono essere tutelati. Anche in questa
occasione, il giudice non manca di ammonire che
occorre garantire ogni tutela al figlio naturale, ma
soltanto «quando non urti cogli interessi ‘‘dei
membri della famiglia legittima’’»(75).
to è soltanto nel nuovo concetto di famiglia nucleare, in luogo
di quella molecolare.
La famiglia legittima, alla quale deve riconoscersi assoluta priorità, è quella composta di coniuge e figli. La presenza di una
famiglia legittima non lascia spazio ai figli naturali. I quali,
però, possono conquistare qualche migliore posizione rispetto
a familiari, pure legittimi, ma non più considerati componenti
della famiglia in senso nucleare.
Tutto ciò senza tralasciare di considerare che in un importante
caso, la Corte Costituzionale, pur investita di una questione
assai rilevante, è riuscita a non prendere parte al dibattito tramite la via dell’inammissibilità della questione.
È il caso di una decisione del 1973(77), nella quale alla Corte
veniva chiesto di valutare se fosse costituzionalmente legittima,
alla luce della norma di cui all’art. 3 Cost., la disciplina recata
all’art. 580 c.c., nella parte in cui prevede che, in caso di successione legittima, ai figli naturali non riconosciuti o non riconoscibili spetti soltanto un assegno alimentare. Si lamentava,
infatti, che la norma, nello stabilire ciò, considerava tali soggetti meri legatarı̂, collocandoli, dunque, in una posizione peggiore rispetto a quella assicurata agli ascendenti e ai collaterali
che, pur non facendo parte della famiglia legittima, erano considerati estranei. Nel merito, come anticipavo, la questione non
venne discussa, perché la Corte riuscı̀ a dichiarare l’inammissibilità della questione.
Un quadro generale, dunque, che non conforta, e che non coglie di sorpresa il giurista che, oggi, valuti, con gli occhi di
allora, e con lo sguardo fisso al 3º co. dell’art. 30 Cost., quanto
sia accaduto e quanto, ancora, la sostanziale parità fosse tutta
da farsi e tutta da venire.
Infine, in una sentenza dell’anno successivo(76), la quale ha
dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 575 c.c., limitatamente alla parte in cui, in mancanza di figli legittimi e del
coniuge del genitore, ammette un concorso tra i figli naturali
riconosciuti o dichiarati e gli ascendenti del genitore e, in necessaria e logica conseguenza, la illegittimità costituzionale
dell’art. 435 c.c., nella parte in cui non prevede l’obbligo per i
figli naturali riconosciuti o dichiarati di prestare gli alimenti
agli ascendenti legittimi del proprio genitore.
Ancòra una volta, e molto più di quanto non sia accaduto nella
precedente sentenza, si migliora la posizione giuridica successoria del figlio naturale, ma si è assai lungi dall’equiparare la di
lui posizione giuridica a quella dei figli legittimi.
La cui priorità è, anzi, ribadita e confermata. E il cui fondamen-
na vera e sostanziale opera di parificazione della condizione giuridica, anche successoria, dei figli naturali rispetto ai figli legittimi, si compie, soltanto, con la riforma del
diritto di famiglia, ossia con la l. 19.5.1975, n. 151.
La quale ha, in primo luogo, il merito di aver sostituito alla
formula «filiazione illegittima», con la quale, sino ad allora, il
legislatore designava i figli nati da persone non unite in matrimonio, con la formula, oggi diffusa e accreditata, di «filiazione
naturale»(78). L’importanza di una tale modificazione non sfugge ad alcuno, se soltanto si considera non soltanto il valore che
le parole assumono nel linguaggio oggetto, il quale è, quasi
sempre, performante e non meramente descrittivo, ma soprat-
(73) Si legge nella motivazione di C. Cost., 28.12.1970, n. 205, cit., 81 e ss.,
«Orbene, evidente appare l’incostituzionalità della norma ove si ponga
mente alla condizione ch’essa riserva ai figli naturali non riconoscibili
rispetto a tutti gli altri soggetti estranei alla famiglia legittima. Mentre
per questi ultimi sussiste una piena capacità di ricevere per testamento,
limitata è, invece, la capacità dei primi con la conseguenza che il testatore
può liberamente disporre a favore dei terzi estranei, lasciando ad essi
l’intera quota disponibile e non può usare lo stesso trattamento nei riguardi dei figli naturali. Pertanto, proprio in relazione alla loro condizione
personale e sociale e cioè alla loro nascita avvenuta fuori del matrimonio,
i figli naturali non riconoscibili vengono a trovarsi in condizione di sfavore
rispetto agli altri estranei alla famiglia legittima, subendo un sacrificio dei
propri interessi che non trova giustificazione né nel contenuto né nella
finalità della norma».
Ma, in senso molto critico,e con animo molto conservatore, F. S. AZZARITI,
G. MARTINEZ , GIU. AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazione, cit.,
367 e s., i quali dicono che non è vero che l’ereditando poteva attribuire la
propria disponibile agli estranei, ma non ai figli ‘‘illegittimi’’, perché anche
a questi ultimi avrebbe potuto attribuire la disponibile intera, sempre che
non vi fossero altri discendenti legittimi «i quali lo impediscono sol perché
sia offerta salvaguardia e tutela alla famiglia legittima». In conseguenza,
osservano gli AA., che se l’eliminazione della incapacità di ricevere per
testamento è stata disposta, omettendo di considerare che l’incapacità
«era sancita solo per l’ipotesi in cui vi fossero discendenti legittimi, è grave
la decisione e non può essa reggersi sul rammarico che la disponibile
possa essere attribuita ad estranei e non anche ai propri figli illegittimi.
Se, invece, l’eliminazione della limitazione di quella capacità è stata disposta nella piena cognizione che essa dovesse valere solo in presenza di
discendenti legittimi, la decisione non può che contenere il proposito di
vedere eliminata ogni differenza tra figli legittimi e figli illegittimi, e di non
più riconoscere la preminenza della famiglia legittima e non può più offrire ad essa salvaguardia e tutela, di fronte a rapporti senza il matrimonio
o, peggio, con violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale».
(74) C. Cost., 30.4.1973, n. 50, in Giur. it., 1973, I, 1223 e ss.
(75) Cosı̀, nella motivazione della decisione di C. Cost., 30.4.1973, n. 50,
cit.
(76) C. Cost., 27.3.1974, n. 82, in Ced cassazione e in Leggi d’Italia professionale.
(77) C. Cost., 5.7.1973, n. 105, in Leggi d’Italia professionale.
(78) Cfr. artt. 100 e 101 L. 19.5.1975, n. 151.
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4. La legge di riforma del diritto di famiglia
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IL COMMENTO
Si restringe, inoltre, e significativamente, la categoria dei figli
naturali non riconoscibili(80). Perché tali rimangono i figli incestuosi(81), mentre cessano di esserlo i figli adulterini(82). Infine,
scompare la categoria dei figli naturali riconoscibili, ma non
riconosciuti(83). I quali, fin tanto che non siano riconosciuti
non hanno diritto di prender parte alla successione del loro
genitore, stante la norma di cui all’art. 573 c.c.(84), avendo soltanto i, più limitati, diritti loro riconosciuti dagli artt. 580 e 594
c.c., ma sempre impregiudicata la loro possibilità di chiedere e
ottenere, anche nei confronti degli eredi del proprio genitore,
l’accertamento giudiziale della maternità e della paternità naturale(85), con conseguente instaurazione dello stato di figlio
naturale e ammissione ai diritti succesorı̂(86).
(79) Efficaci le considerazioni di P. ZATTI, Il diritto della filiazione, in
Famiglia e diritto a vent’anni dalla riforma, a cura di A. Belvedere e C.
Granelli, Padova, 1996, il quale scrive: «se però si guarda ad un livello forse
più profondo, si può osservare che tutte le novità non intaccano la struttura più elementare del diritto della filiazione: i fondamenti e il significato
dell’idea di maternità e paternità non sono assolutamente posti in discussione, se non attraverso l’imitatio naturae dell’adozione speciale».
(80) Ciò importa evidenti riflessi in tema successorio. A norma dell’art.
573 c.c., norma tutt’ora vigente, le disposizioni relative alla successione dei
figli naturali si applicano soltanto quando la filiazione è stata riconosciuta
o giudizialmente dichiarata. I figli non riconoscibili, per i quali non è,
dunque, possibile neppure chiedere l’accertamento giudiziale della paternità e maternità hanno soltanto minori e limitati diritti successorı̂. Quelli
previsti all’art. 580 e 594 c.c. Va, tuttavia, segnalato che a seguito di una
sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato la illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 269, 1º co., c.c. la questione risulta
significativamente ridimensionata. Sul punto vedi infra sub nota 106.
L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione
legittima, cit., 123, osserva che l’ambito di applicazione dell’art. 580 c.c. si
è significativamente ridotto, «fino a diventare un’ipotesi quasi marginale,
sia perché la categoria dei figli non riconoscibili è ora ridotta ai figli incestuosi (art. 251), sia perché è stato abrogato l’art. 271 che assoggettava
l’azione per la dichiarazione di paternità naturale a un termine di due
anni dal compimento della maggiore età».
(81) Cfr. art. 103 L. 19.5.1975, n. 151. Ma si considerino le osservazioni di
G. BONILINI, Manuale di diritto di famiglia, cit., 286, il quale manifesta
perplessità sulla legittimità della norma che prevede la non riconoscibilità
dei figli incestuosi. Non senza aver ammonito sull’origine del divieto, sulla
riprovazione sociale che, nel tempo, ha assunto il fatto dell’incesto, il quale
costituisce anche fattispecie penalmente rilevante, quando ne derivi pubblico scandalo, sulle preoccupazioni eugenetiche manifestate dagli scienziati di genetica, nonché sulle conseguenze negative che il riconoscimento
di tale stato famigliare possa determinare rispetto al soggetto interessato,
l’A. constata che la permanenza del divieto «lascia sopravvivere una discriminazione di dubbia costituzionalità, dal momento che l’art. 30 Cost.
genericamente assicura ‘‘ai figli nati fuori del matrimonio’’, ogni tutela
giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia
legittima».
(82) Cfr. art. 104 L. 19.5.1975, n. 151.
(83) G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in
Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, V, Successioni, Torino,
1997, II ed. (rist. 2008), 480, precisa che l’art. 594 c.c. non menziona più
i figli naturali che, sebbene riconoscibili o giudizialmente accertabili, non
siano stati riconosciuti o dichiarati. L’omissione dipende dalla scelta compiuta dal legislatore della riforma, la quale consente che la dichiarazione
giudiziale di paternità e di maternità possa essere ottenuta con ogni mezzo
di prova e in ogni tempo.
(84) Ammonisce L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 157, che la disciplina di cui all’art. 573 c.c.
è destinata a valere anche nel caso di successione necessaria. Sicché al
figlio naturale è attribuita la posizione giuridica di legittimario, soltanto se
la filiazione sia giuridicamente accertata. Benché, infatti, l’art. 537 c.c. si
limiti a discorrere di figli naturali e non precisi che costoro hanno parte
nella quota collettivamente riservata ai discendenti quando la filiazione è
riconosciuta o dichiarata, non può dubitarsi che si tratti di un mero «difetto di tecnica legislativa, considerato che nell’articolo precedente l’espressione ‘‘figli naturali’’ comprende anche i figli non riconoscibili. Tuttavia, è un difetto privo di conseguenze sul piano interpretativo: la limitazione della norma ai figli naturali forniti dello status corrispondente si
argomenta agevolmente sia dall’art. 573 (il legittimario è sempre un successibile legittimo), sia dall’art. 594».
(85) In tema si agitano due importanti questioni. La prima: se il figlio
riconoscibile possa, in alternativa all’azione di reclamo della paternità e
maternità naturale, far valere, soltanto, i diritti che gli spettano ex artt. 279,
580 e 594 c.c. Ossia se possa preferire, in luogo di conseguire il vantaggio
sul patrimonio del genitore naturale senza assumere lo status, evidentemente sgradito. La seconda: se possa agire per far valere i diritti di cui
all’art. 580 c.c. colui che abbia lo stato di figlio legittimo di persona diversa
dal de cuius.
Sulla prima questione deve segnalarsi che la giurisprudenza di legittimità, dopo aver manifestato aperture in segno positivo (Cass., 6.11.1976, n.
4044, in Foro it., 1977, I, 3412; Cass., 29.11.1983, n. 7158, in Dir. famiglia,
1984, 460; Cass., 26.6.1984, n. 3709, in Giust. civ., 1984, I, 2058), ha scelto
una interpretazione più restrittiva, negando tale possibilità (Cass.
24.1.1986, n. 467, in Foro it., 1987, I, 542 e in Dir. famiglia, 1986, 499; Cass.
22.1.1992, n. 711, in Giur. it., I, 1, 138, con nota di M. SESTA, Sui diritti verso
il preteso padre naturale di colui che ha lo stato di figlio legittimo altrui;
Cass., 28.8.1999, n. 9065, in Vita notar., 1999, 1423). In senso molto critico
sulla nuova interpretazione si è espresso, L. MENGONI, Successioni per causa
di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 125, secondo cui la
soluzione restrittiva è suggerita da un ‘‘falso moralismo’’. Tralasciando,
infatti, di considerare il caso del figlio che vuole evitare la dichiarazione
giudiziale per sottrarsi all’eventuale obbligo di alimenti nei confronti del
proprio genitore naturale, «in una società interamente affrancata dall’orrore dell’Ottocento per i figli naturali dovranno esserci ragioni ben serie
perché egli sia indotto ad accontentarsi del diritto successorio minore
previsto dall’art. 580 [...] Perché mai la legge non dovrebbe rispettare quelle ragioni?».
Sulla seconda questione la giurisprudenza, all’esito di alcune oscillazioni, per il cui esame, puntuale e critico, si rinvia a L. MENGONI, Successioni
per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 126 e s., ha
optato per una soluzione di certa liberalità. Consente, infatti, al figlio
naturale di agire per pretendere dal genitore naturale i diritti di cui all’art.
580 c.c., ma a condizione che il mancato esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità non sia derivata da una scelta consapevole e
volontaria del figlio (Cass. 24.1.1986, n. 467, cit., 542; Cass. 22.1.1992, n.
