Rivista di Algologia Clinica e Sperimentale Volume 19
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Poste Italiane SpA - sped. in abbon. postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 1, DCB, Milano periodico Omologato MI ROSERIO CMP Rivista di Algologia Clinica e Sperimentale Volume 19, numero 4, 2012 ISSN 1593-2354 RIASSUNTO DELLE CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione. 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA 1 ml contiene 10 mg di paracetamolo. Una sacca da 50 ml contiene 500 mg di paracetamolo.Una sacca da 100 ml contiene 1000 mg di paracetamolo. Eccipienti: 0,79 mg/ml di sodio. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere sezione 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Soluzione per infusione.Soluzione limpida da incolore a leggermente giallastra. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche Tachipirina soluzione per infusione è indicata per il trattamento a breve termine del dolore di intensità moderata, specialmente a seguito di intervento chirurgico e per il trattamento a breve termine della febbre, quando la somministrazione per via endovenosa sia giustificata dal punto di vista clinico dall’urgente necessità di trattare il dolore o l’ipertermia e/o quando altre vie di somministrazione siano impossibili da praticare. 4.2 Posologia e modo di somministrazione Per uso endovenoso. La sacca da 100 ml è riservata agli adulti, agli adolescenti ed ai bambini di peso superiore a 33 kg. La sacca da 50 ml è riservata ai neonati nati a termine, alla prima infanzia, ai bambini che iniziano a camminare ed ai bambini con peso inferiore a 33 kg. Posologia Il dosaggio deve basarsi sul peso del paziente (riferirsi alla tabella di seguito riportata). Peso del paziente Dose per somministrazione Volume per somministrazione Volume massimo di Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione per somministrazione basato sui limiti di peso superiori del gruppo (ml)*** ≤10 kg* (sono inclusi in questo gruppo i pazienti che pesano esattamente 10 kg) 7,5 mg/kg 0,75 ml/kg 7,5 ml >10 kg a ≤33 kg (sono inclusi in questo gruppo i pazienti che pesano esattamente 33 kg) 15 mg/kg 1,5 ml/kg 49,5 ml > 33 kg a ≤50 kg (sono inclusi in questo gruppo i pazienti che pesano esattamente 50 kg) 15 mg/kg 1,5 ml/kg 75 ml 60 mg/kg non eccedendo i 3 g >50 kg con fattori di rischio addizionali per tossicità epatica 1g 100 ml 100 ml 3g >50 kg senza fattori di rischio addizionali per tossicità epatica 1g 100 ml 100 ml 4g Dose massima giornaliera** 30 mg/kg 60 mg/kg non eccedendo i 2 g * Neonati prematuri: Non sono disponibili dati di sicurezza e di efficacia per neonati prematuri (vedere anche sezione 5.2). ** Dose massima giornaliera: La dose massima giornaliera, così come indicata nella tabella soprariportata, è relativa a pazienti che non assumono altri prodotti contenenti paracetamolo e deve essere modificata di conseguenza tenendo conto dell’assunzione di tali prodotti. *** Pazienti con peso inferiore richiedono volumi inferiori. L’intervallo minimo tra ciascuna somministrazione deve essere di almeno 4 ore. L’intervallo minimo tra ciascuna somministrazione nei pazienti con insufficienza renale grave deve essere di almeno 6 ore. Non devono essere somministrate più di 4 dosi nelle 24 ore. Modo di somministrazione Per evitare errori di dosaggio dovuti alla confusione tra milligrammi (mg) e millilitri (ml), che potrebbero determinare sovradosaggio accidentale e morte, bisogna prestare attenzione quando viene prescritta e somministrata Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione. Assicurarsi che sia comunicata e dispensata la dose corretta. Includere nelle prescrizioni sia la dose totale in mg che in volume. Assicurarsi che la dose sia misurata e somministrata con precisione. Il paracetamolo in soluzione si somministra come infusione endovenosa in 15 minuti. Rivista Ufficiale Federdolore - SICD Consiglio Direttivo Federdolore - SICD Presidente Francesco Amato Vicepresidente Sergio Mameli Presidente onorario Guido Fanelli Segretario Giovanni Maria Pisanu Referenti Area Nord Gianpaolo Fortini Area Centro Laura Bertini Area Sud Pasquale De Negri Isole Filippo Bellinghieri Consiglieri Massimo Allegri Sergio Chisari Giuseppe Ciliberto Leonardo Consoletti Laura De Martini Rita Maria Melotti Vincenzo Palmieri Alfonso Papa Quirino Piacevoli William Raffaeli www.sicd.net Direzione scientifica Francesco Amato Sergio Mameli Paolo Marchettini Guido Orlandini William Raffaeli Alessandro Fabrizio Sabato Maria Luisa Sotgiu Corrispondenti Anestesia F. Bruno (Bari) S. Codeleoncini (Milano) A. Marchi (Cagliari) P. Notaro (Milano) V.A. Peduto (Perugia) G. Savoia (Napoli) Anestesia ostetrico-ginecologica D. Celleno (Roma) Anestesie loco-regionali e blocchi V. Moschini (Milano) G. Ramella (Milano) Cefalee C. Caputi (Ancona) M. Del Zompo (Cagliari) M. Lacerenza (Milano) D. Moscato (Roma) F. Rizzi (Milano) E. Sternieri (Modena) Dolore da cancro e cure palliative A. Caraceni (Milano) L. Piva (Milano) A. Turriziani (Roma) Dolore neuropatico P. Marchettini (Milano) A. F. Sabato (Roma) Dolore postoperatorio M. Berti (Parma) C. Mattia (Roma) Farmacologia E. Molina (Parma) Fisiatria e Riabilitazione V. Santilli (Roma) Fisiologia A. Aloisi (Siena) Fisiologia clinica R. Casale (Montescano) M.A. Giamberardino (Chieti) Geriatria D. Cova (Milano) Medicina del dolore M. Bevilacqua (Venezia) C. Bonezzi (Pavia) G. Colini Baldeschi (Roma) A. Costantini (Chieti) V. Iorno (Milano) F. Paoletti (Perugia) P. Poli (Pisa) G. Varrassi (L’Aquila) Neurochirurgia I. Dones (Milano) Neurologia G. Cruccu (Roma) F. Nicoletti (Roma) Pediatria F. Benini (Padova) A. Clerico (Roma) Reumatologia M. Broggini (Varese) In copertina: Immagini dal mondo. Campagna innevata, Polonia Sud occidentale. Archivio fotografico Fotolia Publiediting. Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 3 Pazienti di peso ≤ 10 kg: • La sacca non deve essere appesa come nel caso di un’infusione, dato il ridotto volume di prodotto da somministrare a questi pazienti. • Il volume da somministrare deve essere prelevato dalla sacca e diluito in una soluzione di sodio cloruro allo 0,9% o in una soluzione glucosata al 5% fino ad un decimo (un volume di Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione in nove volumi di diluente) e somministrato in 15 minuti. • Usare una siringa da 5 o 10 ml per misurare la dose appropriata al peso del bambino e il volume desiderato. Ad ogni modo questo volume non dovrebbe mai eccedere i 7,5 ml per dose. • Attenersi scupolosamente alle indicazioni sul dosaggio riportate negli stampati. Come per tutte le soluzioni per infusione contenute in sacche di PVC, si deve ricordare che uno stretto monitoraggio è richiesto specialmente alla fine dell’infusione, indipendentemente dalla via di somministrazione. Tale monitoraggio alla fine della perfusione deve essere adottato specialmente nel caso di infusioni attraverso vie centrali, in modo da evitare embolismo gassoso. 4.3Controindicazioni Tachipirina soluzione per infusione è controindicata: • in pazienti con ipersensibilità al paracetamolo o al propacetamolo cloridrato (profarmaco del paracetamolo) o ad uno qualsiasi degli eccipienti. • in caso di grave insufficienza epatocellulare. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego Avvertenze Rischio di errori di dosaggio Fare attenzione ad evitare errori di dosaggio dovuti alla confusione tra milligrammi (mg) e millilitri (ml). Questo potrebbe determinare un sovradosaggio accidentale e morte (vedere paragrafo 4.2) Si raccomanda l’uso di un adeguato trattamento analgesico per via orale appena questa via di somministrazione sia possibile. Al fine di evitare il rischio di sovradosaggio, si controlli che altri farmaci somministrati non contengano né paracetamolo né propacetamolo. Dosaggi più elevati di quelli raccomandati comportano il rischio di gravissimo danno epatico. I sintomi e i segni clinici di danno epatico (incluse epatite fulminante, insufficienza epatica, epatite colestatica, epatite citolitica) si manifestano generalmente già dopo due giorni di somministrazione del medicinale con un picco dopo 4-6 giorni. Il trattamento con l’antidoto deve essere somministrato prima possibile (vedere paragrafo 4.9). Tachipirina soluzione per infusione contiene 3,5 millimoli di sodio (79,4 mg) ogni 100 ml, da tenere in considerazione in persone con ridotta funzionalità renale o che seguono una dieta a basso contenuto di sodio. Precauzioni d’impiego Il paracetamolo deve essere usato con cautela in caso di: - insufficienza renale grave (clearance della creatinina ≤ 30 ml/min) (vedere paragrafi 4.2 e 5.2), - insufficienza epatocellulare - patologie epatobiliari, -funzione epatica alterata, - alcolismo cronico, - malnutrizione cronica (bassa riserva di glutatione epatico), - disidratazione. 4.5 Interazioni con altri medicinali e altre forme di interazione Il probenecid causa una riduzione della clearance del paracetamolo di circa due volte, inibendo la sua coniugazione con acido glucuronico. In caso di trattamento concomitante con probenecid si deve considerare una riduzione della dose di paracetamolo. La salicilamide può prolungare l’emivita di eliminazione del paracetamolo. Occorre esercitare cautela in caso di assunzione concomitante di induttori enzimatici (vedere paragrafo 4.9). L’uso concomitante di paracetamolo (4 g al giorno per almeno 4 giorni) con anticoagulanti orali può indurre leggere variazioni nei valori INR. In questo caso, deve essere effettuato un aumentato monitoraggio dei valori di INR durante il periodo di trattamento concomitante e per una settimana dopo la sospensione del trattamento con paracetamolo. 4.6 Gravidanza ed allattamento Gravidanza L’esperienza clinica sulla somministrazione endovenosa di paracetamolo è limitata. Tuttavia, i dati epidemiologici sull’uso di dosi terapeutiche orali di paracetamolo non rivelano effetti indesiderati sulla gravidanza o sulla salute del feto/neonato. Dati prospettici sulle gravidanze esposte al sovradosaggio non hanno mostrato un aumento del rischio di malformazioni. Non sono stati effettuati, negli animali, studi riproduttivi con la forma endovenosa di paracetamolo. Tuttavia gli studi con la forma orale non hanno mostrato alcuna malformazione né effetti fetotossici. Nonostante questo Tachipirina soluzione per infusione deve essere impiegato durante la gravidanza solamente dopo un’attenta valutazione del rapporto beneficio/rischio. In questo caso, la posologia e la durata del trattamento raccomandate devono essere strettamente osservate. Allattamento Dopo somministrazione orale, il paracetamolo è escreto nel latte materno in piccole quantità. Non sono stati riportati effetti indesiderati nei bambini in allattamento. Di conseguenza Tachipirina soluzione per infusione può essere usato nelle donne che allattano al seno. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari Tachipirina soluzione iniettabile non altera la capacità di guidare veicoli o di usare macchinari. 4.8 Effetti indesiderati Come per tutti i farmaci a base di paracetamolo, le reazioni avverse sono rare (>1/10.000, <1/1000) o molto rare (<1/10.000), e sono di seguito descritte: Organi e sistemi Raro (>1/10.000, <1/1000) Molto raro (<1/10.000) Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Malessere Reazioni di ipersensibilità Patologie cardiache e patologie vascolari Ipotensione Patologie epatobiliari Aumento dei livelli di transaminasi epatiche Patologie del sistema emolinfopoietico Trombocitopenia, leucopenia e neutropenia Durante gli studi clinici, sono state segnalate frequenti reazioni avverse alla sede di somministrazione (dolore e sensazione di bruciore). Sono stati segnalati casi molto rari di reazioni di ipersensibilità, dalla semplice eruzione cutanea o orticaria allo shock anafilattico, che richiedono l’interruzione del trattamento. Sono stati segnalati casi di eritema, arrossamento, prurito e tachicardia. Rivista di Algologia Clinica e Sperimentale Volume 19, numero 4 Dicembre 2012 www.pathos-journal.com Sommario Fondatore Mario Tiengo Editoriale Direttore editoriale Maria Luisa Sotgiu Review Direttore responsabile Mara Sala Review Segreteria di redazione Martina Serra Impaginazione Roberto Colombo Stampa Agf, Milano Pubblicità Irene Carravieri Direzione, Redazione e Pubblicità Publiediting Via Galla Placidida 12 20131 Milano [email protected] tel 02 93887520 www.publiediting.it Un clinico in lotta contro un avversario insidioso e agguerrito: il dolore. Intervista a Sergio Mameli M. L. Sotgiu 7 Gli oppioidi e i loro recettori periferici F. Amato 9 Il dolore centrale. Definizione, fisiopatologia e terapia V. Moschini, M. Seveso, V. Iorno 13 Articolo originale Terapia ipostimolante mediante blocchi anestetici nel dolore cranio-facciale C. A. Caputi, V. Firetto 21 Casi clinici La terapia intratecale nelle vasculopatie R. Russo, M. Cittadino, A. Russo 27 Letture Il dolore tra medicina razionale e medicine “parallele” G. Pareti 33 Recensione Guarire il dolore Tattiche investigative e strategie di cura 38 Pathos è una rivista edita da Publiediting Registrata al Tribunale di Milano al numero 666 - 210905 Iscrizione R.O.C. n. 15108 ISSN 1593-2354 Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 5 4.9Sovradosaggio Esiste il rischio di danno epatico (incluse epatite fulminante, insufficienza epatica, epatite colestatica, epatite citolitica), specialmente nei soggetti anziani, nei bambini, nei pazienti con malattie epatiche, in caso di alcolismo cronico, nei pazienti affetti da malnutrizione cronica, e nei pazienti che ricevano induttori enzimatici. In questi casi il sovradosaggio può essere fatale. I sintomi generalmente appaiono entro le prime 24 ore e comprendono: nausea, vomito, anoressia, pallore e dolore addominale. Il sovradosaggio, 7,5 g o più di paracetamolo in singola somministrazione negli adulti e 140 mg/kg di peso corporeo in singola somministrazione nei bambini, causa citolisi epatica, che probabilmente induce una necrosi completa e irreversibile, che comporta insufficienza epatocellulare, acidosi metabolica ed encefalopatia che possono portare al coma e alla morte. Contemporaneamente, si osservano livelli aumentati delle transaminasi epatiche (AST, ALT), della lattato deidrogenasi e della bilirubina, insieme ad una diminuzione del valore della protrombina che può mostrarsi da 12 a 48 ore dopo la somministrazione. Sintomi clinici di danno epatico si manifestano di solito già dopo due giorni, e raggiungono il massimo da 4 a 6 giorni dopo. Misure di emergenza Ospedalizzazione immediata. Prima di iniziare il trattamento e prima possibile dopo il sovradosaggio, prelevare un campione di sangue per determinare i livelli plasmatici di paracetamolo. Il trattamento include la somministrazione dell’antidoto, l’N-acetilcisteina (NAC), per via endovenosa od orale, preferibilmente prima della 10ª ora. L’NAC può, tuttavia, dare un certo grado di protezione anche dopo 10 ore, ma in questi casi occorre prolungare il trattamento. Trattamento sintomatico Devono essere effettuati dei test epatici all’inizio del trattamento, che saranno ripetuti ogni 24 ore. Nella maggior parte dei casi, le transaminasi epatiche ritornano nella norma in una o due settimane con una piena ripresa della funzionalità epatica. Nei casi molto gravi, tuttavia, può essere necessario il trapianto epatico. 