Atti Congresso

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Atti Congresso
CONGRESSO NAZIONALE
DELLE FONDAZIONI
E DELLE CASSE DI
BANCARIE
RISPARMIO
ATTI
Firenze, 12/13 Giugno 2003
Palazzo dei Congressi - Piazza Adua, 1
Congresso Nazionale
Sommario
AVVERTENZE
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PRESENTAZIONE
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PROGRAMMA DEI LAVORI
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REGOLAMENTO DEL CONGRESSO
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CARICHE CONGRESSUALI, COMMISSIONI
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CERIMONIA INAUGURALE
Leonardo Dominici, Sindaco di Firenze e Presidente dell’Associazione Nazionale dei Comuni italiani
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Marco Montemagni, Assessore bilancio, finanze, credito e programmazione della Regione Toscana
Grazia Sestini, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali
Alberto Carmi, Presidente dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze SpA
Aureliano Benedetti, Presidente della Cassa di Risparmio di Firenze SpA
Maurizio Sella, Presidente dell’ABI
Carlo Pisanti, Capo del Servizio Vigilanza sull’Inter-mediazione Finanziaria della Banca d’Italia
Josè Antonio Olavarrieta Arcos, Vicepresidente del World Savings Banks Institute
Luc Tayart De Borms, Direttore Generale King Badouin Foundation
Onorato Castellino, Presidente della Compagnia di San Paolo
Edoardo Patriarca, Portavoce del Forum Permanente del Terzo Settore
Ilaria Borletti, Presidente del Summit della Solidarietà
Giorgio Vittadini, Presidente della Compagnia delle Opere
Giuseppe Guzzetti, Presidente
SESSIONE DEDICATA ALLE FONDAZIONI
Prof. Avv. Mario Nuzzo, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo
Giuseppe Guarino, Costituzionalista
Emmanuele Emanuele, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma
Franco Bassanini, Membro della 1ª Commissione permanente (Affari costituzionali) del Senato della Repubblica
Luigi Grillo, Presidente della 8ª Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni)
del Senato della Repubblica
Roberto Pinza, Membro della VI Commissione permanente (Finanze) della Camera dei Deputati
Bruno Tabacci, Presidente della X Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni)
del Senato della Repubblica
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Congresso Nazionale
Sommario
Luca Volontè, Presidente del gruppo parlamentare UDC alla Camera dei deputati
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SESSIONE DEDICATA ALLE CASSE DI RISPARMIO
Aureliano Benedetti, Presidente della Cassa di Risparmio di Firenze SpA
Antonio Patuelli, Presidente della Cassa di Risparmio di Ravenna SpA
Giuseppe De Rita, Segretario Generale della Fondazione Censis
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DIBATTITO E INTERVENTI
Tancredi Bianchi, Presidente Associazione Banche Private
Camillo Venesio, Presidente del Comitato Piccole Banche dell’ABI
Antonio Miglio, Presidente del Comitato Casse e Fondazioni dell’Acri
Edoardo Speranza, Vice Presidente Ente Cassa di Risparmio di Firenze
Alfredo Santini, Presidente della Cassa di Risparmio di Ferrara SpA
Gianfranco Imperatori, Segretario Generale Associazione Civita
Luciano Silingardi, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Parma
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FONDAZIONI BANCARIE
DELLE CASSE DI RISPARMIO
DELLE
E
PRESENTAZIONE
SESSIONE CONCLUSIVA
La mozione finale
Intervento di chiusura di Giuseppe Guzzetti
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ELENCO DEI PARTECIPANTI
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CONGRESSO NAZIONALE
Congresso Nazionale
Avvertenze
Gli Atti contengono i testi ufficialmente trascritti e controllati delle relazioni e degli interventi
svolti a Firenze in occasione del 19° Congresso Nazionale delle Fondazioni bancarie e delle
Casse di Risparmio.
Per snellezza di consultazione sono stati eliminati tutti i passi di puro raccordo tra i vari interventi, l’indicazione delle interruzioni per applausi e le comunicazioni meramente informative.
Negli elenchi, poi, i nominativi dei Congressisti sono stati riportati senza distinguere la qualità di “delegato con diritto di voto” da quelle di “delegato senza diritto di voto” e di “invitato”, in quanto è sembrato inutile continuare a mantenere anche in questa sede quella che è
stata un’esigenza organizzativa nella formazione delle Delegazione.
Le cariche dei Congressisti e le denominazioni sociali dei vari Istituti sono quelle esistenti al
momento del Congresso.
Congresso Nazionale
Presentazione
Il 19° Congresso Nazionale delle Fondazioni Bancarie e delle Casse di Risparmio è un appuntamento che ogni tre anni si propone di fare il punto su ruolo, attività e prospettive di queste due
importanti realtà del sistema sociale ed economico italiano, al centro della riforma creditizia varata all’inizio degli anni novanta.
Quest’edizione del Congresso si colloca in una fase cruciale dell’evoluzione normativa che ha ridisegnato il settore e affronta un tema di vasto interesse per la collettività: quello del rapporto con il
territorio, al cui sviluppo possono massimamente contribuire banche private fortemente radicate a
livello locale e Fondazioni autonome dotate di regole e statuti europei.
Le Fondazioni guardano ad un assetto giuridico stabile che confermi quello di soggetti privati nella
forma e nell’essenza, quali la storia e la stessa normativa che nel tempo le hanno definite.
Le Casse di Risparmio proseguono nel percorso di integrazione e rafforzamento nell’ambito di una
struttura bancaria efficiente e capace di dare sul territorio risposte adeguate alle crescenti richieste
di consulenza e di servizi mirati.
Il Congresso organizzato dall’ACRI offrirà testimonianze e interventi su questi temi, con un dibattito ricco ed articolato.
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CONGRESSO NAZIONALE
FONDAZIONI BANCARIE
DELLE CASSE DI RISPARMIO
DELLE
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PROGRAMMA DEI LAVORI
Congresso Nazionale
Programma dei lavori
19° CONGRESSO NAZIONALE DELLE FONDAZIONI BANCARIE
E DELLE CASSE DI RISPARMIO
Banche private e Fondazioni europee: autonomia e creazione di valore per le comunità locali
Firenze, 12 e 13 giugno 2003 - Palazzo dei Congressi - Piazza Adua, 1
Giovedì 12 Giugno
Ore 10,30 Cerimonia inaugurale
Saluto di benvenuto da parte delle Autorità
Saluto del Presidente dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze
ALBERTO CARMI
Saluto del Presidente della Cassa di Risparmio di Firenze SpA
AURELIANO BENEDETTI
Saluto del Presidente dell’ABI
MAURIZIO SELLA
Saluto del Capo del Servizio Vigilanza sull’Intermediazione Finanziaria della Banca d’Italia
CARLO PISANTI
Intervento del Vicepresidente del World Savings Banks Institute
JOSÉ ANTONIO OLAVARRIETA ARCOS
Intervento del Direttore Generale della King Baudouin Foundation
LUC TAYART DE BORMS
Intervento del Presidente della Compagnia di San Paolo
ONORATO CASTELLINO
Saluto del Portavoce del Forum Permanente del Terzo Settore
EDOARDO PATRIARCA
Saluto del Presidente del Summit della Solidarietà
ILARIA BORLETTI
Saluto del Presidente della Compagnia delle Opere
GIORGIO VITTADINI
Dichiarazione ufficiale di apertura del 19° Congresso da parte del Presidente dell’ACRI
GIUSEPPE GUZZETTI
Elezione e insediamento dell’Ufficio di Presidenza del Congresso e della Commissione
per le mozioni
Relazione introduttiva del Presidente
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Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Programma dei lavori
Programma dei lavori
Ore 13,30 Colazione di lavoro presso il Palazzo dei Congressi
Ore 14,30 Sessione dedicata alle Fondazioni
Relazione del Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo
MARIO NUZZO
La riforma del Titolo II del Libro I del Codice Civile: un’occasione per il rafforzamento del
ruolo autonomo delle Fondazioni bancarie?
Relazione del Costituzionalista
GIUSEPPE GUARINO
Autonomia e sussidiarietà delle Fondazioni: una rilettura alla luce dell’evoluzione della
Costituzione italiana
Relazione del Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma
EMMANUELE FRANCESCO MARIA EMANUELE
L’evoluzione dei poteri dell’Autorità di vigilanza
Venerdì 13 Giugno
Ore 9,00
Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
Relazione del Presidente della Cassa di Risparmio di Firenze SpA
AURELIANO BENEDETTI
Il positivo ruolo delle Casse di Risparmio nell’evoluzione dell’economia italiana
Relazione del Presidente della Cassa di Risparmio di Ravenna SpA
ANTONIO PATUELLI
Autonomia, libertà e responsabilità di scelta della forma societaria da parte delle imprese
bancarie
Relazione del Segretario Generale della Fondazione Censis
GIUSEPPE DE RITA
Autonomia, Casse di Risparmio e Fondazioni: un ruolo fondamentale per il territorio
Ore 10,00 Dibattito e interventi
Ore 15,30 Dibattito e interventi
FRANCO BASSANINI
Membro della 1ª Commissione permanente (Affari costituzionali) del Senato della
Repubblica
LUIGI GRILLO
Presidente della 8ª Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni) del Senato della Repubblica
ROBERTO PINZA
Membro della VI Commissione permanente (Finanze) della Camera dei Deputati
BRUNO TABACCI
Presidente della X Commissione permanente (Attività produttive, commercio e turismo)
della Camera dei Deputati
TANCREDI BIANCHI
Presidente di Assbank
CAMILLO VENESIO
Presidente del Comitato Piccole Banche dell’ABI
ANTONIO MIGLIO
Presidente del Comitato Casse e Fondazioni dell’ACRI
Ore 11,30 Sessione conclusiva
Presentazione delle mozioni e dibattito
Votazioni
Intervento di chiusura del Presidente dell’ACRI
GIUSEPPE GUZZETTI
LUCA VOLONTÉ
Presidente del gruppo parlamentare UDC alla Camera dei Deputati
Ore 13,30 Pranzo di saluto presso la Scuola Marescialli e Brigadieri dei Carabinieri
Ore 17,30 Sospensione dei lavori e rientro negli alberghi
Ore 19,00 Serata di gala con concerto a Palazzo Vecchio e cena ufficiale di benvenuto a Palazzo Pitti
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Congresso Nazionale
Regolamento
REGOLAMENTO DEL 19° CONGRESSO NAZIONALE
DELLE FONDAZIONI BANCARIE E DELLE CASSE DI RISPARMIO
Firenze, 12-13 giugno 2003
Art. 1 Il XIX Congresso Nazionale delle Fondazioni bancarie e delle Casse di Risparmio avrà luogo
a Firenze il 12 e 13 giugno 2003 per discutere, ai sensi dell’art. 7 dello Statuto dell’Associazione fra le
Casse di Risparmio Italiane, problemi di comune interesse degli Associati.
Art. 2 Sono membri del Congresso i Soci ordinari e aggregati dell’ACRI. Ai sensi dell’art. 7, terzo
comma, dello Statuto dell’Associazione, ogni Associato parteciperà con il proprio rappresentante legale che avrà diritto al voto nel Congresso. È ammessa la delega del rappresentante legale ad altro Amministratore o ad un membro della Direzione Generale dello stesso Associato.
Oltre al rappresentante di ogni Associato potranno partecipare al Congresso altri delegati, designati tra
gli Amministratori ed i dipendenti dell’Associato stesso, nel numero massimo stabilito dal Consiglio
dell’ACRI, i quali prenderanno parte ai lavori del Congresso senza diritto di voto.
Nessun membro del Congresso potrà rappresentare con diritto di voto oltre la propria Società od Ente,
più di due Associati.
Art. 3 Le cariche del Congresso sono le seguenti: il Presidente, due o più Vice Presidenti, il Segretario.
Presidente del Congresso è il Presidente dell’Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane. I Vice Presidenti saranno nominati dal Congresso.
Il Presidente ed i Vice Presidenti compongono l’Ufficio di Presidenza, cui sono demandate tutte le decisioni di carattere procedurale, salvo quanto espressamente stabilito dal presente Regolamento. Il Presidente o uno dei Vice Presidenti da questi incaricato presiederà i lavori.
Ai sensi dell’art. 23 dello Statuto dell’ACRI, Segretario del Congresso è il Direttore Generale dell’Associazione.
Art. 4 Prima dell’inizio dei lavori sarà insediata presso la sede del Congresso una Commissione Verifica Poteri, composta da tre membri individuati dalla Direzione Generale dell’ACRI, per il controllo e
l’ammissione dei partecipanti ai lavori ed alle votazioni.
Art. 5 I partecipanti al Congresso potranno proporre, singolarmente o in gruppo, mozioni ed ordini del giorno scritti su materie inerenti ai temi del Congresso o, su autorizzazione del Presidente, comunicazioni su altri argomenti.
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Congresso Nazionale
Regolamento
Le mozioni e gli ordini del giorno saranno posti in votazione secondo l’ordine stabilito dal Presidente.
Salvo diversa decisione del Presidente, le singole mozioni e ordini del giorno potranno essere illustrati
da un solo proponente per non più di quindici minuti.
Iniziata la votazione, non sarà più concessa la parola fino alla proclamazione del risultato del voto.
Art. 6 Per le decisioni sulle mozioni e sugli ordini del giorno si procederà a due distinte votazioni:
una sulla base di un voto per ogni singolo Associato presente o rappresentato e l’altra sulla base dei contributi associativi di competenza per l’esercizio in corso alla data di svolgimento del Congresso (un voto
per ogni mille o frazione superiore a cinquecento euro): Per l’approvazione è necessario raggiungere la
maggioranza dei presenti al Congresso in entrambe le votazioni.
Le votazioni, ad insindacabile giudizio dell’Ufficio di Presidenza, potranno essere effettuate o per appello nominale, o per alzata di mano (con controprova), o per acclamazione.
Il risultato delle votazioni è proclamato dal Presidente.
Art. 7
FONDAZIONI BANCARIE
DELLE CASSE DI RISPARMIO
DELLE
E
Sarà tenuto il processo verbale delle sedute a cura del Segretario del Congresso.
Art. 8 Ai lavori potranno assistere altri invitati ai quali l’Ufficio di Presidenza potrà consentire l’intervento nel dibattito. Ai lavori potranno altresì assistere i rappresentanti dei mezzi di informazione
accreditati presso il Congresso.
Art. 9 L’Ufficio di Presidenza del Congresso deciderà inappellabilmente su questioni non previste dal
presente Regolamento.
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CONGRESSO NAZIONALE
CARICHE CONGRESSUALI
COMMISSIONI
Congresso Nazionale
Cariche congressuali / Commissioni
UFFICIO DI PRESIDENZA
Avv. Giuseppe GUZZETTI,
Presidente
Dr. Aureliano BENEDETTI
Vice Presidente
Cav. Lav. Alberto CARMI
Vice Presidente
Prof. Emmanuele Francesco Maria EMANUELE
Vice Presidente
Avv. Giuseppe MUSSARI
Vice Presidente
Dr. Antonio PATUELLI
Vice Presidente
SEGRETARIO
Cav. Lav. Alberto CARMI
Presidente Ente Cassa di Risparmio di Firenze
Prof. Emmanuele Francesco Maria EMANUELE
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Roma
Avv. Giuseppe MUSSARI
Presidente Fondazione Monte dei Paschi di Siena
Dr. Antonio PATUELLI
Presidente Cassa di Risparmio di Ravenna S.p.A.
Dr. Sandro MOLINARI
Presidente onorario
Dr. Sandro ANGELUCCI
V. Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di
Bolzano
Dr. Silvano Antonini CANTERIN
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di
Udine e Pordenone
Dr. Stefano MARCHETTINI
Avv. Antonello ARRU
Presidente Fondazione Banco di Sardegna
COMMISSIONE PER LE MOZIONI
Dr. Aureliano BENEDETTI
Presidente Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A.
Presidente
Dr. Luciano SILINGARDI
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di
Parma e M.C.P. di Busseto
Prof. Giuseppe BRUNI
V. Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di
Verona Vicenza Belluno e Ancona
Avv. Giuseppe GUZZETTI
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio delle
Provincie Lombarde
Dr. Massimo BUGATTI
Componente Comitato di Indirizzo Fondazione
Cassa di Risparmio di Perugia
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Congresso Nazionale
Cariche congressuali / Commissioni
Avv. Giovanni Giorgio CATTANI
V. Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di
Lucca
Arch. Mario DI NISIO
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio della
Provincia di Chieti
Avv. Pier Giuseppe DOLCINI
Presidente Fondazione Cassa dei Risparmi di
Forlì
Dr. Giovanni Maria GALIMBERTI
V. Presidente Fondazione B.M. di Lombardia
Prof. Giuseppe GHISOLFI
Presidente Cassa di Risparmio di Fossano S.p.A.
Prof. Adriano GIANNOLA
Presidente Istituto Banco di Napoli Fondazione
Prof. Vincenzo LORENZELLI
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di
Genova e Imperia
Prof. Avv. Mario NUZZO
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio della
Provincia di Teramo
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Dr. Giacomo ODDERO
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo
Dr. Gianfranco PITTATORE
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di
Alessandria
Comm. P.I. Orazio ROSSI
Presidente Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo S.p.A.
Prof. Fabio Alberto ROVERSI MONACO
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio in
Bologna
Avv. Gianfranco SABBATINI
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di
Pesaro
Dr. Alfredo SANTINI
Presidente Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A.
Dr. Riccardo TRIGLIA
Vice Presidente Fondazione Cassa di Risparmio
di Torino
Dr. Valentino VALENTINI
Presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
CONGRESSO NAZIONALE
FONDAZIONI BANCARIE
DELLE CASSE DI RISPARMIO
DELLE
E
CERIMONIA
INAUGURALE
Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
Leonardo Domenici,
Sindaco di Firenze e Presidente dell’Associazione Nazionale dei Comuni italiani
Buongiorno a tutti e benvenuti a Firenze. Siamo particolarmente lieti di ospitare, nella
nostra città, il Congresso Nazionale delle Fondazioni bancarie e delle Casse di Risparmio.
Sono veramente lieto di portare questo saluto in una duplice veste, quella di Sindaco
della città e quella di Presidente dell’Associazione Nazionale dei Comuni italiani.
Questo mi consente di dire che un appuntamento come questo è molto importante e,
vorrei dire, atteso dal sistema delle autonomie locali e, in particolare, dai Comuni italiani.
So bene che questo Congresso Nazionale si svolge in un momento particolarmente
delicato in cui, fra l’altro, si è in attesa di importanti pronunciamenti, a cominciare da
quello della Corte Costituzionale.
Ma non è su questo che voglio soffermarmi. Vorrei invece sottolineare un punto che
ritengo estremamente importante e qualificante, quello cioè della necessaria collaborazione e cooperazione fra gli enti locali e il sistema delle Fondazioni bancarie e, naturalmente, delle Casse di Risparmio, ma in primo luogo delle Fondazioni bancarie per
l’intervento sul territorio e per la finalizzazione degli investimenti e delle erogazioni.
Lo vorrei dire con molta chiarezza. L’interesse e l’obiettivo delle autonomie locali e, in
particolare, dei Comuni non è assolutamente quello di aumentare la presenza al fine
di avere un maggior numero di poltrone da attribuire sulla base di logiche lottizzatorie. Non è questo il punto. Il punto è piuttosto quello di stabilire fra noi un rapporto
forte, sinergico, di tipo concertativo, che ci consenta di rendere il più efficace possibile il rapporto diretto che hanno gli enti locali con la dimensione territoriale locale e
con le Fondazioni, vale a dire con la loro attività svolta a fini sociali, culturali e civili.
Un rapporto implica un dialogo forte e un confronto diretto, ripeto, di tipo concertativo con gli enti locali e con le Fondazioni viste come soggetti, come investitori di
medio e di lungo periodo. Investimenti effettivamente legati ai bisogni e alle necessità del territorio.
Torno per un momento a fare il Sindaco di Firenze. In questa nostra città, dopo tanti
anni di discussioni, abbiamo avviato un importante e faticoso processo di trasformazione e di riqualificazione urbana. I cantieri aperti sono molti, altri se ne apriranno.
Ritengo molto importante, dato che tutte le nostre città hanno bisogno di interventi
strutturali e infrastrutturali particolarmente rilevanti, tenere conto di quello che deve
essere il rapporto di collaborazione e di cooperazione fra di noi, per reperire risorse e
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Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
per finalizzare, nel modo più efficace, gli investimenti sul territorio.
Voglio anche sottolineare - e qui faccio di nuovo riferimento invece alla dimensione
globale, universale dei Comuni italiani - come in un momento di difficoltà, di stagnazione, di rallentamento dell’economia, gli investimenti, che prima di tutti i Comuni italiani stanno effettuando, abbiano una importante funzione di stimolo all’attività
economica e produttiva, una importante funzione anti-ciclica. E proprio per questo
credo che vadano sostenuti.
Io non ho certamente niente in contrario, se penso alle grandi opere infrastrutturali
che sono state programmate dal Governo a livello nazionale. Ma penso, forse, che
prima di finalizzare gli interventi per le grandi opere, sulle quali non esprimo un giudizio di merito, ma che sicuramente sono comunque lontane da noi nel tempo, sarebbe forse più utile intervenire su quegli interventi concreti, immediati, diretti, che
primi fra tutti, come investimenti pubblici, sono i Comuni italiani ad assicurare sul
territorio.
Ecco, è in questo senso quindi che io volevo portare questo mio saluto, sottolineando
l’importanza che fra le Fondazioni bancarie, il sistema delle Casse di Risparmio e il
sistema degli enti locali e, in primo luogo, dei Comuni riesca a funzionare. Sono convinto che questo è possibile: un sistema di concertazione, di collaborazione e di cooperazione, che abbia come fine quello di offrire i migliori servizi ai cittadini, quello di
sostenere le attività più qualificate nella società civile e quello anche di dotare le nostre
città, le nostre aree urbane di sistemi infrastrutturali, che possano renderci più competitivi, anche su scala europea e internazionale. Vi ringrazio e vi auguro buon lavoro.
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Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
Marco Montemagni,
Assessore bilancio, finanze, credito e programmazione della Regione Toscana
Buongiorno a tutti. È con grande piacere che porto ai presenti il benvenuto e il saluto della Regione Toscana, del Presidente Claudio Martini e mio personale.
Questo 19° Congresso Nazionale dell’ACRI, delle Fondazioni bancarie e delle Casse
di Risparmio, assume oggi, per più motivi, una importanza e un interesse particolare.
Innanzitutto per la rilevanza delle tematiche al centro della vostra assise, temi ai quali
la Regione Toscana dedica una forte attenzione, con particolare riferimento al credito
e al ruolo che il sistema bancario ha nel sostegno allo sviluppo economico del territorio, come già prima di me ha sottolineato il sindaco Leonardo Domenici. E proprio
in questo ruolo voglio sottolineare specificamente quello del sistema delle Casse di
Risparmio, per il loro radicamento e la loro spiccata vocazione nei confronti dell’imprenditoria locale. Numerose sono le scelte politiche compiute dalla Regione Toscana,
volte a stabilire un rapporto articolato e proficuo con il sistema bancario. Voglio ricordare che la Toscana è stata la prima regione ad avere adottato una propria legge di tesoreria, sulla base della quale la Regione ha costruito e stabilizzato un rapporto intenso
con il sistema bancario maggiormente presente in Toscana, che va al di là del semplice, pur importante servizio di tesoreria, prevedendo il coinvolgimento delle stesse banche nella definizione e nel supporto delle politiche di interesse economico regionale.
Voglio anche sottolineare come Fidi Toscana SpA rappresenti uno strumento finanziario originale, in grado di svolgere, per la sua compagine sociale, aperta alle istituzioni pubbliche e alle banche, e per la sua attività in campo creditizio, una funzione
importante e significativa di naturale raccordo e collaborazione tra regioni e sistema
bancario. E vorrei anche richiamare il protocollo d’intesa, che formalizza i rapporti tra
regione e sistema bancario maggiormente operativo in Toscana, sottoscritto nel
novembre del ’99, ed è stato recentemente adeguato alle nuove esigenze espresse dal
sistema toscano in materia di credito e di finanza.
Queste esperienze toscane sono state pienamente condivise dalla Cassa di Risparmio
di Firenze, con la quale ci lega, ormai, un trentennio di comune impegno verso l’economia regionale e, complessivamente, dal sistema delle Casse di Risparmio della
Toscana.
Il ruolo delle istituzioni territoriali, nella promozione dello sviluppo economico e
sociale, risulta oggi rafforzato, con particolare riferimento alle Regioni, sulla base del
nuovo sistema di competenze, delineato dalla riforma costituzionale del Titolo quinto. Faccio riferimento in particolare all’articolo 117 in materia bancaria, Casse di
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Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
Risparmio, Casse Rurali, Aziende di Credito a carattere regionale, che apre nuovi scenari nel rapporto Regione e sistema bancario regionale, e attribuisce nuovi e ampi
poteri di intervento normativo regionale, nel settore degli enti creditizi locali, del credito in generale e dell’ordinamento bancario in particolare.
Su questi temi è auspicabile l’apporto culturale e di idee di tutti i soggetti interessati.
La nuova competenza legislativa regionale costituisce un campo di intervento di grande importanza, pur se concorrente e assolutamente innovativo.
Questa riforma contribuisce ulteriormente ad avvicinare le regioni a statuto ordinario
a quelle a statuto speciale. Questa potestà legislativa regionale potrà incidere in modo
rilevante sull’assetto e sul regime del settore bancario. Essa impegnerà le regioni sia
nella definizione dell’ambito di intervento normativo, sia nei profili sostanziali delle
politiche regionali nel settore.
Consentitemi, infine, alcune considerazioni in tema di Fondazioni bancarie, che in
Toscana sono molto presenti, sono ben 11, e tra esse voglio segnalare la Fondazione
Monte dei Paschi di Siena e la Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze che, per consistenza patrimoniale, si collocano tra le prime 10 Fondazioni Italiane.
Come è noto, la disciplina delle Fondazioni bancarie ha avuto, nel famoso articolo 11
della legge finanziaria 2002 e nel relativo decreto attuativo, un momento di profonda
modifica a cui è immediatamente seguita la riforma del Titolo quinto della Costituzione, riforma che nel redistribuire la potestà legislativa tra Stato e Regioni ha inciso
anche su materie di intervento tipiche della operatività delle Fondazioni bancarie e
coincidente con buona parte dei fini istituzionali dell’ente regione, arte e cultura,
ambiente, volontariato, salute, assistenza, protezione civile, per non parlare appunto
dello sviluppo economico.
Peraltro, come sappiamo, la situazione non è affatto definita, come sottolineava prima
Leonardo Domenici, perché dopo l’intervento della legge finanziaria 2002 e il conseguente regolamento di attuazione è insorto un contenzioso, non solo tra le Fondazioni bancarie e lo Stato, ma anche tra le regioni e lo Stato. La Regione Toscana, così
come altre regioni, ha impugnato l’articolo 11 della finanziaria, ritenendolo lesivo
della sua competenza normativa in materia.
Tuttavia, pur in questo quadro di incertezza, si possono fin da ora individuare alcuni
punti che ritengo fermi. Primo: a seguito della riforma del Titolo quinto della Costituzione, gran parte dei settori di intervento delle Fondazioni ricadono nelle materie di
potestà legislativa regionale, sia concorrente che esclusiva; secondo: la legge finanziaria 2002 ha introdotto il principio della rappresentanza negli organi delle Fondazioni
degli enti territoriali, e tra questi delle Regioni, e sono pienamente d’accordo con le
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Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
valutazioni e le sottolineature che faceva in proposito il Sindaco di Firenze; terzo: a
seguito delle novità normative, si svilupperà, nei prossimi mesi, un percorso, è già in
corso, di riforma degli statuti delle Fondazioni bancarie.
Alla luce di tutto ciò, riteniamo utile il rafforzamento di un rapporto istituzionale tra
Regione e Fondazioni bancarie in Toscana già avviato dal Presidente Martini e dalla
sua Giunta. E questo al fine di approfondire la riflessione e il confronto anche sotto il
profilo delle informazioni, che conduca ad una maggiore sinergia nella definizione dei
rispettivi e autonomi interventi, tale da renderli sempre più efficaci. Riteniamo che
una maggiore integrazione tra gli interventi vada intesa su vari piani, sia tra i vari soggetti istituzionali che intervengono nei settori, Fondazioni, Regioni ed enti locali, sia
tra le stesse Fondazioni, le quali potrebbero trovare, nel raccordo a livello regionale, un
momento di significativo confronto, al fine di meglio orientare e calibrare le singole e
autonome decisioni di intervento.
Il documento di programmazione economica e finanziaria della Regione Toscana per
l’anno 2004, da poco approvato dalla Giunta regionale, afferma proprio questi principi. Ed è sulla base di essi che potremo valutare insieme ipotesi di interventi normativi regionali, che nel pieno rispetto, e lo ribadisco della autonomia delle Fondazioni
bancarie, siano in grado di realizzare forme e strumenti di raccordo, prevedendo un
sistema condiviso di scelte operative. Uno spaccato particolare in cui la Regione intravede prospettive interessanti per una diversa e ulteriore presenza delle Fondazioni bancarie nel territorio riguarda proprio il settore economico. Voglio sottolineare un dato,
nel corso del 2002 la spesa delle Fondazioni bancarie toscane nel settore dello sviluppo economico è stata di oltre 44 milioni di euro, pari al 22,8% del totale degli interventi effettuati dalle Fondazioni in Toscana nei vari settori.
Questo forte interesse delle Fondazioni ad iniziative mirate al sostegno economico,
potrebbe far valutare alle stesse una loro partecipazione, per esempio, al nuovo “fondo
mobiliare chiuso”, a cui sta lavorando la Regione, uno strumento importante, già attivato con successo alcuni anni or sono, volto a sostenere l’adeguamento dimensionale
delle imprese toscane.
Oggi il “fondo mobiliare chiuso” assume la nuova funzione strategica di contribuire a
fronteggiare l’impatto che avrà Basilea 2 sul sistema produttivo toscano, in rapporto
alle caratteristiche dimensionali e patrimoniali delle piccole e medie imprese.
Ho citato questa ipotesi come una delle possibili sinergie che si possono sviluppare tra
gli interventi delle Fondazioni Bancarie e quelli della Regione, ulteriori forme di collaborazione e spazi di convergenza sono certamente possibili.
Il nuovo programma regionale di sviluppo della Toscana, 2003-2005, recentemente
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Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
Cerimonia inaugurale
adottato dal Consiglio Regionale, sta in questo percorso: sapere innovare e sapere
immettere dinamismo nel sistema regionale, senza rinunciare, anzi rafforzandolo, il
modello di coesione sociale e di miglioramento della qualità della vita, tipici della
Toscana.
Il tema di questo Congresso ben si coniuga con questa impostazione. Ritengo che
dobbiamo lavorare insieme, Regioni, enti locali, Fondazioni e sistema bancario, nel
rispetto delle reciproche autonomie, per lo sviluppo economico e sociale, per la qualità della vita delle nostre comunità. Anche per questo formulo a voi tutti i migliori
auguri di buon lavoro. Grazie.
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Grazia Sestini,
Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali
Buongiorno. Permettetemi di abbandonare per un attimo la veste del Governo per
dare il benvenuto in Toscana alle Fondazioni bancarie che, in questa terra, come è già
stato ricordato, sono particolarmente numerose e particolarmente vivaci e nel contempo segno di una capacità aggregativa di attenzione ai problemi sociali e ai problemi imprenditoriali, di cui, lasciatemelo dire, noi toscani andiamo, giustamente, orgogliosi. Da noi, come in poche parti del mondo, i valori della solidarietà, i valori dell’associazionismo si sono, fin dalle loro origini, coniugati ai valori della capacità di
impresa e ai valori della capacità di fare e di produrre sviluppo e ricchezza. E quindi il
fatto che l’ACRI abbia scelto la nostra regione per il suo Congresso, ci rende particolarmente felici, ed è come se avesse dato un sigillo a secoli della nostra storia.
Sono lieta di partecipare al Congresso anche per un rapporto di leale e franca collaborazione che in questi due anni si è stabilito con l’ACRI, su tutti temi che riguardano i loro campi di intervento rivolti soprattutto all’area sociale.
D’altronde non sfugge a nessuno che lo sviluppo delle Fondazioni nel nostro Paese ha
avuto un impulso decisivo che ha coinciso con il grande sviluppo del mondo non profit.
Se andiamo a vedere i dati degli ultimi dieci anni, ci accorgiamo che contemporaneamente al sorgere delle Fondazioni, è sorto e si è sviluppato questo vastissimo mondo,
che la ricerca dell’Istat del 2001 sui dati del ’99, ci dice ammontare a oltre 220 mila
imprese che danno lavoro a 620 mila persone; quindi una grande realtà appunto
imprenditoriale e lavorativa.
È nato insieme, e lo dico, il Presidente Guzzetti lo sa che l’ho affermato anche in tempi
non sospetti, questo connubio di sviluppo deve andare avanti esattamente così. Le
Fondazioni bancarie appartengono a questa capacità aggregativa e imprenditoriale del
nostro popolo, che coniuga impresa e sociale, e tale deve rimanere.
Questo lo dico in un momento difficile di rapporti, lo riconosco, tra le Fondazioni e
il Governo, deciderà chi deve decidere. Per parte mia continuo e credo molti di noi
continuano a guardare a voi esattamente come a dei partner insostituibili per tutte
quelle azioni. Ma abbiamo sentito che anche gli enti locali e le Regioni vi guardano
così per tutte quelle attività su cui insieme siamo impegnati.
E il nuovo assetto istituzionale del Paese non può che corroborare una strategia di questo tipo. Sono gli interlocutori che aumentano, ma lo spirito rimane esattamente lo
stesso.
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Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
Cerimonia inaugurale
Se, giustamente, l’Assessore regionale e il Sindaco hanno puntato al rapporto privilegiato tra le Fondazioni e i territori in cui sono inseriti, è giusto, perché da quel popolo sono nati, dalla capacità aggregativa di città e paesi. D’altra parte, i campi di intervento delle vostre Fondazioni sono per il 95% legati alle regioni e ai territori di appartenenza.
Ma abbiamo fatto anche un’altra considerazione. Il nostro Paese o è solidale o non vi
sarà federalismo. E allora questo legame con il territorio, ne abbiamo discusso spesso,
come si integra con il fatto della mission delle Fondazioni, tesa a creare connubi con
tutte le realtà sociali? Mi riferisco, per esempio, e molti lo sanno, al finanziamento del
volontariato. Le Fondazioni bancarie destinano una parte importante dei loro proventi
al finanziamento del volontariato, è la base del finanziamento stesso. Eppure questo è
concentrato, quasi esclusivamente, nelle realtà del centro-nord.
Noi come governo nazionale, ma credo di dover dire, noi come responsabili della cosa
pubblica, a qualunque livello, abbiamo il compito di fare sviluppare questo che, come
il vostro, è un movimento di popolo in tutto il Paese. Ecco allora l’offerta che il Ministero del Lavoro ha fatto a tutti i soggetti, a tutti gli interlocutori, comprese quindi le
Fondazioni, di revisione della legge del volontariato, e di creazione di un fondo di solidarietà, per aiutare a svilupparsi tutte le realtà che nascono all’interno del Paese.
Questa è una richiesta che non è in contraddizione con la richiesta delle Regioni, perché si sostiene lo sviluppo del proprio territorio, se si ha come orizzonte tutto il
mondo. Ma in questo momento, basta anche avere come orizzonte questa capacità
aggregativa di tutto il nostro popolo.
Questo rapporto, dicevo, va avanti, anche perché è giusto che un aspetto come il
volontariato e come il non profit, che come nessun altro, appunto, nasce dal popolo,
continui ad essere dal popolo, quindi anche dalle Fondazioni, finanziato, se non altro
per un motivo molto semplice, che è quello della libertà. Il legame con qualunque
altro soggetto che non abbia la stessa natura, potrebbe costituire, per queste realtà, un
abbraccio mortale, soldi in cambio di libertà.
La possibilità del mantenimento della libertà è strettamente connessa alla possibilità
che le risorse, di cui c’è costantemente bisogno, continuino a provenire da realtà che
sono costituzionalmente ed eticamente a questo mondo vicine. Scusatemi se sono
entrata nel merito, ma ho creduto di dare un contributo anche al vostro dibattito, vi
do ancora il benvenuto e vi auguro buon lavoro.
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Alberto Carmi,
Presidente dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze SpA
Nel portare il saluto cordiale dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze alle Autorità presenti, agli illustri Ospiti e ai Colleghi convenuti per il 19° Congresso Nazionale delle
Fondazioni Bancarie e delle Casse di Risparmio, mi è assai gradito ricordare che proprio qui a Firenze, dal 22 al 24 novembre del 1886, si svolse il 1° Congresso Nazionale delle Casse di Risparmio Italiane.
Ma a parte un pizzico di orgoglio campanilistico per un primato storico che va ascritto alla nostra città, in questa sede non ci sarebbe altro da aggiungere al riguardo se non
fosse per le ragioni che ispirarono quella prima assise e che rendono quel lontano evento quanto mai di attualità.
Guarda caso il congresso fu convocato perché circolavano proposte per il riordinamento delle Casse di Risparmio che mettevano a rumore gli ambienti finanziari e bancari del nostro Paese. Ciò non vuol dire che una legge non fosse indispensabile, anzi,
molto opportunamente la legge fu promulgata qualche anno dopo, nel 1888, e fu
tutto sommato una buona legge. Ma il dibattito che l’aveva preceduta si era svolto, al
solito, in un clima decisamente poco tranquillizzante.
Come esplicitamente emergeva dalle dichiarazioni introduttive del Congresso fiorentino dinanzi alla realtà - leggo testualmente - di «…Casse di Risparmio sorte quasi
tutte per iniziativa privata, e che tutte fiorirono nell’autonomia delle proprie amministrazioni… la tendenza dell’autorità pubblica è quella di estendere troppo la propria
azione, e di sostituirsi all’iniziativa privata».
Il Presidente della Cassa fiorentina di quel tempo, Mario Covoni Girolami, commentando nel 1887 l’evento dell’anno prima, ricordava come in quell’occasione le Casse
di Risparmio italiane fossero state unite nel sottolineare il principio dell’autonomia,
sempre e comunque al servizio del bene pubblico. Scriveva, infatti, Covoni Girolami:
«… al proposito di conservare l’autonomia dei nostri istituti… non si chiese una legge,
e tanto meno una legge livellatrice; ma se e quando una legge dovesse farsi, si manifestarono i concetti ai quali parve opportuno che la legge dovesse ispirarsi… le Casse di
Risparmio italiane nulla compromisero, nulla abdicarono delle loro tradizioni…».
Oggi ci troviamo di nuovo riuniti in questa città di incomparabile bellezza. Molta
acqua è passata sotto i ponti, compresa quella che sconvolse Firenze durante l’alluvione del 1966.
Eppure sembra che nel nostro Paese la dialettica tra pubblico e privato, che altrove si
è evoluta in senso liberale, non possa esprimersi se non sulla base di un conflitto che
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Congresso Nazionale
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Cerimonia inaugurale
Cerimonia inaugurale
riflette concezioni superate in tutto il mondo civile.
Di nuovo Firenze è perciò testimone attiva di un dibattito e di un’attesa, mentre da
Roma passa lo spartiacque tra il buon senso e il sonno della ragione, tra la certezza del
diritto e la confusione legislativa, tra una concezione liberale ed una dirigista dello Stato.
L’ultima volta che a Firenze abbiamo parlato di questi temi è stata durante la presentazione lo scorso 6 maggio dell’attività svolta dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze
nel triennio 2000-2002. Anche in quella occasione avevamo rievocato le tappe di un
percorso tormentato a voi tutti noto e che quindi non sto qui a riproporvi. Voglio solo
ribadire che la legge delega del 1998 non scalfiva l’antico principio delle Casse di
Risparmio nate su base associativa, come quella fiorentina e, più in generale, veniva
riconosciuta la natura giuridica privata e la piena autonomia statutaria e gestionale
delle Fondazioni di origine bancaria. Questo ha permesso anche alla nostra Fondazione, nonostante le incertezze scaturite successivamente e le inammissibili limitazioni
imposte, di potenziare e migliorare la qualità dei propri interventi in settori, per esempio la ricerca scientifica, nei quali più evidenti si manifestano lacune e gravi carenze
del finanziamento pubblico.
Non è mia abitudine fare del pessimismo a buon mercato o paventare catastrofi. Certo
nel caso che l’attuale vertenza avesse un esito a noi non favorevole, non riesco a immaginarne le conseguenze se non in termini di assoluta problematicità, sia dal punto di
vista interno di gestione amministrativa e di efficienza organizzativa delle Fondazioni
di origine bancaria, sia sul piano della distribuzione di risorse secondo il principio
della sussidiarietà.
Se tutto questo è vero per le Fondazioni di tipo istituzionale è ancora più vero per le
Fondazioni di carattere associativo la cui nascita e la cui lunga storia, come ben sapete, è riconducibile al volere di liberi cittadini che hanno agito per spirito civico al di
fuori di qualsiasi intervento pubblico.
Ed è proprio la specificità e la diversità delle realtà locali che respinge ogni ‘legge livellatrice’, come diceva Covoni Girolami nel 1887, quasi si potesse ridurre la varietà dei
nostri bei paesaggi toscani ad una sola cartolina.
È stato più volte detto e ripetuto che le nostre libere istituzioni hanno scopi trasparenti da perseguire e non hanno finalità di profitto: per noi è essenziale rendere un servizio utile a favore della gente per promuoverne la qualità della vita, facendo bene le
cose che sappiamo fare, essendo messi nella condizione di poterle fare.
Auguro i migliori auspici per il buon esito del Congresso a tutti i partecipanti, nello
spirito della massima attenzione e disponibilità per un lavoro in comune di grande
interesse.
32
Aureliano Benedetti,
Presidente della Cassa di Risparmio di Firenze SpA
Autorità, colleghi convegnisti, signore e signori, sono particolarmente lieto di portare
oggi a voi tutti, in occasione del 19° Convegno Nazionale delle Casse di Risparmio e
delle Fondazioni, il saluto della Cassa di Firenze ed il mio personale.
Il Convegno ci invita a due giorni di lavoro, in un momento particolarmente delicato per l’economia nazionale. Accadimenti interni e ripercussioni di eventi anche di
natura internazionale chiedono alla nostra economia uno sforzo di adattamento ed
una prova di resistenza, a cui poche altre volte, nella storia del nostro Paese, il sistema
imprenditoriale e quello bancario sono stati chiamati.
In questi due giorni avremo modo di dibattere i vari aspetti del ruolo che le Fondazioni e le Casse di Risparmio svolgono in questo momento.
Possiamo affermare con orgoglio che le Casse di Risparmio hanno partecipato attivamente alla crescita della società civile italiana, sono state il sostegno delle iniziative
economiche sui loro territori di riferimento, hanno consentito la redistribuzione dei
loro profitti, guidata da principi di efficacia e utilità sociale, hanno permesso che il
risparmio raccolto sul territorio venisse ivi investito, alimentando così un circolo virtuoso di sviluppo.
Il ruolo delle Casse di Risparmio ancora oggi è vitale per i nostri territori, unitamente alla funzione sociale delle Fondazioni. Pertanto auspico che le nostre istituzioni
politiche, amministrative ed economiche questo riconoscano e difendano.
Da parte nostra continueremo a fare il nostro dovere di banchieri che avvertono tutta
la responsabilità che il momento richiede, operando nelle città, nei paesi, nei mille piccoli centri della nostra Italia, per le esigenze delle famiglie e delle imprese.
Mi auguro che tutti noi si possa trarre da questo nostro incontro motivi di riflessione
e di aggiornamento, di rilancio, di perfezionamento della nostra attività, a sostegno
dell’economia del Paese.
Firenze è onorata di ricevervi e di essere oggi strumento per questo compito difficile,
ma lodevole. Buon lavoro.
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Cerimonia inaugurale
Maurizio Sella,
Presidente dell’ABI
Autorità, Presidente Guzzetti, signore e signori, cari colleghi. Intanto buon giorno a
tutti e grazie Presidente per questo invito che ho gradito in modo particolare. E vi
porto il saluto dell’ABI e il saluto di tutte le banche che vi sono rappresentate. Vorrei
brevemente ricordare, il mio intervento a Torino, nel corso del precedente Congresso.
In quell’intervento collegai il lavoro dell’ACRI con il lavoro dell’ABI. Era il maggio
del 2000, avevamo lavorato e firmato assieme il contratto collettivo nazionale del lavoro del ’99. Le Casse SpA avevano dato dal primo gennaio all’ABI il settore sindacale,
e noi avevamo incorporato il settore della formazione, il FOPECRI, il settore sindacale e altre vostre risorse del servizio studi e di altri servizi, in tutto 26 dipendenti.
Bene, quelli di noi che allora non erano favorevoli a questa scelta, che facemmo tutti
assieme, non ebbero ragione, perché? Perché le Casse avevano una tradizione di avere
una remunerazione e delle condizioni più vantaggiose per i dipendenti. La faticosa
trattativa portò sostanzialmente a uniformare il trattamento, senza svantaggi per le
Casse SpA. Dal mio punto di vista, almeno, Presidente Guzzetti, mi lasci sottolineare
la soddisfazione per questa scelta.
E a proposito di soddisfazione, devo dire che nei grandi gruppi, le ex Casse e le Casse
SpA autonome, danno al sistema impulso, pro-attività, soluzioni e un grande vantaggio. E noi consideriamo le Fondazioni, visto che questo è il Congresso delle Fondazioni, come investitori istituzionali, che investono per l’appunto i loro capitali nel
mondo delle banche. E quindi l’ABI, istituzionalmente, per tradizione, non si è mai
occupata degli azionisti dei propri associati e, continua a non occuparsene.
Quindi con Guzzetti abbiamo in un certo senso ripartito i nostri ruoli: lui si occupa
di Fondazioni e io mi occupo di banche. E permettimi, caro Presidente, di dirti che
apprezzo moltissimo le consonanze che abbiamo nel nostro operare comune. E anche
la collaborazione che nel Comitato esecutivo ABI, danno i vice Presidenti di origine
ACRI; e quindi prima Benedetti, ora Patuelli, e nel Consiglio, nel Comitato esecutivo, nel Collegio sindacale, i numerosi apporti che vengono dal vostro mondo, sono da
noi apprezzati e, mi pare, lo udiremo da loro, di piena e totale cooperazione.
Tutto ciò detto, volevo fare un breve spunto, visto il tempo limitato, al tema: creazione di valore per le comunità locali, che è oggetto di questo Congresso.
Milton Freedman, nel 1970 diceva che la creazione di valore, la responsabilità sociale
di un’impresa, è quella di creare profitto, senza profitto non c’è futuro. Però oggi è da
chiedersi se in realtà il concetto di profitto non è stato sostanzialmente esteso; e quin35
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Cerimonia inaugurale
di siamo passati da stakeholder che erano gli azionisti delle banche in genere, a una
situazione di multi stakeholder, dove abbiamo compreso i dipendenti, i clienti, i fornitori, gli organi di controllo e, al limite, i concorrenti. Vi sono, inoltre, anche le
comunità locali.
E devo dire che il mondo delle Casse, il mondo delle Fondazioni, per le comunità
locali certamente ha fatto molto. Ma le comunità locali vengono considerate essenzialmente in due modi. Un modo che proviene dal nord Europa dove la comunità è
essenzialmente valutata come la comunità locale che ha dato origini all’impresa,
all’impresa banca, quindi la comunità, magari di dimensioni anche grandi come la
città di Firenze, che ha dato le origini alla banca che è nata appunto in quella località
geografica; sostanzialmente nel nord Europa si ritiene che quell’impresa debba alla
comunità locale, una sorta di ricompensa, di riconoscimento, perché senza quella
comunità e quei principi, e quella capacità lavorativa, non vi sarebbe stata quell’impresa. L’altro modo riguarda le comunità locali in genere in cui le nostre banche, le
nostre Casse SpA, operano. Due quindi sono le comunità locali, quella originaria e le
altre, ma tre sono i modi in cui credo si debba operare nel contesto delle comunità
locali: il primo è quello filantropico, e ovviamente, in tal senso, operano molte banche e molte Casse SpA; il secondo è quello della Corporate Social Responsibility, la
responsabilità sociale di impresa, dove siamo impegnati tre volte: come imprese in proprio, come erogatrici di credito alle imprese che operano nella comunità locale, e
come, eventualmente, convogliatori degli investimenti nell’azionariato di quelle società. E qui ovviamente mi riferisco a tutti quei casi in cui ci si occupa della qualità della
vita, del togliere il rumore, del non avere polluzioni nell’acqua piuttosto che non nell’aria, sono gli oggetti della Corporate Social Responsibility, che oggi diventano sempre più oggetto delle nostre attenzioni. Ovviamente sono scelte delle imprese banche
volontarie, scelte che richiedono trasparenza e accountability, cioè la possibilità di
valutare qual è il vero operato dell’impresa nelle comunità locali. Il terzo modo, infine, tema anche di questo Congresso, è quello invece dello sviluppo dell’economia delle
realtà locali, che in un Paese come l’Italia ha una importanza straordinaria.
Permettetemi di fare, prima di concludere, un ultimo cenno a quella che è l’origine
delle banche italiane, ma soprattutto delle Casse di Risparmio, risalendo brevemente
ai Monti di Pietà e al 1450. C’erano allora, come dimostra la ricerca antologica recentemente pubblicata, circa 138 Monti di Pietà in Italia, molti in Toscana, senza nessun
dubbio; e i Monti di Pietà nella comunità locale cosa facevano? Come spiega il nome,
davano piccolo credito contro pegno, perché allora l’agricoltura e il commercio avevano flussi economici, bisognava, diciamo così, spianare il ciclo economico. Erano pic36
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coli crediti che all’inizio erano sostanzialmente dati in via gratuita, ma poco alla volta
si cominciò a dare questi piccoli crediti a fronte di un piccolo interesse, finì verso la
metà del 1500, nell’1% al mese e sui depositi si cominciò a dare un piccolo interesse,
il 4%. Si tratta di percentuali più alte di quelle attuali, ma forse siamo in un momento di tassi particolarmente bassi, ma molto simili. E Gregorio XIII, fra il 1580 e il
1590, con una sua bolla sancisce che sia appunto dato il prestito a interesse e che sia
pagato l’interesse sui depositi. Bene, in quel momento nasce un certo modo di fare
capitalismo nel nostro mondo occidentale, che fa la differenza con la finanza musulmana. La più grande differenza fra noi e i musulmani è che loro non ammettono questo tipo o modo di fare banca. Perché ho voluto fare questo riferimento? Perché la base
di quel prestito non era soltanto aiutare il ciclo economico, ma era soprattutto dare
agli artigiani, ai commercianti, agli agricoltori, i mezzi per fare la loro attività, per
dare, con il loro operato, ricchezza alle comunità locali.
Che differenza c’è fra allora e oggi? A primo conto nessuna. Infatti dai Monti di Pietà
derivano le Casse di Risparmio e, dalle Casse di Risparmio viene poi il Credito Popolare e le banche private nel 1800. Mi pare una riflessione che valesse la pena fare, per
andare a vedere alle nostre origini, e capire come l’evoluzione, in realtà, non ci faccia
sentire tanto distanti dai 400-500 anni fa a cui mi sono riferito.
Concludo. La competizione fra le banche, fra le Casse SpA e le altre banche europee
è crescente. Siamo, con l’euro, introdotti in Europa, e quindi le banche italiane hanno
dato un impegno grandioso. Abbiamo fatto molta strada, il Governatore lo ha sottolineato nelle sue relazioni finali, ne ha riparlato ieri, ai 25 anni della SIA, credo che
anche il dottor Pisanti ne accennerà.
Le Banche, le Casse SpA hanno aumentato le loro dimensioni e la loro efficienza,
hanno fatto molta strada. Oggi il nostro settore è un settore di cui, a mio avviso, possiamo andare orgogliosi, ma certamente molto ancora resta da fare. E credo che questo Congresso, discutendo dei temi che ha in programma, preparerà fra l’altro riflessioni utili per il nostro futuro.
A me non resta che formulare molti auguri di lavoro al nostro Congresso, augurare alle
nostre imprese banche e Casse SpA di avere un buono sviluppo e di avere, se volete,
un tranquillo e prospero futuro. Grazie.
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Carlo Pisanti,
Capo del Servizio Vigilanza sull’Inter-mediazione Finanziaria della Banca d’Italia
Desidero porgere a voi tutti il saluto del Governatore e del Direttorio della Banca d’Italia e cordiali auguri di buon lavoro.
Quest’occasione di approfondimento sul tema delle Fondazioni bancarie si colloca in
un momento quanto mai delicato della loro storia. La recente evoluzione normativa
ha indotto una riflessione critica sulla natura giuridica delle Fondazioni e sulle possibili implicazioni che ne derivano per la loro autonomia statutaria e gestionale. Il dibattito ha assunto toni assai tesi, come mai in passato, e si è trasformato in controversia
giudiziaria. Dobbiamo auspicare che possa infine scaturire una visione - possibilmente condivisa sulla scala più ampia - del ruolo delle Fondazioni nel nostro sistema
democratico.
È ben vero che la storia delle Fondazioni bancarie, pur così breve, è stata sin dall’inizio segnata da un profondo travaglio. Si tratta di uno straordinario caso di travaglio
normativo. Un fitto susseguirsi di modifiche del quadro disciplinare le ha costrette a
una continua opera di focalizzazione del ruolo e delle finalità del loro agire.
Le ragioni macroeconomiche che portarono alla loro tipizzazione giuridica con la
legge Amato-Carli sono ben note; nella storica riforma che determinò la privatizzazione delle forme della banca pubblica, per usare la terminologia dell’epoca, esse nacquero “per differenza” dallo scorporo dell’azienda bancaria a favore di un neocostituito soggetto avente forma societaria. Non è fuor di luogo ricordare i motivi di quelle
scelte di politica economica, sostenute dalla Banca d’Italia: dimensioni inadeguate e
forma pubblica limitavano oggettivamente le possibilità di crescita delle banche. La
riforma dell’ordinamento giuridico della finanza era resa urgente dall’esigenza di consentire al sistema creditizio un recupero di efficienza allocativa unitamente a criteri, in
senso lato, etici di utilizzo delle risorse.
L’attenzione del legislatore, dapprima, è solo per le banche. La successiva evoluzione legislativa e i conseguenti atti regolamentari hanno poi composto un processo
lungo e complesso di definizione delle condizioni affinché le Fondazioni potessero
operare concretamente nei settori di utilità sociale, avviando la progressiva dismissione del controllo sulle banche per diversificare gli investimenti del patrimonio.
Dopo oltre dodici anni, i risultati sono evidenti. Nel corso del 2002 è ulteriormente diminuito (da 27 a 25) il numero delle banche il cui capitale è detenuto per oltre
il 50 per cento dalle Fondazioni; a esse fa capo una quota del 10 per cento dei fondi
intermediati. Quindici Fondazioni detengono tuttavia partecipazioni nei primi cin39
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que gruppi bancari; a nove di queste fanno capo interessenze superiori al 5 per
cento.
Gli interventi legislativi degli anni ’90 hanno sostenuto la riconversione operativa
delle Fondazioni da azionisti di controllo delle banche a principali attori del cosiddetto “terzo settore”. Nella prospettiva del ridimensionamento della spesa pubblica e di
un arretramento dello Stato dall’erogazione diretta di servizi, si affermava il convincimento che il cospicuo patrimonio delle Fondazioni - inizialmente costituito proprio
dalle partecipazioni nelle società bancarie conferitarie - potesse essere socialmente utilizzato nell’ambito del cosiddetto terzo settore.
L’assunzione di questo ruolo da parte delle Fondazioni è stata non facile. Si è trattato
di una scelta di campo che richiede un forte impegno, una profonda convinzione. Può
dirsi nondimeno che l’esperimento istituzionale sta avendo buon esito. Il radicamento
territoriale ha permesso alle Fondazioni di acquisire un’identità più precisa e di legittimare il loro intervento presso le comunità di insediamento. Ha certamente concorso
l’alto profilo civile già presente nelle banche pubbliche da cui traggono origine.
Nella configurazione che è andata delineandosi, le Fondazioni appartengono alla più
ampia categoria delle formazioni sociali intermedie tra Stato e cittadino che non ha
trovato nel nostro ordinamento compiuta affermazione nonostante l’esplicita previsione contenuta nell’art. 2 della Costituzione. La disposizione costituzionale, nel
garantire i diritti delle comunità intermedie, sottintende il riconoscimento del principio della “sussidiarietà” come fattore di crescita del benessere sociale. Ne sono espressione i movimenti cooperativi di estrazione religiosa o laica tradizionalmente impegnati nella promozione ed erogazione di servizi pubblici di utilità collettiva. Movimenti che sono manifestazione di una tensione creativa che ha favorito lo sviluppo di
una “welfare society” ancor prima che fosse delineato il modello di “welfare state”.
Anche la teoria economica ha affrontato sotto diversi profili il ruolo dei corpi intermedi, sottolineandone il carattere sussidiario e non sostitutivo dell’azione pubblica. Lo
Stato, grazie al potere impositivo di cui dispone e alle economie di scala di cui può
usufruire, mantiene un vantaggio nella fornitura di servizi pubblici indifferenziati,
volti a garantire livelli minimi di prestazioni, uguali per tutti i cittadini. All’origine del
cosiddetto “Stato sociale” vi è l’assunto che per ogni individuo deve essere possibile
raggiungere almeno un livello minimale di vita decorosa.
Esistono tuttavia due limiti intrinseci nei meccanismi ridistribuivi adottati dallo Stato
per il conseguimento delle finalità sociali: uno economico, l’altro di metodo. In primo
luogo, vincoli di bilancio e tendenze demografiche hanno portato a sostanziali spostamenti nelle percentuali di quelli che pagano per lo Stato sociale e di quelli che da esso
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ricevono prestazioni, riducendo il novero dei potenziali beneficiari.
Per quanto attiene al metodo, come ha lucidamente osservato Ralph Dahrendorf1, “lo
Stato sociale poggia su un paradosso: i problemi che esso deve risolvere sono per definizione sempre problemi individuali, mentre gli strumenti che impiega sono sempre,
anche stavolta per definizione, strumenti generali. Lo Stato sociale richiede la formazione di burocrazie che perdono talora di vista proprio quei casi individuali in grazia
dei quali esse sono state costituite”.
Si tratta di inefficienze che non segnalano il fallimento dello Stato sociale ma piuttosto i limiti strutturali della sua azione. Una possibile risposta alle rigidità dell’azione
pubblica è appunto rappresentata dall’intervento delle organizzazioni non profit.
La scoperta di nuovi bisogni sociali, culturali e di tutela del territorio e, al tempo stesso, la difficoltà delle Istituzioni pubbliche di soddisfarli compiutamente scoprono
un’area di domande (e una possibilità di intrapresa) non coperte, che il Terzo settore
si assume il compito di far emergere e di collegare organicamente alle risorse disponibili.
E tuttavia questo settore risente di un’endemica debolezza patrimoniale e di una difficoltà profonda di recuperare i capitali per finanziare nuove iniziative e sperimentare
nuovi servizi. In Italia esso è caratterizzato dalla presenza di numerose associazioni
dotate di risorse finanziarie limitate: ciò è sostanzialmente dovuto alla minore rilevanza che, rispetto ad altri paesi evoluti, hanno le donazioni dei privati, tipica fonte di
finanziamento del non profit, accanto alle entrate di fonte pubblica e ad altre entrate
di natura privata (contributi degli aderenti, vendita di beni e servizi).
Il valore complessivo delle donazioni dei privati al settore non profit rappresenta quasi
il 9 per cento delle entrate totali del settore in Gran Bretagna, circa il 13 negli Stati
Uniti e addirittura sfiora il 19 per cento in Spagna. In Italia, per contro, soltanto il 3,3
per cento delle entrate complessive è attribuibile ad erogazioni liberali da parte di
imprese e soggetti privati. Eppure, è ben noto che nelle famiglie italiane vi sono notevoli risorse di generosità: se ancora non si manifestano con l’intensità e l’efficacia desiderabili, ciò viene generalmente ricondotto anche all’assenza di adeguati incentivi
fiscali alle erogazioni liberali2.
In questo contesto, l’azione svolta dalle Fondazioni bancarie assume un rilievo del
Direttore della London School of Economics fino al 1983. Le considerazioni riportate sono tratte dal testo Per un nuovo liberalismo, p. 129, Sagittari Laterza 1988.
2
I dati citati sono ripresi da uno studio, presentato nel maggio 2003, finanziato dalla Fondazione Giovanni Agnelli dal titolo,
Donare seriamente. Sistemi tributari ed erogazioni liberali al settore del non profit, a cura di Federico Revelli, professore di Scienza
delle finanze all’Università di Torino.
1
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tutto particolare. Esse suppliscono alla mancanza nel sistema non profit del nostro
Paese delle grandi fondazioni di erogazione (le cosiddette grant-making foundations)
che altrove hanno giocato un ruolo importante nella produzione e nell’offerta di attività di pubblica utilità. Le Fondazioni bancarie si pongono come soggetti potenzialmente idonei a dare espressione in modo originale all’istanza pluralistica richiamata
dalla norma costituzionale partecipando in maniera attiva nei settori di utilità sociale
e nello sviluppo economico del territorio in cui sono insediate.
La rilevanza dei patrimoni gestiti impone alle Fondazioni l’adozione di schemi organizzativi ispirati a criteri di economicità della gestione. Negli ultimi anni si è ridotto
il peso delle erogazioni parcellizzate, a testimonianza delle crescenti capacità progettuali degli organi di indirizzo e amministrazione. I dati riferiti al 2001 riflettono la
maggiore incidenza delle erogazioni finalizzate al finanziamento di progetti specifici di
ampio respiro nonché delle iniziative realizzate in partnership.
Abilità nel selezionare le iniziative più meritevoli e competenza nel verificare l’esito
della propria azione divengono requisiti organizzativi essenziali di un nuovo e più
moderno approccio all’attività erogativa. Essa appare in linea con le tendenze evolutive che si affermano in Europa, e, in particolare, con il coinvolgimento sempre più frequente delle fondazioni nelle fasi realizzative delle iniziative finanziate.
In quest’ambito, le fondazioni tipicamente promuovono progetti con marcato carattere innovativo al fine di saggiarne l’efficacia, per proporli successivamente non soltanto nell’esperienza specifica, ma anche a una platea allargata di operatori, siano essi
governi locali, enti pubblici o altre istituzioni non profit, come modelli di riferimento
replicabili. Grazie alle loro risorse, infatti, ed alla loro agilità operativa, le fondazioni
sono in grado di stimolare soluzioni creative che devono non solo essere elaborate, ma
anche sperimentate sul campo prima di divenire oggetto di policy su ampia scala.
Alla base di queste esperienze vi è la consapevolezza che il ruolo della Fondazione non
si esaurisce nel rapporto bilaterale tra il soggetto erogatore e il soggetto beneficiario,
ma dà luogo a uno spazio di cooperazione che la Fondazione stessa rende possibile. Si
stabiliscono luoghi di incontro tra diversi attori sociali e policy makers nei quali possono apportarsi le risorse economiche e intellettuali necessarie alla realizzazione di progetti cooperativi complessi. In questo senso, la Fondazione si pone come un creatore
attivo di “capitale sociale”, incentivando la cooperazione tra soggetti privati ed enti
pubblici locali, risorsa cruciale per lo sviluppo economico e la coesione sociale.