711, cit., 138; Cass., 28.8.1999, n. 9065, cit., 1423) oppure a condizione che i
genitori legittimi non abbiano i mezzi per provvedere, oppure qualora, per
le circostanze del caso concreto, da accertare, volta per volta, il figlio
medesimo non possa comunque ottenere il mantenimento, o un sostegno
economico, dai detti genitori legittimi (Cass., 1.4.2004, n. 6365, in Famiglia
e dir., 2005, 1, 27, con nota di M. SESTA, Un ulteriore passo avanti della S.C.
nel consentire la richiesta di alimenti al preteso padre naturale da colui che
ha lo stato di figlio legittimo altrui). Molto critico rispetto a questo orientamento di giurisprudenza (soprattutto con riferimento al primo gruppo di
sentenze, anche perché la seconda è successiva all’edizione del libro dell’A.), L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione
legittima, cit., 128, «L’eccezione si fonda dunque, nel pensiero della Corte,
non tanto (oggettivamente) sul divieto di venire contra factum proprium,
quanto (soggettivamente) su una valutazione del comportamento del figlio come tacita rinunzia ‘‘al riconoscimento’’ preclusiva anche del diritto
successorio ex art. 580: valutazione insostenibile perché confliggente col
divieto dell’art. 458. La materia dei rapporti di filiazione è tra quelle che
meno si prestano a operazioni ermeneutiche di ortopedia normativa sollecitate da considerazioni casistiche di equità».
Una sintesi informativa di questi temi, in M. RONCHI, I discendenti, in
Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni, diretto da G. Bonilini,
III, La successione legittima, Milano, 2009, 825 e ss.
(86) Per tutti, L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale.
Successione legittima, cit., 124, il quale avverte che con la riforma del
diritto di famiglia è scomparsa la categoria dei figli naturali riconoscibili,
ma non dichiarabili. L’A. precisa che il riferimento del nuovo testo dell’art.
580 c.c. ai soli figli non riconoscibili «non ha un valore privativo nei confronti dei figli riconoscibili, ma soltanto un valore incrementativo». Significa cioè che i figli riconoscibili, ma non riconosciuti, non sono necessariamente ridotti al semplice assegno vitalizio, perché a loro è consentito di
far accertare il loro stato di figli naturali, senza limiti di tempo. Diversa,
ovviamente era la situazione anteriormente alla riforma del diritto di famiglia. Nella quale l’azione per far accertare l’azione di paternità o maternità naturale non era, riguardo al figlio, imprescrittibile (testo del vi-
tutto il portato concettuale che l’aggettivo «illegittimo», nient’affatto ignoto al linguaggio oggetto, e implicante una idea di
lata difformità dal modello legale, recava seco.
I figli nati da persone non unite in matrimonio,
soltanto con la riforma del diritto di famiglia,
perdono il connotato di figli illegittimi, quel
connotato che sembrava collocarli fuori dai
modelli giuridicamente riconosciuti, e acquistano
quello, più neutro, ma nondimeno differenziale, di
figli naturali(79).
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IL COMMENTO
In tema, più propriamente successorio, non mancano interventi importanti.
Viene modificata la disciplina della rappresentazione, prevedendo, anche in linea con ciò che era già stato deciso dalla
Corte Costituzionale, che possono succedere per rappresentazione tutti i discendenti legittimi e naturali, senza distinzione,
del de cuius(87).
Significativamente modificata è, anche, la disciplina della successione necessaria.
In primo luogo, i figli naturali vengono indicati come legittimarı̂, insieme ai figli legittimi, dopo il coniuge e prima degli ascendenti, modificando, cosı̀, l’originaria architettura della norma
di cui all’art. 536 c.c.(88). I figli naturali e i figli legittimi, inoltre,
divengono, insieme, titolari di una medesima quota di riserva,
mentre si conserva il diritto di commutazione, che, però, cambia nelle sue linee essenziali. Perché non si dice più che si tratta
di una facoltà, perché si usa il verbo soddisfare(89) in luogo di
pagare, e, soprattutto, perché si prevede che i figli naturali si
possano opporre e che sulla opposizione decida il giudice(90).
I figli naturali vengono equiparati ai figli legittimi, in caso di
concorso con il coniuge(91), sicché la disciplina del concorso di
coniuge e figli diventa unitaria; inoltre, analogamente a quanto
era già previsto per i figli legittimi, viene stabilito, anche per i
figli naturali, che costoro non debbano più concorrere con gli
ascendenti del de cuius(92).
Il quadro della successione necessaria, dunque, risulta significativamente semplificato, perché le quote di riserva sono previste, in egual misura, per i figli, siano essi legittimi o naturali,
sia per l’ipotesi in cui siano soli, sia nell’ipotesi in cui concorrano con il coniuge, mentre il concorso con gli ascendenti viene meno(93).
Importanti sono anche le modifiche che toccano la disciplina
della successione legittima. Le quali riguardano anche la distribuzione della materia, dacché i capi, prima separati, che riguardavano la successione dei parenti legittimi e quella della
successione dei figli naturali e dei loro parenti, vengono unificati in un unico capo, che prende l’intitolazione di successione
dei parenti(94).
Cambia anche l’ordine dei successibili: ai discendenti legittimi
si accompagnano i discendenti naturali, in pari grado, e, insieme, vengono preceduti soltanto dal coniuge e seguiti dagli
ascendenti legittimi, dai collaterali, dagli altri parenti e dallo
Stato.
La successione dei figli legittimi e dei figli naturali viene regolata in modo tale che non esista più alcuna differenza nelle
quote spettanti agli uni e agli altri e, soprattutto nel grado degli
uni e degli altri.
Rimane, però, nella diversa formulazione già prevista nel nuovo
art. 537 c.c., il diritto alla, cosı̀ detta, commutazione(95). Cadono, dunque, le differenze esistenti nel caso di concorso di figli
legittimi e figli naturali, in concorso tra loro(96) e in concorso
con il coniuge(97), in uno con la previsione che ammetteva,
diversamente da quanto non fosse già previsto per i figli legittimi, che i figli naturali dovessero concorrere con gli ascendenti
dell’ereditando(98).
Viene, infine, modificata anche la disciplina successoria dei
figli non riconoscibili, a favore dei quali, rimane previsto soltanto il diritto a un assegno vitalizio, il cui ammontare, però,
non è più proporzionato alle sostanze ereditarie e al numero e
alla qualità degli eredi, ma determinato in maniera fissa, in
modo che esso sia pari all’ammontare della rendita della quota
di eredità, alla quale i figli avrebbero diritto, se la filiazione
fosse stata dichiarata o riconosciuta. Ossia pari a quel valore
che nella precedente formulazione costituiva il limite massimo
di tale assegno e che, non necessariamente, doveva e poteva
essere conseguito dall’avente diritto.
In aggiunta, viene attribuito ai figli naturali il diritto di ottenere,
su loro richiesta, la capitalizzazione dell’assegno loro spettante,
in denaro, ovvero, a scelta degli eredi legittimi, in beni ereditarı̂(99). Rimane, però, il fatto, che i figli non riconosciuti o non
riconoscibili la cui filiazione risulta, a norma dell’art. 279 c.c.,
non sono considerati eredi, ma meri legatarı̂.
Il legislatore interviene, anche, sulla successione testamentaria
e, completando il lavoro iniziato dalla Corte Costituzionale, che
aveva, già, abrogato l’art. 592 c.c., in tema di incapacità dei figli
naturali riconosciuti o riconoscibili, e, parzialmente, l’art. 593
c.c. , nella parte concernente l’applicabilità delle disposizioni
contenute nei commi 1º e 2º ai figli non riconosciuti, dei quali
sarebbe ammissibile il riconoscimento a norma degli artt. 251 e
252, 3º co. c.c.(100), provvede alla integrale abrogazione dell’art.
593 c.c.(101).
gente art. 270 c.c.), bensı̀ soggetta a brevi tempi di prescrizione (testo
vecchio art. 271 c.c.). Ciò determinava, che i figli riconoscibili, ma non
riconosciuti, ai quali non fosse più possibile promuovere l’azione per l’accertamento giudiziale della paternità e della maternità naturale, venivano
trattati alla stregua dei figli irriconoscibili.
(87) Cfr. art. 171 L. 19.5.1975, n. 151.
(88) Cfr. art. 172 L. 19.5.1975, n. 151.
(89) G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, cit.,
441, dice che l’uso del verbo soddisfare esclude che la commutazione
possa impoverire i figli naturali. Sicché in esso sarebbe incluso il concetto
prima espresso dalla formula «a giusta stima».
(90) Cfr. art. 174 L. 19.5.1975, n. 151.
(91) Cfr. art. 178 L. 19.5.1975, n. 151.
(92) Cfr. art. 181 L. 19.5.1975, n. 151.
(93) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 124, reputa che, nella equiparazione operata dal legislatore del 1975, costui abbia «adottato una interpretazione riduttiva del
limite che, a tutela dei ‘‘diritti dei membri della famiglia legittima’’, è prescritto dall’art. 30 Cost. alla direttiva di parificazione della condizione non
solo sociale, ma anche di diritto familiare dei figli naturali».
(94) Cfr. art. 184 L. 19.5.1975, n. 151.
(95) Cfr. art. 185 L. 19.5.1975, n. 151. Osserva L. MENGONI, Successioni per
causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 71, che il legislatore della riforma avrebbe dimenticato che, secondo la disciplina novellata
della rappresentazione «i figli legittimi possono essere rappresentati anche
dai loro discendenti naturali. Ciò dà luogo a conseguenze singolari e non
propriamente coerenti con la ratio della facoltà di commutazione». L’A.
spiega con due esempı̂. Se in luogo di un figlio legittimo, che non possa o
non voglia accettare, succedono i figli naturali di quello, costoro avrebbero
il diritto di commutazione nei confronti dei figli naturali del defunto; se il
figlio legittimo venisse rappresentato da figli legittimi e da figli naturali, i
primi potrebbero commutare la quota dei secondi. «Si coglie qui un nuovo
profilo di rilevanza pratica della soluzione adottata dal codice del 1942 per
il caso di unicità di stirpe».
(96) Cfr. art. 185 L. 19.5.1975, n. 151.
(97) Cfr. art. 189 L. 19.5.1975, n. 151.
(98) Cfr. art. 187 L. 19.5.1975, n. 151.
(99) Cfr. art. 188 L. 19.5.1975, n. 151.
(100) C. Cost., 28.12.1970, n. 205, cit., 81 e ss.
(101) Cfr. art. 194 L. 19.5.1975, n. 151.
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Famiglia, Persone e Successioni 10
Il legislatore, dunque, definitivamente cancella le
incapacità dei figli naturali riconosciuti o
riconoscibili a ricevere per testamento, facendo
cosı̀, cadere la forte limitazione alla stessa
autonomia testamentaria. Ha, però, soltanto
modificato, lasciando sopravvivere la regola, che,
ancora oggi, vige, in tema di assegno ai figli
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IL COMMENTO
naturali non riconoscibili, in materia di
successione testamentaria.
cora, ben lungi da un diritto comune o, anche soltanto, di
contenuto identico.
Alcune distinzioni e differenze permangono. Ed esse hanno
resistito sino a oggi, perché tutti i casi nei quali la Corte Costituzionale è stata chiesta, successivamente alla predetta riforma, di ammodernare il diritto successorio dei figli naturali hanno portato frutti, davvero, modesti.
Tali soggetti, qualora non siano beneficati dal testatore, hanno
diritto di chiedere agli eredi, ai legatarı̂ e, adesso, anche ai
donatarı̂ del proprio genitore naturale, un assegno vitalizio
nei limiti, nuovi, fissati dall’art. 580 c.c.(102). Diversamente da
prima, i figli possono chiedere l’assegno ai soggetti tenuti, indipendentemente dal fatto che a questi ultimi sia stata attribuita per testamento la porzione disponibile. Conservata, inoltre, è la facoltà loro concessa, per il caso in cui il testatore abbia
disposto a loro favore, di rinunziare alla disposizione e chiedere
l’assegno(103).
In ultimo, vengono apportate delle modifiche anche al regime
della collazione.
Non si prevede più una disciplina differente, a seconda che si
tratti di figli legittimi o di figli naturali e, per gli uni e gli altri, è
previsto il medesimo obbligo(104).
Il sistema, dunque, viene sostanzialmente e consistentemente
innovato, al punto che si può affermare che la traccia disegnata
nella legge di riforma del diritto di famiglia del 1975 sia quella,
oggi, tuttora, vigente.
Lo statuto giuridico successorio del figlio naturale, benché perda larga parte dei connotati che lo differenziavano da quello
dei figli legittimi, non è, ancora, identico. La parificazione non
è, dunque, portata a definitivo compimento.
Rimane, infatti, pur nella sua differente connotazione, il potere
dei figli legittimi di commutare la quota di legittima o la quota
di riserva prevista a favore dei figli naturali. Rimane, soprattutto, un regime particolarmente penalizzante per il figlio naturale
non riconosciuto o non riconoscibile. Il quale, nella successione legittima, non ha titolo di essere erede, ma soltanto legatario
di un assegno vitalizio. Un minimo diritto gli è attribuito nella
successione testamentaria. Nell’ipotesi in cui il genitore, regolando la propria successione, nulla abbia disposto in suo favore
con testamento; a costui spetta, soltanto, il diritto di chiedere a
eredi, legatarı̂ e donatarı̂, l’assegno vitalizio. Con disposizione
di legge, che, ancor oggi, agita il dubbio sul se il figlio naturale
non riconosciuto possa essere considerato un vero e proprio
legittimario.
Sebbene, dunque, lo statuto giuridico del figlio naturale sia, per
larghi versi, più vicino a quello del figlio legittimo, siamo, an-
Con pronunce, anche molto dotte, ma, nei contenuti, tutte di
rigetto o di inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale.
Diremmo che il processo riformista si è arrestato al 1975.