5. PROPRIETA’ FARMACOLOGICHE 5.1 Proprietà farmacodinamiche Categoria farmacoterapeutica: Altri analgesici e antipiretici ; codice ATC: N02BE01 Il meccanismo esatto con cui si esplica la proprietà analgesica e antipiretica del paracetamolo è ancora da stabilire; può coinvolgere azioni centrali e periferiche. L’azione analgesica di Tachipirina soluzione per infusione inizia dopo 5-10 minuti dall’inizio della somministrazione. Il picco dell’effetto analgesico si ottiene in 1 ora e la durata di quest’effetto è di norma da 4 a 6 ore. Tachipirina soluzione per infusione riduce la febbre in 30 minuti dall’inizio della somministrazione con una durata dell’effetto antipiretico di almeno 6 ore. 5.2 Proprietà farmacocinetiche Adulti Assorbimento La farmacocinetica del paracetamolo è lineare fino a 2 g dopo singola somministrazione e dopo somministrazioni ripetute nell’arco di 24 ore. La biodisponibilità del paracetamolo dopo infusione di 500 mg e 1 g di Tachipirina soluzione per infusione è simile a quella osservata dopo l’infusione di 1 e 2 g di propacetamolo (corrispondente, rispettivamente, a 500 mg e 1 g di paracetamolo). La concentrazione plasmatica massima (Cmax) del paracetamolo osservata alla fine di una infusione endovenosa di 500 mg e 1 g di Tachipirina soluzione per infusione in 15 minuti è, rispettivamente, di circa 15 µg/ml e 30 µg/ml. Distribuzione Il volume di distribuzione del paracetamolo è approssimativamente 1 l/kg. Il paracetamolo non si lega ampiamente alle proteine plasmatiche. A seguito dell’infusione di 1 g di paracetamolo, sono state osservate significative concentrazioni (circa 1,5 µg/ml) nel liquido cefalo-rachidiano dopo 20 minuti dall’infusione. Metabolismo Il paracetamolo è metabolizzato principalmente nel fegato seguendo due vie epatiche maggiori: coniugazione con acido glucuronico e coniugazione con acido solforico. Quest’ultima via viene rapidamente saturata a dosaggi che superino le dosi terapeutiche. Una piccola frazione (meno del 4%) è metabolizzata dal citocromo P450 in un intermedio reattivo (N-acetil-p-benzochinoneimina) che, in normali condizioni d’impiego, viene rapidamente detossificata dal glutatione ridotto ed eliminata nelle urine dopo coniugazione con cisteina e acido mercaptourico. Tuttavia, nei sovradosaggi massicci, la quantità di questo metabolita tossico è aumentata. Eliminazione I metaboliti del paracetamolo sono escreti principalmente nelle urine. Il 90% della dose somministrata è escreto in 24 ore, per lo più in forma glucuronidata (60-80%) e sulfoconiugata (20-30%). Meno del 5% è eliminato in forma immodificata. L’emivita plasmatica è di 2,7 ore e la clearance totale corporea è di 18 l/h. Neonati, prima infanzia e bambini I parametri farmacocinetici del paracetamolo osservati nella prima infanzia e nei bambini sono simili a quelli osservati negli adulti, ad eccezione dell’emivita plasmatica che è leggermente inferiore (1,5-2 ore) rispetto agli adulti. Nei neonati, l’emivita plasmatica è più lunga che in età infantile, circa 3,5 ore. Nei neonati, nella prima infanzia e nei bambini fino a 10 anni si osserva un’escrezione significativamente inferiore di glucuroconiugati e maggiore di sulfoconiugati rispetto agli adulti. Tabella: i valori farmacocinetici correlati all’età (clearance standardizzata, *CLstd/Fos (l.h-1 70 kg -1), sono riportati di seguito: Età Peso (kg) CLstd/Fos (l.h-1 70 kg-1) 40 settimane PCA¹ 3,3 5,9 8,8 3 mesi PNA² 6 6 mesi PNA² 7,5 11,1 1 anno PNA² 10 13,6 2 anni PNA² 12 15,6 5 anni PNA² 20 16,3 8 anni PNA² 25 16,3 ¹ PCA: età dopo il concepimento (Post-conceptional age) ² PNA: età dopo la nascita (Post-natal age) * CLstd è la popolazione stimata per CL continua a pagina 20 Editoriale UN CLINICO IN LOTTA CONTRO UN AVVERSARIO INSIDIOSO E AGGUERRITO: IL DOLORE Intervista a Sergio Mameli Vicepresidente Nazionale Federdolore-SICD A CLINICIAN ENGAGED IN A FIGHT AGAINST THE PAIN A cura di Maria Luisa Sotgiu IBFM-CNR, Milano Le ricerche degli ultimi anni e la recente legislazione hanno contribuito ai progressi nella terapia del dolore. Pathos intervista Sergio Mameli, responsabile del servizio di terapia del dolore presso l’Ospedale Oncologico di Cagliari, che da anni si batte affinché al paziente sia riconosciuto il diritto fondamentale di non soffrire e affinché questa giovane disciplina abbia il ruolo che le spetta. Nella sua esperienza, che rilevanza ha avuto la Legge 38 del marzo 2010 sulle cure palliative e la terapia del dolore? Nella mia esperienza clinica la cosa più importante è che è stato finalmente chiarito il ruolo delle due discipline: essendo complementari, hanno ambiti completamente diversi. Le cure palliative, essendo rivolte a pazienti che hanno ultimato il loro percorso terapeutico, hanno problematiche molto complesse, che riguardano non solo il dolore fisico, ma l’ansia, la depressione, la perdita di ruolo sociale e familiare. Devono essere rivolte anche alla famiglia del malato, che è pesantemente coinvolta nel decorso della malattia. La terapia del dolore è rivolta invece a individuare i meccanismi patogenetici e molecolari del dolore, al fine di definire la diagnosi algologica e le scelte terapeutiche più adeguate attraverso una semeiotica attenta e precisa. Trova difficoltà nell’applicazione della Legge? Sì, trovo difficoltà nell’applicazione della Legge al di fuori della realtà del nostro reparto, ma questo credo che sia legato al baratro culturale che ha sempre caratterizzato l’approccio al dolore, per cui è necessario un percorso formativo condiviso prima di arrivare a un’applicazione uniforme di quelle che sono le direttive proposte dalla Legge. Dobbiamo sforzarci di far capire che il controllo del dolore è fondamentale nella gestione del paziente. I nuovi metodi di somministrazione degli analgesici hanno reso più efficace il trattamento del dolore, ma dovendo personalizzare il trattamento, hanno probabilmente complicato il lavoro dello staff medico. Pensa che questo rappresenti un limite per la diffusione dell’applicazione di questi metodi? Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 7 Sicuramente la possibilità di somministrare farmaci per diverse vie (prediligendo sempre, quando possibile, quella orale) ha permesso di personalizzare le terapie; la tecnologia ci ha inoltre consentito di poter somministrare farmaci anche nel canale spinale, permettendo quindi di continuare la somministrazione di farmaci che, per altre vie, comporterebbero effetti collaterali gravi. Sono stati fatti molti progressi anche nelle tecniche chirurgiche per eliminare o attenuare il dolore. Ritiene che queste debbano essere prese in considerazione solo dopo un fallimento delle terapie farmacologiche? Le tecniche chirurgiche sono sicuramente uno strumento validissimo di cui dispone il terapista del dolore. Ciò che è importante è che queste devono sempre essere applicate dopo un’attenta valutazione del paziente e dopo aver definito 8 una diagnosi algologica corretta. Possono anche rappresentare la prima scelta terapeutica e non essere considerate solo come ultima ratio dopo il fallimento di tutte le altre strategie terapeutiche. L’unificazione FederdoloreSICD è frutto anche della sua determinazione. Quali saranno i benefici di questa nuova organizzazione? Sono convinto che la dispersione, in ambito culturale, sia deleteria. Dal momento che gli obiettivi sono comuni, se è vero che l’unione fa la forza, si comprende come non abbia senso essere divisi e frammentati. Sino a tempi non lontani, eravamo rappresentati da piccoli gruppi che non potevano avere gran voce e autorevolezza. L’unione e la condivisione danno sicuramente più forza e dignità a una giovane disciplina che stenta ancora ad affermarsi e che sicuramente la Legge contribuisce a far sì che raggiunga il ruolo che le spetta. Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 Review GLI OPPIOIDI E I LORO RECETTORI PERIFERICI OPIOIDS AND THEIR PERIPHERAL RECEPTORS Francesco Amato Direttore Unità Anestesia e Terapia del Dolore AO Cosenza RIASSUNTO La flogosi dei tessuti periferici induce nei neuroni afferenti primari, in particolare a livello corpi cellulari situati nei DRG (gangli della radice dorsale) un aumento della sintesi di recettori oppioidi determinandone un “up-regulation”. Dopo che i recettori oppioidi vengono trasportati a livello delle terminazioni nocicettive essi vengono incorporati nella membrana neuronale diventando recettori funzionali. Le suddette proteine recettoriali vanno a legarsi agli oppioidi prodotti dalle cellule immunitarie o a quelli esogeni. Questi legami portano a una diretta o indiretta soppressione delle correnti di Ca2+ indotte da TRPV1 o di correnti del Na+, con conseguente ridotta eccitabilità del neurone e diminuzione dei segnali trasmessi. L’osservazione che il sistema immunitario sia in grado di modulare il dolore mediante ligandi che interagiscono con i recettori oppioidi localizzati sui neuroni sensoriali, può avere ampie implicazioni per lo sviluppo di farmaci antidolorifici innovativi e più sicuri. Parole chiave Recettori oppioidi, recettori transienti, beta arrestin, farmaci antidolorifici innovativi SUMMARY The inflammation of peripheral tissues leads the primary afferent neurons, in particular at the cell bodies level located in the DRG (dorsal root ganglia), to an increased synthesis of opioid receptors: determining an “up-regulation”. After that opioid receptors are transported at the level of the nociceptive terminals, they are incorporated into the neuronal membrane becoming functional receptors. The above receptor proteins bind to opioid produced by immune cells or the exogenous ones. This leads to a direct or indirect suppression of the Ca2+ currents induced by TRPV1 or the currents of the Na+, resulting in neuronal reduced excitability and in transmitted signals decrease. The observation that the immune system is able to modulate the pain by ligands that interact with the opioid receptors located on sensory neurons, may have broad implications for the development of innovative and safer pain drugs. Key words Opioid receptors, transient receptors, beta arrestin, innovative analgesic drugs Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 9 Nel sistema nervoso periferico i neuroni sensoriali primari possono essere attivati da segnali nocicettivi di tipo termico, meccanico o chimico attraverso l’apertura di molti canali ionici che creano un cancello non voltaggio dipendente. I canali ionici coinvolti in questo processo sono: 1 - canali sodio Toxin - tetratoxin resistant (TTX, Nav 1.7, Nav 1.8, Nav 1.9), degenerin-epithelial (MDEG), acid-sensing ion channels (ASIC).1 2 - ATP - sensitive purine receptors (P2X3).2 3 - Canali calcio: transient receptor potential vanilloid ion channels: TRIPV1, TRIPV2, TRIPV3, TRPM8, TRIPA1.3 I recettori “Transient” rispondono oltre che ai diversi livelli termici anche ad altre modalità di stimoli, agendo da “sensori del dolore”.4 Il terminale della fibra C presenta una grande complessità, infatti, per ogni livello di sensazione è presente uno specifico sistema di trasduzione.5-8 L’attivazione dei recettori attiva poi la scarica dei potenziali di azione (Pd’A) condotti dagli assoni che trasmettono l’informazione lungo il sistema sensoriale. In presenza di un dolore acuto così detto “fisiologico”, solo il 20 per cento della popolazione dei nocicettori viene attivata; mentre solo durante un’infiammazione cronica o una lesione tessutale molto forte, che dura a lungo, si ha un’attivazione del 100 per cento. In particolare durante una flogosi o una lesione nervosa, la liberazione di sostanze lungo i terminali periferici provoca evidenti modificazioni, strutturali e/o funzionali. Queste modificazioni sono dovute al rilascio di idrogenioni che realizzano 10 uno stato di acidosi locale con riduzione del pH dei tessuti circostanti. A questo accumulo di H+ si accompagna quello delle sostanze provenienti dalle cellule danneggiate (K+, ATP, metaboliti dell’acido arachidonico, così come delle COX2, PGE2), di neurotrasmettitori delle fibre C (SP, CGRP), di sostanze modulatrici delle cellule della GLIA (NGF; GDNF) o di sostanze, come la bradichinina (BK) proveniente da cellule vascolari danneggiate. Una miriade di