La pena capitale fra diritti civili e politici
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La pena capitale fra diritti civili e politici
Amnesty International Gruppo Italia 115 Collegno – Grugliasco – Rivoli CLUB D‟IMPEGNO CIVILE E SOLIDARIETA‟ SOCIALE - ONLUS GRU CLUB ADB Progetto di educazione ai Diritti Umani – 4º Percorso Edizione 2005 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici INDICE 3 Patti Internazionali sui diritti umani 6 14 19 26 La pena di morte nel mondo Scheda Arabia Saudita Scheda Cina Scheda Stati Uniti 34 37 43 La tortura nel mondo Scheda Turchia Scheda Myanmar 47 50 54 Il tribunale Penale Internazionale Scheda Rwanda Scheda Yugoslavia 60 70 72 Appendici Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici Protocollo facoltativo relativo al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici Secondo Protocollo facoltativo aggiuntivo al Patto internazionale sui diritti civili e politici Iniziativa gratuita realizzata insieme al Centro Servizi V.S.S.P. Per promuovere il volontariato e la cultura della solidarietà Numero verde 800 590000 2 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali PATTI INTERNAZIONALI UMANI Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici SUI DIRITTI Allorché la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo fu proclamata nel 1948 dall'Assemblea Generale, essa fu considerata come il primo passo nella formulazione di una futura “carta internazionale dei diritti dell'uomo”, il cui valore fosse sia giuridico che morale. Nel 1976 - a tre decenni di distanza dall'impegno assunto dall'Organizzazione delle Nazioni Unite in questa vasta impresa - la “carta internazionale dei diritti dell'uomo” diventava una realtà grazie all'entrata in vigore di tre importantissimi strumenti: Il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, Il Patto internazionale sui diritti civili e politici, Il Protocollo facoltativo relativo a quest'ultimo Patto. I Patti obbligano gli Stati che li abbiano ratificati a riconoscere e progettare un'ampia gamma di diritti umani, mentre le disposizioni facoltative stabiliscono le procedure in base a cui i privati nonché gli stati possono presentare delle denuncie in merito a violazioni dei diritti dell'uomo. L'incoraggiamento del rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti figura nello Statuto - documento storico che ha dato origine all'Organizzazione delle Nazioni Unite - tra i grandi fini dell'Organizzazione Poco dopo la creazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, il Consiglio economico e sociale e la sua Commissione dei diritti dell'uomo decisero che la prevista carta internazionale si sarebbe dovuta comporre di una dichiarazione di principi generali, di valore morale, di un patto distinto, che avrebbe dovuto avere forza vincolante per gli stati che l'avessero ratificato, e di disposizioni di attuazione. La Commissione, in un lasso di tempo assai breve, provvide alla redazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, documento storico che stabilisce i principi generali che regolano il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Dalla sua adozione da parte dell'Assemblea generale, il 10 dicembre 1948, la Dichiarazione ha esercitato una vasta influenza nel mondo intero ed è stata fonte d'ispirazione per costituzioni e leggi nazionali, nonché per convenzioni relative a diversi diritti particolari. La Dichiarazione non aveva forza di legge al momento della sua adozione, ma, da allora, ha esercitato una notevole influenza sull'evoluzione del diritto internazionale contemporaneo. Dopo la proclamazione della Dichiarazione Universale, l'Organizzazione delle Nazioni Unite si cimentò in un compito ancora più arduo: tradurre i suddetti principi in disposizioni pattizie destinate ad imporre obblighi giuridici agli Stati che li avessero ratificati Successivamente emerse che due Patti, anziché uno solo, risultavano necessari: uno sui diritti civili e politici e l'altro sui diritti economici, sociali e culturali Non fu facile raggiungere un accordo sull'enunciato di diritti che risultassero accettabili a tutti i popoli, a tutte le religioni, a tutte le culture e a tutte le ideologie rappresentate in seno all'organizzazione delle Nazioni Unite. I due Patti furono elaborati articolo per articolo dapprima in seno alla Commissione dei diritti dell'uomo, e successivamente alla Terza Commissione dell'Assemblea generale. Il 16 dicembre 1966, l'Assemblea adottava i Patti internazionali ed il Protocollo facoltativo. Doveva passare un altro decennio prima che i Patti venissero ratificati da un numero sufficiente di stati per la loro entrata in vigore. In effetti occorrevano per ciascuno di essi, 35 ratifiche (o adesioni). Essendo stato raggiunto tale numero, il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali entrava in vigore il 3 gennaio 1976. Il Patto internazionale sui diritti civili e politici, nonché il Protocollo facoltativo ad esso connesso (già ratificato da 10 paesi, ossia il 3 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici numero minimo di ratifiche richieste per la sua entrata in vigore) entravano in vigore il 23 marzo 1976. Ogni paese che abbia ratificato il Patto relativo ai diritti civili e politici s'impegna a far sì che i suoi abitanti siano protetti per legge contro ogni trattamento crudele, inumano o degradante. Esso riconosce il diritto di ogni essere umano alla vita, alla libertà, alla sicurezza della sua persona e al rispetto della sua vita privata. Il Patto vieta la schiavitù, garantisce il diritto ad un processo equo e protegge gli individui contro ogni arresto o detenzione arbitraria. Esso riconosce la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di opinione, di espressione e di associazione, il diritto di riunione pacifica e di emigrazione. Ogni paese che ratifichi il Patto sui diritti economici, sociali e culturali riconosce che ha il dovere di favorire il miglioramento delle condizioni di vita dei suoi abitanti. Esso riconosce il diritto di ogni persona al lavoro, ad un equo salario, alla sicurezza sociale, ad un livello di vita adeguato mettendolo in particolare al riparo dalla fame - nonché alla salute e all'istruzione. Esso si impegna altresì a garantire ad ogni persona il diritto di costituire con altri dei sindacati e di aderire a sindacati di sua scelta. Le disposizioni dei Patti ricalcano, in linea generale, i diritti enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Tuttavia, i due Patti contengono un'importante disposizione che non figurava nella Dichiarazione: quella che enuncia il diritto che hanno tutti i popoli all'autodeterminazione ed al pieno e libero utilizzo delle proprie ricchezze e risorse naturali. Misure di attuazione I Patti prevedono due serie distinte di misure di attuazione. Gli Stati che abbiano ratificato il Patto relativo ai diritti civili e politici provvedono alla nomina di un Comitato per i diritti dell'uomo composto di 18 membri. Questi ultimi ricoprono la loro carica a titolo individuale e debbono essere persone di alta levatura morale e di riconosciuta competenza nel campo dei diritti dell'uomo. In conformità alle disposizioni facoltative di questo Patto, il Comitato per i diritti dell'uomo può esaminare comunicazioni nelle quali uno Stato parte pretenda che un altro Stato Parte non adempie agli obblighi derivanti dal Patto. Il Comitato esercita le funzioni di organo d'inchiesta e può designare, col preliminare consenso degli Stati interessati, commissioni di conciliazione ad hoc che mettono i loro buoni uffici a disposizione degli Stati allo scopo di giungere ad una soluzione amichevole della questione fondata sul rispetto dei diritti dell'uomo, quali sono riconosciuti dal Patto. (Queste disposizioni facoltative sono entrate in vigore il 28 marzo 1979 allorché si è verificata la decima dichiarazione di accettazione di esse). Il Protocollo facoltativo, che è entrato in vigore nel marzo 1976, abilita il Comitato per i diritti dell'uomo ad esaminare comunicazioni provenienti da individui, i quali pretendano essere vittime di violazioni, commesse da uno degli Stati parte del succitato Protocollo, di un qualsiasi diritto enunciato nel Patto. (I privati devono aver esaurito tutti i ricorsi interni disponibili). Il Comitato deve presentare un rapporto annuale all'Assemblea Generale dell'ONU. Gli Stati che abbiano ratificato il Patto sui diritti economici, sociali e culturali s'impegnano e presentano periodicamente al Consiglio economico e sociale rapporti sulle misure da essi adottate e sui progressi registrati nella promozione del rispetto di tali diritti. Il Consiglio può formulare 4 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici raccomandazioni di carattere generale e può promuovere l'adozione di misure internazionali intese a coadiuvare gli stati parte nella effettiva e graduale attuazione dei diritti enunciati nel Patto. L'Assemblea Generale ha invitato tutti gli Stati a divenire parti dei Patti e del Protocollo facoltativo, il che, a suo avviso, contribuirà ad accrescere considerevolmente il ruolo dell'Organizzazione delle Nazioni Unite nel campo della promozione del rispetto dei diritti dell'uomo Il Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici Il Secondo Protocollo Opzionale al Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici avente lo scopo di promuovere l'abolizione della pena di morte, adottato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989, è un trattato che riguarda tutti i paesi. Il Protocollo richiede l'abolizione totale della pena di morte da parte degli stati aderenti pur permettendo di mantenerla in tempo di guerra agli stati che hanno posto una riserva specifica al momento della ratifica. Ogni Stato che è parte del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici può aderire al Protocollo. Il testo del Patto sui diritti Civili e politici e dei relativi Protocolli sono riprodotti in Appendice. 5 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali LA PENA DI Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici MORTE NEL MONDO Introduzione “Un‟esecuzione non è semplicemente morte. E‟ diversa dalla privazione della vita almeno quanto un campo di concentramento è diverso da una prigione. Aggiungere alla morte una legge, una pubblica premeditazione conosciuta dalla futura vittima, un‟organizzazione che è essa stessa una fonte di sofferenze morali più terribile della morte. La pena capitale è il più premeditato degli assassinii con cui nessuna impresa criminale può essere paragonata … “ (Albert Camus, Riflessioni sulla pena di morte) Più della metà dei paesi del mondo hanno abolito la pena di morte dalle proprie leggi oppure non la applicano più. Secondo i dati più recenti a disposizione di Amnesty International, 76 paesi hanno abolito la pena di morte per ogni reato; 15 paesi l‟hanno abolita salvo che per reati eccezionali, quali quelli commessi in tempo di guerra; 20 paesi sono abolizionisti “di fatto” poiché non vi si registrano esecuzioni da almeno dieci anni oppure hanno assunto un impegno a livello internazionale a non eseguire condanne a morte. In sintesi la pena di morte non viene attualmente praticata in 111 paesi. Sono 85, invece, i paesi che prevedono, ricorrendovi in maggiore o minore misura, la pena capitale. Una vera e propria “emergenza pena di morte” sussiste tuttavia in una manciata di paesi: la Cina, alcuni stati del Medio Oriente (tra cui Arabia Saudita e Iran) e gli Stati Uniti d‟America (USA). In Cina tra aprile e giugno 2001 sono state eseguite 1.781 condanne a morte: ciò significa che questo paese da solo ha compiuto più esecuzioni in un trimestre di quanto abbia fatto il resto del mondo nell‟ultimo triennio. La tendenza mondiale verso l‟abolizione della pena di morte ha conosciuto negli anni ‟90 una decisa accelerazione: dal 1990 i paesi che anno abolito la pena di morte sono più di trenta e, tra il gennaio 1999 e il gennaio 2002, il loro numero è salito da 63 a 76. Pena di morte e diritti umani “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona” (art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti umani) Il problema della pena di morte non ha a che vedere solamente con il problema del controllo e della repressione della criminalità; né tanto meno può essere ricondotto soltanto alla sfera di applicazione della giustizia. La pena di morte attiene anzitutto alla sfera dei diritti umani, quindi ai fondamenti stessi della nostra società. Quando le Nazioni di tutto il mondo si riunirono al termine della Seconda Guerra mondiale, per fondare le Nazioni Unite, era molto chiaro nella mente di tutti cosa può accadere quando uno Stato ritiene che non vi sia alcun limite a ciò che può compiere nei confronti di un essere umano. 6 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Era ancora vivo il triste ricordo Paesi Abolizionisti: 85 dell‟indescrivibile livello di brutalità e di terrore cui si era Andorra, Angola, Armenia, Australia, Austria, giunti durante la guerra; la Azerbaijan, Belgio, Bhutan , Bosnia-Herzegovina , comunità internazionale volle Bulgaria , Cambogia, Canada, Capo Verde, Cipro, Città impegnarsi affinché tutto ciò non del Vaticano, Colombia, Costa Rica, Costa d'Avorio, potesse ripetersi mai più. Tale Croazia, Danimarca, Ecuador, Estonia, Finlandia, Francia, impegno si concretizzò nella Georgia, Germania, Gibuti, Grecia, Guinea Bissau, Haiti, approvazione della Dichiarazione Honduras, Irlanda, Islanda, Isole Marshall, Isole Universale dei Diritti dell‟Uomo, il Salomone, Italia, Kiribati, Liechtenstein, Lituania, 10 dicembre 1948. La Lussemburgo, Macedonia, Malta, Mauritius, Messico, dichiarazione intende rappresentare Micronesia, Moldavia, Monaco, Mozambico, Namibia, un impegno per tutte le nazioni Nepal, Nicaragua, Niue, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi perché promuovano e tutelino i Bassi, Palau, Panama, Paraguay, Polonia, Portogallo, diritti umani visti come Regno Unito, Rep. Ceca, Rep. Dominicana, Rep. fondamento della libertà, della Slovacca, Romania, Samoa, San Marino, Sao Tomè e giustizia e della pace. I diritti in Principe, Senegal, Serbia e Montenegro, Seychelles, essa sanciti riguardano ogni essere Slovenia, Spagna, Sudafrica, Svezia, Svizzera, Timorumano in quanto tale. Non si tratta Leste, Turchia, Turkmenistan, Tuvalu, Ucraina, Ungheria, di privilegi che possono essere Uruguay, Vanuatu, Venezuela concessi e revocati dai governi (Dati aggiornati al marzo 2005) come premio o punizione. Anzi, i diritti umani fondamentali sono un limite a ciò che uno Stato, per qualsiasi motivo ed in ogni circostanza, può compiere nei confronti di un uomo, di una donna, di un bambino. L‟articolo 3 della Dichiarazione Universale riconosce ad ogni persona il diritto alla vita; l‟articolo 5 sancisce che: “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o a punizioni crudeli, disumani o degradanti”. Dunque alla luce di quanto ivi sancito, non vi potrà mai essere giustificazione alla pena di morte, la cui crudeltà e disumanità sono evidenti. Come la tortura un‟esecuzione costituisce un estremo insulto a una persona già resa inerme dall‟intervento dello Stato. Così come le uccisioni che avvengono al di fuori della legge, la pena di morte nega il valore della vita e della dignità umana; in tal modo, viene cancellata la base per la realizzazione di tutti gli altri diritti incorporati nella Dichiarazione Universale. Che senso avrebbe parlare di diritto alla libertà di espressione, di associazione, o di diritto al lavoro, quando il fondamento di tutto ciò – il valore della vita umana – non fosse rispettato ? In alcuni casi, a giustificazione dell‟eliminazione di vite umane da parte di autorità statali, viene invocata l‟autodifesa (come, ad esempio, in casi di invasione di un pa ese dall‟esterno), adducendo a scusante la situazione di emergenza in cui si trovano ad operare coloro che debbono far rispettare la legge. Persino in tali casi estremi, tuttavia, l‟uso della forza è regolamentato da norme giuridiche concordate a livello internazionale al fine di prevenire eventuali abusi. In ogni caso la pena di morte non rientra tra gli atti di autodifesa contro una minaccia immediata: si tratta piuttosto dell‟uccisione premeditata di una persona già resa inoffensiva dall‟intervento dell‟autorità statale. Riassumendo, si può affermare che esiste una solida principale argomentazione a favore dell‟abolizione della pena di morte: essa viola il diritto alla vita, che è sancito dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell‟Uomo ( e anche da altri Patti e Convenzioni internazionali in materia di diritti umani): quindi la pena capitale è giuridicamente illegittima. 