I fondi comuni di investimento immobiliare: natura
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I fondi comuni di investimento immobiliare: natura
I fondi comuni di investimento immobiliare: natura economico-giuridica, ordinamento comunitario e regime fiscale dei redditi corrisposti ai partecipanti Sommario: 1. Premessa - 2. Disciplina giuridico-fiscale italiana dei fondi immobiliari e recepimento delle Direttive comunitarie - 3. La fiscalità sui redditi dei fondi chiusi immobiliari e l’agevolazione sui conferimenti prevista dalla finanziaria 2007, tra pianificazione fiscale e valorizzazione del capitale immobiliare: il quadro normativo prima del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 - 4. Le recenti modifiche alla disciplina dei fondi immobiliari: l’art. 82, commi 17-22, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 e la nuova imposta patrimoniale. 1. Premessa I fondi comuni di investimento immobiliare rappresentano una particolare forma di finanziarizzazione (“mobiliarizzazione”) della ricchezza (cioè del capitale) immobiliare, attuata mediante il frazionamento di investimenti di elevato ammontare, in quote di partecipazione al fondo di valore unitario contenuto: essa costituisce, per il sottoscrittore, una forma di investimento di natura mista, caratterizzato cioè da una componente finanziaria ed una immobiliare. Si può quindi affermare che il fenomeno dei fondi comuni di investimento immobiliare (e la loro conseguente regolamentazione giuridica) costituisce, sostanzialmente, uno dei risultati “naturali” del più generale processo economico-sociale di concentrazione/centralizzazione del capitale, della connessa compenetrazione sempre più stretta tra capitale industriale e capitale bancario/creditizio (attraverso rapporti di partecipazione societaria reciproca e diffusi e permanenti rapporti di debito-credito), della formazione di grandi gruppi economico-finanziari operanti sui mercati internazionali delle merci e soprattutto dei capitali, della “finanziarizzazione” dell’economia mondiale (ossia del fenomeno dell’esportazione dei capitali, della sovraespansione della sfera finanziaria del sistema economico e dell’accentuazione dei tratti spiccatamente finanziari delle stesse imprese industriali), nonché dei rilessi immediati di tutti i predetti fattori oggettivi sul particolare segmento del mercato (e del capitale) “immobiliare”. In altri termini, banche, gruppi finanziari, assicurazioni, società di gestione del risparmio, fondi comuni di investimento (mobiliari ed immobiliari), fondi pensione, sono, nell’attuale fase di sviluppo del sistema economico, i veri protagonisti di questo enorme meccanismo di centralizzazione: essi raccolgono i capitali da privati, imprese ed anche enti pubblici, li accentrano e li convogliano in investimenti azionari, obbligazionari, immobiliari, monetari etc., agendo su tutti i mercati mondiali (finanziari e non). 2. Disciplina giuridico-fiscale italiana dei fondi immobiliari e recepimento delle Direttive comunitarie Con l’espressione “fondi immobiliari”, nell’ordinamento italiano vengono indicati i fondi comuni di investimento immobiliare istituiti ai sensi dell’art. 37 D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (cd. Testo unico della finanza - TUF) e dall’art. 14-bis della legge n. 86/1994; la definizione di “fondo immobiliare”, si rinviene nell’art. 37 del TUF e fa riferimento ai fondi che investono il proprio patrimonio esclusivamente o prevalentemente in beni immobili, diritti reali immobiliari ed in partecipazioni in società immobiliari. La misura della prevalenza degli investimenti in attività immobiliari (quantificata dall’art. 12-bis del decreto del Ministero del Tesoro, Bilancio e Programmazione economica del 24 maggio 1999, n. 228), affinché il fondo possa definirsi “immobiliare”, è pari almeno ai due terzi del valore complessivo del fondo; tale percentuale è ridotta del 51%, qualora il patrimonio del fondo sia altresì investito, in misura non