mediatori, dunque, presenti nel tessuto danneggiato sono coinvolti nei processi infiammatori, che si associano ad una lesione tissutale e/o alla lesione di un nervo o a un’abnorme reattività immunitaria. L’attivazione dei nocicettori e la trasduzione dei segnali nocicettivi, che avviene in recettori come il TRPV1, o il recettore Purinico P2X3, o il meccanorecettore DEG, ha come risultato finale una depolarizzazione della membrana cellulare, che genera veloci potenziali di azione che lungo l’assone dell’afferente primario, rag- Figura 1 Dopo una noxa patogena e la sensibilizzazione degli afferenti primari nel ganglio della radice dorsale vengono sintetizzati i recettori oppioidi e i neuropeptidi (come la sostanza P). Tutti vengono poi trasportati lungo i microtubuli intra-assonali fino alla periferia del neurone afferente primario. A questo livello i recettori oppioidi vengono incorporati nella membrana neuronale resa più impermeabile e diventano recettori funzionali. Dopo l’attivazione con oppioidi esogeni o endogeni, si ha l’inibizione della G-proteina. Questo porta alla diretta o indiretta (tramite la riduzione dell’adenosina monofosfato ciclico) soppressione delle correnti del Ca2+ o Na+ e conseguente attenuazione del rilascio della sostanza P. Ganglio della radice dorsale Midollo spinale Assone Sostanza P Recettori degli oppioidi Canali del sodio cAMP Microtubuli Proteina G Oppioidi Canali del calcio Volume 19 PATHOS Nro 4, 2012 giungono i neuroni del corno posteriore del midollo spinale.9-10 Per quanto riguarda il processo di sensibilizzazione periferica esso molto verosimilmente è sostenuto dall’attività di diverse sostanze: - dalla bradichinina che è un mediatore coinvolto in una serie di processi fisiopatologici compreso il dolore cronico;11 - dal Nerve Growth Factor (NGF) che va a legarsi al recettore TrKA (tirosin chinasi A). Dopo una lesione (noxa) sono necessari i fattori di crescita come il nerve growth factor per riparare il danno, ma in molti casi le neurotrofine hanno solo scopo puramente flogistico, ovvero di irritazione locale, che agirà nel tempo come richiamo di leucociti e citochine antiinfiammatorie;12 - da alcuni impulsi che possono viaggiare in senso anterogrado lungo l’assone periferico del neurone sensoriale periferico, verso i terminali nervosi distali, con il risultato di rilasciare neuropeptidi nella zona lesa. Questo rilascio di neuropeptidi provoca vasodilatazione, permeabilità vasale venosa, stravaso di plasma, edema e arrivo di leucociti :“infiammazione neurogenica”.13 - dalle sostanze prodotte dal sistema immunitario come l’istamina.14 Elettrofisiologicamente, questa sensibilizzazione è caratterizzata da aumento dell’eccitabilità neuronale (aumento della frequenza di scarica), aumento di risposte agli stimoli nocicettivi e diminuita soglia per gli stimoli termici e meccanici. Mentre i segnali nocicettivi si propagano dal neurone sensoriale primario al midollo spinale prima ed al cervello poi, dove sono percepiti come dolore, contempo- raneamente si attivano meccanismi endogeni per neutralizzare il dolore e controllare la situazione infiammatoria. La flogosi dei tessuti periferici, infatti, porta a livello dei neuroni afferenti primari, in particolare nei corpi cellulari collocati nei DRG (dorsal root ganglion), a un incremento della sintesi di recettori oppioidi: determinando un “up-regulation” dei suddetti recettori . I recettori degli oppioidi, ma anche i neuropeptidi (come la sostanza P) pro-nocicettivi e pro-infiammatori, dopo essere stati sintetizzati dal ganglio della radice dorsale vengono trasportati lungo microtubuli intra-assonali nei processi centrali e periferici del neurone primario afferente. Nel tessuto infiammato la permeabilità del perinevrio aumenta permettendo l’accessibilità dei recettori oppioidi nella membrana cellulare a livello distale (Figura 1).15-17 Dunque i neuroni sensoriali periferici esprimono recettori per i peptidi oppioidi, che possono essere modulati dagli oppioidi endogeni o dai farmaci oppiacei. In seguito agli stimoli stressogeni o in risposta ad agenti che rilasciano sostanze come il CRF (Corticotropin Releasing Factor), citochinine, chemochine e catecolamine, i leucociti secernono oppioidi. Il legame di peptidi oppioidi, derivati da cellule immunitarie o di oppiacei esogeni, rispettivamente con i recettori periferici determina il loro accoppiamento con una proteina G trimerica, che si dissocia nelle seguenti subunità : - Complesso G-α - Complesso G-βγ Queste subunità inibiscono le adenil- Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 ciclasi e di conseguenza inibiscono la produzione di c-AMP o interagiscono direttamente con differenti canali ionici della membrana.18 Questo porta a una diretta o indiretta (tramite diminuzione di adenosina monofosfato ciclico) soppressione delle correnti di Ca2+ indotte da parte dei TRPV1 o di correnti del Na+, con conseguente ridotta eccitabilità del neurone e diminuzione dei segnali trasmessi. Successivamente, il rilascio di SP è attenuato. In particolare, all’interno del tessuto leso, questi eventi realizzano un effetto antinocicettivo e antiinfiammatorio. Così il controllo autogeno del dolore è realizzato dal legame di peptidi oppioidi, derivati da cellule immunitarie, con i recettori degli oppioidi presenti sui neuroni sensoriali periferici. Il concetto che il sistema immunitario sia in grado di modulare il dolore mediante ligandi che interagiscono con i recettori oppioidi presenti sui neuroni sensoriali, può avere ampie implicazioni per lo sviluppo di farmaci antidolorifici più sicuri.19 L’osservazione che l’infiammazione dei tessuti periferici porta ad una maggiore funzionalità dei recettori oppioidi sulla superficie dei neuroni sensoriali distali e alla produzione locale di peptidi oppioidi endogeni indica nuove applicazioni. A questo punto bisogna prendere in considerazione il perché si verifichino fenomeni di tolleranza legati agli oppioidi. Secondo gli studi condotti da Laura Bohn20, l’attenzione si focalizza su un particolare processo a cui si associano direttamente gli effetti collaterali (side effects). È stato osservato come una proteina denominata ‘beta arrestin’20 determini la invaginazione 11 del bilayer fosfolipidico della membrana dove è posizionato il recettore oppioideo, dopo essere stato attivato dal proprio ligando. Esso poi viene riciclato o degradato nei lisosomi. Quali obiettivi si possono perseguire in futuro? Da quanto esposto finora, si evince che gli obiettivi da raggiungere potranno riguardare le seguenti finalità: 1 - lo sviluppo e l’applicazione periferica di agonisti oppiacei; 2 - il targeting selettivo delle cellule immunitarie contenenti oppiacei sui siti di lesione dolorosa; 3 - l’ottimizzazione della selettività delle cellule contenenti oppioidi a livello della ferita e l’incremento della sintesi dell’oppioide periferico attraverso la genetica (ad esempio con la terapia genica); 4 - un intervento mirato sulla beta arrestin; 5 - la diminuzione dell’attività dei recettori TRPV1 in fase di sensibilizzazione. La ricerca futura si soffermerà sulla farmacologia e biologia molecolare per lo sviluppo di nuovi farmaci selettivi, allo scopo di ottenere una scelta razionale dei trattamenti individuali dei singoli i pazienti, per realizzare, infine, una combinazione di farmaci innovativi che consentano di ottimizzare i benefici e minimizzare i rischi associati alla terapia con oppioidi. L’obiettivo finale è quello di evitare gli effetti collaterali negativi degli analgesici attualmente disponibili, quali depressione respiratoria, deficit cognitivo, dipendenza, sanguinamento gastrointestinale e complicanze tromboemboliche. 12 BIBLIOGRAFIA 1) Schuelert N, McDougal JJ. Involvement of Nav 1.8 sodium ion channels in the transduction of mechanical pain in a rodent model of osteoarthritis. Arthritis Research & Therapy 2012, 14:R5 doi:10.1186/ar3553. Published: 7 January 2012. 2) Gum R, Wakefield B, Jarvis M. 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Review IL DOLORE CENTRALE DEFINIZIONE, FISIOPATOLOGIA E TERAPIA CENTRAL PAIN DEFINITION, PHISIOPATHOLOGY AND THERAPY Vincenzo Moschini, Mirella Seveso, Vittorio Iorno Servizio di Anestesia e Rianimazione Pediatrica Centro di Medicina del Dolore “Mario Tiengo” Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano RIASSUNTO Il dolore centrale è l’espressione di una lesione e/o disfunzione primitiva o secondaria del sistema nervoso centrale.1 Dipende quindi da una lesione totale o parziale lungo le vie spino-talamocorticali e può essere di origine cerebrale o spinale. Ha incidenza variabile a seconda dell’eziologia: 8-10% nei pazienti colpiti da ictus, 30% in quelli affetti da sclerosi multipla, 30-60% nei paraplegici.2-3 A livello midollare le cause più frequenti sono: lesioni traumatiche, tumori, placche da sclerosi multipla, siringomielia. In questa review si prendono in esame i principali sintomi che contribuiscono ad accreditare la diagnosi di dolore centrale, neuropatico o talamico. La presenza di lesione nervosa, valutata in imaging, e i test neurofisiologici permettono di completare il quadro diagnostico. SUMMARY Central pain is the expression of an injury and/or a primary or secondary dysfunction of the central nervous system.1 It is based on total or partial damage along the spinal-thalamic-cortical pathways and it may have cerebral or spinal origin. It has variable incidence according to its etiology: 8-10% in stroke patients, 30% in multiple sclerosis patients, 30-60% in paraplegic patients.2-3 At the spinal level, the most frequent causes are: traumatic injuries, cancer, plaques from multiple sclerosis, syringomyelia. In this review, we examine the main symptoms that contribute to confirm the diagnosis of central pain, neuropathic or thalamic. The presence of nerve injury, evaluated by neuroimaging and neurophysiological tests, allows us to complete the diagnostic picture. Parole chiave Dolore centrale, sintomi, diagnosi Key words Central pain, symptoms, diagnosis Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 13 DEFINIZIONE Il dolore centrale è un dolore, iniziato o causato da una lesione primitiva o da una disfunzione del sistema nervoso centrale,1 che può essere localizzato a una parte più o meno estesa del corpo, o limitato al viso e/o agli arti. La distribuzione del dolore dipende dalla sede della lesione lungo le vie spino-talamo-corticali. sione a qualsiasi livello dell’asse (del corno dorsale del midollo spinale) spino-talamo-corticale. Nel dolore post-ictus, in particolare, il danno e la disfunzione dei neuroni cerebrali possono determinare anomali impulsi neuronali ectopici e alterare le comunicazioni tra differenti strutture cerebrali, determinando disinibizione o eccitamento di determinate aree cerebrali.4 Le forme principali di dolore centrale neuropatico sono illustrate nella Tabella 1.6 Il dolore centrale talamico può far seguito a lesioni vascolari, ischemiche, emorragiche, a malformazioni artero-venose, tumori (gliomi), lesioni traumatiche e infezioni (toxoplasmo- Tabella 1 Forme principali di dolore neuropatico di origine centrale EPIDEMIOLOGIA Mielopatia compressiva Mielopatia da HIV Dolore associato a sclerosi multipla Nevralgia trigeminale Dolore associato a malattia di Parkinson Mielopatia post-attinica Dolore post-ictus Dolore da trauma midollare Siringomielia L’incidenza e la prevalenza del dolore centrale (che può essere di natura neuropatica o talamica) sono del 3060 per cento nei pazienti con lesioni traumatiche spinali, dell’8-10 per cento nei pazienti colpiti da ictus cerebrale con eventi ischemici o emorragici in sede talamica, circa del 30 per cento nei pazienti affetti da sclerosi multipla (nevralgia trigeminale).2,3 EZIOPATOGENESI Il dolore centrale può insorgere dopo lesioni vascolari, tumori (gliomi), siringobulbie e sclerosi multipla, che interessino il tronco cerebrale. È frequente dopo lesioni del midollo spinale, traumatiche, tumorali, da siringomielia o da placche di sclerosi multipla. Può conseguire anche a interventi sul sistema nervoso centrale effettuati per lenire il dolore cronico (cordotomie, talamotomie, mesencefalotomie).4,5 Il dolore neuropatico centrale può originare da un’anomala attività dei neuroni centrali per un danno o le- 14 Tabella 2 Meccanismi eziopatogenetici ipotizzati nel dolore centrale Cervello Midollo spinale Alterato gate-control Alterato gate-control Modificazioni molecolari Denervazione ipersensività del corno posteriore Modificazioni delle espressioni geniche Modificazioni molecolari Modificazioni dei campi recettoriali Modificazioni delle espressioni geniche Modificazioni dei campi recettoriali Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 si). In ogni caso, perché si verifichi, è necessario che vi sia un danno del complesso nucleare ventro-posteriore (ventro-caudale) del talamo. La sindrome talamica è caratterizzata da dolore spontaneo o evocato da ogni tipo di stimolo, emianestesia e talora emiparesi transitoria. Si ritiene, peraltro, che tutte o la maggior parte delle modificazioni nel sistema nervoso centrale (Tabella 2), siano dovute a segnali anomali a partenza dalla periferia che inducono l’ipereccitabilità dei neuroni sensitivi primari. Questo processo rappresenta un obiettivo primario per un intervento terapeutico.5 Il paziente con dolore centrale può prendere in prestito termini della tassonomia della nocicezione che non catturano la realtà del dolore centrale. Alternativamente, il paziente può inventare termini descrittivi bizzarri o vaghi. Alcuni dei comuni termini descrittivi del dolore centrale sono misteriosamente vicini a quelli che possono essere, in effetti, i meccanismi. Per esempio, la comune descrizione di disestesia, “come acido sotto la mia pelle”, è parallela all’acidosi