Il quadro giuridico di riferimento per le Fondazioni bancarie è sulla via di un chiarimento definitivo.
42
Come ha osservato il Governatore nelle considerazioni finali pronunciate il 31 maggio scorso, le Fondazioni “hanno svolto un ruolo rilevante nella riorganizzazione e privatizzazione del sistema creditizio. È essenziale che sia garantita continuità al ruolo da
esse svolto come enti di natura privata con fini di utilità sociale”.
L’interesse istituzionale della Banca d’Italia per i temi riguardanti le Fondazioni ha un
duplice fondamento: da un lato, la circostanza che il sistema delle Fondazioni nel suo
complesso ha posseduto, e, ancora in parte, possiede partecipazioni rilevanti nel capitale delle banche; dall’altro, la tendenziale rilevanza macroeconomica del contributo
che, come abbiamo visto, esse possono prestare come strutture private a realizzazioni
di utilità sociale nei territori di insediamento.
Occorre preservare il carattere strumentale degli investimenti di portafoglio e delle
stesse partecipazioni bancarie rispetto al finanziamento dei progetti e delle iniziative di
utilità sociale. Come auspicato dalla Banca d’Italia, la graduale dismissione della proprietà delle banche conferitarie si è accompagnata alla partecipazione a nuclei stabili
di azionisti, spesso insieme con importanti compagnie di assicurazioni e qualificati
intermediari esteri3. Ciò ha consentito la privatizzazione e la ristrutturazione del sistema creditizio italiano in un quadro di stabilità e di ordinato funzionamento dei mercati bancari.
Il mantenimento di interessenze di minoranza in capo alle Fondazioni appare compatibile con gli obiettivi di redditività del patrimonio; può risultare ancora funzionale,
fin quando sarà necessario, alla stabilizzazione degli assetti proprietari delle banche
partecipate.
È importante che siano salvaguardate l’autonomia gestionale e statutaria delle Fondazioni, e tempi di ricambio degli organi adeguati all’impostazione di progetti di mediolungo periodo, elementi utili per assicurare - a parità di rilevanza sociale dei progetti
da finanziare - l’effettiva neutralità allocativa delle erogazioni. Concorre in tal senso
un’equilibrata composizione degli organi di indirizzo nei quali siano adeguatamente
rappresentate le componenti della società civile.
Va guardata favorevolmente l’affermazione di schemi di gestione che sappiano associare all’eticità dei fini l’economicità dei mezzi: lo sviluppo di strategie innovative esige
una cultura organizzativa che valorizzi le professionalità maturate all’interno delle
strutture manageriali delle Fondazioni.
L’ampia diversificazione delle dimensioni e della complessità organizzativa delle 89
3
Relazione della Banca d’Italia per il 2001. Considerazioni finali, p. 31.
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Cerimonia inaugurale
Fondazioni di origine bancaria oggi operanti in Italia richiede che gli operatori siano
messi in condizione di ricercare gli schemi organizzativi più funzionali al perseguimento delle proprie finalità sociali, anche attraverso la definizione di prassi operative
inedite. A tale proposito si segnala l’esperienza delle Fondazioni delle comunità locali, ispirate al modello statunitense delle “community foundations”; a fronte della dotazione di capitale inizialmente conferito da una Fondazione bancaria, viene promossa
la costituzione di patrimoni a opera di soggetti locali il cui reddito è in via permanente
destinato al sostegno di attività di pubblica utilità; quest’esperienza rappresenta un
esempio significativo anche nell’ottica del coinvolgimento sul piano finanziario delle
componenti privatistiche delle comunità locali4.
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Cerimonia inaugurale
de disegno che ha consentito il rafforzamento competitivo del sistema creditizio italiano; possono ora volgersi all’approfondimento conclusivo del loro ruolo specifico, al
fine di moltiplicare il benessere sociale.
In tal modo esse potranno realizzare il disegno del legislatore che ha affidato loro il
compito di produrre valori, innovazione culturale e sociale, riduzione dei disagi e delle
marginalità, a beneficio delle comunità che all’origine le hanno espresse.
In conclusione, l’evoluzione futura delle Fondazioni di origine bancaria può riconoscersi nelle seguenti linee di fondo:
il processo di dismissione da parte delle Fondazioni del controllo sulle banche continuerà e si completerà. La Banca d’Italia ha sempre ritenuto che tale processo dovesse
essere graduale nei tempi e, preferibilmente, sollecitato da incentivi di carattere fiscale e normativo. Non vi è in questo senso urgenza di cedere partecipazioni minoritarie.
La delicatezza e la complessità dei problemi che discendono dalla scarsità di capitale
permangono. La ricerca di assetti proprietari idonei per le banche italiane, soprattutto per i grandi gruppi, resta una priorità nazionale;
nate dallo scorporo delle aziende bancarie dagli antichi istituti pubblici, le Fondazioni ne hanno ereditato i fini di utilità sociale al servizio delle comunità territoriali di
riferimento. Questa è la loro vocazione e questo ruolo risponde a una funzione della
società civile che in Italia ha grandi meriti storici e riempie gli spazi rilasciati dall’arretramento del welfare state. La loro natura privata è compatibile con un ruolo di interesse generale, dovrebbe anzi garantire che esso venga svolto nel modo più efficace.
Riprendendo quanto affermato dal Governatore in occasione della Giornata Mondiale del Risparmio del 20025, non posso che rinnovare l’auspicio che l’attuale incertezza
del quadro giuridico di riferimento si dissolva in tempi brevi e sia assicurata un’adeguata composizione sia degli interessi locali sia di quelli generali, premessa per un
nuovo dialogo e una positiva convergenza di tutti i soggetti interessati.
Alle Fondazioni bancarie va espressa gratitudine per la cooperazione prestata al gran-
4
5
In Italia, le prime fondazioni della specie sono state promosse dalla Fondazione Cariplo.
Intervento tenuto a Roma il 31 ottobre 2002 presso la sede dell’ACRI.
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CONGRESSO MONDIALE DELLE CASSE DI RISPARMIO E
NECESSITÀ DI COOPERAZIONE
Josè Antonio Olavarrieta Arcos,
Vicepresidente del World Savings Banks Institute
Il Congresso Mondiale delle Casse di Risparmio, che ha avuto luogo a Madrid il 22 e
23 maggio dal tema “Casse di Risparmio: efficienza e impegno verso la società”, può essere riassunto in poche parole come un pressante richiamo ad una cooperazione più
stretta ed efficace tra le Casse di Risparmio di tutto il mondo.
La cooperazione, già significativa, è infatti il tema di fondo della Dichiarazione di
Madrid, il cui obiettivo è quello di estendere, a favore di tutti, gli effetti benefici della
globalizzazione, scongiurando al tempo stesso il prodursi degli effetti negativi della
globalizzazione stessa, il cosiddetto “globalisation backlash”. Ma perché ciò avvenga, la
crescita globale deve diffondersi capillarmente in tutte le regioni e gli eventuali effetti
deleteri della crescita sui gruppi vulnerabili devono essere mitigati. È esattamente questo il ruolo che le Casse di Risparmio svolgono mobilitando il risparmio locale verso
investimenti produttivi effettuati dalle piccole e medie imprese in una rete economica regionale. Il Presidente dell’Istituto Mondiale delle Casse di Risparmio, Dr. Berndt,
principale architetto della Dichiarazione di Madrid, ha inteso trasmettere questo messaggio sulla necessità di riconoscere il particolare contributo delle Casse di Risparmio
alla crescita locale, ancora una volta attraverso le sessioni del Congresso.
Questa funzione cruciale di assicurare il progresso regionale, un tratto distintivo delle
Casse di Risparmio, non sempre è stato sufficientemente riconosciuto dal Fondo
Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, istituzioni che troppo spesso sono
state inclini a percepire le realtà finanziarie attraverso il prisma delle grandi banche
globali.
Certamente, questa errata percezione non è condivisa da Andrew Crockett, già direttore generale della Banca dei Regolamenti Internazionale e uno dei più eminenti oratori al Congresso di Madrid. Nella sua magistrale presentazione, egli ha opposto al tradizionale concetto di mercati finanziari quali strumenti per incanalare il risparmio
verso gli investimenti - sottolineando di pari passo il divario tra tassi d’interesse passivi e tassi d’interesse attivi - la moderna visione secondo la quale i mercati finanziari
sono visti come motori efficienti di una corretta ripartizione e valutazione dei rischi.
Ora, nel mondo moderno, i mercati possono fare molto per una corretta valutazione
dei rischi, ma, come evidenziato da Crockett, non abbastanza. I mercati possono e
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Cerimonia inaugurale
devono essere assistiti da un quadro normativo ben studiato in un mondo di informazioni asimmetriche. Le asimmetrie informative, se non corrette, danno vita ai fenomeni devianti del rischio mondiale (ex ante) e di una selezione avversa (ex post). Va
da sé che qualsiasi esercizio di cooperazione volto a ridurre (se non eliminare) i rischi
(come il progetto globale di gestione dei rischi attualmente avviato in sede CECA) è
il benvenuto. Come vi è probabilmente noto, la CECA è la confederazione spagnola
delle Casse di Risparmio, per le quali svolge inoltre il ruolo di fornitore centrale di servizi finanziari, tecnologici e di back-up.
Altri eminenti oratori, come il Commissario Ue Solbes o il responsabile economico
della BCE Issing, hanno ribadito l’eccezionale importanza della stabilità finanziaria e
l’esposizione dell’economia europea a shock casuali. Si dovrebbe allora concludere che
stiamo attraversando una fase in cui la cooperazione tra le Casse di Risparmio europee va incrementata pur nei limiti della fattibilità.
Il mix di concorrenza e cooperazione è una caratteristica crescente del panorama
imprenditoriale contemporaneo, nonché un principio che le Casse di Risparmio osservano da anni come dimostrato da un’analisi della nostra esperienza storica.
L’esperimento delle Casse di Risparmio ha avuto inizio in alcune regioni d’Europa
all’incirca un paio di secoli fa, sotto la spinta di gruppi diversi, allo scopo di porre fine
alla pratica dell’usura, dare opportunità di risparmio e investimento alle classi lavoratrici e combattere l’esclusione sociale. Nel corso di quei duecento anni, le Casse di
Risparmio hanno dovuto affrontare sfide difficili e adattarsi alle mutevoli circostanze,
cosa che hanno fatto con alterne fortune. In alcuni paesi europei le Casse di Risparmio sono scomparse, per varie ragioni. (In alcuni casi, non hanno retto alla prova del
mercato; in altri, sono state semplicemente soppresse per volere del governo). In molti
paesi, sia in Europa che fuori, le Casse di Risparmio hanno prosperato, a volte in
maniera eccezionale. È un fatto significativo che molto spesso siano riuscite a sopravvivere (e persino a dare risultati superiori alla media) nonostante (o, per meglio dire,
proprio per questo) operassero in condizioni fortemente concorrenziali.
In Spagna, ad esempio, il 1977, l’anno in cui alle Casse di Risparmio venne concesso
di competere alla pari con gli altri intermediari finanziari, segnò l’inizio di una nuova
era di prosperità per le Casse di Risparmio, per il sistema finanziario nazionale e anche
per le banche private commerciali.
Le banche commerciali spagnole sono considerate tra le migliori del mondo e il fatto
di dover competere con loro giorno dopo giorno ha costretto le Casse di Risparmio
spagnole ad essere sempre più efficienti. A sua volta, l’esistenza di 46 Casse di Risparmio aggressive ha mantenuto altamente concorrenziale il settore bancario spagnolo:
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per questo, quando hanno deciso di lanciarsi in iniziative internazionali, le maggiori
banche spagnole si sono dimostrate particolarmente efficienti.
Inoltre, negli ultimi venticinque anni, le Casse di Risparmio nel complesso sono
riuscite ad acquisire quote di mercato a spese degli altri intermediari finanziari, e questo in misura tale per cui oggi noi rappresentiamo più della metà dei depositi privati
nazionali e quasi il cinquanta per cento dei mutui a imprese e famiglie, nonché più del
cinquanta per cento del mercato ipotecario.
Oltre a ciò, le Casse di Risparmio spagnole hanno reso possibile a qualsiasi comunità
locale, per quanto remota, di accedere ad una vasta gamma di servizi finanziari, in una
battaglia contro l’esclusione economica che (come sottolineato nel rapporto Cruishank) è tuttora un pressante problema sociale in molti paesi avanzati dove il processo
di concentrazione è stato portato un po’ troppo oltre.
Infine, le Casse di Risparmio spagnole stanziano mediamente quasi il 25 per cento dei
loro profitti dopo le imposte per progetti socialmente utili (Obra Social). L’anno scorso, questi stanziamenti hanno raggiunto in totale il valore di circa un miliardo di euro,
destinato ad aree quali, fra l’altro, istruzione, servizi per le comunità, arte e cultura,
sanità e ricerca di base.
Questa attività filantropica non è un’aggiunta pura e semplice alla nostra funzione
(apparentemente fondamentale) di intermediazione finanziaria, ma parte integrante
del nostro lavoro. Essa è insita nelle nostre stesse fondamenta.
Così come non si è vista nessuna Cassa di Risparmio del mondo trastullarsi con piani
speciali riguardo a Enron o WorldCom, allo stesso modo nessuna Cassa di Risparmio
spagnola finora è mai stata coinvolta in scandali finanziari, per non parlare di denaro
ricevuto dai contribuenti. D’altro canto, purtroppo, la storia della Spagna abbonda di
fallimenti di banche private che hanno dovuto essere riportate a galla o salvate dal
governo.
Oltre a ciò, come evidenziato precedentemente, le Casse di Risparmio spagnole erogano un dividendo sociale, attinto dai loro profitti al netto delle tasse, sotto forma di
programmi di attività benefiche riassumibili sotto il nome di Obra Social (al ritmo,
per quest’anno, di un miliardo di euro). Gli stanziamenti complessivi a favore della
Obra Social accumulati negli ultimi dieci anni rappresentano più del doppio dei dividendi totali distribuiti dalle banche commerciali spagnole ai loro azionisti durante lo
stesso periodo.
Questi risultati sono stati raggiunti perché - come sottolineato nella sua presentazione
da J. Quintás, Presidente della CECA - “una caratteristica distintiva delle Casse di
Risparmio spagnole è che, pur essendo accanite concorrenti sul mercato (cosa che le
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mantiene economicamente sane), hanno comunque sviluppato, attraverso la CECA,
legami di cooperazione molto forti con funzioni di supporto in settori importanti
come back office, tecnologia dell’informazione e così via, il che consente loro di realizzare importanti economie di scala”.
Consentitemi di concludere dicendo che la strategia ispiratrice dell’attività delle Casse
di Risparmio europee (tutte indistintamente) dovrebbe essere semplicemente questa.
Primo, rivedere la gamma di servizi tecnologici e professionali che ciascuno di noi
chiede (pagandoli a caro prezzo) alle maggiori società di consulenza, esplorando quindi, attraverso quel prezioso strumento di cooperazione rappresentato dall’Istituto
Mondiale delle Casse di Risparmio, la possibilità di acquistare alcuni di questi servizi,
a prezzi inferiori, da altre Casse di Risparmio, negoziando inoltre i criteri di ripartizione dei guadagni che ne conseguono. Secondo, AGIRE.
Vi ringrazio per la vostra attenzione.
50
Luc Tayart De Borms,
Direttore Generale King Badouin Foundation
Grazie. Prima di tutto, signore e signori, vorrei scusarmi per non essere in grado di
rivolgermi a voi in italiano. Come belga conosco diverse lingue, ma purtroppo non l’italiano. Per questo motivo mi hanno chiesto di intervenire in inglese, che non è la mia
seconda lingua bensì la terza.
Sono molto onorato di essere qui e di poter parlare di fronte a un pubblico tanto competente. Intervengo qui non solo in qualità di dirigente di una Fondazione ma anche
di Vice-Presidente dello European Foundation Centre, che ha sede a Bruxelles.
Vorrei portarvi tre messaggi. Il primo è che le vostre Fondazioni, le Fondazioni bancarie italiane, sono molto importanti per l’Europa. Il secondo è che l’autonomia e l’indipendenza sono elementi cruciali nella vita di una Fondazione. E il terzo è che l’autonomia e l’indipendenza sono possibili e a questo proposito porterò l’esempio della
mia Fondazione e formulerò alcuni consigli. Voglio sperare che le mie riflessioni possano aiutarvi. Temo però di dover essere troppo breve, troppo succinto, e di questo mi
scuso.
Il primo, come già detto, è un messaggio molto breve: le vostre Fondazioni sono molto
importanti per l’Europa. Per quale motivo? In primis, per una questione di disponibilità finanziaria. Le vostre Fondazioni, o quantomeno alcune delle vostre Fondazioni
sono le più patrimonializzate d’Europa. Sono nella top ten. Ciò significa che la gente
vi guarda.
Inoltre, a mio avviso, la creazione di queste Fondazioni è in sé un esperimento interessante e unico. Quegli elementi fanno sì che le Fondazioni delle Casse di Risparmio
siano una questione estremamente simbolica in Europa. Allo European Foundation
Centre ci impegniamo duramente per far sì che le Fondazioni ottengano il posto che
meritano in ambito europeo. Siamo ben consapevoli che in Europa vi sono vari tipi di
Fondazione, ma siamo altrettanto consapevoli che ogni volta che succede qualcosa a
una Fondazione in Europa, quale che sia il motivo, ciò ha ripercussioni negative su noi
tutti. Per questi motivi - e vi assicuro che non sto cercando di enfatizzare troppo la
cosa o di compiacervi - le vostre Fondazioni sono importanti.
In secondo luogo, le Fondazioni hanno determinate caratteristiche. O per lo meno,
questo pensiamo allo European Foundation Centre. Noi abbiamo definito alcune caratteristiche tipiche delle Fondazioni. Potete discuterne e dibatterne, ma credo che queste definizioni siano ampiamente riconosciute. Le Fondazioni hanno come loro centro il patrimonio. Ciò ci distingue dalle ONG e dalle associazioni. Non voglio dire che
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le ONG e le associazioni non operino con il denaro, ma esse incentrano le loro attività sull’affiliazione, sull’associare persone o entità affinché lavorino insieme. Le Fondazioni invece esistono per fare qualcosa con le loro dotazioni patrimoniali. Ciò comporta dover rendere conto, trasparenza e grande responsabilità. Basterà ad esempio
dirvi che in questo momento negli Stati Uniti è in atto un feroce scontro con il Congresso, il quale contesta il fatto che le Fondazioni abbiano speso appena il 5% del valore delle rispettive dotazioni patrimoniali. In realtà, vi sono costrette per legge. Il nocciolo della questione è che il Congresso è giunto alla conclusione che nell’ambito di
questo 5% non possono essere comprese le spese per il Direttore Generale, le spese
generali e i pagamenti ai componenti del consiglio di amministrazione. Perché succede tutto questo? Perché negli USA sono scoppiati scandali in quanto alcuni direttori
di Fondazioni ricevono emolumenti vergognosamente elevati, oppure perché alcuni
componenti delle famiglie che controllano le Fondazioni vengono pagati più di quanto la Fondazione non elargisca in sovvenzioni. Questa è l’ennesima illustrazione di
come negli Stati Uniti una mela marcia intacchi tutte le altre, e così oggi le Fondazioni sono sotto attacco. Le Fondazioni devono sì spendere soldi, ma non in questo
modo; devono spendere soldi nella maniera dovuta, ossia nell’interesse generale. Ciò
significa che non si devono curare interessi particolari, né quelli di un partito politico
e neppure quelli di una data azienda. Ciò è estremamente importante. L’indipendenza è una componente molto importante dell’interesse generale, ed è un elemento
essenziale di una Fondazione. Allo European Foundation Centre stiamo lavorando allo
Statuto Europeo delle Fondazioni, che sarà facoltativo, ma che potrà essere adottato
forse tra qualche anno, quando avremo convinto la Commissione e altri Stati membri
ad accettarlo; in questo Statuto gli elementi connessi agli esborsi, alla trasparenza, alla
responsabilità e alla indipendenza rivestono un ruolo cruciale. So bene che si tratta di
una materia difficile e sono sempre più convinto che le discussioni che nascono intorno a questa materia hanno a che vedere con i diversi modelli di società civile che convivono in Europa. È evidente che il modello di società civile anglosassone guarda alle
ONG nel settore delle fondazioni come a una specie di contrappeso dello Stato, chiaramente indipendente. Il mio Paese è per metà latino e per metà anglosassone-germanico, quindi ci troviamo in una terra di confine. Nei nostri paesi vi è ancora uno scontro in atto: c’è posto per la società civile nelle nostre società democratiche, oppure
tutto deve essere fatto attraverso lo Stato o comunque essere controllato dallo Stato? È
un dibattito enorme. Personalmente sono convinto che la tendenza sia estremamente
chiara: la società civile ha un posto importante nelle nostre società a funzionamento
democratico, e l’indipendenza gioca un ruolo fondamentale. Quando però pretendia52
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mo l’indipendenza, dobbiamo creare fiducia.
Vengo così al mio ultimo punto. Essere indipendenti e funzionare in via autonoma è
possibile, e vi porterò la mia stessa Fondazione come esempio, indossando i panni di
Direttore della Fondazione Re Baldovino. La nostra Fondazione è stata creata 25 anni
fa dal Governo belga. Essa è stata creata con denaro proveniente dal settore pubblico
al quale si è aggiunto un pari importo elargito dal Governo. Tutto ciò è successo 25
anni fa, quando la nostra società era chiaramente ancora molto politicizzata. Direi che
ci sono voluti diversi anni: in più periodi abbiamo dovuto lottare per la nostra indipendenza, soprattutto - ovviamente - nei confronti dei partiti politici.
Penso che nel percorso che ci ha portato all’indipendenza abbiano giocato un ruolo
importante cinque elementi, che si possono tradurre in altrettanti suggerimenti. Per
ciascuno di questi suggerimenti si potrebbero spendere dieci minuti di intervento, ma
non credo di avere a disposizione tanto tempo e quindi mi limiterò a una brevissima
carrellata. Il primo, ovviamente, riguarda la composizione del Consiglio di Amministrazione e le modifiche al Consiglio quando un componente se ne va. Nella nostra
Fondazione i membri del Consiglio di Amministrazione non rappresentano nessuno.
Rappresentano esclusivamente se stessi. Ciò può apparire ipocrita in quanto sappiamo
bene che la gente non vive isolata all’interno della società. Al contrario, ha legami con
altre persone, con partiti e con aziende. Ma il fatto che ogni partito politico, ogni sindacato, ogni organizzazione della società civile sappia di non poter mandare un proprio uomo ma che siamo noi a proporre un nominativo, è un fatto fondamentale che
ci ha reso molto indipendenti perché la gente sa che chi siede in consiglio parla per
conto proprio - o anche per il proprio gruppo di riferimento - ma non vi siede come
una specie di apparatnik di partito o di qualche altro gruppo di interesse. Quindi la
scelta delle persone è estremamente importante. Facendo ancora una volta riferimento agli USA, penso che l’istituzione, all’interno delle fondazioni, di comitati per le
nomine per la governance possa aiutare molto.
Il secondo elemento, che è poi forse il dettaglio, è la struttura organizzativa e ha a che
vedere con titoli e nomi. Abbiamo tutti visto, e guardo in particolar modo all’Italia,
che nella politica la percezione e la comunicazione sono molto, se non tutto alle volte.
Anche in questo caso ritengo che il modo in cui strutturiamo la nostra organizzazione, il modo in cui attribuiamo la funzione di Direttore Generale - il fatto che il mio
titolo sia di Direttore Generale e non di Segretario Generale - sia importante. Forse
potrà sembrarvi ridicolo, ma ci sono voluti dieci anni per cambiarlo! Prima la mia funzione, o meglio quella del mio predecessore, era di Segretario Generale. Ma utilizzare
titoli come Amministratore Delegato, e in genere utilizzare titoli del settore privato e
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aziendale, ti allontana decisamente dal governo a livello di percezione e ti colloca nel
settore privato. A mio modo di vedere, queste piccole grandi cose sono molto importanti.
Un terzo elemento è che è vero che le Fondazioni possono diventare indipendenti solo
per facciata. Essere indipendenti non significa solo fornire servizi, dare sussidi alla
gente o ad associazioni, poiché in questo modo si può essere strumentalizzati. Bisogna
avere una propria strategia. Le Fondazioni non si interessano soltanto di servizi sociali, ma anche di cambiamento sociale. Se potete creare la vostra organizzazione in
maniera tale da essere attori del cambiamento sociale, un attore indipendente che illustra le attività del proprio serbatoio di pensiero, che organizza seminari in cui si confrontano molti punti di vista, filosofie e politiche diverse, con il passare degli anni vi
guadagnerete nelle rispettive società un ruolo che non sia soltanto di elargizione di sussidi, ma anche di motore del cambiamento sociale.
Il quarto elemento è, a mio modo di vedere, anche abbastanza strano forse, ma l’apertura all’Europa e il fatto di svolgere una parte del vostro operato al di fuori della
vostra regione, e perfino al di fuori del vostro Paese, penso rappresenti un importante
fattore psicologico. È una specie di pietra di paragone e porta in seno al Consiglio di
Amministrazione nuovi elementi di discussione che spesso possono allontanare da
quei problemi talvolta “di lusso” con i quali si è alle prese nella propria regione o città.
Problemi “di lusso” rispetto, ad esempio, all’AIDS o agli enormi problemi da cui sono
afflitti i Balcani. Le prospettive, insomma, si allargano.
Infine penso che un ruolo importante, ovviamente, lo svolgano la direzione e gli uomini guida di una Fondazione. Credo che questo sia uno degli elementi di successo della
nostra Fondazione e la cosa non mi riguarda personalmente perché io sono in Fondazione solo da cinque anni: è piuttosto che in Fondazione avevano un modo davvero
particolare di scegliere le persone. In questo modo entrano in Fondazione molti giovani, persone con una testa pensante, caratteri non conformisti e alle volte difficili, ma
sempre gente che guarda un po’ più in là nel futuro.
Ovviamente è tutta questione di equilibri. Non è la ricerca degli estremi nell’una o
nell’altra direzione. È piuttosto fare cose diverse e trovare il giusto equilibrio.
Per concludere e per ripetermi, credo, non mi sarà mai possibile sottolineare a sufficienza come da noi a Bruxelles, come anche negli altri paesi, si osservino le vostre Fondazioni e si speri che riescano a essere indipendenti e a lavorare nell’interesse generale. È mio auspicio che voi raggiungiate quest’obiettivo. E se noi potessimo dare una
mano, se io potessi dare una mano, saremmo ben felici di farlo.
Molte grazie.
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Onorato Castellino,
Presidente della Compagnia di San Paolo
1. Nel 2002, il quadro operativo delle Fondazioni è stato caratterizzato dal dibattito,
e dalle iniziative in sede giudiziaria, conseguenti alla promulgazione della legge
finanziaria 2002. La Compagnia di San Paolo ha partecipato a questo dibattito, ha
espresso le proprie riserve e il proprio dissenso di fronte alle innovazioni della legge
finanziaria, ha presentato un ampio e motivato ricorso al TAR e alla Corte Costituzionale, e lo ha illustrato dinnanzi alla Corte per il tramite dei propri legali.
Anche sotto questo profilo, quindi, la Compagnia di San Paolo, pur non essendo
parte dell’ACRI, si è sentita in piena sintonia con questa Associazione e con le
Fondazioni che a essa fanno capo; ci siamo schierati sotto le stesse bandiere.
La situazione di incertezza giuridica e di conflittualità giudiziaria ha costretto gli organi di indirizzo e di controllo delle Fondazioni a dedicare una costante, e in taluni
momenti spasmodica, attenzione agli aspetti normativi. Le notizie periodicamente diffuse dai mezzi di comunicazione hanno forse indotto l’opinione pubblica a ritenere
che questi aspetti assorbissero pressoché interamente l’attività delle Fondazioni. Fortunatamente, non è così. Le Fondazioni, e tra esse la Compagnia di San Paolo, hanno
continuato a svolgere la loro attività istituzionale sotto il profilo sia della gestione del
patrimonio, sia delle erogazioni nei settori rilevanti. Ambedue i profili hanno visto
maturare, nello scorso decennio, un sempre maggiore affinamento degli strumenti e
dei metodi, affinamento che ogni Fondazione ha operato tenendo conto delle sue
peculiarità (ambito territoriale, tradizioni storiche, dimensione del patrimonio, composizione degli organi di controllo e di amministrazione). Nonostante queste diversità, l’esperienza acquisita nell’uso di strumenti e metodi può essere utilmente raffrontata e ove del caso condivisa. Mi permetto quindi di esporre alcune riflessioni e considerazioni che ho tratto dalla esperienza della Compagnia di San Paolo e che sarei lieto
di poter confrontare con Loro.
2. Molti interventi della Compagnia si realizzano nell’ambito di programmi caratterizzati dalla lungimiranza dell’orizzonte, dalla ampiezza dei mezzi coinvolti, e spesso dalla partecipazione, con gli altri enti responsabili, al momento progettuale. In
altre parole, si supera il mero ruolo di selezionatore di richieste nate all’esterno e si
dà vita, singolarmente o con altri esponenti della comunità di riferimento, a iniziative di rilievo. La Fondazione svolge così un compito di innovazione e di propulsione che va al di là di quello che si esaurisce nella erogazione di fondi.
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Non intendo ovviamente dire che una Fondazione debba sostituirsi ad altri enti, e in
particolare a enti pubblici, nei compiti che sono loro propri. Ma quale espressione
della generalità dei cittadini e del loro comune sentire, al tempo stesso dotata di strutture professionali competenti ed esperte, la Fondazione può concorrere a esprimere le
loro aspirazioni e a mettere a punto le modalità per soddisfarle.
Per quanto attiene alla Compagnia di San Paolo, ricordo:
- il programma Musei, che abbraccia la prestigiosa area museale esistente nel centro
di Torino (Museo Egizio, Galleria Sabauda, Palazzo Reale, Palazzo Carignano,
Museo del Cinema…);
- il programma Oncologia, aperto a tutto il territorio nazionale;
- il programma edilizio dell’Università e del Politecnico di Torino.
Attraverso questi programmi, la Compagnia si propone, tra l’altro, di smuovere gli
ostacoli iniziali che a volte si riscontrano nell’ambito pubblico (per esempio: avviare
uno studio di fattibilità o una progettazione), oltre che di fungere da “leva”, coagulando attorno al finanziamento iniziale da essa fornito nuovi finanziamenti di altra
fonte, che a volte risultano, al termine del processo, pari a un multiplo di quello iniziale.
3. La Compagnia di San Paolo opera, grazie alla non irrilevante dimensione delle sue
risorse, in tutti i settori previsti dalla legislazione del 1998-99 (cosiddetta “legge
Ciampi” e conseguente decreto legislativo): ricerca, istruzione, arte, beni culturali
e ambientali, sanità, assistenza. Data la molteplicità di questi settori e la vastità dei
campi da essi coperti, la Compagnia agisce non soltanto direttamente, ma anche
attraverso una serie di enti strumentali, alcuni storicamente preesistenti, altri costituiti di recente. Questi enti sono:
- la Fondazione per la Scuola, che agisce in prevalenza nel settore dell’istruzione
media superiore;
- l’Ufficio Pio, attivo nell’assistenza;
- la Fondazione per l’arte;
- il Consorzio Collegio Carlo Alberto, centro superiore di ricerca in campo economico e finanziario oltre che sede di corsi post-universitari in questo ambito;
- l’Istituto superiore Mario Boella sulle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni;
- l’Istituto superiore sui sistemi territoriali per l’innovazione.
Gli ultimi tre operano in collaborazione l’uno con l’Università e gli altri due con il
Politecnico di Torino. Attraverso di essi, la Compagnia si propone di favorire la nasci56
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ta e lo sviluppo di centri di eccellenza scientifica e didattica, nei quali, per un verso,
studiosi di elevato livello qualitativo vengano invitati e stimolati a operare nell’ambito della ricerca (in Italia!) e, per altro verso, giovani e promettenti laureati siano indotti (anch’essi in Italia!) a proseguire negli studi (master o dottorati) avviandosi poi alla
ricerca. La specializzazione di ciascun ente strumentale permette concentrazione di
esperienze e di professionalità da parte delle persone addette senza perdere interazioni
e sinergie.
4. Una metodologia di selezione a cui la Compagnia è progressivamente ricorsa negli
ultimi anni è quella del bando, cioè della preventiva comunicazione pubblica della
propria intenzione di erogare finanziamenti in un dato ambito, e della conseguente promozione di richieste. Sono così stati promossi, oltre al programma Oncologia, i bandi relativi a:
- “Cento Città”, iniziativa già ripetuta in quattro edizioni, con la quale cento città
italiane di piccole e medie dimensioni sono ogni volta invitate a presentare un progetto di riqualificazione del centro storico; al progetto premiato la Compagnia
offre un congruo sostegno finanziario;
- “Cento Scuole”, anch’esso già ripetuto quattro volte, con cui tutte le province italiane sono invitate a presentare un progetto innovativo nato nell’ambito di una
scuola media o superiore; vengono premiati in ogni edizione venti progetti;
- “Cantieri d’Arte”, rivolto ai beni artistici e religiosi in Piemonte;
- “In Compagnia del Teatro”, rivolto a stagioni e a rassegne in Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria.
- “In Compagnia della Musica”, rivolto a stagioni e a rassegne in Piemonte, Valle
d’Aosta e Liguria.
Lo strumento del bando presenta numerosi aspetti positivi, tra cui:
- la trasparenza e la pubblicità dell’iniziativa, che allargano la platea dei richiedenti;
- la possibilità di comparare - spesso con la collaborazione di una giuria formata da
esperti esterni - iniziative diverse ma analoghe, e quindi più facilmente e obbiettivamente confrontabili l’una con l’altra.
5. L’attività nelle fasi iniziali del processo erogativo è ovviamente essenziale, ma in sé
insufficiente se non accompagnata da strumenti di verifica e rendicontazione in
itinere e da una valutazione consuntiva ex post. La valutazione ex post è particolarmente importante in quanto possa avere effetti di retroazione e generare processi
di apprendimento all’interno della struttura. La Compagnia ha avviato iniziative
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importanti sul terreno della valutazione consuntiva. In particolare ha in corso, grazie anche a una consulenza esterna, una attività ad ampio spettro di analisi dei costi
e dei risultati degli interventi di restauro e di ristrutturazione. Un’altra valutazione
ex post, anche in questo caso condotta da competenze esterne alla Compagnia in
dialogo con gli uffici, è quella relativa al programma Oncologia. Più generalmente, la Fondazione ha sostenuto e sostiene i soggetti italiani che mostrano la capacità di costruire e diffondere una cultura della valutazione.
6. Il documento programmatico previsionale della Compagnia per il quadriennio
2001-2004 invita a “considerare l’azione tra i settori rilevanti anche alla luce della
capacità di creare sviluppo economico attraverso la predisposizione dei fattori che
lo rendono possibile, ovvero attraverso la creazione o il rafforzamento di fattori
competitivi”. Lo sviluppo del potenziale tecnico e scientifico, il rilancio dell’attività culturale del sistema territoriale, la formazione o l’attrazione di capitale umano
sono i principali strumenti attraverso i quali la Compagnia ambisce a concorrere
allo sviluppo economico del territorio in cui essa opera. Riteniamo che questo concorso, soltanto in apparenza indiretto, sia il miglior modo di partecipare alla creazione delle premesse culturali e ambientali, senza le quali l’ulteriore sviluppo economico di un’area avanzata non è possibile.
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Cerimonia inaugurale
ti rilevanti e talvolta ingenti, hanno saputo elaborare un ricco strumentario capace di affrontare le scelte, le decisioni e le strategie che loro competono. Confido
che nei prossimi mesi, dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, il quadro
normativo si definisca e si precisi in modo da ricondurre l’attività delle Fondazioni entro le regole rigorose e illuminate che la legge Ciampi aveva definito. Formulo dunque, per concludere, l’auspicio che l’orizzonte ritorni finalmente sereno
dopo le polemiche di cui, negli ultimi tempi, le Fondazioni sono state oggetto,
polemiche inconcludenti e sterili nella migliore delle ipotesi, disinformate e strumentali nella peggiore.
7. Quanto alla gestione del patrimonio, il Consiglio generale della Compagnia ha
elaborato una strategia di investimento, definendo obbiettivi e vincoli su un orizzonte temporale di medio termine. Tra gli obbiettivi, emergono la conservazione
del valore reale del patrimonio; il suo possibile incremento, con il fine dell’equità
tra le generazioni presenti e future; la stabilizzazione nel tempo delle risorse destinate agli interventi istituzionali. Ne discende una allocazione strategica del patrimonio che ne assegna una quota (determinandone anche le possibili oscillazioni in
più o in meno) alle diverse attività: azioni bancarie, azioni di altre imprese, obbligazioni, hedge funds, liquidità, private equity. La strategia generale è determinata
con la consulenza di un advisor esterno; l’attuazione di questa strategia è stata ed
è progressivamente affidata a gestori professionali.
8. La Compagnia di San Paolo, al pari di altre Fondazioni di origine bancaria, ha
dunque progressivamente messo a punto metodi intesi ad assicurare l’efficacia e
l’efficienza dei suoi interventi. Dalla riforma Amato in poi, le Fondazioni, create
da un tratto di penna del legislatore e subito trovatesi a gestire patrimoni e reddi58
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Edoardo Patriarca,
Portavoce del Forum Permanente del Terzo Settore
Ringrazio l’ACRI per l’invito, ringrazio il Presidente Guzzetti per l’occasione che ci
viene data di essere qui presenti al vostro Congresso.
Il Forum Nazionale del Terzo Settore è una delle maggiori reti nazionali del non profit italiano, raccoglie più di 120 organizzazioni e ne fanno parte le più grandi realtà di
volontariato, di associazionismo di promozione sociale, imprese sociali, centri studi e
fondazioni e, non da ultimo, le principali organizzazioni di cooperazione internazionale. Sono quasi 10 milioni i cittadini che, a vario titolo, ne fanno parte.
Il ringraziamento è cordiale e al tempo stesso fortemente motivato; la nostra presenza
sottolinea la scelta, oramai definitiva e irrinunciabile, che le Fondazioni hanno compiuto in questi anni: essere soggetti di diritto privato che a pieno titolo fanno parte di
quel vasto progetto che nei nostri documenti abbiamo voluto definire di “infrastrutturazione” della società civile italiana; una società che vogliamo più protagonista e partecipe nella costruzione di quel welfare comunitario e municipale evocato in numerosi documenti e che vedrà, inevitabilmente, le realtà del Terzo Settore sempre più attive e partecipi.
La riforma Ciampi andava in questa direzione, senza ombra di dubbi. Le proposte di
modifica presentate dal Ministro Tremonti, e contenute nella finanziaria del 2002,
sono apparse un ribaltamento di quella prospettiva, neppure coincidente con le indicazioni che provengono dall’Unione europea. Insomma un vero ritorno al passato,
incomprensibile e per nulla entusiasmante. Il principio di sussidiarietà orizzontale,
introdotto nella Costituzione con la riforma del Titolo V, viene così sostanzialmente
invalidato. Fondazioni, dunque, non più di diritto privato, dipendenti dalle amministrazioni locali, con una missione confusa che le vede impegnate in una tale molteplicità di settori (dalle opere pubbliche al sostegno alla ricerca spirituale; dalla sicurezza
alla beneficenza e filantropia) da rischiare l’annullamento della loro identità, fino a trasformarle in una sorta di nuove municipalizzate.
Da qui la decisione, presa assieme al Summit della Solidarietà, di avviare una campagna di sostegno a favore delle Fondazioni. Ricorderete la pagina-manifesto pubblicata
sui più grandi quotidiani nazionali che sappiamo ha raccolto consensi e favori da gran
parte dell’opinione pubblica. Ci siamo infine costituiti parte civile presso il TAR del
Lazio al ricorso dell’ACRI. Attendiamo, anche noi fiduciosi, la sentenza della Corte
Costituzionale. E non possiamo, in questa occasione, non ringraziare del sostegno
ricevuto dalle forze politiche, di maggioranza e di opposizione, da senatori e deputa61
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ti. In particolare Roberto Pinza, Luca Volontè, Bruno Tabacci, oggi presenti al vostro
convegno impegnati, con competenza e determinazione, in una politica di “riduzione
del danno”, per usare una terminologia cara agli operatori che lavorano nella prevenzione delle tossicodipendenze.
Va difeso il percorso compiuto e il patrimonio di esperienze accumulato dalle vostre
Fondazioni: capacità progettuale di intervento nei territori; costruzione di reti di relazioni con le realtà del Terzo Settore; un rapporto di pari dignità e autonomia reciproca con gli enti locali e con gli enti pubblici in generale. Va difesa altresì la credibilità
e autorevolezza che vi siete conquistati sul campo: la gestione trasparente delle erogazioni, i bandi pubblici, la compilazione dei bilanci sociali, la maturazione di competenze professionali di grande qualità nella gestione dell’attività erogativa.
Per parte nostra non possiamo che confermare questa alleanza, con l’auspicio che le
Fondazioni sempre più trovino legittimità e autorevolezza, anzitutto nelle società civili di cui fanno parte, nei territori su cui insiste la loro attività istituzionale.
Chiediamo il sostegno a questo Terzo Settore che in Italia fatica a crescere e a svilupparsi; ad un Terzo Settore chiamato ad assumersi compiti e responsabilità sempre maggiori nella difesa, se non nell’incremento, di quei beni comuni oggi sempre più minacciati; di quel capitale sociale che sappiamo strategico affinché il nostro Paese rimanga
competitivo e al passo con l’Unione Europea.
Un Terzo Settore che attende di svilupparsi, anche nella veste di imprenditore sociale: una realtà che già oggi produce beni e servizi con qualità, competenza e professionalità, e che attende ancora l’approvazione in Parlamento della legge sull’impresa
sociale.
Chiediamo altresì un sostegno a tutte le organizzazioni che sostengono l’inclusione
sociale e la fuoruscita delle povertà tuttora in aumento, come indicano gli ultimi dati
Istat. Questo Paese ha troppi poveri e, visto le politiche di restringimento della spesa
sociale e le politiche “faticose” sul Welfare condotte dal governo nazionale, chiediamo
a voi Fondazioni che questo impegno venga mantenuto e incrementato.
Chiediamo - negli interventi precedenti è stato già detto - un sostegno al Sud. La
società civile del Mezzogiorno è una realtà - per come la conosciamo noi - attiva e presente, purtroppo con poche risorse. A nostro parere un ruolo determinante può essere assunto dalle Fondazioni che possono davvero costruire alleanze e premiare quella
società civile, soprattutto i giovani, che nel Sud cerca di costruire imprese sociali, oggi
troppo spesso impedite nell’accesso al credito.
Non da ultimo, un sostegno anche ai progetti di cooperazione internazionale. In questi mesi abbiamo parlato di globalizzazione, di solidarietà, di beni comuni: le organiz62
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zazioni impegnate nei progetti di cooperazione hanno difficoltà a reperire fondi adeguati per condurre a conclusione i propri progetti nel sud del mondo; non sempre il
Parlamento e il Governo riservano loro adeguate attenzioni nonostante le ripetute
dichiarazioni di sostegno.
Mi avvio alla conclusione, ringraziando ancora una volta per l’invito, confermando la
volontà e il desiderio, per quanto ci sarà possibile, di rafforzare la collaborazione con
l’Acri sui temi di interesse comune. E sono tanti.
Rinnovo stima ed amicizia al presidente Guzzetti e Vi auguro buon lavoro.
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Ilaria Borletti,
Presidente del Summit della Solidarietà
Prima di tutto vorrei ringraziare per questo invito. Vi porto il saluto del Summit della
Solidarietà e delle associazioni che in esso si ritrovano. Il Summit raggruppa delle associazioni operanti nel campo socio-assistenziale sanitario e della ricerca scientifica, sigle
che credo tutti voi conoscete come Telethon, Sclerosi Multipla, Federazione contro
l’Alzeihmer, Telefono Azzurro e così via. Le associazioni che noi rappresentiamo vivono in buona parte di donazioni, uno degli scopi del Summit della Solidarietà è stato
quello di promuovere la crescita di un Terzo Settore trasparente ed efficiente, ma perché un Terzo Settore possa crescere, in modo trasparente ed efficiente, sono necessarie
delle risorse, e come dico, buona parte delle associazioni che io qui rappresento, vivono di donazioni.
In Italia è molto difficile avere delle risorse, abbiamo delle leggi fiscali, contrariamente a quanto avviene in tutti i paesi europei, totalmente inadeguate per chi fa donazioni al Terzo Settore, ma anche una legge quadro e, non esistono quei trust, come esistono nel mondo anglosassone, familiari, che tanto hanno fatto per il sociale in quei
paesi.
Da una nostra rilevazione, circa il 50% delle donazioni private viene dalle Fondazioni bancarie. Ecco perché questo rapporto - ringrazio ancora per questo invito che mi
pare oggi lo sancisce - è fondamentale per la nostra sopravvivenza, è un rapporto che
deve crescere, è un rapporto di fronte al quale noi ci impegniamo a seguire regole sempre maggiori di trasparenza, è un rapporto che ci ha fatto scendere al vostro fianco, per
garantire la vostra indipendenza e la vostra natura privatistica. Io non posso che concludere, augurandovi buon lavoro, e ricordandovi che la strada della solidarietà è una
strada che io credo rappresenti una grande scommessa per il terzo millennio. E credo
che sia una strada che, accanto a quella della cultura, accanto a quella della lingua,
accanto a quella della moneta, contribuisca a rendere questo nostro Paese più europeo.
Il vostro ruolo, insieme a noi, per costruirla è fondamentale. Grazie.
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Giorgio Vittadini,
Presidente della Compagnia delle Opere
Vorrei toccare, in questo breve intervento, tre punti fondamentali, che credo trascendano, nella battaglia delle Fondazioni bancarie, le Fondazioni stesse, costituendo qualcosa di fondamentale nella vita economica e politica del nostro Paese in questi ultimi
anni.
Per prima cosa, l’idea di autonomia. Il Consiglio di Stato, il primo luglio 2002, sulla
proposta di regolamento della riforma Tremonti, ha così sancito: il modello di riferimento delle Casse di Risparmio era caratterizzato dalla funzione di agevolare e raccogliere risparmio dei ceti medio piccoli, di sostenere le iniziative locali di questi medesimi ceti, sulla base della concezione del risparmio come valore guida. Di tale origine
si trova ancor oggi traccia, nelle finalità di utilità sociale di promozione dello sviluppo
economico, che l’attuale normativa assegna alle Fondazioni bancarie.
In un passaggio successivo si dice: il patrimonio accumulato nel corso dei decenni
dalle banche pubbliche ecc., appartiene moralmente, anche se non giuridicamente,
alle collettività dei depositanti risparmiatori e dei beneficiari del credito, prima e più
che agli enti esponenziali delle collettività locali.
Questo costituisce, secondo me, uno dei primi punti in cui la sussidiarietà orizzontale, dopo 50 anni di democrazia parlamentare, viene sancita con chiarezza nel nostro
Paese. Si afferma cioè che la rappresentanza democratica non è solo quella costituita
dai partiti o quella verticale delle elezioni ma, oggi finalmente si dichiara apertamente - probabilmente anche grazie all’emendamento sulla costituzione - che ci sono
anche altre forme come le Camere di Commercio, le Università, le Fondazioni bancarie. Contrariamente a quello che è stato detto a questo proposito da autorevoli politici, addirittura sui giornali nazionali, la rappresentanza elettiva non è l’unica forma di
rappresentanza. Il nostro è un Paese democratico e pluralista proprio perché le forme
di rappresentanza sono diverse. Se tutto diventasse parte della battaglia partitica, si
arriverebbe alla paralisi, all’obbligo a priori di schierarsi da una parte o dall’altra. Invece ci sono realtà che esistono al di là e prima degli schieramenti, realtà che sono di
tutti, che sono di una collettività sociale capace di convivere e cooperare. Ribadire questo è un grande merito della battaglia che si sta facendo sulle Fondazioni bancarie, perché riafferma concretamente la possibilità di costruire, pur nella diversità, prima di
tutto, un’unità, di conservare il patrimonio comune che risiede anche in un pluralismo istituzionale.
Il secondo passaggio di cui voglio parlare, è il tema di questo Congresso: la creazione
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di valore per le Comunità locali, perché anche qui è racchiuso un problema fondamentale. Quando si parla di etica o di problemi come tutta la battaglia delle Fondazioni, si parla sempre di distribuzione della ricchezza. Ma il primo problema è crearla
questa ricchezza, altrimenti si finisce per cercare di “spolpare” qualcosa, senza pensare
a come rigenerarlo. Quando si parla di etica dell’economia si pone sempre l’accento su
come ripartire, su come dividere. Ma, il problema vero è: come si crea la ricchezza? Le
Fondazioni bancarie, grazie alle banche, e al modo con cui sono state amministrate,
anche negli ultimi anni, hanno moltiplicato la ricchezza.
Io sono cattolico e penso che la parabola dei talenti esprima un principio universale.
E allora, credo che dovremmo pensare di più a chi crea, investe, produce. Per cui il
primo dibattito non deve riguardare come si dividono lavoro e capitale, ma come lavoro e capitale creano ricchezza per il paese e quindi come vengono organizzati, prima
ancora che divisi.
Anche alcune ideologie massimaliste, liberiste o di stampo marxista non pongono
innanzitutto il problema su come i mezzi di produzione umani e tecnologici, insieme,
generano ricchezza. Un sistema paese riguarda proprio il modo di coordinare le forze
in unità. Fossilizzarsi sui soliti dibattiti, non permette di riflettere su come si superano le crisi. E questo è il tema delle Fondazioni, del sistema bancario e delle Fondazioni, che non hanno solo amministrato un patrimonio, ma soprattutto in questi ultimi
anni, proprio in virtù del pluralismo di personale che le hanno popolate - dai premi
Nobel fino ai finanzieri - hanno generato ricchezza.
Quando si parla di riforme, bisognerebbe prima di tutto domandarsi come si può
costruire. E se, ad un certo punto, emerge la proposta di eliminare la figura di chi
amministra la ricchezza - come è stato a un certo punto nel dibattito - avremo sempre
un problema di rendita e non di profitto.
Il terzo punto riguarda un’idea di pubblico che, finalmente - e lo vediamo anche nei
pronunciamenti di questi giorni della Corte Costituzionale - è diversa da quella
comunemente in uso: l’idea di pubblica utilità, cioè, di pubblico che non è gestito
dallo Stato, ma dove “pubblico” si riferisce a qualunque realtà che serve la pubblica
utilità. Questo è un concetto ormai da tempo sancito anche dagli organismi di contabilità internazionale. E nel nostro Paese è addirittura storia, perché scuole, ospedali,
opere di assistenza, ma anche banche, sono state le banche della collettività, del bene
comune.
Io ricordo sempre che le Casse di Risparmio hanno sempre avuto al centro un Comitato di beneficenza, perché la gente le sentivano proprie, non dell’istituzione (comune,
signoria o Stato che fosse), ma della gente. Nel nostro patrimonio c’è questo.
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Ora, questa idea di pubblica utilità deve vincere, perché è anche un modo con cui si
supera l’antinomia tra privato e Stato: non c’è solo il privato e lo Stato, ci sono delle
forme intermedie, c’è un arcobaleno di forme proprio dato da questa possibilità di trovare una pubblica utilità, in realtà private.
Le Fondazioni bancarie sono il cuore di tutto questo, perché sostengono la pubblica
utilità non solo nell’assistenza e nella sanità, ma nella creazione di ricchezza, quello
che, oggi come oggi, è pensato come qualcosa di puramente speculativo.
Penso che la Corte Costituzionale, intervenendo su questo tema, abbia toccato un
punto fondamentale, che potrebbe subito estendersi alle pubbliche utilità come ad
esempio l’energia.
Il tema è complesso, basti pensare infatti alle conseguenze che avrebbe una privatizzazione, dove ad esempio il soggetto gestore non fosse costretto a investire nella manutenzione di una rete di distribuzione del gas. Si genererà pian piano, non una concorrenza con i suoi benefici, ma un indebolimento della base produttiva.
In conclusione, affermare che le Fondazioni bancarie hanno una pubblica utilità, sono
cioè realtà private, ma di utilità pubblica, genera una nuova chiave di lettura nel dibattito che può permettere di arrivare a uguali soluzioni dal punto di vista legislativo ed
economico, rendendo finalmente giustizia a una storia che ci ha offerto qualcosa di
molto più ricco sul piano giuridico, economico e sociale e non può essere ridotto ad
un semplice dibattito tra liberisti e statalisti. Siamo molto più ricchi, molto più vari,
molto più fantasiosi.
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Giuseppe Guzzetti,
Presidente dell’Associazione fra le Casse di Risparmio Italiane
Tre anni fa, il 18° Congresso di Torino si è svolto in un clima di positiva attesa, di ottimismo e di un forte impegno degli amministratori per il futuro delle Casse e delle
Fondazioni.
La riforma “Ciampi”, a lungo e faticosamente discussa in Parlamento, era finalmente
legge e noi volevamo dare una buona attuazione alla riforma; rifare gli statuti ed avviare le Fondazioni per un percorso nuovo e inesplorato, certo non facile, per sviluppare
un soggetto, in larga misura “nuovo”, dalle grandi potenzialità per il Paese e per la
società civile.
La mozione conclusiva era proiettata verso il futuro; ritenevano di avere davanti un
periodo sufficientemente lungo per attuare la riforma.
La mozione si articolava su tre temi:
1. rapporto Fondazioni/società conferitarie con particolare riferimento ai processi di
dismissione del controllo e di aggregazione nel sistema bancario;
2. le Fondazioni impegnate ad adottare i nuovi statuti e a ricostituire i nuovi organi;
3. il ruolo dell’ACRI.
***
Quanto al punto 1. possiamo constatare che, per le “grandi banche”, è proseguito il
processo di dismissione del controllo da parte delle Fondazioni e il quadro complessivo, ripetutamente, presentato nei Rapporti annuali, in particolare nel 7° Rapporto
concernente l’anno 2001, presenta risultati positivi.
A confermare che l’impegno del 18° Congresso è stato mantenuto ed attuato – senza
dilungarmi in minuziose analisi - citerò il giudizio del Governatore Antonio Fazio,
nelle considerazioni finali delle Assemblee annuali di Bankitalia degli ultimi due anni.
Anno 2002:
“Le Fondazioni di origine bancaria hanno svolto un ruolo essenziale per il consolidamento del sistema, procedendo a uno smobilizzo graduale della proprietà delle banche. La cessione delle partecipazioni è avvenuta favorendo il formarsi di nuclei stabili di controllo,
nei quali sono presenti importanti compagnie di assicurazione e qualificati intermediari
esteri.”
“Sono stati fissati dalla legge i criteri per la nomina dei membri degli organi di indirizzo.
Essi verranno designati in misura prevalente dagli enti territoriali dell’aerea di riferimento della Fondazione.
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Il concetto di prevalenza indica una percentuale superiore al 51 per cento. Un rapporto che
non si discosti dal 60 per cento tiene conto dello spirito della legge; può costituire una equilibrata soluzione per la presenza della società civile.
Nelle Fondazioni a carattere associativo il 50 per cento dei componenti dell’organo di indirizzo è nominato dall’assemblea, il rapporto definitivo per le Fondazioni a base istituzionale si applica alla parte restante.”
Anno 2003:
“Le Fondazioni hanno svolto un ruolo rilevante nella riorganizzazione e privatizzazione
del sistema creditizio. È essenziale garantire continuità al ruolo svolto in quanto enti di
natura privata con fini di utilità sociale.”
Siamo grati al Governatore, Antonio Fazio, per l’attenzione che ha sempre dedicato ai
nostri problemi e ringrazio sentitamente anche a nome di tutti gli associati il Governatore della Banca d’Italia per gli apprezzamenti espressi a favore delle Fondazioni e delle
Banche: in questi anni, infatti, le Fondazioni e le Casse sono state protagoniste della
profonda trasformazione ed evoluzione del sistema bancario italiano.
Possiamo ora dire, anche con orgoglio, che si è ampiamente realizzato il disegno strategico indicato anni fa dalla Banca d’Italia: liberamente, senza forzature e senza schemi predefiniti, le Casse hanno contribuito alla nascita e al rafforzamento di grandi
gruppi bancari nazionali che ora si stanno espandendo anche a livello europeo.
Alcune Casse hanno contribuito a realizzare importanti gruppi bancari regionali, mentre altre sono rimaste autonome banche locali.
Tutte le Casse hanno, comunque, seguito logiche imprenditoriali ed hanno elaborato
e sviluppato buoni progetti industriali.
Nella distinzione dei ruoli, le Fondazioni sono diventate investitori istituzionali che
hanno dismesso il controllo in quasi tutte le rispettive banche; le poche piccole Casse,
dove le rispettive Fondazioni mantengono una posizione azionaria maggioritaria, rappresentano una quota di mercato nazionale non significativa.
Questo brillante consuntivo deriva innanzitutto dalla libertà di scelta che la legge
“Ciampi” ha assicurato al mondo delle Casse.
Raggiunti gli obiettivi strategici della legge “Ciampi”, riteniamo concluso anche il processo di intervento delle istituzioni ad ogni livello sulle Fondazioni di origine bancaria e sulle loro residue partecipazioni bancarie, che debbono essere ora valutate solamente per i risultati economici man mano raggiunti.
Non dobbiamo poi dimenticare che in questi anni così difficili per l’economia mondiale, le Fondazioni di origine bancaria stanno ottenendo gran parte dei loro redditi
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Cerimonia inaugurale
proprio dalle partecipazioni bancarie, che rappresentano una solida cassaforte per una
parte dei loro patrimoni, quando i tassi sui titoli del debito pubblico sono invece bassissimi e difficilmente le nuove emissioni permettono il raggiungimento degli obiettivi strategici che la legge “Ciampi” ha giustamente imposto alle Fondazioni: innanzitutto la difesa dei loro patrimoni ed al tempo stesso la loro adeguata redditività.
Le eventuali ulteriori dismissioni di parti delle loro residue partecipazioni bancarie,
che fossero in futuro liberamente decise dalle Fondazioni, dovranno tenere in adeguato conto, innanzitutto, la difficoltà di allocare in modo ugualmente adeguato le risorse patrimoniali.
La dinamicità del mondo delle Casse e la lungimiranza degli amministratori delle Fondazioni sono stati, quindi, fra i fattori determinanti per scuotere la foresta bancaria che
si era pietrificata con la legislazione del ventennio fascista.
La fase delle privatizzazioni per molte Casse ha rappresentato anche un ritorno alle origini, perché le Casse sono nate proprio con soli fondi privati, e sono cresciute esclusivamente con le proprie risorse, senza privilegi o aiuti di Stato.
Ora, dopo la legge Amato e dopo la fase delle privatizzazioni delle Casse e, d’altro
canto delle Fondazioni, determinata irreversibilmente dalla legge “Ciampi” e dalla sua
applicazione, si è realizzato anche il pieno superamento di una categoria bancaria,
quella delle vecchie Casse di Risparmio enti, che in termini giuridici non esiste più
come ben recita il Testo unico bancario. Conseguentemente non esiste più un contratto ACRI per i dipendenti delle Casse per le quali vige il contratto stipulato unitariamente dall’ABI.
Ugualmente significativa è stata in questi ultimi anni la scelta delle Casse medie piccole autonome o capogruppo di gruppi creditizi, facenti parte dei “quartili” dell’ABI,
di promuovere aggregazioni elettorali fra ACRI, l’Associazione “storica” delle Banche
private, ASSBANK, e quella delle Banche estere, AIBE, con le quali si sviluppa anche
un’interessante programma di convegni su materie di cultura economica e di tecnica
bancaria.
Pertanto attendiamo ora dal legislatore non più provvedimenti mirati per il mondo
delle Casse, ma regole comuni a tutto il sistema bancario col rispetto dovuto a tutti gli
azionisti privati o istituzionali.
Con ABI in questi anni i rapporti sono stati ottimi e collaborativi, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze. Desidero ringraziare il Presidente, dott. Maurizio Sella,
e il Direttore, dott. Giuseppe Zadra, graditi ospiti al nostro Congresso.
Mi sia consentito un particolare saluto e complimenti calorosi per il dott. Camillo
Venesio recentemente insignito del Cavalierato del lavoro.
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Cerimonia inaugurale
Pure intensa, come ho ricordato, la collaborazione con il prof. Tancredi Bianchi, presidente Assbank e il direttore, dott. Lorenzo Frignati; Li ringrazio per la loro sempre
squisita disponibilità.
Ultima, ma non ultima, riflessione sull’attività delle Casse vogliamo dedicarla alle attività internazionali alle quali l’ACRI partecipa soprattutto a livello europeo e che contribuiscono ad ampliare le nostre prospettive e relazioni, utili per alcuni aspetti anche
alle Fondazioni e da esse crescentemente frequentate.
***
Nella mozione del 18° Congresso vi era uno specifico riferimento alle “banche di
minori dimensioni che intendono mantenere un forte collegamento col territorio: per questi territori le attività economiche ivi presenti hanno come naturale riferimento finanziario le Casse; tale rapporto non può essere reciso per realizzare un astratto modello di grandi dimensioni, anzi la nuova economia riserverà in futuro per le banche locali e regionali che possono ricavarsi una nicchia particolare molto redditizia e sostenere lo sviluppo delle
aziende insediate nei loro territori; nella dismissione dal controllo potrà essere favorita una
partecipazione diffusa al capitale”.
Con la finanziaria 2002, dopo una lunga attività di sensibilizzazione e di documentazione che ha visto impegnati l’Associazione e gli amici Patuelli e Miglio più direttamente interessati al problema, il Parlamento ha differito dal 15/6/2003 al 15/6/2006
il termine per la dismissione del controllo per le Casse il cui capitale sociale non superi i 200 milioni di euro e per le Casse che operano nelle regioni a statuto speciale.
Abbiamo evitato di recidere i rapporti tra Casse, Fondazioni e territorio, comunità
locali con gravi danni per l’economia e lo sviluppo economico e sociale di quelle
comunità. Abbiamo di fronte un buon arco temporale per approfondire ulteriormente i temi che saranno oggetto di discussione in questo Congresso e per ottenere –auspicabilmente- una normativa legislativa a regime che ridia piena autonomia di decisione alle Fondazioni nel proseguire il proprio processo di dismissione.
***
2. Articolata ed impegnativa era la parte della mozione del 18° congresso dedicata alle
Fondazioni.
Premesso un giudizio “complessivamente” positivo sulla riforma legislativa che aveva
riconosciuto che le Fondazioni sono “soggetti privati” e per gli “spazi di autonomia”
garantiti alle Fondazioni; si auspicava una “rapida conclusione della fase di approvazione degli statuti” ed “un rapporto collaborativo con l’Autorità di Vigilanza”.