inferiore al 20% del suo valore, in strumenti finanziari rappresentativi di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto beni immobili, diritti reali immobiliari o crediti garantiti da ipoteca immobiliare. Ne deriva che, secondo quanto previsto dall’art. 12-bis del DM n. 228/1999, il patrimonio dei fondi immobiliari può essere investito in attività diverse dai beni immobili, diritti reali immobiliari e partecipazioni in società immobiliari, fino ad un terzo del valore complessivo del fondo. Tale percentuale sale al 49% per quei fondi il cui patrimonio è altresì investito, in misura non inferiore al 20% del suo valore, in strumenti finanziari rappresentativi di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto beni immobili, diritti reali immobiliari o crediti garantiti da ipoteca immobiliare. Da ciò si desume che i fondi immobiliari, almeno potenzialmente, possono investire percentuali non trascurabili del loro patrimonio in titoli produttivi di interessi o in altre attività finanziarie i cui proventi sono compresi nell’ambito applicativo della Direttiva UE 2003/48/CE, concernente la tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi e recepita in Italia dal D.lgs 18 maggio 2005, n. 84. Questo comporta evidentemente che i redditi corrisposti da tali organismi di investimento possono essere considerati, almeno in linea teorica, “interessi” ai sensi dell’art. 6, par. 1, della citata Direttiva comunitaria; sono infatti considerati interessi, in base alla normativa comunitaria: 1. gli interessi su crediti di qualunque natura, fra cui i redditi dei titoli del debito pubblico ed i redditi prodotti dalle obbligazioni; 2. gli interessi maturati alla cessione, al rimborso o al riscatto dei suddetti crediti: 3. i redditi distribuiti da organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) autorizzati ai sensi della Direttiva 85/611/CE (cosiddetti “armonizzati”), da organismi di investimento collettivo stabiliti fuori dal territorio dell’UE e da altri soggetti denominati “entità residuali”; 4. i redditi realizzati alla cessione, rimborso o al riscatto di partecipazioni o quote dei predetti organismi, qualora investano oltre il 40% del loro attivo nei crediti oggetto della Direttiva. Ne consegue che i redditi corrisposti dai fondi immobiliari italiani, qualora abbiano le caratteristiche di cui all’art. 6, par. 1, della Direttiva comunitaria, sono considerati “interessi” ai fini della Direttiva stessa. Ovviamente, i fondi immobiliari italiani vanno ricondotti alla categoria delle “entità residuali” di cui all’art. 4, par. 2, della Direttiva, definite come quelle entità che non possiedono almeno uno dei seguenti requisiti: 1) personalità giuridica; 2) tassazione secondo i criteri del reddito d’impresa; 3) natura di organismo di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM) armonizzato (nota: cfr. circ. Ag. Entr. n. 74 del 27 dicembre 2007). L’esposta interpretazione ministeriale, sostanzialmente corretta, riconduce i redditi corrisposti dai fondi immobiliari italiani, alla categoria dei redditi di capitale erogati sotto forma di interessi; ciò, in effetti, appare conforme sia alla reale natura economica del fenomeno, sia alle norme giuridico-tributarie (europee ed italiane) che lo riflettono e lo regolano. Lo stesso quadro normativo italiano conferma quanto sopra delineato: l’art. 41, lett. h), Tuir, nella versione antecedente a quella attualmente vigente (ossia anteriore al D.lgs. 21 novembre 1997, n. 461, nonché anteriore alle modifiche introdotte con il D.lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, a seguito delle quali la disciplina dei redditi di capitale risulta contenuta negli artt. 44-48 del Tuir), definiva come redditi di capitale, in primo luogo, una serie di proventi riconducibili alla tipologia degli “interessi” o dei “dividendi”, e, come disposizione di chiusura, “ogni altro provento in misura definita derivante da impiego di capitale”. Con la riforma del 1997, è venuto meno