perineurale che sensibilizza nocicettori e vie nocicettive nella pelle, midollo spinale e talamo.7 La trasmissione nocicettiva nel dolore centrale può essere anomala lungo tutta la via fino alla corteccia. La funzione corticale interpreta i messaggi che passano dal talamo, permettendo ai neuroni danneggiati di distorcere la natura e la gravità del dolore.8 Il dolore percepito è designato a rivelare stimolo e gravità delle minacce all’organismo intatto. Una caratteristica del dolore centrale è che anche il tocco leggero risulta doloroso.9 CRITERI DIAGNOSTICI La diagnosi di dolore centrale, (così come quella di dolore neuropatico periferico), è fondamentale per sviluppare un piano di trattamento corretto. Il medico algologo deve approfondire tutti i possibili meccanismi che hanno generato il dolore in ciascun paziente, includendo fattori fisiologici, psicologici e sociali. Tabella 3 Definizione di termini somatosensitivi presenti nel dolore neuropatico Allodinia: dolore conseguente a stimoli di natura e di intensità normalmente non algogeni. Iperalgesia: condizione nella quale la risposta a uno stimolo di per sé algogeno risulta marcatamente maggiore rispetto a quella attesa. Iperpatia: condizione nella quale le risposte soggettive, sia a stimoli normalmente dolorosi, che non dolorosi, sono esagerati, spesso persistenti dopo un lungo periodo di tempo dalla rimozione dello stimolo stesso. Estensione del dolore: un’area di iperalgesia cutanea che si espande al di là della distribuzione dermatomerica del nervo alla quale era originariamente associata. Parestesia: formicolio non doloroso o altre forme di sensazioni distorte. Quando tali sensazioni divengono dolorose si parla di disestesia. Ipoalgesia: dolore ridotto in risposta ad uno stimolo normalmente doloroso. Ipoestesia: diminuita sensibilità allo stimolo tattile. Tabella 4 I sette sintomi del dolore centrale Dolori muscolari Disestesia Iperpatia Allodinia Dolore a tipo scossa elettrica o lancinante Dolore circolatorio Dolore peristaltico o viscerale Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 15 I fini della diagnosi sono: - localizzare il dolore; - valutarne l’intensità e la qualità; - studiarne il decorso nel tempo; - considerarne i fattori precipitanti o allevianti; - approfondire le cause fisiopatologiche del dolore centrale del paziente; - spiegare la risposta comportamentale del paziente al dolore; - valutare lo stato funzionale del paziente (attività durante un giorno tipico); - identificare le condizioni di comorbidità correlate al dolore (mediche e psicologiche); - valutare i fattori psicosociali che possono essere una componente integrale della condizione del paziente; - se necessario, ricorrere all’assistenza di specialisti di altre discipline per sviluppare una diagnosi e un trattamento multidisciplinari. Non tutti i fenomeni somatosensitivi presenti nel dolore neuropatico periferico sono di solito presenti nel dolore centrale (Tabella 3). I sintomi di solito associati al dolore centrale sono elencati nella Tabella 4. I dolori muscolari comprendono la “disestesia cinestesica” o dolore derivante dal movimento e la “disestesia isometrica”. I pazienti con disestesia cinestesica si muovono il meno possibile, mentre quelli con disestesia isometrica possono percepire un dolore urente o pulsante, tipico di chi sia stato seduto in viaggio nella medesima posizione per un tempo molto lungo. I pazienti possono provare l’urgenza di muoversi, ma essere costretti a immobilità dal dolore delle estremità.7 La compressione di muscoli e tendini può alleviare questa sensazione. La disestesia rappresenta di gran lunga il sintomo predomi- 16 nante e più frequente nel dolore centrale. È scarsamente localizzata dal momento che non fornisce alcuna informazione sensitiva discriminante. È estremamente spiacevole e interessa il corpo al di sotto della lesione e anche al di sopra, se è interessato il tratto discendente del quinto nervo cranico. I pazienti presentano di solito disestesia urente sia spontanea continua che evocata. Una caratteristica importante della disestesia evocata nel dolore centrale è il ritardo temporale dall’inizio del tocco persistente, alla percezione dell’aumento del dolore urente. Questa caratteristica distingue il dolore centrale da quello neuropatico periferico nel quale il dolore da tocco leggero è istantaneo.10-16 Il paziente con dolore centrale grave ten- de a indossare meno vestiti possibile, cercherà una zona a temperatura ambiente tollerabile, può soffrire di notte del contatto con le lenzuola e sarà probabilmente labile emotivamente.17 L’iperpatia è stata classicamente considerata come segno di lesione del tratto spinotalamico e contiene informazioni discriminative.18 Si può riscontrare allodinia localizzata, termica e tattile. Il dolore intermittente a tipo scossa elettrica o lancinante è stato paragonato a uno shock elettrico. È essenziale per la diagnosi differenziale.19 Il dolore di tipo vascolare è comunemente descritto come puntura di aghi o spilli o, se grave, come “camminare su dei vetri rotti”. Il dolore viscerale è percepito come un rigonfiamento intestinale intermit- Tabella 5 Categorie di farmaci raccomandati nel dolore centrale AntidepressiviAmitriptilina Clomipramina Imipramina Maprotilina Paroxetina Desimipramina Carbamazepina AnticonvulsivantiFenitoina Valproato Clonazepam Baclofen Gabapentin Antiaritmici Anestetici locali Mexiletina OppioidiOrali TDS Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 tente o come uno stimolo urente o di ripienezza della vescica. In alcuni tetraplegici può rappresentare l’unica manifestazione del dolore centrale. Solo alcuni test di laboratorio possono essere utili nella diagnosi di dolore centrale. Le tecniche di neuroimaging forniscono una dettagliata immagine strutturale del sistema nervoso e possono identificare l’eventuale lesione scatenante, la cui rimozione potrebbe risolvere la sintomatologia dolorosa e i test neurofisiologici permettono di completare il quadro diagnostico. I test sensitivi quantitativi, che misurano lo stato funzionale della fibre nervose grandi e piccole, possono rappresentare un test diagnostico importante, ma sono più frequentemente utilizzati nella ricerca sui meccanismi del dolore neuropatico. In molte sindromi dolorose neuropatiche i risultati di tutti i test di laboratorio disponibili sono normali. FARMACOTERAPIA DEL DOLORE CENTRALE NEUROPATICO Il dolore centrale neuropatico è una condizione difficile da trattare. Una review dei lavori sull’argomento suggerisce che un singolo farmaco offre nella migliore delle ipotesi un beneficio clinicamente importante solo nel 40-60 per cento dei pazienti e un completo sollievo in un numero molto minore. Quando la monoterapia ha un’azione analgesica insufficiente può essere utile un approccio basato sul meccanismo d’azione dei farmaci per la selezione di un trattamento aggiuntivo. Questo approccio si basa su combinazioni di farmaci con mec- canismo d’azione complementare.20, 21 Dal momento che l’ipereccitabilità del sistema nervoso è associata a un’anomala regolazione dei canali del sodio, questo processo rappresenta un obiettivo primario per un intervento terapeutico.6 A livello spinale, il blocco dei canali del calcio, in particolare di quelli di tipo N, può modificare significativamente la reazione al dolore.22 La farmacoterapia del dolore neuropatico si basa su una serie di osservazioni emerse da studi clinici e sperimentali. Nelle Tabelle 5 e 6 sono riportati i farmaci in uso secondo la classe di appartenenza e il meccanismo di azione. L’uso clinico di certi farmaci è reso problematico dalla scarsa maneggevolezza e tollerabilità, soprattutto in pazienti anziani sottoposti a politerapie. FARMACI AGENTI SUI CANALI IONICI Anestetici locali L’infusione endovenosa non è diffusa, dal momento che non è un modo conveniente di somministrazione per pazienti con condizioni neuropatiche croniche. Inoltre la lidocaina si lega in maniera non specifica ai canali del sodio, nei tessuti nervosi, gastrointestinale e cardiaco con numerosi effetti indesiderati. Dose efficace: 1,5 - 5 mg/ Kg. È più efficace nel dolore da lesioni periferiche che nel dolore centrale. Il patch di lidocaina 5% è raccomandato come trattamento di prima linea nella NPH, data la sua eccellente sicurezza e tollerabilità. Uno studio su pazienti con neuropatia diabetica Tabella 6 Farmaci agenti sui canali ionici Canali del sodio Canali del calcio Anestetici locali Gabapentin Lidocaina ev, patch 5% (900-3600 mg/die) MexiletinaPregabalin (> 600 mg/die) (150-600 mg/die) FenitoinaTopiramato (300 mg/die) (400 mg/die) CarbamazepinaLamotrigina Oxcarbazepina (750-1100 mg/die) Lamotrigina (200 mg/die) Amitriptilina (10-25 mg/die) Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 17 ipotizza che possa essere efficace nei dolori neuropatici, anche in assenza di allodinia.23 Mexiletina I risultati sono incostanti nella neuropatia diabetica e nelle lesioni periferiche; nessuna efficacia nel dolore dei medullolesi e nelle neuropatie associate a HIV. Comune l’effetto collaterale di distress gastrointestinale. Dose efficace > 600 mg/die. Fenitoina L’inibizione del rilascio presinaptico di glutammato, in aggiunta al blocco dei canali del sodio, sembra contribuire al suo meccanismo d’azione nella nevralgia del trigemino. Il suo uso è limitato dalle multiple interazioni farmacologiche e dalla complessa cinetica. Dose efficace 300 mg/die.24 Carbamazepina Approvata dalla FDA per il trattamento del dolore neuropatico, in particolare nella nevralgia del trigemino. Il suo uso è limitato dagli effetti collaterali di sedazione, interazioni farmacologiche e necessità di regolare monitoraggio.24 Oxcarbazepina Induce minori effetti collaterali di vertigine, affaticamento e sonnolenza rispetto alla carbamazepina. Dose efficace 750-1100 mg/die. Lamotrigina È efficace nel dolore associato a neuropatia diabetica, nevralgia del trigemino, neuropatia da HIV, dolore centrale neuropatico, dolore post-ictus e nei 18 pazienti con lesioni midollari incomplete con effetto particolare sull’allodinia tattile. Ha un’alta incidenza di rash e di interazioni farmacologiche. Dose efficace 200 mg/die. Antidepressivi triciclici (amitriptilina) Sono efficaci nella neuropatia diabetica e nella NPH. L’inibizione del re-uptake noradrenergico e serotoninergico occorre nelle vie sopraspinali e probabilmente modula il dolore attraverso le vie inibitorie discendenti. Non è chiaro quanto il blocco dei canali del sodio dell’amitriptilina sia coinvolto nella sua efficacia. L’uso è limitato dall’alta frequenza di effetti anticolinergici come tosse secca e costipazione. È necessaria molta cautela in pazienti con cardiopatie, glaucoma, ritenzione urinaria o neuropatia del sistema nervoso autonomo. Dose efficace 10-25 mg/die. Gabapentin È efficace in molti tipi di dolore neuropatico tra cui il dolore cronico dei medullolesi. Induce effetti collaterali come vertigini, sedazione, sonnolenza e atassia.25 Dose efficace 900-3600 mg/die. Pregabalin Approvato dalla FDA nella neuropatia diabetica e nella nevralgia posterpetica (NPH). La diminuzione dell’influsso di calcio riduce la presenza di glutammato, sostanza P e noradrenalina nelle sinapsi. Dose efficace 150-600 mg/die. Topiramato I meccanismi d’azione sono multipli. Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 È efficace nella neuropatia diabetica e nella nevralgia del trigemino. Induce alta frequenza di rallentamento psicomotorio, inibizione dell’anidrasi carbonica, calcoli renali e interazioni farmacologiche. Dose efficace 400 mg/die. ANALGESICI OPPIOIDI Esiste finora un solo lavoro randomizzato, in doppio cieco, placebocontrollato mediante test sensitivi quantitativi, sull’uso degli oppioidi nel dolore centrale nei medullolesi.26 Gli autori hanno concluso che la morfina per via endovenosa è largamente inefficace nel dolore spontaneo continuo, ma che riduce in maniera significativa l’allodinia tattile. Nessun effetto sulla soglia sensitiva o dolorosa per gli stimoli meccanici e termici o sull’iperalgesia meccanica o termica. La dose di morfina usata è quella massima tollerata. Uno studio successivo sull’impiego di butorfanolo per via orale nel dolore neuropatico, inclusi pazienti con dolore centrale, è giunto a una conclusione analoga, sebbene questo studio abbia ottenuto i risultati migliori nel dolore dei medullolesi.27 I risultati di questi due rigorosi studi confermano i report aneddotici che il dolore neuropatico di origine centrale risponde alla terapia oppioide meno del dolore da lesione nervosa periferica. Nonostante alcuni risultati positivi sull’efficacia degli oppioidi nel dolore neuropatico rimangono dei dubbi riguardo all’opportunità del loro impiego a lungo termine.28-32 TRATTAMENTO NEUROCHIRURGICO Circa il 10 per cento dei pazienti colpiti da ictus è affetto da dolore neuropatico intrattabile. La Deep Brain Stimulation (DBP) è stata tentata con successo in passato, ma a causa degli scarsi successi e della limitata casistica, negli anni Ottanta questa tecnica è stata abbandonata.33 Tuttavia, con la ripresa della chirurgia funzionale per i disturbi del movimento, l’impiego della RMN per la localizzazione stereotassica del bersaglio, elettrodi più sicuri con mandrino interno e pacemaker maggiormente affidabili, questa importante indicazione va rivista. In casi di dolore intrattabile come il dolore post-ictus, il dolore neuropatico trigeminale o dolore da deafferentazione di altra origine, può essere efficace la stimolazione epidurale dell’area corticale motoria.34, 35 La stimolazione elettrica subliminale dell’area motoria conduce alla modulazione delle aree dolorose quali il talamo mediale, il giro cingolato anteriore e della parte superiore del tronco cerebrale. Finora circa 350-400 pazienti in tutto il mondo sono stati trattati con questa terapia neuromodulatoria, sebbene non esistano linee guida relative alle indicazioni per l’intervento, il sito di stimolazione e i parametri di stimolazione per le differenti sindromi dolorose. La stimolazione della corteccia motoria rappresenta un’opzione di trattamento per i pazienti con dolore cronico neuropatico localizzato al volto e alle estremità superiori. Su 17 pazienti con dolore neuropatico cronico è stata ottenuta una percentuale di successo del 50 per cento(nevralgia trigeminale) e 43 (dolore post–ictus).36,37 BIBLIOGRAFIA 1) Merskey H, Bogduk N. Classification of chronic pain. Description of chronic pain syndromes and definition of pain terms. Second Edition. Seattle: IASP Press, 1994. 