Mettendo a parte, le non poche pronunce relative a questioni
successorie dei fratelli e delle sorelle naturali(105), le quali, pur
toccando la disciplina successoria dei parenti naturali, non ri-
(102) G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, cit.,
480, osserva che una interpretazione letterale dell’art. 580 c.c. consentirebbe di individuare una categoria di soggetti destinatarı̂ più ristretta di
quella indicata e descritta all’art. 594 c.c. Perché, mentre il primo articolo
si riferisce «ai figli naturali aventi diritto al mantenimento, all’istruzione e
all’educazione a norma dell’art. 279», il secondo si riferisce, invece, «ai figli
naturali di cui all’art. 279». Intesa, alla lettera, la prima formula linguistica,
lascerebbe intendere che essa è applicabile soltanto per i figli minorenni e
per i figli che, da poco raggiunta la maggiore età, possano vantare il diritto
nei confronti del genitore. Se tale interpretazione, poi, fosse accettabile,
essa dovrebbe valere anche per la norma di cui all’art. 594 c.c., poiché la
categoria dei successibili necessarı̂ in essa prevista, non potrebbe essere
più ampia di quella dei beneficiarı̂ della successione intestata. È, evidente,
però, che l’interpretazione letterale non può essere accolta, perché si tratterebbe di «una soluzione assurda e gravemente ingiusta, che sicuramente
non è stata voluta da chi ha formulato le due norme». Il testo anteriore alla
riforma, si riferiva, infatti, a tutti i figli non riconoscibili; impossibile che il
legislatore della riforma possa aver inteso di limitare il diritto. «La redazione dell’art. 580 è dunque senza dubbio il frutto di una svista del legislatore. Entrambe le norme devono ritenersi applicabili a tutti i figli non
dichiarabili, indipendentemente dal fatto che essi siano titolari del diritto
al mantenimento, all’istruzione e all’educazione». Già, L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 123, «la
previsione dell’obbligazione alimentare verso il figlio maggiorenne bisognoso è stata inserita dal Senato, il quale peraltro ha provveduto a coordi-
nare col testo definitivo dell’art. 279 soltanto l’art. 594. Non v’è dubbio che
pure l’art. 580 deve essere riferito a tutti ‘‘i figli naturali di cui all’art. 279’’,
compresi i figli maggiori di età, posto che nell’art. 594 l’assegno vitalizio
‘‘stabilito dall’art. 580’’ è configurato come diritto di legittima e la qualità
di legittimario è sempre congiunta con la qualità di successibile ab intestato».
(103) Cfr. art. 195 L. 19.5.1975, n. 151.
(104) Cfr. artt. 201 e 202 L. 19.5.1975, n. 151.
(105) A titolo esemplificativo e non esaustivo, si rammentino: C. Cost.,
4.7.1979, n. 55, in Leggi d’Italia professionale, la cui massima potrebbe
suonare cosı̀: «Una minore tutela del figlio nato fuori del matrimonio in
tanto può trovare una sua giustificazione costituzionale in quanto tale
condizione venga a confliggere con i diritti dei membri della famiglia
legittima. In assenza – come nella specie – di altri successibili ex lege, ad
eccezione dello Stato, tale situazione di conflittualità non si determina e
quindi – sottoponendo a revisione critica la precedente pronuncia di non
fondatezza della medesima questione, sia pure relativamente a disposizioni diverse del codice civile, ed armonizzando la soluzione del caso in
esame con la costante giurisprudenza di questa Corte – la posizione del
figlio naturale va assimilata a quella del discendente legittimo, giustificandosi cosı̀ la successione tra fratelli (o sorelle) naturali, purché la filiazione
sia stata riconosciuta o dichiarata. Va pertanto dichiarata l’illegittimità
costituzionale – per contrasto con gli artt. 3 e 30, 3º co., Cost., – dell’art.
565 c.c., nella parte in cui esclude dalla categoria dei chiamati alla successione legittima, in mancanza di altri successibili, e prima dello Stato, i
5. Gli interventi della Corte Costituzionale,
successivamente alla riforma del diritto di famiglia
del 1975
I
l processo riformatore avviato e realizzato con la legge del
maggio 1975, certamente rivoluzionaria per l’epoca, avrebbe potuto lasciar presagire che ulteriori avvicinamenti potevano essere compiuti. E il presagio, secondo un normale calcolo
stocastico, poteva considerarsi maggiormente attendibile anche se si fosse largamente sottostimato, il processo di evoluzione dei costumi sociali e della coscienza civile che dal 1975 a
oggi è stato possibile guardare.
Il presagio, però, tale rimane. Lontana previsione di un futuro
incompiuto, nonostante la presenza dei numerosi segni premonitorı̂; l’esperienza della Corte Costituzionale, lascia traccia
di tale percorso.
In questi, oltre trentasette, anni di esperienza e di
controllo di legalità costituzionale delle leggi, pur
essendo chiesta, in più occasioni, di intervenire ed
eliminare qualche ulteriore differenza che la
riforma del diritto di famiglia aveva lasciata nello
statuto giuridico successorio del figlio naturale,
rispetto a quello del figlio legittimo, la Corte ha
sempre disattese le aspettative.
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IL COMMENTO
guardano, precisamente, quella dei figli naturali, e mettendo a
parte quelle nelle quali si è fatta questione di legittimità costituzionale delle norme relative alle azioni giudiziarie volte ad
affermare o negare la maternità o la paternità naturale(106), che,
comunque, incidono su un profilo successorio, soltanto in via
strumentale e prodormica, sono davvero poche le sentenze
nelle quali la Corte ha deciso casi specificamente relativi ai
diritti successorı̂ del figlio naturale.
Singolare, sicuramente, una decisione del 1984(107). Nella quale
la Corte viene chiesta di giudicare la legittimità costituzionale
della norma di cui all’art. 541 c.c. nella originaria formulazione,
la quale stabiliva che ai figli legittimi spettasse una quota pari
al doppio di quella spettante ai figli naturali. Viene chiesta,
cioè, di giudicare la legittimità costituzionale di una norma
non più vigente, però destinata a valere, ancòra, per tutte quelle successioni apertesi anteriormente alla entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia.
Dicevo che si tratta di decisione singolare, perché la Corte,
muove da questa importante premessa: «dai relativi lavori parlamentari si evince che il legislatore, muovendo dalla consapevolezza che ‘‘nessuna parte dell’ordinamento giuridico risente
come il diritto familiare delle contemporanee e opposte sollecitazioni della tradizione da un lato e del costume in evoluzione dall’altro’’, ha inteso impegnare ‘‘saggezza ed equilibrio’’ al
fine di ‘‘modulare le delicate correlazioni e l’intensità degli
strumenti di tutela dei diversi interessi in gioco [...] per la migliore sistemazione normativa dell’istituto e soprattutto per la
sua aderenza alla realtà sociale’’»(108). Epperò, immediatamente
dopo, viene ad affermare che «per quanto in particolare concerne l’operata parificazione dei figli naturali ai legittimi nell’ambito successorio, è stato nella medesima sede escluso che
‘‘il limite costituzionale ai diritti dei figli nati fuori del matri-
monio, rappresentato dalla tutela della famiglia legittima, implichi una ridotta partecipazione alla successione ereditaria’’. E
all’uopo si è affermato che, se vero che il dettato costituzionale
non impone tale parificazione, altrettanto vero è che esso non
la vieta, trattandosi di ‘‘una scelta sul piano dell’opportunità
politica che non coinvolge valutazioni di ordine costituzionale’’»(109).
Questa premessa e la considerazione svolta dal collegio, sono
l’antifona di una epifania certa.
La norma di cui all’art. 541 c.c., ancorché non più vigente, ma
idonea a regolare le successioni apertesi anteriormente alla
riforma del diritto di famiglia, non può essere dichiarata costituzionalmente illegittima. Essa, dunque, vale, per quel che resta del suo tempo di efficacia, nel nostro ordinamento giuridico.
Altra atmosfera e altro stile argomentativo si respira in una più
recente sentenza del 2009(110), nella quale la Corte è chiesta di
valutare se il diritto di commutazione, sia pure nella formulazione assunta, successivamente alla riforma del diritto di famiglia, debba considerarsi costituzionalmente legittimo.
La soluzione, nella sostanza, non appaga, perché la norma non
viene dichiarata costituzionalmente illegittima, e, anzi, conservata, proprio usando come principale punto di riferimento il 3º
co. dell’art. 30 Cost. Ossia quella stessa norma che il Tribunale,
che aveva rimesso la questione alla Corte, aveva usata per argomentarne l’illegittimità costituzionale.
Troppe volte ho detto che l’art. 30, 3º co., Cost. è il nemico
costituzionale dei figli naturali; la sentenza in parola, che si
muove, dotta, molto più delle altre, in filo di stretta legalità, e
con pregevole rigore formale, non poteva, dunque, che giungere a questa conclusione.
I giudici sono consapevoli che l’art. 30, 3º co., Cost. impone un
fratelli e le sorelle naturali riconosciuti o dichiarati, venendosi conseguentemente a stabilire per essi un trattamento deteriore rispetto a tutti gli altri
successibili ex lege»; in senso favorevole al miglioramento della posizione
dei fratelli e sorelle naturali, C. Cost. 12.4.1990, n. 184, in Foro it., 1991, I,
3283 e ss., la quale ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 565
c.c., nella parte in cui, in mancanza di altri suscessibili all’infuori dello
Stato, non prevede la successione legittima tra fratelli e sorelle naturali, dei
quali sia legalmente accertato il rispettivo status di filiazione nei confronti
del comune genitore»; C. Cost., 7.11.1994, n. 377, in Leggi d’Italia professionale, la quale ha dichiarato «inammissibile la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 565, 572 c.c., e, in linea subordinata, l’art. 468 c.c.
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 30, 3º co., Cost.»; C. Cost., 23.11.2000,
n. 532, in Famiglia e diritto, 2001, 361, la quale ha dichiarato non fondata
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 565 c.c. – in riferimento
agli artt. 3, 29, co. 1º, e 30, co. 3º, Cost., – nella parte in cui, in mancanza di
altri successibili chiamati all’eredità, non prevede la successione legittima
dei parenti naturali entro il sesto grado.
(106) Per tutte si consideri, C. Cost., 28.11.2002, n. 494, in Giur. costit.,
2002, 6, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 278, 1º
co., c.c., nella parte in cui esclude la dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturali e le relative indagini, nei casi in cui, a norma
dell’art. 251, 1º co., c.c., il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato. Va
da sé che si tratta di sentenza particolarmente significativa, perché riducendo, in modo importante, l’area dei soggetti per i quali non sia possibile
l’accertamento della paternità o maternità giudiziale, riduce, di logica necessità, anche l’area dei soggetti che accedono ai soli diritti successorı̂
disposti «a favore» dei figli naturali non riconoscibili.
La Corte rileva, infatti, che i figli incestuosi, per i quali, a norma dell’art. 251 c.c. non è ammesso il riconoscimento e, dunque, anche l’azione
giudiziale di accertamento della maternità e paternità naturale non sono
del tutto privi di tutela. Perché possono agire per ottenere, gli alimenti, a
norma dell’art. 279 c.c. Questa azione, però, garantisce poco o nulla.
Perché anche dal vittorioso esperimento, nei loro confronti non può
operare l’art. 261 c.c., (secondo il quale il riconoscimento e la dichiarazione comportano da parte del genitore l’assunzione di tutti i doveri e di
tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli); non può operare l’art. 262
c.c. (relativo alla assunzione del cognome del genitore); non operano le
disposizioni in tema di successione, ché a norma dell’art. 573 c.c. valgo-
no solo nei casi di filiazione riconosciuta o giudizialmente dichiarata.
Hanno soltanto i diritti successorı̂ di cui agli artt. 580 e 594 c.c. Da ciò,
dice la Corte «deriva, in danno della prole nata da genitori legati dai
rapporti familiari indicati dall’art. 251 c.c., una capitis deminutio perpetua e irrimediabile, come conseguenza oggettiva di comportamenti di
terzi soggetti; una discriminazione compendiata, anche nel lessico del
legislatore, nell’espressione ‘‘figli incestuosi’’. La violazione del diritto a
uno status filiationis, riconducibile all’art. 2 Cost., e del principio costituzionale di uguaglianza, come pari dignità sociale di tutti i cittadini e
come divieto di differenziazioni legislative basate su condizioni personali
e sociali, è evidente e non richiede parole di spiegazione. Nessuna discrezionalità delle scelte legislative, con riferimento al 4º co. dell’art. 30
Cost., che abilita la legge a dettare norme e limiti per la ricerca della
paternità, può essere invocata in contrario: non è il principio di uguaglianza a dover cedere di fronte alla discrezionalità del legislatore, ma
l’opposto».
Molto chiaramente, G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle
donazioni, Torino, 2010, V ed., 137, «Ne discende, che anche il figlio incestuoso può ora agire al fine della dichiarazione giudiziale della paternità e
maternità naturale, ex art. 269, 1º co., c.c., nelle ipotesi in cui il riconoscimento è ammesso; tuttavia, afferma la Corte, non vale il reciproco, cioè a
dire, ‘‘che il riconoscimento sia effettuabile in tutte le ipotesi in cui vi
possa essere la dichiarazione giudiziale’’».
(107) C. Cost., 8.6.1984, n. 168, in Foro it., 1984, I, 2385 e ss.
(108) Cosı̀, si legge nella motivazione di C. Cost., 8.6.1984, n. 168, cit.,
2385 e ss.
(109) Cosı̀, si legge nella motivazione di C. Cost., 8.6.1984, n. 168, cit.,
2385 e ss.
(110) C. Cost., 18.12.2009, n. 335, in Fam. persone e successioni, 2011, 124
e ss., con nota di T. BONAMINI, Sulla legittimità costituzionale del diritto di
commutazione; in Nuova giur. civ. commentata, 2010, 567 e ss., con nota di
A. GORGONI, La commutazione e la compatibilità con i membri della famiglia legittima; in Famiglia e diritto, 2010, 339 e ss., con nota di A. ASTONE,
La corte costituzionale e la dionamica evolutiva dei rapporti sociali: il
diritto di commutazione non sarebbe anacronistico; in Giur. it., 2010,
784, con nota di C. SGOBBO, Il diritto di commutazione nel rispetto del
principio di eguaglianza e del divieto di differenziazioni basate su condizioni personali e sociali.
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IL COMMENTO
riconoscimento dei diritti dei figli naturali, contemperato (rectius: condizionato) con i diritti dei membri della famiglia legittima. La quale viene prima e sopra dei figli nati da persone non
unite in matrimonio.
Precisa, infatti, il giudice, richiamando una precedente decisione, che «l’approccio alla problematica relativa alla correttezza
della scelta delle concrete modalità di realizzazione del menzionato contemperamento con (o la sottordinazione ad) altri
princı̀pi di pari o maggior peso va interamente condotto sul
versante della analisi della ragionevolezza del trattamento differenziato, commisurata ‘‘alla dinamica evolutiva dei rapporti
sociali’’»(111).
Sulla base di questa premessa logico-giuridica era inevitabile,
stante l’esistenza del 3º co. dell’art. 30 Cost., la conclusione.