il riferimento al limite della “misura definita” e la nozione di reddito di capitale si incardina attualmente sul neutrale ed oggettivo presupposto dell’ “impiego di capitale”: è cioè sufficiente che il capitale sia stato trasferito dal soggetto titolare (proprietario/possessore) nella disponibilità temporanea di altro soggetto e che, da tale investimento, scaturisca un reddito (ovvero un incremento patrimoniale) imputabile al soggetto che ha trasferito la disponibilità del proprio capitale (nota: cfr. Falsitta, Manuale di diritto tributario, parte speciale, Padova, 2005, p. 29). L’attuale art. 44, lett. h), Tuir, infatti, si chiude con una disposizione diretta ad attrarre nell’ambito dei redditi di capitale “gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego di capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto”; ciò significa che sono inquadrabili nella categoria dei redditi di capitale anche i proventi, derivanti da investimento di capitale, la cui esistenza ed il cui ammontare (anche non predeterminato o definito nella misura) sono connessi agli esiti incerti di una gestione altrui, nonché gli interessi di qualunque specie (esclusi quelli compensativi di un danno emergente e fatta salva la disposizione di cui all’art. 6, comma 2, Tuir, in base alla quale gli interessi moratori e per dilazione di pagamento rappresentano redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti per cui tali interessi sono maturati) (nota: cfr., Falsitta, op.cit., p. 29-30). Con la nuova formulazione, vengono pertanto ricompresi nell’alveo della categoria tributaria in argomento anche i proventi di capitale variabili e non collegati a parametri prefissati, ad eccezione di quelli connessi a rapporti di natura aleatoria, ossia suscettibili di generare differenziali sia positivi che negativi, che, invece, costituiscono “guadagni” di capitale occasionali (plusvalenze occasionali), tassabili come redditi diversi (pur derivando, comunque, da un impiego di capitale). Concludendo, si possono suddividere i redditi di capitale in due macro-categorie: 1. gli interessi e gli altri proventi derivanti da mutui e da altri rapporti di finanziamento; 2. i proventi derivanti dalla partecipazione in società o enti (dividendi) Come già detto, nella specifica categoria giuridico-tributaria dei redditi di capitale rientrano solo i “frutti” dell’investimento capitalistico, mentre l’eventuale differenziale (positivo o negativo) tra il costo del titolo ed il provento conseguito per effetto di una successiva negoziazione (plus/minusvalenza) è riconducibile alla categoria dei redditi diversi ex art. 67 Tuir. 3. La fiscalità sui redditi dei fondi chiusi immobiliari e l’agevolazione sui conferimenti prevista dalla finanziaria 2007, tra pianificazione fiscale e valorizzazione del capitale immobiliare: il quadro normativo prima del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 La struttura dei fondi immobiliari, così come prevista dalla legge 25 gennaio 1994, n. 86 e dal D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, è modellata su quella delineata dalla precedente legge 14 agosto 1993, n. 344, per i fondi di investimento mobiliari chiusi: questi ultimi, tra gli investitori istituzionali del capitale di rischio, svolgono un ruolo di rilievo rappresentando (in tutto il mondo) il principale strumento attraverso il quale si effettuano investimenti nel capitale di rischio. Tali fondi raccolgono capitali mediante l’emissione di quote, per investirli prevalentemente (ma non esclusivamente) in titoli di società non quotate. Si parla di fondi chiusi, in quanto non è consentito il riscatto delle quote se non ad una determinata scadenza prefissata dal regolamento; anche nei fondi chiusi è prevista la presenza di tre soggetti: la società di gestione, la banca depositaria ed i sottoscrittori/risparmiatori. Nel regime dei fondi chiusi immobiliari (legge 30 settembre 2003, n. 326), prima delle modifiche introdotte con il recente DL