7 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici La semplicità e la perentorietà di tale affermazione si scontra però con un modo di pensare ancora presente a tutt‟oggi: quello secondo cui è possibile, in certi casi, derogare a tale principio, e ritenere quindi eticamente accettabile sopprimere la vita di un individuo. E‟ chiaro che sul principio di fondo – quello al diritto alla vita – tutti dovrebbero essere d‟accordo; eventuali eccezioni dovrebbero trovare motivazioni e giustificazioni valide ed inequivocabili. Da questo punto di vista, il dibattito sulla pena di morte è sempre molto acceso. Due sono i principali filoni ai quali tale dibattito può essere ricondotto : il primo, che potremmo definire “etico – retributivo” ruota intorno alla domanda se sia eticamente accettabile che uno Stato possa sopprimere la vita di un essere umano colpevole di particolari reati; il secondo, che potremmo definire “utilitaristico – preventivo” riguarda il problema dell‟efficacia di una tale punizione al fine di controllare la criminalità: in sostanza non ci si chiede in astratto se la pena capitale sia giusta o meno, ma semplicemente se possa essere utile come esempio per scoraggiare altre persone dal delinquere. Paesi mantenitori per reati eccezionali: 11 Albania, Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, El Salvador, Fiji, Isole Cook, Israele, Lettonia, Peru' (Dati aggiornati al marzo 2005) Una punizione inutile “Lo stato, nel volto e nella persona dei suoi funzionari, si arroga il diritto di commettere il delitto più terribile ed irreparabile: togliere la vita. Questo Stato non può attendersi il miglioramento dell‟atmosfera morale del paese. Respingo la tesi che individua nella pena di morte una reale capacità di deterrenza sui potenziali criminali. E‟ vero piuttosto il contrario: ferocia genera fercocia.” (Andrei Sacharov) L‟unico risultato che certo ottiene una esecuzione è di impedire al reo di compiere nuovamente il reato. Ma al fatto che essa dissuada altre persone dal farlo, anche i più convinti sostenitori della pena di morte credono sempre di meno. Tutti gli studi e le ricerche disponibili mostrano che la pena di morte non possiede alcun effetto deterrente nei confronti della criminalità: essa è dunque una punizione inutile che oltretutto, a causa degli altissimi costi dei processi capitali, assorbe preziose risorse economiche che potrebbero essere, invece, destinate a rispondere in maniera seria e più efficace alle giuste richieste di protezione e sicurezza provenienti dalla società. Gli USA forniscono numerosi esempi in questo senso: il tasso di omicidi negli Stati che hanno la pena di morte è da 50 a 100 volte più alto di quello degli Stati abolizionisti; in 12 dei 12 Stati che non hanno la pena di morte, il tasso di omicidi è inferiore alla media nazionale; dei sette Stati che hanno il più basso tasso di omicidi, cinque non hanno la pena capitale; lo stato che ha il più basso tasso di omicidi, lo Iowa, ha abolito la pena di morte nel 1965. Per contrasto, dei 27 stati col più alto tasso di omicidi, 25 hanno la pena di morte. (Dati marzo 2002) Confrontando Stati tra loro omogenei o simili, il North Dakota, che non ha la pena di morte, ha un tasso di omicidi inferiore a quello del South Dakota, mantenitore; il Massachusetts, dove l‟ultima esecuzione ha avuto luogo nel 1947, ha un tasso di omicidi inferiore a quello del Connecticut, mantenitore; quello del West Virginia, che non ha la pena di morte, è inferiore del 30% a quello della Virginia, che ha uno dei più ali livelli di esecuzioni negli USA. 8 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici La mancata deterrenza della pena di morte si osserva anche in altri contesti: in Arabia Saudita le esecuzioni per reati di droga sono in costante aumento e ciò non può che significare che la pena di morte non serve a scoraggiare chi ha Paesi abolizionisti 'de facto': 24 intenzione di compierli;in molti paesi sconvolti dalla violenza politica, la pena di morte non viene usata, se Algeria, Benin, Brunei Darussalam, non in casi rarissimi, poiché essa non farebbe altro che Burkina Faso, Congo, Federazione creare dei “martiri”. Per quanto riguarda la Cina, sono Russa, Gambia, Grenada, Kenya, sufficienti le parole di Hu Yunteng, direttore Madagascar, Maldive, Mali, dell‟Istituto di Legge dell‟Accademia delle Scienze Marocco, Mauritania, Myanmar, Sociali, intervistato da Liberation il 12 maggio 2001: Nauru, Niger, Papua Nuova “In venti anni abbiamo usato parecchio la pena di Guinea,Rep. Centro Africana, Sri morte [nel solo decennio 1990-99, almeno 27.599 Lanka, Suriname, Togo, Tonga, condanne e 18.194 esecuzioni, Ndr], ma il tasso di Tunisia criminalità continua a rimanere alto”. (Dati aggiornati al marzo 2005) In Canada, nel 1975 il tasso di omicidi era del 3,09 ogni 100.000 abitanti. Dopo l‟abolizione della pena di morte, avvenuta nel 1976, il tasso è sceso costantemente : da 2.41 nel 1980 a 2,19 nel 1983. Il Ministro della giustizia di Taiwan, annunciando l‟ingresso del suo paese nel gruppo degli abolizionisti entro i prossimi tre anni, ha ammesso che “non siamo riusciti a scoraggiare il crimine neanche con la più severa delle pene”. L‟inutilità della pena di morte è dimostrata anche dal fatto che degli oltre trenta Stati che l‟hanno abolita dall‟inizio degli anni ‟90, solo quattro hanno deciso di reintrodurla: di questi, uno l‟ha poi nuovamente abolita, in un secondo è stata promossa una moratoria e negli altri due non vi sono mai state esecuzioni. Vittime Innocenti “Forse il lato più spaventoso della pena di morte è che viene imposta non solo in maniera discriminatoria ed arbitraria, ma in alcuni casi anche nei confronti di persone innocenti” (William J. Brennan, ex giudice della Corte suprema federale degli USA) Ovunque la pena di morte sia applicata, il rischio di “giustiziare” persone innocenti è elevatissima . nessun sistema penale è immune dal commettere errori, che diventano irrimediabili quando le condanne a morte vengono eseguite. Capita spesso che un errore giudiziario venga scoperto durante le fasi di revisione dei processi, ma non sono affatto rari i casi in cui la sommarietà e la rapidità delle procedure o la volontà politica e i pregiudizi delle autorità conducono degli innocenti all‟esecuzione. Un caso celebre è quello di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, “giustiziati” nel Massachussets nel 1927 e riabilitati cinquant‟anni dopo. Nel febbraio 1994, le autorità della Russia hanno fucilato un uomo estraneo ad ogni reato, Alexander Kravchenko, al posto di un pluriomicida, spinte dalla pressione dell‟opinione pubblica e dal desiderio di porre fine ad una impressionante catena di omicidi. 9 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Il giurista cinese Hu Yunteng (vedi paragrafo precedente) ha ammesso che, a causa delle “procedure accelerate” seguite nel corso delle campagne anti-crimine chiamate “Colpire duro”, il rischio di mandare a morte degli innocenti “effettivamente esiste”. Nell‟ultimo decennio molti paesi mantenitori (tra cui Filippine, Malaysia, Belize, Cina, Pakistan, Trinidad e Tobago, Malati, Turchia e Giappone) hanno scarcerato condannati a morte risultati innocenti. Il fenomeno è in crescita negli USA, dove dalla reintroduzione della pena capitale sono stati rilasciati un centinaio di condannati a morte. Ciò dipende in parte dall‟uso di moderne tecniche di analisi del DNA, ma soprattutto dalla consapevolezza che il “sistema-pena di morte” è dominato dagli errori giudiziari: da una ricerca effettuata da James Liebman, della Columbia University School of Law, su 5.760 sentenze capitali e 4.578 appelli riguardanti gli anni dal 1973 al 1995, è risultato che le corti d‟appello hanno trovato errori gravi, con conseguente annullamento della sentenza, in quasi 7 condanne a morte su 10. L‟82% delle condanne a morte annullate sono state mutate in pene più lievi, mentre in 7 casi su 100 l‟imputato è stato addirittura scagionato. A parere dell‟autore della ricerca sugli errori giudiziari, vi sono “fortissimi dubbi che si riesca a scoprirli tutti”. Secondo alcuni studi sarebbero almeno 23 i prigionieri “giustiziati” negli USA negli ultimi 20 anni nonostante seri dubbi sulla loro colpevolezza. Iniqua, arbitraria, sproporzionata, razzista: la pena di morte nella pratica In tutti i paesi che mantengono la pena di morte, uno dei reati capitali è l‟omicidio. Ma in molti casi, la pena di morte punisce anche azioni e comportamenti che non costituiscono reato oppure condotte illegali che non comprendono l‟uso della violenza. In diversi paesi, tra cui la Cina, la pena di morte è prevista per reati politici formulati in modo vago,come l‟appartenenza a un‟organizzazione illegale, le attività separatiste, il sabotaggio o l‟attentato alla sicurezza dello stato. Spesso, allo scopo di suscitare minori proteste a livello internazionale, gli oppositori vengono condannati a morte per presunti atti di criminalità comune: è il caso dell‟ambientalista Ken Saro Wiwa, impiccato nel 1995 in Nigeria per essersi pacificamente opposto allo sfruttamento del suo territorio da parte delle compagnie petrolifere. La Cina è il paese con il più alto numero di reati capitali, quasi 70, diversi dei quali privi di natura violenta: ad esempio, falsa fatturazione, corruzione, frode, furto di cavi elettrici. In diversi paesi del Sud-est asiatico, la pena di morte è obbligatoria per reati di droga, compreso il possesso di minime quantità. In Iran, nel corso del 2001, una donna è stata lapidata perché identificata come attrice di un film pornografico. In decine di paesi, la condotta omosessuale è considerata un reato da punire con la morte. In molti paesi dove le leggi penali sono di derivazione islamica, sono puniti con la morte l‟adulterio, l‟apostasia (l‟abbandono dell‟Islam per un‟altra religione) e la blasfemia. Alla sproporzione della pena di morte rispetto ai “reati” commessi si accompagnano spesso procedure giudiziarie che non tengono in minimo conto il diritto degli imputati a un processo equo e al ricorso in appello. In Cina, i processi sono sommari e i verdetti prefabbricati: le esecuzioni si svolgono sovente in luoghi di massa, dopo che i condannati sono stati costretti a girare a bordo di camion con un cartello al collo che indica il reato commesso. Nei territori dell‟Autorità Palestinese, gli imputati sono processati da tribunali militari, difesi da avvocati d‟ufficio e condannati al termine di udienze brevissime, senza la possibilità di fare appello se non alla grazia presidenziale. In Arabia 10 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Saudita, le uniche prove su cui si basano le condanne a morte sono costituite da dichiarazioni di colpevolezza estorte con la tortura. Negli USA è spesso la razza (della vittima di omicidio, ancor più che dell‟imputato: mentre bianchi e neri vengono assassinati in ugual misura a livello nazionale, oltre l‟80% dei condannati a morte ha ucciso un bianco) a determinare la condanna a morte, condizionando l‟intero iter giudiziario, dalla composizione della giuria fino all‟emissione del verdetto e al suo riesame in appello. Nei bracci della morte le minoranze etniche sono sovra-rappresentate, anche perché all‟origine etnica minoritaria corrisponde di frequente una condizione economica che preclude l‟accesso a una difesa efficace. La campagna permanente di Amnesty International per l‟abolizione della pena di morte “Non so come ringraziarvi. Avete salvato la vita di mio fratello. Se non fosse stato per voi, l‟avrebbero fucilato già da tempo!” (Mayra Rakhmanova, sorella di Marat Rakhmanov, uzbeko, salvato dalla pena di morte nel giugno 2001 dopo un appello di Amnesty International) All‟inizio degli anni ‟80, 122 paesi mantenevano la pena di morte e solo 40 l‟avevano abolita per legge o “di fatto”. A venti anni di distanza, come abbiamo visto, i paesi mantenitori si sono ridotti a 84 e quelli abolizionisti per legge o “di fatto” sono saliti a 111. L‟azione di Amnesty International è stata spesso decisiva per ottenere questo importante progresso. La campagna permanente di Amnesty International per l‟abolizione della pena di morte si sviluppa a livello mondiale attraverso una seria di attività tra loro collegate, coordinate in ogni paese da strutture specializzate (i Coordinamenti pena di morte) e alle quali prendono parte soci individuali e gruppi locali così come - in casi particolari - l‟intera associazione nel suo complesso. L‟azione quotidiana è diretta a salvare vite umane, a scongiurare cioè il maggior numero possibile di esecuzioni. Quando viene a sapere che una condanna a morte sta per essere eseguita, l‟organizzazione mobilita i suoi soci nel mondo affinché inviino fax, telegrammi o e-mail alle autorità cui spetta il “via libera” all‟esecuzione, chiedendo la sospensione ed un atto umanitario di clemenza in favore del condannato. Gli appelli si basano sempre sull‟opposizione in via di principio alla pena capitale e possono anche fare riferimento ad irregolarità giudiziarie oppure a circostanze attenuanti relative alla storia personale del condannato o ancora allo svolgimento del crimine, qualora sia stato effettivamente commesso, che ha determinato la sentenza. Anche se non sempre questo tipo di intervento è possibile ed efficace (non in tutti i paesi, infatti, è semplice reperire notizie sulle esecuzioni in tempo utile) in molti casi Amnesty International è riuscita a impedire esecuzioni: accanto a quello famoso di Paula Cooper, gli archivi dell‟associazione conservano migliaia di altri nomi di persone salvate dall‟esecuzione. Inoltre, in diversi paesi gli appelli di Amnesty International sono riusciti a creare una “consuetudine verso la commutazione”, rendendo così meno probabile l‟esecuzione delle successive condanne a morte. La campagna abolizionista di Amnesty International,consiste inoltre nella diffusione diu informazioni sulla pena di morte. In molti paesi è proprio la segretezza che circonda la pena capitale a favorirne l‟uso massiccio. L‟associazione fornisce alla stampa, alle altre associazioni abolizioniste, alle università, agli istituti di ricerca e alle associazioni internazionali informazioni utili per sensibilizzare i lettori, lanciare campagne di opinione, adottare risoluzioni a livello nazionale o internazionale, etc. 11 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici L‟informazione è anche alla base di un‟azione di “educazione ai diritti umani” che i soci e i gruppi di Amnesty International svolgono nei confronti dell‟opinione pubblica, per convincerla della giustezza e della forza delle ragioni abolizioniste. Lo scopo è quello di abolire la pena di morte, oltre che dalle leggi, anche dalla coscienza umana: è necessario, in altre parole, che ciascun cittadino consideri la pena di morte non più come una possibile sanzione con cui punire un delitto bensì come una violazione dei fondamentali diritti umani e una sanzione irreversibile, ingiusta, iniqua e crudele. Infine, Amnesty International preme sui parlamenti, sui governi e sulle organizzazioni internazionali affinché adottino misure (leggi, risoluzioni, direttive, etc.) per abolire la pena di morte o, almeno inizialmente, ridurre il numero dei reati capital, commutare le condanne a morte e introdurre una moratoria sulle esecuzioni. L‟Italia, un