***
La rapida conclusione del processo di riforma degli statuti e di ricostituzione degli
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organi era, nelle intenzioni del 18° Congresso finalizzata, al perseguimento di una
serie di obiettivi di cambiamento della identità della Fondazione, del modo di perseguire le finalità indicate nella legge e negli statuti (perseguire obiettivi di utilità sociale e di promozione allo sviluppo economico e sociale); dei rapporti tra Fondazione ed
enti locali elettivi e società civile, con particolare riferimento al terzo settore e al volontariato. In particolare questi obiettivi, se vogliamo un ambizioso traguardo, erano così
delineati: creare e diffondere in Italia una cultura delle Fondazioni come soggetti privati eticamente motivati che perseguono cause meritorie per il miglioramento delle
condizioni di vita dei cittadini e delle comunità.
In sintesi, ricordo, alcuni qualificanti contenuti della mozione:
- Le Fondazioni devono essere libere di sviluppare una propria identità autonoma,
non nell’isolamento, ma in un corretto rapporto con gli enti locali e le istituzioni
private della società civile;
- il rispetto dell’autonomia delle Fondazioni è una condizione indispensabile perché
nell’attuare iniziative di pubblica utilità si possa affermare un pluralismo istituzionale - pubblico e privato - che costituisce una caratteristica essenziale dei sistemi
sociali basati sul principio di sussidiarietà (ricordo che nel 2000 non era stato
ancora modificato il titolo V della Costituzione e non era stato approvato il nuovo
art. 118 che ha costituzionalizzato, accanto alla sussidiarietà verticale (tra le istituzioni pubbliche: Stato, Regioni, Province, Comuni città metropolitane), la sussidiarià orizzontale (soggetti privati e soggetti pubblici);
- le Fondazioni debbono assumere un “nuovo” ruolo non sostituendosi all’azione
pubblica né rimpiazzare l’azione di altre organizzazioni del Terzo Settore; ma devono diventare un soggetto in grado di individuare e sostenere le migliori iniziative,
i progetti più promettenti, le organizzazioni con le più elevate potenzialità per
risolvere in modo innovativo i problemi sociali, economici e culturali delle comunità di elezione;
- la comunità locale, senza limitare l’autonomia delle Fondazioni, è il luogo principale di azione delle Fondazioni;
- l’impegno per le Fondazioni ad adottare stili di azione trasparenti e partecipati,
mediante un’aperta attività di informazione e di comunicazione perché le Fondazioni, sia nella gestione del patrimonio che nella attività erogativa, siano trasparenti e sia possibile il controllo democratico da parte dei cittadini, enti pubblici e
privati; controllo di gran lunga più valido ed efficace di controlli burocratici e cartacei.
La mozione conteneva un impegno per sostenere iniziative al Sud, mediante il finan75
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ziamento di progetti mirati e finanziati dalle Fondazioni del centro-nord, in ragione
di una condizione storica ed oggettiva che le regioni del Sud sono prive di Fondazioni o vi operano Fondazioni con ridotte capacità erogative.
Questo impegno per il Sud è stato pienamente realizzato col progetto Nord/Sud lanciato e coordinato dall’ACRI: una iniziativa di grande significato solidaristico; un’iniziativa del tutto volontaria ed autonoma che impegnerà circa 26 milioni di euro per
finanziare i distretti culturali. In queste settimane saranno pubblicati i bandi per raccogliere le richieste di finanziamento e l’iniziativa entrerà nella sua fase attuativa in collaborazione con le Fondazioni del Sud, le Regioni e gli enti locali.
Ricordo un’altra iniziativa assunta spontaneamente e immediatamente da tutte le Fondazioni associate in ACRI e dalla Compagnia S. Paolo: mi riferisco alla sottoscrizione
di un fondo a favore delle vittime dell’11 settembre per l’attentato terroristico a New
York. Le risorse raccolte che ammontano a oltre 2 milioni di euro vengono gestite in
USA, dalla NIAF, associazione rappresentativa degli italoamericani.
Dopo la riforma Ciampi le Fondazioni hanno proceduto con celerità ad adottare gli
statuti, a ricostituire gli organi e si sono avviate per un percorso non facile, che ha visto
impegnati amministratori vecchi e nuovi con grande dedizione e con la consapevolezza di partecipare ad un evento storico: quello di creare - sulle radici antiche della assistenza e beneficenza svolte per secoli dalle Casse di Risparmio, dalle Banche dei Monti
e dagli Istituti di credito pubblici - un nuovo soggetto sociale che operasse nella società civile per migliorare la qualità e le condizioni di vita dei cittadini, dando una particolare attenzione ai bisogni dei soggetti sociali a rischio di emarginazione e di esclusione e fornendo un contributo importante alla promozione dello sviluppo economico locale.
Questo percorso, appena avviato, si è interrotto per le nuove disposizioni legislative
introdotte dall’art. 11 della L. 448/2001.
I due anni (2002 e 2003) sono stati caratterizzati da una situazione di incertezza e di
difficoltà.
***
3. L’ACRI
Il 18° Congresso ha impegnato l’Associazione ad essere “un luogo aperto alla discussione, all’incontro anche con altri soggetti del Terzo Settore”. Innanzitutto abbiamo
portato avanti il confronto con le Fondazioni di origine bancaria non associate, perché anch’esse si associassero in ACRI. Il risultato è stato positivo: in questi tre anni
hanno aderito all’associazione importanti Fondazioni, prima non associate: sono ritor76
Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
nate in ACRI le Fondazioni Cariverona e Cassamarca, Trento e Rovereto, dopo alcuni anni di assenza; hanno aderito quali soci ordinari alcune Fondazioni precedentemente solo “aggregate”; le più recenti adesioni delle Fondazioni Monte dei Paschi di
Siena e Cassa di Risparmio di Roma, entrambe con una grande storia e tradizione alle
spalle, hanno dato una più significativa rappresentatività alla nostra Associazione.
Rimane la Fondazione Compagnia di San Paolo di Torino di cui siamo lieti e onorati
di avere ospiti, al nostro Congresso, il Presidente, prof. Onorato Castellino, e il Direttore generale, dottor Piero Gastaldo.
In questi anni tra la nostra Associazione e la Fondazione Compagnia di San Paolo vi
è stato una concordanza di azione e di attività che ha consentito di realizzare assieme
importanti iniziative: la campagna nazionale di informazione sulle attività delle Fondazioni di origine bancaria; la raccolta di fondi per le vittime dell’11 settembre; il progetto Nord/Sud; le iniziative giudiziarie che hanno portato l’art. 11 all’esame della
Corte Costituzionale.
Sono dunque ottimi i rapporti e la comunanza di obiettivi e di azione tra noi e la
Compagnia di San Paolo.
Il caldo auspicio è che anche la Compagnia di San Paolo possa, finalmente, far parte
dell’ACRI; lavoreremo perché questo tempo maturi rapidamente.
***
In questi tre anni forte è stato l’impegno delle donne e degli uomini della nostra
Associazione (dal direttore generale Marchettini, al Vicedirettore del Castello a tutti
i nostri collaboratori) che lavorano con passione e generosità vivendo i nostri stessi
ideali.
Si sono realizzati momenti comuni con tutte le associate; momenti di riflessione e di
analisi dei modelli operativi e di confronto con le migliori esperienze regionali, attraverso i convegni, i seminari e le attività di formazione e di informazione che in questi
anni sono stati numerosi sia a Roma che nelle sedi regionali e periferiche. Ai nostri collaboratori va il nostro sincero e sentito ringraziamento.
Con la recente riforma dello statuto si è riconosciuto l’aumentato peso delle Fondazioni, ma è stata mantenuta la presenza delle Casse secondo una importante continuità
storica.
L’ACRI ha svolto una efficace azione di sensibilizzazione e di documentazione sia a
livello parlamentare che governativo, sia a livello di informazione di enti e pubblica
opinione.
Sono nettamente migliorati i nostri rapporti con la stampa, che ringrazio.
Ringrazio l’addetta alla comunicazione, Linda di Bartolomeo, per il lavoro svolto.
77
Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
Abbiamo anche svolto un’importante azione di raccordo con gli organismi internazionali, sia per le Casse di Risparmio che per le Fondazioni. In particolare, nel rispetto dell’autonomia delle singole associate, abbiamo sollecitato la più ampia adesione
all’EFC (European Foundation Centre) l’unico organismo europeo rappresentativo
delle Fondazioni ed interlocutore dell’Unione europea che ha recentemente svolto il
proprio Congresso dall’1 al 3 giugno a Lisbona.
***
Devo essere rispettoso del Congresso: saranno le relazioni tutte di alto profilo culturale e scientifico, per le quali ringrazio i relatori che tratteranno il tema del Congresso:
“Banche private e Fondazioni europee: autonomia e creazione di valore per le comunità
locali”, la discussione e la mozione finale fisseranno le linee guida e di azione della
nostra associazione per il prossimo triennio.
Tuttavia credo debba spendere alcune considerazioni sulla situazione attuale delle Fondazioni nel contesto nazionale ed internazionale, in particolare europeo, nel quale le
Fondazioni operano.
Vogliamo, nonostante le presenti difficoltà, guardare al futuro sia a livello europeo che
nazionale.
La prossima approvazione della Costituzione europea è un evento importante per le
Fondazioni, le quali potrebbero trarre una nuova spinta per il loro operato, dalla definizione a livello comunitario di uno statuto delle Fondazioni, alla cui stesura è opportuno che le Fondazioni partecipino attraverso i competenti organismi internazionali,
anche sulle basi della proposta predisposta dall’European Foundation Centre: è indispensabile che le Fondazioni italiane diano un forte contributo agli organismi e alle
iniziative internazionali.
***
La costituzione dello Stato federale è ormai irreversibile e la nostra presenza a livello
territoriale, instaurando forti e costruttive relazioni con Regioni ed Enti locali, deve
rafforzarsi e creare positive occasioni di reciproche collaborazioni.
La nostra Associazione si è mossa, sul piano organizzativo in tale direzione con la costituzione delle consulte territoriali.
***
È del tutto evidente che le vicende delle Fondazioni di origine bancaria sono state e
saranno influenzate, in modo determinante, dall’art. 11 L. 448/2001 attualmente al
giudizio della Corte Costituzionale. Innanzitutto attendiamo serenamente l’esito del
giudizio in corso. Anticipo subito che saremo rispettosi delle decisioni che la Corte
Costituzionale, nel sua superiore giustizia, come giudice delle leggi, assumerà; so in ciò
78
Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
di interpretare il sentimento e la volontà di tutti gli amministratori delle Fondazioni.
Desidero rivolgere al Collegio di difesa dei nostri legali e a quelli delle Fondazioni che
si sono costituite autonomamente in giudizio, il più sincero e vivo ringraziamento per
l’ottimo lavoro svolto.
La nostra azione e i nostri comportamenti, fin dal lungo e faticoso iter parlamentare
della riforma “Ciampi” e della sua attuazione, sono sempre stati improntati ad uno
spirito di buona volontà e di collaborazione per dare attuazione alla riforma ed a tale
spirito ci atterremo anche in futuro.
Si fa un torto agli amministratori delle Fondazioni, che con serietà e capacità, reggono le singole Fondazioni, ridurre la discussione, il confronto e il dissenso che abbiamo
espresso sull’art. 11, ad una strenua difesa delle loro “poltrone” o ad una preconcetta
polemica col Governo o con il Ministro dell’economia e delle finanze.
A smentire queste banalità basterà ricordare che alle prime uscite del Ministro, Autorità di Vigilanza, (Congresso dell’ABI- giugno 2001, Convegno dell’AREL ottobre
2001), il Consiglio dell’ACRI in documenti ufficiali, ha espresso il proprio assenso ed
apprezzamento per le tesi allora sostenute dal Ministro.
La nostra contrarietà ai contenuti dell’art. 11 L. 448/2001 ha riguardato:
- “prevalenza” di rappresentanti degli enti pubblici nell’organo di indirizzo
- settori erogativi
- nozione di controllo
- decadenza anticipata degli organi in carica ed ordinaria amministrazione.
Quanto agli organi, l’attuazione della riforma “Ciampi” ha visto una positiva e creativa presenza negli organi delle Fondazioni di una paritaria espressione degli enti pubblici locali e di personalità della società civile; non vi sono state prese di posizione critiche o negative dei rappresentanti degli enti pubblici.
Le nostre preoccupazioni per la “prevalenza” introdotta dall’art. 11 sono state espresse, nel loro significato più profondo, da un intervento del collega prof. Onorato
Castellino (Sole 24 Ore - 12 dicembre 2001):
“Non si vorrebbe doverlo leggere quale un elemento nell’ambito di una strategia che sembra avere al suo centro la rivincita della politica sulla “arte della separazione”, il ritorno
di una vecchia identità italiana sui tentativi di innovazione dell’ultimo decennio. È purtroppo possibile leggere in questo senso il cuore normativo dell’emendamento Tremonti prescindendo dai pure importanti contributi che esso dà alla separazione tra Fondazioni e
banche. La previsione di un ruolo prevalente degli enti locali nella designazione degli organi va letta accanto alla definizione di settori che si avvicinano sempre di più a quelli tipici dell’intervento dello Stato, alla previsione di un effettivo conglobamento della spesa
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Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
aggregata delle Fondazioni nella spesa pubblica e infine al nuovo regime delle incompatibilità che allontana dagli organi delle Fondazioni sia le competenze finanziarie necessarie
alla gestione del patrimonio, sia le competenze nelle sfere di attività necessarie alle deliberazioni erogative. L’insieme di queste scelte configura un assetto nel quale l’autonomia delle
Fondazioni sarebbe nei fatti irrimediabilmente vulnerata.”
Non si poteva dire meglio.
Non è senza significato che, immediatamente e spontaneamente, - non certo sollecitati da ACRI - le associazioni del volontariato (Forum del Terzo Settore, Summit della
solidarietà, Italia Nostra, Uneba- Unesco Italia, il Tavolo delle organizzazioni cattoliche per il Terzo Settore, Vita non profit - e personalità come Giulia Crespi e Giorgio
Vittadini e tanti altri, hanno preso posizione segnalando i rischi che derivavano dall’art. 11.
E sull’altro versante della promozione dello sviluppo economico e sociale è importante il voto negativo espresso unanimemente dalla CRUI (Conferenza Rettori Università Italiane) sull’articolo 11.
Ricordo che anche il CNEL ha preso una posizione critica sull’art. 11.
Meglio sarebbe stato consentire alle Fondazioni di dare attuazione alla Riforma
“Ciampi” e porre mano alla riforma del Codice civile per la parte concernente la disciplina delle Fondazioni. La strada da percorrere è, a nostro avviso, quella della riforma
del titolo II del Libro I del Codice civile, per ottenere una disciplina civilistica in materia di Fondazioni più moderna e adeguata anche ai principi della Costituzione come
consacrati nel nuovo titolo V e nell’art. 118.
Nella direzione da noi auspicata si muovono anche le iniziative che a livello europeo,
l’EFC sta portando avanti. La presa di posizione dell’EFC, 12.12.2001- pochi giorni
dopo l’approvazione alla Camera dei Deputati della nuova norma - dovrebbe indurre
ad una seria riflessione non a polemiche : “La maggior parte dei cambiamenti proposti
dal Governo viola drammaticamente l’autonomia delle Fondazioni, ma due sono particolarmente dirompenti:
- le Fondazioni sono obbligate a modificare i loro Statuti e ad attribuire agli enti territoriali la maggioranza delle designazioni dei loro organi di governo;
- le erogazioni delle Fondazioni vengono considerate parte della spesa pubblica.
Le Fondazioni indipendenti sono una parte essenziale del tessuto della Società Civile.
La creazione di Fondazioni private ed autonome in Italia ha colmato il forte divario che
esisteva tra l’Italia e gli altri maggiori Paesi europei.
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Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
Il ruolo che le Fondazioni italiane potrebbero giocare nei loro territori e nel contesto europeo sarebbe enormemente ridotto se i loro statuti, le loro attività ed il loro patrimonio fossero posti sotto il controllo di soggetti pubblici, così come è stato proposto dal Governo.
In una società complessa e moderna come quella europea i bisogni crescenti dei cittadini e
delle comunità sono spesso stati soddisfatti da Fondazioni indipendenti e da altre istituzioni filantropiche che ovunque in Europa operano come partner di governi democratici e
del settore corporate”.
Ed il presidente Prodi, ricevendo l’EFC ha dichiarato: “le 200.000 Fondazioni europee
sebbene diverse tra loro, condividono caratteristiche comuni: le Fondazioni sono enti non
profit indipendenti ed autonomi, con un proprio consiglio di amministrazione, una loro
propria fonte di reddito che deriva, spesso ma non solo, da una dotazione iniziale. Alle
Fondazioni sono stati attribuiti dei beni, dei diritti e delle risorse con lo scopo di assicurare un lavoro ed un impegno per fini di interesse generale: sostenere delle associazioni, delle
istituzioni, o in particolare progetti, e rendere operativi i propri programmi”.
Abbiamo inteso difendere l’identità, la natura ed il ruolo delle nostre Istituzioni.
I nostri patrimoni, in origine erano privati, ed alla loro formazione non hanno concorso né lo Stato né gli enti pubblici. Si tratta di patrimoni realizzati da generazioni di
donne e di uomini che hanno lavorato nelle nostre Casse. “Il patrimonio accumulato
nel corso dei decenni dalle banche pubbliche appartiene, moralmente, anche se non giuridicamente, alla collettività dei depositanti-risparmiatori ed ai beneficiari del credito,
prima ancora e più che agli enti esponenziali delle collettività locali, esso appartiene al
“pubblico” intesa l’espressione, non in senso meramente giuridico, ma in senso prevalentemente macro-economico, come patrimonio della collettività nel suo insieme” (parere
1/7/2002 della Sezione Consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato).
La riforma “Ciampi” e lo stesso art. 11 L. 448/2001 con la definizione che le Fondazioni sono “persone giuridiche private, senza scopo di lucro, con piena autonomia statutaria e gestionale”, non hanno fatto altro che riconoscere la natura privata delle Fondazioni - con tale natura privata, sono in contrasto le disposizioni dell’art. 11 che vorrebbero le Fondazioni, di fatto, enti pubblici asserviti allo Stato e agli enti pubblici
locali.
Mi auguro che chiusa, definitivamente e positivamente per le Fondazioni questa fase,
si possa riprendere il nostro cammino con maggiore serenità.
***
81
Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Cerimonia inaugurale
Cerimonia inaugurale
Desidero, su due aspetti ripetutamente oggetto di discussione, ribadire la posizione
dell’ACRI e delle Fondazioni ad essa associate.
Siamo ripetutamente interpellati, sulla nostra disponibilità a finanziare le infrastrutture pubbliche, statali e locali, ciò è avvenuto anche nel corso di una audizione promossa dal sen. Luigi Grillo, Presidente della Commissione Infrastrutture del Senato.
Nella sede parlamentare, ed in più occasioni, abbiamo precisato la nostra posizione; la
ribadiamo qui. Le Fondazioni sono disponibili a fare la loro parte per ammodernare il
Paese; ad alcune condizioni. Innanzitutto si tratta di definire gli strumenti finanziari
cui destinare i nostri interventi.
Le scelte dovranno avvenire nel:
- rispetto dell’autonomia delle Fondazioni;
- deve trattarsi di investimenti a basso livello di rischio; come impone la “Ciampi”
e l’art. 11;
- la redditività deve essere adeguata (almeno pari a quella ottenuta dagli attuali investimenti) per non penalizzare le erogazioni;
- la priorità degli investimenti deve avvenire nei territori di elezione delle singole
Fondazioni.
***
Per quanto concerne le erogazioni, i tagli alla finanza statale e locale, inevitabilmente,
colpiscono la spesa sociale (cultura, servizi alla persona, povertà, emarginazione), la
domanda sociale più emarginata e più debole, la ricerca.
In un quadro che desta forti preoccupazioni per la qualità della vita dei cittadini e della
comunità, fortunatamente vi è in Italia la presenza di una rete imponente di associazioni, fondazioni, onlus, cooperative sociali - di privati che operano nel sociale - una
presenza che, non solo dà concreta attuazione al principio di sussidiarietà, ma sovente fa supplenza alla mancanza di interventi pubblici. Si tratta di soggetti privati che
hanno buoni progetti, buone idee, coinvolgono milioni di giovani, di persone; creano
occupazione, dispongono anche di risorse economico-finanziarie, ma quasi sempre
mancano delle risorse finanziarie che avviino questi progetti, facciano da volano alle
iniziative.
La funzione che abbiamo scelto è quella, accanto a progetti propri delle Fondazioni,
di finanziare i soggetti privati che operano nel sociale, i loro progetti e le loro idee.
E’ questa la funzione che abbiamo svolto nel passato e che vorremmo svolgere anche
nel futuro, una funzione indispensabile che se venisse meno ridurrebbe gli interventi
dei privati. La nostra preoccupazione è che le Fondazioni, se sarà mantenuto l’art. 11,
siano costrette ad essere enti serventi della spesa pubblica statale e locale, penalizzan82
do il Terzo Settore.
Fino ad ora, anche per una composizione equilibrata degli organi delle Fondazioni,
dove siedono personalità designate da enti pubblici, elette dalla società civile, le Fondazioni hanno destinato le loro erogazioni ad entrambi i soggetti, in modo equilibrato e corretto, tanto che nessuna protesta è venuta dagli enti locali e gli organi delle
Fondazioni hanno dato positivi risultati. La nostra disponibilità a collaborare per
interventi mirati nella ricerca e per il recupero dei beni ambientali e culturali e per le
università è senza riserve.
Quale che sia la decisione della Corte Costituzionale il nostro atteggiamento e i nostri
comportamenti saranno improntati -come fin qui abbiamo fatto- al dialogo e alla collaborazione con tutti i nostri interlocutori pubblici e privati: auspichiamo in particolare, che l’Autorità di Vigilanza eserciti le proprie prerogative in modo costruttivo e
nel rispetto delle funzioni, del ruolo e della natura privata delle Fondazioni.
In questa solenne sede congressuale non possiamo non ribadire che le nostre iniziative, anche in sede giurisdizionale, alle quali siamo stati costretti, in mancanza di accordi o di alternative, sono animate dal sincero impegno di difendere una istituzione privata le cui radici stanno nella società civile e la cui autonomia, per alcune Fondazioni,
si perde nei secoli passati.
Una istituzione che si pone al servizio del Paese in un corretto ed equilibrato rapporto con gli enti pubblici ai quali non sono mai mancati i nostri finanziamenti ed a
sostegno delle iniziative e dei progetti dei i privati che operano nel sociale, in un pluralismo oggi indispensabile per soddisfare i bisogni sociali, la domanda sociale della
nostra società.
83
CONGRESSO NAZIONALE
FONDAZIONI BANCARIE
DELLE CASSE DI RISPARMIO
DELLE
E
SESSIONE DEDICATA
ALLE FONDAZIONI
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
LE FONDAZIONI BANCARIE NELLA PROSPETTIVA DELLA RIFORMA
DEL LIBRO I DEL CODICE CIVILE
Prof. Avv. Mario Nuzzo,
Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo
1. Le grandi trasformazioni indotte dal progressivo estendersi della legislazione europea e dalla più intensa competizione da questa favorita ha determinato, anche nell’ordinamento italiano, un complessivo ripensamento della disciplina delle attività
economiche profit e non profit.
Con riferimento alle prime basterà considerare la riforma delle Società commerciali
volta essenzialmente a creare un ambiente normativo che da un lato favorisca la competitività ampliando l’area di libertà organizzativa e gestionale di quegli enti; dall’altro
garantisca una effettiva ed efficace tutela delle minoranze, dei creditori e del mercato.
Forse è meno noto che il percorso di questa riforma non si è esaurito con l’approvazione del testo riguardante le società commerciali; la stessa Commissione incaricata di
redigere quel testo ha infatti segnalato la necessità di una riforma della disciplina del
settore non profit, rivedendo la normativa generale sulle associazioni e fondazioni nel
quadro di una regolamentazione complessiva del Terzo Settore.
Tale esigenza è rafforzata dalla constatazione che nell’ultimo decennio la legislazione
speciale è intervenuta a disciplinare in modo frammentario singole figure di enti non
profit in relazione a specifiche esigenze di singoli settori creando di fatto una situazione in cui la disciplina generale del codice civile sulle persone giuridiche ha finito per
disciplinare in modo residuale fenomeni marginali dal punto di vista del rilievo economico-sociale.
Si è perciò rilevato che “se non si interviene con una tecnica di novellazione del codice il
rischio è quello di relegare la disciplina di diritto comune a disciplinare fenomeni marginali soprattutto laddove gli statuti speciali realizzino una disciplina dettagliata. La funzione del codice invece è sempre stata un’altra, quella cioè di fornire una disciplina generale, neutra ed adattabile ad ogni organizzazione purché non profit, destinata anche agli
enti regolati dalle leggi speciali”.
Com’è noto su questa ipotesi è stato costituito presso il Ministero della Giustizia un
gruppo di lavoro incaricato di predisporre le linee guida per la revisione del titolo II
del libro I del c.c..
L’esigenza di introdurre una disciplina civilistica comune per tutte le fondazioni resti-
87
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
tuendo al codice terreni di cui il legislatore speciale, in particolare quello tributario, si
era appropriato segnala un fondamentale punto di contatto tra la riforma del libro I
del c.c. e i problemi di disciplina delle Fondazioni bancarie che, specie nell’ultimo
biennio, sono stati al centro di una vivace discussione in sede dottrinale, giudiziaria e
parlamentare.
Il tema centrale del dibattito è infatti se, esaurita la fase transitoria, caratterizzata dall’attribuzione al Ministro del Tesoro di incisivi poteri in funzione dell’interesse pubblico alla privatizzazione del sistema bancario, possa ancora giustificarsi una disciplina
speciale che pone all’autonomia statutaria e gestionale delle Fondazioni bancarie limiti diversi da quelli operanti per gli altri soggetti del settore non profit.
Dubbio che trova fondamento oltre che nella logica interna del sistema normativo che
regge il settore, in due successive e recenti decisioni della Corte Costituzionale (Corte
Cost. 341 e 342/2001), le quali hanno appunto rilevato come se nel periodo transitorio le Fondazioni bancarie debbono considerarsi connesse al sistema bancario per
origine e titolarità di partecipazioni negli enti creditizi,compiuta la dismissione del
controllo della società bancaria e adeguati gli statuti alle disposizioni del d.lgs.
159/1999 si è ormai realizzata la trasformazione in soggetti di diritto privato con piena
autonomia statutaria e gestionale per le quali il problema è quello del coordinamento
con la disciplina generale delle persone giuridiche private.
2. La riflessione sul tema non può essere svolta in astratto; il problema non è infatti
quello di sostenere la bontà di una scelta di principio ma di reinserire il tema delle
fondazioni nella realtà viva della nostra esperienza tenendo conto dall’evoluzione
in corso:
a) nell’ordinamento giuridico italiano, in conseguenza:
- dell’abrogazione nel 1997 dell’art. 17 c.c. il quale stabiliva “la persona giuridica
non può acquistare beni immobili, né accettare donazioni o eredità, né conseguire legati senza l’autorizzazione governativa. Senza questa autorizzazione l’acquisto e l’accettazione non hanno effetto”;
- dell’entrata in vigore del DPR 10.2.2000 n. 361 il quale ha introdotto la nuova
disciplina del riconoscimento delle persone giuridiche private stabilendo che le
associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la
personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall’iscrizione nel
registro delle persone giuridiche previo accertamento che lo scopo sia possibile e
88
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
lecito e che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo.
Entrambe le novità, accanto al loro rilievo operativo, hanno grande importanza sistematica: l’abrogazione dell’art. 17 c.c. e la sostituzione dell’originario sistema di attribuzione della personalità giuridica di tipo concessorio (basato sulla valutazione dell’effettiva utilità sociale del fine in concreto perseguito dal singolo ente e dell’idoneità
del patrimonio e dell’organizzazione alla sua realizzazione) con un sistema di registrazione basato sulla mera liceità del fine e sulla sufficienza del patrimonio, segna infatti
l’abbandono di un’impostazione in cui il privilegio della limitazione della responsabilità patrimoniale degli associati o del fondatore era giustificato solo dall’interesse pubblico all’attuazione della finalità di utilità sociale dell’ente ed era perciò accompagnato, specie per le fondazioni, da un sistema di incisivi controlli pubblici sull’attualità
del fine, sulla sua effettiva realizzazione, sulla composizione del patrimonio, sulla
destinazione dei proventi di questo al fine, sulla gestione dell’ente e sulla destinazione
del patrimonio in caso di estinzione (articoli 12, 16 comma 3, 17, 23, 25, 26, 27
comma 3, 28, 31 c.c.).
La nuova disciplina, con l’abrogazione espressa degli articoli 12, 16 comma 3, 17, 27
comma 3, segnala una diversa scelta del legislatore volta a garantire un rilevante
ampliamento della sfera di libertà di questi enti sia nella fase del riconoscimento che
in quella della loro gestione operativa.
I progetti di riforma complessiva del titolo II del libro I c.c. ad oggi noti esaltano questa scelta, eliminando definitivamente ogni potere di ingerenza dell’autorità amministrativa sul tipo di scopo che l’ente vuole perseguire, sugli acquisti e sulla gestione.
L’utilità sociale dello scopo eventualmente perseguito perde così rilevanza ai fini della
disciplina civilistica delle fondazioni costituendo mero presupposto per l’ottenimento
di benefici fiscali, favorendo con ciò anche una migliore definizione delle diverse aree
di competenza della legislazione civile e di quella tributaria.
Si segnala l’emersione di un modello che, in continuità ideale con quanto si è già realizzato con la nuova disciplina del settore profit, si basa sui principi fondamentali della
piena autonomia statutaria e gestionale degli enti e della responsabilità degli organi per
le loro scelte organizzative e gestionali.
b) nella legislazione interna degli altri Stati membri dell’U.E., caratterizzata nell’ultimo decennio dall’introduzione in ciascuno di essi di leggi speciali o di complessive riforme della disciplina delle fondazioni.
Il quadro complessivo risultante dagli interventi dei legislatori nazionali consente di
individuare due diversi modelli:
89
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
-
il primo, condiviso da Austria (BSFG del 27.11.1974; PSG del 14.10.1993), Germania (artt. 80-88 BGB; Gesetz zur Modernisierung des Stiftungsrecht del
15.7.2002); Olanda (Burgerlijk Weboek); Svezia (Stiftelselag SL del 1994, modificato nel 2001), Belgio (Loi du 27.6.1921,modificata nel 2002); Danimarca (Lov
om fonde og visse foreninger del 6.6.1984; Lov om erhvervsdrivende fonde del
18.11.1991); Regno unito (Charities Act del 1993); Irlanda (Irish Income Tax Act
del 1967, modificato nel 2001), si basa, al di là di alcune specifiche differenze basate sulle caratteristiche degli ordinamenti locali, sui seguenti principi di fondo:
1) riconoscimento dell’Ente in relazione alla liceità del fine e alla sufficienza del
patrimonio per la sua realizzazione con esclusione di ogni valutazione discrezionale da parte dell’autorità amministrativa;
2) piena autonomia organizzativa e gestionale;
3) piena capacità giuridica dell’Ente sia riguardo agli acquisti che all’esercizio di
imprese strumentali;
4) controllo esterno di legalità variamente disciplinato in relazione alla natura dei
fini e all’esercizio di attività d’impresa.
In alcuni Paesi alla disciplina comune a tutte le fondazioni si aggiungono, per il caso
in cui la fondazione persegua fini di pubblico interesse, regole particolari essenzialmente volte a garantire la stabilità e utilità degli scopi perseguiti, l’effettiva destinazione dei fondi agli scopi statutari, e la sana e prudente gestione dell’Ente.
Alcune legislazioni prevedono espressamente che in caso di esercizio di attività commerciali o industriali trova applicazione la disciplina generale delle attività imprenditoriali e operano i controlli per queste previsti.
- Il secondo modello, condiviso da Francia (Loi du 23.7.1987 sur les fondations
reconnues d’utilité pubblique, Loi du 4.7.1990 sur les fondations d’entreprise); Lussemburgo (Loi du 21. 4.1928 sur les associations et les fondations sans but lucratif,
modifiée par les Lois des 22.2.1984 et 1994); Grecia (articoli 108-121 c.c., 109
Cost., L. 2039/1939), Spagna (art. 34 Cost., Ley de Fundaciones y de incentivos
Fiscales a la Partecipation Privada en Actividades de Interés General, del 1994, integrata dai decreti 765/1995, 316/ 1996, 776/1998); Portogallo(C.C., D.L.
7.11.1977 n. 460 ; D.l. 25.2.1983 n. 119 ; L. 8.8.2000 n. 17), si basa invece, al
di là di alcune specifiche differenze basate sulle caratteristiche degli ordinamenti
locali, sui seguenti principi di fondo:
1) il riconoscimento delle fondazioni che perseguono scopi di pubblica utilità è
effettuato con provvedimento dell’autorità amministrativa previa valutazione dello
scopo perseguito dalla fondazione;
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Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
2) le modifiche statutarie debbono essere autorizzate dalla medesima autorità;
3) una parte degli amministratori (in Francia un terzo) è nominato dall’autorità
amministrativa;
4) possono esserci limitazioni alla capacità di acquistare determinati diritti; l’attività d’impresa è consentita solo in quanto strumentale alla realizzazione dei fini di
pubblica utilità;
5) sono previsti penetranti controlli dell’Autorità di vigilanza.
Regole meno stringenti sono previste per le fondazioni che perseguono finalità diverse da quelle di pubblico interesse.
L’analisi, pur nella sua necessaria approssimazione, ha rilevanza ai fini del nostro discorso perché consente di evidenziare le note caratteristiche di ciascun modello, il che
è particolarmente rilevante per il controllo di ragionevolezza delle possibili scelte del
legislatore italiano della riforma.
È infatti evidente che ciascuno dei due modelli che si sono evidenziati risponde a scelte di fondo che possono essere più o meno condivise, ma una volta effettuate richiedono un coerente svolgimento.
Ciò che non sembra possibile è mischiare acriticamente elementi dell’uno e dell’altro
modello giungendo a una disciplina intrinsecamente contraddittoria.
Sotto questo profilo va segnalato che secondo la sua logica interna la scelta di un riconoscimento delle fondazioni basato sulla mera liceità dello scopo e sulla sufficienza del
patrimonio, implica necessariamente la eliminazione di ogni controllo di merito sui
fini e sull’attività della fondazione alla quale va riconosciuta la più piena autonomia
statutaria e gestionale; il che sembra confermato dal fatto che in tutti i paesi in cui
questo meccanismo opera è garantita alle fondazioni, anche a quelle che perseguono
fini di pubblica utilità la più piena libertà con il solo limite del rispetto della legge e
dello statuto.
A ciò corrisponde un sistema di controlli che, anche quando essi sono affidati ad una
Autorità, è di mera legalità, opera ex post e si sostanzia nei tradizionali rimedi della
revoca degli amministratori infedeli o incapaci e nell’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti.
La scelta di un sistema concessorio può invece collegarsi a più penetranti controlli sui
fini, sui mezzi e sulle attività volte alla loro attuazione.
c) nell’Unione Europea, da un lato con la predisposizione da parte dell’European
Foundation Center di una Model Law for Public Benefit Foundations in Europe,
basato sui principi della piena autonomia statutaria e della generale capacità giuri91
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
dica gestionale di queste fondazioni; dall’altro con l’inserimento nel Commission
action plan per il 2003 di una indagine per la redazione di una normativa europea
sulle Fondazioni.
Le linee di una disciplina europea delle Fondazioni emergenti dalla Model Law predisposta dall’European Foundation Center e i lavori promossi dalla Commissione evidenziano come i principi ordinanti della normativa in tema di fondazioni vengano
individuati, anche nel caso di fondazioni che perseguano scopi di pubblica utilità o
siano costituite dallo Stato o da enti pubblici, nella piena capacità giuridica dell’ente,
nella sua libertà organizzativa e gestionale e nella piena indipendenza da ogni influenza politica (cfr. articoli 4, 5, 6 Model Law for Public Benefit Foundations in Europe),
nella trasparenza della gestione e nella responsabilità degli amministratori (articoli 9,
10, 11). È previsto infine un controllo esterno della registration authority sull’osservanza da parte degli amministratori della norme di legge e dello statuto, sorretto da
poteri di indagine e dalla facoltà di adottare in caso di necessità ed urgenza provvedimenti cautelari che debbono essere confermati dall’autorità giudiziaria entro tre mesi
dalla loro adozione (art. 12 Model Law).
A ciò va ancora aggiunto, quanto alla sostanza del problema, che in un ambiente fortemente competitivo quanto alla ricerca e acquisizione di finanziamenti per i propri
progetti la credibilità delle fondazioni e quindi la loro capacità di incentivare contributi anche sul piano internazionale si collega fortemente con l’indipendenza, oltre che
con l’efficienza degli enti.
3. Quanto si è appena detto fornisce elementi rilevanti per la riforma cui il legislatore italiano si accinge con lo scopo dichiarato di ridare centralità ad una disciplina
civilistica delle fondazioni capace di ricomprendere in un corpo unitario anche le
Fondazioni c.d. speciali e, in primo luogo le Fondazioni bancarie, salve le regole
tributarie particolari che il legislatore degli aspetti fiscali riterrà opportuno dettare
nell’esercizio delle sue specifiche competenze.
Abbiamo visto come il nostro ordinamento abbia già operato la scelta di ritener sufficiente ai fini del riconoscimento delle Fondazioni lo scopo lecito e la sufficienza del
patrimonio.
È noto che nella prassi delle Autorità la sufficienza del patrimonio si realizza con il raggiungimento di un ammontare predeterminato, e in genere non molto elevato rendendo l’iscrizione al registro delle persone giuridiche sostanzialmente automatica,
secondo un modello conforme alla scelta effettuata in molti dei Paesi U.E. che hanno
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abbandonato il modello concessorio.
Abbiamo anche visto come questa scelta abbia determinato l’abrogazione espressa di
tutte le norme volte ad attribuire all’Autorità di vigilanza sulle fondazioni un potere di
controllo sul merito delle scelte operate dagli organi, salvo ovviamente il controllo
sulla legittimità, peraltro normalmente attribuito all’autorità giudiziaria.
Ciò avviene già oggi indipendentemente dalla natura dei fini perseguiti dalle fondazioni che peraltro per la maggior parte dei casi sono di interesse pubblico essendo questo un requisito necessario per il riconoscimento fino alla riforma del 2000.
Le scelte così operate influenzano necessariamente la riforma dell’intera disciplina del
titolo II del libro I c.c., dando ulteriore impulso a seguire la via indicata nei progetti
già elaborati negli scorsi anni, per giungere ad una comune disciplina civilistica di
tutte le fondazioni basata sui principi più volte ricordati della piena autonomia gestionale e statutaria delle fondazioni, con esclusione di qualunque controllo di merito o
vincolo preventivo di operatività sulle scelte degli organi, ferma restando ovviamente
la responsabilità degli amministratori infedeli o incapaci.
Resta da stabilire se questa stessa disciplina possa trovare applicazione anche alle Fondazioni bancarie o se queste conservino peculiarità che rendono per esse necessaria, o
quanto meno giustificata, una disciplina diversa.
A mio avviso la risposta non può che essere negativa.
Una volta completata la fase di dismissione delle partecipazioni di controllo nelle Banche conferitarie le Fondazioni bancarie, modificati i loro statuti e ottenuto il riconoscimento come persone giuridiche di diritto privato, non si differenziano se non, in
alcuni casi, per l’entità del loro patrimonio da qualunque altra fondazione; in particolare certamente nessuna particolarità può essere attribuita agli scopi statuari per esse
prescritti che corrispondono a quelli perseguiti dalla gran parte delle fondazioni aventi origine dalla volontà privata, com’è dimostrato anche dal fatto che essi si sovrappongono sostanzialmente a quelli che deve perseguire qualunque associazione, fondazione o altra istituzione che voglia essere riconosciuta come ONLUS. Il che conferma
che la natura del fine rileva per il godimento delle agevolazioni fiscali ma non per la
disciplina civilistica delle fondazioni.
Né infine potrebbe ritenersi che una diversa disciplina possa essere giustificata dall’origine storica delle Fondazioni bancarie, sia perché il fatto storico, spogliato di ragioni più profonde relative agli interessi protetti non può costituire ragioni di disparità di
trattamento, sia perché l’indagine storica sull’origine delle Fondazioni bancarie evidenzia come la grande maggioranza, se non la totalità di esse, trae origine dalle private elargizioni di cittadini, Chiese o altre private istituzioni e non ha mai ricevuto fondi
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di dotazione e contribuzioni da parte dello Stato.
La verità è che ciò che caratterizza le Fondazioni bancarie, o almeno alcune di esse è
l’entità del loro patrimonio e la giusta aspettativa delle comunità cui si rivolge la loro
azione che quel patrimonio sia ben amministrato e che i suoi proventi siano spesi efficientemente per la realizzazione degli scopi della Fondazione.
Identico interesse esiste peraltro nei confronti di tutte le altre fondazioni e più in genere di ogni soggetto che potendo contare su un altrettanto ingente patrimonio o sui
fondi raccolti presso il pubblico dei contributori crea forti aspettative nella comunità
su cui i proventi del patrimonio o i fondi raccolti sono destinati a riversarsi.
Risulta così evidente che se un problema si pone non è quello se le Fondazioni bancarie debbano essere trattate o meno, quanto alla disciplina codicistica, come le altre
fondazioni, ma se non sia opportuno prevedere regole di organizzazione e meccanismi
di controllo più articolati per le fondazioni di grandi dimensioni, tra le quali certamente rientrano anche le Fondazioni bancarie, assieme a molte altre.
Si tratta del resto di una scelta non ignota al nostro ordinamento, che già l’ha prevista
con riferimento alle diverse possibili forme organizzative e ai diversi controlli per
diverse tipologie di enti profit, né all’ordinamento di altri Paesi dell’U.E. alcuni dei
quali, come ad esempio, Austria e Spagna, hanno introdotto appunto regole differenziate in relazione alle dimensioni delle fondazioni, ferma restando l’identità della disciplina per quelle rientranti in ogni fascia dimensionale indipendentemente da ogni
altro elemento.
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Giuseppe Guarino,
Avvocato Costituzionalista
1. Cari amici, prendo la parola quando il tempo assegnato per concludere l’intervento sarebbe già scaduto da mezz’ora. Dovrei non cominciare. Ho parlato abbastanza nei miei 50 anni di insegnamento universitario e 50 di avvocatura. Ove vi sembri, considerata l’ora, che il discorso non meriti particolare interesse, fatemi un
segno ed io terminerò. Per agevolare il compito abbandonerò lo schema che avevo
predisposto e darò alla esposizione un diverso andamento. Porrò nove domande e
darò nove risposte.
Pur avendo seguito abbastanza intensamente le vostre questioni, per qualche tempo
me ne sono staccato. Le pause in genere sono utili. Il distacco, quando si ritorna su
una questione, aiuta a percepire aspetti che potrebbero essere sfuggiti.
Vi propongo perciò oggi una variazione alle usuali impostazioni. Consiste nel sostituire, come punto di partenza, al dibattito sulla natura dell’ente Fondazione, quello
sulla natura dell’attività. Non è dall’ente che si ricava la natura dell’attività. È vero
all’opposto che dalla natura dell’attività va ricavata la natura dell’ente. Non mancheremo di accorgerci come, collocandoci in questa diversa prospettiva, punti controversi diventino chiari.
2.
La natura dell’attività delle Fondazioni è stabilita direttamente dalla legge.
L’articolo 2 del d. lgs. 17 maggio 1999, n. 153 contiene una precisazione importante.
Le Fondazioni bancarie, dice, sono persone giuridiche private “senza fini di lucro”. Tra
il perseguimento del lucro e la natura dell’attività esiste una correlazione necessaria.
L’attività che costituisca esplicazione di poteri amministrativi è per definizione una
attività non rivolta al lucro. È attività che deve perseguire specifici interessi pubblici.
Il presupposto perché si lucri è che l’attività abbia formalmente la natura di attività di
diritto privato, quindi negoziale. Tra i soggetti che operano con atti di diritto privato,
quindi con atti non pubblici, non amministrativi, ma negoziali, ve ne sono di quelli
che possono, anzi devono proporsi il lucro. Ma ve ne sono anche di quelli ai quali il
perseguimento del lucro viene inibito.
Il vincolo imposto alle Fondazioni a non avere uno scopo di lucro si basa su una premessa giuridica indefettibile. Presuppone che, se il divieto non fosse imposto, l’attività, per la sua natura, potrebbe essere rivolta all’utile. Presuppone quindi che l’attività
abbia natura privata, poiché solo l’attività formalmente privata può rivolgersi al lucro.
L’attività delle Fondazioni è dunque necessariamente attività di diritto privato, una
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attività di tipo negoziale che, per disposizione di legge, non deve proporsi come obiettivo il conseguimento del lucro.
A questo punto può porsi la prima delle nove domande, di quale sia la natura dei poteri esercitati dalle Fondazioni bancarie. Risposta, tanto semplice quanto elementare: i
poteri delle Fondazioni hanno tutti e necessariamente carattere negoziale.
3. Seconda domanda: potrebbe l’insieme dei poteri, e quindi delle funzioni che a
mezzo di quei poteri viene svolta, essere attribuito dalla legge con piena discrezionalità ad un tipo di soggetti diverso dalle Fondazioni? Avrebbe potuto, per essere
più precisi, la legge attribuire i poteri anziché alle Fondazioni alle pubbliche amministrazioni o ad una impresa, pubblica o privata che fosse? La risposta è negativa
nell’uno e nell’altro caso.
Non alla pubblica amministrazione. In conformità ad un principio istituzionale che si
estrae dall’insieme delle discipline costituzionali di cui agli artt. 97 e segg.. Cost., la
pubblica amministrazione è fondamentalmente tenuta a perseguire gli scopi che le
sono attribuiti avvalendosi di poteri amministrativi discrezionali. Può utilizzare poteri negoziali solo in funzione accessoria e servente, mai per l’espletamento della totalità della sua missione. Soggetti pubblici che possono operare nella totalità o con assoluta prevalenza con atti negoziali sono quelli costituiti in impresa. In questo caso l’impossibilità del conferimento alle Amministrazioni pubbliche o agli enti pubblici del
compito attribuito dall’art. 2 d. lgsl. n. 153/99 alle Fondazioni si verificherebbe ugualmente ma per una ragione opposta. E’ la stessa ragione per la quale l’attività non
potrebbe essere attribuita alle società per azioni o ad un diverso tipo di società commerciale o ad una impresa in genere: perché l’attività dell’impresa per vincolo istituzionale deve essere volta al conseguimento del lucro. L’impresa, qualunque impresa,
pubblica o privata che sia, per il principio di contraddizione non potrebbe essere
costretta ad operare “senza fine di lucro”.
L’attività dunque presa in considerazione dal legislatore con il d.lgsl. n. 153/99, per il
modo in cui lo stesso legislatore l’ha conformata, non avrebbe potuto avere come
destinataria la pubblica amministrazione. Nel concetto di pubblica amministrazione
rientra non solo il complesso organico che si definisce come tale, ma anche qualsiasi
altro soggetto a mezzo del quale la amministrazione pubblica operi indirettamente,
avvalendosi di poteri di controllo, quali la nomina degli amministratori, il possesso
della maggioranza delle partecipazioni azionarie o qualunque altra forma sufficiente ad
assicurare in modo stabile ed effettivo il controllo di fatto. La ragione comunemente
addotta, e giuridicamente fondata, per la quale i divieti fondamentali che valgono per
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la pubblica amministrazione si applicano anche ai soggetti di cui la pubblica amministrazione si sia assicurata istituzionalmente il controllo è che, opinando diversamente,
perderebbe significato la disciplina costituzionale vigente, ivi compresa la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi nei confronti della P.A., in quanto la P.A. col solo
sostituire a sé medesima un soggetto controllato, operante con poteri negoziali, si sottrarrebbe all’intero sistema del sindacato giurisdizionale assicurato dai Tribunali
Amministrativi e dal Consiglio di Stato.
Il corollario di queste riflessioni è che l’attività senza fine di lucro è per definizione una
attività privata che non può essere conferita alla pubblica amministrazione, sia che la
espleti direttamente, sia che si avvalga di un soggetto controllato.
La constatazione vale tanto per l’oggi, quanto per il futuro, almeno fino a quando
rimangano fermi gli assetti fondamentali della pubblica amministrazione fissati dalle
norme costituzionali. Se si tentasse di aggirare in qualsiasi modo il divieto, non ne sortirebbe alcun effetto pratico perché tanto i Tribunali Amministrativi ed il Consiglio di
Stato, quanto la Corte dei Conti non mancherebbero in tal caso di assoggettare gli atti
negoziali e i titolari dei relativi poteri alle discipline proprie degli atti e dei soggetti
amministrativi.
4. Passiamo alla domanda successiva. È la terza. Sono in tutto nove. Devo procedere
rapidamente. Se qualche passaggio non riuscisse chiaro, attribuitene un po’ di
colpa alla pressione del tempo. La domanda riguarda gli scopi che le Fondazioni
devono perseguire senza fine di lucro. Sono gli scopi fissati nell’art. 1 d.lgs. n.
153/99. Non possono essere variati. Sono indicati attraverso la elencazione dei settori rilevanti. I settori rilevanti sono: ricerca scientifica, istruzione, arte, conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali e dei beni ambientali, sanità, assistenza alle categorie sociali deboli.
Il legislatore in relazione ad un patrimonio, quello concretamente attribuito alla singola Fondazione, ha statuito vincolativamente che lo stesso possa essere utilizzato solo
per le quattro fondamentali categorie di scopi, che sono state fissate. Ha in più stabilito che l’utilizzazione debba avvenire da parte delle Fondazioni, destinatarie dei patrimoni, solo a mezzo di atti di diritto privato ed astenendosi dal perseguimento di un
lucro.
Cerchiamo di cogliere la sostanza della disciplina dettata dal legislatore, dalla quale
non ci si può discostare. È utile rifarsi alla distinzione tra i poteri negoziali ed i poteri amministrativi discrezionali. Il potere amministrativo discrezionale deve essere esercitato seguendo un procedimento vincolato. I vincoli procedimentali in parte posso97
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no essere stati predisposti dalla legge. Nella parte in cui la legge ha taciuto, vanno
dedotti dalla giurisprudenza consolidata e sono vincoli, questi secondi, ancora più rigidi di quelli delle norme perchè gli organi giudiziali che sono chiamati a verificarne il
rispetto sono gli stessi che hanno contribuito ad introdurli. Il rispetto dei vincoli deve
risultare in modo formale. La formalizzazione analitica è garanzia della piena corrispondenza all’iter procedimentale prescritto.
La seconda ed egualmente importante peculiarità del potere amministrativo è che l’atto amministrativo, che del potere è attuazione, è frutto di una previsione astratta del
legislatore. Il legislatore quando configura un potere amministrativo ha sempre e
necessariamente presente un modello. L’atto amministrativo, per essere legittimo, deve
corrispondere al modello astratto. Non vi è dubbio che la discrezionalità comporti un
certo grado di libertà e che di tale libertà si faccia uso quando si sceglie la soluzione
che meglio si attaglia alla situazione concreta. Ma la libertà sussiste solo per la parte
che viene lasciata alla discrezionalità del soggetto. Per una percentuale, che può essere
più o meno grande, e che in certi casi è molto estesa, l’atto amministrativo deve corrispondere alla predeterminazione astratta. L’atto amministrativo è dunque frutto
dello sforzo di ricondurre ciò che si ritiene utile nel caso concreto a quanto previsto
dalla fattispecie astratta. Nel potere negoziale, qui sta la differenza, l’autorità sceglie
caso per caso la soluzione che ritiene più adatta alla situazione concreta, senza sottostare ad alcun vincolo di conformità ad un modello precostituito.
La risposta alla situazione concreta nel caso del potere negoziale può inoltre essere
immediata. Nel potere amministrativo la risposta consegue ad un iter i cui tempi
dipendono dalle caratteristiche del singolo procedimento. Terza differenza tra il potere amministrativo discrezionale ed il potere negoziale (ce ne sono molte altre, ma ci si
sofferma su quelle più rilevanti) è che qualora l’atto comporti una spesa, se l’ipotesi è
quella del potere amministrativo, si potrà disporla solo quando il relativo capitolo di
bilancio abbia una sufficiente capienza. I capitoli sono predeterminati in sede di bilancio preventivo, a loro volta quindi costituiscono il frutto di previsioni astratte. Nel
potere negoziale si delibera la spesa valutando l’insieme delle circostanze nel singolo
momento. Se vi sono, come le regole della buona gestione suggeriscono, ripartizioni
preventive delle disponibilità tra le varie categorie di scopi, valutate le caratteristiche
di complessità, rilevanza od urgenza del caso concreto, si può ragionevolmente modificarle. Nell’operare amministrativo, quando il capitolo si sia esaurito, anche se si sia
ancora lontani dal termine dell’anno, il potere è come se non esistesse, rimane sospeso sino al bilancio dell’anno successivo e se ed in quanto il nuovo bilancio abbia rifinanziato il capitolo.
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Sessione dedicata alle Fondazioni
Cominciamo a comprendere le ragioni delle Fondazioni e perché il legislatore abbia
stabilito, nel fissare gli scopi per i quali il loro patrimonio può essere utilizzato, che
esse debbano operare con poteri negoziali, ma senza scopo di lucro. Ricordiamo quanto ha detto questa mattina il Presidente Guzzetti. È possibile che gli amministratori
commettano qualche errore. Se ne assumono la responsabilità. Ma è altrettanto certo
che se non si provvedesse dopo la più accurata ponderazione con la necessaria sollecitudine e talvolta con l’urgenza richiesta, talvolta il solo ritardo provocherebbe un
danno maggiore. Non sempre i bisogni singoli e collettivi, nel caso della salute, della
ricerca scientifica, della tutela dell’ambiente e dell’arte, dell’assistenza tollererebbero
rinvii. Il legislatore ha fatto comprendere che nei quattro settori di intervento, istruzione e ricerca, beni culturali, assistenza ai più deboli, salute, la pluralità dei casi prospettabili e l’enorme variare per gravità ed urgenza delle condizioni verificabili esigono che le decisioni vengano prese non in corrispondenza di modelli astratti, precostituiti, ma a seguito di una valutazione della specificità del caso, eseguita in buona fede,
con criteri di equità e giustizia, da persone sulla cui rettitudine, imparzialità e professionalità si deve potere fare affidamento.
Da quando le Fondazioni hanno cominciato ad operare è trascorso sostanzialmente un
triennio. Un periodo breve, ma insieme abbastanza lungo per offrire elementi di giudizio. Due dati emergono con quasi certezza. Nella loro generalità i casi in cui le Fondazioni hanno disposto erogazioni configurano ipotesi nelle quali le pubbliche amministrazioni, per i modi stessi del loro operare, non sarebbero state in grado di intervenire. In secondo luogo, pur essendo state le deliberazioni delle Fondazioni numerosissime, diffuse sulla quasi totalità del territorio, e spazianti tra gli oggetti più varii, non
si ha notizia di insoddisfazioni, di proteste, di critiche, di conflitti. La scelta organizzativa compiuta dal legislatore si è dimostrata nei fatti adeguata e corretta. Anche se il
legislatore avesse il potere di cambiarle (ma vedremo che non è più possibile) non vi
sarebbe ragione per farlo. La pubblica amministrazione ha ampie competenze nei settori nei quali le Fondazioni sono abilitate ad intervenire. Nei tre passati anni si è potuto constatare che nei settori di competenza delle Fondazioni bancarie gli interventi
delle Pubbliche Amministrazioni sono stati quantitativamente predominanti, ma sempre di tipo diverso, nè assorbenti di quelli delle Fondazioni né con essi confliggenti.
Può pacificamente asseverarsi che le Fondazioni hanno integrato la Pubblica Amministrazione, assicurando una presenza là dove la tutela degli interessi generali sarebbe
rimasta altrimenti assente.
Leggevo la storia di un grande personaggio, la Grande Mademoiselle. Era la figlia di
Gastone d’Orleans, fratello di Luigi XIII; era quindi cugina di Luigi XIV. Era la più
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ricca ereditiera di Francia, per il concorso di varie successioni si era accumulato in lei
un patrimonio immenso. Trascinata da uno spirito vivace, aveva partecipato alla fronda contro la Regina, contro Mazzarino, contro il giovane Re, suo cugino. Ebbe come
castigo l’esilio. Era proprietaria di almeno 15 castelli. Non avrebbe dovuto incontrare
difficoltà. Va nel primo castello e trova che tutto è in rovina. Così in tutti gli altri.
Anche per fare sistemare in modo accettabile un paio di stanze, sarebbe occorso del
tempo. Dovette chiedere ospitalità ad una famiglia borghese. Che cosa era accaduto?
I castelli per lunghi anni non erano stati abitati. Si erano verificate infiltrazioni di
acqua nel tetto e nessuno aveva provveduto. Un primo muro aveva ceduto. Gli affreschi nei soffitti e nelle pareti erano andati in rovina. Le travi si erano infradiciate e non
reggevano il peso dei pavimenti.
Il Presidente Guzzetti ha sottolineato questa mattina l’importanza delle azioni appropriate, se effettuate al momento giusto. Se uno studioso è giunto ad un punto di una
ricerca fondamentale che può proseguire solo con l’utilizzo di una apparecchiatura
specializzata, bisogna fornirgliela subito, accertata la serietà della ricerca, perché i risultati si completino e non vengano dispersi. Un degente afflitto da grave malattia
potrebbe essere curato in una istituzione specializzata di un altro Paese: a cosa servirebbe fornirgli i mezzi, ma solo dopo un anno, quando che la malattia è divenuta irreversibile? Un campanile colpito dal sisma potrebbe crollare: è elemento caratterizzante di un centro urbano antico. Il contributo deve essere totale e immediato. Se parziale e tardivo si tradurrebbe in una perdita. Una istituzione ospedaliera di avanguardia è
priva di una specializzazione che completerebbe quelle esistenti, ma non possono farsi
previsioni attendibili se il sistema sanitario nazionale sarà e quando in grado di provvedervi. In tutti questi casi ed in tutti quelli consimili il potere operare con atti negoziali senza il fine di lucro è essenziale. La P.A., con i suoi poteri amministrativi, non
sarebbe in grado di provvedervi.
Non necessariamente si richiedono alle Fondazioni finanziamenti per un ammontare
elevato. Piccoli interventi possono dare grandi risultati. Ciò accade tutte le volte che le
erogazioni evitano strozzature. Eliminato l’ostacolo si espande con pienezza la valorizzazione di ciò che esiste e che andrebbe perduto. Pensiamo alle associazioni non profit
ed a quanti e quali siano i benefici che avvalendosi di questo canale le Fondazioni
riescono a produrre. E quante energie di volontariato si disperderebbero se le Fondazioni non concorressero a sostenere quelle meritevoli fornendole di mezzi idonei.
5. Perveniamo alla quarta domanda: se e quali limiti elevati possano raggiungere le
erogazioni delle Fondazioni. Partiamo da un riferimento concreto. A Firenze c’è il
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Campanile di Giotto, c’è il Battistero del Ghiberti, c’è la Cupola del Brunelleschi,
unitamente ad infiniti altri tesori. Potrebbero opere di una tale dimensione ed
impegno urbanistico ed artistico essere realizzate oggi facendo uso dei normali
poteri discrezionali amministrativi? Certamente no. Il discorso vale non solo per
Firenze, ma anche per Roma e per cento e cento altre città.
Quando il Papato tornò a Roma da Avignone, trovò la città in uno stato di totale
abbandono con una popolazione che si era ridotta a poco più di 25 mila abitanti. Il
Papato non solo dette avvio ad importanti operazioni urbanistiche ed a grandiose
costruzioni ecclesiali, ma conferì ai cardinali sostanziosi benefici perché edificassero
palazzi adeguati alla nuova dignità della Chiesa e della città. Alla morte dei cardinali i
palazzi avrebbero dovuto essere trasferiti alla Chiesa, il che per la verità non sempre
avvenne e la norma dopo qualche tempo cadde in disuso. Nello spazio di meno di un
secolo Roma raggiungeva 100 mila abitanti ed assumeva l’impronta di una città capitale, degna dell’eredità romana. Tutto questo ci ricorda che esistono anche altri tipi di
potere, che consentono di prendere decisioni sulla base di una valutazione hic et nunc
di ciò che deve essere fatto, senza vincoli di conformazione a modelli prefigurati in
astratto: sono i poteri politici. Un esempio attuale è l’opzione a favore della Stretto di
Messina. Le decisioni politiche nell’attuale sistema costituzionale sono di competenza
esclusiva degli organi costituzionali. Decisioni di questo tipo non sono attribuibili ad
organi della pubblica amministrazione. E sono indubbiamente rare.
Ad evitare equivoci od illusioni è bene precisare che interventi delle dimensioni e della
importanza storica di quelli che hanno costruito le immagini di Firenze o Roma non
potrebbero essere effettuati da nessuna Fondazione. Oltre ad assorbire l’intero patrimonio, confliggerebbero con il principio istituzionale secondo il quale l’opera delle
Fondazioni deve rivolgersi ad una pluralità di settori e non può concentrarsi in uno
solo di essi. Purtuttavia, pure nella impossibilità di qualsiasi confronto con le grandiose iniziative del passato, è da ipotizzare che ciò che nessuna delle Fondazioni
potrebbe fare da sola, venga realizzato con una decisione collettiva concordata. Anche
sotto questo aspetto è prospettabile una supplenza o meglio una integrazione nei confronti delle Amministrazioni. Non si può escludere che le Fondazioni, operando come
sistema, possano farsi carico di interventi, nella ricerca o per scopi artistici, sociali,
ambientali, che superino le possibilità economiche della Pubblica Amministrazione
senza tuttavia raggiungere quei livelli superiori che giustificherebbero una decisione
politica degli organi costituzionali.
6. Passiamo alla quinta domanda. Si chiede se l’attività delle Fondazioni sia priva di
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rilevanza economica. La domanda può sembrare superflua e la risposta ovvia. Ma
l’essere precisi sul punto non è privo di importanza. La legge è testuale. L’art. 2 del
d. lgs. n. 153/99 qualifica gli scopi delle Fondazioni come di utilità sociale e di
promozione dello sviluppo economico. Utilità sociale e sviluppo economico non
sono cose diverse, si tratta di una endiadi. L’attività delle Fondazioni non è gerarchizzabile in corrispondenza dei singoli scopi perseguiti. Tutti gli scopi hanno un
equivalente rilievo. E se tra gli scopi ne è compreso uno qualificato come promozione dello sviluppo economico, se ne devono trarre alcuni corollari: che non uno
soltanto, ma tutti indistintamente gli scopi assegnati alle Fondazioni sono funzionali alla promozione dello sviluppo economico; che l’intero patrimonio delle Fondazioni è finalizzato alla promozione dello sviluppo economico mediante la destinazione agli scopi compresi nei settori ammessi; che per quel patrimonio tale
forma di utilizzazione è stata ritenuta dal legislatore vincolativamente quella specificamente adatta alla promozione dello sviluppo. Sicchè l’utilizzazione del medesimo patrimonio, per gli stessi scopi ma con forme giuridiche diverse (ad esempio
avvalendosi di poteri discrezionali amministrativi), costituirebbe un mezzo meno
adeguato al soddisfacimento dell’interesse pubblico. Costituirebbe una violazione
della legge. Sia ben chiaro che il pensiero del legislatore non potrebbe essere interpretato nel senso che le forme negoziali, cui sono astrette le Fondazioni, siano l’unico strumento adatto per i fini di promozione economica. La promozione economica è uno scopo essenziale anche delle Amministrazioni pubbliche le quali
però devono avvalersi per realizzarlo dei poteri amministrativi discrezionali e delle
relative procedure. Il legislatore, con la regolazione delle Fondazioni, ha dimostrato di ritenere che, al di là di quanto lodevolmente operato dalle pubbliche amministrazioni con i poteri amministrativi di loro competenza, vi è un ambito ulteriore di interesse pubblico generale, per il cui soddisfacimento i modi di operare della
P.A. si dimostrerebbero inidonei. Ha quantificato nel patrimonio delle Fondazioni l’ammontare dei mezzi necessari per provvedere alle esigenze comprese in tali
ambiti ed ha individuato nelle Fondazioni e nel loro specifico e peculiare modo di
operare lo strumento giuridico idoneo per lo svolgimento di tale missione.