n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008, scompare il precedente prelievo patrimoniale commisurato al valore contabile del fondo, ma viene mantenuta l’esclusione del fondo dall’imposta sui redditi e dall’Irap, con l’istituzione di un prelievo generalizzato a carico dei partecipanti residenti in Italia: sui proventi (redditi di capitale) derivanti dalla partecipazione al fondo (nonchè sulla differenza tra valore di riscatto o liquidazione della quota e costo di sottoscrizione o acquisto) la società di gestione opera una ritenuta del 12,50%, a titolo di acconto nei confronti di imprese e società commerciali, ed a titolo di imposta per le persone fisiche non esercenti attività di impresa. Per questi ultimi soggetti, quindi, esclusa ogni forma di imposizione nella fase di “accumulazione” del capitale da parte del fondo immobiliare (connessa ai rendimenti derivanti dal realizzo di plusvalenze ed altri proventi di gestione), l’unico prelievo a titolo definitivo è quello che insiste sui proventi percepiti dai quotisti; se il sottoscrittore è invece un’impresa od una società commerciale, il vantaggio fiscale è costituito dal differimento della tassazione al momento della distribuzione dei proventi al quotista (nota: cfr. Stevanato, La fiscalità dei fondi chiusi immobiliari e la nuova agevolazione sui conferimenti di immobili, in Dialoghi di diritto tributario, 2007, p. 867). Per quanto riguarda il regime fiscale delle plusvalenze derivanti da cessione di quote, troverà applicazione l’art. 67, comma 1, lett. c-ter), Tuir, sui redditi diversi. Tale particolare regime fiscale dei proventi derivanti dalla partecipazione ai fondi immobiliari, deve essere correlato all’agevolazione introdotta dalla legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) che, al comma 137, prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’Irap, sulle plusvalenze realizzate all’atto del conferimento di immobili e diritti reali immobiliari nelle nuove Società di investimento immobiliare quotate (SIIQ) e, per l’effetto del comma 140, anche nei fondi immobiliari. L’agevolazione consiste sia nell’aliquota (fissata al 20%) che nella rateizzabilità dell’imposta in cinque anni; l’unica condizione per poterne fruire è rappresentata dal mantenimento della proprietà degli immobili, da parte della società conferitaria o del fondo immobiliare, per almeno tre anni. Il soggetto conferente deve essere una società o un’impresa commerciale (lo si deduce dal riferimento normativo all’imposta agevolata come sostitutiva anche dell’Irap). Fatte queste premesse, occorre segnalare la possibilità di connettere i vantaggi del regime fiscale particolare previsto dalla legge per i proventi conseguiti dai fondi immobiliari ed il regime agevolativo previsto per il conferimento di immobili: particolarmente vantaggiosa appare infatti l’agevolazione per i conferimenti di immobili detenuti nell’esercizio di impresa, considerando che l’apporto ai fondi chiusi immobiliari dovrà essere modellato su quello dei conferimenti in società. In tal senso si era espressa l’Agenzia delle Entrate, con la circ. n. 38 del 5 agosto 2004, affermando la necessità di valorizzare l’apporto ai fondi secondo lo schema dell’art. 9 Tuir e, quindi, considerare “corrispettivo conseguito” il valore normale dei beni conferiti. Ciò comporta che la plusvalenza (assoggettata all’imposta sostitutiva del 20%) dovrà essere pari alla differenza tra costo fiscalmente riconosciuto del bene (costo storico al netto degli ammortamenti effettuati) ed il suo valore di mercato. In sostanza, l’apporto al fondo costituirebbe per l’impresa conferente una “rivalutazione a pagamento” del proprio attivo immobiliare, scontando una ridotta imposizione sulle plusvalenze latenti, essendo peraltro possibile, dopo il triennio previsto dalla norma, il ritrasferimento dell’immobile dal fondo al soggetto apportante (con liquidazione di fatto della quota, attraverso una sorta di riscatto “in natura”, possibile alla luce della normativa sui