paese totalmente abolizionista “Art. 1.1: Per i delitti previsti dal codice penale militare di guerra e dalle leggi militari di guerra, la pena di morte è abolita e sostituita dalla pena massima prevista dal codice penale. Art. 1.2: Sono abrogati l‟art. 241 del codice penale militare di guerra e tutte le disposizioni dello stesso codice e delle leggi militari di guerra che fanno riferimento alla pena di morte” (Legge n. 589 del 13 ottobre 1994) Con la legge n. 589 del 13 ottobre 1994 (“Abolizione della pena di morte nel codice militare penale di guerra”) pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 25 ottobre 1994, l‟Italia è diventato un paese totalmente abolizionista. Questo risultato è stato ampiamente determinato da una campagna lanciata dalla Sezione italiana di Amnesty International nel 1989, cui hanno aderito esponenti delle istituzioni, singole personalità ed organizzazioni abolizioniste laiche e religiose. L‟Italia era già stato un paese abolizionista per quasi 40 anni, dal 1889 (adozione del codice Zanardelli) al 1926 (reintroduzione della pena di morte per alcuni reati contro lo Stato). Il codice penale del 1931 estese l‟applicazione della pena capitale a una serie di reati comuni. Nel 1944, il decreto legge 159 del 27 luglio introdusse la pena di morte per i reati di fascismo e collaborazione con i nazifascismi, mentre il decreto legge 224 del 10 agosto la abolì per tutti i reati previsti dal codice penale del 1931. Il 10 maggio 1945 , col decreto legge 234, la pena di morte entrò in vigore quale misura eccezionale e temporanea di mantenimento dell‟ordine pubblico. Dal 25 aprile 1945 al 5 marzo 1947 vi furono 88 esecuzioni di collaborazionisti. Le ultime esecuzioni (tre fucilazioni) ebbero luogo nel marzo 1947. La pena di morte venne abolita per i reati comuni e per i reati militari commessi in tempo di pace dalla Costituzione del 27 dicembre 1947, il cui art. 27 recitava: “Non è ammessa la pena di morte tranne che per i casi indicati dalle leggi militari in tempo di guerra”, “casi che non sono più previsti a seguito della legge 589 del 13 ottobre 1994. A partire dalla fine del 1994, l‟Italia ha svolto un ruolo di primo piano a livello internazionale, sollevando il problema della pena di morte nell‟ambito delle relazioni bilaterali e proponendo a più riprese, in varie sedi intergovernative, l‟adozione di politiche e misure abolizioniste. 12 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Paesi mantenitori: 76 AFRICA 27 paesi Botswana, Burundi, Camerun, Ciad, Comore, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gabon, Ghana, Guinea, Guinea Equatoriale, Lesotho, Liberia, Libia, Malawi, Nigeria, Rep. Democratica del Congo, Rwanda, Sierra Leone, Somalia, Sudan, Swaziland, Tanzania, Uganda, Zambia , Zimbawe AMERICA 14 paesi Antigua y Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Cuba, Dominica, Giamaica, Guatemala, Guyana, St. Christopher e Nevis, St. Lucia, St. Vincent e Grenadines, Stati Uniti d'America, Trinidad e Tobago ASIA 21 paesi Afghanistan, Bangladesh, Cina, Corea del Nord, Corea del Sud, Filippine, Giappone, India, Indonesia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Laos, Malaysia, Mongolia, Pakistan, Singapore, Taiwan, Tajikistan, Thailandia, Uzbekistan, Vietnam, EUROPA 1 paese Bielorussia MEDIO ORIENTE 13 paesi e territori Arabia Saudita, Autorità Palestinese, Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Iran, Iraq, Kuwait, Libano, Oman, Qatar, Siria, Yemen (Dati aggiornati al marzo 2005) 13 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Saudi Arabia (the Kingdom of) Regno dell'Arabia Saudita Capo di stato e del governo: re Fahd Bin Abdul Aziz Al-Saud Pena di morte: mantenitore Statuto di Roma della Corte penale internazionale: non firmato Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata con riserve Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: non firmato Le uccisioni da parte delle forze di sicurezza e di gruppi armati si sono intensificate, inasprendo la già spaventosa situazione dei diritti umani nel Paese. Decine di persone, tra cui critici pacifici dello Stato, sono state arrestate e oltre una ventina sospettate in relazione alla “guerra al terrorismo” sono state detenute dopo essere state rimpatriate forzatamente da altri Paesi. Almeno cinque possibili prigionieri di coscienza sono stati processati in udienze che non hanno rispettato gli standard internazionali, ma lo status di altri, compresi centinaia trattenuti da anni, è rimasto oscuro. Il dibattito sulla discriminazione contro donne, che era iniziato negli anni precedenti, ha conosciuto un ulteriore slancio focalizzando l‟attenzione sulla violenza domestica e attirando la partecipazione politica. Sono stati segnalati casi di tortura e la fustigazione, che costituisce una pena crudele, inumana e degradante e che equivale a tortura, è rimasta una pratica di routine. Almeno 33 persone sono state messe a morte. Approssimativamente 600 rifugiati iracheni del campo militare di Rafha hanno continuato a vivere di fatto come prigionieri. Tra gli operai stranieri si è diffuso un certo ottimismo dopo che il governo ha annunciato misure per proteggere i loro diritti economici e sociali e il Paese si stava avviando ad alleviare la situazione di povertà. Ad AI continua a essere negato l‟accesso al Paese. Contesto Il governo ha continuato a sostenere riforme politiche in un clima di crescente violenza e di situazione spaventosa dei diritti umani. A marzo ha creato la prima Associazione nazionale per i diritti umani (NHRA) che sia mai stata autorizzata ufficialmente. Tale associazione è composta da 41 membri, di cui 10 donne. Tra gli obiettivi dichiarati dall‟NHRA figurano la protezione dei diritti umani e la cooperazione con altre organizzazioni internazionali. È stato completato l‟iter di preparazione alle prime elezioni nazionali comunali (anche se parziali) che erano state annunciate nel 2003. Le elezioni erano previste in tre fasi e i comuni sono stati suddivisi in raggruppamenti regionali. La prima fase prevedeva l‟iscrizione degli elettori della zona di Riyadh, dove il voto era previsto per febbraio 2005. Le altre due fasi dovevano concludersi entro l‟aprile 2005. Il regolamento elettorale pubblicato ad agosto prevede l‟elezione di metà dei candidati di ogni comune e la nomina dell‟altra metà da parte del governo. Alle donne non è stato concesso né il diritto di voto né quello di candidarsi (vedi di seguito). Uccisioni È aumentato il numero di uccisioni da parte delle forze di sicurezza e di gruppi armati determinando decine di vittime. La maggior parte delle uccisioni da parte delle forze di sicurezza sono avvenute a Riyadh, La Mecca e Jeddah. Alcune sono avvenute durante scontri con gruppi armati e banditi ricercati dalle autorità, come nel caso di Abdul Aziz Muqrin, presunto leader di al-Qaeda in Arabia Saudita, che è stato ucciso a giugno a Riyadh. Tuttavia, la maggior parte delle uccisioni è avvenuta 14 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici durante inseguimenti in auto oppure durante irruzioni in case da parte delle forze di sicurezza. Il governo ha immancabilmente annunciato che i morti sarebbero stati dei criminali armati, ma per motivi di segretezza non è stato possibile valutare l‟accuratezza di queste informazioni. Decine di persone sono state uccise da gruppi armati e da banditi in varie parti del Paese. Le uccisioni si sono verificate durante attacchi armati o nel corso di concitate operazioni a seguito della cattura di ostaggi. A maggio tre persone armate sono entrate negli uffici e in complessi residenziali di impiegati di compagnie petrolifere ad al-Khobar, nella Provincia Orientale, prendendo in ostaggio decine di persone, soprattutto lavoratori stranieri. Hanno ucciso alcuni degli ostaggi, pare soprattutto persone di religione non musulmana. Forze di sicurezza hanno preso d‟assalto l‟edificio nel quale venivano trattenuti gli ostaggi. Secondo quanto riferito, alla fine dell‟operazione sarebbero rimasti uccisi 22 civili, sette membri delle forze di sicurezza e un bandito. A giugno Frank Gardner, un giornalista di una televisione britannica e il suo cameraman, Simon Cumbers, sono stati attaccati da persone armate, mentre filmavano un servizio giornalistico a Riyadh. Simon Cumbers è morto in ospedale. Frank Gardner è stato ferito gravemente. Prigionieri politici e possibili prigionieri di coscienza Durante tutto l‟anno sono avvenuti arresti di sospetti membri e simpatizzanti di gruppi armati e, in alcuni casi, di critici pacifici dello Stato. Decine di persone sono state arrestate perché sospettate di essere in contatto con gruppi armati. Tra di loro figurano alcuni il cui il nome era apparso su una lista pubblicata dal governo nel dicembre 2003. Gli arresti sono stati eseguiti durante scontri armati, inseguimenti stradali, irruzioni in abitazioni, rimpatri forzati da altri Paesi, o dopo la resa del sospettato durante l‟amnistia della durata di un mese che era stata annunciata dal governo il 23 giugno. Lo status legale, i luoghi di detenzione e le condizioni della maggior parte dei detenuti sono rimasti avvolti in segretezza, in violazione degli standard internazionali che proibiscono prolungate detenzioni in incommunicado e “sparizioni”. Alcuni degli arrestati in quanto critici dello Stato sono stati rilasciati dopo un breve periodo di detenzione. Almeno 5 di loro sono stati processati. Lo status legale dei restanti, a decine nel corso dell‟anno e a centinaia negli anni precedenti, è rimasto oscuro. Cinque presunti critici dello Stato sono stati processati in tre casi distinti. Uno di questi ha visto coinvolti due professori universitari, il dottor Matrouk al-Falih e il dottor Abdullah al-Hamid, e uno scrittore, Ali al-Damayni. I tre erano tra gli undici accademici e intellettuali arrestati a marzo perché avevano chiesto riforme politiche e criticato il governo. Otto di loro sarebbero stati rilasciati dopo aver firmato una dichiarazione con la quale s‟impegnavano a non ripetere mai più tali richieste e critiche. Gli altri tre si sarebbero rifiutati di firmare l‟impegno e sono rimasti in detenzione. In una rara apertura alla solita situazione di segretezza, ai tre è stato concesso di ricevere la visita dei familiari e degli avvocati. Ad agosto è iniziato il loro processo che si sarebbe tenuto a porte aperte. AI aveva intenzione di inviare un osservatore al processo, ma ai delegati non è stato concesso il visto. La prima sessione del processo si è tenuta a porte aperte, ma è stata aggiornata a metà del dibattimento in quanto una parte del pubblico avrebbe disturbato. Le successive udienze si sarebbero svolte a porte chiuse. Gli altri due casi hanno visto coinvolti il dottor Said bin Zu‟air e suo figlio Mubarak, entrambi arrestati nel corso dell‟anno. Il dottor Said bin Zu‟air è stato dichiarato colpevole di accuse vaghe come 15 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici disobbedienza al sovrano del suo Paese ed è stato condannato a 5 anni di carcere. Suo figlio Mubarak è stato condannato in un processo separato a 10 mesi di detenzione per analoghe accuse. Lo status legale di un altro figlio, Sa‟d, che era stato arrestato nel 2002, è rimasto incerto. Il dottor Said bin Zu‟air era già stato detenuto senza accusa né processo per 8 anni per il fatto di essere un critico dello Stato. Ahmed Abu „Ali, un cittadino statunitense di 24 anni, era stato arrestato nel giugno 2003 all‟Università di Medina, dove studiava. La statunitense FBI (Federal Bureau of Investigation) l‟avrebbe interrogato o avrebbe collegato il suo interrogatorio a un altro caso in corso negli Stati Uniti – Stati Uniti contro Royer – relativo a 11 persone accusate di reati collegati al “terrorismo”. Ahmed Abu „Ali aveva collegamenti con uno degli imputati, ma quest‟imputato è stato assolto. Ahmed Abu „Ali è rimasto trattenuto in Arabia Saudita senza accusa né processo e senza poter accedere a un avvocato. Diritti delle donne Durante l‟anno è proseguito il dibattito sui diritti delle donne il quale è stato focalizzato sulla violenza domestica e sul diritto alla partecipazione politica. Il tema della violenza domestica ha riscosso una forte attenzione nazionale e internazionale quando ad aprile Rania al-Baz, che era stata picchiata dal marito, ha reso pubblico il suo caso per sensibilizzare l‟opinione pubblica sulla violenza che subiscono le donne all‟interno delle mura domestiche in Arabia Saudita. La presentatrice televisiva e madre di due figli Rania al-Baz è stata aggredita da suo marito il 4 aprile nella loro abitazione di Jeddah, apparentemente dopo che lei aveva risposto al telefono. La donna ha riportato 13 fratture facciali. Suo marito l‟ha caricata nel suo furgone e l‟ha scaricata in stato di incoscienza all‟ospedale di Jeddah sostenendo che la moglie era stata vittima di un incidente stradale. L‟uomo è rimasto latitante fino a consegnarsi alla polizia il 19 aprile. Secondo quanto riferito, è stato accusato di tentato omicidio, ma l‟accusa è stata in seguito ridotta a lesioni personali aggravate delle quali è stato ritenuto colpevole a maggio. È stato condannato a 6 mesi di reclusione e a 300 frustate. Rania al-Baz aveva di fronte a sé l‟opzione di una causa civile con la quale poteva chiedere un risarcimento (qisas) nelle forma di un indennizzo o di una punizione fisica in proporzione al danno che aveva subito, ma ha apparentemente scelto di perdonare il marito in cambio del divorzio e della custodia dei suoi due figli. Suo marito ha scontato più della metà della pena. Non è noto se abbia subito le frustate. Quando la faccia sfigurata di Rania al-Baz è apparsa sulle prime pagine dei giornali, l‟evento ha posto in primo piano le gravi forme di discriminazione che facilitano e perpetuano la violenza contro donne in Arabia Saudita, così come il tema della impunità. Si tratta del primo caso del genere nel Paese che si è concluso in un tribunale con condanna e pena sotto gli occhi dell‟opinione pubblica. Rania al-Baz ha rivelato di aver subito per anni la violenza del marito, ma che non poteva lasciarlo per la preoccupazione di perdere l‟affidamento dei figli. Nel momento in cui aveva cercato di lasciarlo, lui le aveva impedito di vedere i figli per due mesi. In Arabia Saudita il divorzio è principalmente prerogativa dell‟uomo. I diritti delle donne in questo campo sono talmente limitati che diventa pressoché impossibile per loro esercitarli. Per ottenere il divorzio, a differenza dell‟uomo, la donna deve provare di aver subito danni o il torto del marito, essere in grado di pagare un risarcimento, affrontare il rischio di perdere l‟affidamento dei figli ed essere in grado di convincere una magistratura esclusivamente maschile. I problemi sono aggravati dalle pesanti restrizioni che le donne subiscono nei loro movimenti, dalla totale dipendenza dai parenti maschi e dallo stigma sociale che accompagna il divorzio. Attiviste per i diritti delle donne, scrittrici, giornaliste e avvocate hanno chiesto cambiamenti legali e giudiziari per porre fine a questo tipo di discriminazione e per combattere l‟impunità di cui godono le persone che commettono atti di violenza contro donne. Fonti hanno riferito che a novembre il ministro per gli Affari Sociali ha 16 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici proposto misure per combattere la violenza domestica che erano in attesa di essere approvate dal Consiglio dei ministri. A ottobre il governo ha annunciato che le donne sarebbero state escluse dalla partecipazione alle elezioni comunali del 2005, anche se il regolamento elettorale introdotto ad agosto non escludeva in maniera esplicita la partecipazione femminile. Tale decisione è in contrasto con i passi intrapresi dal governo per il miglioramento delle opportunità di lavoro delle donne e per ridurre le aree di discriminazione contro le donne. Tortura e maltrattamenti La rigida segretezza che circonda arresti e detenzioni rende difficile la valutazione