La parità di trattamento è garantita dalla nuova formulazione
dell’art. 537 c.c., nella parte in cui attribuisce ai figli legittimi e
ai figli naturali il diritto di concorrere alla successione del genitore, nel medesimo grado e nelle medesime quote. Costituisce, però, scelta del legislatore, in ossequio a quel necessario
contemperamento, il quale funge da clausola generale, aperta
al divenire sociale, la scelta di «di conservare in capo ai figli
legittimi la possibilità di richiedere la commutazione, condizionata dalla previsione della facoltà di opposizione da parte del
figlio naturale e dalla valutazione delle specifiche circostanze
poste a base della decisione del giudice, non contraddice la
menzionata aspirazione alla tendenziale parificazione della posizione dei figli naturali, giacché non irragionevolmente si pone
ancor oggi (quale opzione costituzionalmente non obbligata né
vietata) come termine di bilanciamento (compatibilità) dei diritti del figlio naturale in rapporto con i figli membri della
famiglia legittima»(112).
Secondo, il giudice, poi, il sospetto di illegittimità costituzionale della norma, che prevede il diritto di commutazione, deve
venir meno, se soltanto ci si stringa a osservare che il legislatore
ha previsto, adesso, il diritto dei figli naturali di opporsi alla
commutazione e demandato al giudice di decidere sull’opposizione. Il giudice, terzo arbitro, imparziale, si eleva, dunque, a
garante della parità di trattamento, nella diversità; a lui, dunque, è «demandato il riscontro della sussistenza o meno di
quella che sostanzialmente può definirsi come ‘‘giusta causa’’
dell’opposizione del figlio naturale alla richiesta di commutazione avanzata dai figli legittimi»(113); a lui spetta il continuo
adeguamento della norma ai principı̂ costituzionali. La norma
sottoposta al vaglio, non soltanto appare immune da vizı̂, bensı̀
la ratio a quella sottesa, risulta, secondo la chiave di lettura
eletta, ben lungi dall’essere anacronistica. La norma «appare
viceversa idonea a consentire il recepimento nel suo ambito
dispositivo (di volta in volta, e secondo il sentire dei tempi)
delle singole fattispecie, commisurate proprio a quella dinamica evolutiva dei rapporti sociali, che attualizza il precetto co-
(111) Cosı̀, si legge nella motivazione di C. Cost., 18.12.2009, n. 335, in
Fam. persone e successioni, cit., 124 e ss.
(112) Cosı̀, si legge nella motivazione di C. Cost., 18.12.2009, n. 335, in
Fam. persone e successioni, cit., 124 e ss.
(113) Cosı̀, si legge nella motivazione di C. Cost., 18.12.2009, n. 335, in
Fam. persone e successioni, cit., 124 e ss.
(114) Cosı̀, si legge nella motivazione di C. Cost., 18.12.2009, n. 335, in
Fam. persone e successioni, cit., 124 e ss.
(115) In questo senso, e prima della sentenza, L. MENGONI, Successioni per
causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 70, il quale osservava che, a fronte di istanze volte a eliminare sulla base dell’art. 30, co. 3º,
Cost. il diritto di commutazione, il richiamato articolo ne ha rafforzato il
valore. «Inopinatamente la norma costituzionale ha finito col restituire
stituzionale. Ciò, tanto più in quanto – per colmare la già evidenziata ampia latitudine del riferimento normativo alle ‘‘circostanze personali e patrimoniali’’ – il giudice, nella propria
opzione ermeneutica, è tenuto a dare una valutazione costituzionalmente orientata, la quale appunto non può ignorare (ma
deve necessariamente prendere in considerazione) la naturale
evoluzione nel tempo della coscienza sociale e dei costumi»(114).
Rimane, dunque, il diritto di commutazione, il
quale, all’esito della sentenza ricordata, non
soltanto riceve un importante sigillo di legittimità
costituzionale, ma, addirittura, finisce con l’essere
considerato lo strumento giuridico che consente
la realizzazione e l’attuazione del principio
contenuto nell’art. 30, co. 3º, Cost.(115). Ossia un
istituto giuridico, in assenza del quale, si potrebbe
mettere in discussione la stessa tenuta
costituzionale del diritto successorio del figlio
naturale. Perché a leggere, con rigore, la sentenza
in parola, si tratta di quello strumento, con la
duttilità che gli è stata, a torto o a ragione,
riconosciuta, confidando nell’equilibrio supremo
della decisione del giudice, nell’armonia dei suoi
talenti e nella sua costante capacità di
adeguamento ai principı̂ costituzionali, che
consente di bilanciare gli interessi successorı̂ dei
figli naturali, con i supremi diritti dei componenti
della famiglia legittima.
Non solo è un istituto costituzionalmente legittimo, ma, perfino, necessario e indispensabile. Si badi, non una indispensabilità logica, ma una mera indispensabilità giuridica, tutta legata
e appesa all’art. 30, 3º co., Cost.
6. L’ultimo atto: il disegno di legge approvato
dal Senato della Repubblica il 16.5.2012
I
l disegno di legge in esame si inserisce in un quadro, assai
diverso da quello originariamente esistente al tempo di approvazione del codice civile, che, nondimeno, lascia, ancora, in
doveroso e necessario ossequio e in stretta attuazione del principio costituzionale, fermato al 3º co. dell’art. 30 Cost., necessario svolgimento del principio segnato nell’art. 29, 1º co.,
Cost., uno statuto giuridico successorio del figlio naturale parzialmente diverso da quello del figlio legittimo.
Figli naturali ma, soltanto, quando la filiazione è stata riconosciuta o giudizialmente dichiarata(116), e figli legittimi, sono,
vitalità a un istituto di cui tutta la dottrina, anche quella più riluttante
ad assecondare il movimento verso l’equiparazione giuridica delle due
categorie di figli, auspicava l’abolizione. Esso è stato riqualificato dal nuovo legislatore come norma residuale di tutela dell’interesse dei membri
della famiglia legittima».
(116) La dottrina unanime condivide che la disciplina si applichi soltanto
alla filiazione naturale giudizialmente dichiarata o riconosciuta. V’ha consentaneità nel reputare che al figlio naturale spettino i diritti successorı̂
sempre in caso di riconoscimento, che, per necessità deve essere fatto
prima della morte del soggetto, con l’avvertenza che ove fosse fatto con
testamento esso, spiegando i suoi effetti sin dal momento dell’apertura
della successione, consentirebbe al figlio naturale di acquisire tutti i diritti
ereditarı̂ che gli sono attribuiti. Esiste anche una larga consentaneità nel
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IL COMMENTO
infatti, sia nella successione legittima, che nella disciplina sulla
successione necessaria, considerati successibili e legittimarı̂
nel medesimo ordine e grado, senza possibilità che si istituiscano, neppure, differenze su un piano meramente quantitativo.
Ai figli, legittimi o naturali, è, infatti, attribuita, in caso di successione legittima, e riservata, in sede di successione necessaria, una medesima quota che, tra loro, debbono, sempre, dividere in parti eguali. I figli, legittimi e naturali, inoltre, possono
concorrere, come successibili e quali legittimarii, soltanto con
il coniuge, mentre cadono le diverse situazioni di concorso
prima previste ed esistenti.
Rimane, però, sia nella disciplina della successione legittima
(art. 566, 2º co., c.c.), sia in quella della successione necessaria
(art. 537, 3º co., c.c.)(117), il cosı̀ detto diritto di commutazione(118). In forza del quale, i figli legittimi possono soddisfare(119), in danaro o in beni immobili ereditari, la porzione spettante ai figli naturali(120), che non vi si oppongano. Con la
precisazione che, sull’opposizione, decide il giudice, valutate
le circostanze personali e patrimoniali(121).
reputare che il figlio naturale abbia diritto nel caso di accertamento giudiziale che sia successivo alla morte del genitore. Si afferma, in genere, che
la sentenza che dichiara la paternità e la maternità naturale ha una efficacia retroattiva. Di recente, G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la
vocazione legittima, cit., 439.
(117) Mette conto di segnalare che la formulazione del 3º co. dell’art. 542
c.c., nella parte in cui dichiara applicabile la disciplina della commutazione ha posto il dubbio se, nel caso di concorso tra coniuge e figli, il diritto di
commutazione della quota spettante ai figli naturali competa anche al
coniuge, previsto dalla predetta norma, ossia nel concorso di figli legittimi,
figli naturali e coniuge. La tesi favorevole, sostenuta da G. GABRIELLI, Commento all’art. 542 cod. civ., in Commentario di diritto italiano della famiglia, diretto da G. Cian, G. Oppo e A. Trabucchi, V, Padova, 1992, 78, è
rimasta minoritaria. Fermo il dissenso di C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La
famiglia e le successioni, Milano, 2001, III ed., 599, secondo il quale questa
interpretazione non soltanto rivoluzionerebbe la posizione successoria del
coniuge, in difetto di un dato testuale sufficiente, ma, soprattutto, «creerebbe un’ancor più ingiustificata discriminazione a carico dei figli naturali,
addirittura più grave dell’antica discriminazione, consentendone l’estromissione da parte del loro genitore, e perfino da parte di un estraneo,
anche in assenza di figli legittimi». In definitiva, secondo l’A., l’interpretazione meno lesiva del principio di eguaglianza è quella che considera non
spettante al coniuge il diritto di commutazione, assumendo che il richiamo contenuto nella norma di cui all’art. 542 c.c. vale soltanto a confermare il diritto di commutazione a favore dei figli legittimi, in caso di concorso
con i figli naturali. Dissente, anche, M.C. TATARANO, La successione necessaria, in Diritto delle successioni, a cura di R. Calvo e G. Perlingieri, 1, Napoli,
2008, 475 e s. Per una sintesi, delle principali tesi, G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, cit., 442.
(118) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 85 e ss., esclude che la commutazione possa valere
nella successione testamentaria. La facoltà potrebbe sorgere, infatti, soltanto, e nei limiti dell’art. 537 c.c., se vi fosse lesione della quota dei figli
naturali. Precisa l’A. che tale rilievo spiega perché la commutazione non
sarebbe possibile in caso di divisione fatta dal testatore. Non perché la
divisione impedisce il sorgere della comunione, ma perché la commutazione non è prevista nel caso di successione testamentaria.
(119) Si discute in dottrina sul tempo entro il quale i figli legittimi possono decidere di esercitare il diritto potestativo e chiedere di commutare la
quota spettante ai figli naturali. Non v’ha dubbio che costoro possono
esercitarla, fin tanto ché non si sia provveduto a dare esecuzione alla
divisione ereditaria. Ci si domanda se i figli naturali abbiano uno strumento per costringere in limiti temporali la decisione dei figli legittimi di
valersi, o meno, del diritto di commutazione. Non condivido l’idea che
vorrebbe applicare, al caso di specie, in via analogica, la disciplina relativa
alla fissazione di un termine per accettare o rinunziare all’eredità, di cui
all’art. 481 c.c. (la proposta è di A. CICU, Successioni, Milano, 1947, 178 e s.;
aderisce G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, I, Milano, 2002, II ed., 282). Il
tema, peraltro, credo che possa trovare una soluzione di più facile intelligenza. I figli naturali, infatti, potrebbero domandare la divisione giudiziale dell’eredità. L’esercizio di questa facoltà finirebbe, di fatto e inevitabilmente, per stringere il tempo di scelta dei figli legittimi (in questo senso,
la migliore dottrina, L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte
speciale. Successione legittima, cit., 77; G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., 136; B. DEL VECCHIO, Esercizio della facoltà di
commutazione, in Giur. merit., 1985, 486 e ss.; A.P. SCARSO, Il diritto di
commutazione, in Trattato di diritto delle successioni e delle donazioni,
diretto da G. Bonilini, III, La successione legittima, cit., 305).
Diverso e, sotto una certa prospettiva, opposto rispetto a quello esaminato, è il problema del tempo entro il quale i figli naturali possono proporre opposizione. Sicuro è il tempo in cui inizia a decorrere questo tempo. Essendo quello di commutazione un diritto potestativo che si esercita
mediante un atto unilaterale recettizio, i figli naturali dal momento in cui
ricevono la dichiarazione possono opporsi. Problematico è stabilire fino a
quando, a partire da questo momento, possono proporre opposizione.
Secondo L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 80 e s.; L. CARRARO, in Commentario di diritto italiano della famiglia, diretto da G. Cian, G. Oppo e A. Trabucchi, V, cit., 133,
potrebbe applicarsi il principio generale afferente a tutti i casi di dichiarazione unilaterale soggetta a rifiuto o opposizione (art. 1236, 1333 c.c.),
per cui l’opposizione deve essere fatta in un tempo congruo. Si esclude,
invece che i figli possano fissare un termine o che possano domandare al
giudice di fissarlo. Sul punto scrive L. MENGONI, Successioni per causa di
morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 80, «se il silenzio dei figli
naturali si prolunga oltre un limite di tempo ragionevole, i figli legittimi
possono provocarli a una decisione mediante l’offerta formale della prestazione indicata nella dichiarazione di commutazione e le successive
procedure di liberazione del debitore. Dopo di che sarà il giudice a stabilire se il rifiuto dell’offerta sia legittimo come atto di esercizio tempestivo
del potere di opposizione oppure l’opposizione sia ormai tardiva». In senso contrario, si è espresso, G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, cit., 441, secondo il quale, trova applicazione al caso, in via
analogica, la norma di cui all’art. 645 c.c., sicché i figli legittimi possono
chiedere al giudice di fissare ai figli naturali un termine entro il quale gli
ultimi devono dichiarare se intendono opporsi. Con la precisazione che se
nel termine assegnato i figli naturali non si oppongono, l’atto di commutazione diviene efficace e l’eventuale, successiva, opposizione rimane irrilevante.