Se il legislatore, riassumendo, ha presupposto che la promozione dello sviluppo economico può conseguirsi solo a patto di avvalersi della forma negoziale, cioè con iniziative autonome nell’impiego del patrimonio a ciò destinato, la conclusione da trarre è che il ricorso a forme e a procedimenti giuridici diversi si traduce, nell’ottica del
legislatore, in una utilizzazione meno proficua, e quindi in dispersione o al limite in
distruzione dei beni fisici, umani e culturali che il legislatore intende vengano salva102
guardati, valorizzati, migliorati.
7. La sesta domanda riguarda il rapporto tra le Fondazioni e le comuni organizzazioni “onlus”, senza fine di lucro. Sono due cose diverse. Alla questione si è già dedicato qualche cenno. Le Fondazioni bancarie possono, per l’assistenza ai non
abbienti ed altri interventi di carattere sociale, avvalersi delle organizzazioni onlus
e finanziarle. Ma ciò può avvenire solo sulla base di programmi specifici che le
Fondazioni giudichino conformi alle proprie finalità, rimanendo distinte le
responsabilità e le competenze.
8. Si è fatto riferimento, nei nostri dibattiti, ai Trattati comunitari. C’è un vezzo a
richiamare i Trattati ad ogni piè sospinto, non sempre a proposito. In questo caso
qualche precisazione è invece indispensabile.
Siamo alla settima domanda che si riallaccia alla quinta: in cosa consiste lo sviluppo
economico, che è compito delle Fondazioni promuovere (art. 2, d.lgsl. n. 153/99)?
Sviluppo economico è per definizione produzione di ricchezza. Ma di che ricchezza si
tratta? La risposta offrirà la chiave per comprendere come la disciplina del d.lgsl. n.
153/99 sia quella che meglio si adegua ai Trattati comunitari.
Abbiamo sentito voci dissenzienti nei confronti del Ministro del Tesoro. Mettiamoci
nei suoi panni. Lo Stato aveva nel 1992 un rapporto debito/PIL pari al 100% circa. Il
debito poi è salito fino a circa il 125%. Dovrebbe scendere al 60% e ciò non solo per
il vincolo dei Trattati, ma soprattutto per non subire il danno della partecipazione alla
concorrenza tra Stati, che è il più duro degli effetti conseguenti alle discipline comunitarie, con un handicap quasi doppio rispetto ai concorrenti. Il Ministro ha utilizzato tutte le capacità inventive proprie di un tributarista e, avvalendosi di tecniche
appropriate, ha apportato al debito cospicue riduzioni. Ma non poteva bastare. Di qui
la necessità, ovunque si fosse individuato un patrimonio di una certa consistenza, di
valutare se fosse utilizzabile per la riconduzione del debito statale entro il limite dei
parametri comunitari. Il patrimonio delle Fondazioni è stato giudicato utilizzabile allo
scopo. Nulla da eccepire in via di principio. Ognuno deve fare la sua parte. Al Ministro del Tesoro fa carico un adempimento comunitario di estrema gravità. Non poteva non tenerne conto.
Ma è nostro dovere, ed era dovere delle Fondazioni, richiamare l’attenzione su condizioni sostanziali che, fermo rimanendo il Trattato come polo di riferimento, conducono ad una conclusione opposta. Il Trattato non contiene soltanto norme sull’Unione Monetaria, che hanno creato indubbiamente problemi nella prima fase di attua103
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zione, a carattere transitorio. Contiene anche principi fondamentali di carattere permanente. Due meritano soprattutto di essere ricordati: quello dello sviluppo sostenibile e quello della concorrenza tra gli Stati. La concorrenza corre non solo tra i singoli e tra le imprese; vige, per il modo come è stata organizzata l’Unione Europea, allo
stesso modo tra gli Stati membri. Se uno Stato si trova in condizioni di inferiorità nei
confronti degli altri Paesi membri, lo svantaggio dello Stato si riflette sui suoi cittadini e sulle sue imprese. Ogni Stato deve tendere ad affermarsi nella competizione con i
concorrenti. I due principi, nel loro combinato disposto (per usare una espressione
cara ai giuristi), conducono ad una conseguenza spesso trascurata, ma che ha un peso
decisivo. Che cioè il criterio-guida per ogni Stato deve consistere nello sviluppare al
massimo i propri fattori produttivi, specie quelli che siano ad esso specificamente
peculiari e che, essendo meno diffusi, più di ogni altro si prestino ad una valorizzazione. Utilizzare fattori non utilizzati o utilizzare meglio quelli sotto utilizzati è la missione fondamentale degli Stati, giova allo Stato, ai suoi cittadini, alle sue imprese.
Giova anche all’Unione, perchè risponde al secondo dei principi richiamati, quello
dello sviluppo sostenibile. Sostenibile è lo sviluppo che può essere realizzato senza forzature, senza ricorso a mezzi artificiali. Come conseguirlo? La via maestra è una sola:
quella della migliore utilizzazione dei fattori esistenti.
L’Italia dispone di un fattore produttivo che, in eguale misura, non ha corrispondenti nel mondo. Sono stato a Parma, lo ricordavo al caro Presidente della Fondazione
della Cassa di Risparmio di Parma. Mi è parso che al di là della mostra del Parmigianino, è l’intera città ad aver valore di museo. La Fondazione ha concorso al risultato
in modo visibile e decisivo. L’intero centro della città con i suoi insigni monumenti è
stato profondamente, abilmente, accuratamente, nobilmente restaurato e valorizzato.
L’Italia possiede il maggior numero di siti classificati come patrimonio dell’umanità.
Ma sarebbe un errore confinare l’Italia nella immagine di un contenitore. L’Italia comprende memorie storiche e culturali, testimonianze significative della evoluzione della
umanità, luoghi di pregio naturale, città rappresentative delle varie fasi della evoluzione politica ed artistica, opere d’arte insigni, musei. Ai valori che discendono dalla disaggregazione, bisogna aggiungere quello maggiore che si collega all’insieme. L’Italia,
contenitore di patrimoni dell’umanità, è essa stessa come un tutto il più insigne patrimonio dell’umanità. Gli stranieri vengono in Italia attratti non soltanto dai singoli
monumenti, ma per assorbire lo spirito dei luoghi, di cui sono espressione non solo i
paesaggi, le strutture urbane, le bellezze individue, ma anche e spesso soprattutto i
comportamenti umani, singoli e collettivi. Così è stato nei secoli passati, così è ancora oggi.
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Sessione dedicata alle Fondazioni
Abbiamo fatto riferimento ad uno solo dei settori di intervento, quello dell’arte, dell’ambiente e della storia. Ma eguali riflessioni possono ripetersi per tutti gli altri. L’assistenza sociale è capitale umano, la ricerca è capitale umano, e quanto e di quale pregio sia il capitale umano incorporato nelle opere d’arte con la tradizione che ne deriva, sembra persino superfluo ricordarlo. Elettricisti, falegnami, stuccatori, pittori,
restauratori, tessitori, stampatori e via via fino alle più alte manifestazioni dell’ingegno
e della cultura concorrono al patrimonio che ci è stato tramandato e che non deve
essere disperso.
9. Una domanda successiva, la ottava, completa quella precedente. C’è da chiedersi
se la congruità del regime delle Fondazioni con il sistema e lo spirito dei Trattati si
manifesti anche sulla base di altri fondamenti. Questa mattina si è fatto cenno ad
un aspetto che non può essere trascurato. È stato ricordato l’indirizzo del Governatore della Banca d’Italia che con operazioni accorte e graduali, partendo dal frazionismo esistente nel settore bancario nel 1992, ha centrato l’obiettivo della costituzione di cinque grandi gruppi bancari, premessa per meglio collocare il nostro
Paese nel contesto finanziario internazionale. È un risultato che non era suggerito
da mere valutazioni di opportunità. Era imposto dalla creazione del mercato unico
comunitario di dimensioni continentali. È un risultato che non avrebbe potuto
conseguirsi se non vi fossero state le Fondazioni, il cui patrimonio è basato sulle
partecipazioni bancarie, ma il cui scopo non è quello della impresa bancaria. Per
apprezzare quanto si è fatto nel sistema creditizio è sufficiente un confronto con
quanto è avvenuto nel sistema delle imprese. Qui lo Stato deteneva nelle sue mani
la parte più significativa del sistema industriale di maggiori dimensioni. Malgrado
ciò a partire dal 1992, all’opposto di quanto è avvenuto nel settore bancario, si è
proceduto non nel senso della aggregazione, ma in quello opposto delle scomposizioni. Nello stesso settore bancario l’opera non può dirsi completata. Della
mediazione del sistema delle Fondazioni ci si dovrà ancora avvalere. Tra poco
riprenderà con maggiore vivacità una nuova fase di integrazione comunitaria-planetaria ed i gruppi italiani dovranno essere accuratamente accompagnati perché vi
partecipino attivamente. Anche sotto questo profilo il regime giuridico delle Fondazioni ha svolto dunque un ruolo integrativo essenziale.
Si può ora tornare sull’ottava domanda nel suo insieme. Concerneva la ponderazione
tra l’interesse alla riduzione del debito pubblico dello Stato e quello della valorizzazione dei fattori produttivi del Paese. La risposta è nelle considerazioni che precedono.
Quanto le Fondazioni, in concreto quindi il modello operativo di cui le Fondazioni
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Sessione dedicata alle Fondazioni
sono espressione, hanno dato e in futuro potranno dare per lo sviluppo sociale, civile
e culturale del Paese, vale per il Paese e per l’Unione Europea ben più di quanto avrebbe potuto ricavarsi dalla avocazione del loro patrimonio per ridurre il debito e l’indebitamento dello Stato.
10. Siamo all’ultima domanda, la nona, che è particolarmente intrigante. Si sono esposte le ragioni che inducono a ritenere che il mantenimento del vigente regime delle
Fondazioni costituisce la soluzione più conforme allo spirito ed al sistema dei Trattati comunitari. Potrebbe obiettarsi che la ponderazione tra la convenienza di tale
soluzione e quella del contenimento insieme del debito e dell’indebitamento è di
competenza del legislatore. Il legislatore, valutati i pro e i contro, potrebbe consapevolmente avere optato per la riduzione del debito pubblico. Ma è esatto che il
legislatore fosse libero di farlo? Sono state ampiamente dibattute in sede giurisdizionale le ragioni che si oppongono a tale conclusione. Alle Fondazioni in modo
esplicito dal d. lgsl. n. 153/99 è stata riconosciuta la natura giuridica di soggetto
di diritto privato. I principi costituzionali vietano alla legge ordinaria di interferire sulla organizzazione dei soggetti privati; vieta che soggetti privati, senza il loro
consenso siano sottoposti al volere di soggetti pubblici, quasi a trasformarsi in loro
enti strumentali. Il che concretamente la riforma Tremonti avrebbe tentato di fare.
Su tali aspetti è stata chiamata a pronunciarsi la Corte Costituzionale e non sarebbe corretto, dopo che è già avvenuta la discussione in pubblica udienza e la questione è stata introitata per la decisione, ritornare sui medesimi temi.
Interessa invece soffermarsi su un profilo, non ancora emerso con chiarezza nei dibattiti e che presenta rilievo non solo nell’attualità, ma anche per il futuro. Anche ammesso che il legislatore potesse autoritativamente modificare il regime giuridico esistente,
sino a trasformare in una ipotesi limite le Fondazioni da soggetti privati in soggetti
pubblici, la domanda è: potrebbe ancora farlo dopo l’entrata in vigore della legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3?
L’art. 4, quarto comma, della legge recita testualmente: “Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e
associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di
sussidiarietà”. Si pone una questione interpretativa: cosa si debba intendere per cittadini, se solo le persone fisiche, od anche qualsiasi persona giuridica civile. La cittadinanza è un istituto proprio della persona fisica. Ma è pacifico in dottrina che le persone giuridiche hanno la stessa capacità giuridica delle persone fisiche, fatta eccezione
delle sole attività che presuppongono la fisicità delle persone: il matrimonio, la filia106
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zione, la determinazione giuridica del momento della nascita e della estinzione della
persona, e così via.
La dizione della norma non offre alcun elemento atto a giustificare la limitazione della
tutela costituzionale accordata dall’art. 4 alle sole persone fisiche, con esclusione di
quelle giuridiche. Considerazioni sistematiche conducono viceversa alla conclusione
opposta. La disciplina è introdotta in funzione del principio di sussidiarietà e la sussidiarietà comporta che i pubblici poteri intervengano ciascuno solo dove non si riveli
idoneo o sufficiente il livello inferiore. Con riguardo ai poteri pubblici nel loro insieme il principio ne autorizza l’impiego solo dove l’interesse generale non trovi un sufficiente soddisfacimento attraverso l’iniziativa assunta in autonomia dai soggetti privati. Ciò che la norma costituzionale tutela e valorizza non è tanto il soggetto, quanto l’iniziativa autonoma. In tale contesto una distinzione tra la persona privata fisica e
la persona privata giuridica non trova spazio. Tanto più un diverso trattamento risulterebbe incongruo ove si tenga presente la ratio della norma. In effetti le persone giuridiche private sono esse stesse frutto della iniziativa delle persone fisiche: le associazioni, di un gruppo di persone fisiche, le fondazioni anche di un unico soggetto. Se si
volessero escludere dall’ambito di applicazione della norma le persone giuridiche private si dovrebbe affermare che sono tutelate dall’art. 4, 4° comma, L. Cost. n. 3/2001
solo le iniziative assunte dai singoli in modo “immediato”, non quelle che si avvalgono della intermediazione di strumenti organizzativi la cui specifica funzione consiste
proprio nell’ampliare la capacità dei singoli. La conclusione sarebbe da negare per una
considerazione assorbente, poichè l’art. 4 contempla espressamente che l’iniziativa
possa essere presa dai cittadini in modo “associato”. E se la soluzione vale per le associazioni non vedo perchè non dovrebbe valere per le fondazioni. Si può aggiungere che
se si fosse esclusa dalla tutela la iniziativa attuata attraverso la mediazione di organizzazioni funzionali allo scopo, si sarebbe impedito contraddittoriamente alle iniziative
aventi ad oggetto attività di interesse generale, quindi meritorie, di avvalersi di sussidi
organizzativi utilizzabili in qualsiasi altro caso.
La conclusione che si ricava dall’art. 4, comma 4, L. cost. n. 3/2001 conferma insieme
l’esattezza e l’importanza del punto di partenza: che cioè il perno della disciplina giuridica delle Fondazioni vada individuato nella attività e non nel soggetto. È la disciplina dell’attività, del patrimonio ad essa destinato, degli scopi ammissibili (senza fine di
lucro) e del carattere (negoziale) delle forme attraverso le quali l’attività deve esplicarsi, a dar ragione del carattere privato delle Fondazioni. La coerenza di questa affermazione, enunciata in premessa, con il disposto dell’art. 4, L. Cost. n. 3/2001 consente
un ultimo svolgimento. Non tutte le fondazioni private ricadono nell’ambito regolato
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dall’art. 4, cit., ma solo quelle che sono destinate a svolgere una “attività di interesse
generale”. Se questo presupposto esiste perde rilievo la figura del fondatore. La tutela
costituzionale che trae origine dal principio di sussidiarietà permane, in presenza di
una iniziativa di interesse generale assunta in autonomia, cioè nell’esercizio di poteri
negoziali, anche se il fondatore sia una persona giuridica pubblica. Lo Stato e le persone pubbliche possono avvalersi della capacità giuridica di diritto privato, se ed in quanto la legge espressamente lo consenta. Ma quando tale consenso vi sia, le persone giuridiche pubbliche, ivi compreso lo Stato, fatto salvo il limite della fisicità, si avvalgono
della capacità di diritto privato con estensione pari a quella di qualsiasi soggetto privato. Le Fondazioni bancarie ricadono quindi nel disposto dell’art. 4, L. Cost. n. 3/2001
alla stregua di qualsiasi altra fondazione, il cui scopo consista nello svolgimento di attività di interesse generale. Per le Fondazioni bancarie vi è qualcosa in più, perchè i settori ammessi, la ricerca e l’istruzione, i beni culturali, la sanità, l’assistenza privata, corrispondono tutti ad interessi costituzionalmente protetti (artt. 9, 31, 32, 33, 38).
Siamo con ciò alla conclusione. Se vi è una iniziativa autonoma per lo svolgimento di
attività di interesse generale, gli enti territoriali, ivi compreso lo Stato ed ivi compreso lo Stato legislatore, hanno il dovere di favorirla: questo dispone l’art. 4, L. Cost. n.
3/01. Il “favore” tutela sia l’assunzione delle iniziative, sia lo svolgimento. Le Fondazioni bancarie hanno titolo ad avvalersi di questa tutela. Il “favore” comporta il divieto di tutto ciò che revochi od attenui il vantaggio derivante dalla disciplina preesistente. La discrezionalità del legislatore nei confronti delle Fondazioni, a partire dalla
L. Cost. n. 3/01, non potrebbe essere esercitata in pejus.
11. Molto altro potrebbe dirsi e tutto avrebbe potuto dirsi meglio. Ma il tempo è tiranno. Mi auguro tuttavia che sia emersa con chiarezza quanto meno la convinzione
che è alla base delle riflessioni: che le Fondazioni hanno colmato un vuoto nel
nostro sistema giuridico. Sono chiamate ad intervenire, nel perseguimento di scopi
di interesse generale costituzionalmente rilevanti, là dove le pubbliche amministrazioni non potrebbero efficacemente provvedere con i loro poteri amministrativi discrezionali. In più, lo “status” delle Fondazioni, quale risulta dal d.lgsl. 17
maggio 1999, n. 153, è oggi costituzionalmente protetto dall’art. 4, co. 4, L. Cost.
n. 3/01. L’esperienza delle Fondazioni, in questi primi anni del loro operato, ha
dato risultati positivi ed apprezzati. Abbiamo ora la certezza giuridica che le Fondazioni potranno continuare a svolgere, nell’assetto attuale ed a tempo indefinito,
la loro opera insostituibile ed efficace nell’interesse del Paese. Lunga vita alle Fondazioni, auguri di un loro fecondo futuro.
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L’EVOLUZIONE DEI POTERI DELL’AUTORITÀ DI VIGILANZA
Emmanuele Emanuele,
Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma
La disciplina della vigilanza costituisce un asse portante dell’intero impianto normativo sin dalla legge Amato, in quanto la sua configurazione incide profondamente sulla
natura giuridica degli enti controllati. Inizialmente affidata in modo confuso e contraddittorio al Ministero del Tesoro con la legge 218/90, la vigilanza sulle Fondazioni
si è via via costruita sull’archetipo di quella indirizzata alle banche, benché si tratti,
com’è evidente, di attività rivolta a soggetti diversi, copiandone finalità e strumenti. In
comune, infatti, le due tipologie hanno soltanto i criteri generali del controllo della
sana e prudente gestione, del rispetto della legge e dello statuto.
La sostanziale equiparazione delle Fondazioni alle banche sotto il profilo della vigilanza ha fatto sorgere dubbi sulla opportunità di estendere a soggetti privati con finalità
differenti formule organizzatorie, strumenti e moduli operativi tipici dei controlli su
imprese bancarie e finanziarie.
Nasce perciò spontanea la domanda su quale sia la ratio di questo accostamento. Dall’evolversi delle travagliate vicende normative che hanno interessato le Fondazioni,
emerge chiaramente che il principale intento strategico del legislatore, confermato da
tutti i governi che si sono succeduti, anche se aventi maggioranze diverse, è la volontà di controllare più che la gestione, le finalità di impiego dei patrimoni di questi enti.
Le norme sulla vigilanza, a questo proposito, sono esemplari nel tradurre operativamente questo intento. Anche la scelta del soggetto cui affidare la vigilanza, il Ministero del Tesoro, ora dell’Economia e delle Finanze è in funzione della volontà dell’esecutivo di controllare da vicino il rapporto fra la proprietà azionaria delle Fondazioni
ed il sistema delle banche e le loro disponibilità di intervento nell’attività istituzionale.
Infatti, partendo dal pregiudizio secondo cui le Fondazioni sono soggetti autoreferenziali, privi di legittimazione democratica, incapaci di autorinnovarsi e di interpretare
correttamente il ruolo di volta in volta imposto dal legislatore, nell’arco di circa 13
anni è stata confezionata una tale mole di disposizioni tese a controllare sotto qualsiasi profilo questi enti che non esistono nel nostro ordinamento dei soggetti più sotto
tutela di questi. Il pretesto iniziale della sana e prudente gestione ha funzionato da
passe-partout per trasformare una corretta vigilanza in una forma di eterodirezione
delle Fondazioni, con poteri ben più estesi di quelli che l’ordinamento riserva alla
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Banca d’Italia nei confronti del sistema creditizio. A tal proposito, basti vedere le
norme sull’onorabilità che per gli esponenti delle Fondazioni prevedono condizionamenti ben più ampi e severi di quelli richiesti ai colleghi delle banche. I colleghi delle
banche possono ricevere un avviso di garanzia e rimanere tranquillamente al loro
posto, in attesa che la giustizia dimostri che sono tutti innocenti. Al contrario, i Presidenti o gli amministratori delle fondazioni, all’atto in cui ricevono l’avviso di garanzia, devono immediatamente autosospendersi, ed attendere le valutazioni e decisioni
dell’organo di appartenenza.
I componenti dei Consigli di Amministrazione delle fondazioni non possono far parte
dei Consigli di Amministrazione delle banche controllate, mentre in queste ultime siedono notoriamente i debitori ed i dipendenti delle stesse. Mi chiedo com’è possibile
che ci sia una discriminazione così forte tra una vigilanza nei confronti di un sistema
bancario che si rivolge al pubblico, ad un certo imprenditore, e invece ci siano controlli così pervasivi, se non dire di peggio, nei confronti di coloro che svolgono, come
unica ed esclusiva attività, quella filantropica.
In capo all’autorità di controllo si sono via via sommate le funzioni informativa, ispettiva, correttiva; le potestà autorizzatoria, approvativa, normativa, regolamentare, sostitutiva, sanzionatoria ed una potestà di indirizzo che tocca una serie amplissima di
materie, tanto che l’autonomia statutaria e gestionale delle Fondazioni, pur da un
certo momento in poi anche formalmente ricondotta all’ambito del diritto privato, si
è progressivamente ridotta ai minimi termini. Una vigilanza così incisiva e onnipresente, che va ben oltre il controllo di legittimità normalmente previsto per un’autorità di controllo, e che si sostanzia nel potere di conformare, indirizzare, determinare sia
i fini, sia gli strumenti per raggiungerli, non può spiegarsi sulla base di una semplice
tutela degli interessi dei destinatari delle Fondazioni, bensì alla luce del citato programma di ricondurle nella sfera pubblicistica indipendentemente dalle formulazioni
di principio adottate.
Il danno maggiore arrecato alle Fondazioni è, a mio modo di vedere, diretta conseguenza dello strapotere dell’autorità di vigilanza, e ancor più della reinterpretazione
costantemente “in peius” delle norme vigenti, per cui si è arrivati al paradosso che,
mentre le leggi cercano di dare un’impostazione privatistica alle Fondazioni, contestualmente le disposizioni regolamentari, a volte sprovviste di fondamenti normativi,
le riconducono verso la sfera pubblica.
Ripercorrendo, seppur brevemente, le fasi principali della vicenda normativa e regolamentare che riguarda le Fondazioni, ci si potrà avvedere che la mia tesi è ragionevolmente fondata e condivisibile.
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_________
Dopo aver scelto il soggetto cui affidare la vigilanza nei confronti degli enti conferenti, con la legge Amato si gettano le basi della futura configurazione dei poteri dell’allora Ministero del Tesoro, seppur in maniera caotica e contraddittoria. Si confondono
e si sovrappongono i controlli cui erano sottoposti, da parte del Ministero del Tesoro
e della Banca d’Italia, sia gli enti conferenti che le società bancarie, con il risultato di
produrre una grave conflittualità di norme comportamentali. Poco dopo, con il D.
Lgs. 481/92 dedicato alla ristrutturazione del sistema creditizio italiano, in ossequio
alle direttive comunitarie, viene inserita la norma (art. 43) che prevede la facoltà del
Ministro del Tesoro di impartire agli enti conferenti scaturiti dall’applicazione della
legge Amato direttive per il trasferimento di azioni con diritto di voto nell’assemblea
ordinaria, incidendo così in modo determinante sul regime del controllo pubblico
disposto solo poco prima dal D. Lgs. 356/1990.
Il provvedimento Dini (la cosiddetta direttiva), confermando l’impostazione dirigistica e la confusione nella sovrapposizione dei controlli, rappresenta il punto di non
ritorno relativamente alla volontà del legislatore di indurre le Fondazioni a cedere le
partecipazioni di controllo nelle banche ed a separarsi anche operativamente da esse.
Dietro l’introduzione dell’obbligo di diversificare gli investimenti, cui si accompagna
la previsione di un riassetto a livello di governance, che si prefigge di rafforzare la presenza degli esponenti di designazione esterna negli organi di gestione e di amministrazione delle Fondazioni, si celava il disegno di mantenere ben salde in capo all’esecutivo le redini delle stesse banche, attraverso un controllo sempre più rigido e diretto delle Fondazioni. Pertanto, a guardare bene, ciò che da una parte apparentemente
si voleva privatizzare, per altro verso, in modo meno manifesto ma più efficace, si voleva “riacquisire” al controllo pubblico, attraverso l’azione del Ministero del Tesoro cui
veniva affidata la potestà di approvare le modifiche statutarie ed il regolamento sulle
erogazioni ex art. 5, di formulare rilievi ed osservazioni, di autorizzare la cessione diretta della partecipazione nella banca conferitaria, in alternativa all’ordinaria offerta pubblica di vendita.
Con la circolare ministeriale del 28 giugno 1995, che rappresenta uno dei primi esempi dell’anomala produzione normativa dell’autorità di vigilanza e delle sue interpretazioni estensive e peggiorative delle norme primarie, venivano puntigliosamente e prolissamente definite le procedure per le dismissioni, per l’approvazione delle modifiche
statutarie e del regolamento, facendo in modo di ritagliare per l’autorità stessa un
ruolo di crescente pervasività, che superava vistosamente il dettato della normativa primaria.
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Sulla scia dell’imperativo volto a costringere le Fondazioni a dismettere le partecipazioni bancarie ed a completare in maniera accelerata la separazione tra attività bancaria e filantropica, quest’ultima riservata in via esclusiva e definitiva alle Fondazioni, la
proposta di legge a firma dell’allora Ministro del Tesoro Ciampi, che voleva rappresentare il tentativo di mettere ordine nel variegato sistema delle Fondazioni bancarie,
e che ancora una volta partiva da un presupposto, questa volta la privatizzazione, per
arrivare ad un risultato completamente opposto, rappresentava la conferma dell’impostazione dirigistica che faceva da uniforme sfondo all’impianto della riforma.
L’iter parlamentare di approvazione, durato circa due anni, metteva in luce le palesi
contraddizioni della legge. La più macroscopica era questa: si affermava di voler riconoscere alle Fondazioni la personalità giuridica privata con l’ampia autonomia statutaria e gestionale che compete a tali soggetti, ma in realtà detta autonomia veniva definitivamente terremotata anche grazie alle disposizioni in materia di vigilanza scaturenti dall’atto di indirizzo.
Il legislatore confermava al Ministero del Tesoro la funzione di vigilanza, ma solo in
via transitoria, fino all’entrata in vigore della nuova disciplina dell’autorità di controllo sulle persone giuridiche di cui al Titolo II del Libro I del Codice civile, ed anche
successivamente, finché le Fondazioni fossero rimaste titolari di una partecipazione di
controllo nella società bancaria conferitaria (L. 461/98, art. 2, comma 1, lett. i). Sarebbe stato logico aspettarsi che man mano che si fosse affievolito il legame tra Fondazioni e banche conferitarie i controlli sarebbero diventati meno insistenti ed invasivi,
fino al passaggio delle consegne all’istituenda autorità di vigilanza sul Terzo Settore. Ed
invece accadeva esattamente il contrario. Infatti, a fronte della pur riconosciuta natura giuridica privata delle Fondazioni (art. 2, comma 1, lett. l), l’autorità di vigilanza
veniva legittimata ad estendere i controlli ai profili di merito delle determinazioni
assunte dagli organi delle Fondazioni, finalizzando i compiti di verifica non più solo
alla sana e prudente gestione, formula che di per sé sola consente interventi molto
invasivi, ed al rispetto della legge e dello statuto, ma anche alla tutela degli interessi
contemplati nello stesso statuto ed alla redditività dei patrimoni, quando invece gli
unici controlli possibili e legittimi dovevano essere quelli previsti dal Codice civile. A
tale ultimo proposito, segnalo l’art. 2, comma 1, lett. i) che conferiva al Ministero del
Tesoro il potere di determinare annualmente il limite minimo di reddito in base al
patrimonio, cosa che si verificava puntualmente con l’indicazione, contenuta in un
primo momento nel disegno di legge delega, di fare riferimento ad un benchmark bancario (“determina, con riferimento ad un periodo triennale, un limite minimo di reddito
in relazione al patrimonio, basato prevalentemente sul rapporto fra dividendi e patrimo112
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nio netto del settore bancario, da destinare ai fini statutari”). Si trattava di una paradossale contraddizione, atteso che il legislatore, contestualmente, imponeva alle Fondazioni di separarsi nettamente dalle banche, cedendo le proprie partecipazioni. Non v’è,
inoltre, chi non veda l’ulteriore stridente contrasto tra tale disposizione e la volontà
manifesta di ritagliare per le Fondazioni un ruolo esclusivo di enti non profit.
Come se non bastasse, alle funzioni di approvazione delle modifiche statutarie ed ai
poteri di ispezione già previsti nella previgente disciplina, si aggiungevano poteri autorizzatori (sulle operazioni di trasformazione e concentrazione) e sanzionatori (scioglimento degli organi di amministrazione e controllo e liquidazione dell’ente).
Oltre a confermare e precisare le competenze sopra indicate, il decreto legislativo delegato n. 153/99 in alcuni punti superava largamente il dettato della legge delega, arrivando ad investire l’autorità di controllo di una serie di ulteriori poteri che, sommati
insieme, ottenevano come risultato finale di azzerare quasi del tutto la residua autonomia riservata alle Fondazioni. Da sottolineare il fatto che al Ministero veniva attribuita la competenza di sindacare non solo la legittimità ma anche il merito delle
determinazioni assunte dalle Fondazioni, e che esso diveniva titolare anche di funzioni ispettive, di difficile valutazione circa la loro origine. L’autorità di vigilanza esercitava, quindi, una notevole ed invasiva attività di controllo che andava dalla verifica
della sana e prudente gestione alla definizione di parametri di adeguatezza per le spese
di funzionamento degli enti; dall’emanazione di atti di indirizzo generale per la diversificazione degli investimenti alle procedure relative alle operazioni aventi ad oggetto
le partecipazioni nelle società conferitarie.
Si noti poi che nella legge delega, ad esempio, a differenza di quanto disposto dall’art.
11 del D. Lgs. 153/99, non vi era traccia della nomina di un commissario per la vendita delle partecipazioni di controllo nelle società bancarie conferitarie, la cui mancata cessione avrebbe dovuto comportare la sola perdita della qualifica di ente non commerciale.
Il Ministero del Tesoro diveniva titolare di poteri normativi veri e propri con riferimento alla redazione ed alla pubblicità dei bilanci e acquisiva il potere di sostituirsi alle
determinazioni degli organi delle Fondazioni qualora questi non avessero provveduto
alla verifica dei requisiti richiesti per gli esponenti, alle cause di incompatibilità, di
sospensione o di decadenza.
Quello che colpiva maggiormente del provvedimento era che a fronte di questo strapotere dell’autorità di controllo si registrava l’indeterminatezza assoluta dei parametri
cui essa doveva conformare le proprie decisioni nell’esercizio delle ampie funzioni
attribuitele, elemento che rendeva amplissima la discrezionalità del Ministero relativa113
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mente al merito delle sue determinazioni.
A completamento della riforma appena avviata, l’autorità di vigilanza, forte dei poteri conferitile dalla legge, emanava un atto di indirizzo recante la data del 5 agosto
1999, per favorire l’adeguamento degli statuti alla nuova disciplina, atto che incarnava alla lettera la citata volontà di interpretare in maniera estensiva, e sempre a danno
dei soggetti destinatari, le norme primarie e di introdurre nuovi vincoli e limiti all’autonomia delle Fondazioni attraverso strumenti di natura amministrativa.
Il provvedimento, benché qualificato come atto di indirizzo, poteva definirsi un vero
e proprio regolamento ministeriale, in quanto conteneva disposizioni generali a carattere innovativo e precettivo, ed in quanto tale era da considerarsi illegittimo per il
mancato rispetto del procedimento di formazione che prevede il previo parere del
Consiglio di Stato.
L’atto risultava, inoltre, carente di una base legislativa, sia in quanto l’art. 10, comma
3, lett. e) del D. Lgs. n. 153/99 non attribuisce all’autorità di vigilanza il potere di
emanare norme giuridiche nuove, né tanto meno regolamenti di attuazione o delegati, sia per il fatto che l’art. 28 prevedeva che le Fondazioni avrebbero dovuto adeguare gli statuti alle disposizioni del decreto stesso e non alle ulteriori norme da emanarsi sulla base di esso.
Tra i molti punti censurabili anche nel merito, vi era la previsione di numerosi vincoli all’organizzazione interna, che facevano presupporre che il Ministero applicasse per
le Fondazioni bancarie il principio dell’eteronomia statutaria che è invece applicabile ai
soli enti pubblici, elemento che trovava conferma nella concentrazione di poteri che
potevano essere esercitati dall’autorità di vigilanza. L’atto, pertanto, risultava viziato da
incostituzionalità con riferimento agli articoli 2, 18, 33, 3° comma, 38, ultimo
comma, della Costituzione.
Credo, tuttavia, che il culmine dello spirito dirigista cui ho fatto cenno e del completo distacco dai più elementari principi di diritto veniva raggiunto allorché il Ministero del Tesoro, con un comunicato stampa datato 3 aprile 2000, disponeva la sospensione dei benefici fiscali introdotti dalla legge Ciampi, e consistenti nella riduzione
dell’aliquota IRPEG e nel beneficio della non imponibilità delle plusvalenze derivanti dalle dismissioni delle partecipazioni bancarie, assumendo a pretesto l’avvio di una
procedura di indagine da parte della Commissione europea diretta a verificarne la configurabilità come aiuti di Stato. Non ricordo di aver mai avuto conoscenza della
sospensione degli effetti dettati da una norma di legge attraverso un semplice comunicato stampa. Il Ministero, evidentemente, ormai convinto di poter impunemente
operare al di là della legge, aveva individuato una nuova e rapida modalità per far giun114
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gere le sue determinazioni agli enti controllati.
Nonostante l’impegno del Ministero del Tesoro, concordato con l’ACRI nel giugno
del 2000, secondo cui con l’adozione degli statuti non sarebbero stati emanati ulteriori
atti di indirizzo in materia di incompatibilità e di ineleggibilità, a meno di un anno di
distanza esso lo disattendeva con l’emanazione dell’atto di indirizzo del 22 maggio
2001, cui facevano seguito la nota esplicativa del 25 maggio e la nota del direttore
generale del Tesoro del 7 giugno dello stesso anno, sempre sullo stesso argomento.
Puntualmente, anche qui il Ministero esercitava un potere non riconosciutogli dalla
legge, esorbitante rispetto ai limiti indicati dalla norma primaria attributiva, emanando un atto di natura e contenuto diversi da quelli stabiliti dalla legge. Quest’ultima,
infatti, riconosceva all’autorità di vigilanza il potere di emanare atti di indirizzo a
carattere generale in alcune materie, provvedimenti cioè di natura interpretativa delle
norme primarie e, pertanto, inidonei a produrre effetti vincolanti per i destinatari. Al
contrario, l’atto in argomento si palesava, dalle formule redazionali impiegate sia in
esso, sia nelle note correlate, come un atto dotato di immediata precettività, in quanto all’obbligo di uniformarsi alle disposizioni in esso contenute si accompagnava la
minaccia delle sanzioni per l’eventuale inottemperanza. Se a ciò si aggiunge che esso
introduceva una nuova fattispecie di incompatibilità con il risultato di limitare ulteriormente l’autonomia statutaria delle Fondazioni, quando invece bisognava attenersi
all’unico limite espressamente stabilito dalla legge in materia rappresentato dal divieto di ricoprire l’incarico di amministratore nella Fondazione e contemporaneamente
nella banca conferitaria, emerge chiaramente che, al di là del nomen iuris, l’atto di
indirizzo era un provvedimento amministrativo di natura regolamentare e vincolante
per i destinatari, quindi illegittimo.
L’atto di indirizzo, quelli presupposti e conseguenti venivano impugnati dalla FCRR
e poi dalle altre Fondazioni per vizi di incostituzionalità degli artt. 4, comma 1 lett. g
e 10, comma 3, lett. e) per contrasto con gli artt. 2, 3, 18, 41, e 76 Cost, e le censure trovavano ampio ed autorevole conforto presso il TAR del Lazio che con la ordinanza n. 1196/02, successivamente confermata dalla n. 812/03, sollevava la questione di legittimità costituzionale proprio in relazione alle norme attributive dei poteri
all’autorità di vigilanza.
Sulla scia di un interventismo che non ha mai cessato di far sentire i suoi effetti sull’operato delle Fondazioni bancarie, e nel quadro di un indirizzo anch’esso consolidato, tendente a limitare la loro autonomia, il legislatore, questa volta nella persona del
Ministro Tremonti, con un vero e proprio blitz inseriva nella legge finanziaria dello
Stato per il 2002 (legge n. 448/2001), una norma, l’art. 11, che poneva le basi per una
115
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
profonda modifica della disciplina di settore.
Tralasciando ogni considerazione sull’irritualità di inserire in una legge finanziaria la
riforma delle Fondazioni bancarie, sottraendola, di fatto, ad un ampio dibattito parlamentare che spesso manca in occasione del varo della “finanziaria”, si riconfermava
l’indirizzo spiccatamente statalista e dirigista della disciplina. Esemplificativo del clima
fondato sull’orientamento a ripubblicizzare le Fondazioni in cui era maturata la nuova
riforma, il fatto che nella prima formulazione dell’emendamento Tremonti non era
prevista la conferma della loro natura privata, mancanza che veniva in seguito giustificata come un “refuso di stampa”.
In materia di vigilanza, venivano ancora più ampliati i poteri del Ministero dell’Economia e delle Finanze per abbracciare anche la SGR cui eventualmente andavano affidate le quote di partecipazione nelle banche, ma soprattutto aumentavano i poteri
sostitutivi che si estendevano all’ipotesi in cui le Fondazioni non avessero ottemperato all’obbligo di dismettere la partecipazione di controllo, e quelli autorizzatori nella
fase transitoria, per cui le Fondazioni erano obbligate ad operare solo in regime di
ordinaria amministrazione, e qualsiasi atto che esulasse da essa necessitava dell’autorizzazione espressa del Ministero (art. 11, comma 14).
Collocandosi a pieno titolo nella scia dei suoi precedenti analoghi provvedimenti,
nelle more dell’emanazione del regolamento di attuazione previsto dal comma 14 dell’articolo 11 dell’emendamento Tremonti, e in considerazione delle numerose richieste di chiarimento inoltrate dalle Fondazioni, il Ministero dell’Economia e delle
Finanze, diramava una nota, a firma del direttore generale, datata 28 marzo 2002,
contenente alcuni chiarimenti in ordine al disposto dell’art. 11, comma 14, ultimo
periodo, della L. 448/2001, con particolare riferimento al concetto di “ordinaria
amministrazione”. La nota veniva giustamente ed unanimemente giudicata un’ennesima dimostrazione della volontà dell’organo di vigilanza di comprimere oltre ogni
misura, anche al di là di quanto stabilito dalla norma ordinaria, la residua autonomia
di enti che sono fin dall’origine di natura privata, e per questo veniva impugnata da
gran parte delle Fondazioni.
Nel documento il Ministero chiariva, in sintesi, che: era compresa nell’ordinaria
amministrazione l’esecuzione dei progetti di erogazione già approvati, seppure nelle
linee fondamentali; erano comunque autorizzate, in via generale, le deliberazioni di
importo non superiore a 25.000 euro, ovvero all’eventuale maggiore importo stabilito dall’autorità di vigilanza in considerazione delle dimensioni della Fondazione; tutte
le altre operazioni erano sottoposte all’autorità di vigilanza. A parte alcuni profili di
irregolarità formale, la nota del Ministero presentava il grave vizio di introdurre dis116
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Sessione dedicata alle Fondazioni
posizioni generali ed astratte a carattere innovativo e, quindi, normativo, non ricavabili dalla norma primaria nemmeno se interpretata estensivamente; in secondo luogo,
esse erano immediatamente precettive e vincolanti in quanto vietavano ex tunc alle
Fondazioni ogni operatività per le erogazioni di importo superiore a quello indicato,
salvo espressa autorizzazione dell’autorità di vigilanza. In breve, si trattava di un’ulteriore conferma del fatto che l’autorità di vigilanza si ritagliava per sé un ruolo e dei
compiti che andavano ben al di là dei principi previsti dalla legge.
Con il citato provvedimento, dunque, il Ministero metteva una pietra tombale sulle
residue possibilità di dar corso all’attività istituzionale delle Fondazioni. Non è chi non
veda il danno enorme arrecato alla collettività da una determinazione così severa, di
fronte alla quale alcune Fondazioni, cui va sicuramente il riconoscimento di una capacità interpretativa sicuramente encomiabile, hanno continuato ad erogare, mentre
altre hanno ritenuto, correttamente, di non poterlo fare, danno che ha avuto un
riscontro immediato nell’arresto per un biennio dell’irrorazione di mezzi finanziari
verso il territorio di riferimento, mezzi che sarebbero stati destinati a rispondere alle
drammatiche esigenze del territorio.
Il 1° ottobre 2002 veniva finalmente pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il testo del
regolamento attuativo della riforma Tremonti limitatamente alla governance delle Fondazioni, revisionato e corretto alla luce dei sostanziali rilievi formulati dal Consiglio di
Stato nel suo parere d’obbligo e dopo una serie di ripensamenti da parte del Ministero che aveva proposto, in un primo momento, una diversa bozza, poi ritirata.
Sebbene il provvedimento, nel complesso, apparisse più rispettoso della sua natura
attuativa e di quanto disposto dal D. Lgs. 153/99, restavano immutate le pesanti riserve sulla forma e sul merito.
Il corposo provvedimento si rivelava illegittimo, anche sotto il profilo costituzionale,
poiché non era conforme ai principi chiave richiamati dal Consiglio di Stato nelle premesse del suo parere. In sintesi, l’alto organo consultivo richiamava i dubbi di legittimità costituzionale della L. 488/2001, con riferimento alle numerose fattispecie in cui
l’autonomia privata delle Fondazioni, le libertà fondamentali di associazione e di libero esercizio dei diritti nelle formazioni sociali ove si svolge la personalità di ciascun
individuo, i principi costituzionali di ragionevolezza e proporzionalità delle scelte
legislative, il principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118 Cost., sono messi
in discussione, quando non palesemente disattesi.
Un secondo punto fermo fissato dal Consiglio di Stato consisteva nella riaffermata, conclamata ed indiscussa natura privatistica delle Fondazioni bancarie, anche se soggette ad
un regime civilistico speciale, e ciò per esplicita volontà della stessa L. 448/2001.
117
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
Un terzo ed ultimo punto concerneva la pacifica affermazione che il regolamento in
questione aveva natura attuativa e non poteva quindi avere “portata espansiva” rispetto alle previsioni della L. 448/2001 e dell’intero D. Lgs. 153/99, né poteva alterare la
disciplina civilistica generale in assenza di una norma di rango primario. Era una chiara censura all’iperattività dell’organo di controllo, sempre proteso, come abbiamo
visto, a ritagliarsi ruoli e competenze non previste dalle norme primarie.
Ad esempio, in materia di vigilanza, si segnala l’art. 2, comma 2, in base al quale la
delibera dell’organo di indirizzo che seleziona i tre settori rilevanti, qualora detta scelta non venga effettuata nello statuto, non poteva essere modificata per almeno tre anni
senza autorizzazione dell’autorità di vigilanza. Inoltre, le Fondazioni erano tenute a
comunicare tempestivamente alla medesima i settori rilevanti prescelti. Si disponeva,
inoltre, che le deliberazioni che individuano i settori rilevanti non erano efficaci prima
che la stessa autorità ne avesse accertato la conformità alla legge ed al regolamento.
Ancora, ad ampliare le competenze dell’autorità di vigilanza ci pensava l’art. 9, comma
10 secondo cui in caso di inosservanza delle severe e restrittive disposizioni previste per
la fase transitoria, l’autorità di vigilanza poteva disporre, sentiti gli interessati, lo scioglimento degli organi o la liquidazione della Fondazione con relativa nomina di commissari straordinari.
Infine, il Ministero emanava, in data 23 ottobre 2002, una nota a firma del direttore
generale, con la quale, rilevando la necessità di disciplinare la fase transitoria e dare
indicazioni per la redazione del documento programmatico previsionale per il 2003,
dettava tutta una serie di prescrizioni, che non si limitavano a fornire indicazioni sulla
redazione del documento, ma costituivano attuazione di disposizioni di legge e regolamentari viziate anch’esse da illegittimità e per le quali erano pendenti le impugnative, in quanto comprimevano illegalmente la capacità giuridica e l’autonomia negoziale delle Fondazioni, persone giuridiche di diritto privato, seppur con finalità sociali.
Le prescrizioni riguardavano la scelta dei settori e dell’assegnazione delle risorse; gli
interventi eseguibili nella contingente fase transitoria; gli impieghi del patrimonio.
Per fortuna che a ristabilire un minimo di legalità provvedevano le due ordinanze del
TAR del Lazio del 4 dicembre 2002, n. 6853 e n. 6872, che, pur non accogliendo
integralmente le richieste delle Fondazioni, sospendevano: l’efficacia degli articoli 7 e
9 del regolamento di attuazione della riforma “Tremonti” che disciplinavano, rispettivamente, le partecipazioni bancarie di controllo e, in particolare, quella norma che
configurava una posizione di controllo su una società bancaria conferitaria, o su un
capogruppo bancario, in capo a più Fondazioni bancarie azioniste ancorché non legate da accordi tra di loro; la fase transitoria, per cui ne derivava la sospensione della pro118
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
cedura di adeguamento statutario che avrebbe comportato, tra l’altro, la ricostituzione degli organi; la nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 28 marzo
2002; la nota dello stesso Ministero del 23 ottobre 2002 riportante le indicazioni per
la predisposizione del documento programmatico previsionale 2003, peraltro successivamente annullata con sentenza emanata dallo stesso tribunale; infine, sollevavano la
questione di legittimità costituzionale in ordine a talune disposizioni del D. Lgs.
153/99 e dell’art. 11, L. 448/2001.
La legittima soddisfazione con cui venivano accolte le pronunce del TAR del Lazio
aveva breve durata poiché l’autorità di vigilanza, dimostrando di non tener in alcun
conto le pronunce del giudice amministrativo alle quali avrebbe dovuto conformarsi e
che avrebbero dovuto suggerirle un atteggiamento di maggiore prudenza, persisteva
nella sua azione e diffondeva una nuova nota, datata 20 dicembre 2002 e firmata dal
direttore generale, avente ad oggetto l’ordinaria amministrazione ed il documento programmatico previsionale.
Nel provvedimento, dopo aver preso atto dell’intervenuta sospensione degli artt. 7 e 9
del regolamento, della nota del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 23 ottobre 2002, nonché di quella del 28 marzo 2002, lo stesso Ministero indicava, sulla base
dei suoi indirizzi di fondo, gli effetti delle decisioni dei giudici amministrativi sulla
restante normativa di settore in relazione ai due argomenti indicati nell’oggetto.
Nella nota si disponeva che ogni atto eccedente l’ordinaria amministrazione necessitava dell’autorizzazione dell’autorità di vigilanza e che gli organi delle Fondazioni assumevano la responsabilità degli atti posti in essere e della loro riconducibilità all’ordinaria amministrazione in assenza di autorizzazione. Il documento programmatico previsionale, con il quale la Fondazione definisce le linee generali degli interventi istituzionali e della gestione del patrimonio per l’esercizio successivo, veniva incredibilmente classificato quale atto eccedente l’ordinaria amministrazione, cosicché la sua
esecuzione doveva essere espressamente autorizzata. In assenza di essa, le Fondazioni
non avrebbero potuto dare esecuzione al documento e dovevano limitare la loro attività al completamento degli interventi in corso. Una volta che l’esecuzione del documento programmatico fosse stata autorizzata, le Fondazioni potevano dare esecuzione
ai nuovi interventi con esso coerenti, e solo nei limiti in cui questi erano riconducibili all’ordinaria amministrazione. Al di là di tale limite occorreva richiedere apposita
autorizzazione.
Si era di fronte alla massima espressione di quell’atteggiamento autoritario direi ormai
senza limiti dell’autorità di vigilanza che perseverava nel reiterare disposizioni che
risultavano integralmente illegittime per vizi che si riscontravano sempre uguali in
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Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
tutti gli analoghi atti da essa recentemente emanati.
Si registrava il vizio di incompetenza relativa, per cui un atto di indirizzo generale,
espressione dell’orientamento politico dell’amministrazione di riferimento, doveva
necessariamente essere firmato dal titolare del dicastero e si rinnovava l’assoluta mancanza di una norma primaria su cui fondare la potestà di emettere disposizioni immediatamente cogenti.
Come novità qui c’era che la nota in argomento muoveva da una premessa che francamente appariva aberrante: che, cioè, a seguito della sospensione del regolamento
generale, continuavano comunque ad applicarsi le norme sull’attività di ordinaria e
straordinaria amministrazione di cui al comma 14 dell’art. 11 della L. 448/2001.
La tesi era totalmente infondata, poiché l’intero impianto del comma in esame assumeva a presupposto l’efficacia, perdurante, del regolamento attuativo, con la ovvia
conseguenza che, sospesa questa, l’intera norma doveva ritenersi inoperante in conseguenza della carenza di effetti dell’atto di secondo grado da cui dipendeva tutto il regime transitorio dell’attività delle Fondazioni.
Per essere chiari, la norma primaria prevede una serie precisa di fasi concatenate e
interdipendenti tra loro che vanno dall’adozione del regolamento, all’adeguamento
degli statuti da parte delle Fondazioni che provvedono anche a sciogliere gli organi in
applicazione delle disposizioni di cui al regolamento medesimo, alla previsione transitoria che nelle more della ricostituzione degli organi, le Fondazioni limitano l’attività all’ordinaria amministrazione.
È chiaro che il passaggio dalla vecchia alla nuova gestione è diretta conseguenza dello
scioglimento degli organi disposto in ottemperanza all’obbligo di adeguamento statutario, che a sua volta discende dall’applicazione a regime del regolamento attuativo. Ne
consegue che, se perde efficacia il regolamento, che è alla fonte della vicenda in argomento, perdono efficacia a cascata l’obbligo di adeguamento statutario, l’obbligo di
scioglimento degli organi e, quindi, la necessità di ricostituirne di nuovi, con l’altrettanto evidentissima conseguenza che nessuna soluzione di continuità nella gestione
delle Fondazioni viene a crearsi.
Stante quanto sopra, si appalesa che nel caso di specie manca il presupposto fattuale e
giuridico perché si possa anche solo parlare di attività di ordinaria e straordinaria
amministrazione, rappresentato dallo scioglimento degli organi preesistenti i quali, in
forza del provvedimento cautelare disposto dal TAR del Lazio, continuano ad operare a pieno titolo, cosa che esclude tutti i presupposti di applicazione dell’ultima parte
del comma 14 in esame.
Essa limita espressamente la propria operatività al periodo in cui debbono ricostituir120
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
si gli organi ordinari a seguito delle modifiche statutarie, ma esse, come appena dimostrato, non sono più obbligatorie, con l’ovvia conseguenza che non vi sono organi da
ricostituire, e quindi non v’è soluzione di continuità tra la gestione precedente e quella attuale.
Ragionando diversamente, si giungerebbe al paradosso secondo il quale le Fondazioni, a seguito della accordata cautela, si troverebbero in una situazione addirittura meno
favorevole di quella prevista dal regolamento che, come noto, all’art. 9, consentiva l’adozione di taluni atti entro limiti prestabiliti di stato di avanzamento o di valore dell’attività.
Infine, last but non least, non è assolutamente sostenibile affermare, come fa la nota
ministeriale del 20 dicembre 2002, che il documento programmatico previsionale
costituisca un atto eccedente l’ordinaria amministrazione. Esso, infatti, rappresenta
l’espressione più tipica della amministrazione ordinaria delle Fondazioni, ragion per
cui, anche sotto tale profilo, la nota in argomento, nell’imporre l’autorizzazione per
l’esecuzione del documento, è illegittima in quanto non prevista da alcuna norma
superiore, e contraddice le stesse premesse applicative, comunque infondate, dalle
quali muove.
Una conferma circa la correttezza delle tesi sostenute dalla FCRR e dall’ACRI avverso molti provvedimenti amministrativi dell’autorità di vigilanza giungeva da una serie
di ordinanze del TAR del Lazio, tutte depositate e pubblicate l’8 febbraio 2003, che,
facendo proprie le motivazioni addotte dalle Fondazioni bancarie ricorrenti, accertavano la fondatezza dei dubbi di illegittimità costituzionale sui provvedimenti amministrativi impugnati, e rimetteva i relativi atti al Giudice delle leggi.
Sinteticamente, ricordo le ordinanze nn. 803/03 e 807/03 con cui il TAR Lazio accoglieva in buona sostanza i ricorsi, rispettivamente, dell’ACRI e della FCRR dichiarando rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale
di diversi commi dell’art. 11 della L. 448/01 in attuazione dei quali erano state emesse fondamentali disposizioni del regolamento attuativo della riforma Tremonti, e
sospendeva il relativo giudizio di merito. La n. 811/03, con la quale il tribunale
amministrativo rilevava diversi dubbi di legittimità costituzionale, sempre dell’art. 11
L. 448/01, in relazione al giudizio instaurato da pressoché tutte le Fondazioni, congiuntamente o in via autonoma, avverso la circolare 28 marzo 2002 del direttore generale del Tesoro avente ad oggetto l’ordinaria amministrazione, rimettendo, anche qui
gli atti alla Corte Costituzionale e sospendendo il giudizio. Con una vera e propria
sentenza, infine, la n. 818/03, il TAR del Lazio accoglieva il ricorso della nostra Fondazione per l’annullamento della nota del 23 ottobre 2002 del Ministero dell’Econo121
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Sessione dedicata alle Fondazioni
mia e delle Finanze e recante disposizioni sul documento programmatico previsionale.
Di fronte alle dimostrazioni di forza e di arroganza del legislatore e dell’Autorità di
vigilanza, la magistratura amministrativa ha rappresentato un vero e proprio baluardo
e presidio dei principi cardine della democrazia nel nostro Paese e per questo ad essa
va il nostro più sentito e riconoscente ringraziamento. La democrazia si basa sicuramente sulle leggi, ma si fonda anche sull’indipendenza dei giudici, qual’è quella dimostrata dal Consiglio di Stato e dal TAR del Lazio, i cui componenti hanno dato prova
di una limpidezza di giudizio e di assoluta autonomia, grazie alle quali oggi siamo qui
ad attendere il verdetto del giudice delle leggi che non è altrettanto indipendente, poiché nel passato la ragion di stato è stata comunque tenuta ben presente dalla Consulta al momento di emettere le proprie decisioni.
Il documento programmatico previsionale continuava, però, a turbare i sonni dell’autorità di controllo ed a costituire, ad onta delle pronunce della magistratura, il punto
sul quale l’autorità di vigilanza cercava di riaffermare un ruolo che le decisioni della
giustizia amministrativa avevano ampiamente ridimensionato. Infatti, il Ministero
emanava un’altra raffica di note alle Fondazioni, firmate dal dirigente generale, per
intimare loro di adeguare la nomenclatura dei settori di intervento alla classificazione
prevista dall’art. 1, comma 1, lett. c-bis del D. Lgs. 153/99, come novellato dall’art.
11 della L. 448/2001, e di individuare i tre settori rilevanti cui destinare la quota prevalente delle risorse disponibili. Con l’occasione, il Ministero dell’Economia e delle
Finanze ribadiva che, in assenza di una sua autorizzazione, le Fondazioni non potevano dare esecuzione al documento programmatico previsionale, dovendo limitarsi a
completare gli interventi già in corso.
Di fronte a cotanta ostinazione, le Fondazioni, stufe di questi estenuanti carteggi, finivano per aderire formalmente a quanto richiesto dall’organo di vigilanza, senza però
tenere in nessun conto le affermazioni di principio francamente incomprensibili con
le quali dette note venivano accompagnate.
Al di là delle norme primarie, molte delle quali censurabili sotto diversi profili, il vero
problema per le Fondazioni è consistito, come abbiamo visto, nell’enorme e tracimante produzione di disposizioni di fonte secondaria sotto le più svariate forme che
hanno costruito un muro di nuovi precetti, contro cui si è infranta la volontà delle
Fondazioni di dare corpo agli interventi programmati in favore del territorio. Alla luce
di quanto sopra, mi chiedo se questa è una configurazione corretta dei poteri conferibili ad un’autorità di vigilanza della cui legittimità nessuno dubita. Credo che un qualsiasi osservatore in buona fede avrebbe dei forti dubbi.
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Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
Premesso che la natura privata delle Fondazioni deve considerarsi un principio cardine
di tutta la normativa di settore, riconosciuto tale da ripetute e conformi pronunce della
magistratura amministrativa, e che simile affermazione non può considerarsi meramente pleonastica, bensì produttiva dell’effetto di garantire a tali soggetti lo spazio di autonomia statutaria e gestionale ad essi riservato dall’ordinamento, bisogna solennemente
affermare che lo status di soggetti privati è incompatibile non con un potere di controllo in capo all’autorità governativa, purché rimanga limitato alla legittimità degli atti e
non al merito, ma con un potere autoritativo che intervenga con prescrizioni vincolanti a dettare le condizioni, i contenuti ed i limiti dell’autonomia stessa.
Ora, com’è noto, l’art. 4, comma 1, lett. g) del D. Lgs. n. 153/99 stabilisce che gli statuti individuano i requisiti di professionalità ed onorabilità che devono essere posseduti da chi svolge funzioni di indirizzo, amministrazione, direzione e controllo, nel
rispetto degli indirizzi generali fissati nell’art. 10, comma 3, lett. e). Quest’ultimo
attribuisce all’autorità di vigilanza il potere di emanare atti di indirizzo di carattere
generale in diverse materie, tra cui i requisiti di professionalità ed onorabilità, le ipotesi di incompatibilità e le cause che determinano la sospensione temporanea dalla
carica nei confronti dei soggetti di cui sopra. Ebbene, l’attribuzione di un simile potere all’autorità di vigilanza non ha alcun fondamento nella legge delega 461/98, secondo quanto evidenziato dai giudici amministrativi, che hanno rilevato come la funzione ministeriale di indirizzo non possa ricavarsi come implicito corollario dai compiti
di controllo riservati all’autorità amministrativa. In primo luogo, perché questi ultimi
sono espressamente e tassativamente elencati nell’art. 2, lett. i) della citata legge delega. In secondo luogo, perché tali poteri sono preordinati a far sì che l’autorità di vigilanza assolva i compiti affidatile e cioè la verifica del rispetto della legge e dello statuto, della sana e prudente gestione, della redditività del patrimonio e dell’effettiva tutela degli interessi contemplati negli statuti. Dalla norma ora riportata si evince - continua il TAR del Lazio - che gli unici parametri normativi cui l’autorità di vigilanza è
tenuta a conformarsi sono rappresentati dalla legge e dallo statuto che costituiscono le
due fonti, rispettivamente, eteronoma ed autonoma, di disciplina delle persone giuridiche di diritto privato quali le Fondazioni bancarie. Il silenzio del legislatore sul
punto deve essere interpretato come negazione di ogni possibilità per l’autorità amministrativa di introdurre con proprio atto prescrizioni comunque vincolanti per i soggetti in questione. Ed inoltre, anche prescindendo dal dato testuale, i giudici fanno
correttamente notare che l’attribuzione di un potere di controllo non comporta come
necessaria conseguenza l’affidamento di quello di indirizzo, che è ontologicamente
diversa, in quanto finalizzata non a consentire la verifica della legittimità dell’azione o
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Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
dei risultati da perseguire, bensì ad orientare l’attività del soggetto destinatario.
Pertanto, se si muove, com’è corretto fare, dal principio della natura privatistica delle
Fondazioni e dalla conseguente attribuzione ad esse della prevista autonomia statutaria e gestionale, qualsiasi forma di intervento ab externo, proveniente da fonte normativa primaria o secondaria, che imponga limiti, condizioni o coarti questa autonomia
deve considerarsi inammissibile, dato che, altrimenti essa risulterebbe svuotata di qualsiasi contenuto. Parimenti, se si ritenesse che il potere legislativo o quello amministrativo possano intervenire discrezionalmente a modificare finalità, organi e competenze
delle Fondazioni, queste risulterebbero trasformate di fatto in enti pubblici strumentali con finalità di servizio rispetto all’amministrazione pubblica, con conseguente
automatica cessazione della loro qualifica di persone giuridiche private.
Una qualsiasi forma di eccessiva compressione dell’autonomia delle Fondazioni, cioè
di soggetti privati, contrasta con i principi generali dell’ordinamento e, specificamente, con gli artt. 2, 3, 18, 22, e 41 della Costituzione.
Le citate norme del D. Lgs. 153/99 sulla vigilanza contrastano con l’art. 3 Cost che
afferma il principio della ragionevolezza e non arbitrarietà, perché il legislatore da una
parte ha sancito il carattere privatistico delle Fondazioni e la conseguente autonomia,
dall’altra ha dettato disposizioni che disattendono detto riconoscimento e comprimono l’autonomia che ad esso si accompagna.