fondi immobiliari) (nota: cfr. Stevanato, cit., 869). Considerando poi il vantaggioso regime fiscale dei proventi di gestione dei fondi immobiliari, relativo ai sottoscrittori persone fisiche non imprenditori o soggetti non residenti (ritenuta a titolo definitivo del 12,50%), sembra del tutto logico ipotizzare che, prima o poi, dopo il conferimento immobiliare da parte di un’impresa, vi sarà il successivo trasferimento delle relative quote del fondo dall’impresa apportante ad una o più persone fisiche (o soggetti non residenti), massimizzando in tal modo i benefici ottenibili dalla partecipazione al fondo stesso; ciò in quanto le norme agevolative sui conferimenti di immobili richiedono una permanenza minima dell’immobile in proprietà del fondo (tre anni), ma non prevedono alcuna limitazione in relazione alla cessione/circolazione delle quote del fondo da parte del sottoscrittore apportante. I fondi chiusi immobiliari potrebbero essere pertanto utilizzati per operazioni di pianificazione fiscale e “spin-off” immobiliare con indubbi ed articolati vantaggi: la società che apporta l’immobile anticiperebbe il carico fiscale sulla plusvalenza latente, pagando un’imposta sostitutiva ridotta al 20%; successivamente le quote di partecipazione al fondo ricevute a seguito del conferimento, potrebbero essere trasferite (allo stesso “valore normale” di conferimento e quindi senza realizzo di ulteriori plusvalenze) ad altri soggetti che, per la loro qualificazione soggettiva (persone fisiche o soggetti non residenti), accedono al regime di tassazione sostitutiva con aliquota del 12,50% sui proventi realizzati dal fondo (i quali possono consistere in plusvalenze da cessione immobiliare o in ricavi da locazione degli immobili, magari concessi in utilizzo ad altre società del medesimo gruppo dell’apportante) (nota. cfr. Stevanato, cit.). L’ipotesi sopra delineata può presentare, nel concreto, notevoli profili elusivi, alla luce del disposto di cui all’art. 37-bis DPR n. 600/73, che, definendo le caratteristiche di un’operazione elusiva, positivizza un fenomeno economico-sociale la cui struttura essenziale è costituita dai seguenti elementi: a) “anormalità” (nel senso di “anomalia” rispetto all’ordinario/normale comportamento in situazioni simili) del singolo atto, fatto o negozio giuridico, o (più spesso) della concatenazione (o collegamento) di atti, fatti o negozi giuridici, realizzati dal soggetto passivo d’imposta (o da più soggetti passivi) e funzionali al conseguimento di un determinato risultato economico; b) assenza, dietro la scelta di tali operazioni e della loro concatenazione, di “valide ragioni economiche”, ossia di ragioni economico-strutturali effettive, concrete, nonché ulteriori e diverse rispetto al puro e semplice risparmio/vantaggio fiscale ottenuto; c) la circostanza che tale vantaggio fiscale (riduzioni di imposta o rimborsi) sia “indebito”, in quanto non fisiologico e, dunque, non coerente con i principi di fondo del sistema tributario complessivo e diretto in modo precipuo ad aggirare precisi obblighi o divieti posti da specifiche norme tributarie. Le delineate caratteristiche potrebbero inoltre configurarsi, realizzando una fattispecie elusiva, nel caso in cui, dopo il descritto apporto immobiliare al fondo da parte di una società o impresa, le relative quote venissero alienate a soggetti persone fisiche (soci della società apportante o comunque soggetti in qualche modo correlati) e da questi, successivamente, cedute a terzi (i quali, decorso il termine di “cautela fiscale”, potrebbero a loro volta liquidare o riscattare la quota con eventuale restituzione dell’immobile conferito): è evidente che un’operazione di questo tipo, avrebbe come effetto finale quello di trasformare la plusvalenza su beni immobili (soggetta ordinariamente ad Ires, nel caso di società di capitali e ad Ire, nel caso di imprenditore persona fisica o società di persone) in una plusvalenza su titoli partecipativi ex art. 67, comma 1, lett. c-ter), Tuir, soggetta al più favorevole regime fiscale dell’imposizione sostitutiva, previsto per le ipotesi di cessione da parte di persone fisiche non in regime di impresa. Si verificherebbe, di conseguenza, lo spostamento della tassazione da beni di primo grado (immobili) a beni di secondo grado (quote di partecipazione), con relativo aggiramento delle ordinarie e specifiche norme tributarie sulle plusvalenze patrimoniali. 