(120) Molto critico sulla esistenza del diritto di commutazione e sulla sua
legittimità costituzionale C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia e le
successioni, cit., 599, il quale, movendo dal rilievo che la commutazione
serve a estromettere i figli naturali dalla comunione quando la loro presenza possa dare luogo ad apprezzabili difficoltà per la gestione o il godimento del patrimonio ereditario, non manca di osservare che le medesime
difficoltà potrebbero sussistere anche nel caso in cui alla comunione partecipi un estraneo, immune dalla commutazione, in quanto erede testamentario. «Appare allora l’illegittimità costituzionale di una norma che
crea una sicura discriminazione a carico di eredi legittimari, posti in condizione deteriore anche rispetto agli eredi testamentari». Poco favore, anche nella pagina di M.C. TATARANO, La successione necessaria, cit., 474, la
quale scrive: «dall’odiosità dell’istituto, il quale discrimina oggettivamente
i figli naturali, quali eredi legittimi o necessari, rispetto, ad esempio, ad un
estraneo che, se erede testamentario non subisce il pati a fronte del diritto
potestativo dei figli legittimi, taluni hanno dedotto la sua circoscrivibilità
alle sole ipotesi di concrete difficoltà gestionali o di godimento della res
comune: ma di questo non vi è traccia nel testo legislativo». Pur comprendendo, bene, le ragioni che stanno a fondamento delle considerazioni
dell’A., deve, tuttavia, segnalarsi che la discriminazione rispetto ai terzi
ha un carattere assai meno evidente di quanto possa sembrare. Perché
anche nel caso di successione testamentaria dei figli, si esclude che i figli
legittimi abbiano lo jus commutationis. Residuerebbe, dunque, la singolare ipotesi, in cui si apre una successione legittima, che vede concorrere
figli naturali e figli legittimi, perché il de cuius, con il proprio testamento,
ha disposto, soltanto, di parte delle proprie sostanze, beneficando, peraltro, estranei che deve aver nominato eredi pro quota. Soltanto in questa
ipotesi, si potrebbe dire che i figli naturali sarebbero soggetti a un trattamento giuridico deteriore rispetto ai terzi, ché i figli legittimi potrebbero
commutare la quota spettante ai figli naturali, ma non anche quella spettante al terzo. V’ha, però, l’opportunità di segnalare che nel singolare e
residuale caso prospettato, è ragionevolmente assai dubbio che il giudice
possa accordare questo diritto ai figli legittimi. La presenza, nella comunione ereditaria, dei terzi e la considerazione che il giudice è chiamato a
fare una valutazione sulle circostanze personali e patrimoniali, dovrebbe
indurre il convincimento che in un caso del genere è difficile scorgere
ragioni che, fondatamente, possano consentire tale possibilità.
(121) In tema, l’autorevole ricostruzione di L. MENGONI, Successioni per
causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 71 e s., secondo il
quale si tratterebbe di un diritto potestativo a esercizio controllato «alla
stregua di parametri di prudente apprezzamento, ai quali il giudice è rinviato da una clausola generale». La diversità di questo diritto rispetto a
quello predisposto per altri esemplari della medesima categoria (es. il
licenziamento) è nello strumento di controllo. Perché l’opposizione del
figlio naturale non ha natura di impugnativa, ma sospende l’efficacia dell’atto di esercizio del potere, finché la scelta non sia ritenuta giustificata
dal giudice. La sola opposizione, quindi, poiché sospende l’efficacia, sposta su colui che esercita il diritto potestativo e non su chi lo subisce,
l’onere di attivarsi giudizialmente per sottoporre a controllo l’esercizio
del diritto. La circostanza che si tratti di un diritto potestativo è rilevante,
perché determina che la sindacabilità riguarda solo l’an (giustificatezza in
base alle circostanze personali e patrimoniali) e il quantum (la giustezza
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IL COMMENTO
Molto diversa, invece, sebbene, sul punto,
importanti siano state le modificazioni rispetto
alla disciplina preesistente, la situazione dei figli
naturali, quando la filiazione non sia stata
riconosciuta o giudizialmente dichiarata(122).
Al riguardo occorrerà, però, più di una
precisazione. Perché altra è la condizione del figlio
riconoscibile, ma non riconosciuto, altra la
posizione del figlio non riconoscibile.
Il figlio riconoscibile, ma non riconosciuto, ha, infatti, sempre
la possibilità di far dichiarare giudizialmente la filiazione naturale e ricevere, dunque, il trattamento riservato al figlio naturale(123). In difetto è, financo, discusso, se abbia diritto di essere
ammesso ai diritti successorı̂ riservati ai figli naturali non riconoscibili.
Il figlio naturale non riconoscibile, benché, anche a seguito del
noto intervento della Corte Costituzionale, il caso si sia molto
ridimensionato(124), in sede di successione legittima, ha diritto,
a norma dell’art. 580 c.c., soltanto a un assegno vitalizio, pari
all’ammontare della rendita della quota di eredità(125), alla quale avrebbe diritto, se la filiazione fosse stata dichiarata o riconosciuta(126). E, in ogni caso, ha diritto di ottenere, su sua richiesta, la capitalizzazione dell’assegno a lui spettante in danaro, ovvero, a scelta degli eredi legittimi, in beni ereditarı̂(127).
Sulla possibilità di considerare legittimario il figlio naturale non
riconoscibile si discute(128). Certo è, che ove pure si volesse
considerare legittimario, non può sottacersi che la tutela che
il legislatore avrebbe predisposto nel suo interesse risulta, qualitativamente, diversa rispetto a quella stabilita a vantaggio di
un comune legittimario(129). Senza considerare che il figlio non
riconoscibile non sembrerebbe aver diritto a una quota dell’e-
della stima dei beni), ma non il modo di commutazione o la qualità dei
beni scelti nell’esercizio del diritto di commutazione. L’A. dice che non si
tratta di un atto di divisione, ma di un atto equiparato alla divisione.
Perché la sua funzione è di estromettere i figli naturali dalla comunione,
non già attuando il loro diritto sui beni comuni attraverso la assegnazione
di una porzione pro diviso, ma attribuendo loro un diritto «diverso in
luogo di quota, che rimane estraneo». Ciò significa che i figli naturali,
diversamente da quanto accade nella divisione, non possono sindacare
sul bene immobile loro attribuito a titolo di commutazione, ma soltanto
in punto di stima dei beni. In quanto atto divisionale, trovano applicazione
le norme sulla divisione, che non presuppongono il concetto di divisione
in senso stretto: l’art. 757 c.c., l’art. 764 c.c., l’art. 758 c.c. e l’art. 762 c.c.
Secondo, C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia e le successioni, cit., 599,
si tratta di un diritto potestativo a concessione giudiziale, il quale deve
essere esercitato da tutti i figli legittimi nei confronti di tutti i figli naturali,
non essendo plausibile una divisibilità soggettiva.
(122) Chiaro, sul punto, C.M. BIANCA, Diritto civile, 2, La famiglia e le
successioni, cit., 601, «ad una posizione formalmente e sostanzialmente
deteriore sono ancora condannati i figli non riconoscibili».
(123) Vedi sub nota n. 86.
(124) Vedi sub nota n. 106.
(125) Si discute ed è controverso se si debba tenere conto, per la determinazione dell’assegno vitalizio, anche dei beni infruttiferi esistenti nel
patrimonio ereditario (gioielli, pinacoteca etc.) Nel vecchio testo, il quale
espressamente discorreva di sostanze ereditarie era plausibile la tesi affermativa. Il nuovo testo ha cambiato la formulazione. Si discorre, espressamente, di ammontare della rendita della quota di eredità. Il dato letterale,
oggi, lascerebbe propendere per una soluzione negativa, sicché dovrebbe
aversi esclusivo riguardo ai beni ereditarı̂ fruttiferi. In senso contrario,
però, l’autorevole posizione di L. MENGONI, Successioni per causa di morte.
Parte speciale. Successione legittima, cit., 135 e ss., secondo il quale, ai fini
di determinare la misura dell’assegno vitalizio spettante ai figli naturali
non riconosciuti, deve aversi riguardo, non già alla rendita reale, bensı̀ al
valore capitale dei beni ereditarı̂. Questa interpretazione, secondo l’A. è
l’unica coerente con lo spirito della riforma del diritto di famiglia, che ha
modificato il testo della norma di cui all’art. 580 c.c. Militano in questo
senso due argomenti: uno testuale e l’altro logico. Il primo: «la quota alla
quale si riferisce l’art. 580 è una quota ipotetica, e quindi la rendita, alla
quale viene commisurato l’assegno, è la rendita che il figlio potrebbe trarre
dalla quota se fosse a lui devoluta, cioè la rendita potenziale calcolata
anche sul valore venale dei beni infruttiferi». Il secondo: «una diversa
interpretazione sarebbe contraddittoria con l’intenzione del nuovo legislatore di migliorare la condizione dei figli non riconoscibili, non solo aumentando il montante dell’assegno, ma anche sottraendone la determinazione alle incertezze derivanti dal margine che la norma anteriore lasciava all’apprezzamento discrezionale del giudice. Non è pensabile che,
mentre si eliminava questa fonte di incertezza, ne sia stata introdotta
un’altra costituita dal riferimento alla rendita reale, la cui consistenza è
soggetta all’alea di circostanze mutevoli, soggettive e oggettive». A ciò
aggiungasi che, opportunamente, L. CARRARO, La vocazione legittima alla
successione, Padova, 1979, 72 non ha mancato di osservare che l’idea,
dominante, che l’assegno vitalizio debba essere considerato un debito di
valuta, insensibile ai successivi mutamenti di valore del patrimonio ereditario, è compatibile soltanto con l’idea che assuma come termine di riferimento la rendita potenziale determinata in base al valore venale dei beni
ereditarı̂ al tempo dell’apertura della successione.
(126) In tema, l’autorevole ricostruzione di L. MENGONI, Successioni per
causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 129 e ss., secondo
il quale si tratterebbe di un legato obbligatorio ex lege. Essendo un diritto
successorio, ne deriva l’inapplicabilità del regime dei crediti alimentari e
l’indipendenza dallo stato di bisogno; la decorrenza al tempo di apertura
della successione; la possibilità che formi oggetto di cessione, compensazione, transazione ed esercizio, in via surrogatoria, da parte dei creditori
dell’avente diritto; la insensibilità ad aumenti e diminuzioni di valore,
anche perché si tratta di credito di valuta.
(127) Osserva L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale.
Successione legittima, cit., 138 e s., che si tratta di una previsione di maggior favore per il figlio naturale non riconoscibile, in quanto gli attribuisce
la possibilità di ottenere, subito, un capitale da impiegare ed evitare la
svalutazione monetaria. Questa agevolazione, però, ha due limiti. Il primo
legato al diritto degli eredi di scegliere i beni; costoro potrebbero scegliere
beni ereditarı̂ difficilmente negoziabili, oppure con capitali di rischio (come azioni o titoli). Il secondo: il diritto di domandare la capitalizzazione
diventa inapplicabile quando al pagamento dell’assegno debbono contribuire i donatarı̂ o i legatarı̂. «Per ammettere la possibilità di capitalizzazione anche in questo caso l’interprete dovrebbe commettere un duplice
arbitrio: ritenere, nel silenzio della legge, che i donatari e i legatari possano
essere obbligati a capitalizzare l’assegno nel solo modo per essi accessibile, cioè in denaro, e inoltre, per quanto riguarda gli eredi, affermare che nel
concorso con legatari o donatari essi sono privati della facoltà di scelta,
non essendo consentita una combinazione dei due modi di capitalizzazione».
(128) In senso favorevole, L. MENGONI, Successioni per causa di morte.
Parte speciale. Successione legittima, cit., 34; ID., Successioni per causa di
morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 170 e s., il quale, sulla
base di questo convincimento, considera inappropriata la collocazione
della norma di cui all’art. 594 c.c. nel capo relativo alla capacità di ricevere
per testamento. L’originaria collocazione si spiegava per due diversi ordini
di ragioni: l’assegno vitalizio nella vecchia formulazione poteva essere
preteso soltanto nei confronti di eredi e legatarı̂, ma non anche nei confronti dei donatarı̂, senza considerare che poteva essere chiesto a condizione che ai primi fosse attribuita la quota di riserva; non poteva essere
calcolato sui beni donati. «Entrambi i limiti sono caduti. Tra i debitori
dell’assegno il nuovo testo annovera i donatari, e ciò comporta che la
quota, alla rendita della quale è commisurato l’assegno, non è, come nel
caso dell’art. 580 e malgrado il rinvio a questa norma, la quota intestata
computata sul solo relictum, bensı̀ la quota di riserva che spetterebbe al
figlio naturale se fosse riconosciuto o dichiarato, calcolata mediante riunione fittizia delle donazioni. Inoltre il diritto all’assegno non è più stabilito come detrazione dell’intero patrimonio, cosı̀ che, se vi sono legittimari
ai quali è riservata una quota di eredità, esso grava proporzionalmente
anche sulla parte indisponibile». Nello stesso senso, C.M. BIANCA, Diritto
civile, 2, La famiglia e le successioni, cit., 602, secondo il quale si tratta di
un diritto che prevale anche sulla volontà contraria del defunto e che trova
«pur sempre fondamento nella inderogabile solidarietà che alla stregua
della coscienza sociale s’impone tra i più stretti congiunti». Parrebbe
orientata, in senso contrario, M.C. TATARANO, La successione necessaria,
cit., 449 e ss., la quale non dedica spazio alla disciplina del figlio naturale
non riconosciuto nell’ambito della successione necessaria. Ma, nel medesimo volume, nel tomo 2, P. BOERO, Il testamento, in Diritto delle successioni, a cura di R. Calvo e G. Perlingieri, 2, Napoli, 2008, 695, constata la
eterodossa collocazione della norma di cui all’art. 594 c.c., rilevando che
sarebbe stata migliore e opportuna una collocazione di essa nel capo
dedicato ai legittimarı̂.
(129) Chiaramente, G. BONILINI, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2010, V ed., 139 e s. «la peculiarità della loro posizione
successoria è denunziata, inoltre, dalla circostanza che l’obbligo di corrispondere l’assegno si estende sı̀ ai donatarii, ma l’eventuale riduzione è
contemplata in termini differenti da quella tutelante, di regola, i legittimarii, dato che, in base all’art. 594 c.c., essa è attuata in proporzione, e
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IL COMMENTO
redità in senso tecnico, bensı̀ al mero assegno vitalizio di cui
all’art. 594 c.c.(130).
Se il genitore naturale non abbia disposto per donazione o
testamento in favore del figlio naturale, gli eredi, i legatarı̂ e i
donatarı̂ del genitore, in proporzione di quanto abbiano ricevuto, sono tenuti a corrispondergli un assegno vitalizio nei limiti stabiliti dall’art. 580 c.c. Nel caso in cui il genitore abbia
disposto in favore del figlio naturale, questi ha, comunque,
diritto, a propria libera scelta, di rinunziare alla disposizione(131) e chiedere l’assegno(132).
Questi, dunque sono i temi e i problemi sui quali il disegno di
legge in commento deve intervenire, verificando, nel processo
di definitiva parificazione tra figli legittimi e figli naturali, quali
degli istituti, che rechino traccia della differenza, debbano, per
effetto del disegno di legge, venire meno.
In primo luogo, occorrerà osservare che
il disegno di legge, sebbene nella delega al governo
di cui all’art. 2, co. 1º, lett. l, chiede «un adeguamento
della disciplina delle successioni e donazioni al
principio di unicità dello stato di figlio», non sembra
che possa toccare la disciplina differenziale stabilita
per i figli naturali irriconoscibili.