Violano gli artt. 2 e 18 Cost. perché negando la genesi volontaristica delle Fondazioni vengono compressi sia i diritti dell’uomo nelle formazioni sociali, sia il diritto di
associazione dei cittadini.
Esse violano l’art. 41 Cost. perché i privati non sono obbligati a perseguire gli scopi
indicati dal legislatore secondo condizioni e modalità dettagliatamente e autoritativamente imposti dallo stesso.
Ancora, l’art. 4, comma 1, lett. g) e l’art. 10, comma 3, lett. e) del D. Lgs. n. 153/99
che configurano le competenze dell’autorità di vigilanza, si rivelano contrarie anche al
disposto dell’art. 76 Cost., in quanto il legislatore delegato ha travalicato i limiti e i
principi posti dalla legge delega, la quale non contiene alcuna disposizione circa l’affidamento all’autorità di vigilanza del potere di intervenire con atti di indirizzo sull’autonomia statutaria e gestionale delle Fondazioni.
Se ne conclude che non può esservi spazio per atti di indirizzo o interventi di carattere dirigistico perché, come correttamente sottolineato dalla magistratura amministrativa (ord. TAR Lazio n. 807/03), l’organizzazione pubblica se può giovarsi delle attività di iniziativa di un soggetto privato, che può favorire predisponendo anche un
sistema di vigilanza su di esse, ma non può, tuttavia, sollecitarle né tanto meno sosti124
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tuire la propria volontà nel campo dell’organizzazione, dell’individuazione dei fini e
della spendita del patrimonio, a quella delle persone giuridiche private che si connotano per la loro genesi volontaristica.
Con riferimento agli stessi articoli del D. Lgs. 153/99 riguardanti i poteri dell’autorità di vigilanza, gli stessi giudici amministrativi, seppur in una diversa decisione, la n.
812/03, evidenziano che quelle disposizioni rappresentano un’indebita ed eccessiva
compressione dell’autonomia privata delle Fondazioni tale da produrre lo stravolgimento della nozione stessa e del suo nucleo essenziale, e che l’attribuzione del potere
di indirizzo implica una funzione dirigistica che, incidendo in misura decisiva sulla
formazione della volontà delle stesse Fondazioni, ne intacca quello che potrebbe definirsi il contenuto minimo.
Sulla base di simili argomentazioni il TAR del Lazio giungeva a concludere che anche
i primi tre commi dell’art. 11 della L. 448/2001, riguardanti i limiti imposti alle Fondazioni in materia di settori di operatività, comportano una pervasività dei pubblici
poteri del tutto incompatibile con questo principio e, pertanto, riscontrava l’esistenza
di un fumus di incostituzionalità.
Altrettanto illegittimo risultava l’art. 1, comma 1, lett. c-bis, ultimo periodo, del D.
Lgs. 153/99, come novellato dalla L. 448/2001, per contrasto con gli artt. 70 e 117
Cost., in quanto introduce una delega a favore dell’autorità di controllo, di modificare con regolamento i settori di intervento inesistente nella disciplina previgente, e configura una forma di delegificazione ad opera di una fonte secondaria di natura meramente esecutiva. Essa costituisce l’ennesimo grave vulnus alla piena autonomia statutaria e gestionale delle Fondazioni, poiché sottrae alle Fondazioni la possibilità di
determinare liberamente le aree di destinazione del reddito delle Fondazioni.
Conclusioni
A questo punto, mi sembra che il quadro generale sia fin troppo chiaro.
Dopo averla solennemente riconosciuta, nonostante fosse un dato preesistente e chiaro da sempre, la natura giuridica privata delle Fondazioni è stata costantemente e progressivamente smentita e violata da una gragnola di norme che hanno indotto i giudici amministrativi a riconoscere come il legislatore abbia inteso attribuire alle Fondazioni bancarie una funzione servente dell’organizzazione pubblica, minandone l’identità e, quindi, l’autonomia. Credo, però, che il danno maggiore arrecato ai rapporti
che dovrebbero intercorrere tra il legislatore e i soggetti passivi delle norme lo abbia
arrecato il comportamento dell’autorità di vigilanza.
Essa è stata, come si suol dire, più lealista del re. Travalicando i poteri peraltro illegit125
Congresso Nazionale
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timamente riconosciutile dalla legge, l’autorità di vigilanza ha dettato una mole enorme di disposizioni applicative restrittive dell’autonomia delle Fondazioni, tanto che in
certi casi, si è arrivati ad una sostanziale soppressione della stessa.
Ritengo, quindi, che nel clima di un auspicato miglior rapporto tra controllante e controllati, ove venga riconosciuta la natura privata delle Fondazioni, il punto centrale
debba essere quello di un contenimento dell’attività di questa autorità di vigilanza nell’ambito dei poteri espressamente previsti dalla legge. Questo fino a quando, e mi
auguro che accada presto, sulla scia di quanto detto dall’amico Nuzzo, si procederà alla
riforma della legge n. 461 e si potrà, quindi, modificare il titolo secondo del libro
primo del codice civile.
Personalmente auspico, e sono convinto che un’interpretazione della legge lo possa
permettere fin da oggi, che le Fondazioni siano sottratte alla vigilanza del Ministero
dell’Economia e delle Finanze, soprattutto quelle, come la FCRR, che hanno dismesso la quota di controllo della partecipazione bancaria. Infatti, l’art. 2, comma 1, lett.
i) della riforma Ciampi, sebbene scritto male e male interpretato, limita temporalmente la vigilanza dell’allora Ministro del Tesoro al periodo in cui non sarà entrata in
vigore la nuova disciplina sulle persone giuridiche di cui al codice civile, ma anche finché le Fondazioni saranno titolari di partecipazioni di controllo. Venute meno queste,
già oggi, a mio parere, le Fondazioni potrebbero sottrarsi alla vigilanza così come
attualmente conformata e rientrare, più legittimamente, nell’ambito della competenza dell’organismo di controllo delle ONLUS.
Le nostre non sono partecipazioni di gestione, bensì meramente finanziarie che devono rientrare, quindi, nella disciplina prevista per gli investimenti di tal fatta, così come
le altre partecipazioni detenute in società diverse dalle banche conferitarie.
So che alcune delle cose che ho detto hanno suscitato tremori in molti autorevoli colleghi, così come è accaduto nel tempo, tanto che la mia nomina alla vicepresidenza
dell’ACRI, secondo lo stesso Presidente Guzzetti, avrebbe portato qualche ulteriore
elemento di conflittualità. In seguito, ha poi riconosciuto, e di questo lo ringrazio, che
mi sono comportato con saggezza e grande senso di responsabilità, riconoscimento che
mi fa particolarmente piacere perché costituisce una specie di laurea conseguita sul
campo. Tuttavia, non posso nascondere la lunga solitudine con la quale mi sono confrontato negli anni passati, quando l’ACRI non era sulle mie posizioni, con riferimento alle critiche alla legge Amato, alla Dini, alla Ciampi, alla Visco. Poi finalmente, si è trovata una posizione comune, frutto anche, mi sia concesso, dei miei richiami
di allora a vigilare e delle mie previsioni su un progressivo peggioramento della situazione per le Fondazioni, situazione che ha via via, seppur tardivamente, coeso il
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Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
campo, e fatto sì che oggi ci si trovi qui uniti e compatti ad attendere sereni il giudizio della Consulta.
Io dico, però, ancora una volta, in sintonia con quanto detto dal Presidente, che noi
auspichiamo da sempre un tavolo di confronto, una stagione di pace, e che uniti
intendiamo arrivare ad un punto di incontro che contemperi le contrapposte esigenze della finanza pubblica con quelle dell’autonomia ed indipendenza delle Fondazioni
bancarie le quali, su alcuni punti, non possono però essere violate. Il Presidente li ha
ben ricordati ed a quelli aggiungo soltanto il problema degli organi, delle norme transitorie, quello del controllo e delle incompatibilità.
È bene ricordare che la forza delle Fondazioni proviene dal personale che le ha rappresentate e governate, gente al più alto livello di rispettabilità ed onorabilità, dal
punto di vista scientifico, morale e professionale. Il modello che si vuole invece configurare con l’attuale regime delle incompatibilità è quello di una popolazione di serventi delle Fondazioni, che non apportano né mezzi finanziari, né valore aggiunto specifico in termini di esperienze, di qualificazione, di storia.
Vi prego, dunque, di tenere in debito conto di questo; si vada pure alla trattativa ed
al tavolo di confronto, benché io sarei comunque del parere di attendere il giudizio
della Corte Costituzionale, ma ricordiamoci sempre che chi pecora si fa il lupo se la
mangia.
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Sessione dedicata alle Fondazioni
Franco Bassanini,
Membro della 1ª Commissione permanente (Affari costituzionali) del Senato
della Repubblica
Vorrei rispondere subito al Professor Guarino. Non c’è dubbio che nel concetto costituzionale di Repubblica rientrano, come lui ha detto, tutto il sistema delle istituzioni
e anche le istituzioni private che perseguono finalità di utilità sociale o di utilità generale. Quindi anche le fondazioni, come altri privati, sono parte della Repubblica che
opera per il raggiungimento delle finalità indicate nella Costituzione.
Sono invece meno convinto del suo argomento di partenza: ormai dal 1990 la legge
241, recante norme generali sull’azione amministrativa, stabilisce che, come nei sistemi anglosassoni, la Pubblica Amministrazione opera anche attraverso gli strumenti del
diritto privato cioè utilizzando poteri negoziali. Va da sé, poi, che le Pubbliche Amministrazioni sicuramente non hanno scopi di lucro. Dunque le Pubbliche Amministrazioni ben potrebbero, se la legge lo prevede, e in molti casi lo prevede, erogare forme
di sostegno o di finanziamento a progetti di utilità sociale nei settori nei quali operano le fondazioni anche attraverso strumenti negoziali o privatistici. Perché così prevede il nostro ordinamento, che è ormai molto diverso dal vecchio diritto amministrativo di tipo statalistico o pubblicistico dominante nell’Ottocento e in quasi tutta la
prima parte del Novecento.
Non è dunque con questi argomenti che si difende il ruolo e l’autonomia delle Fondazioni bancarie.
Il punto fondamentale, che è anche il nocciolo essenziale della riforma Ciampi, resta
la qualificazione delle Fondazioni come soggetti di diritto privato, dotati di piena
autonomia statutaria e gestionale, espressioni della società civile che perseguono scopi
di utilità sociale senza scopo di lucro.
Questo nocciolo della riforma è modificabile e reversibile ad nutum? Può essere, a piacere del legislatore, come in parte hanno preteso di fare le normative più recenti che
voi conoscete anche meglio di me, rimesso in discussione? Si può tornare indietro? Si
possono ripubblicizzare le Fondazioni?
Io penso che la risposta non possa che essere negativa; ma la risposta definitiva l’avremo dalla Corte Costituzionale, poiché questo è il vero nocciolo del problema che ha
di fronte la Corte Costituzionale. La risposta penso debba essere negativa per tre ordini di ragioni: il primo è di carattere strettamente costituzionale/formale. Nella nostra
Costituzione è molto facile privatizzare un soggetto pubblico: normalmente, e salvo
alcuni limiti che qui non è il caso di discutere, basta la legge che privatizza un sog129
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
getto o un’attività pubblica. Non è così semplice, invece, pubblicizzare ciò che è privato o ripubblicizzare ciò che è stato privatizzato, perché qui vanno rispettate una serie
di norme costituzionali poste a tutela dell’autonomia privata e anche dell’autonomia
delle comunità intermedie o delle collettività intermedie, quali l’articolo 2, l’articolo
18, l’articolo 41, l’articolo 43 e da ultimo l’articolo 118, ultimo comma della Costituzione che veniva or ora ricordato. E comunque non è possibile farlo se mancano
quei presupposti fissati tassativamente nell’articolo 43 che consentono solo in alcuni
casi (fonti di energia, servizi pubblici essenziali, situazioni di monopolio) di pubblicizzare un’impresa, o una categoria di imprese. Il caso delle Fondazioni bancarie non
rientra tra questi; del resto se invece vi si rientrassero - ma la Costituzione lo esclude
- la competenza ad approvare leggi di ripubblicizzazione, non sarebbe più del legislatore statale, che è competente a legiferare in materia di Fondazioni finché sono e restano soggetti di diritto privato perché rientrano nella competenza legislativa statale in
materia di ordinamento civile, cioè di disciplina dei rapporti tra i privati, ma sarebbe
in gran parte competenza legislativa regionale, in alcuni casi concorrente, in altri casi
esclusiva, perché in molti dei settori nei quali le Fondazioni operano, la competenza
per materia è delle Regioni e se le Fondazioni fossero retrocesse a enti pubblici inevitabilmente la competenza sarebbe regionale. Ma questo problema non si pone perché
la Costituzione, per l’operare congiunto delle disposizioni che ho ricordato, non consente la ripubblicizzazione di soggetti che sono stati chiaramente privatizzati dalla
legge Ciampi. Del resto, l’articolo 11 della finanziaria e le altre disposizioni successive
in materia di Fondazioni bancarie non hanno rimesso in discussione questa scelta di
principio. Ricorderete che nella prima versione dell’articolo 11 sembrava abrogata
quella disposizione di principio, ma poi fu chiarito che si trattava solo di un errore di
stampa sfuggito freudianamente alla burocrazia del Tesoro che aveva scritto l’emendamento.
Ma vi è una seconda ragione, anche se già la prima basterebbe. La seconda ragione che
pure ben conoscete è che questa qualificazione privatistica costituisce per le Fondazioni, o almeno per la grandissima parte delle Fondazioni, il mero riconoscimento di una
realtà originaria! Si tratta originariamente di istituzioni della società civile, nate nella
società civile. Quando dico società civile può trattarsi del settore privato, o del settore religioso, o della espressione di comunità locali, ma è sempre società civile, non
Stato: non Stato in senso proprio, non Stato come persona. La genesi delle Fondazioni bancarie sta, come sappiamo, nelle Casse di Risparmio e nei Monti di Pietà nati
dalla società civile per iniziativa di gruppi o associazioni di privati o di comunità locali e di istituzioni o associazioni religiose. Hanno mantenuto a lungo la loro natura di
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Sessione dedicata alle Fondazioni
istituzioni di natura privata in forte rapporto col territorio. Appartenevano nell’Ottocento al genus delle opere pie. Furono pubblicizzate da una legge Crispi che precede
di 2 anni, di pochissimo, l’altra legge Crispi che ha pubblicizzato, nel 1890 tutte le
altre opere pie. E la Corte Costituzionale ha qualche anno fa riconosciuto che quella
seconda legge, alla luce del nostro attuale impianto costituzionale, deve ritenersi illegittima, perché non si può pubblicizzare ciò che era originariamente privato, espressione della società civile, se non nei casi e con le garanzie previste dall’articolo 43 della
Costituzione. Altrettanto si dovrebbe dire di una legge che pretendesse adesso, nei
confronti di queste istituzioni che hanno quell’origine, quella natura sostanziale, di
riapplicargli la connotazione, la classificazione di enti pubblici.
Ma c’è anche una terza ragione. Ed è che questa “privatizzazione”, questo ritorno alle
origini, questo riconoscimento dell’originaria natura delle Fondazioni bancarie di istituzioni della società civile corrisponde a un’evoluzione del nostro ordinamento. A
un’evoluzione generale del nostro ordinamento. Alla fine dell’Ottocento, si parlava di
Stato liberale, ma esso aveva un’impronta fortemente statalistica e fortemente individualista, in pratica considerava solo gli individui e lo Stato. Le comunità intermedie
erano considerate, come dire, un’anomalia, un’anomalia da spazzar via nel rapporto
diretto fra l’autorità dello Stato e la libertà degli individui, nei casi e nei limiti in cui
veniva riconosciuta e garantita.
A questi principi il nostro ordinamento si è ispirato a lungo, le leggi Crispi dell’88 e del
‘90 sono espressione di questa impostazione, insieme statalistica e individualistica: la
supremazia dello Stato, e la libertà degli individui. Alla Costituente ci furono, soprattutto nell’area cattolico-democratica, molti autorevoli sostenitori della rivalutazione del
ruolo delle comunità intermedie, e l’articolo 2 della Costituzione è espressione di questa cultura. Nella Costituzione furono consacrati così nuovi principi che delineavano
un sistema istituzionale basato sul principio di sussidiarietà verticale ed orizzontale. Ma
questi principi restarono a lungo quasi lettera morta: stentarono a passare per lunghi
anni nella nostra legislazione anche perché, diciamo la verità, sopravviveva nella cultura di sinistra una forte radice statalistica e sopravviveva nella cultura liberale o di origine liberale una forte propensione per l’individualismo statalistico/liberale.
Ma negli ultimi anni, negli ultimi 10/15 anni, l’evoluzione dell’ordinamento in questo senso è stata molto netta. Ne potrei ricordare, ma a questo punto sforerei i 10
minuti, moltissimi esempi.
La riforma dell’amministrazione e delle istituzioni che bene o male si è avviata in questi anni è basata su questo principio: sussidiarietà orizzontale e sussidiarietà verticale.
Pensate al riconoscimento, per esempio, del ruolo delle autorità indipendenti e quin131
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Sessione dedicata alle Fondazioni
di di soggetti di autonomia non derivanti dal potere politico e dallo Stato in senso
stretto. La politica ha un ruolo fondamentale, chi governa deve avere gli strumenti per
governare e attuare il suo programma, ma ci sono anche istituzioni autonome che
hanno altri ruoli di non irrilevante significato generale collettivo, e che non sono soggette alla regola della maggioranza politica. Pensate ancora alle politiche di liberalizzazione e di privatizzazione, oppure alll’articolo 118 quarto comma che ricordava Guarino, e che impone di favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati per
lo svolgimento di attività e interessi generali. Anche il riconoscimento della natura privatistica delle Fondazioni espressioni della società civile rappresenta quindi non un’anomalia ma una coerente applicazione di un indirizzo generale di trasformazione e di
evoluzione del nostro sistema, nel solco tracciato dalla Costituzione.
Se è così allora noi dobbiamo ribadire che un ritorno all’indietro non è possibile, lo
vietano una serie di norme costituzionali. Lo vieta il fatto che questa privatizzazione è
stato il riconoscimento di un’originaria natura privatistica delle Fondazioni. Lo vieta
il fatto che metteremmo all’indietro la barra della rotta di trasformazione di tutto il
nostro sistema istituzionale e amministrativo. Che è giunto fino al punto, con la riforma del procedimento amministrativo approvata dal Senato e ora all’esame della Camera, di stabilire, come nei paesi anglosassoni, che l’Amministrazione usa normalmente
i poteri negoziali di diritto privato salvo i casi in cui tassativamente la legge gli assegna
poteri di gerarchia o di impero. Quindi normalmente si mette sullo stesso piano del
cittadino, negozia e contratta con il cittadino.
Ne ricavo una conseguenza. Se è così, è probabile, lo prevedo come costituzionalista,
che la Corte Costituzionale riconosca che la natura privatistica delle Fondazioni non
è reversibile e che da essa discendono limiti molto rigorosi all’attribuzione di poteri di
vigilanza e di controllo all’autorità governativa: poteri che non possono essere poteri
di conformazione o di indirizzo, possono essere al massimo poteri di verifica del rispetto delle norme legislative, e di norme legislative che siano a loro volta rispettose dell’autonomia privata delle Fondazioni e del loro essere espressione della società civile.
Se è così, la domanda ulteriore che ne deriva è la seguente: ma veramente a queste istituzioni private, espressione della società civile, nate originariamente da iniziative di
privati o di collettività locali, può essere imposto non dico l’obbligo di dismettere il
controllo, ma addirittura - come molti ritengono - l’obbligo di uscire del tutto dalla
proprietà degli istituti di credito? Dal capitale degli istituti di credito? Di non avere
più alcun ruolo nelle banche conferitarie o comunque di non avere un ruolo di qualche rilievo? Qual è il fondamento, una volta posto così il problema, di questa tesi, largamente sostenuta a destra e a sinistra, perché si tratta di una tesi bipartisan (come
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Sessione dedicata alle Fondazioni
Tabacci, Volonté e Pinza sanno benissimo? Badate che non sto dicendo che le Fondazioni devono gestire le banche; è fuori di discussione che le banche sono gestite dai
banchieri. Né è in discussione il fatto che la definizione delle strategie ed indirizzi delle
banche competa ad amministratori designati dall’assemblea degli azionisti. O che a
nessun azionista, neppure all’azionista Fondazione possono essere riconosciuti poteri
speciali o condizioni di privilegio solo perché rappresenta i fondatori o gli interessi originari che hanno dato vita all’istituto. Né che le Fondazioni debbano continuare a
destinare al finanziamento delle attività non profit di utilità sociale i proventi dei loro
investimenti compreso quelli che derivano dai dividendi distribuiti dalla banca conferitaria.
Ma perché negare che tra questi investimenti possano restare - se le Fondazioni lo
ritengono conveniente - partecipazioni rilevanti nelle banche conferitarie? Qual è la
legittimità costituzionale di disposizioni che tendono ad escludere che tra gli azionisti
titolari di partecipazioni rilevanti possono continuare a figurare, anche a regime, quei
soggetti privati che rappresentano gli originari fondatori? O le comunità che a quelle
banche hanno dato origine e che ne hanno nel tempo sostenuto la crescita e lo sviluppo? Da che cosa deriverebbe il divieto per le Fondazioni di investire, sia pure non
in posizione di controllo, nella banca conferitaria parte delle loro risorse patrimoniali
quando lo ritengano un investimento redditizio e conveniente? Dato che, essendo soggetti di diritto privato, nulla porterebbe a ritenere legittima l’imposizione di un divieto di questo genere?
Qual è l’alternativa alla presenza del capitale delle banche di Fondazioni come azionisti rilevanti idonei a dare stabilità e prospettive di lungo periodo alle banche partecipate? Quali sono, in un Paese come il nostro che ancora attende il decollo dei fondi
pensione e che resta comunque povero di investitori istituzionali significativi, le alternative a questo ruolo delle Fondazioni?
Nelle migliore delle ipotesi, secondo il modello della public company, l’alterantiva è
data dalla prevalenza nell’azionariato delle banche di fondi pensioni e investitori istituzionali stranieri o multinazionali, strutturalmente interessati più ai capital gains di
breve periodo che a sostenere piani industriali di grande respiro.
Nella peggiore delle ipotesi, approfittando delle attuali condizioni di depressione dei
mercati finanziari, è l’acquisizione del controllo da parte di riders o di investitori disposti a far ricorso a lunghe leve finanziarie, salvo poi scaricare sulla preda gli oneri
finanziari della scalata. O infine un take over da parte di grandi banche straniere presumibilmente assai più interessate a drenare liquidità dal mercato italiano che non a
concorrere allo sviluppo del suo sistema produttivo e civile.
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Sessione dedicata alle Fondazioni
Da qualunque punto di vista si esamini la questione non si capisce quale ragione di
interesse pubblico, di interesse generale sostenga la tesi della emarginazione delle Fondazioni dal capitale delle banche conferitarie. Né quale principio dell’ordinamento,
compatibile con il riconoscimento costituzionale dell’autonomia dei privati, consenta
di sottrarre alla disponibilità delle Fondazioni questa scelta.
Non certo la tutela del risparmio o dei risparmiatori perché l’azionista Fondazione non
si è dimostrato meno affidabile di altri, anzi! È più affidabile come investitore di
medio e lungo periodo, non è interessato come altri a spremere dalla banca il massimo profitto, il massimo capital gaina breve e poi scappare via.
Non certo la tutela della concorrenza e del mercato, perchè è difficile far discendere
un favour per le public company o per spregiudicati riders o per investitori dotati di
scarsi mezzi propri ma disposti ad acquisirli a debito dal mercato. E neanche per le
grandi banche straniere che hanno il diritto di non essere discriminate, ma non quello di essere favorite a scapito di investitori italiani.
E neanche l’opportunità di favorire l’ingresso nel capitale delle banche di proprietari
più attenti alla redditività della gestione. I dati dimostrano che alcune delle banche italiane che hanno la più alta redditività dell’investimento, il più alto ROE, sono proprio
le banche partecipate in misura rilevante da Fondazioni bancarie. Il che dimostrerebbe che le Fondazioni non sono investitori disattenti alla redditività dell’investimento,
ma semmai il contrario.
In più la presenza delle Fondazioni nel capitale delle banche consente di realizzare
interessanti sinergie sul territorio tra l’attività della banca e l’attività delle Fondazioni
come promotrice di investimenti, di investimenti per la crescita, per lo sviluppo economico. Cosa che sicuramente non si avrebbe, per esempio, se gli azionisti di riferimento fossero banche straniere interessate a drenare liquidità e a investirle presumibilmente all’estero.
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Sessione dedicata alle Fondazioni
Luigi Grillo,
Presidente della 8ª Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni)
del Senato della Repubblica
Grazie Presidente, grazie all’amico Giuseppe Guzzetti per questo invito.
Rispetterò il tempo e anzi, cercherò di essere il più sintetico possibile per due motivi:
primo perché non desidero irretire ulteriormente il Dottor Benedetti che tra l’altro si
è candidato a diventare azionista di una banca alla quale sono storicamente affezionato avendo lavorato 25 anni alla Cassa di Risparmio di La Spezia; secondo perché in
realtà sono state dette molte cose, sono state dette anche bene e concordo con la più
parte delle cose che i colleghi che mi hanno preceduto hanno detto.
Voglio fare un contributo sintetico articolato in 3 osservazioni e spero mi sia consentito dire le cose che dico, anche se queste cose le ho ripetute molto spesso, ma mi pare
valga la pena ricordare perché sono la linea di una coerenza che è durata 13 anni all’interno del Parlamento.
Quando sento questi dibattiti sulla natura giuridica delle Fondazioni, mi chiedo il perché della controriforma che il Ministro Tremonti ha voluto inserendo in finanziaria
l’articolo 11, nella finanziaria 2002. Ho purtroppo memoria che queste cose il Parlamento le ha affrontate in modo assai approfondito e in modo assai serio già nel 1988,
quando cioè esisteva la Democrazia Cristiana di De Mita, il Partito Socialista di Craxi,
il Partito Comunista di Natta. E c’era un collega, voglio dirlo perché è stato citato
poco fa e sembra un paradosso, ma invece c’è una coerenza, Visco nel 1988 all’interno della Commissione Finanze esattamente sosteneva le tesi che poi Tremonti ha concretato con questo prevalere di rappresentanze in capo agli enti locali. Cioè l’idea di
Visco che rappresentava un’idea nobile, precisa, democratica del Partito Comunista di
allora era che le Fondazioni devono diventare il braccio operativo degli enti locali. Il
braccio operativo degli enti locali ed era una tesi. E guardate che la cultura dominante di allora era una cultura statalista, allora di privatizzazioni non se ne parlava, le partecipazioni statali imperavano. Eppure il Parlamento ha discusso in modo serio e ha
capito che queste Fondazioni se voleva che in qualche modo decollassero dovevamo
concedere un’autonomia. Quindi questa tesi fu respinta nel luglio del 1988 ed è abbastanza, direi, anti storico dopo 14 anni immaginare che dentro una società che è cambiata, che ha subito i fatti del ’92, che ha aderito all’Europa, che ha sottoscritto i patti
di Maastricht, che ha modificato la Costituzione, come dice Volontè, introducendo i
principi della sussidiarietà orizzontale, quindi i privati che hanno sempre più spazio,
si introduca surrettiziamente questa idea che è l’idea di nazionalizzare le Fondazioni
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Sessione dedicata alle Fondazioni
bancarie. Perché l’idea di far passare il principio della prevalenza, checché ne dicano i
miei amici e io questo, lo sa bene il Senatore Bassanini, l’ho sostenuto in aula, è nient’altro che la pubblicizzazione delle Fondazioni e quindi la loro nazionalizzazione.
Sul punto quindi della natura giuridica voglio dire perché è strano questo atteggiamento: perché dal 1988 al 2001 il Parlamento ha affrontato 3 momenti di grande
dibattito all’interno del Parlamento. Perché la discussione del 1988 e del ‘90, fatta
sulla direttiva Dini, Lamberto /Gardia/ lo ricorderà molto bene, c’è all’indomani di
Maastricht quando Guido Carli e Giulio Andreotti andarono a sottoscrivere il patto
per cui si decise di entrare in Europa. Il clima era cambiato e quindi c’era Amato, iniziò la stagione delle privatizzazioni e si decise e si maturò la consapevolezza che queste privatizzazioni dovevano investire anche il sistema bancario e quindi la direttiva
che dice le Fondazioni devono dismettere: perché questo? L’ha detto bene Pinza e lo
voglio ricordare anch’io: la Banca d’Italia, è l’unica cosa che mi diversifica dal mio caro
amico Bruno Tabacci, che è un’istituzione che pensa e che tanto bene ha fatto alla storia di questo Paese. All’inizio degli anni Ottanta cominciò a preoccuparsi di cosa
sarebbe accaduto se nel caso l’Europa fosse andata avanti e avessimo realizzato l’integrazione europea. Il libro bianco prodotto dalla Banca d’Italia nel 1985/86 disse che i
rischi per il nostro sistema paese erano tutti riconducibili all’esistenza di un sistema
finanziario, ergo un sistema creditizio, che era fragile, sotto capitalizzato, disorganizzato, frammentato. Quindi l’emergenza nel momento in cui si decise perché il gruppo dirigente del nostro Paese in quegli anni decise di puntare sull’Europa, di entrare
in Europa, era mettere a posto il sistema bancario.
La legge 218 che nasce in Banca d’Italia che viene gestita direttamente in Banca d’Italia, lo dico io che fui il relatore e che oggi è conosciuta come legge Amato, è una legge
fatta per riorganizzare il sistema bancario. È una legge che ha avuto uno straordinario
successo, il mio amico Giuliano Amato che una volta distrattosi si è permesso di dire
che aveva generato il mostro di Frankenstein si è ricreduto. E lo sa bene l’Avvocato
Guzzetti perché nel corso di un convegno che abbiamo avuto io, lui e Giuliano Amato
pubblicamente ha detto chiedo scusa perché la mia legge, perché lui continua a parlare della sua legge come la 218, ha avuto uno straordinario successo ed è vero. Perché
nell’88 quando quella banca tedesca acquistò quella banca locale suonarono gli allarmi in Italia. C’era il rischio che il sistema bancario venisse colonizzato, cioè che i francesi, molto aggressivi, i giapponesi e gli americani comprassero le nostre banche. E
potevano farlo perché di lì a poco attraverso accordi in Comunità Europea si era decisa la libertà di stabilimento, vale a dire la libertà che una banca straniera poteva entrare in Italia senza chiedere il permesso a nessuno.
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Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
Questo era il rischio e di fronte a questo rischio il sistema corse ai ripari e si organizzò; e il sistema si è organizzato perché paragonato e confrontato agli altri sistemi d’Europa, noi abbiamo fatto i passi più avanti. Eugenio Scalfari, che non è sicuramente
persona della quale condivido tutte le opinioni e sulla quale credo che ci sia molto da
dire nel senso che molto spesso è aggressivo eccetera, ha scritto una volta una cosa fondamentale: nella decima legislatura 87/92 sotto la regia della Banca d’Italia si è scritta
nel nostro Paese la Costituzione materiale finanziaria dell’Italia. Perché si sono fatte la
legge di riforma delle banche, la legge di riforma delle SIM, l’antitrust, l’OPA, la legge
dell’antiriciclaggio e i fondi comuni. Sette grandi leggi che hanno portato l’Italia normativamente ad un livello europeo tra i più avanzati d’Europa e del mondo. Questa è
la storia, altre sono poi le questioni sulle quali possiamo discutere, ma questo è un
fatto che non possiamo dimenticare.
I timori di allora sono stati fugati, il sistema si è riorganizzato e capitalizzato, i 5 grandi gruppi oggi reggono la competitività europea, oggi il nostro sistema è a prova di
bomba. Non dico che non ci siano gli scandali per carità! A parte che i maggiori scandali sono in capo a banche private nella storia di questo Paese, se non ho memoria
corta. Ma al di là di questo, confrontata la realtà degli altri paesi, un Paese come il
nostro che ha una caratteristica che io invito a ricordare perché se non partiamo di qui
è inutile che sviluppiamo polemiche e confronti, che è un Paese bancocentrico, non
l’ho voluto io ma so di abitare un Paese che ha questa caratteristica. L’Italia è come la
Germania, non è come l’Inghilterra, come la Francia e come la Spagna, l’Italia è come
la Germania cioè al centro del sistema produttivo ed economico del nostro Paese ci
sono le banche.
Quindi quando ragioniamo di banche per carità, è nostro diritto specie di chi, rappresentanti del popolo, devono agire avendo a riferimento anche la tutela dei consumatori e quant’altro ma dobbiamo avere questa consapevolezza. Perché tutte le crisi di
tutti i settori operativi e produttivi in questo Paese alla fine si sono scaricate sul sistema bancario.
Quindi è un bene che il sistema si sia organizzato, quindi è un bene oggi apprezzare
questo fatto e sottolineare che tutto questo processo di organizzazione è avvenuto, ad
esempio, mantenendo l’italianità del sistema. Non c’è una banca né grande e piccola
del nostro sistema paese che sia dominata, controllata da banche straniere.
Una volta Tremonti non credeva questo, gliel’ho ripetuto tre volte alla fine mi ha
detto: ma sì è così, non ci sono gruppi stranieri che controllano una banca italiana. E
le questioni rapporti fondazioni/banche: io anche qui ho purtroppo il difetto di essere un po’ una memoria storica, l’ho citato prima. I segretari dei partiti di allora ci ave137
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vano obbligato a scrivere nella legge Amato guai a voi, le Fondazioni devono controllare le banche perché la cultura di allora era questa. Poi dopo sono avvenute le cose
che sono avvenute, l’ho detto prima, il ‘92, il ‘94, il processo di liberalizzazione, di privatizzazione, l’ingresso in Europa.
Questo gradualismo, la direttiva Dini è fallita perché non conteneva sanzioni nell’indicare i 5 anni entro i quali dovevano, come dire, le Fondazioni liberarsi del controllo delle Spa. C’è la legge Ciampi con il necessario gradualismo, anche questo aspetto
contenuto nella legge Tremonti non l’ho capito, non l’ho capito e bene ha fatto il Consiglio di Stato.
Se si dice che se non si privatizza e non si vende alla fine ci sarà una SGR e la SGR
per poter gestire queste azioni dovrà venir fuori una selezione europea. Parliamo in italiano schietto, ecco allora il Monte dei Paschi non privatizza. Se il Monte dei Paschi
non privatizza bisogna fare una gara europea allora c’è il Merryl Linch che diventa l’azionista di riferimento del Monte dei Paschi, è questo che si vuole? Se è questo che si
vuole lo si dica, io sono contrario! Dico che un Ministro che difende queste impostazioni è un Ministro che non ha a cuore le sorti del mio Paese, questo io dico! Dopodiché si può fare per carità, però non nascondiamoci dietro questi infingimenti di tecnicalità avanzata, di finanza creativa e tutte queste balle, diciamo le cose come sono.
Allora hanno fatto bene i miei amici che mi hanno preceduto: chi oggi in Italia è disposto e dispone di risorse più che sufficienti per poter acquistare le azioni liberate dal
processo di privatizzazione. Considerato che oggi in Italia banche che hanno uno scarso rendimento non ci sono!
Allora se non ci sono o noi immaginiamo, anche qui, che in una logica di libero mercato i trafficanti di Medellín possono diventare azionisti delle banche del nostro Paese.
Oppure dobbiamo prendere realisticamente atto che il gradualismo contenuto nella
legge Amato; nella legge Ciampi con gli opportuni paracaduti era il punto di equilibrio più avanzato di una situazione che non doveva cedere alla coerenza di un’impostazione dottrinale di principio, ma doveva quantomeno adeguarsi alla realtà del
nostro Paese.
Dopodiché credo -e mi avvio alla conclusione - che tutti sanno che io sono un difensore dell’operato della Banca d’Italia, ma lo faccio perché, dovete consentirmelo, vengo
dal mondo delle banche. Ho lavorato tanti anni in banca e so il valore del sistema bancario, la sua strategia e non voglio contestare sul piano giuridico, dottrinale o politico
certe affermazioni ascoltate qui. Anzi le rispetto e dico che come parlamentare io mi
associo, sono venuti da me tanti di quelli che hanno investito in Argentina a protestare. Volevano che si facesse un comitato, volevano che io mi adoprassi, io li ho ascol138
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tati poi però ho riflettuto e mi sono ricordato quando io ero in banca. Quando facevo l’impiegato allo sportello e quando facevo il direttore dell’agenzia e veniva la gente,
specie quelli che hanno un po’ di soldi, non quelli, i piccoli risparmiatori che hanno
3, 5, 10 milioni, quelli che hanno un po’ di più. E sapete la cosa che chiedevano?
Direttore ci dica un titolo che rende molto, che rende tanto, quello che rende più di
tutti. Guardi che quello lì è un po’ a rischio...! Ma rende di più allora compriamo quello!
Voglio dire che sono abituato a considerare, toccare con mano che chi oggi dispone di
qualche miliardo sa come l’ha fatto e sa come si investono questi miliardi. Se qualcheduno, nel caso 120 mila persone saranno 50 mila, hanno deciso di investire in un
paese a rischio come l’Argentina mi dispiace per loro, ma non è possibile che per questo investimento si tragga elemento per un processo critico verso un funzionamento
del sistema. Perché qui nessuno obbliga qualcheduno a fare, la raccolta del risparmio
in Italia è un fatto assolutamente libero. Altra cosa può darsi che sia, altra cosa e sono
disposto in questo la storia della Cirio su cui io sono - e mi riconosco - sulla posizione del mio amico Bruno Tabacci.
Per concludere Professor Guarino lei ha detto che il Ministro Tremonti in fondo fa la
sua parte perché quest’idea di consegnare le Fondazioni agli enti locali immaginando
che le Fondazioni diano poi risorse agli enti locali rientra nella strategia di largo respiro di ridurre il debito statale e quindi...
Vede Professore, c’è il piccolo problema che questo comunque è, ancorché non dichiarato, un processo di pubblicizzazione che come ha ricordato il Professor Bassanini è
impraticabile in Italia.
Ma per alleggerire il bilancio dello Stato in Italia io da mesi sto sostenendo una tesi
che qui voglio sinteticamente ribadire e che conosce bene il Presidente Guzzetti, il Presidente Emmanuele, il Presidente Mussari perché sono stati auditi nella mia Commissione.
La tesi è questa: il governo Berlusconi, governo di centro-destra di cui io mi onoro di
far parte come sostenitore, ha deciso di lanciare le opere pubbliche perché abbiamo un
ritardo storico, è stato quantificato in 10 anni, 10 anni in cui non abbiamo investito,
benissimo! Il Ministro Lunardi è venuto in Parlamento e ha detto: voglio fare 225 mila
miliardi di opere pubbliche in 7, 8, 9 anni.
E ha detto: guardate, 90 mila miliardi investendo 15 mila miliardi l’anno in finanziaria ce l’ho, 30 mila miliardi di residui di competenza ce l’ho, 50 mila miliardi li chiedo alla Regione attraverso i fondi strutturali, 60 mila miliardi li aspetto dai privati.
Allora la tenuta di questo progetto ambizioso, che io considero strategico perché se
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Sessione dedicata alle Fondazioni
non mettiamo a posto il sistema infrastrutturale italiano non possiamo competere nell’Europa dell’euro, il successo di questo progetto passa attraverso il coinvolgimento
delle risorse private. Ho spiegato quindi al Ministro Tremonti che le risorse private in
questo Paese sono nelle banche e poi c’è il patrimonio delle Fondazioni. Allora il discorso ritorna lì: noi dobbiamo immaginare che l’Italia è un paese celebrato e conosciuto per avere il debito pubblico più elevato e tutti quanti dimenticano una cosa che
il mio amico Giovanni Goria ricordava sempre. Ma guarda che la situazione non è
drammatica perché noi è vero che abbiamo il debito pubblico, ma abbiamo un fiume
di risparmi perché il popolo italiano continuava e continua ancora adesso, siamo i più
grandi risparmiatori del mondo: questo risparmio dove va? Vanno nelle banche allora
Tremonti una cosa che ha fatto buona lo scudo fiscale, ha fatto rientrare 100 mila
miliardi, dove sono andati questi 100 mila? Possiamo far diventare virtuosi questi 100
mila miliardi? E allora gli abbiamo spiegato alla Commissione Infrastrutture che è possibile, perché? Perché nel pacchetto delle grandi opere strategiche pubbliche che vuol
fare il Governo ve ne sono alcune che chiaramente se non interviene lo Stato a parer
mio è impossibile farlo. Ma ve ne sono tante che hanno un’evidente carattere di redditività, il lodo di Genova, il sottopasso di Mestre, la tangenziale di Milano, la Prebemi - Milano, Bergamo, Brescia - ma perché deve tirare fuori i soldi lo Stato? Abbiamo
detto guarda l’idea è la seguente: facciamo dei fondi comuni di diritto immobiliare, a
questi fondi coinvolgiamo le Fondazioni. Il fatto che le Fondazioni siano coinvolte
avendo l’obbligo legislativo di investire laddove c’è produzione di reddito per tutelare
il risparmio è un elemento catalizzatore che farà da calamita per altri investimenti.
Noi immaginiamo che le Fondazioni, mettendoci un terzo, scatti un effetto di leva di
almeno due terzi, quindi mille miliardi originano investimenti per più di 10 mila
miliardi. E facciamo nel nord la più parte delle opere pubbliche e invece il Ministro
crea ISPA Spa, va a Bruxelles dice Bot...! I soldi sono qui in Italia basta solo con un
po’ di fantasia, questa sì mi pare manchi e capacità di convinzione verso un fiume di
denaro che è depositato nelle banche. Verso un patrimonio notevole che è nelle Fondazioni per cercare di risolvere una cosa che è per il bene del Paese.
Io do atto che le Fondazioni quando noi le abbiamo ascoltate tutte hanno detto, lo
ripeto, in presenza di un quadro normativo certo, cioè di un quadro in cui ci garantisce che noi stiamo qui e comunque abbiano riconosciuto la nostra autonomia di decisione. Non si vede perché le Fondazioni di fronte a un fondo la cui redditività è garantita non debbano intervenire. No, si vuole imporre e costringere, no questo non va
bene, non va bene per un governo di centro/destra che è il paladino del liberismo nel
nostro Paese. C’è una contraddizione, c’è qualcosa che non funziona e allora con osti140
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Sessione dedicata alle Fondazioni
nazione speriamo che la Corte Costituzionale faccia un poco di giustizia, faccia un
poco di ordine. Cioè decida quello che si deve decidere attorno a questo principio che
secondo me la legge Ciampi non ha dato alle Fondazioni. Ma ha semplicemente preso
atto che sia così perché la storia, la natura, l’operatività, la soggettivazione, l’attività
svolta vanno tutte nella direzione di riconoscere l’autonomia statutaria e natura giuridica di questi enti. In maniera tale che si chiuda definitivamente questa pagina, che io
non giudico né felice né positiva, di un tentativo di controriforma che finora ha solo
realizzato il risultato di paralizzare un sistema molto importante negando principi a
voce teoricamente, dottrinalmente affermati in positivo e che invece in modo incoerente si praticano in altro modo.
Questo è quanto io desideravo dire unitamente a un augurio di buon lavoro per il prosieguo dei vostri lavori.
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Sessione dedicata alle Fondazioni
Roberto Pinza,
Membro della VI Commissione permanente (Finanze) della Camera dei Deputati
Mi sono occupato a lungo di un disegno di legge sulle Fondazioni bancarie che giustamente porta il nome del Ministro Ciampi. La gestione parlamentare fu molto complessa e contrastata ma mi pare che ormai si sia formata e consolidata una opinione
molto favorevole.
È bene peraltro ricordare che il disegno partiva dall’esigenza di dare una connotazione giuridica netta a Fondazioni bancarie istituite da Amato che quella connotazione
non avevano.
Si trattava in modo particolare di decidere se esse dovevano essere collocate nel settore pubblico o in quello privato.
Probabilmente negli anni 1950/1960 la cultura giuridica avrebbe suggerito un
impianto pubblicistico.
L’idea era infatti che le associazioni e le fondazioni fossero sostanzialmente marginalità giuridiche, economiche e sociali, sostanzialmente prive di interesse ma in ogni caso
da orientarsi verso il settore pubblicistico in relazione al carattere sovraindividuale
degli interessi che tutelavano.
Negli anni Settanta e Ottanta ed ancora di più negli anni Novanta c’è stata un’irruzione profondissima dell’associazionismo cui una serie crescente di funzioni che stavano a cavallo tradizionalmente tra pubblico e privato, sono state mano mano e felicemente assorbite da queste realtà nuove e potenti, sicuramente di natura privatistica.
Questa grande novità ha cambiato completamente il clima giuridico e, quando si è
affrontato il problema delle Fondazioni nel 1996, il clima e la sensibilità erano completamente diversi.
È vero che le Fondazioni avevano una natura diversa dalle associazioni ma esse perseguivano scopi analoghi e quindi potevano e dovevano essere inquadrati nel medesimo
settore privato in cui erano con sicurezza collocate le associazioni. In sostanza è stato
così anche il confine fra pubblico e privato che è il confine eternamente in moto negli
ordinamenti giuridici. Parlo davanti a grandissimi giuristi al banco di presidenza e in
platea e sanno che è la politica unitamente alla giurisprudenza che definisce e sposta il
confine fra pubblico e privato. In effetti questo è ciò che è avvenuto spostando la linea
di confine, ampliando la sfera del diritto privato e riducendo correlativamente la sfera
del diritto pubblico. In questa logica fu preferito in linea di principio lo schema della
fondazione granting: ciò in quanto la fondazione granting raccoglie e potenzia le libere espressioni della società, non pretende di sovrapporsi alla società solo con l’intelli143
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
genza e la capacità inventiva dei suoi amministratori che pure è cosa importante. In
sostanza riconosce e potenzia la capacità di ricerca e di proposta della società civile e
segnatamente del mondo no-profit.
Ma al di là di questo qual era ed è il vero problema legislativo che permette di comprendere gli errori successivi di questo Governo? Il vero problema era costituito dall’individuazione delle considerazioni sufficienti perchè un privato, oltre che dichiarato tale, sia veramente tale nella sostanza, nella organizzazione, in quella che potremmo dire la sua governance.
Stamattina Luc Tayart ha fatto un bellissimo intervento per conto della Fondazione
Du Roi Badouin ed ha detto una frase importante non in forma interrogativa, ma in
modo affermativo.
A un certo punto ha detto: is possibile to be independent. È possibile essere indipendenti, ma subito dopo ha detto: a quali condizioni? È la stessa domanda che ci ponevamo quando discutevamo il disegno di legge: a quali condizioni?
Perchè con certi tipi di governance si è indipendenti, con altre si è sudditi.
Quale era allora la costruzione di governance idonea a rendere indipendenti le Fondazioni? Quella di mettere insieme le libere rappresentanze della società e le rappresentanze degli enti locali che con una variante che era, per le Fondazioni associative,
di tener conto della loro storia e quindi anche della presenza di assemblee. E poi fare
in modo che nessuno di questi settori e di queste provenienze fosse prevalente in
maniera che ciascuno dovesse obbedire ad una doppia lealtà, nei confronti di chi lo
designava e della fondazione e, nel contempo, nessuno dei settori designanti avesse la
possibilità di impossessarsi della Fondazione.
L’autonomia reale può infatti essere assicurata solo da una governance equilibrata.
Ecco perchè è completamente e radicalmente sbagliata la proposta del Ministro Tremonti di una governance dominata dai rappresentanti degli enti pubblici. Anzi, se
fosse passata la impostazione originaria, dai rappresentati di un solvente pubblico - la
Regione - della quale le Fondazioni sarebbero diventate unicamente appendici.
Se fosse stata la sola Regione a nominare il 75% dei Consiglieri di fatto il potere di
gestione sarebbe stato tutto trasferito in Regione ed i residui consiglieri avrebbero esercitato ruoli di contorno.
Questo tipo di governance avrebbe soppressa ogni autonomia e di fatto ricondotte le
Fondazioni in ambito pubblicistico.
Questo tipo di governance è stata in parte modificata grazie all’impegno di molti ma
vi è ancora una forte prevalenza degli enti pubblici: un pò più sofisticata perchè i
comuni, le province e le regioni devono in qualche modo mettersi d’accordo, è meno
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Sessione dedicata alle Fondazioni
oppressiva di quella precedente perchè non è più il 75%, ma la logica rimane pur sempre della prevalenza. È un tipo di governance che è tendenzialmente auotonomistica e
che impone scelte di campo precise.
Credo pertanto che abbia fatto bene l’ACRI a ingaggiare una battaglia di principio
perchè di principi appunto si tratta.
Come spesso avviene per i principi esiste un problema di conformità costituzionale di
cui hanno parlato bene i relatori e che è stato ripreso da Franco Bassanini e che oggi
è all’attenzione della Corte Costituzionale per un giudizio che mi auguro positivo.
Se sarà necessario interverremo anche politicamente come responsabile del gruppo
della Margherita dico all’amico Volontè, che fa parte di un gruppo diverso dal mio e
anche di una coalizione diversa dalla mia che ho letto il suo progetto che ripristina
proprio questo equilibrio di governance e questa autonomia e che, se sarà necessario,
firmerò il suo progetto ed opererò in concordia affinchè possa andare in porto.
Voglio solo aggiungere qualche notazione su altri aspetti e su altri scopi che l’iniziativa legislativa si proponeva.
Quali erano gli scopi collaterali? Il primo scopo era quello che stamane veniva ricordato dal Pisanti e cioè facilitare la riorganizzazione del mondo bancario.
Il dato di fatto a sei anni di distanza è che nel mondo bancario vi è stata una fortissima riorganizzazione, una forte modernizzazione ed un aumento di competitività.
Chi non ricorda che appena alcuni anni or sono il mondo bancario aveva il più altro
costo per addetto, la minore produttività, basso livello di concorrenzialità europea.
Oggi la situazione è felicemente mutata ed il mondo bancario italiano, pur non avendo esaurito il suo processo di modernizzazione, è sicuramente più forte e competitivo.
La sostanza della polemica Fazio /D’Amato è questa. Mi pare che abbia ragione il
Governatore quando afferma che il mondo bancario ha smesso di essere una foresta
pietrificata mentre il mondo industriale negli ultimi anni si è sviluppato e modernizzato in modo non sufficiente perdendo quote di mercato a livello internazionale.
La seconda notazione attiene alla frase stamani pronunciata da Edo Patriarca in rappresentanza del mondo non-profit, quando ha affermato che la potenza finanziaria e
la buona e corretta organizzazione delle Fondazioni permette di infrastrutturare la
società civile. Il termine è orribile, ma il concetto è giusto. La società del non-profit è
costituita ormai da milioni di persone che hanno idee, tempra morale, volontà, ma
non hanno disponibilità economiche.
È evidente che, se si riescono a mettere insieme la potenza patrimoniale delle Fondazioni e le capacità dei suoi organi direttivi a tanto volontariato vi è la possibilità di realizzare una delle società civili più forti del mondo.
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Sessione dedicata alle Fondazioni
È chiaro che se riportiamo tutto nell’ambito pubblico abbiamo esattamente l’opposto: quella società civile che abbiamo voluto potenziare viene nuovamente depressa e
riportata a ruoli marginali. Questo è il grave errore di impostazione del Ministro Tremonti.
La terza notazione attiene alla unicità del mondo delle Fondazioni bancarie.
Sapete meglio di me che è erano Fondazioni associative al centro Italia e Fondazioni
non associative a nord ed a sud: erano realtà completamente diverse.
Ma allora qual era il punto di fusione? Trovare un regime giuridico che, pur mantenendo la diversità delle assemblee, fosse molto simile e condiviso. Questa è la ragione
per la quale è stato creato per tutti un sistema base, salvo la variante non indifferente
dell’assemblea, in base al quale dentro la Fondazione vengono precipitate le associazioni, quella che noi chiamiamo la società civile, gli enti locali per la loro parte ecc.
Qual è stata la conseguenza pratica? Voi siete la conseguenza pratica!
Cioè oggi voi potete avere un ACRI. Ormai in larga misura ed in grado di esprimere
una rappresentanza unitaria perchè vi è un regime molto simile ed unificante di tutte
le Fondazioni.
Ma se dovesse diventare definitiva questa norma errata in virtù della quale l’attuale
Ministro istituisce la preminenza della designazione da parte degli enti pubblici ma
solo per le Fondazioni non associative quale ne sarebbe la conseguenza? Che il mondo
delle Fondazioni si divaricherebbe fra fondazioni di fatto dirette dagli enti locali e fondazioni dirette dalle assemblee dei soci.
Si lederebbe così di fatto irreversibilmente la unicità delle Fondazioni.
Il progetto del Governo è quindi un progetto sbagliato e pericoloso che va respinto e
che urta contro la logica e la natura delle Fondazioni.
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Sessione dedicata alle Fondazioni
Bruno Tabacci,
Presidente della X Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni)
del Senato della Repubblica
Debbo un sincero ringraziamento al Presidente Guzzetti per questo invito che mi dà
l’occasione per tentare di ricostruire alcune posizioni che ho sostenuto con convinzione nell’arco di questi ultimi mesi, cercando di raccordare, attraverso l’interpretazione,
- prefigurata dalla Costituzione - del ruolo del parlamentare senza “vincolo di mandato”, alcune mie iniziative con questioni concrete. Sicuramente vi è stato un eccesso di
tentativi di inquadrare giuridicamente la natura delle Fondazioni, ma mi interessa sottolineare in questa sede che esse rappresentano un’istituzione con radici profonde nella
storia del Paese. Esse sono infatti fortemente connesse alle vicende e allo sviluppo di
determinate comunità regionali e locali, dato che affondano le loro radici “nella notte
dei tempi” e hanno pertanto acquisito molte benemerenze. L’obiettivo del mio intervento non è quindi quello di appoggiare l’una o l’altra tesi riguardo la natura giuridica delle Fondazioni, ma quello di cercare di fare il punto su due questioni, e cioè il
rapporto tra Fondazioni e territorio e il rapporto tra Fondazioni e banche, sulle quali
il mio amico Bassanini ha detto delle cose assolutamente importanti. Per quel che
riguarda il rapporto tra Fondazioni e territorio, negli anni Novanta era iniziata per le
banche, sulla base delle norme comunitarie, una fase caratterizzata dalla deterritorializzazione. La riforma Amato, invece, che separa il ruolo delle Fondazioni, l’ente conferente dalla banca ente conferitario, pone le premesse per il ripristino di un forte rapporto tra Fondazioni e territori di riferimento. La riforma Ciampi rafforza tale tendenza e prescrive che gli statuti prevedano un’adeguata e qualificata rappresentanza del
territorio negli organi di indirizzo, con particolare riguardo agli enti locali. Per quanto riguarda le Fondazioni con operatività localmente delimitata, inoltre, si prescrive
che negli organi collegiali vi sia una rappresentanza non inferiore al 50 per cento di
persone residenti da almeno 3 anni nei territori stessi. La volontà di privilegiare i territori di riferimento appare del resto spontaneamente espressa dalla Fondazione anche
quando i rispettivi statuti non prevedono delimitazioni territoriali. Il tema del rapporto tra Fondazioni e territori di riferimento è stato oggetto di un nuovo intervento
da parte della finanziaria 2002 che ha fissato due nuovi principi: il vincolo della prevalenza territoriale nella formazione degli organi di indirizzo e il vincolo, sempre a
carattere territoriale, relativo all’operatività. Come è noto, tanto il mio gruppo quanto io personalmente abbiamo dato l’adesione allo spirito della riforma. Tale riforma è
stata peraltro oggetto di differenti interpretazioni, che hanno acceso varie polemiche
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Sessione dedicata alle Fondazioni
A tal riguardo, sottolineo che il primo dei due nuovi principi introdotti dalla finanziaria 2002, se interpretato letteralmente, non era certo suscettibile di causare effetti
dirompenti, dato che gli enti locali già risultavano detenere il 50% dei posti negli organi di indirizzo. La soglia originariamente proposta del 75% è parsa in effetti eccessiva
e ha sollevato, come è noto, aspre polemiche. In particolare vorrei ricordare che un
emendamento da me presentato ha indotto il Ministro Tremonti a ritirare quello del
governo che era alla ricerca di un’interpretazione autentica del principio di prevalenza
nella direzione poc’anzi esplicitata. L’emendamento è stato da me presentato a seguito di un incontro che avevo promosso casualmente nel mio studio tra il Ministro del
Tesoro e il Presidente dell’ACRI. Avendo infatti riscontrato- come mi impone di fare
il mio ruolo di parlamentare senza vincolo di mandato- che in quell’occasione c’erano
ragioni per ritenere che le motivazioni addotte dal Presidente dell’ACRI, con il quale
non avevo più particolari rapporti personali da alcuni anni, fossero prevalenti, ho ritenuto che fosse mio dovere, quando si pose l’occasione, di muovermi conseguentemente. La seconda novità, introdotta dalla finanziaria del 2002, prevede che le Fondazioni, nel rapporto prevalente con il territorio, indirizzino la propria attività esclusivamente nei settori ammessi e operino in via prevalente nei settori rilevanti. Il regolamento di attuazione ha sicuramente operato anche in questo caso una forzatura, peraltro bloccata dal Consiglio di Stato -, allorché ha tentato di vincolare le Fondazioni a definire in ogni caso un proprio ambito territoriale di riferimento. Gli eccessi,
in una materia come questa, rischiano infatti di stravolgere principi di per sé condivisibili. Se dietro tali tentativi di forzature non ci fosse stato un disegno politico, se dietro tali tentativi non ci fosse stata una forma di pressione legata ad un modo di identificare il ruolo di alcune Fondazioni nel Paese, probabilmente l’interpretazione di quei
principi sarebbe stata più soft. E sarebbe stato possibile, come era giusto e doveroso,
trovare un punto di equilibrio e un punto di accordo. È infatti giusto e doveroso che
le Fondazioni si radichino nei territori di riferimento, ma è contrario alla loro natura
di enti privati dotati di autonomia statutaria, prefigurare forme di controllo pubblico
sulle Fondazioni da parte dei poteri locali. Potremmo discutere all’infinito sui limiti
entro i quali è possibile e lecito limitare l’autonomia statutaria e gestionale delle Fondazioni, autonomia che coinvolge la scelta delle attività e l’assetto organizzativo. Il problema tuttavia è, a mio avviso, ancora prima di metodo: ho infatti seri dubbi sull’idoneità di una normativa di dettaglio, realizzata attraverso una serie di provvedimenti a
cascata, ad orientare in maniera efficace e virtuosa l’attività delle Fondazioni, senza
scadere in una politica di stampo dirigista, in virtù della quale ad un soggetto privato
viene attribuito un ruolo di supplenza di istituzioni pubbliche. La soluzione migliore
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Sessione dedicata alle Fondazioni
mi sembra invece quella imperniata sulla funzione di vigilanza dell’autorità pubblica
per quanto riguarda la verifica del rispetto della legge e degli statuti, la sana e prudente gestione, la redditività dei patrimoni, l’effettiva tutela degli interessi contemplati
dagli statuti. In definitiva, mi sembra più opportuno prevedere una verifica a posteriori dell’attività delle Fondazioni sulla base dei principi stabiliti dalla legge e dagli statuti. In questo modo sarebbe possibile conciliare la tutela dell’interesse generale con
un atteggiamento liberale garantista nei confronti dell’autonomia che spetta ai soggetti
privati. Passando ad esaminare il rapporto tra Fondazioni e banche, assai più irto di
problematiche connesse, ricordo innanzitutto che la legge Ciampi ha distinto nettamente natura e prospettive delle due categorie di soggetti. Le Fondazioni peraltro, pur
non potendo più esercitare poteri di controllo, continuano a detenere partecipazioni
nelle banche e a costituire un punto di riferimento per quanto riguarda la stabilità di
governo delle banche. Impedire di detenere partecipazioni rilevanti nelle banche sarebbe risultato lesivo dell’autonomia privata delle Fondazioni. È stata invece introdotta
l’assai controversa nozione di controllo congiunto che si realizza nel caso di compresenza di più Fondazioni nel capitale di una banca, nozione che certo ha determinato
un’oggettiva reazione rispetto al contesto in cui essa viene a collocarsi. Io non voglio
in questa sede addentrarmi in valutazioni tecniche ma limitarmi ad un’analisi di principi. Mentre ritengo giusto in linea di principio che le Fondazioni non possano controllare le banche, non capisco quale sia la ragione per la quale le Fondazioni debbono ritenersi soggetti, in linea di principio inadeguati a detenere partecipazioni bancarie. Uno degli argomenti ricorrenti addotti a sostegno di quest’ultima tesi è che le Fondazioni avrebbero ostacolato la crescita dimensionale delle banche stesse e su questo vi
sarebbe molto da discutere. Ma direi che la questione centrale, da me sollevata ripetutamente in questi mesi, è un’altra e riguarda il ruolo dell’ “arbitro giocatore”. Io sono
infatti convinto che la vigilanza e la regolazione del mercato non possono stare insieme perché sono elementi in forte contraddizione l’uno con l’altro. E credo che sia corretto prendere atto di questo, anzi, se posso, rivolgerei un invito a chi ha più responsabilità, di concorrere a gestire questo processo di rinnovamento. Perché se così non è
delle due l’una: o si fa male la vigilanza o non si fanno fare al mercato i passi che il
mercato dovrebbe compiere. Mi preme però anche sottolineare un aspetto diverso, che
gioca a favore della partecipazione delle Fondazioni nelle banche. Gli scandali finanziari statunitensi hanno messo in luce gli effetti nefasti derivanti dall’attività di amministratori che operano esclusivamente in una logica di breve periodo, preoccupandosi
di produrre, a qualsiasi costo e senza curarsi delle conseguenze nel medio termine, utili
contabili estremamente elevati, perché l’unico loro obiettivo è quello di influire sui
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Sessione dedicata alle Fondazioni
corsi azionari cui sono legate le stock options. Anche in Italia, pur in misura meno rilevante, abbiamo avuto esempi di questa dimensione al punto che abbiamo assistito a
grandi manager pagati in misura inversamente proporzionale agli utili che essi producevano; potremmo anche dire che più erano pagati più producevano perdite. L’atteggiamento di una Fondazione nei confronti della banca partecipata potrebbe invece
essere esattamente l’opposto: per la Fondazione non si tratta infatti di una speculazione, di un investimento a breve, ma di legarsi stabilmente al destino di un istituto bancario, contribuendo a definire politiche relative al medio e lungo periodo. Piuttosto il
problema può essere un altro, nasce cioè quando la gestione della banca partecipata si
è rivelata così inefficiente da mettere a rischio il patrimonio. Se invece il problema è
quello di garantire che la Fondazione non venga distratta dal perseguimento dei suoi
compiti specifici e dalla tutela degli interessi alla cui cura è statutariamente preposta,
completiamo la riforma e attribuiamo ad un’autorità indipendente il compito di assicurare la massima trasparenza e di vigilare sulla correttezza della gestione. Una questione da esaminare a fondo attiene invece al rapporto tra Fondazioni e banche etiche.