2) Tasker RR. Dolore centrale. In Bonica’s. Trattamento del dolore. 3° Ed. Roma: Antonio Delfino 2003; 433-445. 3) Owen SLF, Green AL, Stein JF, Aziz TZ. 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Per i glucuroconiugati e i sulfoconiugati, la velocità di eliminazione è 3 volte più lenta nei soggetti con grave compromissione renale rispetto a soggetti sani. Perciò si raccomanda di aumentare l’intervallo minimo tra due somministrazioni a 6 ore quando il paracetamolo viene somministrato a pazienti con grave compromissione renale (clearance della creatinina ≤ 30 ml/min) (vedere paragrafo 4.2 Posologia e modo di somministrazione). Anziani La farmacocinetica e il metabolismo del paracetamolo non sono modificati nei soggetti anziani. Non si richiede un aggiustamento posologico in questa popolazione. 5.3 Dati preclinici di sicurezza I dati preclinici non rivelano rischi speciali per l’uomo oltre le informazioni incluse in altri paragrafi di questo Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto. Studi di tolleranza locale con paracetamolo soluzione per infusione nei ratti e nei conigli hanno mostrato buona tollerabilità. Nelle cavie è stata testata l’assenza di ipersensibilità ritardata da contatto. 6. INFORMAZIONI FARMACEUTICHE 6.1 Elenco degli eccipienti Glucosio monoidrato Acido acetico Sodio acetato triidrato Sodio citrato diidrato Acqua per preparazioni iniettabili. 6.2Incompatibilità Tachipirina soluzione per infusione non deve essere miscelato con altri medicinali. 6.4 Precauzioni particolari per la conservazione Non conservare a temperatura superiore ai 25°C. Non refrigerare o congelare. Tenere le sacche nell’imballaggio esterno per proteggere il medicinale dalla luce. Da un punto di vista microbiologico, a meno che il metodo di apertura garantisca contro il rischio di contaminazione microbica, il farmaco deve essere usato immediatamente. In caso di uso non immediato, i tempi e le condizioni di conservazione sono responsabilità dell’utilizzatore. 6.5 Natura e contenuto del contenitore Sacche in PVC da 50 ml e 100 ml, dotate di un punto di connessione per il set di somministrazione, racchiuse in un contenitore di plastica argentata. Confezioni: 1 e 12 sacche. 6.6 Precauzioni particolari per lo smaltimento e la manipolazione La soluzione deve essere ispezionata visivamente e non deve essere utilizzata in presenza di opalescenza, particelle visibili o precipitati. Non riutilizzare. La soluzione non utilizzata deve essere eliminata. Il medicinale non utilizzato ed i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità alla normativa locale vigente. depositato AIFA il 09.10.2012 6.3 Periodo di validità 18 mesi. 7. TITOLARE DELL’AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Aziende Chimiche Riunite Angelini Francesco - A.C.R.A.F. S.p.A. - Viale Amelia, 70 - 00181 ROMA. 8. NUMERO DELL’ AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISSIONE IN COMMERCIO Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione, 1 sacca da 50 ml AIC n. 012745232 Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione, 12 sacche da 50 ml AIC n. 012745244 Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione, 1 sacca da 100 ml AIC n. 012745257 Tachipirina 10 mg/ml soluzione per infusione, 12 sacche da 100 ml AIC n. 012745269 9. DATA DELLA PRIMA AUTORIZZAZIONE O DEL RINNOVO DELL’AUTORIZZAZIONE 1 Agosto 1957/1 Giugno 2010 10. DATA DI REVISIONE DEL TESTO Settembre 2012 INFORMAZIONI AGGIUNTIVE Tachipirina 10mg/ml soluzione per infusione, conf 12 sacche da 50 ml - Classe C – OSP - Prezzo: 54,50 euro cod. 529370 Tachipirina 10mg/ml soluzione per infusione, conf 12 sacche da 100 ml - Classe C – RR - Prezzo: 92,65 euro Articolo originale TERAPIA IPOSTIMOLANTE MEDIANTE BLOCCHI ANESTETICI NEL DOLORE CRANIO-FACCIALE HYPOSTIMULATION THERAPY USING ANESTHETIC BLOCKS IN THE CRANIOFACIAL PAIN Claudio Antonio Caputi, Vincenzo Firetto S.O.D. di Medicina del Dolore Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedali Riuniti - Ancona RIASSUNTO Si è valutata l’efficacia terapeutica del blocco dei nervi sovraorbitario (SN) e grande occipitale (GON) in 262 pazienti affetti da emicrania non controllata dalla terapia convenzionale. 214 pazienti (82%) hanno risposto favorevolmente al trattamento che, privo di effetti collaterali, ha mantenuto la sua efficacia per un periodo di osservazione di sei mesi. Inoltre sono stati sottoposti ad analogo trattamento 180 pazienti affetti da nevralgia trigeminale di cui 103 hanno ottenuto una remissione completa delle crisi dolorose e 45 una remissione parziale ad un followup da 6 a 12 mesi. Si auspica che tale esperienza, con un adeguato approfondimento neurofisiologico, possa rivelarsi un mezzo utile anche ad un chiarimento patogenetico. Parole chiave Emicrania, nevralgia trigeminale, blocco anestetico del nervo occipitale, blocco anestetico del nervo sovraorbitario, CGRP SUMMARY The therapeutic value of greater occipital and supraorbital nerve blokade in 262 patients with migraine, unresponsive to several combinations of pharmacological treatments, was investigated. Two-hundred-fourteen patients (82%) responded well and maintained a favorable response during the six-month period of observation. Furthermore, the same treatment has been administered to 180 patients who suffered from trigeminal neuralgia. 103 of them received a complete remission of painful attacks while 45 persons had a partial remission of the same symptoms according to a six and twelve month follow-up survey. The trigeminal nerve hypersensitization coud be interrupted by the performed procedure as the following facial trigger point suppression would suggest us. We hope that this clinical experience, together with a correct neurophysiological study, could prove be useful in clarify pathogenetic aspects. Key words Migraine, trigeminal neuralgia, occipital nerve block, supraorbital nerve block, CGRP Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 21 22 INTRODUZIONE MATERIALI E METODI Il dolore cranio-facciale costituisce sempre un problema diagnostico talora scarsamente definibile per la sua complessità anatomica e neurofisiologica e per il significato psicologico che queste aree assumono. Pertanto risulta difficile anche l’interpretazione dei meccanismi alla base di trattamenti terapeutici che si dimostrano efficaci. Osservazioni storicamente datate, ma valide e precise, già evidenziavano un ruolo centrale dei vasi cranici e del trigemino nella patogenesi del dolore cefalico.1,2 È noto, inoltre, che fibre afferenti dalle tre radici cervicali superiori convergono sui neuroni del nucleo spinale del trigemino, nella parte superiore del midollo cervicale; perciò è possibile che un disturbo in corrispondenza di questa regione provochi dolore in territorio trigeminale.3,4 La dimostrazione, nell’uomo, di un ricco supporto di fibre contenenti sostanza P (SP) e calcitonin gene-related peptide (CGRP) nella sostanza gelatinosa del subnucleus caudalis del nucleo trigeminale e nelle lamine I e II di Rexed del livello C1 e C2 del midollo cervicale, correla con l’evidenziazione, sempre nell’uomo, dell’esistenza di una convergenza funzionale costituita da proiezioni nocicettive cervicali ai nuclei trigeminali.5-7 Osservazioni cliniche supportano l’idea che il nervo grande occipitale (GON) può costituire la struttura irritabile che, per cause diverse, genera dolore occipitale e fronto-orbitale, controllabile, con vario grado di successo, mediante blocchi anestetici e talora con interventi neurolitici.8-16 Da tali premesse, un nostro studio prospettico sulla efficacia terapeutica del blocco ripetuto del nervo sovraorbitario (SON) combinato o meno al blocco del GON in pazienti emicranici, risultava già conclusivo di alcune incoraggianti evidenze.17 Successivamente sono stati trattati con blocchi anestetici 262 pazienti, su un totale di 531 emicranici osservati in un periodo di circa cinque anni, (64 maschi, 198 femmine; età media 43.4; min.12-max 82) di cui 230 con emicrania senza aura e 19 con emicrania con aura secondo la classificazione della ICHD-II; 13 con cefalea cervicogenica (CEH). In molti casi la patologia era presente in media da diversi anni ed insufficientemente con- trollata dalle terapie farmacologiche. Il blocco anestetico dei nervi SON e GON è stato eseguito mediante iniezione perinervosa di bupivacaina 0,5% a livello dei punti di repere epicranici, se risultanti dolenti alla digitopressione, monolateralmente, bilateralmente o in modo combinato in relazione alla sede del dolore, per almeno cinque giorni consecutivi. L’avvenuto blocco è stato in tutti i casi verificato dalla presenza di anestesia nei territori corrispondenti. L’efficacia del trattamento è stata valutata mensilmente fino a sei mesi per ogni paziente mediante il conteggio del numero totale di crisi di emicrania/ mese, il consumo di farmaci analgesici/mese e il Pain TotaI Index (PTI), espressione integrata dell’intensità e della durata delle crisi in un mese. I pazienti sono stati considerati re- Figura 1 Variazioni mensili (medie ± ES) del Total Pain Index (TPI) T0 = mese precedente l’inizio del trattamento. T1 - T6 = sei mesi successivi al trattamento 350 T0 T1 T2 300 T3 T4 T5 T6 250 200 150 100 50 0 Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 mesi p=0,0001 sponsivi al trattamento quando il PTI è diminuito di almeno il 50% dopo il primo mese di terapia. L’analisi statistica è stata effettuata mediante il test di Wilcoxon (Figure 1 e 2). Per il dettaglio dei criteri di valutazione ed i metodi usati si fa riferimento a nostre precedenti pubblicazioni.17,18 RISULTATI 214 pazienti (82%) hanno risposto favorevolmente durante i sei mesi di osservazione. Il trattamento si è dimostrato privo di effetti collaterali ed ha anche consentito, in molti casi, la sospensione di ormai inefficaci terapie farmacologiche in atto e, in altri casi, la quasi immediata sospensione dell’abusata assunzione di sintomatici. Tale trattamento di profilassi costituisce un protocollo terapeutico che viene applicato a circa il 50% dei pazienti, affetti da vari tipi di cefalee a prevalente componente vascolare, annualmente osservati nel nostro Centro. La diretta esperienza maturata nell’ambito delle cefalee ed alcuni reports della letteratura relativi al trattamento della nevralgia trigeminale mediante il blocco anestetico delle branche nervose periferiche, ci hanno indotto a verificare l’efficacia dei blocchi anestetici dei nervi epicranici anche nel controllo delle nevralgie trigeminali.19-21 Pertanto sono stati sottoposti a ripetuti blocchi anestetici dei nervi epicranici (da 5 a 8) delle branche interessate 136 soggetti affetti da nevralgia trigeminale idiopatica e 44 da nevralgia trigeminale secondaria. 103 pazienti hanno ottenuto una remissione completa della sintomatologia (n. 39 a 6 mesi, n. 52 a 12 mesi); 45 pazienti hanno ottenuto una remissione parziale, consistente in una riduzione in intensità e frequenza delle crisi dolorose quotidiane ≥ 50% (n. 24 a 6 mesi, n. 11 a 12 mesi); 32 pazienti hanno ottenuto una insufficiente remissione delle crisi quotidiane (< al 50%) (Tabella 1). L’intensità del dolore è stata valutata mediante una scala analogica visiva da 0 a 100 mm. Alcuni pazienti hanno potuto interrompere o ridurre la terapia farmacologica in atto. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI In accordo con le attuali acquisizioni sul ruolo patogenetico centrale del sistema trigemino-vascolare, noi riteniamo che la prolungata efficacia clinica del trattamento nei soggetti emicranici può ricondursi al blocco dell’infiammazione neurogena trigeminale perivascolare da parte dell’anestetico locale, mediante un meccanismo di inibizione del trasporto assonale e quindi del flusso antidromico dei mediatori del riflesso assonale quali la S P e la CGRP.5, 22-24 La mancata depolarizzazione cellulare, per effetto del blocco dei canali del sodio da parte dell’anestetico locale, inibendo il rilascio di CGRP interromperebbe la vasodilatazione e la permeabilizzazione con conseguente stravaso di peptidi, fattori locali della sensibilizzazione algogena. Si otterrebbe in tal modo la normalizzazione della soglia di risposta dei nocicettori del primo neurone sensitivo. Figura 2 Variazione medie mensili del numero totale di crisi emicraniche, del numero delle crisi forti (grado 3) e del numero di dosi di analgesici N. totale crisi/mese 14 N. totale inten. 