delle forme di tortura e maltrattamenti che subiscono le persone arrestate durante o dopo scontri violenti oppure nell‟ambito della “guerra al terrorismo”. Tuttavia, hanno destato preoccupazione le “confessioni” di alcuni detenuti trasmesse alla televisione. Sono stati inoltre segnalati casi di tortura. A settembre tre detenuti sono stati mostrati alla televisione di Stato come membri di un gruppo armato. I tre hanno “confessato” dettagli relativi al gruppo, compreso l‟uso di fotografie che ritraevano detenuti torturati dalle forze di sicurezza, allo scopo di reclutare nuovi membri e di incutere loro timore affinché non si arrendessero alla polizia. Confessioni di sospetti che erano state teletrasmesse in passato erano state ottenute sotto tortura o maltrattamenti o con l‟inganno. Secondo quanto riferito, sei yemeniti avrebbero sostenuto di essere stati sottoposti a percosse, privazione del sonno e tenuti incatenati uno all‟altro per la maggior parte del tempo. Tutti sarebbero stati arrestati durante una visita preso l‟abitazione del loro datore di lavoro a Jeddah dove la polizia avrebbe trovato armi. Sarebbero stati rilasciati dopo 18 giorni di interrogatorio e rimpatriati nello Yemen senza essere incriminati o processati. Brian O‟Connor, un indiano di religione cristiana di 36 anni, sarebbe stato picchiato duramente dalla polizia religiosa in seguito al suo arresto a marzo a Riyadh, secondo quanto riferito perché era in possesso di una Bibbia o di altra letteratura cristiana. È stato accusato di aver venduto alcol e condannato a 10 mesi di reclusione e a 300 frustate. Tuttavia, a novembre è stato rimpatriato in India. A maggio un gruppo di cittadini britannici che aveva denunciato di aver subito torture in Arabia Saudita nel 2001 hanno presentato ricorso nel loro Paese contro una sentenza dell‟Alta Corte del Regno Unito in una causa intentata da Ron Jones contro i suoi presunti torturatori in Arabia Saudita. L‟Alta Corte aveva archiviato il caso per motivi di sovranità ai sensi della legge UK 1978 Act. A ottobre la Corte d‟Appello ha deciso che i querelanti potevano citare in giudizio i singoli funzionari che li avevano torturati ma non il governo. ***Fustigazione La fustigazione è rimasta una punizione corporale applicata di routine dai tribunali, sia come pena principale sia accessoria. Secondo quanto riferito, ad agosto, 42 giovani sono stati fustigati per teppismo, distruzione di macchine e molestie contro donne a La Mecca. In questo caso la fustigazione è stata una pena accessoria alla carcerazione e a un‟ammenda. 17 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Rifugiati Secondo quanto riferito, il rimpatrio spontaneo di circa 3.500 rifugiati iracheni della guerra del Golfo del 1991 è stato sospeso a maggio in seguito al deterioramento della situazione di sicurezza in Iraq. Circa 600 rifugiati sarebbero rimasti di fatto prigionieri nel campo militare di Rafha nel deserto settentrionale al confine con l‟Iraq. A loro è stata negata la possibilità di chiedere asilo in Arabia Saudita. Pena di morte ed esecuzioni Almeno 33 persone, tra cui una cittadina dello Sri Lanka e 13 uomini stranieri, sono state messe a morte. Secondo il governo le persone erano state condannate per omicidio, furto o reati di droga. Il numero dei prigionieri in attesa di esecuzione non è noto ad AI, ma tra questi figura Sara Jane Dematera, una cittadina filippina condannata nel 1993 al termine di un processo segreto e sommario per l‟omicidio del suo datore di lavoro. Ad aprile le è stato concesso di ricevere una visita della madre. Diritti economici e sociali Tra gli oltre sette milioni di lavoratori stranieri si è diffuso un certo ottimismo riguardo ai loro diritti economici e sociali e le Nazioni Unite hanno indicato che l‟Arabia Saudita aveva compiuto progressi nella lotta contro la povertà. Il governo ha annunciato progetti di riforma del diritto del lavoro che migliorerebbero la protezione dei diritti dei lavoratori stranieri. Ha inoltre annunciato che avrebbe intrapreso misure punitive nei confronti di agenzie di collocamento e datori di lavoro che avrebbero maltrattato i lavoratori. Il governo ha altresì dichiarato di aver rafforzato i meccanismi di reclamo dei lavoratori e ha chiesto ai lavoratori maltrattati di sporgere denuncia. Alcuni lavoratori stranieri avrebbero dato vita ad associazioni di assistenza per i loro connazionali nella presentazione dei reclami. In un caso i lavoratori avrebbero creato una struttura di accoglienza per le lavoratrici che avevano subito violenza domestica. Rapporti di AI The Gulf and the Arabian Peninsula: Human rights fall victim to the “war on terror” (AI Index: MDE 04/002/2004) 18 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici China (the People's Republic of) Repubblica popolare cinese Capo di stato: Hu Jintao Capo del governo: Wen Jiabao Pena di morte: mantenitore Statuto di Roma della Corte penale internazionale: non firmato Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata con riserve Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: non firmato Si sono registrati progressi nell‟introduzione di riforme in alcune aree, ma ciò non ha avuto effetti significativi sulle gravi e diffuse violazioni dei diritti umani perpetrate in tutto il Paese. Decine di migliaia di persone hanno continuato a essere detenute arbitrariamente o incarcerate per aver esercitato il loro diritto alla libertà di espressione e associazione, esposte a grave rischio di tortura o maltrattamenti. Migliaia di persone sono state condannate a morte e molte delle sentenze sono state eseguite, spesso in seguito a processi iniqui. Sono aumentate le proteste pubbliche contro gli sfratti espropriativi e la requisizione di terre senza ricompenso adeguato. Nella regione dello Xinjiang, la Cina ha continuato a servirsi del pretesto della “guerra al terrorismo” internazionale per giustificare la repressione contro gli uighuri. In Tibet, e in altre zone abitate da etnie tibetane, le libertà di espressione e religione hanno continuato a essere fortemente limitate. Contesto La nuova amministrazione, in carica dal marzo 2003, ha consolidato la propria autorità, in particolare in seguito alle dimissioni a settembre del presidente uscente Jiang Zemin dal ruolo di presidente della Commissione militare centrale. Sono state introdotte alcune riforme legali, tra cui nuovi regolamenti per la prevenzione della tortura nei casi di custodia da parte della polizia e un emendamento alla Costituzione varato a marzo che stabilisce che «lo Stato rispetta e protegge i diritti umani». Tuttavia, la mancata introduzione delle necessarie riforme istituzionali ha gravemente compromesso l‟attuazione di tali riforme. Le autorità hanno dimostrato un atteggiamento più attivo riguardo alla gestione dell‟epidemia di HIV/AIDS nel Paese, incluso il varo di una nuova legge ad agosto che intende incrementare le misure per la prevenzione dell‟AIDS e rendere illegale la discriminazione contro le persone affette da AIDS o altre malattie infettive. Tuttavia, attivisti locali impegnati nella richiesta di migliori condizioni di vita per i malati hanno continuato a essere arbitrariamente detenuti. Sono continuate le repressioni politiche contro determinati gruppi, tra cui il movimento spirituale Falun Gong, gruppi cristiani non ufficiali, e i cosiddetti “separatisti ed estremisti religiosi” nella regione dello Xinjiang e in Tibet. Le autorità hanno continuato a “dialogare sui diritti umani” con altri Paesi, ma hanno sospeso qualsiasi colloquio con gli Stati Uniti in seguito alla proposta da parte di questi ultimi di una risoluzione sulla Cina alla sessione di marzo della Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani. La Cina ha richiesto all‟Unione Europea (UE) di rimuovere l‟embargo sulle armi imposto in seguito alle repressione, attuata dalla Cina nel giugno 1989, contro il movimento per la democrazia e ha ottenuto il supporto di alcuni Stati dell‟EU. Tuttavia, a fine anno l‟embargo era ancora in vigore. 19 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici La Cina ha posticipato la visita del Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, previsto per giugno, mentre il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria (WGAD) si è recato in visita in Cina a settembre. Le autorità hanno continuato a negare l‟accesso al Paese a organizzazioni non governative (ONG) internazionali di tutela dei diritti umani per svolgere ricerche indipendenti. Difensori dei diritti umani Le autorità hanno continuato ad avvalersi di articoli del codice penale in riferimento ai reati di “sovversione” o “divulgazione di segreti di Stato” e altre accuse relative a reati non ben definiti in materia di sicurezza nazionale per perseguire pacifici attivisti e riformisti. Avvocati, giornalisti, attivisti per i diritti delle persone affette da HIV/AIDS e attivisti per i diritti contro gli sfratti espropriativi sono stati tra coloro che hanno dovuto subire vessazioni, detenzioni o incarcerazioni per aver documentato casi di abusi dei diritti umani, richiesto riforme, o per aver tentato di ottenere risarcimenti in favore di vittime di violazioni. A marzo, Ding Zilin, fondatrice del gruppo “Madri di Tienanmen”, impegnata nella realizzazione della giustizia in seguito all‟uccisione del figlio a Pechino il 4 giugno 1989, è stata detenuta dalla polizia che intendeva impedirle di esprimere le sue motivazioni. È stata inoltre posta sotto una forma particolare di arresto domiciliare per alcuni giorni alla vigilia del 15° anniversario della repressione allo scopo di impedirle di presentare ricorso legale per conto di altre 126 persone che avevano perso un congiunto negli eventi del 1989. Ad agosto, Li Dan, attivista per i diritti delle persone affette da AIDS, è stato detenuto dalla polizia nella provincia di Henan nell‟apparente tentativo di impedirgli di protestare contro le misure adottate dal governo per fronteggiare l‟epidemia di AIDS. Sebbene sia stato rilasciato dopo un giorno, Li Dan è stato in seguito percosso da due assalitori sconosciuti. Li Dan aveva fondato una scuola per orfani da AIDS nella provincia, dove si stima che un milione di persone circa siano diventate sieropositive all‟HIV dopo che avevano venduto il loro plasma sanguigno a stazioni di raccolta del sangue statali prive di precauzioni igienico-sanitarie. A luglio, la scuola è stata chiusa dalle autorità locali. Violazioni nel contesto della riforma economica Non sono cessate le pesanti restrizioni al diritto alle libertà di espressione e di associazione dei rappresentanti dei lavoratori, mentre i sindacati indipendenti hanno continuato a essere considerati illegali. Secondo alcune fonti, nel contesto della riforma economica, alle numerose vittime di sfratti espropriativi, espropriazioni terriere e licenziamenti sono state negate congrue indennità. Sono aumentate le proteste pubbliche e per la maggior parte pacifiche contro tali prassi, il che determinato ha in risposta numerose detenzioni e ad altri tipi di abusi. Pechino è stata spesso al centro delle proteste, dovute in parte all‟attività di demolizione degli edifici in vista dei giochi olimpici che la città ospiterà nel 2008. Le vittime degli sfratti provenienti da altre parti del Paese si sono inoltre recate a Pechino per richiedere alle autorità centrali l‟indennità negata dalle autorità locali. Secondo quanto riferito, decine di migliaia di richiedenti sono stati tratti in stato di fermo dalla polizia di Pechino nel corso di operazioni di sicurezza alla vigilia degli incontri ufficiali tenutesi a marzo e a settembre. 20 Ad agosto, Ye Guozhu è stato arrestato perché sospettato di “disturbo dell‟ordine sociale” in seguito alla sua richiesta di autorizzazione per una manifestazione di protesta di massa contro gli sfratti espropriativi a Pechino. A dicembre è stato condannato a 4 anni di carcere. Ye Guozhu Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici e la sua famiglia erano stati espropriati della loro casa a Pechino lo scorso anno, con ogni probabilità per spianare la strada alle opere di costruzione in vista delle Olimpiadi del 2008. Violenza sulle donne Numerosi articoli sulla violenza domestica sono apparsi sui media nazionali, riflettendo il diffuso timore che tali abusi non fossero realmente affrontati. Fonti hanno continuato a riportare gravi violazioni contro donne e ragazze, dovute all‟applicazione della politica di pianificazione familiare che comprende aborti e sterilizzazioni forzate. A luglio, le autorità hanno dato pubblicamente maggior spinta al divieto di aborto selettivo di feti femminili, nel tentativo di invertire il divario crescente del rapporto fra maschi e femmine. Le donne in detenzione, comprese numerose seguaci del movimento Falun Gong, sono rimaste esposte al rischio di tortura, inclusi stupri e abusi sessuali. A gennaio sono state varate nuove normative che impediscono alla polizia di comminare ammende immediate alle prostitute. Tuttavia, la politica di “custodia ed educazione” ha continuato a essere utilizzata per detenere presunte prostitute e i loro clienti senza accuse né processo. Ad aprile, Mao Hengfeng è stata condannata a 18 mesi di lavori forzati nel programma di “rieducazione attraverso il lavoro” per aver incessantemente presentato istanze alle autorità riguardo a un aborto forzato subito 15 anni prima, quando rimase incinta in violazione della politica di pianificazione familiare cinese. Secondo quanto riferito, nel campo di lavoro è stata tenuta legata, appesa al soffitto e percossa violentemente. In precedenza, Mao Hengfeng è stata detenuta diverse volte in unità psichiatriche, dove le era stato imposto l‟elettroshock. Attivisti politici e utenti di Internet Attivisti politici, compresi sostenitori di gruppi politici illegali, sostenitori di cambiamenti politici o fautori di una maggiore democrazia hanno continuato a subire arresti arbitrari. Alcuni di loro sono stati condannati e incarcerati. Nel corso dell‟anno, AI ha ricevuto conferma che oltre 50 persone erano detenute o imprigionate per aver letto o fatto circolare via Internet informazioni politiche delicate. A settembre, Kong Youping, membro di spicco del Partito democratico cinese ed ex sindacalista della provincia di Liaoning, è stato condannato a 15 anni di reclusione per “sovversione”. Era stato arrestato alla fine del 2003 dopo aver pubblicato articoli su Internet in cui denunciava la corruzione ufficiale e richiedeva una rivalutazione del movimento per la democrazia del 1989. Repressione di gruppi spirituali e religiosi Il movimento spirituale Falun Gong è rimasto al centro della repressione, che non avrebbe escluso numerose detenzioni arbitrarie. La maggior parte delle persone detenute sono state assoggettate a periodi di “rieducazione attraverso il lavoro” senza accuse né processo, nel corso della quale sono state gravemente esposte a rischio di torture o maltrattamenti, soprattutto nel caso in cui si fossero rifiutate di abiurare il proprio credo. Altri seguaci sono stati incarcerati o rinchiusi in ospedali psichiatrici. Secondo fonti straniere riconducibili al Falun Gong, dal 1999 sono morte oltre 1.000 persone che erano state arrestate in relazione al movimento, la maggior parte in seguito a torture e maltrattamenti. 