Le finalità dichiaratamente sociali di queste ultime le avvicinano infatti notevolmente
alle Fondazioni. Sulla base di tale affinità, dovrebbe essere valorizzata la facoltà, prevista dalla legislazione vigente, delle Fondazioni di esercitare imprese strumentali nel
perseguimento degli scopi di utilità sociale e di promozione economica. Ribadisco a
tal proposito le mie perplessità circa inasprimenti delle regole dagli esiti spesso controversi e difficilmente difendibili sul piano dei principi e che rischiano di riportarci
indietro. Sono invece favorevole a soluzioni che contemperino la tutela degli interessi
generali con l’esercizio dell’autonomia propria delle Fondazioni. Si tratta allora di
completare la riforma alla luce anche delle decisioni della Corte Costituzionale. In tal
senso, segnalo che, in maniera molto illuminante il capogruppo dell’UDC ha avuto
occasione di presentare una proposta di legge che mi sembra molto positiva. Da ultimo vorrei fare un riferimento al tema del rapporto tra sistema bancario e sviluppo economico del Paese. Non mi piacciono le autocelebrazioni, anzi debbo dire che mi
danno una sorta di reazione immediata. Ho la sensazione che noi non siamo fuori dal
clima di sfiducia che ha attraversato i mercati finanziari a livello internazionale e ancora non abbiamo finito di pagare gli effetti di quella bolla speculativa e di quanto è
costata a tanti ignari risparmiatori a livello mondiale. Basti pensare che in America,
dove vige il calvinismo più esasperato, ci sono stati vari scandali , dal caso Enron al
caso /Worldcome/. Ma anche in Italia ci sono state vicende quali quelle dei “bond
argentini” o dei “bond Cirio”. Trovo pertanto irresponsabile mettersi al di sopra e giudicare quello che accade all’esterno come se fossero le miserie dell’umanità, senza farsi
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Sessione dedicata alle Fondazioni
carico degli effetti dirompenti di gestioni del tipo sopra menzionato. Voglio dire cioè
che dare una stangata a 40 mila risparmiatori per 2.500 miliardi, senza la moral suasion delle banche che di fatto hanno collocato questi titoli non sarebbe stato possibile. Occorre allora che il sistema bancario, di cui voi siete parte, cominci a farsi carico
di questa complessità e se la porti sulle spalle, senza giudicare le miserie umane dall’alto in basso: c’è una complessiva responsabilità di un sistema al quale occorre che
anche voi diate il vostro contributo. Io non arrivo ad indicare, come ha fatto ieri l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, il sistema del credito come una delle
debolezze del sistema italiano nel suo complesso. Non voglio addentrarmi in un’analisi di “Basilea 2”, ma credo che il sistema bancario ha il dovere di porsi, come il resto
del sistema economico italiano, il problema della ripresa dello sviluppo e di individuare il proprio ruolo all’interno di questo processo. Penso inoltre che permangono
troppi conflitti di interessi nel sistema bancario. Senza addentrarsi in esempi specifici,
ad essere prevalente è la questione delle regole e allora vi invito a riflettere su due
punti: la trasparenza delle informazioni e l’eliminazione dei conflitti di interesse, non
attraverso un’iniziativa legislativa che induca ad una casistica esasperata, ma tentando
di tagliare le radici laddove è necessario. Anche in questo caso non c’è bisogno di fare
molti esempi, ma non c’è dubbio che quando in America è stato annullato quell’atto
che impediva la partecipazione di banche universali in “banche d’affari”, ciò ha determinato il crescere del rischio dei conflitti di interesse. Non può porsi, il sistema bancario, nell’ottica di una rincorsa del potere quando invece deve garantire il risparmio,
deve garantire i risparmiatori. È vero che esso persegue due interessi, tra loro confliggenti, e cioè quello di collocare bene e quello di recuperare i soldi che ha dato. Però
occorre che il sistema bancario si faccia carico di recidere alla radice conflitti di interesse che sono di tutta evidenza. In conclusione, penso che questa storica Associazione delle Casse di Risparmio e oggi anche delle Fondazioni, con un ruolo anche di
autorità morale nel Paese, sia in grado di fare questo lavoro e di cominciare a chiamare le cose col loro nome. Ci sono argomenti dei quali sembra non si possa parlare,
come se fossero tabù, ma non è giusto che sia così. È giusto che invece anche voi prendiate il coraggio e se lo farete non credo che ci saranno problemi ad aggiustare il tiro
dove ciò deve avvenire. Noi non siamo preoccupati per l’agitazione con cui alcuni
alleati di Governo interpretano il loro rapporto con la coalizione, noi siamo tranquilli, sereni. Io so che alla base di tutta questa vicenda delle Fondazioni c’era la questione della CARIPLO. Li avevo anche consigliati di non concentrare i loro interessi su
questo aspetto - mi riferisco ovviamente alla Fondazione -, di guardare in prospettiva,
avere una visione più larga, guardare gli interessi generali, ai conflitti di interesse, al
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ruolo delle autorità indipendenti. Queste iniziative sarebbero viste, ad esempio dal
mondo del nord o dal sistema bancario, certamente in maniera favorevole. Ma questo
non è, ovviamente, un tema che interessa questa assemblea che, come è noto, si occupa di ben altre cose. Grazie.
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Luca Volontè,
Presidente del gruppo parlamentare UDC alla Camera dei deputati
Credo che avete avuto tutti la proposta di legge che abbiamo elaborato dopo la sentenza del TAR e quindi di questo argomento non vorrei parlare. Anche perché (e questo lo voglio dire subito) il testo è frutto di un metodo, è il metodo esattamente quello a cui si richiamavano molti oratori oggi, vale a dire quello di aver riconosciuto nella
storia del nostro Paese la centralità della società. Ma non voglio ripetere parole in qualche modo toccate anche da chi mi ha preceduto oggi, obiettivamente oltre che costituzionalmente, direbbe Bassanini, viene prima nel nostro Paese di quanto non sia la
nascita dello Stato o addirittura la nascita della Costituzione. È opportuno in questo
senso far memoria di come l’amicizia di Cicerone, possibile solo fra i buoni, si sia trasformata nel tempo con Agostino nella caritas che è l’affetto, l’amore, l’amicizia che
mantiene unita la società. E più avanti nel ‘300 e nel ‘400 con Bernardino da Siena,
con Giordano da Pisa quell’amicizia veniva adeguata al bene comune attraverso l’utilità pubblica del lavoro dei mercanti. Il buon mercante è colui che fa crescere il bene
della propria città e così via via fino ai Monti di Pietà si arriva poi alle Casse di Risparmio. Tutto ciò fino a quel Bernardo D’Avanzati fiorentino di nascita che nel 1588 nel
suo scritto sulla moneta pone le basi teoriche della moderna teoria della circolazione
monetaria come virtù necessaria per tutte le nazioni. È quindi da questo fermento
straordinario che nascono i Monti di Pietà e dallo stesso fermento nascono le Casse di
Risparmio. Questi autori, questa nostra tradizione è alla base delle moderne teorie economiche e anche al centro, l’ha ricordato per alcuni aspetti drammatici che hanno
riguardato il credito e i cittadini italiani l’Onorevole Tabacci, della moderna discussione sull’economia e l’etica nell’economia e anche sulla globalizzazione, come da questa tradizione nascono le misericordie, le opere pie, le società di mutuo soccorso. I
nostri secoli e la nostra storia hanno preferito darci questo scrigno d’inestimabili tesori antichi che noi dobbiamo aggiornare. È il primo punto della devoluzione o del federalismo solidale e non può che essere quello della sussidiarietà orizzontale.
Ho voluto ricordare questi aspetti che fanno parte della coscienza di un popolo e forse
meno della coscienza di alcuni ministri della scorsa e dell’attuale legislatura. Perché è
ben vero che c’è una differenza tra il Ministro Tremonti e chi è venuto prima, ma forse
la tentazione che aveva Visco nel paragrafo sulle partecipazioni non era dissimile da
quella che ha l’attuale Ministro dell’Economia: perché lo dico? Perché la mancanza
non dello studio della Costituzione del Professor Guarino, la mancanza del sapere
dove si abita è la fonte di ogni approccio ai problemi sbagliati. La mancanza di reali153
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smo è la prima fonte non solo delle discussioni giuridiche che non hanno fondamento o di una lettura sbagliata del testo delle leggi o della Costituzione. La mancanza di
questo è l’oggetto che manca nella discussione.
E allora a partire dal riconoscimento, a partire dalla sussidiarietà orizzontale, a partire
dal fatto che la società nel nostro ordinamento, nella nostra storia viene prima dello
Stato ed è origine, come diceva un importante studioso citato da molti a destra e a
sinistra, in molti anni nella storia della nostra repubblica, Tocqueville, sta prima ed è
consustanziale al fondamento stesso della democrazia. È l’oggetto stesso del metodo
che ha indicato nel nostro gruppo parlamentare, agli spiriti liberi che già in cento
hanno firmato questa proposta di legge, del fare questa proposta di legge. Per porre
non la soluzione in mancanza della sentenza della Corte, ma una soluzione che riconoscesse quei principi di cui avete a lungo e precisamente parlato. La natura cioè privatistica delle Fondazioni che hanno carattere di pubblica utilità e che vengono ben
prima che qualsiasi legge o qualsiasi costituzione le possa vincolare. E cioè il principio
del rispetto nei confronti di ciò che c’è nella società italiana che muove l’azione e non
può che muovere l’azione della politica. Gli istituti privati di pubblica utilità che sono
i primi discendenti dell’operosa amicizia della pietà, della carità che diede origine alla
straordinaria ricchezza e varietà della cultura e della civiltà italiana.
In questo senso la politica, noi che riconosciamo questo come funzione della politica,
possiamo aiutarvi e forse stimolarvi a far più bene ciò che fate. Il Presidente Tabacci,
gli altri amici, Bassanini, Pinza, molti altri interventi in questi mesi sono andati in
questa direzione. Nella direzione della trasparenza che vale per tutti, gli investitori e
gli istituti di credito italiani e anche gli investitori stranieri che vengono in Italia pensando di comprare le banche private italiane. E nello stesso tempo aiutare verso un
miglior bene significa anche, da un lato, riconoscere che delle volte ci sono state delle
azioni degli uomini che fanno politica che pensavano di far meglio. Dimenticando che
a volte, come diceva un santo, non un ministro miracolistico, il meglio è nemico del
bene.
Nessuno chiede che ci sia da parte di chi c’era prima al governo o di chi probabilmente
in un eccesso di volontà c’è ora, dica o affermi un riconoscimento pubblico di aver
sbagliato nel suo operare: di per sé sarebbe sintomo primo, diceva San Tommaso, dell’intelligenza degli uomini.
Come avete notato non ho parlato del mio testo o degli argomenti che abbiamo
approfondito con il metodo del confronto con le Fondazioni di origine bancaria
andando da loro o chiamandole a un parere prima di depositare una normativa. E
riconoscendo in questo, permettetemi, il primo a risolvere i propri problemi per far
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Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Fondazioni
meglio il bene degli altri cioè il bene della società civile. Chi prima ci può aiutare a far
meglio il proprio dovere, che è servire la città, la provincia, la regione, la nazione è proprio chi già lo sta facendo e non un’idea inventata in uno studio. Piuttosto di chiedere il riconoscimento di un errore, ritengo che sia urgente un decreto, entro 15 giorni,
entro il 15 giugno. Un decreto che ponga almeno alcune soluzioni di problemi che
non sono secondari per la vita di molte Fondazioni di origine bancaria. È più urgente confrontarsi sul testo piuttosto che far apparire, come è apparso negli ultimi mesi,
la prosecuzione di colloqui che non mi risulta ci siano stati. Questo sarebbe un gesto
di buonsenso rispetto a un problema che c’è di fronte, alla soluzione di un piccolo problema che c’è di fronte che sono le scadenze del 15 giugno. Rilasciando poi - e voi
sapete quanto il mio parere fosse diverso - alla Corte Costituzionale la soluzione di un
grande problema che è un problema che non riguarda questo Governo. Non riguarda
questo Parlamento, riguarda la storia, la vita e ancora prima della Costituzione la civiltà di questo Paese.
Vi voglio invitare in conclusione a guardare oltre però a ciò che accadrà entro il 15
giugno, a ciò che accadrà con la sentenza della Corte. Non solo per la condivisione
delle certezze costituzionali dette da molti relatori, ma anche per la convinzione che la
verità della storia di un paese non può che essere riconosciuta anche da chi giudica dall’altra Corte. Guardare avanti vuol dire tener conto che indipendentemente anche
dalla sentenza della Corte voi avete deliberato degli impegni chiari nella vostra assemblea di Napoli lo scorso anno. Un impegno chiaro alla formazione professionale per i
giovani, per i beni culturali e per il turismo, un impegno chiaro per l’internazionalizzazione delle imprese nel Mezzogiorno e sulla professionalità da acquisire e aggiornare, decreto per le aziende del Sud. Un impegno chiaro, l’ha ripetuto oggi il Presidente Guzzetti, nei confronti di una disponibilità a ragionare su un bene pubblico, comune. In questo senso esattamente la stessa cosa a cui si richiamava Bernardino da Siena
sulle infrastrutture. Con uno sguardo che parte da Siena per il Monte dei Paschi o da
Milano o dagli altri capoluoghi di provincia per la Fondazione della Cassa di Risparmio di Milano o da Fossano, ma che guarda al di là del bene della singola città. Investimenti buoni direi con gli autori che ho citato prima, investimenti buoni che avete
il dovere di fare perché avete il dovere di essere ciò che siete, ciò per cui siete, ciò per
cui siete nati e cioè amici, amici del bene comune. Ai quali si può chiedere con grande lealtà e al di là dei gravissimi contenziosi a cui siete sottoposti di guardare, come
avevano fatto i vostri padri, al bene di cui siete portatori.
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CONGRESSO NAZIONALE
FONDAZIONI BANCARIE
DELLE CASSE DI RISPARMIO
DELLE
E
SESSIONE DEDICATA ALLE
CASSE DI RISPARMIO SPA
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
IL POSITIVO RUOLO DELLE CASSE DI RISPARMIO NELL’EVOLUZIONE
DELL’ECONOMIA ITALIANA
Aureliano Benedetti,
Presidente della Cassa di Risparmio di Firenze SpA
Autorità, Colleghi Convegnisti, Signore e Signori,
Buongiorno,
di nuovo un cordiale saluto di benvenuto a tutti i partecipanti al congresso.
La nascita e l’evoluzione delle Casse di Risparmio italiane
Non possiamo tornare sempre ad Adamo ed Eva, ma un breve cenno sulla nascita delle
Casse di Risparmio mi aiuta a sviluppare meglio il tema affidatomi.
A seguito della rivoluzione francese, dopo l’avventura napoleonica, la Società civile
europea aveva rapidamente conseguito un assetto che niente aveva più a vedere con il
tempo passato. I monti Pii di nascita medioevale sorti per lo più per merito di ordini
religiosi non potevano ormai assecondare le esigenze di una economia nuova; nuove
classi sociali erano attrici del loro futuro: l’agricoltura ebbe uno sviluppo clamoroso
non più strettamente legato agli incerti della natura, la rivoluzione industriale richiedeva nuove capacità economiche, e avevano cominciato ad operare nuove iniziative
economiche e nuove professioni. La società civile reclamava strumenti finanziari nuovi
per questa nuova stagione della storia: sorsero le Casse di Risparmio.
La prima a Parigi nel 1818 e così a seguire in Germania ed in Inghilterra, poco dopo
anche in Italia le Casse di Risparmio ebbero un successo immediato.
La Cassa di Risparmio di Firenze sorse nel 1829 da una costola della Accademia dei
Georgofili, la più antica accademia di scienze agrarie del mondo, fondata a Firenze nel
1753 (ha celebrato in questi giorni il suo 250° anniversario) proprio perché alcuni soci
tra cui il Presidente Cosimo Ridolfi sentirono l’esigenza di una banca che operasse specialmente a sostegno della agricoltura, dell’artigianato e dei piccoli commerci e conseguentemente procedesse anche alla tutela del risparmio delle classi minori.
Le Casse di Risparmio, salvo i provvedimenti dirigisti del 1927 del governo dell’epoca, per i quali il Ministero del Tesoro eleggeva il Presidente e il Vice Presidente imprimendo così un orientamento pubblicistico, continuarono ad operare secondo quella
che era stata la loro originaria natura di Banche orientate verso i piccoli risparmiatori,
gli artigiani e le piccole imprese; anche perché questo era il tessuto economico preva159
Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
lente in Italia fino alla prima guerra mondiale ed anche dopo, quando la struttura
industriale del Paese cominciò ad evolversi.
Le Casse di Risparmio ormai cresciute di importanza e di ruolo poterono, insieme alle
altre Banche sorte tra la fine del secolo diciannovesimo ed i primi anni del ventesimo,
sostenere anche la grande impresa.
Siamo così ai tempi nostri; nel secondo dopoguerra le Casse di Risparmio operano in
un contesto segnato dalla ripresa economica e dal forte sviluppo dell’economia, ma
risentono in quel periodo del dirigismo statale, delle pressioni politiche e delle influenze esercitate sull’erogazione del credito, che pregiudicano l’efficienza e la produttività
di un sistema bancario prevalentemente di natura pubblica. Eravamo un Paese del
blocco occidentale che sbandierava il libero mercato, ma con una struttura quasi da
Paese del socialismo reale, con la fortuna tutta italiana di non averne anche le pene.
Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
rispondere ad un mercato che chiede ad esse redditività ed efficienza.
Realizzare tali aspettative non ha comportato solo un problema di adattamento della
cosiddetta attività bancaria tradizionale, il cambiamento è avvenuto in meno di un
decennio e quindi con i medesimi uomini che avevano vissuto la precedente stagione,
con il conseguente sforzo di adattamento della loro cultura professionale: le aspettative maggiori si sono concentrate su di un nuovo tipo di attività bancaria, sull’attività
di ricerca del capitale di rischio verso la promozione ed il sostegno allo sviluppo economico. Purtroppo infatti oggi in Italia più che altrove le imprese si scontrano con un
difficile sviluppo, dovendo queste affrontare crisi sia di assetto proprietario, sia di inefficiente combinazione tra il fabbisogno finanziario e la debolezza di progettazione
industriale.
***
***
Il cambiamento operativo delle Casse di Risparmio e il legame con il territorio
Il cambiamento giuridico-istituzionale
Negli anni Novanta le Casse di Risparmio sono state oggetto di una radicale trasformazione che ha profondamente modificato il loro assetto, sia dal punto di vista giuridico-istituzionale sia da quello strutturale-operativo.
Come è noto, sotto la spinta esercitata dalla I e dalla II Direttiva Europea in materia
creditizia riguardanti la libertà di stabilimento e la despecializzazione bancaria, il processo di trasformazione e ammodernamento del sistema ha subìto una rapida accelerazione che ha condotto all’approvazione della legge di delega n. 218 del 30 luglio
1990 (la cosiddetta legge “Amato”) e ai relativi decreti applicativi.
Il lungo e articolato iter normativo, che sembra continuare, ha quindi avviato un profondo processo di riforma degli assetti societari delle Casse di Risparmio italiane, divenute in tutto e per tutto società commerciali private disciplinate dal codice civile e
dalle norme in materia bancaria, analogamente a quanto avviene per le altre banche
operanti nel settore del credito.
Tutto ciò ha implicato l’allontanamento dai modelli pubblicistici e con la graduale privatizzazione delle banche, la loro definitiva sottrazione dall’influenza politica e la progressiva apertura alla concorrenza del mercato: si è avviato un mutamento anche culturale sia all’interno del sistema bancario che nelle aspettative provenienti dal mondo
economico.
Oggi le Casse di Risparmio sono come le altre aziende di credito, imprese che devono
160
In questi ultimi anni pertanto le banche sono state chiamate ad intervenire per coadiuvare le imprese nella scelta dei mezzi e delle politiche imprenditoriali e, con una profonda trasformazione della professionalità, dell’organizzazione, dei servizi, fare il passaggio da una “cultura catastalista”, di misurazione delle garanzie patrimoniali del
cliente e dell’impresa, ad una “cultura prospettica” attenta a valutare le capacità, i progetti e l’affidabilità imprenditoriale.
Oggi questo cambiamento è in parte già avvenuto. Il sistema bancario si è aperto a
nuove aree quali la ricerca del capitale di rischio, nuovi e sempre più efficienti servizi alle
PMI, il sostegno all’esportazione. In sostanza, si tratta di fare “banca di sviluppo” cioè
di aiutare le imprese a crescere, a ristrutturarsi, a superare il problema del ricambio generazionale, ad affrontare le questioni relative all’assetto proprietario.
Le Casse di Risparmio, quelle che ancora possono chiamarsi tali per origine e status anche se talvolta per scelte di marketing hanno modificato il proprio nome - svolgono in tutto e per tutto ormai da molti anni questa attività bancaria “di sviluppo”.
E in risposta alle esigenze del mercato hanno spesso assunto modelli organizzativi che
non hanno niente da invidiare ai grandi gruppi bancari nazionali, sia in termini di efficienza e di servizi, sia in termini di alleanze, riuscendo inoltre a sviluppare intese all’interno del sistema delle “Casse” e con aziende e gruppi di livello internazionale, facilitando il dialogo e l’unione di culture.
Soprattutto, le Casse di Risparmio hanno portato a termine un processo di apertura
161
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Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
al mercato, bilanciando il radicamento locale a strategie di più ampia portata, mai
però confondendo il localismo con il provincialismo.
Per le Casse di Risparmio il radicamento territoriale è infatti un valore e non il sinonimo di una dimensione strutturale ed operativa ridotta: le Casse hanno mantenuto
una cultura di legame col territorio e di recepimento delle istanze da questo provenienti, evolvendo esse stesse nel livello di qualità dell’offerta, talvolta anche grazie ad
alleanze con altri Istituti portatori della stessa cultura.
L’esempio che più mi è vicino è quello del Gruppo Banca CR Firenze, che fino ad oggi
è riuscito ad aggregare Casse di Risparmio di piccole dimensioni senza snaturarne il
ruolo a livello locale, conseguendo un risultato importante: l’aumento della capacità
competitiva, ma soprattutto la dimostrazione che l’integrazione tra queste culture anche se tra banche di dimensioni diverse - è più facile rispetto a quella di banche che
provengono da altre origini.
In sintesi, prima ancora di intervenire sulla integrazione dei sistemi informatici piuttosto che dei prodotti, le Casse possono lavorare principalmente su una cultura aziendale comune.
***
Il ruolo delle Fondazioni bancarie
Le Casse di Risparmio di fatto hanno nel loro DNA l’integrazione con il sistema economico e la società civile in cui operano, perché di esso sono motore ed espressione a
loro volta. Da qui, vorrei sottolineare il ruolo importante che oggi possono svolgere e ci auguriamo possano continuare a svolgere - gli azionisti Fondazioni.
Come ha ricordato il Governatore della Banca d’Italia in un suo recente intervento
(31 ottobre 2002, Giornata nazionale del Risparmio), “le Fondazioni hanno svolto un
ruolo di primo piano nella ristrutturazione del sistema bancario. Una volta che sarà
conclusa - con tempestività e con adeguata considerazione sia degli interessi locali sia
di quelli generali - la fase normativa, vanno ricercati un nuovo dialogo e una positiva
convergenza di tutti i soggetti interessati, per dare impulso all’attività di questi Enti”.
Concetti questi ripresi dal Governatore anche nelle sue conclusioni finali all’Assemblea dei partecipanti alla Banca d’Italia, il 31 maggio scorso: “le Fondazioni hanno
svolto un ruolo rilevante nella riorganizzazione e privatizzazione del sistema creditizio.
È essenziale garantire continuità al ruolo da esse svolto in quanto enti di natura privata con fini di utilità sociale”.
162
Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
Così nella realtà economica e sociale di questa delicata fase storica del nostro Paese, le
Fondazioni possono costituire un elemento di stabilità nei confronti del territorio e
penso soprattutto a quella parte del centro-nord Italia di cui le Casse di Risparmio
sono espressione tipica.
Le Fondazioni possono infatti avere un ruolo di stimolo per le stesse banche partecipate, perché svolgono un costante monitoraggio delle esigenze dei territori di riferimento.
L’azionista Fondazione, per sua natura, ha un legame con il territorio che consente alle
Banche partecipate di collegare ambiti locali a strategie più ampie.
***
Le Casse di Risparmio e il contesto imprenditoriale.
In particolare, le piccole e medie imprese.
Come ho accennato in precedenza, la nuova natura giuridica e societaria ha favorito
l’adeguamento dell’attività delle Casse di Risparmio al sostegno dell’imprenditoria,
sviluppando un modello di banca votata “all’accompagnamento” delle imprese, in
supporto alle scelte di sviluppo sul territorio.
Sono anche queste banche locali ad esempio che, potendo intervenire solo marginalmente nelle grandi privatizzazioni nazionali, si sono invece candidate per accompagnare i processi di privatizzazione che hanno interessi territoriali, come ad esempio
quelli delle ex municipalizzate.
In un rapporto del Censis commissionato dal nostro Gruppo pochi anni fa (Banca e
territorio nell’Italia centrale, 1999), veniva evidenziato come fra le varie tipologie di
banca figurassero quelle regionali a “riproduzione di modello” (fra cui appunto molte
Casse di Risparmio), aziende queste “generalmente di media dimensione che tendono
a diventare banche di interesse nazionale; queste banche hanno cercato di estendere il
modello di azione ad altri territori, soprattutto (quelle più avvedute) in quelle aree di
imprenditorialità diffusa che presentassero opportunità similari in termini di domanda per meglio economizzare professionalità, servizi e prodotti”.
Questa considerazione, come si è detto, vale per numerose Casse di Risparmio italiane, votate alla vicinanza territoriale ma al tempo stesso rivolte ad una dimensione operativa regionale, interregionale e perfino nazionale, anche grazie al tessuto di alleanze
e di interazioni che intrattengono.
D’altro canto non sarebbe possibile fare altrimenti. I problemi aperti a livello di sistema
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Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
economico ed industriale impongono una visione addirittura transnazionale dei servizi
di natura bancaria. E, nel contempo, si pone un problema di evoluzione del capitalismo
italiano, che deve misurarsi con la propria capacità di fare il salto culturale da una forma
di corporate governance chiusa ad una governance aperta.
Se le banche hanno compiuto una rivoluzione culturale - nonostante le critiche
costantemente rivolte al sistema - anche le imprese devono oggi compiere un salto di
qualità.
Si è dovuto constatare in questi anni la crisi in Italia della grande impresa, investita da
problemi di ritardi nella ricerca e quindi nella competizione tecnologica e nella capacità di attrarre capitale di rischio.
Proprio per questo l’attenzione si è spostata sulle piccole e medie imprese e così a queste viene oggi richiesto un impegno particolarmente pesante.
Tutti infatti hanno scoperto le piccole e medie imprese e ne parlano: sembra che da
queste debbano dipendere le sorti della Nazione ed in realtà è strutturale il ruolo che
esse svolgono nell’economia nazionale.
Economisti, politici e maestri di pensiero scommettono sul futuro della nostra economia, compiacendosi della flessibilità, della capacità operativa, della inventiva delle
PMI. Riflettiamo meglio e verifichiamo tutti questi entusiasmi.
Le imprese italiane, come ha rilevato nella sua relazione il Governatore Fazio, sono
piccole: nell’industria impiegano in media 6,3 addetti. In particolare, vorrei aggiungere che il 92% della imprenditoria italiana è composta da aziende sotto le 10 unità
operative; la media delle piccole e medie imprese italiane è di tre unità quando in
Francia è di otto unità. In Italia quindi si tratta prevalentemente di attività che il padre
di famiglia si cimenta a svolgere spesso con poco valore aggiunto e generalmente nel
settore dei servizi.
Spesso quindi nelle PMI c’è un intenso turn over, sia per sfortunata gestione, sia per
ricambio generazionale, sia per cultura inadatta alle sfide che si stanno palesando.
In questo scenario si inserisce oggi invece la necessità di una forte spinta all’innovazione, alla ristrutturazione e alla riallocazione, eventi indotti dai cambiamenti delle
richieste del mercato tuttora in corso, oltre che da fattori esterni quali la competizione internazionale su mercati sempre più globalizzati, con l’introduzione della moneta
unica europea, i principi di Basilea sul controllo dei rischi, le modifiche legislative
miranti ad accentuare le responsabilità delle imprese e degli imprenditori. Questi
eventi introducono forti sollecitazioni alla società civile delle varie aree territoriali di
cui si compone il nostro Paese, e richiedono alle strutture bancarie una attenta presenza, per rispondere alle esigenze di tale evoluzione.
164
Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
***
Le responsabilità delle Istituzioni, delle Imprese
e il ruolo delle Banche nello sviluppo
Vorrei, a questo punto, soffermarmi sui cambiamenti storici che influiscono ancora
oggi sulla cultura imprenditoriale del nostro Paese e di conseguenza sul rapporto fra
banche e imprese, in particolare quelle di piccola e media dimensione.
Nell’immediato dopoguerra il nostro Paese, meno colpito dalle distruzioni belliche
rispetto ad altri, si trovò in una posizione di vantaggio per intraprendere la ripresa.
Tuttavia tale vantaggio fu successivamente vanificato da scelte economiche contraddittorie, dall’eccessiva presenza dello Stato nell’economia e dalla conseguente dissennata politica di prelievo fiscale, favorendo così una scarsa cultura del ricorso al capitale di rischio per lo sviluppo delle imprese.
Quando in un Paese si offrono per decenni finanziamenti a fondo perduto fino
all’85% degli investimenti, ed in certe regioni fino al 100%, e la politica fiscale suggerisce l’indebitamento bancario delle aziende, si creano i presupposti per generazioni
di imprenditori condizionati dal supposto diritto che qualcun altro debba pensare alle
loro risorse.
Ecco che allora il sistema bancario viene posto sotto accusa e visto come la causa di
tutti i mali del Paese. Non si considera che il sistema bancario è come la sussistenza
negli eserciti: segue. Non può essere certo il primario motore di sviluppo, anzi la sua
funzione è proprio quella di dare credito a chi lo merita selezionando subito il buon
imprenditore da quello cattivo; rinforzando e qualificando così l’economia del Paese.
C’è stato un tempo in cui il sistema bancario pubblico è stato chiamato a finanziare,
emettendo obbligazioni sul mercato, iniziative pubbliche deficitarie che facevano concorrenza sleale ai coraggiosi, anzi direi in tal caso incoscienti imprenditori privati:
quando non era lo Stato che emetteva titoli pubblici a tassi maggiori in concorrenza
con le Banche indebitando l’Erario per generazioni. Questo è stato il quadro nel quale
ha operato per decenni la nostra economia subendo la pressante ingerenza dello Stato:
c’erano problemi di occupazione; c’erano problemi di contenimento delle contrapposizioni politiche. È stato un periodo della nostra storia: ora siamo in Europa e dobbiamo confrontarci con un’unica moneta; non diamo alle Banche più colpe di quelle
di doversi adeguare in poco tempo all’Europa dopo decenni di sonno pubblico.
Trovo quindi priva di fondamento l’accusa al nostro sistema creditizio di essere penalizzante per il normale processo di crescita delle imprese: in Italia il rapporto tra impie165
Congresso Nazionale
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Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
ghi e totale attivo delle banche è pari a circa il 60%, mentre la media europea è inferiore al 50% (intervento di Sella riportato dal Sole 24 Ore, 12 marzo 2003).
Il rapporto tra impieghi e PIL è intorno all’80%, con un incremento di circa 20 punti
percentuali rispetto al livello del 1995. Nell’ultimo decennio i finanziamenti bancari
sono raddoppiati, mentre il PIL nominale è cresciuto del 60% e gli investimenti delle
imprese neppure del 20%.
È altrettanto noto come nelle imprese italiane i mezzi propri, cioè i capitali di proprietà dell’impresa, coprono solo l’83% delle immobilizzazioni tecniche, contro il
97% negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, il 138% in Germania e il 222% in Francia.
Inoltre i debiti delle imprese in Italia corrispondo in media al 75% dell’attivo, a fronte del 60% di quelle Francesi e Tedesche e del 44% delle Inglesi.
D’altro canto è giusto osservare che le Banche hanno anche il dovere di accrescere la
cultura dei loro esecutivi per essere più propizie alle esigenze delle famiglie e delle
imprese.
Questo comporta però uno sforzo culturale da parte di tutti gli attori in gioco; lo
Stato, le Regioni e gli altri enti locali devono affrontare con adeguata cultura ed urgenza il problema delle infrastrutture necessarie al nostro sistema economico se vogliamo
che sia competitivo in Europa, intendendosi per infrastrutture non solo le autostrade
ed i trasporti più efficienti, ma anche la scuola, le università, i centri di ricerca, lievito fondamentale per il sostegno di un sistema imprenditoriale; le banche devono saper
riconoscere il merito creditizio delle aziende adeguatamente strutturate e tecnologicamente avanzate.
Da parte loro, le imprese - sia manifatturiere che dei servizi - devono quindi qualificare sempre di più il loro operato. Non si tratta solo di un problema dimensionale, ma
soprattutto di un problema di cultura (indipendentemente dal manicheismo politico
di questi giorni, basti pensare al referendum in atto sull’articolo 18 dello statuto dei
lavoratori che ci indica come la politica sia ancora aliena dalla realtà in cui ci dobbiamo confrontare).
Non è la dimensione - anche se argomento fondamentale per certi processi produttivi, soprattutto di fronte alle sfide della globalizzazione - a qualificare l’azienda, ma la
capacità dell’imprenditore, ovvero le sue strategie di produzione di beni e servizi, la sua
conoscenza dei mercati, il valore aggiunto che può imprimere alla sua attività e l’equilibrio che pone tra mezzi propri e indebitamento.
Premesso quanto sopra, ora quindi le piccole e medie imprese si ritrovano ad una sfida
immane; non che debbano confrontarsi con il gigantismo delle imprese a capitale diffuso, ma affrontare lo sviluppo da un’impresa di tipo famigliare chiusa ad un’impresa
166
Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
di tipo famigliare aperta al mercato dei capitali, per conseguire quel minimo di autonomia che consenta di affrontare la concorrenza e la disponibilità delle Banche a erogare credito. Questo tipo di evoluzione dovrebbe essere incentivata da politiche economiche e fiscali che spingano le imprese a capitalizzarsi.
Se facciamo riferimento ai parametri internazionali, allora ad un forte tessuto di piccole imprese sparso sul territorio nazionale fa generalmente fronte una scarsa cultura
economica e finanziaria, con conseguente probabile difficoltà di finanziamento a causa
della carenza o della scarsa capacità di adeguate informazioni che consentano alle banche di svolgere un corretto scrutinio del merito di credito.
La natura locale permette alle Casse di Risparmio di godere di un vantaggio competitivo nei rapporti con le piccole e medie imprese e di beneficiare della cura che, in
ambito locale, gli operatori dedicano alla propria reputazione. L’esistenza di un tessuto di banche locali ha consentito di indirizzare il risparmio verso iniziative in grado di
determinare profonde innovazioni nelle strutture produttive esistenti. Tale collocazione dà per converso una maggiore responsabilità alle Casse di Risparmio sul loro territorio di riferimento.
***
Casse di Risparmio-Imprese: i vantaggi di un rapporto diretto sul territorio
È un fatto consolidato che le Casse di Risparmio hanno svolto e continuano a svolgere un’attività di promozione della cultura finanziaria dell’imprenditore, facendogli
comprendere l’importanza di alcuni strumenti gestionali e prospettici più adeguati e
moderni (analisi dei flussi di cassa e dei fabbisogni finanziari, controllo di gestione,
certificazioni di qualità) e collaborando direttamente anche alla predisposizione materiale di piani economico-finanziari prospettici e di ogni altro documento a corredo di
richieste per nuove iniziative imprenditoriali.
Inoltre la banca locale opera in un territorio caratterizzato il più delle volte da attività
monoproduttive (come nel caso dei distretti) dove la perfetta conoscenza della filiera
e dei ruoli che ogni componente assume, permette alla banca stessa il controllo e, conseguentemente, la valutazione dei flussi e del rischio.
Infine, rispetto alla tradizionale attività di finanziamento, l’evoluzione della nostra
realtà bancaria ha consentito di maturare un’offerta di servizi avanzati di consulenza e
finanza aziendale, con elementi di specificità nella valutazione del rischio e del rendimento dei progetti aziendali, nelle modalità di intervento sulla gestione dell’impresa e
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Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
nel controllo dell’operato dell’imprenditore.
D’altro canto il finanziamento bancario può essere favorito dalla possibilità di instaurare una stabile relazione di tipo fiduciario che permetta all’intermediario di valutare
al meglio la solidità dell’azienda, i suoi progetti di investimento, le sue strategie operative e di assicurare un sostegno finanziario anche in fasi di rallentamento dell’attività produttiva.
A questo proposito vale la pena sottolineare il ruolo di sostegno delle Casse di Risparmio: c’è consapevolezza che le realtà locali sono fortemente caratterizzate da un elevato numero di aziende con una forte sottocapitalizzazione; ma la banca locale - proprio
per il carattere di relazionalità che la distingue - è in grado di arricchire le proprie analisi con notizie “dirette” e, conseguentemente, non limita le proprie valutazioni del
merito del credito all’analisi finanziaria del bilancio o alla consistenza dei beni a garanzia, ma allarga le sue considerazioni alla valutazione di un progetto aziendale e alla
conoscenza e alla fiducia acquisita il più delle volte da rapporti pluri-generazionali.
Resta però il fatto che le banche non possono sopperire ai limiti di evoluzione della
cultura aziendale di cui soffre buona parte del comparto delle PMI.
***
Il credito alle PMI
Il rapporto banca-impresa si innesta quindi su un impianto culturale tipicamente calato nel contesto italiano, vuoi per il ruolo storicamente svolto dalle banche, vuoi per
l’azione a volte dirigista dello Stato, vuoi per la natura tipicamente frammentaria del
sistema produttivo italiano.
Come risponde oggi il sistema bancario alle richieste delle PMI, da sempre motore
economico del Paese?
I dati parlano chiari: ben il 50% dei finanziamenti al sistema produttivo va proprio
alle piccole e medie imprese.
E non potrebbe essere altrimenti in un Paese in cui le imprese con meno di 10 dipendenti rappresentano oltre il 40% sul totale degli occupati, contro il 21% della Germania e il 22% della Francia.
È lecito quindi affermare che dal sistema bancario italiano non è mai venuto meno il
pieno sostegno all’economia delle imprese; in particolare non si è mai chiuso il rubinetto del credito.
Se confrontiamo la nostra realtà con quella di altri paesi europei, i debiti bancari sul
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Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
totale dei debiti delle PMI raggiungono in Italia il 66,4% contro il 57% della Germania, il 48,8% della Francia e il 46% del Belgio. Il rapporto tra impieghi e depositi
è del 101,8% rispetto al 82,8% della media europea (Rapporto di Zadra, convegno
“Piccola impresa grande civiltà - Strategie regionali ed europee per lo sviluppo delle PMI”,
Siena, 9 maggio 2003).
Nello specifico, i finanziamenti bancari in rapporto al totale del passivo delle PMI è
di circa il 23% contro il 12,5% della Francia, di fronte ad una situazione nazionale in
cui nelle piccole imprese il rapporto tra fondi propri e totale passivo è di 25,3%, contro il 37,8% della Spagna e 38,3% della Francia.
È evidente la scarsa capacità di auto-finanziamento da parte delle PMI italiane, la bassa
patrimonializzazione, la dimensione micro-aziendale a livello di occupati ma soprattutto l’istituzionalizzazione del ricorso al sostegno bancario.
Questo non fa che rafforzare la convinzione già espressa: se è vero che le PMI scontano in alcuni casi condizioni meno favorevoli di accesso al credito rispetto ad aziende
di dimensioni maggiori, dobbiamo però ricordare che anche questa circostanza deriva
dalla difficoltà di eseguire una precisa valutazione della loro solidità economico-finanziaria e dal riscontrato tasso di insolvenza nella rispettiva area dimensionale.
Trovo quindi più che opportuna l’offerta di servizi alle PMI volte al miglioramento
delle loro tecniche gestionali per una più attenta pianificazione finanziaria e per una
più puntuale e trasparente rappresentazione della situazione finanziaria: i benefici
ricadono direttamente sull’azienda, con il duplice effetto di ridurne la rischiosità
intrinseca e consentire una più attenta valutazione del merito e della qualità del credito da parte delle banche, per assicurare che le PMI a più elevata affidabilità possano
ottenere le medesime condizioni delle grandi imprese.
Tutto quanto fin qui detto assume un significato particolare alla luce dei nuovi orientamenti del Comitato di Basilea 2.
***
Basilea 2
Nelle ultime settimane abbiamo assistito a timori di penalizzazione del sistema economico-produttivo italiano sollevati in special modo dal Ministro dell’Economia,
preoccupato soprattutto per il settore delle PMI. Tuttavia non possiamo non tenere
conto del fatto che i nuovi ordinamenti, che peraltro sono ancora in fase di completamento e forse di ridefinizione, potranno apportare anche numerosi vantaggi alle
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PMI, sia per quanto concerne i costi di approvvigionamento finanziario, sia per quanto potranno contribuire a creare - come dicevo poco prima - una nuova cultura aziendale e superare così la dimensione, spesso originaria, della famiglia imprenditoriale.
Avviandomi a concludere, alla luce di quanto detto fin qui sul rapporto tra Casse di
Risparmio e Imprese, non posso esimermi dal soffermarmi sugli effetti che produrrà il
nuovo Accordo sul capitale proposto dal Comitato di Basilea.
Sentiamo ogni giorno, da parte soprattutto delle piccole imprese, crescere una certa
preoccupazione verso i nuovi criteri di accesso al credito derivanti dall’Accordo che,
come tutti sapete, ha sostenuto numerose verifiche ed aggiornamenti e dovrebbe giungere al varo definitivo entro l’anno in corso.
Nel documento diffuso dal Comitato di Basilea nel gennaio 2001 venivano proposti
requisiti patrimoniali rapidamente crescenti in funzione del grado di rischio senza
distinzione alcuna tra le imprese.
Questo penalizzava aziende con rischiosità elevata, come le società di minori dimensioni che tendono a collocarsi nelle classi di rischio medio-alto: ai prestiti ad esse destinati sarebbero stati associati requisiti patrimoniali relativamente elevati, con possibili
ripercussioni sul volume e sulle condizioni dei finanziamenti.
Successivi approfondimenti hanno mostrato che le grandi imprese sono in effetti
mediamente meno rischiose delle piccole, ma presentano risultati economici più correlati tra loro e con l’andamento economico, risentendo in maniera esponenziale delle
crisi cicliche e durature.
Le aziende minori, al contrario, tendono ad entrare in crisi in prevalenza per specifici
fattori aziendali; ne deriva che, a parità di probabilità di insolvenza dei singoli debitori, un portafoglio di crediti alle piccole imprese è meno rischioso di uno relativo alle
grandi aziende. Nel luglio 2002, sulla base di queste considerazioni, anche per il forte
impegno della Banca d’Italia, è stata attenuata la relazione tra rischio del singolo prenditore di credito e requisito patrimoniale.
Oggi il lavoro del Comitato di Basilea 2 ha proprio l’obiettivo di aggiornare regole che
facevano riferimento ad una realtà economica e finanziaria sensibilmente diversa dall’attuale.
Ritengo che quanto emerso fino ad oggi, anche nella dialettica fra istituzioni finanziarie e politiche, possa costituire un incentivo nell’affrontare in maniera efficace le sfide
che l’apertura all’Europa comporta, sia per il mondo imprenditoriale che per quello
bancario. In tal senso potranno costruirsi utili collaborazioni anche con altri soggetti:
le associazioni di categoria (nazionali ed europee) e i consorzi fidi possono giocare un
ruolo da protagonisti nel sostegno alle imprese, contribuendo a fornire, sviluppare ed
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integrare un insieme di garanzie tipicamente richieste dal sistema finanziario, abbassando in questo modo gli assorbimenti patrimoniali delle banche e, quindi, il costo
del credito.
Il Governo potrebbe a sua volta contribuire ad innovare il mercato finanziario aiutando la PMI a esplorare nuovi strumenti e sviluppare il dialogo tra banche e imprese.
Banche, Stato e Impresa sono infatti tre figure distinte ma non alternative, piuttosto
complementari, ognuna delle quali deve essere consapevole del proprio sostegno allo
sviluppo economico del Paese.
Nella dinamica del rapporto tra Banche, Stato e Imprese si inseriscono quindi nuove
sfide, qualche timore, ma anche, è bene ribadirlo, nuove importanti opportunità.
L’argomento è di stringente attualità per l’intero sistema economico italiano. Le stesse banche hanno nutrito timori per l’eccessiva capitalizzazione richiesta a fronte di un
tessuto economico costituito da microimprese, e altrettanti erano i timori per le
imprese che dall’applicazione del nuovo accordo scaturissero nuove e più grandi difficoltà nell’accesso al credito.
A questo proposito, mi permetto di sottolineare alcuni segnali positivi che è possibile
cogliere su questo argomento.
In una analisi presentata recentemente in un convegno pubblico dal Direttore Generale dell’ABI (Rapporto di Zadra, convegno “Piccola impresa grande civiltà - Strategie
regionali ed europee per lo sviluppo delle PMI”, Siena, 9 maggio 2003), sono stati valutati gli impatti patrimoniali che la nuova disciplina potrebbe generare sulle banche,
con riferimento a metodi di calcolo anche articolati.
Facendo riferimento ai risultati presentati, si deve evidenziare come i timori per l’eccessiva capitalizzazione richiesta alle banche siano di fatto esagerati.
In effetti, già con l’applicazione del metodo standard del nuovo accordo le banche
europee a carattere nazionale mantengono mediamente un capitale allineato sui valori attuali, mentre passando ai metodi di calcolo più complessi il requisito patrimoniale tende addirittura a ridursi.
Sempre per le banche europee a carattere nazionale, l’applicazione del metodo intermedio comporta mediamente un risparmio quantificabile attorno al 20% rispetto ai
requisiti attuali.
Per le Casse di Risparmio, fortemente radicate sul territorio, i segnali appaiono
comunque sempre positivi: in effetti i maggiori risparmi in termini di requisiti patrimoniali sono da imputare ai portafogli cosiddetti “retail”, formati da Privati e Piccole
e Medie Imprese che tradizionalmente rappresentano il cuore della clientela delle
Casse di Risparmio. Si stima una diminuzione del 7% con l’applicazione del metodo
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standard e del 18% con il metodo intermedio.
Da queste indicazioni mi pare di poter ribadire quanto da me affermato anche in precedenti incontri circa i buoni risultati ottenuti dall’organo di vigilanza nel rappresentare nell’ambito di Basilea le istanze della realtà bancaria ed economica italiana.
Le motivazioni che consentiranno alle banche di godere di maggiori benefici sono fondamentalmente legate al rapporto che esse hanno con le imprese ed al tipo di imprese che andranno a finanziare.
I maggiori benefici dovranno essere inevitabilmente ricercati nel finanziamento degli
imprenditori che sapranno scegliere le strategie finanziarie migliori, che porranno
attenzione alla gestione del circolante e che soprattutto saranno ben focalizzati sull’importanza dei mezzi propri invertendo quella tendenza tipicamente italiana di avere
imprese fortemente sottocapitalizzate.
A fronte di questo le banche dovranno quindi proporre alle aziende azioni per mantenere la rischiosità sotto stretto controllo e strumenti di finanziamento sempre più
adeguati alle diverse necessità delle aziende.
Il rapporto banca impresa dovrà quindi stabilizzarsi, ed essere improntato ad una fiducia reciproca: se da un lato le imprese dovranno perseguire politiche di creazione e di
incremento del valore, le banche dovranno puntare su un’attività che sia non solo passiva e di semplice erogazione del credito, ma attiva e propositiva fino a proporre servizi adeguati ad ogni esigenza aziendale purché questa segua la logica di impresa.
Se il sistema economico saprà evolvere verso questo nuovo rapporto di collaborazione
si apriranno vantaggi significativi: per le imprese sarà possibile accedere al credito a
condizioni migliori; per le banche diminuiranno i requisiti patrimoniali specifici e
quindi si allargheranno le opportunità di business.
Sono convinto che Basilea 2 possa rappresentare una straordinaria opportunità per
spingere le aziende italiane ad una maggior patrimonializzazione, perché i criteri di
assegnazione del credito potranno contribuire a far maturare la cultura finanziaria
delle imprese, soprattutto nel dar vita a strumenti finanziari come l’apertura del capitale a nuovi soci, e a ritrovare nuove tipologie di intervento del sistema bancario,
aprendo nuove e interessanti opportunità per i partecipanti al mercato.
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***
Conclusioni
Il tempo disponibile non era molto - a volo d’uccello ho tracciato alcuni aspetti del
ruolo che le Casse di Risparmio possono svolgere specialmente nella economia locale,
nel sostegno alle piccole e medie imprese.
Desidero chiudere con una considerazione ed una citazione:
- la considerazione è che il Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio con le sue
conclusioni finali il 31 Maggio 2003 ci ha proposto una summa non solo di riflessioni economiche, ma di spinta a valori etici che possono fare di un popolo i cittadini di uno Stato moderno.
- La citazione è tratta dalle sue riflessioni sul ruolo degli imprenditori e delle banche
ivi tratteggiato: “La sfida che si pone agli imprenditori italiani è quella di ricercare, anche attraverso aggregazioni, dimensioni produttive che consentano più alta
efficienza, maggiore impegno nella ricerca, innovazioni in grado di ampliare la
gamma e di innalzare il livello qualitativo dei beni offerti.
Nel nuovo assetto dimensionale e organizzativo le banche, in stretta complementarietà con il mercato dei capitali, devono ora volgersi con più decisione a contribuire
all’ammodernamento della nostra economia, mettere il loro patrimonio informativo a
disposizione delle imprese, assisterle nei progetti di aggregazione e nella ricerca di
forme di finanziamento più evolute.
Soprattutto nell’attuale difficile contesto economico l’efficiente allocazione del credito ha un alto valore sociale; è essenziale per la difesa del risparmio, per sostenere gli
imprenditori che avvertono la spinta a innovare; per contribuire, attraverso il finanziamento dei migliori progetti di investimento, alla crescita dell’economia”.
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Antonio Patuelli,
Presidente della Cassa di Risparmio di Ravenna SpA
Le banche, di qualsiasi dimensione, origine e natura ( grandi gruppi, banche popolari, banche di credito cooperativo, società per azioni “storiche” e Casse Spa autonome),
sono accomunate innanzitutto nel legittimo interesse a competere nel mercato aperto
con le regole dell’Unione Europea e della moneta unica, senza privilegi o discriminazioni, nel convergente interesse all’efficienza ed alla produttività. Le banche sono fortemente interessate a vedere garantiti uguali punti di partenza nella competizione del
mercato.
In questo quadro sono, invece, penalizzanti l’incertezza del diritto ed i tentativi legislativi di condizionare la composizione, la forma e la natura societaria delle banche.
Infatti, dopo la piena applicazione della legge Ciampi e dopo la grande riorganizzazione del sistema bancario italiano si è concluso il processo di privatizzazione delle
banche italiane che erano state in larga parte nazionalizzate nel ventennio fascista.
Questo processo si è completato in maniera irreversibile e contestuale alla nascita della
Banca Centrale Europea e dell’Euro con tutto ciò che ne è conseguito. Pertanto ora le
banche italiane vivono una nuova fase della loro storia, totalmente inserite e protagoniste nel mercato e nelle regole europee e si deve ritenere completata la fase storica di
intervento legislativo sulla natura delle banche.
In proposito riteniamo convintamente che i trattati europei vigenti prima ancora della
nascente Costituzione europea e la sempre vigente Costituzione della nostra Repubblica garantiscono appieno l’autonomia, la libertà e la responsabilità di banche sempre
più europee. Tutto ciò deve essere rispettato anche dal legislatore italiano che non deve
ora più interferire in scelte societarie che spettano unicamente agli organi delle banche, innanzitutto al loro libero azionariato, sotto la Vigilanza delle Autorità autonome
di garanzia, innanzitutto della Banca d’Italia.
Insomma, sono soltanto gli azionisti delle Banche, che sono imprese e non più enti o
istituzioni, che debbono sviluppare le proprie strategie e misurarsi sul mercato e possono decidere, sotto la loro responsabilità imprenditoriale, le eventuali trasformazioni
societarie previste dal Testo Unico, senza costrizioni o condizionamenti politici e legislativi di alcun livello istituzionale.
Questa profonda libertà e responsabilità di scelta è strettamente connessa alla natura
privata delle banche e dei loro azionisti, nelle varie forme individuali, societarie o di
investitori istituzionali fra i quali vanno contemplate pure le Fondazioni di origine
bancaria che hanno anche in larghissima parte dismesso il controllo sulle rispettive
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banche e che comunque sono sempre soggetti privati, nati e cresciuti con fondi esclusivamente non pubblici e comunque privatizzate dalla legge Ciampi.
Pertanto non rivendichiamo soltanto la responsabilità e la libertà di scelta di tutti gli
azionisti delle banche, ma in particolare riteniamo che un filo comune di principio
oggi più che mai colleghi l’impegno per l’autodeterminazione responsabile dei propri
destini di ciascuna banca, sia essa una Cassa spa autonoma, un grande gruppo, una
banca popolare, una società per azioni storica o una banca di credito cooperativo.
Inoltre sollecitiamo uguali norme europee, che garantiscano uguaglianza nei punti di
partenza nella competitività, in particolare sul fisco, sull’OPA e su tutte quelle regole
che debbono essere uniformate in un mercato unico con moneta unica.
Anche nel nostro linguaggio dobbiamo essere attenti: non si può, infatti, più parlare
di enti conferenti e di conferitarie. Il tempo dei conferimenti è passato e concluso da
un pezzo: le Fondazioni non sono più ormai gli Enti conferenti, ma investitori istituzionali come tanti altri, e le banche conferitarie sono società come tante altre che possono avere o meno nel loro azionariato anche quote di Fondazioni, così come talune
Fondazioni sono azioniste di banche spa storiche che non sono mai state società conferitarie.
Insomma, parafrasando Kant, che sosteneva che ognuno deve essere felice a modo suo,
possiamo dire che ognuno deve essere responsabile della propria azienda.
Tutti i cambiamenti che sono intervenuti non debbono far venir meno l’orgoglio per
la propria storia e natura, per il ruolo aggregante nella società che quotidianamente
viene svolto e che per le Casse ha ricevuto un significativo riconoscimento perfino nel
più recente libro di Ralf Dahrendorf sulla “libertà attiva”.
Bisogna pertanto che anche in Italia non sussista per le banche di ogni tipo,natura e
storia l’incertezza del diritto innanzitutto a livello costituzionale.
L’art. 117 della Costituzione, innovato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3, fra le “materie natura di legislazione concorrente” fra lo Stato e le Regioni elenca
diverse questioni di rilievo per le banche (specifichiamo che “nella natura di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”). Fra le “materie di legislazione concorrente figurano anche: “Casse di Risparmio, Casse rurali,
aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere
regionale”.
L’incertezza del diritto appare evidente e foriera di equivoci e rischi. Infatti la Costituzione ora parla di “Casse di Risparmio”, ovvero di banche-enti che non esistono più
da un decennio. Oltretutto il Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia
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Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
ha realizzato per le banche un netto passo avanti abolendo la vecchia categoria delle
Casse di Risparmio che da anni sono società per azioni.
Anche la dizione “Casse Rurali” ricorda una definizione delle Banche di Credito
Cooperativo antecedente al Testo Unico del Credito. Non è nemmeno inequivoca la
definizione di “aziende di credito a carattere regionale” .Inoltre dove sono ormai gli
“enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale” visto il modello di “banca
universale” espresso dal Testo Unico bancario del 1993?
Più chiaro è il sempre vigente art. 47 della Costituzione che continua a disporre che
“la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”.
Si attendono pertanto dalla Corte Costituzionale e dal Parlamento decisioni inequivoche che superino le possibili incertezze ed evitino la tentazione di cercare di imporre per legge a qualsivoglia tipologia di banche, obblighi di organizzazione societaria
che non siano conseguenti ad esigenze di solidità, trasparenza e correttezza, sintomi di
sana e prudente gestione disposte autonomamente e con imparzialità dalla Vigilanza
della Banca d’Italia.
Oltretutto la sempre vigente Costituzione della Repubblica dispone che “L’iniziativa
privata è libera” (art. 41), mentre i vigenti trattati sui quali poggia l’Unione Europea
dispongono, fra l’altro, “il ravvicinamento delle legislazioni nella misura necessaria al
funzionamento del mercato comune”.
Insomma, compito delle istituzioni è quello di essere garanti del mercato, senza ingerirsi nelle scelte che nel mercato spettano soltanto alla libertà, alla responsabilità ed al
rischio degli azionisti, degli amministratori e dei dirigenti delle aziende di credito ai
quali (e non ad altri) spetta anche la competenza sulle tipologie e forme societarie e
sulla libera scelta di eventuali trasformazioni e passaggi da una ad altre forme aziendali.
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Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
Giuseppe De Rita,
Segretario Generale della Fondazione Censis
Sono stato invitato a questo congresso per fare una riflessione sulla disconnessione del
rapporto fra territorio, autonomia delle Fondazioni e autonomia delle Banche innescato dalla legge Amato e poi da quella Ciampi.
Questa tendenza alla separazione è stata giocata sotto il termine privatizzazione ed è
evidente che le Banche e le Casse di Risparmio sono state destinate ad allontanarsi lentamente dal territorio, dal proprio mercato, dalle proprie origini, dalle proprie radici
umane e culturali. Ci si è allontanati dall’idea di appartenenza a un grande gruppo
bancario che oltretutto non rispetta la dimensione federale delle singole banche, delle
singole Casse di Risparmio e riorganizza in termini di banche divisionali. Mi riferisco
per esempio a Unicredito dove il rapporto con le 7 Casse di Risparmio originarie, si
va illanguidendo, e dove ai Consigli di Amministrazione si sostituiscono i Comitati
Territoriali. È un caso estremo però sapete che, molto spesso, nelle banche che mantengono una struttura federale, cioè mantengono la proprietà delle banche locali,
molti meccanismi di proceduralizzazione dell’attività bancaria sono tali per cui non si
tratta di decisioni del Consiglio della banca locale.
Con il tempo, questa procedura provoca uno spegnimento della leadership e della
managerialità degli enti. Sono poche le banche che mantengono tenacemente la propria dimensione legata alla Fondazione, come Ravenna e Siena in cui il rapporto con
il territorio è ancora forte. La tendenza attuale è l’allontanamento progressivo della
banca dal rapporto con il territorio.
Io avrei preferito una logica di tipo federale nell’accorpamento delle banche piuttosto
che una logica di divisionalizzazione, però nei fatti oggi il sistema bancario originato
dalle vecchie Casse di Risparmio come comportamento bancario, come proprietà bancaria, come procedure bancarie si disconnette dal territorio e dal modo in cui viene
gestito.
Questo genera un ulteriore distacco con la Fondazione che invece sarebbe stato importante tenere. La logica delle Fondazioni mantiene ancora la legittimazione del fatto che
dovrebbero stare dentro il territorio, che sono espressione del capitale cresciuto negli
anni in quel territorio, e quindi hanno il diritto/dovere di gestire quel patrimonio.
La loro funzione è organizzare l’eredità di quel rapporto economia e territorio, banche
e territorio, flusso finanziario e territorio, piccola impresa e territorio, famiglia e territorio che è stato alla base della nostra storia.
Le Fondazioni non hanno avuto la possibilità di essere attente a questa connessione fra
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Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
economia territoriale e dimensione delle proprie responsabilità, poiché hanno dovuto
resistere all’attacco violento del governo alla loro autonomia, alla loro natura di ente
privato, alla loro accumulazione finanziaria, alla loro capacità di essere interpreti del
territorio. Hanno dovuto difendersi e quindi la voglia di far sviluppare il territorio si
è appannata, anche perché certe volte è risultato più facile pensare alla Fondazione
come a un qualcosa che distribuisce soldi a chi li chiede, e che quindi crea un certo
consenso nel sociale e un’alleanza nei confronti di un governo o di enti locali, che invece vorrebbero fare altrimenti.
Ma è evidente che una Fondazione che dà grants, che distribuisce cioè soldi, invece di
avere una propria politica di presenza sul territorio finisce con il venir assediata da
tutti: da persone o da enti assolutamente dignitosi, ma che in qualche modo sviano
quel rapporto fra Fondazioni ed economia del territorio.
Il punto fondamentale è restituire alla Fondazione un’attenzione a questo legame fra
economia locale, operatori locali e finanza locale, che arriva cioè nelle realtà locali.
Dico questo perché il sistema bancario e il sistema delle Fondazioni viene investito da
un nuovo modo di pensare il territorio e lo sviluppo locale.
Il Governatore della Banca d’Italia dice che come le banche hanno raggiunto alte
dimensioni aziendali, anche le imprese devono fare la stessa cosa. Ho letto un libro
sugli ultimi quarant’anni della storia del nostro Paese da cui risultava che l’unica cosa
che ha fatto crescere manager di buon livello e aziende di medio - grandi dimensioni
è stato un Istituto solo, l’IRI perché le medio - grandi imprese non si possono fare soltanto con un eventuale auto-finanziamento.
Il sistema bancario non può vivere una logica di sviluppo industriale in cui le medie
imprese non ci sono, ha bisogno di avere piuttosto qualcosa che non sarà più l’IRI, ma
degli IRI locali, o semi-privati, delle centrali di finanza aziendale senza le quali non
avrebbe senso parlare di aumento delle dimensioni d’azienda.
La costruzione di un sistema di banche di media o grande dimensione non si sarebbe
potuta realizzare se non ci fossero stati i soldi delle Fondazioni e la capacità di quest’ultime di metterli ovunque, in Unicredito, in Imi San Paolo, in Banca Intesa. Nell’industria non c’è questo polmone finanziario e non ci dobbiamo aspettare che lo faccia lo Stato.
Le Fondazioni e le banche locali hanno ancora la possibilità di fare, a livello delle singole realtà locali, operazioni di crescita delle dimensioni aziendali, provocando investimenti privati e garantendo un flusso di consulenze, di attività, di presenze e di quotidianità.
Il primo punto su cui riflettere è quindi la responsabilità delle Fondazioni di rioccu180
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Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
parsi dell’economia locale definendo così come hanno fatto per il sistema bancario, chi
può o non può crescere.
Le banche locali e non, in passato Casse di Risparmio, hanno bisogno della spinta
delle Fondazioni ma nella direzione di uno sviluppo locale basato sulla crescita dimensionale delle imprese e del territorio come ambizione e orgoglio politico; questo
mondo che voi rappresentate non è secondo a nessuno perché ha creato l’attuale sistema bancario e può aiutare a fare il nuovo sistema di imprese.
Il secondo elemento da considerare è il territorio, in cui una volta c’era la connessione famiglia-piccola impresa, mentre ora non c’è più: la famiglia si tiene i soldi per
conto proprio e l’impresa rischia solo con i soldi delle banche. È per questo che va
ricostituito il rapporto fra l’impresa e il flusso bancario locale.