3/mese N. dose analg./mese 12 10 8 6 4 2 0 basale 1° mese 2° mese Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 3° mese 4° mese 5° mese 6° mese 23 Analogamente la tossina botulinica, la cui somministrazione locale ha recentemente evidenziato una certa efficacia terapeutica sugli emicranici, agirebbe inibendo il rilascio di tutti i neurotrasmettitori tra cui il CGRP per effetto del blocco della fusione della vescicola sinaptica a livello della membrana cellulare.25,26 Il ricorrere delle crisi nel tempo può condurre, negli emicranici, ad un allargamento dei campi ricettivi epicranici insieme a una diminuzione della soglia nocicettiva cutanea e intracranica perivascolare e il blocco del GON può ridurre sia il dolore che l’allodinia cutanea, espressione di sensitizzazione centrale.27,28 L’intervento terapeutico, attuato mediante blocchi anestetici ripetuti, comporterebbe un durevole effetto iposensibilizzante sui nocicettori periferici “riequilibrando” la loro soglia di attivazione e arrestando l’induzione di meccanismi neuroplastici di ipersensibilizzazione centrale che potrebbero tradursi clinicamente in cronicizzazione. Il trattamento ipostimolante, anche se attuato perifericamente e senza influenzare apparentemente il “primum movens”, potrebbe interferire con la fase di formazione e trasmissione dello stimolo algico su un sistema trigeminale irritabile; inserendosi quindi in un momento centrale del meccanismo patogenetico della crisi emicranica. I dati attuali ci permettono di considerare i blocchi dei nervi epicranici una metodica efficace nel ridurre nel tempo l’intensità e la frequenza delle crisi emicraniche e, quindi, assimilabile ad un utile e conveniente trattamento di profilassi. Anche nell’ambito delle nevralgie tri- 24 geminali i blocchi anestetici si sono rivelati sicuramente vantaggiosi per indurre periodi, anche protratti, di remissione della sintomatologia con conseguente sinergia e/o riduzione della terapia farmacologica, in taluni casi poco tollerata, e ridurre o procrastinare trattamenti neurolesivi. In tal caso essi agirebbero interrompendo, seppur temporaneamente, uno stato di ipersensibilità del nervo con conseguente soppressione delle zone trigger. Recenti osservazioni riportate in letteratura evidenzierebbero l’efficacia nel controllo del dolore da nevralgia trigeminale refrattaria sia della somministrazione di sumatriptan sia delle iniezioni di tossina botulinica tipo A.29,30 Nel primo caso è noto che l’attivazione dei recettori 5-HT1B/1D da parte del triptano inibisce il rilascio di CGRP. Pertan- to anche in tal caso è ipotizzabile che il controllo del dolore è effetto della inibizione dell’infiammazione neurogenica, probabile induttore di scariche ectopiche In conclusione il controllo del dolore nell’emicrania e nella nevralgia del trigemino, patologie a patogenesi sicuramente diversa, ottenuto con farmaci e trattamenti che, seppur con meccanismi diversi, agirebbero inibendo il CGRP, evidenzia un ruolo patogenetico comune ed assolutamente centrale di tale peptide. In considerazione della semplicità di esecuzione della metodica, rivelatasi priva di effetti negativi, rapportata ai potenziali benefici, riteniamo tali dati più che incoraggianti sia dal punto di vista clinico che per la comprensione dei meccanismi patogenetici di tali patologie.31 Tabella 1 Risultati clinici del trattamento delle nevralgie trigeminali mediante blocchi anestetici Risultato clinico Pazienti Durata dell’effetto 3 mesi 6 mesi 12 mesi Remissione completa 103 12 39 52 Remissione parziale 45 10 24 11 Remissione insufficiente 32 Totale pazienti180 (età media 67 anni; maschi 73; femmine 107) Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 BIBLIOGRAFIA 1) Ray BS, Wolf HG. Experimental studies on headache, pain sensitive structures of the head and their significance in headache. Arch Surg 1940; 41: 813. 2) Leriche R. Des migraines fronto-sus-orbitaires. Leur traitment par l’injection de novocaine autour de l’artère temporale superficielle. 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Peripheral nerve blocks and trigger point injections in headache management – a systematic review and suggestions for future research. Headache 2010; 50: 943-952. 25 Casi clinici LA TERAPIA INTRATECALE NELLE VASCULOPATIE CASO CLINICO DI ERITROMELALGIA PRIMARIA INTRATHECAL THERAPY IN VASCULAR DISEASES CLINICAL CASE OF ERYTHROMELALGIA Rosario Russo, Marilena Cittadino S.O.D. Terapia del Dolore AO Pugliese Ciaccio, PO De Lellis, Catanzaro Antonio Russo Biologia Molecolare AO Pugliese Ciaccio, PO De Lellis, Catanzaro RIASSUNTO L’eritromelalgia primaria è una sindrome clinica rara a eziologia sconosciuta caratterizzata da vasodilatazione parossistica che si presenta con eritema, dolore urente e aumento della temperatura cutanea localizzata a livello delle estremità (piedi, più raramente mani). La terapia per questa patologia non è ancora standardizzata e consiste nella somministrazione di diversi farmaci o nell’impiego di tecniche invasive che possono essere efficaci in alcuni pazienti e di nessun beneficio in altri. Riportiamo qui il caso di una paziente di 31 anni che, dopo varie terapie risultate inefficaci, è stata trattata con successo con ziconotide intratecale. Parole chiave Ziconotide, infusione spinale, eritromelalgia primaria SUMMARY Erythromelalgia is a rare clinical syndrome, characterized by erythema, burning pain and increased skin temperature in the extremities. The therapeutic treatment of this pathology is not yet standardized and both the administration of several drugs or the use of invasive techniques can be effective in some patients and without effect in others. We report the case of a 31-yearsold women affected by primary erythromelalgia that after several ineffective therapeutic treatments, was successfully treated with intrathecal ziconotide. Key words Ziconotide, spinal infusion, primary erithromelalgia Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 27 INTRODUZIONE L’eritromelalgia è una sindrome clinica molto rara, caratterizzata da vasodilatazione parossistica che si presenta con comparsa di eritema, dolore urente e aumento della temperatura cutanea a livello delle estremità inferiori e più raramente delle estremità superiori.1 La gravità degli attacchi è variabile, può esprimersi con solo lieve dolore localizzato, oppure comportare importanti disabilità funzionali.1,2 Per quanto riguarda la localizzazione è stato stimato che nell’88 per cento dei casi vi è interessamento delle estremità inferiori, nel 26 per cento delle estremità superiori, ma è possibile anche che tutte le estremità, superiori e inferiori, siano interessate contemporaneamente.1,2 Descritta per la prima volta nel 1834, solo nel 1878 Mitchell coniò il termine eritromelalgia.1,3 Eritromelalgia deriva dalla combinazione di tre parole greche: erythros (rossore), melos (estremità) e algos (dolore).1,2 Si stima che in tutto il mondo solo poche migliaia siano le persone affette da tale patologia.2 I sintomi sono esacerbati dal calore ed attenuati dal freddo e l’eritromelalgia può compromettere notevolmente la qualità della vita dei pazienti. La patologia viene classificata in una forma primaria e una forma secondaria. La forma idiopatica è causata da una mutazione del canale del sodio NaV1,4 localizzata a livello del gene SCN9A.5 Dal punto di vista patogenetico l’esatta eziologia è sconosciuta anche perché essendo una patologia rara le ricerche sono limitate a un esiguo numero di casi. Sono state pro- 28 poste diverse teorie a riguardo. Le più accreditate sono l’ipotesi neurologica e l’ipotesi vascolare. La prima ipotesi prevede una possibile degenerazione del plesso nervoso autonomo della cute, che causerebbe una secondaria alterazione vascolare a cui seguirebbe la comparsa della sintomatologia. La seconda ipotesi, è quella vascolare secondo la quale una primaria alterazione della normale vasocostrizione e vasodilatazione creerebbe stati di iperemia e ipossia tissutale che possono causare una degenerazione nervosa e l’insorgenza delle manifestazioni caratteristiche.6 È di vitale importanza una terapia comportamentale come evitare fonti di calore, non indossare calze, indossare scarpe aperte, tenere basso il riscaldamento in casa, inoltre è possibile una terapia farmacologica a base di diversi farmaci che tuttavia non risultano efficaci in tutti i pazienti, per esempio aspirina, gabapentin, inibitori del reuptake della serotonina, prostaglandine, antidepressivi triciclici, magnesio, calcio-antagonisti, nitro prussiato di sodio.1 In caso di fallimento sono suggerite procedure invasive come il blocco dei gangli simpatici, la simpatectomia chirurgica e infusione epidurale di oppiacei.1,2 A oggi, comunque, non esiste un approccio terapeutico standardizzato. Nel caso presentato in questo report, una paziente affetta dalla sindrome descritta, dopo numerosi tentativi terapeutici infruttuosi, è riuscita a trarre grande giovamento dal trattamento con ziconotide intratecale. Il razionale di tale scelta deriva dal fatto che, come si leggerà più avanti, l’utilizzo di oppiacei per via intratecale aveva Figura 1 Prima del trattamento Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 dato risultati positivi ma con effetti collaterali non accettabili. Ziconotide Attualmente la somministrazione intratecale (IT) di farmaci è una delle pratiche più utilizzate per il trattamento di pazienti con dolore refrattario. Il vantaggio, rispetto ad altre vie di somministrazione, è quello di ottenere un effetto analgesico paragonabile o migliore con dosaggi più bassi e spesso con un maggiore livello di tollerabilità. Uno dei farmaci a somministrazione IT più studiati è ziconotide,4,7,8 un analogo sintetico di un omega-conopeptide, estratto dal veleno del gasteropode marino conus magus. Ziconotide agisce sui canali del calcio Ca2+ voltaggio dipendenti (CCVDs) di tipo N, i CCVDsN, concentrati soprattutto nelle terminazioni presinaptiche delle fibre afferenti primarie Aδ e C localizzate nelle lamine superficiali del corno dorsale del midollo spinale. Mediante l’apertura/chiusura di questi canali viene regolato il rilascio di neurotrasmettitori come i neuropeptidi e gli aminoacidi eccitatori che attivano i neuroni nocicettivi di second’ordine delle corna dorsali. Ziconotide, bloccando i CCVDsN, previene la liberazione dei neurotrasmettitori e conseguentemente l’attivazione dei neuroni nocicettivi. Ziconotide è destinato esclusivamente a un uso intratecale per infusione continua attraverso catetere tramite una pompa meccanica o elettronica esterna o interna, capace di erogare un volume preciso di soluzione. I risultati di diversi studi hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza di ziconotide, utilizzato conformemente alle linee guida dell’FDA (Food and Drugs Administration) e dell’EMEA (European Medicines Agency). Si è evidenziato anche il vantaggio che la somministrazione prolungata non sviluppa dipendenza o tolleranza, a differenza di quanto avviene con la somministrazione ripetuta di oppioidi. CASO CLINICO Premessa. Questo è un caso del 2010, l’autore ha preferito osservare la paziente per 2 anni prima di pubblicare il caso per accertare l’efficacia del trattamento S.A. 31 aa. Donna caucasica Affetta dall’età di 6 anni da eritromelalgia primitiva (diagnosi all’età di 18 anni) con vasodilatazione parossistica, dolore urente, aumento della temperatura cutanea, arrossamento e gonfiore dei piedi. Patologie concomitanti: esoftalmo con megacornea; glaucoma bilaterale congenito con perdita del visus a destra e forte riduzione a sinistra. Nel corso degli anni i sintomi si sono presentati con sempre maggiore frequenza richiedendo diversi ricoveri ospedalieri. La paziente è stata trattata fino al 2008 con FANS, riposo e spugnature fredde con buoni risultati. Nell’ottobre 2008 ha subito un ennesimo ricovero: dopo circa due mesi, visto che la sintomatologia non regrediva e i farmaci in uso risultavano inefficaci, la paziente, che nel frattempo riposava da mesi in poltrona con i piedi in una bacinella con acqua fredda, cambiata ogni 30 minuti, ci viene inviata dal reparto Figura 2 Ricovero per impianto pompa definitiva Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 29 di dermatologia della nostra Azienda per una consulenza. Alla prima visita la paziente risulta molto sofferente: lamenta intenso dolore con bruciore continuo e scosse alle dita; cute caldissima, piedi e caviglie gonfi e tumefatti; cute fissurata per la permanenza in acqua con zone violacee. Il valore di NRSPI (numeric rating scale pain intensity): 10. Presenta zone di allodinia secondaria nelle regioni perimalleolari bilateralmente e iperalgesia ai polpacci e al collo del piede bilateralmente. La paziente viene presa in carico dalla nostra struttura. Si inizia un trattamento con: - pregabalin 75 mg. x 2 - ossicodone 5 mg. x 2 Nelle settimane successive, con il miglioramento della sintomatologia, (NRSPI: 5-6) il dosaggio viene stabilizzato a: - pregabalin 150 mg. x 2 - ossicodone 20 mg. x 2 poi ossicodone + naloxone. Tale dosaggio è mantenuto fino a giugno 2009 con ulteriore miglioramento (NRSPI: 3-4). Al controllo si osserva il perdurare del gonfiore agli arti inferiori, la diminuita sensazione di bruciore con necessità, non più continua, di spugnature fredde, il riposo notturno regolare a letto. Fino a febbraio 2010, con periodici aggiustamenti della terapia, la sintomatologia è tenuta sotto controllo. Anche gli effetti collaterali degli oppiacei e degli anticonvulsivanti sono ben controllati. Nel marzo 2010 si verifica un improvviso peggioramento senza cause scatenanti apparenti. La terapia non funziona più. La temperatura atmosferica non è particolarmente calda. Si decide di ruotare l’oppioide e 30 di sostituire l’anticonvulsivante, ma i sintomi non regrediscono (NRSPI: 9-10); l’aumento dei farmaci porta a effetti collaterali gravi con estrema sonnolenza, stipsi e profonda astenia. Si opta per il ricovero e l’impianto di una pompa intratecale. Si scarta l’ipotesi di un neurostimolatore perché la scarsa letteratura disponibile non è favorevole per questi casi e inoltre la paziente si dichiara assolutamente contraria perché nel forum dei pazienti affetti da tale patologia, una paziente, alla quale è stato impiantato un neurostimolatore, scrive dell’assoluta inutilità, nel suo caso, di questo device e si dichiara risoluta all’espianto. Nell’aprile 2010 avviene il ricovero per i