21 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Altre cosiddette “organizzazioni eretiche” e gruppi religiosi non ufficiali hanno subito attacchi. Sono aumentate le segnalazioni di arresti e detenzioni di seguaci di cattolici non autorizzati e seguaci di “chiese domestiche” protestanti non riconosciute. Le persone che hanno cercato di documentare tali violazioni e di trasmetterne notizia all‟estero hanno rischiato a loro volta l‟arresto. Ad agosto, Zhang Shengqi, Xu Yonghai e Liu Fenggang, tre attivisti protestanti indipendenti, sono stati condannati rispettivamente a uno, due e tre anni di reclusione dal Tribunale popolare intermediario di Hangzhou, per “divulgazione di segreti di Stato”. Le accuse riguardavano la diffusione di informazioni all‟estero sulla repressione nei confronti dei protestanti e la chiusura di chiese non ufficiali nella regione. Pena di morte La pena di morte ha continuato a essere applicata in modo esteso e arbitrario, ed è stata spesso determinata da interferenze politiche. Sono state eseguite condanne a morte per reati non violenti, come la frode fiscale e l‟appropriazione indebita, ma anche per reati di droga e crimini violenti. Le autorità hanno continuato a mantenere segrete le statistiche nazionali sulle condanne a morte e sulle esecuzioni. A fine anno, in base ai rapporti pubblici disponibili, AI ha stimato almeno 3.400 esecuzioni e almeno 6.000 condanne a morte, sebbene si ritenga che le cifre reali siano molto più alte. A marzo, un alto esponente del Congresso nazionale del popolo ha dichiarato che la Cina esegue circa 10.000 condanne a morte all‟anno. La mancanza di garanzie di tutela fondamentali dei diritti degli imputati ha continuato a concorrere alla condanna a morte e all‟esecuzione di un numero elevato di persone in seguito a processi iniqui. A ottobre, le autorità hanno annunciato l‟intenzione di reintrodurre la revisione da parte della Corte Suprema dei casi capitali e di varare nuove riforme legali per la tutela dei diritti dei sospetti criminali e degli imputati. Non sono stati tuttavia chiariti i tempi di introduzione di tali misure. Secondo quanto riferito, a febbraio, Ma Weihua, una donna condannata alla pena di morte per reati di droga, è stata obbligata ad abortire mentre era in custodia di polizia, al fine di consentire che la condanna fosse eseguita “legalmente”, in quanto la legge cinese impedisce l‟esecuzione di donne in gravidanza. Ma Weihua era stata arrestata a gennaio perché trovata in possesso di 1,6 kg di eroina. Il suo processo, iniziato a luglio, è stato sospeso dopo che il suo avvocato aveva fornito dettagli riguardo alla forzata interruzione di gravidanza. A novembre la donna è stata infine condannata all‟ergastolo. Tortura, detenzione amministrativa e processi iniqui Torture e maltrattamenti continuano a essere pratiche diffuse in molte istituzioni statali, nonostante l‟entrata in vigore di diversi nuovi regolamenti per la prevenzione di tali fenomeni. I metodi di tortura più comuni comprendono calci, percosse, scosse elettriche, sospensioni per gli arti superiori, incatenamenti in posizioni dolorose e privazione del cibo e del sonno. Interferenze politiche nell‟esercizio della giustizia, limitazioni all‟accesso al mondo esterno per i detenuti, e incapacità di instaurare efficaci meccanismi di ricorso e d‟inchiesta hanno continuato a essere fattori determinanti per il proliferare di tali pratiche. Le autorità hanno annunciato ufficialmente l‟intenzione di riformare il sistema di detenzione amministrativa denominato “rieducazione attraverso il lavoro”, impiegato per detenere centinaia di migliaia di persone fino a 4 anni senza accusa né processo. Tuttavia l‟esatta natura e il campo di applicazione della riforma restano oscuri. 22 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Le persone accusate di reati politici e penali continuano a veder loro negato il diritto a un processo. Il diritto dei detenuti di accedere ai propri avvocati e familiari continua a essere gravemente limitato. I processi politici restano molto al di sotto degli standard internazionali che definiscono un equo processo. Gli imputati di reati relativi a “segreti di Stato” e “terrorismo” hanno subito limitazioni dei loro diritti legali e sono stati giudicati a porte chiuse. A ottobre, seguaci stranieri del Falun Gong hanno distribuito un filmato relativo a Wang Xia, una donna rilasciata di recente dal carcere di Hohhot, nella regione interna della Mongolia, dove aveva scontato due anni di una sentenza di sette per aver distribuito materiale divulgativo sul Falun Gong. La donna appariva deperita e il suo corpo era ricoperto di cicatrici. Secondo quanto riferito, la donna era stata legata a un letto, appesa e percossa. Inoltre le erano state iniettate sostanze sconosciute ed era stata colpita con manganelli elettrici dopo che aveva intrapreso lo sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione. Richiedenti asilo nordcoreani Durante l‟anno, nelle regioni nord orientali della Cina, centinaia, forse migliaia, di richiedenti asilo provenienti dalla Corea del Nord sono stati arrestati e rimpatriati forzatamente. La Cina ha continuato a negare ai nordcoreani qualsiasi tipo di procedura per la determinazione dello status di rifugiato, anche in presenza di prove evidenti che dimostravano come molti avessero motivi concreti per presentare richiesta di asilo, in violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, di cui la Cina è Stato parte. Le persone sospettate di aiutare i richiedenti asilo nordcoreani, tra cui membri di organizzazioni di cooperazione internazionali e religiose, cittadini cinesi di etnia coreana, e giornalisti che cercavano di documentare tale situazione, sono state trattenute per essere interrogate, e alcune di loro sono state incriminate e condannate a periodi di detenzione. Ad agosto, Noguchi Takashi, un attivista giapponese appartenente a una ONG che aiuta i nordcoreani in Cina a cercare asilo in un Paese terzo, è stato deportato dopo essere stato detenuto nella regione autonoma dello Guangxi Zhuang. Era stato condannato a otto mesi di reclusione e al pagamento di un‟ammenda di 20.000 yuan (2.400 dollari americani) per l‟accusa di “tratta di esseri umani”. Regione autonoma dello Xinjiang Uighur Le autorità hanno continuato a richiamarsi alla “guerra al terrorismo” internazionale come pretesto per le dure repressioni attuate nella regione dello Xinjiang, che hanno determinato gravi violazioni dei diritti umani contro la comunità degli uighuri. Le autorità hanno continuato a non distinguere quanti commettono atti di violenza da quanti esercitano una resistenza passiva. La repressione si è manifestata con la chiusura di moschee non riconosciute, l‟arresto di imam, restrizioni all‟uso della lingua uighura e il divieto di diffondere determinati libri e giornali uighuri. Sono continuati gli arresti di persone sospettate di essere “separatisti, terroristi ed estremisti religiosi”, e migliaia di prigionieri politici, compresi prigionieri di coscienza, sono rimasti in carcere. Fonti riferiscono che molte delle persone accusate di essere “separatisti” o “terroristi” sono state condannate a morte e “giustiziate”. Attivisti di etnia uighura che avevano cercato di divulgare informazioni all‟estero sull‟entità della repressione sono stati esposti al rischio di detenzione arbitraria e incarcerazione. 23 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici La Cina ha continuato a utilizzare il pretesto della “guerra al terrorismo” internazionale per rafforzare i propri legami politici ed economici con i Paesi confinanti. Persone di etnia uighura che erano fuggiti in Asia centrale, Pakistan, Nepal e altri Paesi, fra cui richiedenti asilo e rifugiati, hanno continuato a rischiare di essere rimpatriati forzatamente in Cina. La Cina ha continuato a esercitare pressioni sugli Stati Uniti affinché le 22 persone di etnia uighura detenute nel campo di detenzione statunitense di Guantánamo Bay, a Cuba, venissero rimpatriate. A giugno le autorità statunitensi hanno dichiarato che gli uighuri non sarebbero rientrati in Cina per il timore che potessero essere sottoposti a tortura o condannati a morte. Abdulghani Memetimin, un insegnante e giornalista di 40 anni, ha continuato a scontare una pena detentiva di nove anni a Kashgar. Era stato condannato per aver “fornito segreti di Stato a entità straniere” nel giugno 2003, quando aveva inviato informazioni in Germania a una ONG fondata da uighuri riguardo alle violazioni dei diritti umani contro persone di etnia uighura perpetrati nella provincia dello XUAR e per aver effettuato traduzioni di discorsi ufficiali. Regione autonoma del Tibet e altre zone etniche tibetane Le libertà di religione, di associazione e di espressione hanno continuato a essere pesantemente limitate e non sono cessati gli arresti arbitrari e i processi iniqui. Oltre un centinaio di prigionieri di coscienza tibetani, principalmente monaci e suore buddisti, sono rimasti nelle carceri. I colloqui fra le autorità cinesi e i rappresentanti in esilio del governo tibetano sono proseguiti, dimostrando qualche segnale di progresso. Tuttavia, ciò non ha portato ad alcun mutamento significativo nell‟atteggiamento politico verso una maggiore tutela dei diritti umani fondamentali dei tibetani. Secondo alcune fonti, ad agosto, Topden e Dzokar, due monaci provenienti dal monastero di Chogri, situato nella contea di Drakgo (Luhuo), nella provincia di Sichuan, assieme a Lobsang Tsering, un laico, sono stati condannati a tre anni di reclusione per aver affisso manifesti in favore dell‟indipendenza del Tibet. I tre erano stati fermati a luglio assieme a numerose altre persone, in seguito rilasciate dopo diversi giorni di detenzione. Testimoni hanno riferito che sarebbero stati percossi durante la detenzione. Regione ad amministrazione speciale di Hong Kong Non è stato compiuto alcun tentativo per reintrodurre la legislazione proposta dall‟art.23 della Basic Law (legge fondamentale), che proibisce atti di tradimento, secessione, tumulto o sovversione, proposta contro la quale si era innescata la protesta dell‟opinione pubblica nel 2003. Tuttavia, una sentenza formulata in Cina continentale ad aprile, che limita la libertà di Hong Kong di perseguire proprie riforme politiche, ha incrementato i timori riguardo l‟erosione dei diritti umani nella regione ad amministrazione speciale. A maggio, le dimissioni rassegnate da tre conduttori di trasmissioni radiofoniche hanno acceso i timori di possibili restrizioni alla libertà di espressione, in quanto essi avrebbero ricevuto intimidazioni per aver richiesto una maggiore democrazia ad Hong Kong. La detenzione amministrativa in Cina di un candidato del Partito democratico di Hong Kong in vista delle elezioni di settembre è stata considerata da molti dettata da motivi politici. A novembre, un corte d‟appello ha ribaltato le condanne per “ostruzione pubblica” emesse contro 16 seguaci del movimento Falun Gong, che erano stati arrestati dopo che avevano organizzato una dimostrazione nel marzo 2002. Altre condanne per ostruzione e aggressione nei confronti della polizia sono state confermate. Residenti di Hong Kong hanno continuato a essere condannati a morte in altre regioni della Cina, mentre non è stato ancora raggiunto un accordo formale di interpretazione tra Hong Kong e la Cina. 24 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici A giugno, la Corte Suprema d‟appello di Hong Kong ha stabilito che le autorità della regione devono valutare singolarmente le dichiarazioni di ciascun richiedente asilo politico che stia fuggendo dalla tortura, prima di emettere un ordine di rimpatrio. Tuttavia, i richiedenti asilo politico e altri gruppi, tra cui lavoratori migranti, vittime di violenza domestica, omosessuali e lesbiche, rimangono suscettibili di discriminazione. A settembre si è registrato un passo positivo in questa direzione, grazie alla pubblicazione di un documento a consultazione pubblica riguardo a una proposta di legge contro la discriminazione razziale. Rapporti di AI Executed “according to law”? – the death penalty in China (AI Index: ASA 17/003/2004) Uighurs fleeing persecution as China wages its “war on terror” (AI Index: ASA 17/021/2004) People‟ Republic o China: Human rights defenders at risk (AI Index: ASA 17/045/2004) 25 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici United States of America (the) Stati Uniti d'America Capo di stato e del governo: George W. Bush Pena di morte: mantenitore Statuto di Roma della Corte penale internazionale: firmato Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: firmata Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: non firmato Centinaia di detenuti hanno continuato a essere trattenuti senza accusa né processo presso la base navale di Guantánamo Bay, a Cuba. Migliaia di persone sono state arrestate nel corso di operazioni militari e di sicurezza in Iraq e Afghanistan senza che fosse loro assicurato il diritto di avere accesso a un legale o ai familiari. Sono state condotte indagini sulle denunce di torture e maltrattamenti ai danni di detenuti perpetrate da personale statunitense ad Abu Ghraib in Iraq e sono state aperte inchieste sui casi di maltrattamenti e di decessi in custodia avvenute in Iraq, Afghanistan e a Guantánamo. Sono venute alla luce prove che dimostrerebbero come l‟amministrazione statunitense avesse autorizzato tecniche di interrogatorio proibite dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. A Guantánamo sono iniziate le udienze preliminari di fronte alla commissione militare, ma sono poi state sospese in attesa della sentenza di una corte federale statunitense. Negli Stati Uniti, più di quaranta persone sono decedute dopo che erano state colpite con un taser dalla polizia, sollevando preoccupazioni sulla reale sicurezza di queste armi. La pena di morte ha continuato a essere comminata e vi sono state esecuzioni. Corte penale internazionale Il governo statunitense ha intensificato i propri sforzi per limitare le prerogative della Corte penale internazionale. A dicembre il Congresso ha approvato una disposizione nel bilancio di spesa che permetterebbe all‟esecutivo di negare aiuti economici ai Paesi che si rifiutassero di garantire a i cittadini statunitensi l‟immunità nei confronti della Corte. Guantánamo Bay A fine anno, più di 500 persone provenienti da circa 35 Paesi rimanevano detenute senza accusa né processo nella base navale di Guantánamo Bay in quanto sospettate di avere legami con al-Qaeda o il regime dei Taliban. Almeno 10 detenuti sono stati trasferiti a Cuba dall‟Afghanistan e più di cento sono stati rimpatriati nei Paesi di origine per continuare la detenzione o essere rilasciati. Almeno tre minorenni sono stati rilasciati, ma si ritiene che a fine anno altri due minorenni al momento dell‟arresto si trovassero ancora a Guantánamo. Il Dipartimento della difesa ha continuato a non diffondere i nomi e il numero dei detenuti a Guantánamo, alimentando la preoccupazione che alcuni di loro potessero essere stati trasferiti nella base senza comparire nelle statistiche ufficiali. Nel mese di giugno, con una sentenza storica, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che le corti federali degli Stati Uniti hanno giurisdizione sui detenuti di Guantánamo. Tuttavia il governo ha cercato di tenere qualsiasi revisione sui casi dei detenuti il più lontano possibile dalle aule di tribunale. A questo scopo è stato creato il Tribunale di revisione dello status dei combattenti (Combatant Status Review Tribunal – CSRT), un organismo amministrativo di revisione articolato in commissioni composte da tre militari che dovrebbero stabilire se i detenuti siano “combattenti nemici”. I detenuti compaiono di fronte al CSRT senza avere l‟assistenza di un legale e rischiando che contro di loro possano essere utilizzate prove tenute segrete. Molti reclusi hanno boicottato le 26 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici udienze, ciononostante a fine anno il CSRT aveva stabilito che oltre 200 detenuti erano “combattenti nemici”, mentre altri due non lo erano e nei loro confronti si poteva procedere al rilascio. Le autorità hanno anche annunciato che a tutti i detenuti riconosciuti come “combattenti nemici” sarebbe stata garantita una revisione annuale del loro status di fronte al Comitato di revisione amministrativa (Administrative Review Board – ARB) al fine di determinare se essi debbano rimanere in carcere o meno. Anche in questo caso i detenuti subirebbero l‟inchiesta senza accesso a una consulenza legale e con la possibilità di essere accusati sulla base di prove segrete. Sia il CSRT sia l‟ARB potranno avvalersi