Ma oggi il territorio è inteso soltanto come piccola impresa oppure anche come sistema di organizzazione economica? I nostri sistemi territoriali stanno andando indietro
a livello di competizione, il nord-est non ce la fa senza un assetto infrastrutturale,
senza un sistema di fiere, di autoporti e porti degni di questo nome.
Il mantenimento del rapporto con le economie locali si deve fare attraverso le autonomie funzionali del territorio, che creano competizione nel sistema locale. Questo
vorrebbe dire avere una politica della logistica, dell’innovazione della formazione, una
politica commerciale delle fiere e una politica anche di infrastrutture medie,
medio/piccole e medio/grandi.
È questa l’ambizione e l’orgoglio del sistema fondazionale e delle banche locali che in
questo modo hanno la possibilità di scegliere se sposare la crescita del sistema di
imprese oppure la crescita dei territori. Bisogna aumentare la capacità di fare sistemi
di imprese e creare una competizione di territorio. E allora vedete come quella disconnessione che ho detto prima fra territorio e banche, fra fondazioni e territorio, fra
flussi bancari e comportamenti bancari e territorio, fra flussi bancari e comportamenti di imprese locali, può essere ripresa, non però seguendo i vecchi criteri del localismo, il rapporto con la piccola impresa, con la famiglia e la vita quotidiana.
Questo tipo di mercato va al credito cooperativo che in questo momento sta sostituendo la funzione che una volta era delle Casse di Risparmio.
Il sistema delle Casse e delle Fondazioni ha un ruolo più alto nel fare localismo: lo dico
io che tutti sanno essere il profeta del localismo dal 1969 in poi. Bisogna saper fare
crescita del sistema di imprese sul territorio, crescita delle autonomie funzionali che
rendono un territorio competitivo.
Questo è il nuovo modo di riconnettere la nostra storia, visto che la vecchia connessione è finita; queste sono le nuove connessioni per fare nuovo sistema di imprese e
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Sessione dedicata alle Casse di Risparmio SpA
sostenere la competizione del territorio in cui siete dentro. È importante che tutto
questo mondo si senta non soltanto erede di un passato localistico che è finito, ma che
ci metta tutto l’impegno, la responsabilità di fare insieme sviluppo del sistema di
imprese e della competitività territoriale.
CONGRESSO NAZIONALE
FONDAZIONI BANCARIE
DELLE CASSE DI RISPARMIO
DELLE
E
DIBATTITO E INTERVENTI
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Dibattito e interventi
Tancredi Bianchi,
Presidente Associazione Banche Private
Signor Presidente, Signori Congressisti, Signore, Signori,
sono molto grato all’amico avv. Guzzetti per l’invito a partecipare a questo importante congresso nazionale. Da qualche anno la collaborazione tra l’ACRI e l’Associazione
delle Banche Private, che ho l’onore di presiedere pro tempore, si è fatta più stretta,
suggerita dall’evoluzione del sistema creditizio italiano e dalle nuove forme di azione
degli intermediari creditizi.
Il cambiamento strutturale e funzionale del sistema bancario, come ci ha ricordato l’amico prof. De Rita, si è concretato negli ultimi tre lustri e soprattutto nel corso dell’ultimo decennio dello scorso secolo. Esso si è reso necessario sia per consentire l’efficace partecipazione dell’economia italiana al processo di formazione dell’Unione Economica e Monetaria europea, sia per la progressiva e irreversibile integrazione dei mercati monetari e finanziari su piano planetario.
Il nuovo contesto economico mondiale, così come i mutamenti intervenuti nel quadro politico internazionale, non sono eventi determinati da scelte, dalle più alle meno
illuminate, di poteri forti: sono il risultato del sentimento al proposito dei popoli,
desiderosi di volgere verso la globalizzazione economica nel convincimento che possa
essere fonte di sviluppo e di benessere oltre che di più pacifiche e ordinate relazioni tra
gli Stati. Si tratta di condizioni che possono essere efficace premessa per nuove unioni tra nazioni e per un altro sistema monetario mondiale.
Il prof. De Rita ha espresso il timore che tali situazioni nuove concorrano a disconnettere le banche di minori dimensioni, per consuetudine qualificate anche come banche locali, dal territorio di tradizionale insediamento. Dovrei dire che se dovessimo
progressivamente osservare tale condizione, assisteremmo a mutamenti profondi di
tali intermediari, con ripercussioni sulle connessioni operative con altri intermediari e,
assai probabile, con effetti sugli assetti proprietari.
Per immaginare gli scenari futuri, occorre cogliere i nuovi trends di occorrenze della
clientela delle banche di cui si tratta, in questa sede rappresentate dalle Casse di
Risparmio spa, non soggette a gruppi creditizi, e dalle banche che l’amico Patuelli qualifica come “banche società per azioni storiche”, ossia le ex aziende ordinarie di credito, come definite e disciplinate dalla legge bancaria del 1936.
Le due spinte più significative, per quanto attiene alle esigenze della clientela, sono, a
mio parere, innanzi tutto, lo sviluppo degli scambi di beni e di servizi delle imprese
insediate nell’area geografica di ogni banca minore con imprese di altre zone, sempre
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Congresso Nazionale
Dibattito e interventi
più lontane. In altre parole, il progressivo aumento di incidenza degli scambi interprovinciali, interregionali, internazionali, intercontinentali, rispetto a quelli intercomunali. Un effetto, questo, dell’integrazione dei mercati e della globalizzazione economica. Credo, tuttavia, che tali nuove e diverse situazioni possano concretarsi nella
graduale migrazione, sovente in forma di condivisione, di una quota della clientela
imprese verso altri intermediari di maggiori dimensioni, ma non tradursi nella temuta dis-connessione rispetto al territorio tradizionale. Salvo che le esigenze organizzative, produttive, di crescita delle imprese clienti non inducano queste stesse a dis-connettersi dal territorio.
Vorrei tuttavia, in questa sede, fermare l’attenzione maggiormente sulla seconda spinta, in grado di modificare le strutture e le funzioni delle banche minori: come si possa
tutelare, gestendolo, il risparmio monetario della clientela. Un insieme di risorse che
si inquadrano in nuove, diverse, modificate strutture dei portafogli di attività finanziarie delle famiglie e degli investitori. Con il progressivo declino di incidenza, nei portafogli di cui si tratta, delle attività finanziarie costituite da debiti diretti di intermediari creditizi e un continuo aumento del peso delle securities, denominate in più
monete, emesse da enti pubblici e privati, sedenti in vari Stati e aree geografiche.
Le banche di ogni categoria e dimensione sono impegnate a non rifiutare la domanda
di gestione savia, e dunque anche di tutela, del risparmio monetario della clientela e
della comunità locale. E ciò o nella forma di obbligazione di risultato, o nell’altra di
obbligazione di mezzi, ossia di messa a disposizione del cliente della propria organizzazione professionale, delle proprie conoscenze, del proprio impegno etico nel consigliare e nell’operare su mandato.
Si potrebbe osservare la profonda difformità di orizzonte spaziale, insita nella domanda di gestione del risparmio mobiliare rispetto ai depositi.
Conviene riandare con la memoria alla situazione in essere fino alla fine degli anni settanta dello scorso secolo, allorché i depositi bancari rappresentavano circa tre quarti
del portafoglio di attività finanziarie delle famiglie. Il rapporto con la banca era di
concessione alla stessa di una totale e completa discrezionalità di scelte, con il solo vincolo del rispetto delle norme di disciplina dell’attività creditizia nella gestione dei
depositi, contro impegno di rimborso della sorte capitale dei mezzi conferiti e del
pagamento di un plus a titolo di interesse, nella proporzione contrattuale convenuta.
Il rapporto negoziale, dunque, era di un’obbligazione di risultato, in misura predefinita.
Tale condizione, nel secolo diciannovesimo e per buona parte del secolo ventesimo, fu
rispettata dalle Casse di Risparmio collocando i depositi raccolti in operazioni attive,
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Congresso Nazionale
Dibattito e interventi
anche di lungo termine, di assai probabile buon fine, come i mutui immobiliari, i prestiti ad enti pubblici locali, l’acquisto di obbligazioni pubbliche.
La prudente gestione dell’attivo distinse le Casse, e anche altre categorie di banche
locali, pure nella seconda metà del secolo ventesimo, allorché i prestiti alle imprese
divennero sempre più rilevanti, come peso, nella composizione dei fondi collocati in
attività fruttifere.
Nelle ultime due decadi del secolo ventesimo crebbero di importanza, non di meno,
gli acquisti di obbligazioni pubbliche e private e di valori azionari da parte delle famiglie e di altri investitori; si concretò un radicale cambiamento nella composizione dei
portafogli di attività finanziarie, con proporzione crescente dei valori mobiliari e in
diminuzione dei depositi. Si affermò, anche in Italia, una domanda di gestioni patrimoniali mobiliari, per altro non con una richiesta agli intermediari di un’obbligazione di risultato, essendo la clientela appagata dalla sensazione che le banche, da sempre
gestori di un proprio portafoglio di securities, per altro quasi unicamente di emittenti
nazionali, possedessero l’esperienza e la professionalità, nonché le conoscenze, per
offrire efficaci gestioni patrimoniali mobiliari per conto, assumendo un’obbligazione
di mezzi.
Le banche dichiararono la propria capacità professionale e si proposero come ‘mandatarie’ in un rapporto di gestione per conto. Forse, sottovalutarono, in parecchi casi, che
l’integrazione dei mercati monetari e finanziari progrediva con rapidità e diveniva irreversibile e che la propensione dei risparmiatori verso portafogli di titoli molto articolati, comprendenti valori di varia specie e denominati in più monete, richiedeva capacità e abilità professionali nuove, non sempre presenti. L’imitazione di esperienze estere non tenne in debita considerazione che anche colà l’asset management era soprattutto riservato a grandi banche di investimento e d’affari, con tradizionale esperienza
nel merchant banking, e che tali intermediari operavano da sempre in un contesto di
un’economia molto robusta e internazionale.
Sta di fatto che le gestioni patrimoniali mobiliari volsero, da per tutto e non solo in
Italia - in parallelo con l’aumento, il diffondersi e il frazionarsi della domanda di tale
servizio - a divenire gestioni di secondo grado, nelle quali la scelta divenne tra quote
di fondi comuni da immettere nei portafogli della clientela, reputando che i gestori di
tali enti possiedano “informazioni e conoscenze specialistiche” per gestire al meglio,
quanto a professionalità e previsione delle tendenze di mercato, molteplici categorie di
valori mobiliari, distinte per altrettante classi di emittenti, operanti con riferimento ad
aree geografiche specifiche.
Il diffondersi, anche impetuoso, delle gestioni patrimoniali mobiliari per conto, nel187
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l’ultima decade del secolo scorso, non ha consentito di percepire appieno le limitazioni di flessibilità, che di necessità si collegavano con il rapporto di mandato di cui si
tratta: impossibilità di operare allo scoperto; proporzioni da rispettare tra liquidità e
mezzi collocati; tipo di frazionamento nell’asset allocation; e così via.
Per buona parte degli anni novanta del secolo ventesimo le borse volsero all’aumento
delle quotazioni azionarie, sulla spinta del mercato americano, e pure i corsi obbligazionari inclinarono a crescere, per la diminuita inflazione e per la connessa discesa dei
saggi di interesse e di rendimento. Le performances delle gestioni patrimoniali bancarie sembrarono diffusamente soddisfacenti, ancorché di rado eccellenti; i vincoli di
inelasticità, accresciuti dall’essere in prevalenza gestioni in fondi, non si manifestarono con evidenza.
La crisi dei mercati di borsa, a partire dal marzo del 2000, non ancora al momento
conclusa, ha fatto esplodere un diffuso, comune malcontento, con l’inizio di un contenzioso, che giudico gravido di pericoli, tra la clientela gestita, da un lato, e gli intermediari creditizi e finanziari, dall’altro lato.
Bisogna ammettere che le banche, nell’ansia di ottenere risultati economici in vantaggio del cliente, hanno finito, nell’ultimo triennio, con il proporre prodotti finanziari
sofisticati, poco comprensibili alla controparte, nella sostanza con forti contenuti speculativi. Inoltre, nella clientela si è manifestato un accorciamento di orizzonte: un
desiderio di valutare a breve termine le performances di tipi di gestione che esigono
invece una proiezione temporale più lunga.
Si è assistito all’offerta di gestioni con obbligazione di risultato minimo garantito
(capitale più un rendimento del 2 per cento annuo), e però con vincolo variabile da
quattro a dieci anni, così riconoscendo che un mandato di gestione dovrebbe essere a
tempo.
Varie categorie di rappresentanti dei consumatori e degli utenti bancari contestano alle
banche scarsa capacità professionale, conflitto di interessi nell’azione, modesto senso
etico di comportamento. È diffusa la critica di scarsa trasparenza operativa da parte
degli intermediari; la richiesta conseguente, che le quote di fondi in portafoglio dei
clienti siano “sviluppate” nella fotografia del portafoglio del fondo di cui si tratta, porterebbe non di rado a concludere per una scarsa razionalità di composizione diretta e
indiretta dell’allocation dei mezzi gestiti.
Sono maturi i tempi per modificare le relazioni tra banche e clienti, quanto alla gestione del risparmio; almeno a mio parere.
Innanzi tutto va chiarito il punto seguente: che cosa rappresentano i mezzi affidati in
gestione, per quantità e per qualità, nell’ambito del complessivo patrimonio del clien188
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te? Si tratta di fondi liquidi in eccesso, che si vogliono porre al più alto frutto possibile trafficando in valori mobiliari e perseguendo, soprattutto, differenze di corsi? ovvero si tratta di una quota di capitale del cliente con riferimento alla quale si ricerca
un’allocation in valori mobiliari, che con buona probabilità, nel medio termine, consenta un accrescimento di valore, oltre un flusso periodico di cedole?
Nella prima ipotesi, saremmo di fronte alla ricerca di un risultato differenziale che, nel
linguaggio corrente, si qualifica speculativo; un risultato, più propriamente, da “commerciante” in titoli! Le banche possono offrire al proposito un servizio di consulenza;
sembrerebbe meno ragionevole, a mio parere, argomentare in termini di gestione
patrimoniale per conto. Nella seconda ipotesi, la visione deve essere di medio/lungo
periodo, con scelte di composizione di portafoglio concretate in tale ottica temporale,
quindi con una movimentazione del portafoglio in genere limitata nel breve termine.
Le opzioni allocative debbono essere anche razionalmente coerenti con le caratteristiche dell’investimento del restante patrimonio. In tal caso, il riferimento a una gestione patrimoniale per conto appare corretto.
Verso quale dei due estremi è più prossimo un gestore di un fondo comune? Dovrei
dire: il più delle volte verso il primo. Di qui tutta una serie di miei dubbi personali
riguardo all’efficacia della tutela del risparmio nel caso di gestioni patrimoniali in
fondi (gpf ).
Le considerazioni precedenti, per altro, ci ricordano pure che l’efficacia delle vere e
proprie gestioni patrimoniali mobiliari deve poggiare sulla conoscenza della composizione e dei vincoli del restante patrimonio, oltre che dei successivi nuovi flussi di
risparmio che possono alimentarlo, modificando o no la struttura della complessiva
allocation.
Ed è a questi punti che, mi pare, possano emergere, in tutta importanza e rilievo, le
funzioni e i compiti delle banche locali nella tutela del risparmio affidato ad esse in
gestione.
Si tratta di sapere segmentare la clientela, mirando a quella, e spesso ciò non è malagevole per le banche locali, di cui si percepiscano, con sufficiente buona approssimazione: la consistenza patrimoniale; la composizione, per qualità e grandezza, degli attivi; le successive capacità di nuovo risparmio; il grado di rischio e di vincolo temporale, appropriato della quota di patrimonio da collocare in valori mobiliari.
L’auto-classificazione della clientela, al proposito del rischio/rendimento inerente al
portafoglio titoli affidato in gestione, è sovente errata, soprattutto se il cliente non
coglie le interrelazioni con il restante patrimonio, con i successivi flussi di reddito, con
la propensione al nuovo risparmio, collegato con il reddito prossimo venturo.
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Non vi è dubbio che il pensare di lucrare trafficando in valori mobiliari quotati rappresenti, per ogni risparmiatore e per tutti gli investitori, una tentazione molto forte.
Ma il gioco speculativo di borsa non è né può essere una... gestione patrimoniale! Il
cliente può desiderare di seguire tale via; gli si possono indicare: le curve, le difficoltà,
le possibili deviazioni e come comportarsi al meglio al proposito. Ma non si deve gestire il gioco speculativo altrui, se l’etica della professione suggerisce che il risparmio va
tutelato; ossia: conservato e accresciuto in un arco temporale non breve, con consapevole accertamento dei pericoli incombenti e delle occasioni possibili.
Concludo perciò esprimendo il profondo convincimento che le banche locali possano, nella materia discussa, svolgere, secondo forme e modi originali, compiti rilevanti e professionalmente appaganti con riferimento a quella fascia di clientela che è tipica per esse, non solo per tradizione ma anche nel contesto socio-economico in atto.
Camillo Venesio,
Presidente del Comitato Piccole Banche dell’ABI
Dedicherò questo mio breve intervento alle piccole banche e sosterrò le ragioni del
loro importante ruolo, oggi e nel futuro; il fatto è che rappresento la terza generazione di uomini di banca e sulle piccole e medio piccole banche penso di aver una certa
esperienza, diretta o trasmessami dalle generazioni che mi hanno preceduto e dagli
amici - alcuni dei quali posso sicuramente definire maestri - con i quali ho avuto la
fortuna di lavorare in tanti anni.
Questo, però, solo dopo aver ricordato come, naturalmente, io consideri di assoluta
importanza il ruolo dei grandi e medio-grandi gruppi bancari nazionali.
Desidero quindi subito sottolineare che - come cittadino e come uomo di banca - sono
profondamente orgoglioso di tutto quanto il sistema bancario italiano ha realizzato
negli ultimi quindici anni: i guadagni di efficienza e di efficacia operativa, le innovazioni di prodotto e di processo, di governo dei rischi, le innovazioni nelle relazioni
“industriali”, sono stati di una intensità tale in un tempo così breve che è difficile trovare riscontri in altri settori economici nazionali.
Sono nati alcuni grandi gruppi bancari che - anche se per dimensione assoluta non
sono ai primissimi posti in Europa - competono in alcuni casi per solidità, redditività, efficienza e dinamismo con i principali attori europei; e anche si sono formati alcuni forti e aggressivi gruppi di dimensione medio grande che confermano ulteriormente la vitalità del sistema. Tutto questo è accaduto con un importante, per non dire
determinante, contributo delle Fondazioni bancarie.
Ma oggi sono qui per rappresentare le ragioni dell’ancora importante ruolo delle piccole banche indipendenti ed è quello che ora intendo fare, con un breve sguardo sul
passato, soffermandomi su alcuni dei momenti della storia del nostro Paese in cui è
stato più acuto il dibattito su questi temi.
La questione è antica: non intendo tuttavia partire dalle compagnie fiorentine del
1300, i Bardi, i Peruzzi, gli Acciaiuoli, allora definiti le “colonne del commercio cristiano1”.
Mi limito a ricordare quando, poco più di 70 anni fa, mio nonno - giovane Amministratore Delegato di una piccolissima banca Torinese monosportello - scriveva nella
relazione al Bilancio al 31/12/1931: “La Banca a carattere ed azione locale è necessaria, l’opera che essa svolge ha finalità tali che solo essa è in grado di soddisfare, perché
1
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Raymond De Roover, Il Banco Medici dalle origini al declino (1397-1494), La Nuova Italia, Firenze, 1970, pag. 3
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la grande banca, anche volendo, non ha possibilità, né convenienza di servire tutta
quella minuta clientela alla quale noi volonterosamente offriamo i nostri servizi2”;
pochi mesi prima, nel luglio del 1930, Luigi Einaudi aveva scritto il famosissimo articolo, su la Riforma Sociale, “Ci sono troppe banche in Italia?” (allora c’erano 4079
banche) che concludeva: “Grosse e piccole banche sono (…) non valori incompatibili fra di loro ma piuttosto complementari3”.
Mi piace pensare che mio nonno abbia letto quell’articolo: erano anni di grandi cambiamenti nel nostro mestiere, anche di grandi disastri, nascevano e morivano centinaia
di banche ogni anno.
Trentasette anni dopo - siamo nel 1967 - un grande studioso (e non solo) di scienza
bancaria scriveva per la prima volta in modo approfondito degli aspetti strutturali del
sistema bancario nazionale, che non erano stati fino ad allora “oggetto di organiche
trattazioni nella letteratura economica e tecnica” e che invece assumevano a suo giudizio “crescente importanza nella dinamica dei sistemi bancari4”.
Mi riferisco a Giordano Dell’Amore - definito “ timoniere di intraprendenza e lucidità fuori dal comune5” - che guidò la Cariplo dal 1952 al 1979; egli nel suo volume “La
struttura delle Aziende di Credito” - un testo importante per la mia formazione professionale - al termine dei due capitoli nei quali approfonditamente analizzava le determinanti economiche e sociali della sopravvivenza delle piccole banche, osservava:
“…nel settore bancario il problema delle dimensioni aziendali non si esaurisce nella
ricerca della combinazione più economica dei fattori produttivi, né viene risolto sul
fondamento esclusivo di circostanze connesse alla redditività della gestione. Circostanze di natura sociale possono infatti intervenire volta a volta a favorire od a contrastare la tendenza all’espansione (…). Tali circostanze concorrono quindi a differenziare la struttura dei vari sistemi bancari ed a permettere, in uno stesso Paese, il contemporaneo esercizio di istituti aventi disparatissime dimensioni6”.
1930, 1967, si tratta di anni lontanissimi da oggi, ancor più nel nostro mestiere dove
moltissimo è cambiato: ma le discussioni c’erano ed erano vivaci, gli studiosi riflettevano e proponevano considerazioni, i mass-media - meno diffusi di oggi - erano forse
più portati all’approfondimento che a seguire le mode dominanti.
Veniamo ad anni più vicini a noi.
Banca Anonima di Credito, Relazione degli Amministratori, Bilancio 31/12/1931
Luigi Einaudi, Ci sono troppe banche in Italia?, Riforma Sociale, n. 7-8, luglio-agosto 1930
4
Giordano dell’Amore, La Struttura delle Aziende di Credito, Giuffrè, 1967, pag. XIII
5
Ada Ferrari, Giordano Dell’Amore, Rusconi, 1989, pag. 15
6
Giordano dell’Amore, La Struttura delle Aziende di Credito, Giuffrè, 1967, pag. 268
2
3
192
L’Assbank - l’Associazione che raggruppa quelle che allora si chiamavano Aziende
Ordinarie di Credito e che in sostanza erano le S.p.A. private - nel 1990 decise di effettuare una grande e approfondita ricerca in vista della sfida rappresentata dall’avvio del
Mercato Comune Bancario Europeo, il 1° gennaio del 1993. Nel dicembre del 1990
ci trovammo tutti - autorità bancarie, studiosi che avevano redatto la ricerca, uomini
di banca - a Sorrento a discutere dei risultati della ricerca che sarebbero poi confluiti
in diversi volumi dal titolo “Manuale per il 1993 e oltre, strutture sistemi e strategie
bancarie”.
Nel complesso i risultati non apparivano particolarmente confortanti per le piccole e
medio-piccole banche.
La situazione attesa vedeva: l’offerta dei servizi finanziari che stava assumendo nuove
caratteristiche in presenza di modificazioni della domanda e del quadro normativo
regolamentare; la prospettiva di ingresso nel mercato di concorrenti bancari esteri e di
espansione territoriale delle banche maggiori; l’ingresso di concorrenti non bancari in
alcuni segmenti di prodotto; i processi di concentrazione bancaria che avrebbero
accentuato il fenomeno del dualismo tra banche maggiori e banche minori, con effetto di isolamento di queste ultime.
Tutto questo portava gli autori a concludere: “…le argomentazioni precedenti asseverano l’ipotesi che le aziende di credito minori e locali siano esposte a un concreto rischio
competitivo di “sradicamento” del tessuto economico-finanziario di riferimento. Questa considerazione mette chiaramente in evidenza la debolezza - in quanto aggredibilità - delle dimensioni minori, che non consentono di combinare volumi di risorse sufficienti per mantenere un livello competitivo delle tecnologie di produzione, che richiedono una crescente intensità di capitale, e per sviluppare un portafoglio di prodotti
competitivo per qualità e varietà, il quale presuppone professionalità approfondite,
diversificate e specialistiche aggregate in modelli organizzativi più complessi7”.
Quel pomeriggio di dicembre una voce - forte - si levò a Sorrento per “esprimere qualche perplessità su alcuni suggerimenti e conclusioni” a cui era arrivato lo studio; la
voce era di una persona che allora - oltre che Amministratore Delegato della sua banca
- era Vice Presidente dell’Assbank, si tratta di una persona che negli anni ha poi fatto
una buona carriera nelle Associazioni Bancarie italiane ed europee: Maurizio Sella.
Le perplessità erano introdotte con delicatezza, quasi “in punta di piedi”, ma nelle 25
pagine del suo intervento si coglievano sovente grande passione e grande determinazione; per dare una idea cito una sola frase:” (è) come se a un soggetto si diagnosti7
Autori Vari, Manuale per il 1993 e oltre, Edibank, 1990, pag. 352
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casse che, in futuro, potrebbe essere afflitto da una patologia e, anziché avviare una
terapia preventiva, si procedesse immediatamente a consigliargli l’intervento chirurgico o, addirittura, a presagire la sua sepoltura8”.
Ebbene Sella, con una lucidità ed una visione del futuro impressionanti e individuando concetti ancor oggi straordinariamente attuali, contrapponeva ad una analisi prevalentemente teorica le azioni concrete che una piccola o media banca indipendente
avrebbe dovuto attivare per continuare a svilupparsi con successo in un mondo che
stava - ancora una volta - cambiando con grande velocità.
Mi ricordo bene che, ancora a sera tardi - ci trovavamo sull’ascensore per andare in
camera - Maurizio ed io continuavamo a discutere con il coordinatore della ricerca:
non riuscivamo a trovare - almeno in quel momento - una visione condivisa: per poter
andare a dormire ci siamo detti che ne avremmo riparlato dopo dieci anni.
Ora di anni ne sono passati quasi tredici, Sella, oltre che dell’ABI9 e della FBE10, è Presidente di un forte e dinamico gruppo bancario indipendente, io sono Amministratore Delegato di una piccola banca indipendente che se la cava abbastanza bene, insomma siamo ancora qui e quel che conta è anche che non siamo soli: numerose decine
tra Casse di Risparmio s.p.a., banche popolari, banche società per azioni “storiche”,
banche specializzate, oltre a circa 470 b.c.c., continuano a rappresentare vere e proprie
“banche delle comunità” per usare la bella definizione con la quale sono individuate
le migliaia di banche locali negli U.S.A.; nelle aree operative di riferimento le nostre
banche locali hanno in genere quote di mercato significative, soprattutto in termini di
numero di rapporti, perché di norma si tratta di rapporti di modesto ammontare.
Sono tutte banche che hanno superato anni di enormi cambiamenti: del quadro normativo di riferimento, dell’ambiente esterno e della concorrenza, dei prodotti, dei processi, delle relazioni con i dipendenti, e che continuano, con dinamismo e determinazione a lavorare e a svilupparsi insieme alle comunità di riferimento.
Sicuramente, anche le piccole e medio-piccole banche sono state coinvolte nel grande e
intenso processo di consolidamento del sistema bancario nazionale, molte sono scomparse, acquistate o incorporate in altri gruppi - in alcuni casi con qualche dispiacere delle
comunità locali - ma non è forse successa la stessa cosa anche a grandi banche?
Quali sono dunque le principali caratteristiche che le piccole e medio piccole banche
indipendenti hanno dovuto sviluppare - e dovranno affinare sempre più - per continuare a crescere con successo?
Da qualche tempo ho cercato di sintetizzare queste caratteristiche che ho già esposto
in diversi miei interventi pubblici: le ricordo anche oggi, ulteriormente elaborate, sottolineando che sono molto simili a quelle esposte da Sella nel 1990 e non ritengo che
la ragione della similitudine sia che le mie riflessioni sono antiquate: il discorso di Sella
era straordinariamente orientato al futuro.
È chiaro che i tradizionali punti di forza delle banche piccole e medio-piccole11 da soli
non sono più sufficienti per affermarsi sul mercato.
Sono ormai da tempo diventati fondamentali alcuni elementi propri di imprese
moderne e dinamiche: è necessario che vi sia un management capace, dotato di spirito imprenditoriale, che sia professionale e innovativo, ma anche prudente e che consideri di grande importanza la patrimonializzazione della banca, che sappia guidare e
formare adeguatamente i propri collaboratori, che sappia individuare le priorità strategiche; è anche importante che in banca vi siano cultura e valori - anche etici - condivisi, in sostanza il personale, a tutti i livelli, deve credere nella cultura aziendale ed
essere consapevole della sfida imprenditoriale della banca in cui lavora.
Vi devono essere capacità adeguate di gestione dei rischi e dei costi: i rischi sono quelli di credito, ma anche di mercato, operativi, di reputazione; così come i costi, devono essere gestiti con tecniche innovative e sofisticate, in continua evoluzione; infine la
rete di distribuzione della banca - il più possibile multicanale integrata - deve poter
disporre di una buona gamma di prodotti e processi commerciali adeguati.
Non è per niente facile, ma quali attività d’impresa in mercati competitivi può essere
giudicata facile? Ci sono comunque alcuni fattori - concretizzatisi in particolare negli
ultimi anni - che ci possono aiutare in modo determinante.
Il primo è la tecnologia, che consente oggi applicazioni inimmaginabili fino a qualche
anno fa, che implicano anche significativi miglioramenti dei processi produttivi, a
costi relativamente contenuti.
Il secondo fattore è la globalizzazione, che permette ad una piccola o media banca di
distribuire i migliori prodotti esistenti al mondo, nei più diversi settori dei servizi
finanziari e in questo caso la banca locale è totalmente autonoma e non condizionata
8
Maurizio Sella, Il futuro delle banche medio-piccole, Atti del Convegno “Una banca per l’Europa”, Sorrento 14-15 dicembre
1990, pag. 70
9
Associazione Bancaria Italiana
10
Federazione Bancaria Europea
11
194
Il legame stretto con la propria clientela, le relazioni personalizzate, la conoscenza approfondita del tessuto produttivo e dei singoli operatori, che derivano dal radicamento sul territorio e da relazioni di affari di lungo periodo, la rapidità nelle decisioni, il
personale in genere ben motivato; esse ragionano con un ottica di impresa, certamente, ma è un’ottica che non si traduce solo
nel profitto, è anche capacità di essere più vicina come mentalità e cultura al proprio territorio.
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nella scelta dei prodotti, essendo oltretutto in grado di arrivare all’estremo dettaglio,
al più piccolo cliente.
Il terzo fattore è l’outsourcing, che consente di far fare all’esterno - magari costituendo aziende specializzate, alleandosi con altre piccole banche o con imprese di altri settori - le attività che richiedono investimenti particolarmente rilevanti o quelle diverse
dal “core business”; e non mi riferisco solo all’EDP, per esempio nelle aree dei diversi
“back office”, vi è a mio avviso molto spazio per operare. L’outsourcing è anche di
importanza fondamentale dal lato del contenimento dei costi.
In poche parole si può affermare che la presenza dei tre fattori appena ricordati - tecnologia, globalizzazione, outsourcing - ci consentono di spostare la variabile critica da
“quanto siamo grandi” a “quanto siamo capaci di gestire la complessità”: è questo un
concetto sintetico ma fondamentale, che è scaturito nel corso di una delle Giornate di
Studio organizzate da ACRI e Assbank.
Una autorevolissima e gradita conferma di quanto sostengo è arrivata pochi giorni or
sono: “Negli ultimi anni, si è registrato un aumento delle quote di mercato delle banche medie e piccole dovuto alla capacità di corrispondere alle esigenze di clienti operanti
prevalentemente sui mercati locali”12, poche e chiare parole contenute nella Relazione
del Governatore all’Assemblea Generale della Banca d’Italia dello scorso 31 maggio.
Concludo le mie brevi riflessioni con una frase di Guido Carli, un grande uomo che
tutti abbiamo commemorato poco tempo fa; frase pronunciata in un suo intervento
ad un convegno sull’internazionalizzazione della finanza, nel 1988; non sono concetti espressi recentemente ma tuttora sostanzialmente validi: “La febbre della finanza
internazionale ha attaccato un po’ tutti: ai sagaci banchieri che si esprimevano a malapena in lingua italiana e conoscevano uno ad uno i piccoli imprenditori della propria
provincia e dialogavano con ciascuno di loro si sono sostituite le generazioni che parlano inglese perfettamente, dividono il tempo tra Francoforte e Londra (…), ma disdegnano di occuparsi degli imprenditori minuti (…). Sarà opportuno, da un lato, sollecitare l’avanzamento nel senso della internazionalizzazione, dall’altro non distruggere le componenti del sistema bancario che assolvono la funzione del sostegno alle
imprese piccole e che assolvono questa funzione con efficacia maggiore quando mantengono il contatto stretto con queste imprese13”.
Banca d’Italia, Assemblea Generale dei Partecipanti, 31 maggio 2003, Relazione del Governatore sull’esercizio 2002, pag. 346
In: Maurizio Sella, Il futuro delle banche medio-piccole, Atti del Convegno “Una banca per l’Europa”, Sorrento 14-15 dicembre 1990, pag. 92
12
13
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Antonio Miglio,
Presidente del Comitato Casse e Fondazioni dell’Acri
Grazie Presidente. Nel corso del Congresso di Torino ero intervenuto per denunciare
il rischio della scomparsa delle piccole Casse di Risparmio. Affermavo però che, se noi
Amministratori avessimo ritrovato e rinnovato l’orgoglio di far parte di un certo
mondo, le cose potevano cambiare. Dicevo ancora che l’attenzione che il Presidente
Guzzetti ci aveva riservato faceva ritenere che l’obiettivo non fosse irraggiungibile.
Da allora alcuni dei traguardi che ci eravamo prefissi sono stati raggiunti.
All’interno dell’ACRI abbiamo costituito un coordinamento delle piccole Casse ed il
grande impegno profuso dal Presidente Guzzetti e dall’On.le Luca Volontè, non so se
è ancora in sala, ha fatto si che si arrivasse, con la finanziaria 2003, alla proroga al 2006
dei termini per la perdita del controllo e quindi alla possibilità di essere ancora qui a
ragionare del futuro.
Ma da questo Congresso deve partire un ulteriore sforzo per risolvere il problema.
Intanto si deve affermare con chiarezza che l’idea tutta Italiana che le Banche siano
tutte uguali è infondata.
Le Casse di Risparmio, e quando parlo di Casse di Risparmio non sono un nostalgico delle Casse Enti Morali, ma di entità, sotto qualsiasi forma giuridica, in cui gli utili
dell’attività bancaria ritornano al territorio che li ha generati, sono diverse ed uniche,
anche oggi.
Dobbiamo ricordare, a noi stessi ed agli altri, che il sistema Fondazione-Banca, in particolare nelle realtà medio piccole, è la naturale prosecuzione, in forma moderna, di
una precisa volontà dei benefattori che hanno reso possibile, nel corso dei secoli, la
nascita dei patrimoni delle Casse, a partire dai Monti di Pietà.
Infatti, mentre l’azione bancaria sostiene e stimola lo sviluppo economico e territoriale che porta benessere ai ceti produttivi, non si può dimenticare che, all’interno delle
comunità locali, sono presenti fasce più deboli di cittadini che beneficiano in misura
minore del progresso civile e sociale. Destinare gli utili dell’attività bancaria a queste
categorie è appunto lo scopo della Fondazione che, in tal modo, contribuisce a rafforzare la coesione sociale, ad irrobustire il significato etico delle iniziative economiche
che altrimenti rischiano di sfociare in un liberismo sfrenato, estraneo alla nostra matrice culturale.
La Cassa banca “deve” promuovere lo sviluppo del suo limitato territorio perché il suo
business è lì, non altrove, ed il fatto che gli utili che trae dall’evoluzione dell’economia
(che dà vantaggi ai ceti sociali più capaci e/o più fortunati) tornino sul territorio a van197
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taggio anche di coloro che da tale sviluppo economico sono esclusi, garantisce un
riequilibrio territoriale complessivo.
Questo circolo virtuoso, che anche il Professor De Rita citava nella sua relazione,
rischia e ha rischiato di interrompersi per la rottura del legame tra la fondazione e la
banca.
L’assorbimento delle piccole Casse di Risparmio da parte di un grande gruppo avrebbe portato alla sparizione della banca o comunque alla snaturazione del suo ruolo. E
l’amico Venesio ci ha ricordato poco fa quale invece lui ritenga sia il ruolo, ancora oggi
molto attuale e molto valido, delle banche locali. Ma anche l’eventuale mantenimento dell’autonomia sotto una forma di azionariato diffuso o di altra forma di proprietà
locale avrebbe comunque interrotto il circolo virtuoso. Perché l’azionista privato, che
ha come scopo quello di trarre dall’investimento finanziario il maggior utile possibile
a breve termine, non è l’azionista fondazione che ha come obiettivo lo sviluppo del
territorio e non l’utile puro a breve.
Con la separazione dalla Banca, la fondazione diviene un capitalista puro, che investirà sì utili sul territorio, ma saranno per lo più utili di investimenti finanziari che con
quel territorio non hanno nulla a che fare. E allora si corre il rischio, paventato dal
Prof. De Rita, che gli amministratori facciano interventi non per sviluppare il territorio, che non interessa più, ma per promuovere la loro immagine tra la popolazione. Si
interrompe un circolo virtuoso che non si ricreerà mai più.
Il sistema delle Fondazioni e delle piccole Casse di Risparmio rappresenta un esempio
ottimale di “banca etica” ante-litteram: è quanto meno singolare che, mentre nascono
banche e fondi etici, si punti invece a smantellare gli enti che ne sono stati gli ideali
precursori.
Ad un certo punto dell’evoluzione della normativa ci è stato spiegato che, per allinearci
all’Europa, tutte le banche dovevano essere contendibili e quindi stare sul mercato,
con l’unico obiettivo di creare valore e ricchezza per gli azionisti.
Ebbene, non è così, l’Europa si muove diversamente.
Nello scorso mese di maggio alcuni di noi hanno partecipato al Congresso Mondiale
delle Casse di Risparmio a Madrid e noi italiani ci siamo trovati fuori dal mondo.
Nel senso che il mondo degli 88 paesi in cui sono presenti in varie forme le Casse va
in una direzione, noi, l’89esimo andiamo in un’altra.
Cosa succede in Europa? Sarò sintetico e quindi sommario, ma desidero dare un’idea
seppur di larga massima.
Austria: le Casse sono molto simili a come erano quelle Italiane prima della Legge
Amato, ma la legge dà loro lo status di soggetti di diritto privato. Ma gli Enti locali
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garantiscono le obbligazioni delle Casse che hanno quindi miglioramenti di rating.
Come da noi devolvono gli utili a fini sociali. Sono 61 piccole e medie Casse e 2 grandi. La quota di mercato è del 35% circa.
Germania: le Casse sono pubbliche a tutti gli effetti, sono costituite dagli enti pubblici locali e non è consentita la costituzione di Casse di Risparmio di diritto privato.
Godono inoltre della garanzia degli Enti pubblici che la Comunità Europea gli ha
concesso ancora fino al 2005. Le Casse locali (a livello comunale o di più comuni)
sono 537 con una quota di mercato di circa il 16%, oltre alle Casse dei Land (12).
Complessivamente la quota di mercato è del 42%. Con gli utili promuovono iniziative sociali.
Francia: le Casse sono state trasformate in Cooperative anche per impedirne la contendibilità. Il capitale di tali cooperative è suddiviso in quote sociali detenute da un’altra cooperativa che le deve cedere a clienti e dipendenti della Cassa. La Cooperativa
cedente funge poi da raccordo tra i possessori di quote e la Cassa. Il voto pro capite
impedisce la contendibilità. Con gli utili dell’attività bancaria vengono remunerati gli
investitori acquirenti delle quote e vengono svolte iniziative di carattere sociale soprattutto a livello locale. Il coordinamento di iniziative sociali a carattere nazionale viene
svolto da un’apposita fondazione creata dalle casse. A livello nazionale opera una banca
centrale del gruppo di proprietà per il 65% delle Casse e per il 35% della Cassa dei
Depositi. Le Casse sono 34, la quota di mercato del 16% nella raccolta e del 9% negli
impieghi.
Spagna: le Casse sono come erano quelle Italiane prima della Legge Amato. Giuridicamente sono istituti privati che operano senza finalità di lucro. È da notare, sorridendo rispetto a quanto succede in Italia dove pure si diceva che il Governo Aznar era
un modello da seguire, che la recente legge finanziaria ha modificato la composizione
del loro organo di indirizzo limitando a meno del 50% i rappresentanti degli Enti
locali per ridurre l’influenza di tali enti sulla Banca. Devolvono il 28% degli utili per
attività sociali che sono svolte in parte attraverso appositi organismi (le “obra social”)
ed in parte direttamente. Sono 46 con una quota di mercato del 45% circa.
Svezia: la Svezia ha conosciuto un periodo di riforma del settore all’inizio degli anni
’90 in un regime legislativo molto liberale. Intanto tutte le Casse sono istituti privati.
La riforma ha consentito di assumere varie forme giuridiche. Le undici Casse di maggiori dimensioni si sono fuse dando origine ad un’unica grande Cassa, che è diventata la prima banca della Svezia ed è controllata da 22 fondazioni e da alcune Casse
S.p.A.. Altre, senza alcun obbligo di legge che però dava loro tale facoltà, hanno scorporato l’attività bancaria in capo ad una S.p.A. con le azioni in capo ad una Fonda199
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Dibattito e interventi
zione. Le Fondazioni, con quote diverse, controllano le Casse S.p.A.. Sia le Fondazioni che le Casse S.p.A. svolgono attività a carattere sociale. Complessivamente sono 87
Casse medie e piccole.
Nel complesso, in tutti i Paesi che ho citato, i settori di intervento delle Casse nel
sociale sono molto simili ai settori di intervento delle nostre Fondazioni.
E nel resto del mondo le cose sono analoghe.
Tutti questi Paesi, e ne ho analizzati soltanto alcuni, sono forse fuori dall’Europa?
È l’Italia l’unico Paese che ha capito tutto? Anche solo per probabilità statistica ho dei
forti dubbi.
Ma nell’era della globalizzazione c’è un futuro per le Casse di Risparmio Locali?
Negli altri Paesi si è fermamente convinti di si e si assiste ad una difesa e valorizzazione dell’essenza della tipologia di banca “Cassa di Risparmio”. Le parole che abbiamo
sentito pronunciare dal Ministro del Tesoro Spagnolo, per il quale le Casse rappresentano e rappresenteranno un pilastro fondamentale per lo Stato spagnolo, sono state
illuminanti.
E da parte del Presidente del Gruppo Europeo delle Casse e di altri illustri economisti sono venute considerazioni sull’efficienza economica che fanno meditare.
Intanto, si è contestato che la questione dell’efficienza economica nelle aziende in
generale e nelle istituzioni finanziarie in particolare sia solo un sinonimo di valore delle
azioni misurabile da prezzi sempre in salita.
Il mondo delle Casse di Risparmio, si è detto, non aveva mai condiviso questa visione così semplicistica. Questo era dovuto alla lunga storia delle Casse, al loro ruolo
sociale nelle Comunità locali e alla speciale natura dei loro soci, i quali nella maggioranza dei casi non sono esclusivamente dei possessori di parti di capitale ma rappresentanti della comunità che non impongono l’utile come loro principale priorità.
Per le Casse di Risparmio è importante, più che i profitti a breve, la soddisfazione della
clientela, la crescita magari lenta ma costante della fiducia delle popolazioni nella loro
attività, con conseguente miglioramento costante nel tempo.
In sostanza le Casse non sono interessate ad ottenere eclatanti guadagni oggi, se questo significa perdere la continuità della loro attività e la fedeltà dei loro clienti domani. L’efficienza sul breve termine non è il loro scopo principale.
Ma la caratteristica che più contraddistingue le Casse, in particolare quelle medio piccole, è l’efficienza dettata dalla responsabilità sociale verso le comunità locali.
Gli Amministratori delle Casse sanno che, se l’efficienza delle loro Banche aumenta,
l’aumento delle risorse ricadrà favorevolmente sulla società nel suo complesso. In altre
parole desiderano l’efficienza in modo che i loro clienti e la zona in cui vivono possa200
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Dibattito e interventi
no prosperare.
E sappiamo come il mondo finanziario si stia interrogando sull’esigenza della responsabilità sociale nel contesto del nuovo “controllo corporativo delle compagnie”, elemento che sarà preso sempre più in considerazione nelle valutazioni sull’efficienza
delle istituzioni finanziarie nel futuro.
Vi chiedo scusa se ho voluto approfondire i temi trattati a Madrid, ma poiché temo
che il mio intervento sia considerato nostalgico o peggio retrogrado, ho voluto illustrare quello che succede e si programma, per il futuro, in Europa, quale esempio di
cosa possiamo fare anche noi in Italia.
Anche perché sarebbe tradire la nostra storia se proprio da noi, dove i Monti di Pietà
prima e le Casse di Risparmio dopo sono stati pensati e realizzati, si protraesse l’azione per la loro abolizione.
La globalizzazione, che teoricamente dovrebbe portare ad un maggiore equilibrio tra
paesi ricchi e poveri, ceti ricchi e poveri, si sta orientando verso uno scenario dominato dall’opportunismo e dall’interesse individuale al massimo rendimento economico,
ampliando le diversità tra i ceti.
Il prof. Fanfani, presentando il recente libro “Alle origini della banca. Etica e sviluppo
economico” edito dall’ABI, ha scritto:
“Il libro ha la presunzione di condurre non soltanto la riflessione sui temi della centralità dell’etica nell’azione economica ed in particolare dell’etica nel credito e nella
finanza, ma intende richiamare la persistenza di quegli stessi elementi di divaricazione
tra ricchezza e povertà, tra sviluppo e marginalizzazione che hanno a suo tempo generato i Monti di Pietà, le Casse di Risparmio e tutte le altre forme di credito originalmente etico”.
Anche le Banche di Credito Cooperativo, le Banche Popolari e le Banche SpA storiche, come le chiama Venesio, accompagnano lo sviluppo dei territori con l’attenzione
alle famiglie ed alla piccola e media impresa, ma solo le Casse di Risparmio, con il
ritorno degli utili della Banca tramite le erogazioni delle Fondazioni, fanno partecipe
la globalità delle popolazioni locali dei vantaggi dello sviluppo.
Se tutto quanto ho detto ha senso, allora è ora di rimeditare la strada intrapresa per
correggerne gli errori.
La ristrutturazione del sistema creditizio è avvenuta, i grandi gruppi si sono formati,
il sistema bancario Italiano è efficiente. Lo ha riconosciuto ancora recentemente il
Governatore Fazio senza mezzi termini.
Purtroppo ciò è avvenuto riducendo ai limiti della sparizione le Casse di Risparmio e
risparmiando altre categorie di banche.
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Dibattito e interventi
Dibattito e interventi
In Italia ci sono ancora poche decine di Casse autonome che, collegate alle Fondazioni, perpetuano quel circolo virtuoso di cui dicevo prima.
Sono Banche sane, produttive, che, attraverso accorte politiche di alleanze tra loro o
con grandi gruppi, sono efficienti sia sotto l’aspetto dei servizi che sotto quello dei
prodotti e costituiscono un fattore di equilibrio e di sostegno delle economie locali difficilmente sostituibile. E, soprattutto, sono volute in questa forma dalle comunità
locali.
E, per le Fondazioni, rappresentano oltretutto un ottimo e redditizio investimento.
Penso sia nostro preciso dovere fare, tutti insieme, ogni possibile sforzo per salvare
questa specie in via di estinzione.
Quando, tra non molto, intere porzioni del nostro Paese che, a causa delle concentrazioni bancarie, hanno visto scomparire la categoria delle Banche locali, promuoveranno azioni per ricrearle, perché come modello dovranno avere solo quello del credito
Cooperativo o delle Popolari e non quello, ben più utile alle Comunità locali, delle
Casse di Risparmio?
Questi fenomeni organizzativi di nuove Banche locali stanno già avvenendo, sia all’estero che in Italia.
E allora il modo di salvare queste Casse di Risparmio è quello dell’eliminazione dell’obbligo per le Fondazioni di perderne il controllo. Che le Fondazioni, insieme alle
comunità locali che le hanno originate, siano libere di mantenere o meno il controllo
della Fondazione sulla Banca, di mantenere o meno l’autonomia della banca a seconda di quelle che sono le esigenze di un territorio che loro conoscono molto bene e che
non è necessario venga governato da decisioni centralistiche.
Io chiedo quindi all’ACRI di impegnare ogni sforzo per far si che il Parlamento ed il
Governo condividano queste tesi e modifichino di conseguenza la normativa.
In questo senso chiedo si esprima la mozione di questo Congresso.
Dobbiamo riuscire a salvare la presenza delle Casse di Risparmio in Italia, e possiamo
farcela.
Io penso che noi ci dobbiamo sforzare in questo senso, perché abbiamo la responsabilità di avere ricevuto in eredità, dalle generazioni che ci hanno preceduto, questo tipo
di banca. E mentre il mondo le mantiene e le valorizza non possiamo essere proprio
noi che, eredi di coloro che hanno inventato i Monti di Pietà e le Casse di Risparmio,
che tutto il mondo ci ha copiato, le eliminiamo dal panorama del nostro Paese. Grazie.
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Edoardo Speranza,
Vice Presidente Ente Cassa di Risparmio di Firenze
Caro Presidente, tu sai che io non ho chiesto la parola e che solo per volontà del principe sono a questo microfono. Non ho preparato un intervento ma posso ricollegarmi
a quello che molto bene ci ha detto or ora Miglio.
Pochi giorni or sono a Parigi parlavo con il Direttore Generale della Caisse Centrale
des Caisses d’Epargne. Mi disse: caro Edoardo io mi meraviglio, ma come! Voi in Italia con le Casse di Risparmio che avevate, una ricchezza diffusa, ora state sparendo dal
nostro ambito mentre in tutto il mondo, anche nella Francia dalla quale voi avete
sovente preso esempio, si è seguita una strada diversa e si sono valorizzate le Cassa di
Risparmio. Quello che ha detto Miglio è verissimo: in tutto il mondo ci si meraviglia
che proprio l’Italia abbia fatto una scelta contro la tradizione.
Ma è inutile tornare sul passato, se volessimo dire la verità dovremmo ricordare che lo
Stato aveva il controllo diretto delle maggiori banche nazionali e che, avrebbe potuto,
io dico dovuto, realizzare una o due grandi banche di livello internazionale. Non lo ha
fatto e ha lasciato che la sua proprietà bancaria andasse in modo non razionale per la
propria strada. Una seria analisi della recente storia politico-bancaria potrebbe mettere in evidenza gli errori profondi della nostra classe dirigente: non aggiungo altro.
Ormai il passato è passato e le vecchie Casse di Risparmio si sono trasformate in Fondazioni che delle banche sono soltanto azioniste, senza controllo. Tuttavia sarebbe
necessario e utile che siano buone azioniste e in questo senso il mio intervento non
può rientrare nel tema di questa mattina. Le banche, come qualsiasi impresa, hanno
bisogno di buoni azionisti.
Le Fondazioni non sono più azioniste di controllo ma devono essere buone azioniste.
Mi fa piacere che in Banca d’Italia ci si renda conto di questo, anche perché, forse, le
Fondazioni sono le migliori azioniste perché non hanno intenti speculativi. Quanti
investitori, italiani e stranieri, sono entrati anche recentemente nelle banche, ma con
quali intenti? Non sempre con intenti di lungo periodo per valorizzare, migliorare,
potenziare l’azienda, ma spesso con prospettive a breve, per interessi i più vari e non
sempre trasparenti. Non sono buoni azionisti gli speculatori, così come non sono
buoni azionisti coloro che hanno conflitti di interesse. Credo che gli esponenti di
grandi imprese fatalmente si trovano in conflitto di interessi con la banca nella quale
sono consiglieri di amministrazione o sono in grado di nominarne. Di casi siffatti ce
ne sono molti ed altri verranno. Le Fondazioni non hanno conflitti di interessi, perché non è nella loro natura averne. È dunque illegittimo, sotto il profilo della confor203
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Dibattito e interventi
mità costituzionale, prevedere incompatibilità di presenza negli organi delle banche di
membri degli organi di Fondazioni che non hanno per tale causa uno stato di conflitto di interessi.
Le Fondazioni, inoltre, sono azioniste rispettose del management: Aureliano Benedetti sa bene che la Fondazione è rispettosa del management della Cassa di Risparmio di
Firenze. Non condiziona, non influisce, vuole soltanto il successo dell’impresa bancaria come è giusto che qualsiasi azionista voglia: il successo di una società nella quale
ha investito denaro. Le Fondazioni sono inoltre garanti di stabilità delle banche di cui
sono i tradizionali azionisti, e questo non è poco…
Anche se non ci sono più le vecchie Casse di Risparmio, gli eredi di esse hanno ancora una funzione positiva in tante banche del nostro sistema. Ma a questo punto vorrei fare un’osservazione. Ho letto anche oggi i giornali e da taluni articoli sembra quasi
che le Fondazioni difendano posizioni particolari, di potere, sia pure lecite; tuttavia si
comincia a parlarne bene, a scoprirne i tanti elementi positivi per il sistema.
Qualcuno sa che ho sempre contestato che fosse il solo Dicastero dell’Economia a promuovere riforme legislative che riguardassero le Fondazioni bancarie. Perché le Fondazioni bancarie sono persone giuridiche non profit che hanno funzioni soltanto
finanziarie ed economiche, anche se sono azioniste di banca.
Per l’importanza che hanno nel nostro ordinamento, le Fondazioni, non solo quelle di
origine bancaria, ma quelle anche di altra origine (per inciso, lo Stato e la società
dovrebbero stimolarne la diffusione, come è avvenuto nei paesi anglosassoni) dovrebbero avere una disciplina del Codice Civile moderna e liberale. Così come è stato
opportunamente riformato il diritto societario, si deve ora porre mano alla riforma del
diritto di tutte le persone giuridiche, perché l’omogeneità del sistema giuridico è un
bene essenziale. Guido Rossi l’altro giorno ha scritto una cosa molto giusta: un uomo
di sinistra come lui ha detto che è importante certo la democrazia ma non è la cosa
più importante perché anche più lo è il liberalismo. E il liberalismo significa autonomie, significa diritti, significa lo Stato che si contiene, che si limita: è l’opposto del
dirigismo. E in Italia, come anche nella struttura comunitaria europea, abbiamo ancora nella Pubblica Amministrazione una cultura illiberale e un eccesso di discipline, di
lacci e lacciuoli, il contrario cioè di un ordinamento moderno. Guardate a una cultura più liberale della nostra, quella francese dove, nonostante la centralità dell’ENA, i
cui discepoli assumono ruoli direttivi anche nelle imprese private, non si hanno i vizi
burocratico-dirigisti del nostro Paese. Eppure Colbert era un francese!
La battaglia che le Fondazioni hanno fatto è una battaglia liberale, una battaglia per le
autonomie: riconoscere nei fatti il valore dei “corpi intermedi”, perché come giusta204
Congresso Nazionale
Dibattito e interventi
mente è stato detto dal Professor Nuzzo ieri, non abbiamo avuto la normativa che era
conseguente alla Costituzione repubblicana. Una Costituzione che spesso non è stata
capita, non è stata applicata in molte sue parti, una Costituzione tuttavia valida nei
suoi principi e più innovativa di quanto non si è finora compreso. Si è continuato ad
andare per la solita strada e anche tanti professori d’Università hanno continuato l’insegnamento dei vecchi docenti del passato. In Italia una vera cultura liberale non l’abbiamo creata ed è incomprensibile che le forze e i movimenti politici di oggi non si
facciano portatori di questi valori nell’azione concreta sul piano legislativo. L’Italia ha
bisogno di un ordinamento organico moderno e quello che noi chiediamo è una conseguente disciplina liberale per per tutte le Fondazioni, non solo quelle bancarie.
Quando, come ha illustrato ieri il Professor Emmanuele, si ha una vigilanza da parte
di un organo amministrativo e non da parte di un’autorità indipendente; per di più
una vigilanza puntigliosa, precisa, invasiva. Siamo al di fuori delle norme dello stato
liberale e di un ordinamento moderno. E siamo al di fuori di quella forse nascosta trasformazione che si sta attuando in Italia giacchè, come ha detto il Professor Nuzzo,
per fortuna stiamo cambiando. Il nostro ordinamento giuridico sta cambiando, bene
o male sono state fatte le privatizzazioni, spesso male ma sono state fatte. L’ordinamento sta qua e là diventando più liberale, il diritto pubblico si sta riducendo; si
comincia a dire e a scrivere che il diritto speciale non deve più esistere, perché soltanto il diritto comune deve avere un ruolo di principe nell’ordinamento giuridico.
Diritto comune sia per le persone giuridiche non profit, sia per quelle profit. Con le
poche eccezioni dovute, quale il tributario. E all’on. Volonté che è presente dico: si
ricordi che queste tematiche non sono nuove, sono state poste anche in anni lontani;
un grande guardasigilli del passato, Bonifacio, le aveva poste, forse perché era stato ai
vertici della Corte Costituzionale ed era studioso profondo del diritto romano. Aveva
intuito che questa era la strada per trasformare veramente lo Stato e la sua amministrazione. Auguriamoci dunque che tale riforma possa avvenire, nell’interesse dello
Stato e dei cittadini. Auguriamocelo per accrescere lo sviluppo economico, perché gli
Italiani non possano avere ancora le mani legate da troppe leggi, spesso contraddittorie, che si aggiungono a direttive europee altrettanto vincolistiche, in una confusione
normativa che rende la certezza del diritto una chimera alla quale possiamo guardare
soltanto nei nostri sogni.
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Congresso Nazionale
Dibattito e interventi
Alfredo Santini,
Presidente della Cassa di Risparmio di Ferrara SpA
Consentitemi innanzitutto di ringraziare gli amici Benedetti e Carmi per la serata bellissima e per l’organizzazione calorosa. Un grazie particolare al nostro Presidente per
quanto ha fatto in questi anni. Tutti ci teniamo che resti alla guida dell’ACRI. Grazie
a lui, al Suo impegno ed alla intelligenza degli amici parlamentari l’anno è iniziato con
l’approvazione della Legge Finanziaria che ha prorogato per le Fondazioni come la
nostra l’obbligo della dismissione del controllo fino al giugno 2006, dando un chiaro
indirizzo politico.
Troppe banche sono scomparse, fagocitate dai grandi gruppi senza che questo abbia
ancora portato vantaggi ai territori allora presidiati.
Sembra un paradosso ma più si va verso la globalizzazione delle produzioni e dei mercati più si sente la necessità di un legame più stretto fra banca e territorio.
Si pensi alla creazione delle migliaia e migliaia di piccole imprese. Non ci sarebbe stato
questo sviluppo del localismo industriale senza la banca locale.
I raffronti a livello internazionale non tengono. L’economia italiana ha particolarità
diverse.
Ricordo che il Presidente Faralli, che saluto con piacere, in un convegno all’ABI pose
in risalto che le imprese di minor dimensione, fino a 20 dipendenti, sono oltre tre
milioni, mentre quelle piccole e medie superano abbondantemente i quattro milioni.
Esse generano, secondo i dati Istat, circa il 60% del prodotto ed occupano il 75% del
totale dei lavoratori dipendenti. E non sarebbero cresciute e non reggerebbero un mercato difficile come l’attuale, se non vi fossero state banche locali che ne hanno seguito la nascita e la crescita e che le accompagnano nelle fasi di espansione e le sorreggono nei momenti di difficoltà.
Ciò nell’ambito di una visione imprenditoriale dell’utilizzo dei capitali, rifuggendo
ogni intento speculativo di breve orizzonte, che storicamente non ci appartiene.
Essere “banca locale” non è un aspetto riduttivo, bensì un punto di forza sul quale fare
leva per crescere. Il localismo è una “filosofia” operativa, un modo di “fare banca” legato al territorio senza complessi d’inferiorità, senza (cito Giuseppe De Rita) avere mai
“rinnegato il piccolo, perché bisognava essere grandi”.
Anche in questa difficile congiuntura economica noi Casse cerchiamo con tutte le
nostre forze e disponibilità di dare fiducia al mondo produttivo credendo nella nostra
gente e limitando i danni di un momento negativo dell’economia nazionale ed internazionale, pensando a difendere le risorse del nostro territorio ed i posti di lavoro di
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Dibattito e interventi
tante famiglie. Ciò è possibile perché negli ultimi anni siamo riusciti a difendere ed
arricchire il nostro speciale know-how, quel patrimonio culturale riconducibile alla
qualificazione del personale, alla cultura aziendale e, in modo particolare, alle competenze specifiche in materia di ricerca e di sviluppo, di conoscenza e di esperienza del
territorio e del mercato. Ne’ dobbiamo meravigliarci se abbiamo un numero elevato
di sportelli nelle nostre zone storiche: è una caratteristica delle Casse di Risparmio, e
deve essere considerato un valore storico a cui difficilmente potremo rinunciare.
Motore dello sviluppo è l’arricchimento del capitale umano, frutto di capacità professionale, di cultura, di dedizione, di sentimenti di appartenenza ai valori delle Casse.
Ma il nostro vero punto di forza resta e resterà l’attenzione per la piccola impresa ed i
privati, terreno su cui in passato abbiamo vinto importanti battaglie grazie al prezzo
ed alla capillarità del servizio. Già oggi però questi requisiti appaiono solo una piattaforma su cui innestare una pluralità di nuovi servizi alla clientela.
Dobbiamo anche essere abili a sfruttare le chances che l’ambiente competitivo ci propone. Ad esempio, la nuova disciplina del Comitato di Basilea emanata lo scorso anno,
che indurrà l’adozione di un sistema di rating interno da parte delle banche, avrà come
conseguenza secondaria quella di far cadere nella categoria di debitori di non primario standing una larga fascia di clientela, che presumibilmente verrà abbandonata da
quei grandi istituti che non dispongono, diversamente da noi, di una adeguata conoscenza del settore small-business.
Le recenti crisi dei grandi gruppi industriali necessariamente comporteranno un ripiegamento delle principali banche nazionali, al fine di riequilibrare i portafogli rafforzando la componente delle medie imprese che hanno tenuto meglio il mercato, sia
interno che estero.
Spinte dalla necessità di migliorare i loro ratios patrimoniali le grandi banche tendono a ridurre drasticamente l’incidenza dei large corporate a favore delle medie imprese, anche alla ricerca di migliori spreads per temperare la riduzione del 18% degli utili
registrata a livello di sistema nel 2002.
Si tenta così di rispolverare vocazioni di legame al territorio, smarrite durante la lunga
stagione delle aggregazioni.
Oggi è di moda, fra i grandi banchieri, e l’ABI ha commissionato un’apposita ricerca,
parlare di etica del rapporto bancario, che deve uniformarsi ai principi di equità e correttezza nelle relazioni all’interno delle imprese e tra queste e i consumatori.