test predittivi di efficacia che sono routinari nel nostro Centro di Terapia del Dolore in previsione di impianto di pompa intratecale. A tale scopo vengono eseguiti due test: prima iniezione intratecale con anestetico a basso dosaggio, seconda iniezione intratecale con oppiacei a basso dosaggio, intervallate di 24 ore. Test all’anestetico: risposta interlocutoria. Test alla morfina 0.03 mg in due cc: la paziente risponde positivamente con riduzione immediata del dolore, ma poi lamenta intensissimo prurito al viso e al collo tanto da procurarsi lesioni da grattamento. Consideriamo comunque positiva la risposta sul dolore della morfina ma decidiamo di scartarla per l’effetto collaterale manifestatosi e decidiamo di utilizzare ziconotide, farmaco con il quale il Centro ha una buona esperienza già dal 2007 con numerosi pazienti trattati. Dopo 15 giorni la paziente viene ricoverata per l’impianto di un port-a-cath spinale per Figura 3 Ultimo refill di ziconotide Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 la titolazione di ziconotide. Il farmaco viene somministrato con titolazione lenta partendo da 0,3 mcg/die con micropompa CADD MS3 mod. 7400 fino al dosaggio di 1,2 mcg/die. Risultato: NRSPI: 3, permane un lievissimo bruciore, scompaiono l’allodinia e l’iperalgesia. L’anticonvulsivante è stato sospeso e l’oppiaceo per os è ridotto a 5 mg x2. Si rileva inoltre un risultato inaspettato: le gambe e i piedi, che al ricovero erano gonfi e tumefatti, migliorano già dopo una settimana e così permangono fino a oggi. Alla fine della titolazione, la paziente viene nuovamente ricoverata per l’impianto della pompa definitiva modello meccanico Tricumed da 10 ml a 0.26 ml/die e dosaggio giornaliero di ziconotide di 1.8 mcg. CONCLUSIONI Il risultato del caso che abbiamo presentato è andato oltre le nostre previsioni e per alcuni aspetti ci appare inspiegabile con le nostre conoscenze attuali. Sicuramente ziconotide ha ridotto sensibilmente il dolore urente alle estremità, ciò ha portato a un miglioramento della qualità della vita della paziente permettendole di riposare a letto e non in poltrona come ormai faceva da mesi. Ha evitato il perdurare della necessità di stare con le estremità nell’acqua fredda (cosa che si era mantenuta per mesi) consentendo un miglioramento delle condizioni cutanee locali con scomparsa delle lesioni che parevano ormai croniche. È pensabile, ma da dimostrare, l’effetto di ziconotide anche su vie diverse da quelle fino a ora studiate e documentate anche tenendo conto della mutazione responsabile della patologia trattata e del sito d’azione di ziconotide a livello midollare. Pur essendo limitato a un singolo caso, questo risultato, inserito anche in un contesto di dati presenti in letteratura, ci fa sperare di avere a disposizione un’arma efficace contro certi tipi di dolore resistenti ad altre terapie. Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 BIBLIOGRAFIA 1) Latessa V. Erythromelalgia: A rare microvascular disease. Journal of Vascular Nursing 2010; 28: 67-71. 2) Bang YJ, Seok Yeo J, Kim SO et al. Sympathetic Block for Treating Primary Erythromelalgia. The Korean Journal of Pain 2010; 23(1): 55-59. 3) Gaur S, Koroscil T. Late-oneset erythromelalgia in a previously healthy young woman: a case report and review of the literature. J Med Case Reports 2009;3:106. 4) A consensus statement regarding the present suggested titration for Prialt (ziconotide). Editorial. Int. Neuromod. Soc. Neuromodulation 2005: 8 (3):153-154. 5) Cheng X, Dib-Hajj SD, Tyrell L et al. Mutation at opposite ends of the DIII/S4-S5 linker of sodium channel NaV1.7 produce distinct pain disorders. Mol Pain 2010;6:24. 6) Kalgaard OM, Clause OP, Mellbye OJ et al. Nonspecific capillary proliferation and vasculopathy indicate skin hypoxia in erythromelalgia. Arch Dermatol 2011;147 (3): 309-314. 7) Mc Givern J. Ziconotide: a review of its pharmacology and use in a treatment of pain. Neuropsychiatric disease and treatment 2007: 3 (1): 69-85. 8) Lyseng-Williamson KA,Perry C. Ziconotide, Adis Drug Profile – CNS Drugs 2006; 20 (4): 331-338. 31 Letture IL DOLORE TRA MEDICINA RAZIONALE E MEDICINE “PARALLELE” PAIN BETWEEN RATIONAL AND “PARALLEL” MEDICINES Germana Pareti Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione Università di Torino RIASSUNTO Questa breve rassegna si propone di illustrare i temi di un simposio internazionale che si è tenuto di recente a Parigi, dedicato al confronto tra medicina razionale e medicine parallele nel mondo antico, ma con riferimenti anche alla storia moderna e contemporanea. In questo ambito, la trattazione del dolore gode di un’attenta considerazione, poiché da sempre nella storia della medicina il dolore è associato alla malattia e si sono perpetrati notevoli sforzi per sopprimerlo. Due relazioni hanno trattato gli effetti placebo e nocebo, ricostruendone la storia, mettendo in luce i meccanismi sia neurobiologici sia psicologici che li attivano, e mostrando le implicazioni bioetiche conseguenti all’induzione del nocebo. Se pure i processi neurali sottostanti a questi effetti non erano noti alla scienza del passato, certe pratiche venivano però impiegate non solo dai medici, ma anche dalla Chiesa per suggestionare le masse ignoranti. SUMMARY This short review aims to illustrate some topics of an international symposium recently held in Paris, dedicated to the comparison of rational and “parallel” medicines in the ancient world, but also with references to the modern and contemporary history. In this context the treatment of pain deserves attention, since in the history of medicine it has always been associated with the disease, and considerable efforts have made to suppress it. Two contributions have dealt with the placebo/nocebo effects, recostructing their history, highlighting both neurobiological and psychological mechanisms triggering them, and showing the bioethical implications deriving from induction of nocebo. Although the neural processes underlying these effects were not known to the science of the past, certain pratices were, however, used not only by doctors, but also by the Church to influence the ignorant people. Parole chiave Dolore, placebo, nocebo, storia, suggestione, medicina biopsicosociale, implicazioni bioetiche Key words Pain, placebo, nocebo, history, suggestions, biopsychosocial model, bioethical implications Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 33 Il 24 e il 25 settembre scorsi si sono tenute alla Maison de la Recherche di Parigi, organizzate dal Laboratoire d’excellence, Réligions et sociétés dans le monde méditerranéen (in collaborazione con l’Université de Paris-Sorbonne (Paris IV), il CNRS -UMR 8167 “Orient et Méditerranée”, laboratoire “Médecine grecque”), due giornate di studio dedicate al rapporto tra paziente e medicina, esaminato soprattutto dal punto di vista della “scelta” del malato. In luogo di chiedere risposte e aiuto terapeutico alla medicina razionale e consolidata dalla tradizione, nel corso dei secoli, non di rado i pazienti hanno preferito rivolgersi ad “altre” concezioni mediche, in qualche modo “parallele”, e talvolta addirittura sotterranee, che comunque sembravano in grado di fornire terapie e soluzioni efficaci. Mentre i lavori congressuali del primo giorno hanno riguardato la cultura greca e latina, con l’esame delle fonti letterarie ed epigrafiche della storia della medicina, in un’impostazione autenticamente interdisciplinare che coinvolgeva letteratura, filosofia, storia e antropologia, la seconda giornata prevedeva la disamina delle stesse tematiche, affrontate però in una prospettiva moderna e contemporanea da storici della medicina e specialisti, dai quali poteva provenire qualche spiraglio sui misteri della “sfera della salute psicosomatica”. Nella seconda giornata, due interventi, in particolare, di studiosi entrambi dell’Università di Torino hanno affrontato il tema del dolore da differenti angoli visuali, senza però perdere di vista l’approccio storico, che ha costituito il contrassegno di questo 34 convegno. Riccardo Torta, del Dipartimento di Neuroscienze, ha riferito su L’effet placebo: de l’histoire à la science, mentre Germana Pareti, storica della filosofia, è intervenuta su L’effet nocebo dans la médecine rationnelle. Dopo aver rievocato l’origine del termine “placebo”, voce che si trova all’inizio del Salmo 116, nono versetto: Placebo Domino in regione vivorum, Torta ha spiegato che cosa si intende precisamente per “effetto placebo” e ciò che avviene a seguito della somministrazione di un placebo, cioè di una sostanza inerte che, qualora presentata in un determinato contesto relazionale e psicologico, crea nel paziente l’aspettativa di un beneficio. In qualità di neurologo sensibile all’inquadramento biopsicosociale della malattia, Torta non si è limitato a trattare i correlati fisici dell’effetto placebo, che implicano il rilascio di oppioidi endogeni in talune aree corticali e subcorticali, ma ha messo in luce anche gli aspetti fisiologici, cognitivi, emozionali, culturali e ambientali del dolore. Secondo l’ipotesi biopsicosociale, infatti, è il rapporto tra corpo, mente e mondo esterno che plasma l’elaborazione del dolore. In tal caso, prenderne coscienza significa tramutarlo da stato di malattia (da vivere in maniera passiva) a esperienza che, attraverso il rapporto medico-paziente, può concorrere al miglioramento della vita. Sul piano della storia delle neuroscienze, Pareti ha invece ricostruito l’origine e lo sviluppo dell’effetto nocebo nel corso dei secoli, ricordando che il termine stesso “nocebo” fu introdotto nel 1961 da Walter Kennedy. Benché il lemma “placebo” nella sua connotazione scientifica sia Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 apparso già nel 1920 in un articolo pubblicato su «The Lancet» a firma di T.C. Graves, di solito i neuroscienziati fanno partire la storia di questi due effetti, placebo/nocebo, in epoca più recente. In genere, il “nocebo” di Kennedy è visto come pendant alla parola “placebo”, apparsa in uno scritto del 1955, Powerful Placebo a firma Henry K. Beecher, che l’aveva impiegata per denotare un effetto psicologico, oltre che fisico, nella presa di coscienza del dolore. Pare che il primo tentativo di quantificare gli effetti di un placebo attraverso una percentuale abbia preso l’avvio dall’osservazione di Beecher che i soldati americani di stanza in Europa occidentale nella II guerra mondiale, se ricoverati per le ferite negli ospedali, davano prova di sopportare il dolore meglio dei civili. Essi manifestavano aspettative meno pessimistiche e, in generale, un atteggiamento positivo nei confronti della vita. Kennedy aveva parlato di “reazione nocebo”. Ora, se per effetto nocebo si intende una reazione opposta a quella del placebo, è verosimile che, alla somministrazione di una sostanza inerte, presentata nel contempo come potenzialmente mal sopportata, si provino effetti indesiderabili e dolorosi. Questo effetto negativo è accentuato qualora si diano istruzioni verbali specifiche, per esempio suggerendo al paziente che di lì a breve subirà un aumento della sensazione dolorosa. E tali anticipazioni negative agirebbero in maniera ancora più potente, nel caso in cui la suggestione provenisse da un’autorità medica. Per capire la portata e l’efficacia di questi meccanismi, gli storici delle neuroscienze, in particolare della Harvard Medical School, hanno approfondito lo studio di talune pratiche in uso presso gli ambienti religiosi del XVI secolo. All’epoca, soprattutto i protestanti avevano profuso sforzi notevoli per denunciare le suggestioni esercitate dagli esorcisti, specialmente presso le fasce più deboli e retrograde della popolazione. Questi tentativi di smascheramento furono perpetrati soprattutto nella Francia devastata dalle guerre di religione a cavallo tra Cinque e Seicento, allorquando i cattolici fecero ricorso alla pratica dell’espulsione del diavolo dal corpo degli “indemoniati” come prova del legame tra gli Ugonotti e le forze del male. Ma il più delle volte, invece dell’acqua benedetta o dei testi sacri, i preti si servivano di acqua pura e di testi latini, e nondimeno affermavano di osservare “il Malefico” che usciva dal corpo dell’indemoniato. Michel de Montaigne nei suoi Essais, e in particolare nel capitolo XXI intitolato «La forza dell’immaginazione», si era servito di numerosi esempi di provenienza medica per descrivere la credenza nei miracoli e nelle visioni, soprattutto presso le anime più semplici e volgari, «che credono di vedere ciò che non vedono affatto». Montaigne si domandava come mai i medici cercassero di carpire la buona fede dei pazienti, facendo illusorie promesse di guarigione e fornendo al malato «l’imposture de leur potion» che andava ad aggiungersi, potenziandoli, agli effetti dell’immaginazione. Del resto, uno dei maestri di queste pratiche aveva asserito che ci sono persone, per le quali è sufficiente la vista di un rimedio per essere guarite! Ma Montaigne era ancora più icastico, e non esitava a paragonare i medici ai preti, i quali non facevano mistero di professare il seguente credo: «Une forte imagination produit l’événément». Nella letteratura storico-medica, specialmente di area culturale angloamericana, ha avuto successo il cosiddetto trick trial, che ebbe origine da questo atteggiamento di scetticismo nei confronti delle posizioni della chiesa cattolica. Lo “svelamento delle imposture” era praticato già ai tempi di Luigi XVI, il quale nella seconda metà del Settecento aveva istituito una commissione apposita per accertare gli effetti del mesmerismo, cioè per provare se esistesse realmente una nuova forza fisica, il magnetismo animale che, secondo il medico austriaco FranzAnton Mesmer, aveva il potere di curare e produrre effetti benefici sul paziente, dopo