La quale par destinata a dover rimanere in piedi.
contemporaneamente, su tutte le liberalità, sia inter vivos, sia mortis causa, laddove ex artt. 554 ss. c.c., prima si riducono, proporzionalmente, le
disposizioni testamentarie, indi quelle donative, a partire dall’ultima e
risalendo a ritroso». Non mancando di osservare la profonda differenza
che esisterebbe nel regime di tutela di un comune legittimario e il figlio
naturale irriconoscibile, G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, cit., 482, rileva che tale soluzione determina delle conseguenze inaccettabili. Perché, da un lato, si ammette che il de cuius possa eludere il principio della irrevocabilità delle donazioni e, dall’altro, si peggiorerebbe la posizione di tutti i donatarı̂, imponendo l’obbligo a quelli che,
in caso di successione di figli legittimi o naturali, non sarebbero esposti
all’azione di riduzione. «Va dunque accolta la proposta di applicare anche
nell’ipotesi in discussione i criteri degli artt. 555, 2º co., e 559. L’obbligo
dell’assegno graverà cioè sui donatarii solo dopo esaurito il valore dei beni
di cui è stato disposto per testamento; e solo dopo esaurito il valore dell’ultima donazione si risalirà via via alle anteriori. Questa soluzione risulta
compatibile con la legge se si accoglie un’interpretazione restrittiva dell’art. 594: se si ammette, cioè, che la ripartizione proporzionale del debito,
ivi prevista, si operi soltanto tra i successori testamentari e tra i beneficiari
di donazioni contemporanee». Sul tema, già, L. CARRARO, in Commentario
di diritto italiano della famiglia, diretto da G. Cian, G. Oppo e A. Trabucchi, V, cit., 185. Aderisce a questa ipotesi, P. BOERO, Il testamento, cit., 696, il
quale considera incongrua una tanto vistosa deroga ai principii generali.
(130) Le profonde differenze sono avvertite anche da L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 171 e s.,
il quale precisa che si tratta di un vero e proprio credito verso l’eredità, al
cui pagamento contribuiscono gli eredi, dopo il pagamento dei debiti, ma
prima del pagamento dei legati. Si tratta, cioè, di un legato a carico degli
eredi, dei legatarı̂ e dei donatarı̂. Sotto diverso profilo, poi, non sarebbe
neppure possibile una lesione. La cui configurabilità presuppone il diritto
a una porzione di beni o a un valore corrispondente. Ciò significa che la
tutela del figlio naturale non riconoscibile non è data dall’azione di riduzione, graduabile secondo le regole degli artt. 555, 2 co., 558 e 559 c.c., ma
‘‘da un’azione obbligatoria’’, rispetto alla quale deve applicarsi un criterio
proporzionale, senza distinguere tra onorati testamentarii e donatarii e,
rispetto agli ultimi, tra donatarii con titolo più o meno recente. «L’obbligazione si divide fra i debitori ‘‘in proporzione di quanto hanno ricevuto’’».
Ma, in senso contrario, con un fondato e convincente argomento logicosistematico, G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima,
cit., 482.
Le acute osservazioni di Mengoni inducono il dubbio se tutta questa
messe di distanze che corrono rispetto alla tutela propria di un legittimario, non debba far preferire la tesi secondo la quale il figlio naturale non
riconosciuto non sia un legittimario, ma soltanto un soggetto al quale
l’ordinamento attribuisce uno speciale diritto successorio, consistente in
un legato obbligatorio ex lege che grava anche, determinando una importante frattura rispetto ai principı̂ comuni, su persone estranee alla successione.
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Pur nell’ampio processo riformatore, che continua a erodere i
casi nei quali il riconoscimento sia inammissibile, esso continua a conservare un certo spazio. Si propone, infatti, non già di
ammettere, sempre e comunque, il riconoscimento del figlio
incestuoso, bensı̀ di ammetterlo, previa «autorizzazione del
giudice avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità
di evitare allo stesso pregiudizio» (art. 1, co. 3º, del disegno di
legge).
Sebbene non vi possa essere chi non si avveda che la scelta
compiuta nel disegno di legge è, esclusivamente, fatta allo scopo di tutelare ragioni e interessi del figlio naturale incestuoso,
per i casi in cui il riconoscimento potrebbe essergli, più dannoso che profittevole, non v’ha dubbio che residua un margine,
seppur assai limitato, di casi nei quali il riconoscimento può
non essere autorizzato e, dunque, ammesso.
Impregiudicata, però, rimane, mercé la declaratoria di parziale
illegittimità costituzionale dell’art. 278, 1º co., c.c., la possibilità
del figlio irriconoscibile di far accertare giudizialmente la paternità o la maternità naturale.
Tutto ciò significa, seppure occorrerà indagarne, meglio, limiti
e contenuti, la necessaria permanenza, nel nostro sistema delle
fonti, delle norme riguardanti i diritti successorı̂ del figlio naturale irriconoscibile (artt. 580 e 594 c.c.).
Sorte diversa, invece, parrebbe destinata al diritto di commutazione.
(131) G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, cit.,
484, precisa che la specifica previsione parrebbe avere la funzione di evitare che il figlio naturale possa imputare alla propria quota quanto ricevuto dal genitore naturale. Qualora abbia ricevuto meno di quanto gli
spetti a norma dell’art. 594 c.c. ha una sola alternativa: tenere quanto
ricevuto per disposizioni liberali e non ottenere altro, ovvero rinunziare
a tutto e chiedere l’attribuzione dell’assegno vitalizio. Continua l’A., osservando che tale disposizione non dà luogo a dubbı̂ in caso di istituzione di
erede, giacché l’imputazione, per definizione non può mai riguardare le
disposizioni a titolo universale. Diversamente, invece, tocca il caso delle
disposizioni a titolo particolare. «Non si vede tuttavia perché mai non si
debba, anche in questo caso, dare attuazione alla volontà del testatore
quando questi abbia dichiarato che il legato è stato da lui disposto non
in sostituzione, ma in conto o in aggiunta a quanto spetta al figlio per
legge». Il dubbio si ripropone, e con maggiore intensità, nel caso di donazioni. Poiché, non v’ha dubbio, che la donazione abbia prodotto effetto, la
rinunzia alla donazione da parte del figlio naturale, al fine di conseguire
quanto a quegli spetta a norma dell’art. 594 c.c., si atteggia, non già a una
rinunzia in senso proprio, bensı̀ e più esattamente, a una restituzione o a
un ri-trasferimento, ossia a un atto simile a quello previsto in tema di
collazione. «Ma non si vede comunque per quali motivi dovrebbe essere
esclusa, quanto meno come soluzione alternativa, l’imputazione della liberalità: che è in ogni caso la soluzione più semplice e pratica, e talora
l’unica possibile (si pensi al caso di perimento del bene donato) al fine di
far sı̀ che il figlio consegua quanto gli è accordato dalla prima parte dell’art. 594».
(132) È importante ricordare che la disciplina di cui all’art. 594 c.c. si
applica soltanto nel caso in cui si tratti di eredi testamentarı̂. Se il de
cuius, ha disposto, con testamento, soltanto di parte delle proprie sostanze, sicché deve aprirsi, in parte, la successione legittima, occorre
stabilire se il figlio naturale non riconoscibile ha diritto all’assegno vitalizio nella misura dell’art. 580 c.c. (rendita della quota intestata calcolata
soltanto sul relictum) o in quella di cui all’art. 594 c.c. (rendita della
quota intestata calcolata soltanto sul relictum, sommato al donatum).
Sul punto, molto chiaramente, L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., 172, nota 39, «Nel primo
caso (la rendita della quota prevista dall’art. 580 risulta non inferiore alla
rendita della quota riservata) debitori dell’assegno sono esclusivamente
gli eredi legittimi. Nel secondo caso [...] si deve applicare la regola desumibile dall’art. 553, per cui la legittima si prende anzitutto sui beni della
successione intestata, e solo in subordine sui beni oggetto delle liberalità
fatte dal de cuius, Per esempio relictum 100, donatum 200; succede ab
intestato un fratello del defunto e concorre un figlio naturale non riconoscibile. A norma dell’art. 594 il figlio ha diritto a un assegno vitalizio
pari alla rendita di metà del patrimonio (=150): debitori sono l’erede
legittimo per 2/3 (fino alla concorrenza della rendita dei beni intestati)
e il donatario per 1/3».
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IL COMMENTO
Direi parrebbe, perché occorre verificare se la delega al governo
di cui all’art. 2, co. 1º, lett. l, lo consenta appieno, anche alla
luce dell’ultimo intervento della Corte Costituzionale del 2009 e
in considerazione del rilievo che, nella stessa delega, il disegno
di legge (art. 2, co. 1º,) ammonisce sul rispetto dell’art. 30 Cost.
Con l’intesa che, se, come sembra legittimo attendersi, la legge
delega dovrà cancellare, definitivamente, il diritto di commutazione, davvero sarà possibile affermare l’esistenza di un unitario statuto successorio del figlio, sia esso legittimo o naturale.
7. Variazionı̂ critiche sugli effetti successorii riguardo
ai parenti del figlio naturale premorto o deceduto
nelle more del riconoscimento, secondo il disegno
di legge
N
on meno significativa, la delega rispetto a una norma
transitoria, nella parte in cui chiede al governo di adottare una disciplina che «assicuri la produzione degli effetti successori riguardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio
naturale premorto o deceduto nelle more del riconoscimento e
conseguentemente l’estensione delle azioni di petizione di cui
agli articoli 533 e seguenti del codice civile».
Il disegno di legge, dunque aspira non soltanto a parificare la
posizione successoria dei figli a muovere dalla sua entrata in
vigore e per le successioni aperte successivamente alla data
della sua approvazione, bensı̀ a regolare anche le successioni
aperte anteriormente a quella data e, purché, ovviamente, il
giudizio sia pendente, ché il passato in giudicato della decisione impedisce di modificare la verità legale definitiva rispetto
all’assetto della successione decisa.
Occorre, però, chiedersi se sia, davvero, necessario,
nell’esercizio del potere di delega, intervenire
anche sulle norme in tema di petizione ereditaria.
Probabilmente, non sarà necessario.
Non già per il figlio premorto, ché la esistenza di discendenti di
costui, consentirà loro di far accertare la paternità e, dal vittorioso esito di quella, poi, seguirà l’attribuzione dei diritti successorı̂, che i medesimi potranno acquisire iure hereditatis o,
nell’ipotesi in cui possa operare la rappresentazione, iure proprio.
Rispetto a costoro, dunque, non credo occorra una speciale
legittimazione all’esercizio dell’azione di petizione dell’eredità,
perché la loro condizione, all’esito della sentenza di accertamento della paternità o maternità naturale, attribuendo la qualità di eredi, già consente di esercitarla.
Piuttosto, considerando la norma di cui all’art. 270, 2º co., c.c.,
che limita la possibilità di promuovere l’azione di accertamento giudiziale della maternità e della paternità naturale ai soli
discendenti del figlio naturale premorto che non abbia avviata
l’azione, ed entro due anni dalla morte del figlio, si tratta di
vedere, se la limitazione temporale all’esercizio dell’azione, sia
compatibile con il riconoscimento dei diritti dei discendenti
del figlio naturale premorto.
Se i discendenti non potessero più promuovere l’azione, non
potrebbero più far accertare la filiazione naturale. Il figlio naturale non potrebbe acquistare i diritti successorı̂, a cui altrimenti avrebbe diritto. I discendenti, dunque, si troverebbero
nella impossibilità di far valere i diritti successorı̂ del proprio
ascendente.
Si tratterà, allora, di compiere una scelta e di valutare se si
voglia estendere il tempo entro il quale i discendenti del figlio
premorto possano avviare l’azione giudiziale per l’accertamento della paternità e maternità naturale. Perché solo questo intervento, e non anche uno sulla azione di petizione dell’eredità,
potrebbe loro consentire di subentrare nei diritti successorı̂ del
proprio ascendente premorto. Diritti, si badi, che, in assenza
dell’accertamento giudiziale della filiazione, il proprio accedente non potrebbe vantare nei confronti del genitore naturale.
A ciò aggiungasi che, se il figlio naturale premorisse al proprio
genitore, senza lasciare discendenti, non vi sarebbe alcuno che
potrebbe promuovere l’azione. Perché, a norma dell’art. 270, 2º
co., c.c., i parenti non sono legittimati a promuoverla.
In conseguenza, deve reputarsi che, ove con la legge delega, si
voglia assicurare la produzione degli effetti successorı̂ riguardo
ai parenti, anche per gli aventi causa, del figlio naturale premorto, sarebbe più efficace intervenire sui profili della legittimazione attiva e dei termini per la dichiarazione giudiziale
della paternità o maternità naturale, che non sull’azione di
petizione dell’eredità. La quale, per quanto, sia vero, che è
un’azione, insieme, di accertamento e di restituzione, non potrebbe supplire all’accertamento giudiziale della paternità o
maternità naturale. Unico e solo presupposto possibile per riconoscere al soggetto premorto lo stato di figlio naturale e,
quindi, tutti i diritti successorı̂ conseguenti.
Neppure necessaria, per ragioni analoghe, l’estensione dell’azione di petizione dell’eredità a favore dei discendenti del figlio
morto nelle more del giudizio di riconoscimento.
Anche qui occorre distinguere a seconda che si abbia riguardo
ai discendenti del figlio naturale morto nelle more del riconoscimento o di altri parenti.
Ai primi, la norma di cui all’art. 270, 3º co., c.c., consente di
proseguire l’azione. Se costoro decidano di proseguire l’azione,
l’esito vittorioso di quella, basta a risolvere i loro problemi
successorı̂. La sentenza vale ad accertare e costituire il rapporto
di filiazione naturale. Il figlio naturale, dunque, acquista tutti i
diritti successorı̂, che la legge gli attribuisce. Diritti successorı̂
che, essendo quegli premorto, verranno attribuiti, iure hereditatis o iure proprio, se opera la rappresentazione, a vantaggio
dei discendenti del figlio naturale. I quali sarebbero, quindi,
eredi e, in quanto tali, legittimati attivamente all’esercizio dell’azione di petizione dell’eredità. Senza necessità di ulteriori
estensioni.
Discorso parzialmente diverso nel caso in cui il figlio naturale,
morto dopo aver iniziato nei confronti del proprio genitore
naturale il giudizio volto a constatare la paternità o la maternità
naturale, non lasci dietro di sé discendenti, ma, soli, altri parenti.
A costoro, a norma dell’art. 270, 3º co., c.c., che limita la possibilità di proseguire l’azione ai soli discendenti, sarebbe precluso di proseguire l’azione. Il che determina, quale conseguenza,
l’impossibilità di ottenere una sentenza che accerti la paternità
o la maternità naturale e che crei, dunque, il presupposto, per
consentire al figlio premorto di poter succedere al proprio genitore naturale.