Consentitemi una riflessione molto franca. Per qualcuno tali concetti possono, in qualche maniera, risultare “nuovi”, per noi sono quelli che hanno ispirato la nascita delle
Casse di Risparmio e ne hanno accompagnato l’attività in questi ultimi due secoli.
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Abbiamo ben presente che la crescita di un’impresa deve accompagnarsi sempre a
quella di tutte le componenti sociali ed economiche presenti nel contesto in cui l’impresa opera.
Recentemente il Presidente Maurizio Sella ci ha detto, in tema di “responsabilità sociale delle imprese” (RSI), che “in questo modo innovativo di essere impresa, l’azienda assume come proprio riferimento non più solo gli azionisti, ma tutti coloro che sono interessati dalle ed alle attività poste in essere dall’impresa” e ancora “il valore generato dall’attività d’impresa…non può misurarsi solo attraverso il calcolo del valore aggiunto economico, ma necessita di un’integrazione con riguardo agli aspetti ambientali e sociali”.
Io penso che le banche, pur anche società per azioni, che si fregiano della denominazione di “Cassa di Risparmio” debbano rifuggere la speculazione, che ha come riferimento esclusivamente brevi orizzonti temporali, per puntare alla logica d’impresa di
lungo periodo, in cui i capitali che vengono messi a disposizione dagli azionisti si
accrescono nel tempo attraverso un armonico sviluppo economico.
L’amico Giuseppe De Rita recentemente si preoccupava della rigidità della normativa
di Basilea 2 e immaginava uno scenario in cui “i grandi divisionalizzatori”, come lui li
definisce, oggi si chiedono: “Ed io che faccio con il territorio? Ed io che faccio con la
personalizzazione della domanda? Ed io che faccio con i rapporti con le piccole e
medie imprese? Che cosa succede nel localismo italiano?”
“Perché i problemi ritornano tutti - afferma ancora De Rita - non è che facendo l’organigramma divisionalizzato, federale, di alta burocrazia generale, alla fine i problemi
non siano quelli”.
A mio avviso il tema appare già tracciato: da un lato c’è la normativa di Basilea che
rende più oneroso affidare imprese dal rating non elevato, dall’altra c’è l’esigenza di
assecondare il mercato in cui le singole banche operano, al fine di consentire uno sviluppo armonico del tessuto produttivo in uno con quello della banca. Che non significa assecondare supinamente gli eventuali errori di “strategia finanziaria” della piccole e medie imprese, ma di affrontare il mercato con strumenti adeguati.
C’è lavoro anche per l’ACRI. La nostra associazione potrebbe farsi promotrice di una
corretta politica aziendale delle associate che contemperi il rispetto della normativa di
vigilanza con il soddisfacimento delle esigenze finanziarie delle piccole entità produttive, tenendo ovviamente in debita considerazione il fine della giusta redditività per gli
azionisti.
Penso che il lavoro da svolgere sia di proporzioni imponenti: gestire il rischio di credito su controparti per definizione normativa “rischiose”, sostenere lo sviluppo dei territori, unico fine e mezzo per il contemporaneo sviluppo di qualunque impresa, par209
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Dibattito e interventi
ticolarmente bancaria, che in esso operi, ricercare il giusto profitto.
Io penso che noi Casse, aziende private e modernamente organizzate, dotate di mezzi
finanziari adeguati e strumenti tecnici all’avanguardia vogliamo vivere pienamente l’
“europeizzazione” e la “globalizzazione” continuando a creare valore per le comunità
locali che, quasi due secoli fa, ci hanno dato vita. È un legame che non possiamo e
non vogliamo recidere. A tutti noi il compito di realizzare una strategia comune per
continuare in questa nostra missione.
Sono profondamente convinto che a livello locale le Casse e le Fondazioni debbano
continuare a lavorare assieme, pur nella distinzione dei ruoli. Io porto un esempio per
tutti: la Fondazione e la Cassa di Ferrara hanno ideato e presentano a Bruxelles la
mostra principale del semestre italiano. Infatti il Presidente della Repubblica Ciampi
ed i reali del Belgio inaugureranno il 1° ottobre una mostra sulla civiltà degli Estensi
dal titolo “Une Renaissance Singulière. La Cour Des Este à Ferrare”. Nel comune convincimento che insieme dobbiamo far crescere il territorio, facendo cultura non solo
con il libro di fine anno.
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Gianfranco Imperatori,
Segretario Generale Associazione Civita
Grazie al Presidente Emmanuele di consentirmi questo intervento non programmato,
Presidente di questa sessione e mio autorevole azionista.
Sono venuto a questo convegno per portare una testimonianza di un operatore che da
anni è impegnato su un fronte a voi molto noto che è quello dei beni culturali e a cui
le Fondazioni prestano molta attenzione, risorse ed interesse. E per ribadire come la
cultura sta diventando un grande motore di sviluppo. Ma le relazioni di ieri, molto
concentrate sulla controversia tra il legislatore e le Fondazioni, le relazioni di stamane
improntate dai colleghi banchieri mi spingono, senza andare oltre i 10 minuti, Emmanuele, a qualche commento alla rilevanza che le Fondazioni possono avere nel rispetto della loro autonomia e senza essere serventi della finanza pubblica possono dare allo
sviluppo del nostro Paese.
Per non incorrere in equivoci ripeto: ruolo autonomo delle Fondazioni come soggetti
protagonisti del loro territorio e come soggetti che cercano allocazioni ottimali delle
risorse.
Ecco, l’incontro di oggi cade a ridosso di 2 momenti, di 2 punti, il primo: un grande
processo di decentramento che accresce a tutti le responsabilità di quelli che operano
sul territorio, tra questi anche le Fondazioni bancarie. E secondo a pochi giorni dalle
considerazioni finali del Governatore.
Ecco, io ritengo che entrambi questi momenti fanno acquisire a questo incontro un
particolare rilievo, lo fanno calare di più nella congiuntura attuale. Per rendere così, più
concrete le dichiarazioni di orgoglio e di appartenenza occorre anche però confrontarsi coi problemi che abbiamo davanti tutti i giorni.
Ecco, ci ha ricordato il Governatore la pesante situazione che oggi non ho spesso sentito riproporre, in cui ci troviamo: ha tracciato un quadro allarmante. Una perdita di
competitività gravissima del Paese, ha usato parole pesantissime intorno a questa situazione.
Lo scenario, se proprio semplificato, è chiaro che stiamo di fronte a deficit di competitività, a deficit di progettualità: questo è il dato che ci ha messo di fronte il Governatore della Banca d’Italia. È chiaro che questo argomento ci impone in tutti i modi
di trovare soluzioni, trovare formule che ci possono far uscire da una situazione di difficoltà.
Certamente le Fondazioni bancarie hanno a questo riguardo un ruolo che io considero non secondario rispetto alle problematiche dello sviluppo. Noi abbiamo di fronte
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Congresso Nazionale
Dibattito e interventi
una situazione generale di penuria di competitività. Molti hanno ricordato che questa
si può riprendere attraverso la ricerca, una diversa classe dirigente, attraverso un diverso modello di governance. Ma sono tutte operazioni a mio avviso importantissime su
cui dobbiamo andare ma sono tutte operazioni di medio e lungo periodo. Perché
vanno a incidere sulla struttura del modello di sviluppo e non danno risposte domani
mattina: le parole del Governatore ci impongono di guardare il problema nel breve
periodo, tanto sono gravi le situazioni che ci ha prospettato.
Io in pochissimi minuti vorrei ricordare 2, soltanto 2 degli argomenti che a mio avviso nel breve periodo possono essere affrontati e trovare soluzioni. Riguardano il nanismo imprenditoriale, quelle famose mille piccole e medie imprese italiane che urgentemente debbono essere capitalizzate se vogliono affrontare la dimensione europea.
Questo è un tema urgentissimo che si può affrontare, si sta già affrontando e il secondo punto è il deficit delle infrastrutture.
Ecco, certamente noi abbiamo la possibilità di evitare, se interveniamo in questo
modo, a ridurre il declino e a evitare la marginalizzazione del Paese verso la quale stiamo andando. Certamente le Fondazioni, le Banche come diceva stamattina il Presidente della Cassa di Risparmio di Firenze non possono sostituirsi agli imprenditori,
questo non lo possono fare. Però possono fare una cosa molto importante come stanno facendo a mio avviso: di essere vicino e di stimolare sia sul fronte della crescita
dimensionale, sia sul fronte delle infrastrutture i soggetti che devono fare questo passo
avanti. L’ha fatto l’altro giorno il Governatore e credo che le Fondazioni e le Banche
sul territorio possono svolgere questa funzione. Perché altrimenti non rispondiamo al
quesito di De Rita dove, in modo ossessivo giustamente ossessivo, ricorda il problema
della connessione insomma. La connessione si verifica sui fatti, su questi fatti altrimenti certamente c’è uno sganciamento dal territorio. E io per non inseguire tutti i
problemi l’ho concentrata sull’aspetto della crescita dimensionale e sul problema del
deficit delle infrastrutture.
La mia preoccupazione è che intorno all’argomento del private equity e ho visto con
piacere l’altro giorno l’intervista del Presidente Castellino che ha detto che la sua Fondazione è interessata a partecipare alla ricapitalizzazione delle piccole e medie imprese
dove insiste la sua banca. Io ho una preoccupazione: si stanno affacciando sul mercato moltissimi fondi chiusi, delle più strane provenienze, molti non bancari. Manager
che escono da imprese e fanno i fondi chiusi oppure soggetti stranieri che vengono in
Italia. Io sono molto preoccupato di questa situazione, mentre una volta li vedevo con
piacere avendoli visti sul campo. La preoccupazione nasce dal fatto che tutti i soggetti guardano alla piccola e media impresa con un’attività molto speculativa, che fa chiu212
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dere a riccio il piccolo e medio imprenditore, non lo apre a questo tipo di opportunità.
Cito un caso per tutti, credo che sia eloquente che testimonia questa mia preoccupazione: ma è mai possibile che in una società che si chiama SEAT 5 anni fa viene collocata in borsa e fa quell’exploit. E ieri mattina leggiamo sui giornali che lo stesso
fondo chiuso che l’ha portata in borsa, con quelle conseguenze che voi sapete per il
mercato finanziario, lo stesso fondo chiuso adesso riprende la SEAT per fare una
seconda operazione! È chiaro che qui entro nel merito del discorso di De Rita e cioè
la connessione: questa attività credo che le Fondazioni bancarie, ripeto allocando bene
le risorse e non disperdendo risorse possono farla insieme al sistema bancario locale
per realizzare quella connessione a cui prima io mi riferivo in modo da dare concretezza a questa problematicità.
Ecco, questo sul fronte del private equity è una risposta concreta e cioè dare quella
vicinanza, quella impronta alla capitalizzazione che faccia sentire le imprese vicine alla
banca e le fondazioni. E le banche locali, questo sì, hanno tutte le capacità per poter
assistere questi imprenditori in un arco temporale di medio e lungo periodo e non per
fare operazione /asciortistica/ della plus valenza subito e tanta. Questa è un’operazione che noi possiamo certamente in qualche modo evitare. L’altro argomento... e questo è possibile, per contro e qui mi ricollego all’intervento di Tancredi Bianchi, navighiamo su un mare di liquidità. E cioè abbiamo un deficit di infrastrutture, abbiamo
aziende che vogliono ricapitalizzarsi, per contro navighiamo in un mare di liquidità.
Io in questo momento mi trovo a occuparmi dell’asset management di una grande
banca che è Capitalia e noi stiamo operando sul monetario. Quindi vuol dire che c’è
un grande mare di liquidità al punto che preoccupa gli economisti che si preoccupano che stiamo in una fase di deflazione o quantomeno possiamo cadere nella trappola della liquidità.
Quindi proviamo un attimo a dare per scontato che la Corte risolva al meglio le indicazioni che voi ieri avete fornito. Io credo che noi possiamo su questa strada iniziarci
però a preoccupare di come, una volta risolto il problema della Corte, scendere in
campo e fare in modo che quella connessione che De Rita prima auspicava si possa
verificare al meglio. Ecco, le fondazioni, le banche locali hanno questa possibilità e la
possono realizzare a mio avviso con attenzione e in modo tale che quelle imprese, quelle mille famose che vengono sempre citate, possano fare questo passaggio dimensionale.
La cautela è sulle infrastrutture, ieri si parlava genericamente di ricorso alle infrastrutture: io non sono d’accordo che le Fondazioni bancarie o le banche locali investano
213
Congresso Nazionale
Dibattito e interventi
nelle grandi infrastrutture. Infatti non sono affatto convinto che il nostro Paese recuperi competitività soltanto col... col Ponte di Messina o con la Salerno/Reggio Calabria. Opere importantissime che vanno fatte, forse il Ponte di Messina si può anche
discutere ma comunque dico c’è un’importanza di questo quadro generale. A mio
avviso il problema si risolve con le centinaia di piccole e medie infrastrutture di cui il
Paese ha bisogno se vogliamo passare da un federalismo parlato a un federalismo attuato. Non vedo perché il problema delle fondazioni le banche locali non debbono prendere un’iniziativa e fare in modo di realizzare il termovaporizzatore di Pavia oppure il
Porto di Livorno, oppure l’interporto di Cremona o perché no? Parlavamo ieri con la
Fondazione di Viterbo perché no, non fare un progetto intorno alla rete ferroviaria
Roma/Viterbo che trasformerebbe completamente il ruolo di questa provincia laziale.
Le darebbe un ruolo totalmente diverso e ridurrebbe una considerazione vergognosa
di due ferrovie da Roma a Viterbo che impiegano 2 ore per andarci ciascuna a 60 chilometri di distanza da Roma. Quindi ecco come la connessione De Rita credo che
possa attuarsi e possa verificarsi attraverso anche un concorso nella progettualità, che
non costa molto ma è lo stimolo, è l’avvio a un processo di rigenerazione.
Questi sono i 2 temi che volevo ricordare e che danno concretezza a tutte le vostre
istanze, danno alle Fondazioni un’ulteriore legittimazione perché possono rispondere
con fatti concreti che concorrono a una crisi che Fazio l’altro giorno ha messo in evidenza con toni di drammaticità. Quindi ecco, voglio utilizzare gli ultimi minuti per
l’argomento che mi sta a cuore e che in poche battute vorrei in qualche modo liquidare. È l’argomento del ruolo che la cultura può svolgere sempre in direzione e sempre nella proiezione dello sviluppo. Ecco, è un argomento oramai abbastanza verificato che la cultura può essere un grande motore di sviluppo, la cultura è molto seguita
dalle Fondazioni. Il suggerimento è di dare un maggior valore aggiunto a questo ruolo
che già le Fondazioni svolgono, che faccia maggior leva, ci sia una maggiore incidenza sul territorio. L’ACRI l’anno scorso nel mese di maggio ha preso un’iniziativa lodevolissima e cioè l’iniziativa di collaborare con la Fondazione del sud per quanto riguarda progetti che possono riguardare il turismo e la cultura. È stata un’iniziativa molto
importante, credo che si stia svolgendo in questi giorni. Ecco, la raccomandazione
però su questo terreno è che ci siano progetti finanziati che siano incastonati in un
disegno di distretto culturale e turistico. Perché se non sono incastonati c’è la perdita
di leva e la perdita di efficacia.
Oggi il nostro turismo esige sistema, esige coordinamento, esige integrazione se vogliamo avere quella qualità di turismo che possa in qualche modo darci un posizionamento efficace nella gerarchia del turismo nel mondo. E possa in qualche modo con214
Congresso Nazionale
Dibattito e interventi
sentire al nostro Paese di avere un ruolo eccellente quantomeno in un settore che è
quello proprio del turismo culturale.
In questa ricerca a mio avviso la cultura, la capacità di generare un’immensa filiera produttiva che coinvolge molti settori dal restauro alla ricerca, alla progettazione, alla chimica, all’informatica, al merchandise, all’enogastronomia, al multimediale. Se questa
non è una filiera produttiva che può dare un nuovo modello di sviluppo provo a confrontarmi. Questa è una grande opportunità e prima Santini ricordava una mostra alla
quale noi collaboriamo, questa degli Estensi. Chi non ricorda, non so se è presente il
Presidente della Cassa /Marca/ che con delle iniziative di grandissimo rilievo è riuscito a dare a Treviso una nuova fisionomia. Treviso era nota per Benetton, era nota per
altre cose, oggi Treviso è in competizione con Venezia, ci sono /8/ alberghi in costruzione. Questa è una cultura che marcia con lo sviluppo cioè trasforma le città, gli dà
una nuova identità. Anche perché è convinzione di tutti che nel terzo millennio, la
tipologia di sviluppo è diversa, è immateriale, è l’economia della conoscenza. E noi
abbiamo questo grosso patrimonio che va messo a frutto ma non genericamente, non
disperso. Oggi per fortuna non c’è sindaco, De Rita credo che ne sia testimone, che
non si candida e si propone per un marketing territoriale che è auspicabile e va fatto.
Ma occorre al tempo stesso coordinarlo, integrarlo e sistematizzarlo altrimenti abbiamo la sagra dei campanili e non abbiamo la /descrizione/ di ricchezza. Le Fondazioni
a questo riguardo hanno un grande compito - e chiudo - e cioè di imporre coordinamento, di fare sistema prima di dare i finanziamenti a tutte le richieste. Tutte legittime ma certamente che abbisognano di un coordinamento che le rende ancora più efficaci.
Ecco, io su questo argomento credo di aver dato le indicazioni, la Fondazione che rappresento è non soltanto con studi e ricerche ma gestisce 78 musei in Italia. Quindi
siamo sul campo, gestiamo moltissime mostre, ringrazio Santini che ha ricordato l’ultima, il Parmigianino, i marmi colorati e quant’altro ma stiamo sul campo fondamentalmente con la progettualità.
Questo Paese ha questo deficit, occorre fare in modo che anche nella cultura ci siano
i progetti e non gli sponsor. Grazie.
215
Congresso Nazionale
Dibattito e interventi
Luciano Silingardi,
Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Parma
Ringrazio i Colleghi della Commissione, che hanno lavorato insieme a me, e un particolare ringraziamento rivolgo al dottor Marchettini e all’intera struttura dell’ACRI,
che pure ha collaborato nell’elaborazione dei punti fondamentali della mozione congressuale, che ora sottopongo alla Vostra attenzione e che potranno subire le opportune variazioni che saranno da Voi ritenute di maggiore interesse. Procedo alla illustrazione del lavoro svolto.
Il 19° Congresso Nazionale delle Fondazioni Bancarie e delle Casse di Risparmio,
udite le relazioni e le comunicazioni presentate, nonché gli interventi che hanno ulteriormente approfondito i contenuti, ho constatato con soddisfazione che, nel corso
dell’ultimo triennio è stata attuata la mozione finale, approvata nel corso del 18° Congresso Nazionale delle Fondazioni Bancarie e delle Casse di Risparmio, in particolare
per quanto riguarda i rapporti Fondazioni/Banche conferitarie, dando così sostanziale attuazione alla dismissione da parte delle Fondazioni delle quote di controllo detenute nelle Banche Conferitarie e ciò nonostante i gravi ritardi determinati dall’inchiesta comunitaria sugli aiuti di Stato, e le incertezze introdotte alla normativa delle Fondazioni, a seguito della approvazione da parte del Parlamento dell’articolo 11 della
legge 448/2001.
Nel contempo, particolare attenzione alle modalità di applicazione della legge Ciampi, è stata posta per le Fondazioni e per le banche di minori dimensioni, con un forte
collegamento con il territorio. L’associazione ha favorito il confronto interno, per l’individuazione delle migliori soluzioni per l’applicazione della normativa.
L’associazione si è fortemente adoperata per l’introduzione, da parte del Parlamento,
di una proroga dei termini per la dismissione della partecipazione di controllo delle
Fondazioni.
In relazione agli orientamenti delle Casse Spa, queste ultime hanno potuto continuare a considerare le Fondazioni bancarie di riferimento quale socio istituzionale, al fine
di ancorare l’azienda bancaria a interessi e peculiarità del territorio di riferimento.
Le Casse si sono confrontate, individuando le migliori strategie, per mantenere la propria autonomia, o per meglio inserirsi in strutture federative o in grandi gruppi, fruendo dei momenti di dibattito e scambio, di esperienze promosse in ambito associativo.
L’associazione ha costituito, in particolare per le Casse Spa di piccola e media dimensione, un punto di riferimento e un luogo di raccordo, al fine del migliore coordinamento della loro attività e della loro adeguata rappresentatività nell’ambito ABI.
217
Congresso Nazionale
Dibattito e interventi
In relazione all’attuazione della riforma Ciampi, e cioè la legge 23 dicembre ’98,
numero 461 e, il decreto legislativo 5 maggio ’99, numero 153, sono stati adeguati gli
statuti delle Fondazioni, restando così stabilito che, con l’approvazione delle relative
modifiche statutarie, gli Enti hanno assunto la natura giuridica di persona di diritto
privato, con piena autonomia statutaria e gestionale.
L’associazione si è impegnata a difendere la piena affermazione della natura privata delle
Fondazioni, e il riconoscimento della completa autonomia operativa e di governo.
A tale fine, dopo avere esperito tutte le possibili vie di dialogo e di confronto, ha coordinato un’iniziativa in sede giurisdizionale, per contrastare un’indebita compressione
della autonomia delle Associate.
È stato avviato un riequilibrio territoriale delle erogazioni delle Fondazioni, ancora
fortemente sbilanciate fra nord e sud, tramite l’attivazione del “progetto sud”, in una
prima fase finalizzato alla promozione di distretti culturali nelle regioni meridionali.
Al fine di favorire un miglior utilizzo di fondi per il volontariato, previsti dall’articolo
15 della legge 266/91, l’associazione ha promosso la costituzione di una consulta
nazionale dei Comuni di gestione, al fine di rafforzare l’attività di indirizzo e di controllo dei Comitati medesimi.
L’associazione ha inoltre operato per limitare i rischi di un utilizzo inefficiente delle
risorse, con una assidua azione di rappresentanza nelle sedi istituzionali preposte, e con
iniziative diverse, fra cui una ricerca sull’attuazione della legge 266.
Si è maggiormente diffusa in Italia e nelle Fondazioni stesse, una cultura delle Fondazioni di origine bancaria come soggetti privati, eticamente motivati, capaci di accrescere il loro patrimonio e di gestire iniziative di utilità sociale, a sostegno fra l’altro
della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della conservazione e valorizzazione
dei beni e delle attività culturali e dei beni ambientali, della sanità e dell’assistenza alle
categorie sociali deboli.
Grazie a un ampio dibattito sui media e, ad un constante sforzo di comunicazione da
parte dell’Associazione, si è riusciti a richiamare l’attenzione delle forze politiche, delle
istituzioni e dell’ampio pubblico in generale, sulle problematiche delle Fondazioni
medesime, sul ruolo e sulla natura oltre che sull’attività operativa delle Fondazioni.
Su questi temi l’Associazione ha affrontato in modo omogeneo e unitario i problemi
comuni, di analisi dei principali modelli operativi e di confronto con le migliori esperienze internazionali.
Nelle occasioni in cui è stata consultata dall’autorità di vigilanza, come per l’emanazione di disposizioni transitorie in materia di bilanci, l’ACRI ha fornito le indicazioni
della categoria, e ha mantenuto aperto un dialogo tecnico con il Ministero dell’Eco218
Congresso Nazionale
Dibattito e interventi
nomia, sulle questioni di maggiore interesse delle Associate, fra cui la proroga dei termini di dismissione del controllo delle conferitarie e per il trattamento fiscale relativo
oltre che alla possibilità di detenere immobili - anche non strumentali - a titolo di
investimento.
Ha favorito la realizzazione, a livello territoriale, delle consulte regionali, ha svolto un
ruolo di raccordo e di coordinamento con gli organismi internazionali, che associano
le Fondazioni.
L’ACRI ha inoltre prestato la propria consulenza alle associate nei confronti della Commissione Europea, in occasione dell’inchiesta per supposti aiuti di Stato, con l’ottenimento di un esito favorevole.
Le Fondazioni pur operando autonomamente, secondo i rispettivi statuti, hanno
manifestato disponibilità ad intervenire su base volontaria e con adeguata efficienza
operativa, su mirati obiettivi e progetti di interesse nazionale, quali il riequilibrio della
disomogenea distribuzione regionale delle risorse, erogate dalle Fondazioni, al rafforzamento delle infrastrutture, anche sociali, compatibilmente con l’autonomia, la redditività, la conservazione e possibilmente l’accrescimento del proprio patrimonio.
L’Associazione si è attivata per la miglior utilizzazione dei fondi della legge 266/91,
nel sostegno dei progetti delle organizzazioni di volontariato, finalizzati ad un utilizzo
efficiente ed efficace degli stessi, evitandosi conflitti di vario genere fra le diverse organizzazioni interessate.
Gli ultimi anni hanno visto affermarsi, a livello internazionale e nazionale, l’orientamento a valorizzare appieno il patrimonio genetico e storico delle Casse di Risparmio,
l’attenzione nello svolgimento delle attività di impresa, della dimensione etica, e alla
responsabilità sociale interna, incentrata sulle relazioni con clienti, fornitori, dipendenti, ed esterna, orientata allo sviluppo economico e sociale delle comunità di riferimento.
Al riguardo il Congresso esprime un caldo e vivo apprezzamento per tutte le valutazioni che relativamente agli argomenti di cui sopra sono state espresse da più parti, in
ordine al postivio orientamento assunto dalle Fondazioni.
Un altro punto di riferimento importante è rappresentato dalla attenzione riservata
dalle Casse minori alle esigenze del territorio e quindi alla opportunità del mantenimento del ruolo di azionista di rilievo della Fondazione.
A tale proposito si ritiene utile sottoporre agli Organi legislativi la opportunità di
riconsiderare l’obbligo della perdita del controllo della società bancaria conferitaria da
parte delle stesse Fondazioni di minore dimensione.
Va altresì sottolineata la posizione che in diverse occasioni è stata assunta dalla Banca
219
Congresso Nazionale
Dibattito e interventi
d’Italia e dal Governatore in modo particolare, volta a sottolineare l’apporto positivo
fornito concretamente dalle Fondazioni, nel processo di ristrutturazione del credito,
con la conseguente evidenziazione del ruolo importante svolto nella riorganizzazione
e nella privatizzazione del sistema creditizio del nostro Paese.
Anche in occasione della recente Assemblea Annuale della Banca d’Italia, il Governatore Dott. Antonio Fazio ha riaffermato i concetti di cui sopra e messo in risalto anche
la funzione di stabilizzazione dell’azionariato delle Banche conferitarie.
(lungo applauso dell’Assemblea)
Le Casse Spa hanno saputo valorizzare il loro ruolo e la loro specificità dimensionale
ed il legame col territorio e dovranno continuare ad adoperarsi, coordinandosi anche
con le altre banche in ambito ABI, avvalendosi ancora, ovviamente, dell’attività dell’ACRI, per la riaffermazione degli interessi comuni.
Il Congresso sollecita l’annunciata revisione del titolo II del libro primo del codice
civile, quale utile occasione per ricondurre le Fondazioni nell’alveo della disciplina
comune delle Fondazioni private, fermo restando l’esercizio dell’attività di Vigilanza
sempre, nel rispetto della natura giuridica privata delle Fondazioni e del ruolo che la
legge ha loro assegnato.
Il Congresso ribadisce altresì che un processo di evoluzione verso un modello a carattere federale, accompagnato, in sede associativa, dalla costituzione delle consulte territoriali, favorirebbe un sempre ulteriore miglioramento delle relazioni con gli Enti
Locali, senza pregiudicare il mantenimento di una disciplina unitaria delle Fondazioni a livello nazionale.
L’allargamento dell’Unione Europea ai Paesi dell’est, e la prossima definizione della
Costituzione europea, rappresentano eventi centrali per le Fondazioni, le quali potrebbero trarre una nuova spinta per il loro operato, dalla possibile definizione a livello
comunitario, di uno statuto delle Fondazioni, alla cui stesura è opportuno che le stesse partecipino, attraverso i competenti organismi internazionali, nel rispetto delle
caratteristiche originarie delle associate, e ciò anche sulla base della proposta predisposta dall’European Foundation Center. L’opportunità di costituire un veicolo per il
confronto e il coordinamento sui temi comuni a più Fondazioni, anche di origine
diversa, e per i loro rapporti internazionali, oltre che per l’ampia attività istituzionale
svolta dovrà continuare ad essere supportata da una efficace azione di comunicazione
esterna, peraltro già avviata positivamente.
I positivi risultati conseguiti dalle Fondazioni sono stati resi possibili dalla autonomia
operativa e di governo delle medesime, spingendole ad operare in via sussidiaria e non
sostitutiva, nei confronti di soggetti privati e pubblici, coerentemente con il nuovo
220
Congresso Nazionale
Capitolo 1
principio costituzionale dell’articolo 118.
Tale principio rafforza ulteriormente la missione delle Fondazioni, assegnando alle
stesse un ruolo attivo di operatività nel sociale, ed esalta la funzione già prevista dalla
legge Ciampi, là dove attribuisce alle Fondazioni finalità di utilità sociale, fermi restando compiti e funzioni che la legge prevede per altre Istituzioni.
Le Fondazioni si sono legittimamente opposte all’attuazione dell’articolo 11 della
legge 448/2001, in difesa dei principi di cui sopra ed in funzione del rafforzamento di
un moderno sistema democratico, e in attuazione della mozione di Torino che auspicava: “Le Fondazioni si propongano come soggetto che sviluppa e fa crescere le potenzialità della società civile, e delle sue istituzioni. Solo in questo modo potrà infatti
affermarsi quel pluralismo istituzionale che rappresenta una delle condizioni di convivenza democratica e di risoluzione dei problemi della collettività.”
Il Congresso ringrazia le forze parlamentari, le associazioni del Terzo Settore e, tutti
coloro che in vario modo, in varie forme, hanno in questi ultimi tempi difeso le tesi
sostenute dalla Associazione di categoria, nelle diverse sedi competenti.
Ha qui termine la relazione del Dott. Silingardi.
In relazione alle segnalazioni pervenute, il Congresso ritiene opportuno conferire
mandato al Presidente dell’ACRI, Avv. Guzzetti,affinché abbia a predisporre il testo
finale e conclusivo della mozione del XIX Congresso Nazionale delle Fondazioni bancarie e delle Casse di Risparmio, sulla base delle relazioni svolte e degli interventi che
si sono succeduti.
L’assemblea, a voti unanimi approva.
221
CONGRESSO NAZIONALE
FONDAZIONI BANCARIE
DELLE CASSE DI RISPARMIO
DELLE
E
SESSIONE CONCLUSIVA
LA MOZIONE
Congresso Nazionale
Mozione finale
XIIX° CONGRESSO NAZIONALE DELL’ACRI: MOZIONE FINALE
(Firenze, 12-13 giugno 2003)
Il XIX° Congresso Nazionale delle Fondazioni bancarie e delle Casse di Risparmio,
udite le relazioni e le comunicazioni presentate sul tema “Banche private e Fondazioni europee: autonomia e creazione di valore per le comunità locali”, nonché gli interventi che ne hanno ulteriormente approfondito i contenuti,
CONSTATATO
che nel corso dell’ultimo triennio sono stati adempiuti gli impegni indicati dalla
Mozione finale approvata nel corso del XVIII° Congresso Nazionale delle Fondazioni
bancarie e delle Casse di Risparmio ed in particolare:
Rapporti Fondazioni - Banche conferitarie
•
•
•
Sono stati sostanzialmente completati, entro i tempi fissati, gli adempimenti che
imponevano alle Fondazioni di dismetterne il controllo, nonostante i gravi ritardi
determinati dall’inchiesta della Commissione europea sugli aiuti di Stato e le
incertezze del quadro normativo introdotte con l’art. 11 della legge 448/2001.
È stata posta particolare attenzione alle modalità di applicazione della legge Ciampi per le Fondazioni e le Banche di minori dimensioni caratterizzate da un forte
radicamento sul territorio; l’Associazione, al riguardo, ha favorito il confronto
interno per l’individuazione delle migliori soluzioni in materia.
L’Associazione si è fortemente adoperata per la proroga dei termini per la dismissione della partecipazione di controllo delle Fondazioni di minori dimensioni, al
fine di consentire un più approfondito esame dell’obbligo, per le medesime, di dismettere il controllo della Cassa di riferimento.
Casse S.p.A.
•
•
Le Casse S.p.A. hanno potuto continuare a considerare la Fondazione bancaria di
riferimento quale socio istituzionale, al fine di ancorare l’azienda bancaria a interessi e peculiarità del territorio di riferimento.
Le Casse S.p.A. si sono confrontate fra loro, individuando le migliori strategie per
mantenere la propria autonomia o per meglio inserirsi in strutture federative o in
225
Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Mozione finale
Mozione finale
•
grandi gruppi, fruendo dei momenti di dibattito e di scambio di esperienze promossi in ambito associativo.
L’Associazione ha costituito, in particolare per le Casse S.p.A. di piccola e media
dimensione, un punto di riferimento ed un luogo di raccordo al fine del miglior
coordinamento della loro attività e della loro adeguata rappresentatività nell’ambito dell’ABI.
Fondazioni
•
•
•
•
•
•
La legge 23 dicembre 1998, n. 461 ed il dlgs 17 maggio 1999, n. 153 (cosiddetta
“Legge Ciampi”), hanno avuto piena attuazione con l’adeguamento degli statuti di
tutte le Fondazioni cosiddette bancarie. A seguito di tale adeguamento le Fondazioni sono state riconosciute “persone giuridiche private senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale”.
L’Associazione si è impegnata a difendere la piena affermazione della natura privata delle Fondazioni ed il riconoscimento della loro completa autonomia operativa
e di governo. A tal fine, dopo aver esperito tutte le possibili vie di dialogo e di confronto, ha coordinato le iniziative in sede giurisdizionale (Consiglio di Stato, TARLazio, Corte Costituzionale) per contrastare l’indebita compressione dell’autonomia delle Associate, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 11 della legge
448/2001.
Le Fondazioni del centro nord hanno avviato una iniziativa di solidarietà a favore
del Sud, tramite l’attivazione del progetto “Sviluppo Sud”, in una prima fase finalizzato alla promozione di distretti culturali nelle regioni meridionali.
Al fine di favorire un migliore utilizzo dei fondi per il volontariato di cui all’art.
15 della legge 266/91, l’Associazione ha operato per limitare i rischi di una destinazione inefficiente delle risorse, con un’assidua azione nelle sedi istituzionali preposte e con iniziative diverse, tra cui la sollecitazione di una modifica della medesima legge 266/91.
Si è maggiormente diffusa in Italia e nelle Fondazioni stesse una cultura delle Fondazioni di origine bancaria, come soggetti privati, eticamente motivati, capaci di
accrescere il loro patrimonio e di gestire iniziative di utilità sociale a sostegno, fra
l’altro, della ricerca scientifica, dell’istruzione, dell’arte, della conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali e dei beni ambientali, della sanità e dell’assistenza alle categorie sociali deboli.
Grazie ad un ampio dibattito sui media e ad un costante sforzo di informazione e
226
comunicazione, l’Associazione ha favorito la più ampia diffusione della conoscenza del ruolo delle Fondazioni presso le Istituzioni, le Formazioni Politiche, la
Società Civile ed il più ampio pubblico.
Su questi ed altri temi l’Associazione:
• ha affrontato in modo omogeneo i problemi comuni, anche attraverso momenti
di analisi dei principali modelli operativi e di confronto con esperienze internazionali.
• Nelle occasioni in cui è stata consultata dall’Autorità di vigilanza, come per l’emanazione di disposizioni transitorie in materia di bilanci, ha fornito le necessarie
indicazioni ed ha mantenuto aperto un dialogo tecnico con il “Tesoro” sulle questioni di interesse delle Associate, fra cui la proroga dei termini per la dismissione
delle partecipazioni di controllo nelle conferitarie, le agevolazioni fiscali e la possibilità di detenere immobili non strumentali a titolo di investimento.
• Ha favorito la realizzazione a livello territoriale delle Consulte regionali.
• Ha svolto un ruolo di raccordo e di coordinamento con gli Organismi internazionali.
• Ha assistito le Associate nei confronti della Commissione Europea in occasione
dell’inchiesta per i supposti aiuti di Stato, con esito favorevole.
CONSIDERATO
che le Fondazioni, oltre a dare piena attuazione alla riforma “Ciampi”, hanno dimostrato di saper innovare e sperimentare nuove forme di intervento, aggiungendo alle
tradizionali modalità grant-making la gestione diretta di attività, attraverso imprese
strumentali e fondazioni operative, mediante la costituzione di fondazioni comunitarie, tramite forme di partenariato con soggetti pubblici e/o privati nonché fra le medesime Fondazioni.
Che le Fondazioni, pur operando autonomamente secondo i rispettivi Statuti, hanno
manifestato disponibilità ad intervenire, su base volontaria e con un’adeguata efficienza operativa, su mirati obiettivi e progetti di interesse nazionale ed internazionale:
• l’avvio del riequilibrio della disomogenea distribuzione regionale delle risorse erogate dalle Fondazioni.
• Il rafforzamento delle infrastrutture, anche sociali, compatibilmente con l’autonomia, la redditività, la conservazione e possibilmente l’accrescimento del patrimo227
Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Mozione finale
Mozione finale
•
•
nio, nonché la destinazione degli interventi al territorio di riferimento.
La destinazione dei fondi della legge 266/1991 anche al finanziamento di progetti delle organizzazioni di volontariato, subordinatamente ad un utilizzo efficiente
ed efficace, evitandosi conflitti di interesse tra le organizzazioni medesime.
L’iniziativa internazionale a favore delle famiglie delle vittime italo-americane degli
eventi terroristici che hanno colpito gli Stati Uniti, denominata “Fondo 11 settembre”.
Che il Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio ha più volte riconosciuto il
ruolo positivo svolto dalle Fondazioni nel processo di ristrutturazione del credito ed
ha affermato1 che le medesime “hanno svolto un ruolo rilevante nella riorganizzazione e privatizzazione del sistema creditizio. È essenziale garantire continuità al ruolo da
esse svolto in quanto enti di natura privata con fini di utilità sociale”. Al riguardo il
Congresso esprime un caloroso e vivo apprezzamento al Governatore per tali valutazioni, nonché per la meritoria azione svolta per l’ammodernamento del sistema bancario italiano, in coerenza con le politiche dell’Unione Europea.
Che gli ultimi anni hanno visto affermarsi, a livello internazionale e nazionale, l’orientamento a valorizzare appieno il patrimonio genetico e storico delle Casse di
Risparmio: l’attenzione, nello svolgimento dell’attività d’impresa, alla dimensione
etica ed alla responsabilità sociale interna (incentrata sulle relazioni con clienti, fornitori, dipendenti) ed esterna (orientata allo sviluppo economico e sociale della comunità di riferimento).
Che l’attenzione alle esigenze del territorio è tutelata in modo ottimale, per le Casse
di minori dimensioni, dal mantenimento del ruolo di azionista di rilievo della Fondazione nella Cassa s.p.a. Le sinergie fra l’attività della Banca a favore dello sviluppo economico e l’attività della Fondazione che, con gli utili della Banca, promuove lo sviluppo sociale della Comunità locale, sono fondamentali per i territori serviti. Pertanto è necessaria un’azione tendente a riconsiderare l’obbligo di perdita del controllo
delle società bancarie da parte delle Fondazioni di minori dimensioni.
Che le Casse S.p.A. hanno saputo valorizzare il loro ruolo e le loro specificità dimen-
1
Considerazioni finali, Assemblea generale ordinaria dei partecipanti di Banca d’Italia per l’anno 2002, tenuta il 31.05.03.
228
sionali e di legame col territorio nei gruppi bancari da esse guidati o partecipati e che
continueranno ad adoperarsi, coordinandosi con le altre Banche di origini diverse nell’ambito dell’ABI, anche avvalendosi dell’ACRI, per la valorizzazione degli interessi
comuni.
Che le scelte societarie spettano agli azionisti degli Istituti di credito, al fine di meglio
conseguire le finalità statutarie nei confronti degli azionisti medesimi e degli stakeholder in generale.
SOLLECITA
l’annunciata revisione del Titolo II del Libro I del codice civile quale occasione per
ricondurre le Fondazioni nell’alveo della disciplina comune delle fondazioni private,
esaurendo la competenza del “Tesoro” sulle Fondazioni di origine bancaria.
RIBADISCE
che l’Autorità di vigilanza deve esercitare, nel frattempo, le proprie prerogative nel
rispetto delle funzioni, del ruolo e della natura giuridica privata che la legge ha assegnato alle Fondazioni, cessando le indebite interferenze attraverso circolari, note e
direttive della Direzione IV del Ministero del Tesoro che, ulteriormente ed illegittimamente, comprimono l’autonomia delle Fondazioni, in particolare per quanto concerne le funzioni essenziali e fondamentali degli organi delle medesime, quali la gestione del patrimonio ed il perseguimento delle finalità istituzionali.
Che il mantenimento di una disciplina unitaria delle Fondazioni a livello nazionale
può ben coniugarsi con un processo di evoluzione verso un modello a carattere federale, che è stato accompagnato in sede associativa dalla costituzione delle Consulte territoriali, al fine di favorire un sempre ulteriore miglioramento delle relazioni con gli
Enti locali.
Che deve essere prestata particolare attenzione, quali eventi centrali per le Fondazioni, all’allargamento della Unione Europea ai Paesi dell’est ed alla prossima definizione
della Costituzione europea. Le Fondazioni potranno trarre una nuova spinta per il loro
operato dalla possibile definizione a livello comunitario di uno statuto delle Fondazioni, alla cui stesura è opportuno che le stesse partecipino attraverso i competenti
229
Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Mozione finale
Mozione finale
Organismi internazionali, nel rispetto delle caratteristiche originarie delle Associate e
anche sulla base della proposta predisposta dallo European Foundation Centre.
tà che ha svolto e sta svolgendo con dedizione e successo,
RINGRAZIA
Che è necessario costituire un veicolo per il confronto ed il coordinamento sui temi
comuni a più fondazioni, anche di origine diversa e per i loro rapporti internazionali.
Che è necessario continuare l’efficace azione di comunicazione già avviata a supporto
dell’ampia attività istituzionale svolta dall’Associazione e dalle Associate.
le Forze Parlamentari, le Associazioni del Terzo Settore e tutti coloro che hanno difeso il ruolo sussidiario delle Fondazioni e la loro autonomia ed in particolare i Parlamentari intervenuti con i loro contributi al Congresso,
IMPEGNA
TENUTO CONTO
che i positivi risultati conseguiti dalle Fondazioni sono stati resi possibili dalla autonomia operativa e di governo delle medesime, spingendole ad operare in via sussidiaria e non sostitutiva a soggetti privati e pubblici, coerentemente con il nuovo principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale affermato dall’art. 118.
l’ACRI a dare attuazione alla presente Mozione e ciò al fine di consentire a Fondazioni e Casse S.p.A. di svolgere i rispettivi ruoli istituzionali in piena autonomia statutaria e gestionale.
Che tale principio rafforza ulteriormente la missione delle Fondazioni, assegnando
loro un ruolo attivo nell’ambito del privato sociale ed esaltandone la funzione già prevista dalla legge “Ciampi”, laddove attribuisce alle Fondazioni finalità di utilità sociale e di sviluppo dell’economia locale, fermi restando compiti e funzioni che la legge
assegna ad altre istituzioni.
Che le Fondazioni si sono opposte all’attuazione dell’art. 11 della legge 448/2001 in
difesa di tale ruolo, funzionale al rafforzamento sia di un moderno sistema democratico, sia della capacità di risposta del settore non profit ai crescenti bisogni della collettività, nonché in attuazione della mozione di Torino che auspicava: “Le Fondazioni
si propongano come soggetto che sviluppa e fa crescere le potenzialità della società
civile e delle sue Istituzioni. Solo in questo modo potrà infatti affermarsi quel pluralismo istituzionale che rappresenta una delle condizioni di convivenza democratica e di
risoluzione dei problemi della collettività.”
Il Congresso
APPROVA
la relazione del Presidente avv. Giuseppe Guzzetti che ringrazia vivamente per l’attivi230
231
Congresso Nazionale
Intervento di chiusura
Giuseppe Guzzetti
Saluti conclusivi
Vorrei ringraziare i colleghi Carmi e Benedetti per questa ospitalità, all’altezza della
storia dei Granduchi di Toscana e delle famiglie di Firenze.
Ieri, con la mia lunga relazione, ho già abusato della vostra pazienza ed, oggi, non ho
altro da aggiungere, se non ribadire questi ringraziamenti sinceri per l’ospitalità. Eravamo assolutamente certi che ci saremmo trovati bene.
Rispetto al Congresso di Torino, senza far torto a nessuno, credo che questo sia stato
un Congresso assolutamente diverso, per l’ampia partecipazione, soprattutto, dei rappresentanti delle Fondazioni e delle Casse di Risparmio. Com’è noto, siamo in un
momento molto delicato, di attesa della decisione della Corte Costituzionale, che sarà
assolutamente dirimente rispetto al futuro delle Fondazioni. Come abbiamo detto ieri
e ribadito oggi nella mozione, aspettiamo serenamente e con fiducia il pronunciamento dell’organo supremo di giustizia del nostro Paese.
Credo, inoltre, di dover dire che il Congresso è stato molto interessante, soprattutto,
per le relazioni che sono state svolte, tutte di altissimo livello, di grandi contenuti.
Quali che siano le vicende che ci interessano, certamente tali contributi aiuteranno nel
futuro l’Associazione, nella propria attività e nelle proprie iniziative.
Avrete misurato, ieri, l’attenzione con la quale le forze politiche, i parlamentari seguono le nostre vicende e quanto sia cambiata la situazione rispetto a prima, quando le
Fondazioni vivevano una condizione di svantaggio in quelle sedi, le più qualificate dal
punto di vista legislativo e di governo.
Vorrei ringraziare, quindi, tutti i politici che hanno partecipato e che hanno portato
al Congresso le loro esperienze, le loro posizioni arricchendo gli argomenti ed i temi
qui affrontati.
Il merito è di tutti poiché l’impegno è stato compatto, corale, di tutte le Fondazioni e
degli organi che operano sul territorio, quindi, un convoglio numeroso, complicato e
complesso che ci ha consentito di avere una forte compattezza.
Abbiamo ascoltato, ieri, tre interventi di persone che hanno responsabilità nel condurre le associazioni di volontariato, del no profit. Questi hanno affrontato argomenti importanti e per i quali si sono mossi, assieme a noi, al fine di difendere la natura
privata e l’autonomia delle Fondazioni.
Allora avevamo dichiarato, a pie’ di pagina del manifesto pubblicato su tutti i giornali, che la loro espressione era del tutto autonoma, non sollecitata e non condizionata
dall’ACRI o dalle Fondazioni. Ieri, i motivi, le ragioni innanzitutto culturali, prima
233
Congresso Nazionale
Intervento di chiusura
ancora di quelle giuridiche, sono emerse con forza dai loro interventi.
Credo di non dover dire nulla di più, se non ribadire che alla lettera del Ministro dell’Economia e delle Finanze, che sollecitava collaborazione e disponibilità, la risposta di
questo Congresso è di disponibilità e di collaborazione nel rispetto reciproco delle
nostre funzioni e delle nostre competenze, così come noi abbiamo sempre rispettato
le funzioni e le competenze dell’autorità di vigilanza.
Il passaggio, ribadito nella mozione, si riferisce non solo alla disponibilità delle Fondazioni ad affrontare i grandi temi, le grandi questioni, le infrastrutture, le erogazioni
e quant’altro, ma anche alla necessità di una collaborazione reciproca.
Mi fermo qui e vi ringrazio tutti, soprattutto ringrazio voi che siete stati i più diligenti, i più fedeli e, cioè, quelli che hanno seguito il Congresso fino alla sua conclusione.
E faccio tanti auguri alle vostre Fondazioni, alle vostre Casse e alla vostra attività. Speriamo che la prossima volta possiamo trovarci in una condizione migliore, con alle
spalle un buon lavoro svolto in un arco di tempo tranquillo e con una prospettiva più
serena per il futuro. Grazie e tanti auguri.
CONGRESSO NAZIONALE
FONDAZIONI BANCARIE
DELLE CASSE DI RISPARMIO
DELLE
E
ELENCO DEI PARTECIPANTI
234
Congresso Nazionale
Elenco dei partecipanti
PIERANTONI Dr. Federico
Segretario
Associazione Federativa tra Casse e Monti dell’Emilia-Romagna
BERNESCHI Dr. Giovanni
Presidente
Banca Carige S.p.A. - Cassa di Risparmio di
Genova e Imperia
SANGUINETTO Rag. Alfredo
Direttore Generale
Banca Carige S.p.A. - Cassa di Risparmio di
Genova e Imperia
ALLOCCO Rag. Giuseppe
Direttore Generale
Banca Cassa di Risparmio di Savigliano S.p.A.
BRONDELLI DI BRONDELLO Conte Guido
Vice Presidente
Banca Cassa di Risparmio di Savigliano S.p.A.
ROCCA Avv. Giovanni Battista
Presidente
Banca Cassa di Risparmio di Savigliano S.p.A.
DALLARI Dr. Roberto
Presidente
Banca del Monte di Lucca S.p.A.
VANNUCCHI Dr. Luigi
Direttore Generale
Banca del Monte di Lucca S.p.A.
RINALDI Dr. Alessandro
Presidente
CARIRI - Cassa di Risparmio di Rieti S.p.A.
ASCARI RACCAGNI On. Dr. Renato
Presidente
Cassa dei Risparmi di Forlì S.p.A.
METRI Dr. Lucio
Direttore Generale
Cassa dei Risparmi di Forlì S.p.A.
CLEMENTI Dr. Santino
Presidente
Cassa di Risparmio della Provincia di Viterbo
S.p.A.
CORRADINO Avv. Andrea
Presidente
Cassa di Risparmio della Spezia S.p.A.
MARTINI Rag. Gian Paolo
Direttore Generale
Cassa di Risparmio della Spezia S.p.A.
PERNICE Dr. Giuseppe
Presidente
Cassa di Risparmio di Alessandria S.p.A.
PEDRAZZI Rag. Silvio
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno S.p.A.
BRUSCIOTTI Prof. Avv. Bruno
Vice Presidente
Banca delle Marche S.p.A.
SPALVIERI Dr. Franco
Presidente
Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno S.p.A.
PERINI P. A. Tonino
Presidente
Banca delle Marche S.p.A.
VIMERCATI Prof. Dr. Carlo Paolo
Vice Presidente
Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno S.p.A.
FIGINI Dr. Ennio
Presidente
Carilo - Cassa di Risparmio di Loreto S.p.A.
NEGRI Rag. Gian Piero
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Bra S.p.A.
237
Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Elenco dei partecipanti
Elenco dei partecipanti
NEGRI Dr. Mario
Presidente
Cassa di Risparmio di Carrara S.p.A.
BENEDETTI Dr. Aureliano
Presidente
Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A.
TERRIN Dr. Demetrio
Presidente Collegio Sindacale
Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo S.p.A.
MALVETANI Prof. Terenzio
Presidente
Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A.
CILLONI Cav. Uff. Rag. Alberto
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Cento S.p.A.
BUSI Dr. Giampiero
Vice Presidente
Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A.
ZOLLO Dr. Gabriele
Presidente
Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia S.p.A.
MARIANI Dr. Massimo
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Terni e Narni S.p.A.
LUCCHI Dr. Germano
Presidente
Cassa di Risparmio di Cesena S.p.A.
MOSCATELLI Dr. Lino
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Firenze S.p.A.
PATUELLI Dr. Antonio
Presidente
Cassa di Risparmio di Ravenna S.p.A.
APPIOTTI Avv. Carlo
Presidente
Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone S.p.A.
D’INGECCO Dr. Denio
Presidente
Cassa di Risparmio di Foligno S.p.A.
MARTINI Rag. Alberto
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Rimini S.p.A. - Carim
BEORCHIA Avv. Claudio
Vice Presidente
Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone S.p.A.
DI COMITE Dr. Emilio
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Foligno S.p.A.
PELLICCIONI Dr. Fernando Maria
Presidente
Cassa di Risparmio di Rimini S.p.A. - Carim
MALATTIA Avv. Bruno
Vice Presidente Vicario
Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone S.p.A.
BASSINO Dr. Mario
Vice Presidente
Cassa di Risparmio di Fossano S.p.A.
SUCCI Geom. Serafino
Vice Presidente
Cassa di Risparmio di Rimini S.p.A. - Carim
GHISOLFI Prof. Giuseppe
Presidente
Cassa di Risparmio di Fossano S.p.A.
ANDREIS Geom. Giovanni
Presidente
Cassa di Risparmio di Saluzzo S.p.A.
MONDINO Dr. Gianfranco
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Fossano S.p.A.
VENTURA Rag. Vincenzo
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Saluzzo S.p.A.
SACCHI MORSIANI Cav. Gr. Cr. Prof. Avv.
Gianguido
Presidente
Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A.
PALMA Avv. Alberto
Presidente
Cassa di Risparmio di Fermo S.p.A.
TRIPANI Comm. Dr. Antonio
Presidente
Cassa di Risparmio di Gorizia S.p.A.
CIULLI Dr. Sandro
Presidente
Cassa di Risparmio di San Miniato S.p.A.
GHERDOVICH Avv. Antonio
Vice Direttore Generale
Ente Cassa di Risparmio di Firenze
MUROLO Dr. Gennaro
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A.
GUARIGLIA Avv. Giovanni
Presidente
Cassa di Risparmio di Orvieto S.p.A.
BARTOLINI Prof. Franco
Presidente
Cassa di Risparmio di Savona S.p.A.
SPERANZA Avv. Edoardo
Vice Presidente
Ente Cassa di Risparmio di Firenze
SANTINI Dr. Alfredo
Presidente
Cassa di Risparmio di Ferrara S.p.A.
PECCHI Rag. Bruno
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Orvieto S.p.A.
PACIFICI P. I. Alberto
Presidente
Cassa di Risparmio di Spoleto S.p.A.
CARMI Cav. Lav. Alberto
Presidente
Ente Cassa di Risparmio di Firenze
BISTONI Sig. Sergio
Presidente
Cassa di Risparmio di Città di Castello S.p.A.
CALDERAI Avv. Ezio
Presidente
Cassa di Risparmio di Civitavecchia S.p.A.
SARTI Rag. Giuliano
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Civitavecchia S.p.A.
ALIANELLO Dr. Piergiorgio
Presidente
Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana S.p.A
TAGLIAFERRO Dr. Vincenzo
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Fabriano e Cupramontana S.p.A
238
SAMMARTINI C.te Giovanni
Presidente
Cassa di Risparmio di Venezia S.p.A.
PEPI Rag. Roberto
Direttore Generale
Cassa di Risparmio di Volterra S.p.A.
239
Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Elenco dei partecipanti
Elenco dei partecipanti
TANINI Dr. Francesco
Sindaco Effettivo
Ente Cassa di Risparmio di Firenze
SANGALLI Dr. Carlo
Vice Presidente
Fondazione Cariplo
DELLA CANANEA Dr. Giulio
Presidente
Fondazione “Antonio Manes”
CROCICCHIA Dr. Marco
Segretario Generale
Fondazione Carivit
GALIMBERTI Dr. Giovanni Maria
Vice Presidente
Fondazione Banca del Monte di Lombardia
PERUGI Avv. Aldo
Presidente
Fondazione Carivit
LAZZARI Rag. Nicodemo
Vice Presidente
Fondazione Banca del Monte di Lucca
CAPPELLI p.a. Dino
Consigliere
Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
MARCUCCI Dr. Paolo Francesco
Consigliere
Fondazione Banca del Monte di Lucca
CASADEI Prof. Avv. Ettore
Membro
Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
BUOSO Dr. Adriano
Presidente
Fondazione Banca del Monte di Rovigo
PISTILLI Dr. Riccardo
Segretario Generale
Fondazione Banca del Monte di Rovigo
CAVINA Dott.ssa Mirella
Segretario Generale
Fondazione Banca del Monte e Cassa di
Risparmio Faenza
ARRU Avv. Antonello
Presidente
Fondazione Banco di Sardegna
PIRAS Dr. Ugo
Segretario Generale
Fondazione Banco di Sardegna
RAVASIO Dr. Renato
Segretario Generale
Fondazione Cariplo
240
DOLCINI Avv. Piergiuseppe
Presidente
Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
BARSOTTI Avv. Luciano
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno
NARDI Avv. Luciano
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno
VENTURINI Prof. Carlo
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmi di Livorno
AMBROSIO Dr. Giovanni
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia
dell’Aquila
PLACIDI Avv. Antonio
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia
dell’Aquila
DI NISIO Arch. Mario
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia
di Chieti
NUZZO Prof. Avv. Mario
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia
di Teramo
BACCHINI D.ssa Eliana
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia
MELLEY Avv. Matteo
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia
TRICERRI Dr. Edoardo
Direttore
Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia
PITTATORE Dr. Gianfranco
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria
MARINI MARINI Dr. Vincenzo
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno
ZAPPASODI Dr. Fabrizio
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno
SODANO Ing. Andrea
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Asti Vice
BRANDSTATTER Avv. Dr. Gerhard
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Bolzano
VIGNA Avv. Donatella
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Bra
BOZZO Prof. Mario
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Calabria e di
Lucania
MORRONE Avv. Luigi
Direttore Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Calabria e di
Lucania
BONI Rag. Pier Luigi
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara
MUSSI Sig. Giovanni Ercole
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara
DALTRI Dr. Giancarlo
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena
PIZZOCCHERI Avv. Paolo
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena
TREVISANI Cav. Lav. Davide
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena
CIABATTINI Dr. Mario
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Biella
VANNOCCHI Dr. Tommaso
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Città di
Castello
SQUILLARIO Avv. Luigi
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Biella
RICCHIUTO Avv. Carlo
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Civitavecchia
241
Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Elenco dei partecipanti
Elenco dei partecipanti
MOLINENGO Dr. Fulvio
Vice Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo
LENZI Dr. Sergio
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara
CIPOLLETTI Rag. Claudio
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Loreto
SERVETTO Dr. Giovanni
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo
PUGLIOLI Dr. Piero
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara
AGRETTI Dr. Pier Marco
Direttore
Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca
ODDERO Dr. Giacomo
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo
REGGIO Avv. Guido
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara
CATTANI Avv. Giovanni Giorgio
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca
SORDO Ing. Sebastiano Teresio
Vice Presidente Anz.
Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo
MANDARINO Rag. Silvio
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano
MARCHETTI Dr. Giampiero
Presidente Collegio Revisori Conti
Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca
GIAMPAOLETTI Sig. Mario
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Fabriano e
Cupramontana
MIGLIO Dr. Antonio
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano
PRANZO Avv. Pietro
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola
FUCILI Avv. Romolo
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
LORENZELLI Prof. Vincenzo
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e
Imperia
TRIONFINI Dr. Edmondo
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola
SILINGARDI Dr. Luciano
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Parma e
M.C.P. di Busseto
VALENTINI Dr. Valentino
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
CANDUSSO Cav. Uff. Galdino
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia
BALDINI Dr. Gianfranco
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
MASCIARRI Dr. Giuliano
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia
LUZI Dr. Ing. Paolo
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
TIRELLI Dr. Enzo
Consigliere
Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia
PEZZUOLI Dott.ssa Maria Concetta
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
FICARI Dr. Alberto
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
GRILLI Ing. Amedeo
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo
CORRADO Dr. Francesco
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Imola
CIARDIELLO Avv. Adolfo
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto
RIPA Avv. Alfio
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo
LAMBERTINI Dr. Lamberto
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Imola
TATTA Dr. Carlo
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto
ROMANELLI Sig. Giancarlo
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Fermo
SANTI Dr.Ing. Sergio
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Imola
TERRACINA Arch. Torquato
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto
242
FINOTTI Gr. Uff. Rag. Antonio
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e
Rovigo
SARO Dr. Roberto
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e
Rovigo
CONTESTABILI Dr. Giorgio
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Parma e
M.C.P. di Busseto
DEL SANTE DR. Giorgio
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Parma e
M.C.P. di Busseto
LUCHETTI Dr. Leonardo
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
SABBATINI Avv. Gianfranco
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
MATTOSCIO Prof. Nicola
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Pescara e di
Loreto Aprutino
243
Congresso Nazionale
Congresso Nazionale
Elenco dei partecipanti
Elenco dei partecipanti
MAGNANI Rag. Marzio
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia
Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini
MORETTI Dr. Renato
Direttore Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini
MANDORLI Rag. Gian Franco
Consigliere
Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia
EMANUELE Prof. Avv. Emmanuele Francesco
Maria
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Roma
PACI Prof. Ivano
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia
GATTI Prof. Avv. Serafino
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Roma
CASTORANI Prof. Ing. Antonio
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia
MARTINELLI Avv. Leonardo
Direttore
Fondazione Cassa di Risparmio di Puglia
ARGNANI Sig. Romano
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna
PARASASSI Rag. Franco
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Roma
PONZALINO Dott.ssa Laura
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo
RABBIA Prof. Giovanni
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo
EROLI Avv. Giovanni
Consigliere
Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni
ROLI Dr. Paolo
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Vignola
TRIGLIA Sen. Riccardo
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Torino
MALEVOLTI Dr. Sandro
Consigliere
Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra
FAVARETTO Dr. Tito
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste
ANTONINI CANTERIN Dr. Silvano
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone
COMMESSATTI Dr. Pietro
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone
D’AGOSTINI Dr. Lionello
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone
LAMBERTINI Dr. Giancarlo
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
ROVERSI MONACO Comm. Prof. Avv. Fabio
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
PAVAN Sen. Angelo
Vice Presidente
Fondazione Cassamarca
LUNATI Dr. Alessandro
Direttore Generale
Fondazione di Piacenza e Vigevano
CHIAPPINI Prof. Umberto
V. Presidente Vicario
Fondazione di Piacenza e Vigevano
BACIGALUPO Dr. Mario
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna
BARETTA Rag. Giovanni
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Savigliano
PADOVESE Prof. Luciano
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone
BIGI Sig. Mauro
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia - Pietro Manodori
GOVERNA Dr. Roberto
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Savigliano
MAROTTA Dr. Umberto
Direttore Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia
NOVELLI Sig. Torquato
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Spoleto
CAMOZZI Dr. Marcello
Vice Presidente CdA
Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli
POMPILI P. I. Dario
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Spoleto
CASALINI Avv. Dario
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli
PARLANGELI Dr. Marco
Direttore Generale
Fondazione Monte dei Paschi di Siena
PROIETTI Rag. Mario
Segretario Generale
Fondazione Cassa di Risparmio di Spoleto
CARIANI Dr. Giorgio
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Vignola
GAIBAZZI Avv. Walter
Presidente
Fondazione Monte di Parma
DE SANCTIS Avv. Innocenzo
Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Rieti
AURELI Dr. Alfredo
Vice Presidente
Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini
CHICCHI Dr. Luciano
Presidente
244
MANCINI Rag. Gabriello
Vice Presidente
Fondazione Monte dei Paschi di Siena
MUSSARI Avv. Giuseppe
Presidente
Fondazione Monte dei Paschi di Siena
245
Finito di stampare nel dicembre 2003
Varigrafica Alto Lazio - Nepi