di testimonianze e confessioni estorte sotto tortura o coercizione. A dicembre, il Pentagono ha reso noto di aver istruito la prima udienza di fronte all‟ARB. Il governo ha informato i detenuti del fatto che essi potevano intentare cause di habeas corpus presso le corti federali – avendo quindi la possibilità di comparire di fronte a un giudice, essere pienamente informati delle accuse e contestarle in un regolare processo – e ha provveduto a fornire loro l‟indirizzo della Corte distrettuale federale di Washington DC. Tuttavia, il governo ha aggiunto che in quella sede i detenuti di Guantánamo non avrebbero il diritto di contestare sulla base della Costituzione degli Stati Uniti o del diritto internazionale la legittimità della propria detenzione. A fine anno, sei mesi dopo la sentenza della Corte Suprema, nessun detenuto aveva goduto di alcuna revisione giuridicamente legale sulla legittimità delle propria detenzione. Detenzioni in Afghanistan e in Iraq Ad agosto, in seguito alla pubblicazione delle foto riguardanti le torture e i maltrattamenti compiuti da personale statunitense nella prigione di Abu Ghraib in Iraq (vedi oltre), la Commissione indipendente per la revisione delle procedure detentive del Dipartimento della difesa, nominata dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, ha reso noto che dall‟inizio dell‟invasione dell‟Iraq e dell‟Afghanistan circa 50.000 persone erano state arrestate durante le operazioni militari e di sicurezza condotte dalle forze statunitensi. I militari statunitensi hanno operato in 25 strutture detentive in Afghanistan e in 17 in Iraq (vedi oltre). In ognuna di esse, ai detenuti è stato usualmente negato l‟accesso ad avvocati e familiari. In Afghanistan, il Comitato internazionale della Croce Rossa (ICRC) ha potuto visitare solo alcuni detenuti delle basi aeree di Bagram e Kandahar. Detenzioni in località segrete Un certo numero di detenuti, quelli giudicati dalle autorità statunitensi più interessanti dal punto di vista dell‟intelligence, si troverebbero rinchiusi in località segrete. In alcuni casi le modalità del loro arresto e della loro reclusione sono ascrivibili a vere e proprie “sparizioni”. Si ritiene cha alcuni di loro siano detenuti in queste condizioni da circa tre anni. Il rifiuto o l‟incapacità delle autorità statunitensi di chiarire la situazione di questi reclusi, lasciandoli al di fuori della protezione della legge per periodi così prolungati, costituisce chiaramente una violazione degli standard sanciti nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate. Si è continuato a nutrire il sospetto che le autorità statunitensi siano coinvolte nel trasferimento segreto di detenuti da un Paese all‟altro, esponendoli così al rischio di subire torture e maltrattamenti. 27 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Commissioni militari A fine anno, 15 detenuti erano soggetti alle disposizioni del 2001 sulla detenzione, il trattamento e il processo di cittadini stranieri durante la guerra al terrorismo, che vanno sotto il nome di Military Order. I detenuti ai quali si applica il Military Order possono essere rinchiusi senza accusa né processo oppure giudicati da commissioni militari. Tali commissioni sono organi esecutivi, non tribunali indipendenti e imparziali, con il potere di comminare la pena di morte e contro le cui sentenze non è possibile appellarsi. Nel corso di alcune udienze preliminari iniziate ad agosto, quattro dei 15, gli yemeniti Ali Hamza Ahmed Sulayman al Bahlul e Salim Ahmed Hamdan, l‟australiano David Hicks e il sudanese Ibrahim Ahmed Mahmoud al Qosi, sono stati accusati di cospirazione finalizzata a commettere crimini di guerra e altri reati. L‟8 novembre, il giudice distrettuale James Robertson, chiamato a presiedere all‟istanza di habeas corpus presentata da Salim Hamdan, ha stabilito che l‟uomo non poteva essere processato da una commissione militare. Il giudice Robertson ha disposto che a meno che e fino a quando un «tribunale competente» – così come richiesto dall‟art.5 della Terza Convenzione di Ginevra – non avesse determinato che Hamdan non aveva diritto allo status di prigioniero di guerra, egli poteva essere giudicato unicamente da una corte marziale in conformità al codice penale militare statunitense. Il magistrato ha affermato che, anche nel caso in cui a Salim Hamdan non fosse riconosciuto lo status di prigioniero di guerra da parte di un «tribunale competente» (sicuramente non per ordine presidenziale o del CSRT), un eventuale processo di fronte a una commissione militare sarebbe comunque illegale in quanto tale organismo prevede l‟esclusione dell‟imputato da determinate fasi del dibattimento e l‟utilizzo di prove “riservate” non rivelabili alla difesa. A fine anno, i procedimenti presso la commissione militare restavano sospesi in attesa dell‟esito dell‟appello presentato dal governo contro la sentenza del giudice Robertson. Torture e maltrattamenti di detenuti reclusi al di fuori degli Stati Uniti Le prove fotografiche delle torture e dei maltrattamenti subiti dai detenuti di Abu Ghraib in Iraq sono diventate di dominio pubblico verso la fine di aprile, suscitando profonda preoccupazione negli Stati Uniti e nel resto del mondo. Il presidente Bush e altri membri dell‟amministrazione si sono affrettati ad affermare che il problema era limitato ad Abu Ghraib e a pochi soldati indegni. Il 22 giugno, dopo la diffusione di precedenti documenti del governo relativi alla “guerra al terrorismo” secondo i quali in un tale contesto eventuali torture e maltrattamenti erano da considerarsi prevedibili, l‟amministrazione statunitense ha deciso di rendere noti alcuni documenti riservati allo scopo di “fare chiarezza sulla questione”. Tuttavia, il contenuto della documentazione ha mostrato come il governo avesse autorizzato tecniche di interrogatorio che violavano la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e che lo stesso presidente, in un memorandum datato 7 febbraio 2002, aveva affermato che nonostante i valori degli Stati Uniti «richiedessero di trattare i prigionieri umanamente» non tutti «avevano diritto legale a un tale trattamento». I documenti, tra l‟altro, riguardavano i modi in cui gli agenti statunitensi avrebbero potuto aggirare il divieto internazionale a ricorrere alla tortura e ad altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti, avvalendosi anche del fatto che il presidente avrebbe potuto travalicare le leggi nazionali e internazionali in materia. Gli incartamenti hanno portato alla luce la decisione del presidente Bush di non applicare le Convenzioni di Ginevra alle persone catturate in Afghanistan su suggerimento del proprio consigliere legale, Alberto Gonzales. In tal modo i funzionari statunitensi preposti agli interrogatori avrebbero avuto mano libera nella “guerra al terrorismo” e i procedimenti giudiziari 28 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici per crimini di guerra contro agenti statunitensi sarebbero stati meno probabili. All‟indomani delle elezioni presidenziali di novembre, il presidente Bush ha nominato Alberto Gonzales quale Procuratore Generale della nuova amministrazione. Il 30 dicembre, poco prima dello svolgimento delle udienze di fronte al Senato per la ratifica della nomina di Gonzales, il Dipartimento di giustizia ha aggiornato uno dei memorandum sull‟uso della tortura più controversi, datato agosto 2002. Nonostante il nuovo memorandum costituisse un miglioramento del precedente, molti aspetti della versione originale potevano essere ritrovati in un altro documento governativo, il Rapporto del Gruppo di lavoro del Pentagono sugli interrogatori dei detenuti nella guerra globale al terrorismo, redatto il 4 aprile 2003, che a fine anno era ancora operativo. A febbraio, sono trapelati alcuni passi di un rapporto dell‟ICRC sugli abusi perpetrati dalle forze della Coalizione in Iraq, in alcuni casi definiti «equivalenti a torture», e il resoconto delle indagini condotte dal generale dell‟esercito statunitense Antonio Taguba. Il rapporto Taguba aveva riscontrato «numerosi casi di abusi criminali sadici, manifesti e perversi» ai danni dei detenuti di Abu Ghraib tra l‟ottobre e il dicembre 2003. Secondo il rapporto inoltre, nella prigione, gli agenti degli Stati Uniti avevano tenuto nascosto agli occhi dei funzionari dell‟ICRC un certo numero di detenuti, definiti “detenuti fantasma”. In seguito è stato reso noto che uno dei prigionieri era deceduto in detenzione, uno dei vari casi di decesso rivelati nel corso dell‟anno in cui si ritiene che torture e maltrattamenti abbiano avuto un ruolo determinante. Nel corso dell‟anno, le autorità hanno intrapreso diverse indagini, hanno aperto procedimenti giudiziari contro soldati ritenuti responsabili di abusi e parimenti hanno svolto revisioni sui metodi e le pratiche di interrogatorio e detenzione. Le varie inchieste hanno registrato «approssimativamente 300 casi di denunce di abusi in Afghanistan, Iraq e a Guantánamo». Il 9 settembre, il maggiore Paul Kern, supervisore di una delle inchieste militari, ha riferito alla Commissione del Senato sulle Forze armate che in Iraq sarebbero stati presenti circa 100 “detenuti fantasma”. Il segretario alla Difesa Rumsfeld ha ammesso di aver autorizzato almeno in un caso la CIA (Central Intelligence Agency) a tenere un detenuto al di fuori da qualsiasi registro carcerario. In ogni caso ha destato preoccupazione il fatto che gran parte delle inchieste fossero esclusivamente militari, pertanto non in grado di indagare ai più alti livelli di comando. Le attività della CIA in Iraq e altrove, ad esempio, sono rimaste largamente circondate dal più stretto riserbo. Non sono state aperte inchieste sul coinvolgimento degli Stati Uniti in trasferimenti segreti di detenuti tra Paesi e sulle torture e maltrattamenti conseguenti. Molti documenti sono rimasti riservati. AI ha chiesto l‟istituzione di una commissione d‟inchiesta su tutti gli aspetti della “guerra al terrorismo” condotta dagli Stati Uniti, sui metodi e sulle pratiche di detenzione e interrogatorio. Nel corso dell‟anno, diversi detenuti rilasciati da Guantánamo hanno raccontato di aver subito torture e maltrattamenti mentre si trovavano nelle mani delle autorità statunitensi in Afghanistan e a Guantánamo. Sono emerse prove secondo cui qualcuno, compresi agenti dell‟FBI (Federal Bureau of Investigation) e funzionari dell‟ICRC, avevano scoperto che tali abusi erano stati perpetrati contro i detenuti. Detenzione negli Stati Uniti di “combattenti nemici” Nel mese di giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che Yaser Esam Hamdi, un cittadino statunitense tenuto in custodia delle autorità militari da oltre due anni senza accusa né processo in qualità di “combattente nemico”, aveva diritto a un processo e alla revisione di habeas corpus della sua detenzione di fronte a una corte degli Stati Uniti. Il suo caso è stato poi rinviato a 29 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici tribunali di grado inferiore per ulteriori procedimenti. Quando l‟ultimo di questi era ancora in corso, in ottobre, Hamdi è stato rilasciato dagli Stati Uniti ed estradato in Arabia Saudita, in base a condizioni concordate dai suoi avvocati con il governo degli Stati Uniti. Questi comprendevano la rinuncia alla cittadinanza statunitense, l‟obbligo di non lasciare l‟Arabia Saudita per cinque anni e il divieto di recarsi in Afghanistan, Iraq, Israele, Pakistan e Siria. José Padilla, cittadino statunitense, e Ali-Saleh Kahlah Al-Marri, cittadino del Qatar, sono rimasti reclusi senza accusa né processo in qualità di “combattenti nemici”. José Padilla ha presentato un richiesta d‟appello di fronte alla Corte Suprema analogamente a Yaser Esam Hamdi, ma la Corte ha rigettato la sua richiesta in quanto presentata alla giurisdizione sbagliata. A fine anno, il suo caso era ancora sotto esame nella Carolina del Sud, lo Stato in cui si trovava detenuto in un carcere militare. Prigionieri di coscienza Due obiettori di coscienza, il sergente Camilo Mejía Castillo e il sergente Abdullah Willia m Webster sono stati incarcerati e pertanto considerati prigionieri di coscienza. A fine anno si trovavano ancora in prigione. Il sergente Camilo Mejía Castello è stato condannato a una anno di reclusione per diserzione dopo che si era rifiutato di ritornare alla sua unità di stanza in Iraq per motivi morali in relazione ai suoi dubbi sulla legittimità della guerra e per la condotta delle truppe statunitensi nei confronti della popolazione civile irachena e dei prigionieri. Il processo è avvenuto nel mese di maggio nonostante si fosse ancora in attesa della decisione dell‟esercito in merito alla sua richiesta per l‟ottenimento dello status di obiettore di coscienza. A giugno, il sergente Abdullah William Webster, in servizio presso l‟esercito dal 1985, è stato condannato a 14 mesi di reclusione e alla perdita della paga e delle indennità per essersi rifiutato di partecipare al conflitto in Iraq a causa del suo credo religioso. Webster aveva ricevuto l‟ordine di recarsi in Iraq nonostante avesse presentato una richiesta per essere rassegnato a incarichi che non prevedessero il servizio attivo. La sua domanda per ottenere lo status di obiettore di coscienza è stata rifiutata in quanto la sua opposizione sarebbe stata rivolta a un conflitto specifico e non alla guerra in generale. Rifugiati, migranti e richiedenti asilo A novembre, l‟emittente radiofonica National Public Radio ha riportato una serie di denunce di abusi commessi ai danni di immigrati rinchiusi in tre prigioni del New Jersey, tra cui la prigione di Passaic e il centro correzionale della contea di Hudson. Due detenuti sarebbero stati picchiati mentre erano in manette e altri sarebbero stati morsicati dai cani da guardia. AI aveva registrato maltrattamenti simili nel 2003. Molte delle presunte vittime sono state deportate prima che le indagini fossero completate. Il Dipartimento per la sicurezza della patria ha reso noto di aver avviato una revisione di diverse strutture carcerarie a gestione privata, ma non ha fornito conferme su quali carceri fossero oggetto del provvedimento. Maltrattamenti e uso eccessivo della forza da parte delle forze dell‟ordine Sono giunte notizie di maltrattamenti e decessi in custodia in cui sarebbero coinvolti taser della “nuova generazione”, vale a dire potenti armi a scossa elettrica in grado di sparare dardi metallici utilizzati da più di 5.000 tra dipartimenti di polizia e strutture detentive. Più di 40 persone hanno perso la vita dopo essere stati colpiti da queste armi, portando a più di 70 il numero totale di morti 30 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici dal 2001. Mentre in genere i coroner attribuiscono le cause della morte a fattori come l‟intossicazione da droghe, in almeno 5 casi i taser sono stati considerati tra i fattori direttamente responsabili del decesso. La maggioranza delle vittime erano disarmate e non sembravano costituire una seria minaccia quando sono state colpite. Molti hanno subito scosse a più riprese, ed alcuni sono stati anche irrorati con spray al pepe o incatenati in modo pericoloso, come nel caso della tecnica detta del hogtying (con le mani e i piedi legati assieme dietro la schiena). Secondo alcune testimonianze, i taser sarebbero abitualmente utilizzati dagli agenti per stordire persone mentalmente disturbate o che semplicemente non obbediscono agli ordini. Anche minorenni e anziani sono stati oggetto di simili trattamenti. In molti dipartimenti i taser sono diventati gli strumenti di lavoro più largamente utilizzati. AI ha reiterato la propria richiesta alle autorità statunitensi affinché sospendano l‟utilizzo e la vendita di taser e di altre armi a scossa elettrica fino a quando non venga condotta un‟inchiesta indipendente e rigorosa sul loro utilizzo e sui loro effetti. Pena di morte Nel corso dell‟anno, sono state eseguite 59 sentenze capitali, portando a 944 il numero di prigionieri messi a morte da quando la