In conseguenza, non si tratta, poco o punto, di attribuire ai
parenti, diversi dai discendenti, del figlio morto nelle more
del giudizio la legittimazione all’esercizio della petizione di
eredità, quanto di consentire loro la possibilità di proseguire
quell’azione. Dacché solo il definitivo accertamento della paternità o maternità naturale consente di costituire il rapporto di
filiazione naturale, presupposto necessario, perché il figlio posFamiglia, Persone e Successioni 10
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ottobre 2012
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IL COMMENTO
sa vantare diritti successorı̂ pieni nei confronti del proprio genitore naturale.
Di scorcio e da ultimo, va segnalato, sia avendo riguardo al caso
di figlio premorto prima di aver avviato l’azione, che al caso di
figlio morto nelle more del giudizio, che l’ipotesi in cui costui
non lasci discendenti, ma, soltanto, altri parenti, appare di
scuola e di scarsa rilevanza pratica.
Perché i parenti che potrebbe lasciare dietro di sé, tolti i discendenti e il coniuge, che parente, in senso stretto, non può
esser considerato, sono, solamente, i collaterali, ossia i fratelli o
le sorelle.
I quali, ove fossero, rispetto al genitore del fratello premorto,
figli legittimi, potrebbero non aver alcun interesse a proseguire
l’azione o iniziare l’azione, avendo, in quanto discendenti legittimi del genitore del fratello premorto, tutti i diritti successorı̂. Viceversa, ove fossero, rispetto al genitore del fratello premorto, figli naturali, avrebbero, in quanto tali, una propria legittimazione autonoma a far valere, ciascuno per sé, l’azione di
accertamento della maternità o paternità naturale e, in ogni
caso, nessun interesse a succedere al fratello, potendo direttamente succedere, nei medesimi diritti, rispetto al proprio genitore.
La posizione che, davvero, meriterebbe attenzione
è, invece, quella del coniuge del figlio naturale
premorto prima di avviare il giudizio o morto
nelle more del giudizio.
Costui sarebbe impossibilitato a promuovere
l’azione e a continuarla. Sarebbe, dunque,
impossibilitato a far accertare la filiazione
naturale del proprio coniuge premorto. Questi,
peraltro, sarebbe l’unico soggetto che potrebbe
avere interesse, attuale e concreto, a che siano
riconosciuti i diritti successorı̂ del proprio coniuge,
perché sarebbe l’unico che potrebbe, effettivamente, succedere.
L’ipotesi, quindi, credo che meriti attenzione.
Difficile dire se possa tutelarsi la posizione del coniuge del
figlio naturale, attraverso la ammissione all’azione di petizione
dell’eredità. Mi parrebbe inappropriata perché si tratterebbe di
legittimare all’azione un soggetto che non è erede, che non
vuole far accertare la propria qualità di erede, ma quella del
proprio coniuge e, soprattutto, di far accertare diritti successorı̂
del proprio coniuge, in difetto del presupposto minimo necessario, ossia che sia accertata la filiazione naturale, sulla quale i
diritti successorı̂ del coniuge potrebbero trovare fondamento.
Anche, qui, credo, dunque, che l’unico strumento che possa
consentire tutela al soggetto, sempre che si voglia garantire il
diritto del coniuge a succedere rispetto all’eredità che il coniuge premorto potrebbe vantare nei confronti del proprio genitore naturale, è di estendere legittimazione e il termine per
l’esercizio dell’azione giudiziale di maternità e di paternità.
Perché soltanto essa è lo strumento che, costituendo una filiazione giuridicamente accertata, può assicurare al soggetto i
diritti successorı̂ rispetto al proprio genitore.
La disciplina transitoria, dunque, ed è bene che si ricordi, anche al fine di ridimensionare il problema, che si tratta soltanto
di una disciplina transitoria, si presenta tutt’altro che semplice,
perché, se davvero volesse assicurare, come nel disegno di legge, sembra emergere, «la produzione degli effetti successori riottobre 2012
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Famiglia, Persone e Successioni 10
guardo ai parenti anche per gli aventi causa del figlio naturale
premorto o deceduto nelle more del riconoscimento», dovrà,
probabilmente, toccare il tema della legittimazione e dei termini per l’azione di accertamento giudiziale della maternità e
della paternità naturale.
8. Sulla eliminazione del diritto di commutazione
P
iù semplice, ma straordinariamente rilevante sul piano
concettuale del sistema di diritto successorio, il tema del
diritto di commutazione.
Poiché il disegno di legge in parola aspira a poter essere l’ultimo atto di un lungo cammino intrapreso già nel 1942 e non
ancora portato a termine la legge delegata, dovrebbe, nel concorso tra figli legittimi e figli naturali, tanto nel caso di successione legittima, quanto nella disciplina sulla successione necessaria, definitivamente cancellare le norme che attribuiscono
ai primi il diritto di soddisfare, in danaro o in beni ereditarı̂, la
quota che spetta ai secondi.
L’intervento, in termini di tecnica legislativa, sarebbe affatto
semplice: si tratterebbe, soltanto, di abrogare la disposizione
recata al 3º co. dell’art. 537 c.c., e, per logica conseguenza,
quelle recate al 3º co. dell’art. 542 c.c. e al 2º co. dell’art. 566 c.c.
Esso, per quanto semplice, avrebbe, però, una
straordinaria portata innovativa: la creazione di
un unitario statuto giuridico successorio del figlio.
Si badi, non si tratterebbe di creare due statuti
disciplinari di contenuto identico, o di contenuto
analogo o comuni, bensı̀ un unitario e unico
statuto disciplinare.
Perché, eliminata la norma che prevede il, cosı̀ detto, diritto di
commutazione, non sarebbe, ai fini successorı̂, più sensato o
necessario dover distinguere tra gli uni e gli altri, al pari di
come non si distingue, né avrebbe senso farlo, tra un figlio
legittimo e l’altro. Tutti i figli, nati tra soggetti uniti o non uniti
in matrimonio, riceverebbero il medesimo trattamento successorio, sia nel caso di successione intestata, che nella disciplina
sulla successione necessaria. Sarebbero, cioè, successibili collocati nel medesimo ordine e grado, le quote loro assegnate o
riservate andrebbero, tra costoro, divise, sempre, in parti eguali,
secondo le comuni regole sulla divisione della comunione ereditaria.
In questo, e non tanto o non soltanto nella eliminazione del
diritto di commutazione credo che stia il pregio e il merito del
disegno di legge.
Non si tratta di togliere o aggiungere uno o altro istituto al
diritto successorio; non si tratta dell’ennesima, episodica, vicenda di ammodernamento del diritto successorio italiano, che
ben altro intervento meriterebbe e, sopra tutti, la eliminazione
dalla disciplina sulla successione necessaria, più volte annunciata, ma mai portata a compimento, vero ostacolo alla piena
affermazione dell’autonomia testamentaria e retaggio di modelli culturali, oggi, non più, unanimemente, condivisi; si tratta,
piuttosto, di modificare la prospettiva giuridico-culturale del
diritto positivo vigente, per renderlo più contemporaneo.
L’esistenza di un unitario statuto giuridico successorio dei figli,
senza distinguere a seconda che siano nati da persone unite in
matrimonio, o da persone non unite in matrimonio e legate da
puro affectio familiaris, o, addirittura, occasionalmente, da sog-
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IL COMMENTO
getti che nulla hanno mai condiviso e nulla condivideranno nel
futuro, se non il ricordo di aver procreato, in uno con la responsabilità di quel gesto(133), esclude che, per il diritto, soprattutto nella prospettiva dei figli, che, mai, partecipano alle
scelte originarie e volontarie dei loro procreatori, assuma rilevanza lo stato giuridico dei genitori.
Il fondamento della disciplina giuridica della loro successione
starebbe soltanto nella responsabilità della procreazione.
Il risultato che il disegno di legge ambisce, sotto
tale aspetto, di conseguire non è punto
rivoluzionario, perché elimina il diritto di
commutazione, bensı̀ perché toglie in radice il
senso di distinguere tra i figli, a seconda di quale
sia lo stato giuridico dei loro genitori. Il che
rappresenta l’ultimo atto del processo riformatore
e la sosta di un istante, prima di un nuovo modo
di pensare la disciplina giuridica della filiazione.
Il disegno di legge, la eliminazione del diritto di commutazione
e la rivoluzionaria idea di creare un unitario statuto successorio
dei figli, credo, dunque, debba essere salutato con largo favore,
nell’attesa che la responsabilità del legislatore finisca il lavoro
cominciato.
Certo è, però, che l’intervento di ortopedia giuridica che esso
chiama di compiere, per quanto semplice sul piano della tecnica legislativa, proprio per la sua importante portata concettuale, credo che possa incontrare un limite. Il quale, ove, davvero, tale dovesse risultare, meriterebbe, senza meno, di essere
superato.
Il limite potrebbe essere la norma di cui all’art. 30, co. 3, Cost. e,
per certi versi, la norma di cui all’art. 29, co. 1, Cost. Superarlo
potrebbe dover significare sacrificare sull’altare costituzionale
la norma di cui all’art. 30, co. 3, Cost. o, con soluzione meno
dolorosa per i nostalgici della discriminatoria disposizione, interpretarla in modo parzialmente diverso da come, fino a oggi,
e, da ultimo, nella bella e dotta sentenza della Corte Costituzionale del 2009, esso è stato inteso.
Si tratta, quindi, di affermare che nel diritto successorio, cade il
problema della compatibilità tra i diritti dei figli di persone
unite in matrimonio e i diritti dei figli di persone non unite
in matrimonio (se la filiazione è riconosciuta o giudizialmente
accertata), anche qualora concorrano tra loro, ché la tutela
degli ultimi è, sempre, compatibile e mai urta contro la tutela
dei primi.
Rivoluzionaria interpretazione della norma costituzionale,
molto diversa da quella da ultimo offerta dalla Corte Costituzionale. La quale, come ho già ricordato, aveva affermata la
piena costituzionalità del diritto di commutazione motivando
la decisione «di conservare in capo ai figli legittimi la possibilità
di richiedere la commutazione, condizionata dalla previsione
(133) Alludo, soltanto, e in una prospettiva meramente positiva, all’atto di
riconoscimento del figlio naturale. Chè, senza quello, il figlio, a meno che
non chieda e ottenga l’accertamento giudiziale della paternità o maternità
naturale, non accederebbe ai diritti successorı̂ che la legge continua a
riservare, a norma dell’art. 573 c.c. ai soli figli, la cui filiazione naturale è
riconosciuta o giudizialmente accertata. Per una interessante prospettiva
circa l’atteggiamento del nostro legislatore sulla responsabilità, soprattutto del padre, le osservazioni di P. ZATTI, Il diritto della filiazione, cit., 90 e ss.
(134) Cosı̀, si legge nella motivazione di C. Cost., 18.12.2009, n. 335, in
Fam. persone e successioni, cit., 124 e ss.
della facoltà di opposizione da parte del figlio naturale e dalla
valutazione delle specifiche circostanze posta a base della decisione del giudice»(134) quale precisa scelta legislativa che
«non contraddice la menzionata aspirazione alla tendenziale
parificazione della posizione dei figli naturali, giacché non irragionevolmente si pone ancor oggi (quale opzione costituzionalmente non obbligata né vietata) come termine di bilanciamento (compatibilità) dei diritti del figlio naturale in rapporto
con i figli membri della famiglia legittima»(135).
Quando il disegno di legge, riceverà il sigillo di legge, a meno
che non si voglia, da qualche nostalgico conservatore, che, con
ciò, si muoverebbe sul piano della stretta legalità e meriterebbe
di vedere accolta la propria pretesa di incostituzionalità, occorrerà, quanto meno, aprire una nuova stagione dell’esegesi del
3º co. dell’art. 30, Cost.
La quale, almeno nei termini nei quali mi sono provato di
abbozzare, indurrebbe, nondimeno, a domandarsi perché quella disposizione di legge debba continuare a popolare la nostra
Costituzione.
9. Sulla posizione dei figli naturali non riconoscibili
R
imane, ancora, sullo sfondo del sistema positivo e con
tutti i chiaroscuri, con i quali l’argomento è stato, da sempre, avvicinato, il tema dei figli non riconoscibili. Il quale, forse,
benché non possa spiegare la permanenza del 3º co. dell’art. 30
Cost., può offrirne occasione di esistenza.
Il disegno di legge, infatti, benché ciò faccia con una norma che
è, evidentemente e ragionevolmente posta a esclusivo interesse
dei figli, lascia permanere, con il limite oggi derivante dalla
parziale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma
di cui all’art. 278 c.c., la categoria dei figli per i quali non è
possibile costituire uno stato giuridico familiare di figlio.
Muta, significativamente, la disciplina del figlio incestuoso: se,
per un verso, cade il limite oggi previsto nell’art. 251 c.c., che
impedisce, tassativamente, in alcuni casi, il riconoscimento del
figlio, impregiudicata la sua possibilità di far giudizialmente
dichiarare la paternità o la maternità naturale, per altro verso,
si stabilisce, in ogni caso, sempre avuto riguardo esclusivamente all’interesse del figlio e alla necessità di evitargli qualsiasi
pregiudizio, che il riconoscimento debba essere autorizzato
dal giudice.
Ciò significa che possono residuare casi nei quali il
giudice possa negare l’autorizzazione al
riconoscimento del figlio. Ciò legittima la
permanenza, nel nostro ordinamento giuridico,
della tipologia dei figli irriconoscibili(136).
Il loro statuto giuridico successorio non è quello
dei figli, ma quello, che per brevità, chiamo dei
(135) Cosı̀, si legge nella motivazione di C. Cost., 18.12.2009, n. 335, in
Fam. persone e successioni, cit., 124 e ss.
(136) Sulla opportunità di eliminare la categoria, già nel 1999, le considerazioni di M. RONCHI, I discendenti, cit., 833, il quale all’esito di una
completa informazione sulla disciplina e le posizioni di dottrina e giurisprudenza, avvertiva come impellente l’esigenza di un intervenendo del
legislatore «nella direzione di una definitiva unificazione della disciplina
successoria dei figli, con la rimozione dei residui trattamenti discriminatorii e della stessa sussistenza di differenti categorie e sottocategorie all’interno dello status di figlio».
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IL COMMENTO
figli non riconoscibili, fermato dagli artt. 580 e
594 c.c.
Le due norme, quindi, non potrebbero essere toccate e il disegno di legge in parola, pur comprimendo, nei fatti, ancora assai
significativamente, l’area della loro applicazione, non può dirsi
che ne tolga il diritto a rimanere in vigore.