4. Le recenti modifiche alla disciplina dei fondi immobiliari: l’art. 82, commi 17-22, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 e la nuova imposta patrimoniale Le descritte inadeguatezze delle forme normative rispetto al fenomeno economico che ne costituisce il contenuto, hanno indotto il legislatore ad intervenire: l’art. 82, commi da 17 a 22, del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, ha infatti apportato rilevanti modifiche alla disciplina fiscale dei fondi immobiliari chiusi di cui all’art. 37 del Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (D.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58). Innanzitutto, sul piano fiscale, le predette norme hanno innalzato dal 12,50% al 20% l’aliquota della ritenuta alla fonte applicabile sui redditi di capitale derivanti dalla partecipazione ai fondi di investimento immobiliare di cui all’art. 7 del decreto legge 25 settembre 2001, n. 351, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 351; inoltre, è stato introdotto uno speciale regime di imposizione patrimoniale per i fondi immobiliari a ristretta base partecipativa, nonché per quelli riconducibili a persone fisiche appartenenti al medesimo nucleo familiare (cfr. Circ. Ag. Entr. 3 novembre 2008, n. 61/E). In particolare, ai sensi del comma 1 del citato art. 7, la società di gestione del fondo deve ora operare una ritenuta del 20% sui proventi di cui all’art. 44, comma 1, lettera g), Tuir, ossia sui redditi di capitale derivanti dalla partecipazione al fondo, risultanti dai rendiconti periodici redatti ai sensi dell’art. 6, comma 1, lettera c), numero 3, del Tuf, distribuiti ai possessori delle quote in costanza di partecipazione a fondi comuni di investimento immobiliare, nonché sulla differenza tra il valore di riscatto o di liquidazione delle quote ed il costo di sottoscrizione delle stesse. Tale ritenuta è a titolo di acconto nei confronti di imprenditori individuali, di società commerciali (di persone e di capitali), di stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di società ed enti non residenti; a titolo di imposta nei confronti di tutti gli altri soggetti, compresi quelli esenti o esclusi da imposta sul reddito delle società. Rimangono comunque qualificabili come redditi diversi di natura finanziaria le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso delle quote di partecipazione in fondi immobiliari ai sensi della lettera c-ter) dell’art. 67, comma 1, Tuir, e, pertanto, tali plusvalenze non sono soggette alla ritenuta alla fonte, bensì all’imposta sostitutiva del 12,50% (cfr. Circ. Ag. Entr. n. 61/2008 cit.); mentre le eventuali perdite realizzate attraverso il riscatto o la liquidazione sono riconducibili ai redditi diversi di natura finanziaria ai sensi dell’art. 67, comma 1-quater) del Tuir, stabilendo, quest’ultima disposizione, che i redditi diversi si originano anche per effetto del rimborso delle attività finanziarie indicate nell’art. 67, comma 1, lett. c-ter), del Tuir (tra le quali sono comprese le quote dei fondi comuni di investimento immobiliare) se non hanno costituito oggetto di cessione a titolo oneroso per tutta la durata dell’attività finanziaria in quanto sottoscritte all’emissione (cfr. Circ. Ag. Entr. n. 61/2008). E’ stata inoltre aumentata al 20% l’aliquota dell’imposta sostitutiva sui redditi diversi di natura finanziaria di cui all’art. 