Corte Suprema pose fine a una moratoria nel 1976. Lo Stato del Texas ha ucciso 23 condannati assommando complessivamente 336 esecuzioni dal 1976. Cinque persone sono state liberate dal braccio della morte in quanto riconosciute innocenti, portando dal 1973 a 117 il numero dei rilasci di persone innocenti. Otto persone condannate in Texas nella contea di Harris sono state messe a morte durante l‟anno, nonostante le preoccupazioni riguardanti l‟attendibilità delle perizie legali esaminate dal laboratorio del dipartimento di polizia di Houston (HPD), dove si erano palesati gravi problemi nel 2003. A ottobre, un giudice della Corte d‟Appello del Texas ha affermato che si sarebbe dovuto stabilire «una moratoria su tutte le esecuzioni nei casi in cui le condanne erano state basate su prove provenienti dalla polizia di Houston fino a quando l‟attendibilità delle prove non fosse verificata». Si tratta dell‟unica opinione contraria quando la stessa corte ha negato l‟istanza di sospensione presentata da Dominique Green sulla base dei dubbi riguardanti l‟accuratezza della perizia balistica condotta dall‟HPD e sulla scoperta di 280 scatole contenenti prove catalogate malamente che potrebbero aver inficiato migliaia di casi. Dominique Green è stato messo a morte il 26 ottobre. Gli Stati Uniti hanno continuato a violare il diritto internazionale ricorrendo alla pena di morte nei confronti di persone minorenni al momento del crimine. Durante l‟anno il braccio della morte contava circa 70 persone in questa situazione, oltre un terzo delle quali in Texas. A gennaio, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha accettato di prendere in considerazione un appello presentato dallo Stato del Missouri riguardante il caso di Christopher Simmons, che aveva 17 anni all‟epoca del reato. La Corte Suprema del Missouri aveva revocato la sua condanna a morte nel 2003 in quanto avrebbe incontrato l‟ostilità dell‟opinione pubblica, contraria alla pena capitale nei confronti dei minorenni. Le esecuzioni di un certo numero di minorenni al momento del reato sono state sospese in attesa della sentenza della Corte Suprema attesa all‟inizio del 2005. Il 31 marzo, la Corte Internazionale di Giustizia si è espressa in merito a una causa intentata dal Messico riguardo ai propri cittadini arrestati, privati dei diritti consolari e condannati a morte negli 31 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Stati Uniti. La Corte ha riscontrato come gli Stati Uniti avessero violato gli obblighi assunti con la Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari e li ha invitati a riconsiderare gli effetti di tali violazioni nei casi che vedono coinvolti cittadini stranieri. La stessa Corte di Giustizia ha ribadito la propria «forte preoccupazione» riguardo al fatto che era stata fissata la data dell‟esecuzione di Osvaldo Torres Aguilera, uno dei cittadini messicani citati nella causa. La condanna di Aguilera è stata in seguito commutata dal governatore dell‟Oklahoma dopo che il presidente messicano aveva presentato una richiesta di clemenza e la commissione statale incaricata di esaminare tali richieste aveva emesso una raccomandazione in tal senso. Il 10 dicembre, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha accettato di esaminare la domanda di appello di José Medellin, un cittadino messicano rinchiuso nel braccio della morte in Texas, allo scopo di determinare quali debbano essere gli effetti della sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sui tribunali degli Stati Uniti. La sentenza era prevista nel 2005. Prigionieri affetti da gravi malattie mentali hanno continuato a essere condannati a morte e le loro sentenze sono state eseguite. Charles Singleton è stato messo a morte in Arkansas il 6 gennaio. Durante il periodo trascorso nel braccio della morte, la sua malattia mentale si era manifestata in modo talmente acuto da spingere i medici a sottoporlo a trattamento sanitario obbligatorio. Kelsey Patterson, al quale era stata diagnosticata una schizofrenia paranoide, è stato messo a morte in Texas il 18 maggio. Il governatore dello Stato aveva rigettato una raccomandazione per la clemenza presentata dalla Commissione sulla libertà sulla parola e la clemenza del Texas. Il 5 agosto James Hubbard, di 74 anni, è stato messo a morte in Alabama. Si tratta della persona più anziana messa a morte negli Stati Uniti dal 1977 ed era rimasto nel braccio della morte per oltre un quarto di secolo. James Hubbard soffriva di demenza che talvolta lo portava a dimenticare chi era e perché si trovasse nel braccio della morte. Rapporti e missioni di AI USA: Dead wrong – The case of Nanon Williams, child offender facing execution on flawed evidence (AI Index: AMR 51/002/2004) USA: “Where is the compassion?” – The imminent execution of Scott Panetti, mentally ill offender(AI Index: AMR 51/011/2004) USA: Another Texas injustice – The case of Kelsey Patterson, mentally ill man facing execution (AI Index: AMR 51/047/2004) USA: Osvaldo Torres, Mexican national denied consular rights, scheduled to die (AI Index: AMR 51/057/2004) USA: Undermining security -- violations of human dignity, the rule of law and the National Security Strategy in „war on terror‟ detentions (AI Index: AMR 51/061/2004) USA: An open letter to President George W. Bush on the question of torture and cruel, inhuman or degrading treatment (AI Index: AMR 51/078/2004) USA: Appealing for justice – Supreme Court hears arguments against the detention of Yaser Esam Hamdi and José Padilla (AI Index: AMR 51/065/2004) 32 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici USA: Restoring the rule of law – The right of Guantánamo detainees to judicial review of the lawfulness of their detention (AI Index: AMR 51/093/2004) USA: A deepening stain on US justice (AI Index: AMR 51/130/2004) USA: Human dignity denied – Torture and accountability in the „war on terror‟ (AI Index: AMR 51/145/2004) USA: Guantánamo: Military commissions – Amnesty International observer‟s notes, No. 3 – Proceedings suspended following order by US federal judge (AI Index: AMR 51/157/2004) USA: Excessive and lethal force? Amnesty International‟s concerns about deaths and ill-treatment involving police use of tasers (AI Index: AMR 51/139/2004) USA: Proclamations are not enough, double standards must end – More than words needed this Human Rights Day (AI Index: AMR 51/171/2004) Nel mese di aprile delegati di AI si sono recati nello Yemen e hanno avuto colloqui con i familiari dei detenuti di Guantánamo provenienti dalla regione del Golfo. Un delegato di AI ha assistito alle udienze preliminari di fronte alla commissione militare tenutesi a Guantánamo Bay nei mesi di agosto e novembre. 33 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali LA TORTURA NEL Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici MONDO La tortura è diffusa in tutto il mondo. Viene attuata e negata al tempo stesso dai governi e dalle forze di opposizione armata. La geografia del fenomeno non risparmia nessun continente e nessun tipo di regime politico (non è limitata a dittature militari o a regimi autoritari, ma è inflitta anche in stati democratici). Nel sistema carcerario di molti paesi i maltrattamenti fisici sono molto frequenti, mentre le situazioni più gravi di abusi e torture fisiche e psicologiche hanno luogo nelle zone di conflitto tra stati, e tra governi e forze di opposizione all‟interno di singole nazioni. Secondo le ricerche svolte da Amnesty International dal 1997 a metà 2000 in 195 tra territori e paesi, torture e maltrattamenti inflitti da agenti di stato sono stati riscontrati in oltre 150 paesi; in più di 70 sono assai diffusi. In oltre 80 paesi queste torture hanno provocato morti. Vittime della tortura La moderna tortura non è più solo uno strumento di repressione politica: per produrre paura, deve colpire chiunque, l‟oppositore politico come il criminale comune come il cittadino qualunque. Ovviamente, alcune categorie sono più a rischio di tortura: in primo luogo coloro che la denunciano, poiché contrastano con la loro azione pubblica il “dogma” della clandestinità della tortura. E poi i più inermi, come le donne e i bambini, spesso utilizzati come elementi di una strategia militare: torturati, cioè, nel corso delle guerre civili, per costringere alla resa gli insorti, per fiaccarne il morale, per abbatterne la resistenza. Governi che violano regolarmente i diritti umani mostrano di solito un accanimento particolare nei confronti delle donne, specialmente di quelle che guidano movimenti di opposizione, organismi di volontariato, associazioni di solidarietà e per i diritti umani. La tortura nei confronti delle donne assume quasi sempre la forma dello stupro. In altri casi è la tradizione che impone forme estreme di trattamenti inumani e degradanti, come le mutilazioni genitali femminili, la più diffusa e sistematica violazione dei diritti umani a cui sono sottoposte le donne del mondo. Soltanto in Africa si stima che siano oltre 135 milioni le bambine e le ragazze mutilate in questo modo. Anche i bambini sono vittime di tortura: dal punto di vista di chi detiene il potere, costituiscono preziose “risorse” per ottenere la resa o la cattura di un adulto, o convincere intere comunità della mancanza di scrupoli di chi sta combattendo. Intere generazioni di bambini sono rimaste coinvolte in varie guerre come, ad esempio, quella che ha insanguinato la Serra Leone tra il 1991 e il 1998: migliaia di bambini sono stati sequestrati, costretti ad arruolarsi, o uccisi e mutilati. Di oltre 2400 catturati dai ribelli, non si è più avuta notizia. Anche in tempo di pace i bambini non hanno vita facile: sono le vittime più vulnerabili, più indifese, quelle contro cui è più comodo accanirsi. In Guatemala, nel corso del 1999, le forze dell‟ordine si sono rese responsabili di diversi abusi nei confronti di “bambini di strada” della capitale. Metodi di tortura In molti paesi del mondo la tortura ricorda per certi versi le forme medievali del supplizio. Si tortura con strumenti e macchinari rudimentali, con ciò che si trova a portata di mano, con percosse e calci. Lo stupro rappresenta “la” forma di tortura riservata alle donne. Ma recentemente la tecnologia è venuta in soccorso alla tortura con la produzione di sistemi “hi-tech” che addirittura non rendono 34 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici più necessario il contatto diretto tra il torturatore e la sua vittima: basta azionare un telecomando per scaricare corrente elettrica sul corpo del malcapitato. La tortura moderna, tuttavia, tende sempre di più a provocare un male difficile da scoprire, doloroso da raccontare: ci riferiamo alle innumerevoli forme di deprivazione sensoriale (l‟uso di bende e cappucci, l‟isolamento fisico e acustico) ed alle perverse manifestazioni di dominio psicologico (costringere un prigioniero a stare in piedi per ore, privarlo del sonno, del cibo o dell‟acqua, inscenare una finta fucilazione, minacciare di stupro sua moglie o sua figlia). Sistema dell‟impunità Se la tortura continua è perché rimane impunita. Esiste un vero e proprio “sistema di impunità”, che ha come obiettivo quello di proteggere i torturatori anziché le loro vittime, impedendo che i primi siano condannati per i loro atti criminali, e che alle seconde sia resa giustizia. Spesso l‟impunità è un vero e proprio “programma di governo”: si basa su elementi come la creazione di uno stato di terrore nelle vittime, intimidazione dei testimoni, connivenza del personale medico, complicità dei giudici, collaborazione del potere legislativo. Il sistema dell‟impunità si attiva nel momento stesso in cui viene praticata la tortura: chi la attua sa con certezza che i suoi superiori lo proteggeranno nei confronti di chiunque cercherà di perseguirlo penalmente. Il sistema dell‟impunità si rafforza anche grazie al contesto internazionale: un paese ricco di risorse naturali, considerato un importante mercato commerciale e un partner strategico in un blocco militare o in un‟unione politica ha maggiori possibilità di sfuggire a critiche e condanne dalla comunità internazionale. Strumenti di tutela giuridica La tortura è proibita pressoché ovunque dalle legislazioni nazionali e dal diritto internazionale; eppure in oltre la metà dei paesi del mondo si registrano casi di vittime di papriche atroci ed efferate da parte delle forze di sicurezza, di polizia o di altre autorità statali ed il rito accomuna tutti e cinque i continenti. Ma la tortura non è “solo” un reato: è un crimine contro la persona, contro l‟umanità. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (proclamata il 10 dicembre 1948 dall‟Assemblea Generale delle Nazioni Unite), all‟articolo 5 recita: “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti”. Lo stesso principio, valido in tempo di guerra, è stato ribadito un anno dopo dalla Convenzione di Ginevra e sempre contro la tortura nel 1966 si esprimeva anche il Patto Internazionale sui diritti civili e politici. Esiste un panorama normativo internazionale già in grado di eliminare questa pratica odiosa ma evidentemente la volontà degli stati manca o è inadeguata. Tutti i governi nazionali si dichiarano contro la tortura, non ne mettono in discussione il divieto; tuttavia, in moltissime realtà, gravissime violazioni dei diritti umani sono punite al massimo alla stregua di fattispecie di reato più lieve. Ma cos‟è la tortura? E‟ sulla definizione giuridica internazionalmente riconosciuta che si giocano le possibilità di inchiodare i torturatori alle loro responsabilità, di chiudere gli spazi di impunità, di chiedere giustizia per le centinaia di migliaia di donne e uomini, e di bambini, vittime di atti barbarici che offendono la coscienza dell‟umanità. Secondo l‟articolo 1.1 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti (1984): “Per tortura si intende ogni atto mediante il quale siano inflitti intenzionalmente a una persona dolore o sofferenza gravi, sia fisici che mentali, allo scopo di ottenere da essa o da un‟altra persona informazioni o una confessione, di punirla per un atto che essa o un‟altra persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, per intimidirla o sottoporla a coercizione o intimidire o sottoporre a coercizione un‟altra persona o per qualunque 35 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici ragione che sia basata su una discriminazione di qualsiasi tipo, a condizione che il dolore o la sofferenza siano inflitti da o su istigazione o con il consenso o l‟acquiescenza di un pubblico ufficiale o altra persona che svolga una funzione ufficiale. Non comprende il dolore o la sofferenza che risultano esclusivamente da, o siano inerenti o incidentali rispetto a sanzioni lecite”, mentre all‟articolo 2.1 prescrive che “Ogni Stato membro della Convenzione deve prendere efficaci misure legislative, amministrative, giudiziarie o altro, per prevenire atti di tortura nel territorio di propria giurisdizione”. Gli articoli 2.2 “Nessuna circostanza eccezionale, neppure la minaccia o lo stato di guerra, l‟instabilità politica interna o altra pubblica emergenza, può essere invocata come giustificazione della tortura” e 2.3 “Un ordine di un ufficiale o pubblica autorità superiore non può essere invocato come giustificazione della tortura” tolgono alibi alla pratica della tortura. E in caso di richiesta di estradizione, gli accordi internazionali impegnano gli stati aderenti a negare l‟assenso a quei paesi nei quali esista un rischio oggettivo di tortura. A livello europeo è importante ricordare la Convenzione europea per la prevenzione della tortura, la quale prevede l‟istituzione di un Comitato europeo che, pur non essendo di natura giudiziaria (composto da persone di alta moralità, competenti ed esperte in materia di diritti umani elette dal Comitato dei Ministri del Consiglio d‟Europa) per mezzo di sopralluoghi, esamina il trattamento delle persone private di libertà allo scopo di “rafforzare, se necessario, la loro protezione dalla tortura e dalle pene o trattamenti inumani o degradanti” (articolo 11). Il Comitato organizza visite periodiche di controllo presso i luoghi di detenzione dei Paesi europei al termine delle quali elabora dei rapporti sulle situazione accertate in tali occasioni e ne trasmette la documentazione (che può contenere anche delle raccomandazioni) alle autorità governative al fine di garantire eventuali miglioramenti per la protezione delle persone detenute. La tortura „legale‟: le punizioni corporali. La punizione corporale come provvedimento giudiziario è una delle poche torture che i governi accusati di commettere tali pratiche non negano di aver inflitto. Le punizioni sono imposte dalle corti come sanzione penale o come ordine amministrativo per misure disciplinari. Sono eseguite da funzionari di stato, qualche volta in pubblico, e sono mascherate come pratiche „legali‟. Dal 1997 al 2000 Amnesty International ha documentato casi di fustigazione legale in 14 paesi e amputazioni in 7: queste punizioni sono negli statuti di legge di almeno 35 paesi. Le più comuni di queste punizioni ancora in uso sono l‟amputazione, i marchi a fuoco e varie forme di fustigazione, incluse la flagellazione, le frustate e le bastonature. In alcuni paesi la condanna arriva a 100 frustate, che possono causare menomazione permanenti o la morte. Le vittime delle mutilazioni e delle marchiature a fuoco non sono soltanto minorate o sfregiate a vita, ma sono anche stigmatizzate come criminali per il resto della loro vita. In Iraq ad esempio, dopo la guerra del Golfo, le persone condannate per diserzione sono state marchiate a fuoco con una „x‟ sulla fronte. Nel 1992 il Comitato per i diritti umani ha stabilito che il divieto di tortura “deve essere esteso alle punizioni corporali” e in una risoluzione adottata nell‟aprile 2000, la Commissione delle Nazioni Unite ha stabilito che “le punizioni corporali, inclusa quella dei bambini, può diventare una punizione crudele, inumana o degradante o anche tortura”. Legalizzare dunque tale pratica a livello nazionale non può cambiare in „legale‟, qualcosa contraria alla legge internazionale. Alcuni giustificano la punizione corporale basandola sulla cultura e la religione, che però non sono statiche: molte punizioni largamente accettate in passato, appaiono oggi crudeli e degradanti. 