averne provocato crisi violente con grida e pianti. Nel 1784 il chimico Antoine Lavoisier e il fisico Benjamin Franklin condussero personalmente esperimenti per verificare le reazioni dei pazienti a oggetti che credevano mesmerizzati. Si trattava di una sorta di placebo ante litteram, giacché alcuni soggetti entravano in crisi, con urla e convulsioni, all’esposizione ingannevole, per esempio, di un rametto, che era stato presentato come mesmerizzato e quindi in grado di guarire. Al contrario, poteva capitare che lo stesso paziente non manifestasse alcun segno di reazione se veniva posto a contatto di un oggetto, per esempio Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 un albero, che a sua insaputa era stato trattato con il fluido mesmerizzante. Nel secolo successivo, per effetti del metodo positivistico che si era diffuso in Europa, anche in medicina furono adottati schemi e principi di derivazione fisico-chimica. L’arte della guarigione diventò scienza, e sotto questa luce la medicina clinica non vide di buon occhio quelle presunte reazioni, di natura più psichica che fisica, le quali non si lasciavano ricondurre entro un preciso modello biochimico. Verso la fine del secolo, tuttavia, questa rigida impostazione cominciò a dar segni di cedimento. Si profilavano malattie che sfuggivano alle maglie dei postulati di Henle-Koch, secondo i quali doveva esistere una diretta relazione causale tra agente patogeno e malattia. Il paradigma riduzionistico subì un ulteriore sommovimento, quando si scoprì che esistevano i portatori sani di certe malattie, che vi erano soggetti, i quali, pur esposti all’infezione, non la sviluppavano. Emergevano poi malattie non riconducibili all’azione di batteri, le allergie, le malattie autoimmuni, il cancro, le patologie legate all’invecchiamento. Parallelamente a questi cambiamenti, tra Otto e Novecento, importanti scoperte sul piano della neuroanatomia e della neurofisiologia permisero di individuare le funzioni delle diverse regioni corticali. E a poco a poco si fecero sempre più chiari il ruolo e le connessioni di aree quali il sistema limbico e i nuclei talamici, che partecipano alla formazione degli stati emotivi e all’elaborazione dei processi nocicettivi. 35 Frattanto, i confini tra le emozioni e l’attività razionale si facevano sempre più sfumati. Nel secondo Novecento, autori come Antonio Damasio e Joseph LeDoux hanno condotto ricerche, secondo le quali peculiari aspetti della vita emozionale non sembrano doversi ritenere disgiunti dall’attività razionale. Anzi: alcuni percorsi neurali sottesi all’espressione di sentimenti ed emozioni sarebbero almeno in parte condivisi anche nell’esplicazione delle cosiddette facoltà intellettuali e cognitive. Di pari passo crescevano le conoscenze sui meccanismi del dolore: si scopriva che esso può venir modulato e alterato, in modo da alzarne o abbassarne la soglia, anche per mezzo di eventi mentali o addirittura di suggestioni ipnotiche. Si scopriva come poteva esserne facilitata la comparsa. Se ne accertava la sgradevole presenza concomitante a stati di depressione e di introversione e disagio sociale, poiché non di rado i soggetti che si trovano in tali condizioni accusano dolori cranio-facciali. A completamento di questo capitolo di storia dell’induzione del dolore, non è mancato un riferimento a una possibile esplicazione farmacologica del nocebo, tanto più doverosa se si ricorda che proprio l’Università di Torino vanta ricercatori, i quali sono stati tra i primi a occuparsi degli effetti placebo/nocebo. In questo contesto, sia pure senza approfondire il discorso sul piano neurofisiologico, si è fatto cenno che, nei fenomeni di iperalgesia, è coinvolto non solo il sistema delle colecistochinine (CKK, neurotrasmettitori che, antagonizzando l’azione degli oppioidi endo- 36 geni, hanno un effetto nocicettivo), ma anche l’asse ipotalamo-ipofisosurrenale, cui si accompagna l’azione dell’ippocampo. Si sono poi ricordate alcune esperienze significative, consistite nel somministrare a un gruppo di volontari un’autentica pillola contro l’emicrania e a un altro gruppo un medicamento fittizio. I due gruppi erano stati informati della possibile comparsa di disturbi, come nausea e vomito, come effetto collaterale della somministrazione del farmaco. Questi malesseri furono accusati anche da una considerevole percentuale (tra il 30 e il 40 per cento) dei soggetti che avevano ricevuto la falsa pillola. In un’altra ricerca venivano significativamente ridotte le dosi di morfina a pazienti che avevano subito un’operazione dolorosa, senza però che tutti i soggetti ne fossero informati. Dopo quattro ore, i pazienti che ignoravano la diminuzione progressiva della droga presentavano livelli di dolore sostanzialmente immutati rispetto al periodo precedente, in cui erano trattati con la morfina. Al contrario, gli altri percepivano il male con un’intensità doppia rispetto al trattamento precedente e, fatto ancora più singolare, la sensazione dolorosa era rilevata anche per mezzo di parametri fisiologici, quali l’aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. Nel descrivere i fenomeni biochimici che hanno luogo nel cervello a seguito della somministrazione di un placebo o di un nocebo, i neuroscienziati si sono concentrati sui processi di condizionamento e di aspettativa negativa che attivano il dolore. La Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 ricercatrice Irene Tracey, che dirige a Oxford il centro di risonanza magnetica funzionale del cervello, ha condotto esperimenti significativi sull’influenza che le credenze e le aspettative possono avere sugli effetti terapeutici di un certo medicamento, nella fattispecie un oppioide potente. Con il neuroimaging si sono studiati gli effetti del remifentanil in tre condizioni sperimentali: senza alcuna attesa dell’analgesia; con la speranza di un effetto benefico da parte dell’analgesico; con un’aspettativa negativa di analgesia, vale a dire con un’attesa di iperalgesia o esacerbazione del dolore. I ricercatori hanno impiegato la risonanza magnetica funzionale per registrare l’attività cerebrale al fine di verificare gli effetti delle condizioni di aspettativa (positiva e negativa) sull’efficacia dell’oppioide e di spiegarne i meccanismi neurali fondamentali. Mentre la fiducia in un esito positivo del trattamento agevolava (talora persino raddoppiandolo) l’effetto del farmaco, l’aspettativa negativa sopprimeva l’azione del remifentanil. Questi effetti soggettivi trovavano riscontro in evidenze oggettive, in quanto si osservavano modificazioni dell’attività neurale sottese a regioni cerebrali preposte alla codifica dell’intensità del dolore. Sembra che gli effetti negativi dell’aspettativa circa l’analgesia debbano essere associati all’attività dell’ippocampo. Dunque anche in questo caso, i ricercatori sono giunti alla conclusione che l’attesa dell’effetto di una medicina ne influenza in maniera critica l’efficacia terapeutica e che i meccanismi autoregolativi del cervello differiscono in funzione dell’aspettativa. In definitiva, assumendo il dolore come un modello, e riconoscendo che la reazione dolorosa è provocata non solo da uno stimolo fisico, ma anche dalla risposta individuale, vanno tenute presenti le enormi variazioni con cui soggetti differenti reagiscono, in condizioni diversificate, allo stesso stimolo doloroso. Questi aspetti che oggi sono all’attenzione dei neurofisiologi, un tempo erano dibattuti soprattutto dai filosofi e dagli antropologi. James G. Frazer ne Il ramo d’oro (1911-15) aveva affermato che l’immaginazione ha sull’uomo esattamente la stessa influenza della forza gravitazionale. L’immaginazione può uccidere né più né meno di una dose di acido prussico – sosteneva Frazer, rilevando che, a scopo di protezione, le società primitive avevano escogitato un sistema ben articolato di tabù e di regole cerimoniali. Questa razionalizzazione delle credenze primitive era stata criticata aspramente dal filosofo Ludwig Wittgenstein, che aveva giudicato “rozze” le opinioni di Frazer, reo di aver fatto apparire quelle concezioni magiche e religiose alla stregua di errori. Nondimeno lo stesso Wittgenstein riconosceva che anche le società evolute hanno le proprie magie e i propri esorcismi, ancorché differenti dalle usanze dei selvaggi. Allora, anche nel rapporto medicopaziente e, in generale, nell’ambito sanitario, gioca l’influenza del comportamento, delle forme di comunicazione, del linguaggio, del contesto, della gestualità e del modo in cui le parole sono proferite. L’effetto nocebo si attiva innescato da segnali negativi provenienti dall’am- biente medico o dal contesto psicologico e sociale del paziente. Alla ricerca del corretto equilibrio tra “conoscenza e credenza”, tra responsabilità individuale e parametri della scienza medica contemporanea, il trattamento della “persona” nell’interazione con l’ambiente dovrà coinvolgere strategie terapeutiche, che mirino a favorire (e consolidare) gli effetti del placebo e a prevenire (e impedire) le indesiderabili conseguenze del nocebo. In tempi recenti, soprattutto le conseguenze di questa seconda reazione hanno suscitato un vivace dibattito in ambito bioetico. I bioeticisti, infatti, hanno posto l’accento su un vero e proprio dilemma etico che perturba il medico: specialmente in quei casi in cui la sopravvivenza è a rischio, per esempio nel caso di un’operazione o di una terapia dagli effetti tossici, i medici hanno ancora l’obbligo di “dire la verità al paziente”, informandolo degli effetti secondari anche gravi, che ne possono derivare, o non sarebbe invece più proficuo minimizzare i danni collaterali e tacere sui rischi eventuali che una spiegazione esaustiva è tenuta a prospettare? Lungo questa linea di pensiero, si auspica l’introduzione di corsi di educazione rivolti al paziente, ma anche di comunicazione per i medici, i quali sono invitati a imparare a servirsi delle parole in modo mirato e pacato, con l’obiettivo di trasmettere suggestioni positive, evitando il più possibile quelle negative. Partendo dal presupposto che la comunicazione è già di per sé terapia, gli esperti hanno raccolto in una sorta di manualetto le espressioni che dovrebbero scomparire dal vocabolario Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 della prassi clinica e che un medico capace e sensibile non dovrebbe mai usare, né nel proprio studio né tantomeno in una corsia di ospedale, specialmente nei reparti oncologici. Oltretutto, si presume che, con un migliorato training nell’informazione della prognosi, molti accanimenti chemioterapici sarebbero rifiutati dai pazienti, cui spetta la decisione ultima sulla propria sorte. Infine, questa discussione si rivela tanto più attuale e proficua sul piano pratico, se si considera che la preparazione dei medici a comunicare le notizie (buone e cattive) comporterebbe persino una ricaduta positiva sull’economia, giacché si è calcolato che i costi dell’effetto nocebo per i farmaci ammontano a cifre strabilianti. Un aneddoto frequentemente citato nella letteratura medica sull’argomento evoca il caso del malato di cuore ricoverato in ospedale, per il quale il cardiologo aveva richiesto l’estrema unzione. Quando il prete giunse al capezzale, si sbagliò di letto: dopo aver ricevuto l’estrema unzione, il paziente morì. Però si trattava del malato nel letto vicino… 37 Recensioni GUARIRE IL DOLORE TATTICHE INVESTIGATIVE E STRATEGIE DI CURA A cura della Redazione In una società che non lascia spazio a nessun cedimento, improntata a efficienza e successo, parlare di dolore è molto difficile. Mentre di fronte alla malattia non si esita a rivolgersi al medico, di fronte al dolore cronico la tendenza è quella di arrendersi intervenendo solo per risolvere le fasi acute. Oggi si sono aperti nuovi orizzonti e accese incoraggianti speranze per chi soffre, a patto di scendere in campo con una strategia di cura vincente e mirata. E’ quindi fondamentale conoscere a fondo il proprio nemico. L’Autore, con un linguaggio accessibile e accattivante, ne descrive caratteristiche e funzioni, verifica i suoi rapporti con personalità ed emozioni, avvicinando gradualmente il lettore al concetto di “Medicina del Dolore”. Come una sorta di “filo di Arianna”, il testo guida alla conoscenza delle più comuni patologie che sono causa di dolore cronico, indaga i meccanismi che lo 38 alimentano e raccoglie gli indizi che lascia, per renderlo inoffensivo con strategie di cura adeguate che rispettino l’individualità di ciascun paziente. Il successo della cura consente di riconquistare una buona qualità di vita e di allontanare le insidie della cronicità. Lasciarsi alle spalle la sofferenza è oggi un diritto di tutti, ma è necessario creare una nuova consapevolezza rispetto alla possibilità di intraprendere opportuni progetti di cura per garantire la guarigione. Paolo Mariconti GUARIRE IL DOLORE Tattiche investigative e strategie di cura Editore: Edizioni Virgilio - Milano Anno: 2012 Collana: Pagine di Salute Pagine: 160 Formato: 15 x 21 Legatura: brossura Prezzo: Euro 20 ISBN: 9788895754048 Volume 19 Pathos Nro 4, 2012 Sistema SCS Precision Plus™ © 2012 Boston Scientific Corporation o sue affiliate. Tutti i diritti riservati. Tutti i marchi citati appartengono ai rispettivi proprietari. ATTENZIONE: La vendita del dispositivo è subordinata alla prescrizione di un medico. Indicazioni, controindicazioni, avvertenze e istruzioni per l’uso sono riportate nell’etichetta del prodotto e nel DFU fornito in ogni confezione. Informazioni per l‘uso nei soli paesi con registrazione dei prodotti da parte dell‘autorità sanitaria competente. Stampato in Germania da medicalvision per conto di Boston Scientific S.p.A., con sede legale in Milano, Viale E. Forlanini 23.
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