Non vacilla, dunque, l’orizzonte di domande e problemi sollevati dalle predette regole, pur nella consapevolezza della residualità del caso.
Il disegno di legge lascia accanto allo statuto unitario successorio dei figli, lo statuto successorio dei figli non riconoscibili.
Questi ultimi, infatti, nel caso di successione ab intestato, non
hanno diritto a una quota di eredità, bensı̀ soltanto a un assegno vitalizio, pari all’ammontare della rendita della quota di
eredità alla quale avrebbero diritto se la filiazione fosse dichiarata o riconosciuta(137). Conservano, anche, il diritto a pretendere la capitalizzazione dell’assegno loro spettante in danaro,
o, a scelta degli eredi legittimi(138), in beni ereditarı̂.
A favore dei figli irriconoscibili rimane anche la speciale disciplina che, per larghi versi, li accomuna ai legittimarı̂.
Nel caso di successione testamentaria, ove il loro genitore nulla
abbia disposto a loro favore con donazione o con testamento,
hanno diritto a un assegno vitalizio, pari all’ammontare della
rendita della quota di eredità che loro sarebbe riservata(139), se
la filiazione fosse dichiarata o riconosciuta. Hanno diritto di
chiedere e ottenere tale assegno dagli eredi, dai legatarı̂ e dai
donatarı̂. I quali sono tenuti in proporzione di quanto costoro
abbiano ricevuto dal de cuius(140).
Nell’ipotesi in cui il genitore naturale abbia disposto a loro
favore con donazione o con testamento, non hanno diritto di
imputare quanto ricevuto e chiedere la integrazione del dovuto,
ma soltanto la facoltà di tacere e conservare quanto ricevuto,
ovvero di «rinunziare alla disposizione e chiedere l’assegno».
La necessità di mantenere in vigore le discipline che segnano lo
statuto successorio del figlio non riconoscibile lascia aperti e,
sotto certi aspetti, acuisce, alcuni dei problemi che, ora è poco,
si sono già posti.
In particolare, occorre domandarsi, anche in considerazione
del fatto che il disegno di legge non lascerebbe più spazio alla
categoria di figli non riconoscibili, bensı̀ a quella dei figli cui è
negata l’autorizzazione del giudice a che il genitore li possa
riconoscere, se soltanto a costoro possa applicarsi lo statuto
successorio del figlio non riconoscibile. O se, invece, esso possa
essere applicato anche al figlio riconoscibile, ma non riconosciuto, che preferisca, in luogo di far accertare il proprio stato
di figlio naturale, di conseguire i soli diritti successorı̂ di cui agli
artt. 580 e 594 c.c.
È noto che la giurisprudenza, dopo una prima apertura(141), da
ultimo, abbia fermata una soluzione più restrittiva(142), al pari
di come è nota la critica che questo indirizzo ha sollevato nella
dottrina(143).
La critica, già, allora, formulata verso l’ultimo indirizzo restrittivo, sembra, vieppiù, fondata, se consideriamo la disciplina
che il disegno di legge aspira a compiere in tema di figli incestuosi. Nel momento in cui cade la assoluta impossibilità di
ammettere un riconoscimento, affermandosi il principio che
il riconoscimento sia sempre possibile, previa autorizzazione
del giudice, che decide avendo riguardo, esclusivo, all’interesse
del figlio e alla necessità di evitare, allo stesso, un pregiudizio,
sarebbe legittimo attendersi un revirement dell’orientamento
giurisprudenziale. Nel momento in cui il riconoscimento diventa, di fatto, sempre possibile, salvo che esigenze e necessità
del figlio lo escludano, non credo che si debba negare al figlio,
pur riconoscibile, di decidere, avendo riguardo alle proprie esigenze e alle proprie necessità, se preferire la minore tutela
successoria di cui agli artt. 580 e 594 c.c., in luogo di quella
che gli competerebbe se ottenesse una dichiarazione giudiziale
di paternità o maternità naturale.
Sotto un diverso aspetto, meno complesso, si profila il tema,
anch’esso dibattuto(144), se il figlio naturale possa accedere ai
diritti successorı̂ previsti per il figlio non riconoscibile, nei casi
in cui abbia lo stato di figlio legittimo di altri genitori. Sul
punto, manifestando un certo dissenso rispetto all’orientamento della giurisprudenza da ultimo formulato(145), credo che
debba preferirsi una soluzione di segno negativo.
Perché, acconsentire e offrire questa opportunità, come la giurisprudenza, da ultimo, ha fatto, quando il mancato esercizio
(137) Si conferma l’idea di L. MENGONI, Successioni per causa di morte.
Parte speciale. Successione legittima, cit., 129, secondo cui si tratta di un
vero e proprio diritto successorio, che costituisce un legato obbligatorio ex
lege. Si conferma, dunque, inapplicabile la disciplina dei crediti alimentari,
con la conseguenza che il diritto decorre dal giorno dell’apertura della
successione; che può formare oggetto di cessione, compensazione e transazione; che può essere esercitato in via surrogatoria dai creditori dell’avente diritto; che è indipendente dallo stato di bisogno; che costituisce
debito di valuta e che, come tale, non è suscettibile di successive ri-determinazioni. Il fondamento del diritto non dipende dalla risultanza legale
della filiazione, bensı̀ nel fatto della procreazione.
(138) La unitarietà dello statuto successorio dei figli disposta con il disegno di legge, impone, di necessità, di rileggere la norma di cui all’art. 580
c.c. Nella formulazione eredi legittimi, dovranno considerarsi non soltanto
i figli, già detti, legittimi, ma anche quelli naturali, posto che il loro statuto
disciplinare successorio diviene unitario .
(139) Il riferimento alla riserva serve a rimarcare che la misura dell’assegno di cui all’art. 594 c.c. è diversa da quella di cui all’art. 580 c.c. Perché
nel primo caso l’assegno si calcola sul relictum, cosı̀ come gravato da
eventuali legati; mentre nel secondo si calcola mediante le operazioni
descritte all’art. 556 c.c. Già, L. MENGONI, Successioni per causa di morte.
Parte speciale. Successione legittima, cit., 134.
(140) Per i problemi di coordinamento delle discipline di cui all’art. 580
c.c. e di cui all’art. 594 c.c., nel caso in cui si tratti di successione regolata
per testamento soltanto in parte e, dunque, di successione in parte regolata dalla legge, L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale.
Successione legittima, cit., 136 e s. Il quale non manca di osservare, proponendo due chiari esempi, che la regola del contributo proporzionale
stabilita nella norma di cui all’art. 594 c.c., per regolare i rapporti tra
onorati testamentarı̂ e donatarı̂, non potrebbe essere estesa nei rapporti
tra costoro e gli eredi legittimi. Per i quali continua a valere il principio
generale segnato all’art. 553 c.c., secondo cui la legittima si preleva, prima
di tutto, sui beni di cui il defunto non ha disposto , salvi i diritti degli altri
successibili legittimarii.
(141) Cass., 6.11.1976, n. 4044, cit., 3412; Cass., 29.11.1983, n. 7158, cit.,
460; Cass., 26.6.1984, n. 3709, cit., 2058.
(142) Cass. 24.1.1986, n. 467, cit., 542; Cass. 22.1.1992, n. 711, cit., 138;
Cass., 28.8.1999, n. 9065, cit., 1423.
(143) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 125.
(144) L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 126 e s.; M. SESTA, Un ulteriore passo avanti della S.C.
nel consentire la richiesta di alimenti al preteso padre naturale da colui che
ha lo stato di figlio legittimo altrui, cit., 27 e ss.; M. RONCHI, I discendenti,
cit., 825 e ss.
(145) Il quale consente al figlio naturale di agire per pretendere dal
genitore naturale i diritti di cui all’art. 580 c.c., a condizione che il mancato esercizio dell’azione di disconoscimento della paternità non sia
derivata da una scelta consapevole e volontaria del figlio (Cass.
24.1.1986, n. 467, cit., 542; Cass. 22.1.1992, n. 711, cit., 138; Cass.,
28.8.1999, n. 9065, cit., 1423) oppure a condizione che i genitori legittimi
non abbiano i mezzi per provvedere, oppure qualora, per le circostanze
del caso concreto da accertare volta per volta, il figlio medesimo non
possa comunque ottenere il mantenimento, o un sostegno economico,
dai detti genitori legittimi (Cass., 1.4.2004, n. 6365, cit., 27, con nota di
M. SESTA, Un ulteriore passo avanti della S.C. nel consentire la richiesta di
alimenti al preteso padre naturale da colui che ha lo stato di figlio legittimo altrui.
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IL COMMENTO
dell’azione per l’accertamento giudiziale sia dipeso da una
scelta volontaria del figlio o, peggio ancora, nei casi in cui i
genitori legittimi non abbiano le sostanze per mantenere il
figlio, mi pare che finisca, radicalmente, per tradire il senso,
non soltanto dell’ultimo intervento normativo, non soltanto
del cammino verso il favor veritatis, ma lo stesso fondamento
del diritto successorio del figlio non riconoscibile. Il quale deve
legarsi alla responsabilità della procreazione, quando, però,
non risulta che, nell’ordinamento giuridico, questa responsabilità sia già posta a carico di altri.
Più ragionevolmente, ove il figlio intenda acquisire i diritti successorı̂ verso i proprı̂ genitori naturali, dovrà prima contestare
la legittimità della filiazione e, una volta venuta meno quella,
agire per far accertare la filiazione naturale o, in difetto dell’accertamento, chiedere di accedere ai diritti successorı̂ dei figli
non riconoscibili.
Ragionare diversamente, peraltro, significa consentire a colui
che risulta essere figlio legittimo di taluni genitori di accedere
ai diritti successorı̂ verso i proprı̂ genitori legittimarı̂ che verso
il genitore naturale. Sarebbe come a dire che quel figlio, succede, in qualità di figlio, potenzialmente, rispetto a due padri e
due madri(146). Il che, per quanto nessuno dubita della situazione di svantaggio nella quale si trova il figlio naturale non
riconoscibile, pare una concessione eccessiva, che urta contro
il sistema stesso della filiazione.
Poco o punto, mutano o muterebbero i problemi sulla disciplina della successione del figlio non riconoscibile di cui all’art.
594 c.c.
Rimane che si tratta di un diritto successorio che, per certi
versi, assimila il figlio naturale non riconoscibile a un vero e
proprio legittimario. Diventa, però, difficilmente spiegabile la
ragione per la quale debba continuare a rimanere in vigore la
disciplina sancita nell’ultima proposizione linguistica della richiamata norma. La quale finisce con il trattare, qualunque
disposizione che il genitore naturale faccia a favore del figlio
non riconoscibile, alla stregua di una disposizione in sostituzione di legittima. Nel senso che il figlio ha una alternativa: o
accettare quella disposizione e non pretendere altro; ovvero
rinunziare alla disposizione e chiedere l’assegno.
Sul punto credo che il disegno di legge in commento, con qualche piccola forzatura, potrebbe consentire di modificare questa
disciplina, mediante l’abrogazione di questa proposizione. La
cui eliminazione porterebbe un significativo miglioramento al
figlio non riconoscibile, il quale potrebbe conservare e imputare a quanto gli spetti, ciò che abbia, già, ricevuto dal genitore
per donazione o testamento.
Questa modificazione, peraltro, mi parrebbe assai opportuna,
se solo si considera che essa consentirebbe, in coerenza con
uno dei fondamentali canoni ermeneutici del testamento, di
conservare e attuare, quanto più sia possibile, la volontà del
testatore.
Volontà unica e irripetibile, che poco senso ha di sciupare in un
caso, come questo.
Tale risultato, il quale guadagnerebbe al sistema, il maggior
rispetto della volontà testamentaria e una semplificazione del
rapporto successorio, potrebbe facilmente realizzarsi, abrogando l’ultima proposizione dell’art. 594 c.c. e precisando che il
figlio non riconoscibile abbia, sempre che si voglia conservare
la logica sottesa nella disposizione di legge in commento, l’obbligo di imputare alla propria quota, consistente nell’assegno
vitalizio, quanto abbia ricevuto dal genitore per testamento o
per donazione.
O, in ipotesi, in cui, ragionevolmente, non si voglia costringere
il diritto del figlio naturale in questa giugulatoria logica, forse
non più compatibile con il mutato assetto dei tempi e con
l’impianto giuridico-concettuale che il disegno di legge mira
a istituire, limitarsi, semplicemente a eliminare l’obbligo del
figlio di imputare ciò che abbia ricevuto per donazione o per
testamento e, per conseguenza, la subordinazione del diritto
del figlio a che il genitore non abbia disposto in suo favore.
(146) Convincono, ancora di più, le osservazioni di L. MENGONI, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., 129,
«comunque si interpreti l’art. 253 nell’ambito del diritto di famiglia, questa
conseguenza è respinta dal sistema del diritto successorio, dal quale è
sicuramente ricavabile un principio che vieta a chi ha lo stato di figlio
legittimo di ‘‘giovarsi contemporaneamente, sia pure ai soli fini patrimoniali, di una duplice condizione: della filiazione naturale e di quella legittima’’».
Ne deriva che il cammino da percorrere,
nell’ambito del diritto successorio, ove pure il
disegno di legge venisse approvato, non sarebbe
ultimato e attenderebbe qualche ulteriore,
necessario, compimento sulla legge delegata.
L’ultimo atto del processo riformatore non
completa, in ogni caso, il processo di parificazione.
Non sussiste più la differenza tra i figli, quando
siano legittimi o naturali, ma costoro sono diversi
dai figli non riconoscibili.
Marginale distinzione, che, se nulla toglie al merito del disegno
di legge, specchia, inevitabilmente, il nostro tempo, nel quale è,
ancora viva, la frantumazione dell’io. Per quanto l’individuo
tenda a fissarsi in una forma individuale coerente e unitaria,
essa è soltanto una mera illusione, che scaturisce dal sentimento soggettivo che ha del mondo; perché egli continua a essere
diverso a seconda di chi lo guarda. Soprattutto quando colui
che lo guarda, ha spesso una pluralità di lenti, preconcetti giuridici e precomprensioni fatte di fedi religiose.
Fin tanto che il processo di frantumazione dell’io, che, consapevolmente o no, continua a dominare il nostro modo di pensare, il modo di pensare del legislatore, non ci si può attendere
altro, dalla legge, che essa consideri ogni soggetto dell’attività
giuridica, moltiplicando statuti disciplinarı̂, sempre più complessi, uno, nessuno e centomila.
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Famiglia, Persone e Successioni 10
667
ottobre 2012