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, “realizzati in dipendenza della cessione o del rimborso delle quote di partecipazione” ai fondi immobiliari a ristretta base partecipativa o familiari. In proposito è stato precisato dall’Amministrazione finanziaria (Circ. Ag. Entr. n. 61/2008 cit.) che i redditi derivanti dal rimborso delle predette quote di partecipazione sono qualificabili come redditi di capitale e sono soggette alla ritenuta, mentre l’imposta sostitutiva dovrà essere applicata con la maggiore aliquota del 20% esclusivamente sulle plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso delle quote di partecipazione nei predetti particolari fondi. Per contro, continuano ad essere soggette ad imposta sostitutiva con la minore aliquota del 12,50%, le plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso delle quote di partecipazione in fondi immobiliari diversi da quelli a ristretta base partecipativa o familiari. Ciò che tuttavia in questa sede interessa maggiormente è l’introduzione di un’imposta patrimoniale dell’1% sul valore netto del patrimonio dei fondi a ristretta base partecipativa e/o “familiari”, che si aggiunge alla ritenuta alla fonte sui proventi distribuiti ai partecipanti: si tratta di un’imposta con funzione “dissuasiva” delle possibili operazioni elusive in precedenza descritte. Nella relazione illustrativa al provvedimento legislativo, infatti, si afferma che tale imposta patrimoniale “ha carattere essenzialmente antielusivo” in quanto con essa “si vuole evitare che le persone fisiche individualmente o insieme a pochissimi soggetti della medesima natura, possano promuovere la costituzione di fondi immobiliari al solo fine di beneficiare del favorevole regime fiscale di tassazione degli immobili e dei proventi derivanti dagli stessi, in luogo di quello più oneroso che si rende applicabile nel caso in cui gli immobili siano detenuti direttamente dai partecipanti”. L’imposta sostitutiva si applica ai fondi per i quali i regolamenti di gestione non prevedano la quotazione dei certificati partecipativi in mercati regolamentati italiani o esteri, che abbiano un patrimonio (al lordo dell’indebitamento) inferiore a 400 milioni di euro e che presentino almeno una delle seguenti caratteristiche: a) le quote del fondo siano detenute da meno di 10 partecipanti salvo che almeno il 50% di tali quote siano detenute da investitori istituzionali, soggetti indicati nell’art. 6 del D.lgs. n. 239/1996 (soggetti non residenti), da imprenditori individuali, società o enti, se le partecipazioni sono relative all’impresa commerciale, nonché da enti pubblici, enti di previdenza obbligatoria e enti non commerciali; b) indipendentemente dal numero dei partecipanti, se si tratta di fondi riservati e speculativi in cui più dei due terzi delle quote siano detenute complessivamente, nel corso del periodo d’imposta, da una o più persone fisiche legate tra loro da rapporti di parentela o affinità, nonché da società ed enti di cui le persone fisiche medesime detengano il controllo ovvero il diritto di partecipazione agli utili superiore al 50% e da trust di cui sono disponenti o beneficiari, salvo che le predette quote siano relative ad imprese commerciali. In effetti, la ratio dei commi 17-20 dell’art. 82 in esame, si fonda sulla constatazione oggettiva che l’utilizzo e la concreta combinazione strumentale dei meccanismi giuridico-economici connessi ai fondi immobiliari in senso distorsivo-aggiratorio delle norme tributarie, per il conseguimento di indebiti risparmi d’imposta, appare indubbiamente più facile nei casi di fondi immobiliari che presentano la descritta struttura “ristretta”. Tuttavia, dovrebbe trattarsi, a rigore, non tanto di una disposizione antielusiva “specifica” (ex art. 37-bis comma 8, DPR n. 600/73), quanto di una norma che istituisce una speciale imposta patrimoniale “aggiuntiva”, applicabile solo se ricorrono determinati e tassativi requisiti/presupposti stabiliti dalla legge ed avente una funzione puramente disincentivante di eventuali successive operazioni elusive (ricadenti nell’orbita applicativa più generale dell’art. 37-bis DPR n. 600/73). Mario Cermignani