36 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Turkey (the Republic of) Repubblica di Turchia Capo di stato: Ahmet Necdet Sezer Capo del governo: : Recep Tayyip Erdoğan Pena di morte: abolizionista per tutti i reati Statuto di Roma della Corte penale internazionale: non firmato Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata con riserve Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificato Il governo ha introdotto ulteriori riforme giuridiche e di altra natura, allo scopo di adeguare la legislazione turca agli standard internazionali. Tuttavia, la messa in atto di tali riforme è stata frammentaria e nel diritto sono rimaste ampie restrizioni all‟esercizio dei diritti fondamentali. Nonostante positive modifiche alle norme sulla detenzione, non sono cessati tortura e maltrattamenti commessi dalle forze di sicurezza. L‟uso di forza eccessiva contro i manifestanti ha continuato a essere motivo di grave preoccupazione. I responsabili di tali violazioni raramente sono stati condotti dinanzi alla giustizia. Chi ha cercato di esercitare il proprio diritto a manifestare pacificamente o a esprimere dissenso su certi argomenti ha continuato a rischiare l‟incriminazione penale o altre sanzioni. Funzionari statali non sono stati in grado di adottare misure adeguate per prevenire e punire la violenza sulle donne. Contesto Il governo ha proseguito nell‟introduzione di riforme costituzionali e giuridiche al fine di soddisfare i criteri richiesti per l‟avvio dei negoziati di adesione all‟Unione Europea. Il 17 dicembre, il Consiglio d‟Europa ha dichiarato l‟intenzione di iniziare i negoziati con la Turchia nell‟ottobre 2005. A gennaio la Turchia ha firmato il Protocollo n.13 alla Convenzione europea sui diritti umani e ad aprile ha firmato il secondo Protocollo opzionale al Patto internazionale sui diritti civili e politici, relativo all‟abolizione della pena di morte. Nel mese di giugno, il Congresso del popolo curdo (Kongra Gel), successore del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), ha annunciato che avrebbe posto fine al suo cessate il fuoco unilaterale. Nella seconda metà dell‟anno sono stati segnalati molti scontri tra esponenti del gruppo armato ed esercito e forze di sicurezza nel sud-est del Paese. Nel corso dell‟anno almeno 33 persone, di cui 13 minorenni, sono state uccise da mine antipersona o da armi e munizioni abbandonate. I feriti sono stati molti di più. Riforme legislative L‟anno ha visto l‟introduzione di molti significativi cambiamenti nel sistema giuridico turco. Le corti per la sicurezza di Stato sono state abolite e sostituite da speciali tribunali per reati gravi. È stata data precedenza al diritto internazionale sulla legislazione interna. Tutti i richiami alla pena di morte sono stati cancellati dalla Costituzione e dal codice penale. Gli esponenti dell‟esercito sono stati allontanati dal Consiglio d‟istruzione superiore (YÖK) e dal Consiglio superiore per le trasmissioni radio-televisive (RTÜK). 37 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Tra la legislazione introdotta vi sono una nuova legge sulla stampa, una nuova legge sulle associazioni e i nuovi codici penale e di procedura penale. Tutte queste norme hanno incluso sviluppi positivi e spesso si sono rivelate meno restrittive delle leggi precedenti. Ad esempio, dal nuovo codice penale sono stati cancellati molti articoli discriminatori in base al genere ed è stata introdotta una definizione di tortura più vicina a quella stabilita dal diritto internazionale. Ciò nonostante, molte di queste nuove leggi hanno mutuato dal vecchio ordinamento norme che erano state impiegate per limitare senza necessità i diritti fondamentali. Inoltre, la messa in atto delle riforme è stata spesso irregolare e in alcuni casi sembra aver incontrato la resistenza di funzionari pubblici. È stata approvata anche una legge per l‟indennizzo delle perdite causate da terrorismo e dalla lotta contro il terrorismo, il cui obiettivo era il risarcimento delle persone sfollate forzatamente nel corso degli anni Novanta, durante il conflitto tra le forze governative e il PKK. Le associazioni per i diritti umani hanno espresso preoccupazione per la bassa entità dei risarcimenti previsti e hanno lasciato intendere che la legge fosse stata studiata per impedire la presentazione di istanze presso la Corte europea dei diritti umani. Tortura e maltrattamenti Le norme sulla detenzione che hanno dotato i detenuti di miglior protezione hanno portato a una apparente riduzione dell‟uso di alcune tecniche di tortura come la sospensione per le braccia e la falaka (percosse sotto le piante dei piedi). Tuttavia, la nuova regolamentazione spesso non è stata messa in atto. La tortura e i maltrattamenti durante il fermo nelle stazioni di polizia e gendarmeria hanno continuato ad essere motivo di grave preoccupazione e sono pervenute denunce di percosse, scosse elettriche, detenuti costretti a restare nudi e minacce di morte. Sono state ampiamente segnalate anche torture che non lasciano segni durevoli sul corpo della vittima. La privazione di cibo, acqua e sonno e l‟essere costretti a mantenere per lungo tempo posizioni scomode sono i metodi che hanno continuato ad essere oggetto di denuncia, nonostante una circolare del ministro degli Interni avesse proibito l‟uso di tali tecniche. Inoltre, le persone sono state percosse durante l‟arresto, mentre venivano portate in giro in auto o dopo essere state condotte in un luogo deserto per l‟interrogatorio. Derya Aksakal ha denunciato di essere stata trascinata in un minibus il 3 marzo mentre stava camminando per le strade di Istanbul. Quindi è stata bendata e interrogata sulle sue attività politiche da tre uomini a volto coperto; la donna ha riconosciuto tra questi un agente di polizia. Secondo quanto riferito, i tre uomini le hanno spento sigarette sul corpo, hanno minacciato di stuprarla e l‟hanno sottoposta a una finta esecuzione prima di rilasciarla circa due ore dopo. Il 27 ottobre Aydın Ay è stato fermato e trattenuto alla stazione di polizia di Carşı a Trabzon perché sospettato di furto. Ha dichiarato di essere stato spogliato completamente, sottoposto a scosse elettriche e a schiacciamento dei testicoli per costringerlo a firmare documenti di cui non conosceva il contenuto. Un alto numero di denunce di maltrattamenti si riferivano all‟eccessivo uso della forza da parte delle forze di sicurezza durante le manifestazioni. Nonostante il ministro degli Interni abbia emesso una circolare in cui dava istruzioni agli agenti di non utilizzare forza sproporzionata, vi sono state continue segnalazioni di dimostranti picchiati e spruzzati con gas irritante al pepe anche dopo l‟arresto. 38 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Impunità Non sono stati posti in essere meccanismi efficaci per controllare l‟applicazione delle norme sulla detenzione e per investigare sui modelli di abuso da parte delle forze di sicurezza. I consigli provinciali e regionali per i diritti umani non sono stati in grado di indagare efficacemente le denunce di episodi di tortura o maltrattamenti, né hanno dimostrato la necessaria imparzialità o indipendenza. Le inchieste sulle denunce di tortura e maltrattamenti condotte dalle procure raramente sono risultate adeguate e solitamente si sono concluse con il non luogo a procedere. La mancanza di completezza di tali inchieste ne ha messo in questione l‟imparzialità. Spesso le decisioni sono state basate su insufficienti visite mediche dei detenuti, il più delle volte effettuate alla presenza di agenti delle forze di sicurezza, nonostante i regolamenti proibissero tale pratica. Le indagini e i processi che ne sono conseguiti generalmente non hanno preso in esame la catena di comando e gli agenti accusati spesso non sono stati sospesi dal servizio attivo durante tali procedimenti. I procedimenti giudiziari contro persone accusate di tortura e maltrattamenti sono stati abitualmente prolungati in modo eccessivo e, in alcuni casi, la decorrenza dei termini di prescrizione ne ha bloccato il proseguimento. Il 10 novembre la Corte d‟Appello ha confermato la sentenza a carico di un agente di polizia coinvolto nel decesso del sindacalista Süleyman Yeter, morto a causa delle torture subite durante il fermo di polizia, nel marzo 1999. Il tribunale di prima istanza aveva ridotto la sua pena da 10 anni di reclusione a 4 anni e due mesi per «buona condotta», di cui dovrà scontare soltanto 20 mesi. Nel frattempo, per decorrenza dei termini di prescrizione, l‟11 novembre sono stati abbandonati i procedimenti legali contro 9 agenti di polizia accusati di aver torturato Süleyman Yeter e altri 14 detenuti in un altro episodio nel 1997. Nonostante l‟esistenza di referti medici a sostegno dell‟accusa, il 2 dicembre è stato rinviato per la 30ª volta il processo di quattro agenti di polizia accusati di aver torturato, anche sessualmente, due studentesse di scuola superiore a Iskendurun nel marzo 1999. Nel frattempo una delle due ragazze, Fatma Deniz Polattaş, è rimasta in carcere perché accusata di appartenere al PKK sulla base di dichiarazioni presumibilmente estorte sotto tortura. Chi ha querelato la polizia per uso eccessivo della forza durante l‟arresto o nel corso di manifestazioni spesso è stato accusato di “resistenza aggravata a pubblico ufficiale e violenza o minacce” o di aver violato la legge n.2911 su riunioni e manifestazioni. Secondo le segnalazioni pervenute, studenti dimostranti arrestati ad Ankara il 12 aprile sono stati maltrattati dalla polizia antisommossa che è ricorsa a un uso eccessivo della forza per disperdere e arrestare i manifestanti. Gli studenti sarebbero stati maltrattati anche alla stazione di polizia e in tribunale. Il giudice incaricato del caso ha ignorato le denunce di maltrattamenti e gli studenti sono stati accusati di violazione della legge su riunioni e manifestazioni e rilasciati in attesa del processo. Uccisioni in circostanze controverse Secondo quanto riferito, almeno 21 civili sarebbero stati uccisi dalle forze di sicurezza, soprattutto nelle province sud-orientali e orientali del Paese. Nella maggioranza dei casi le forze di sicurezza hanno dichiarato che le vittime non avevano osservato l‟ordine di fermarsi. 39 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Il 28 maggio, ad Adana, un presunto appartenente a Kongra Gel, Şiyar Perinçek, è stato colpito da un agente di polizia in borghese dopo essere stato fatto cadere da una motocicletta. I testimoni hanno affermato che l‟uomo non era armato e che non era stato pronunciato alcun avvertimento. Egli è morto in ospedale due giorni più tardi. L‟autista della motocicletta, Nurettin Başçı, è stato arrestato e, a quanto risulta, torturato. Il 4 ottobre tre agenti di polizia sono stati processati per i “maltrattamenti” ai danni di Nurettin Başçı; un agente è stato incriminato anche per l‟ “omicidio involontario” di Şiyar Perinçek che, secondo l‟atto di accusa, era avvenuto dopo che Şiyar Perinçek aveva sparato all‟agente. A fine anno il processo era ancora in corso. Il 21 novembre alcuni agenti di polizia hanno ucciso Mehmet Kaymaz e suo figlio dodicenne Uğur dinanzi alla loro abitazione a Kızıltepe. Le autorità hanno affermato che essi erano membri del Kongra Gel, che erano armati e che avevano sparato per primi in direzione degli agenti, i quali avevano quindi risposto al fuoco. I testimoni hanno denunciato che si era trattato di una esecuzione extragiudiziale e che le armi erano state messe addosso alle due vittime quando erano già morte. Libertà di espressione e difensori dei diritti umani Sebbene la Corte d‟Appello e alcuni tribunali di grado inferiore abbiano emesso sentenze senza precedenti che confermano il diritto alla libertà di espressione, numerose persone sono state incriminate per la pacifica espressione delle proprie opinioni. Sono state avviate cause e inchieste a carico di persone per via delle loro opinioni o attività pacifiche. Tali procedimenti hanno rappresentato una forma di vessazione giudiziaria; raramente sono approdati a sentenze di condanna, ma spesso hanno comportato il pagamento di pesanti sanzioni pecuniarie. I processi sono stati istruiti ai sensi di vari articoli del codice penale: è il caso, per esempio, di quelli che stabiliscono punizioni per “ingiuria” a vari organi dello Stato o “incitamento all‟ostilità e all‟odio”. Nondimeno, sono stati aperti procedimenti anche per violazione di molte altre norme, in particolare della legge anti-terrorismo, la legge su riunioni e manifestazioni e altre leggi sull‟ordine pubblico e sulle associazioni e fondazioni. Esponenti politici sono stati incriminati per aver utilizzato nella propaganda elettorale lingue diverse dal turco. Quotidiani e giornalisti sono stati condannati al pagamento di pesanti ammende sia ai sensi della precedente legge sulla stampa sia della nuova. Nel mese di novembre il giornalista Hakan Albayrak è stato rilasciato da un carcere nella provincia di Ankara dopo aver scontato 6 mesi di una condanna a 15 mesi di reclusione per un articolo in cui aveva espresso alcune critiche sul funerale di Mustafa Kemal Atatürk, il fondatore della Repubblica turca. Il 30 dicembre un tribunale di Ankara ha proseguito le udienze del procedimento aperto nei confronti dello scrittore Fikret Başkaya per aver intenzionalmente “insultato o deriso lo Stato turco” nel suo libro Contro corrente. Se ritenuto colpevole, egli rischia una condanna fino a tre anni di reclusione. Queste leggi sono state utilizzate anche contro difensori dei diritti umani, tra cui avvocati, medici, ambientalisti e sindacalisti, che hanno continuato a essere oggetto di vessazioni nonostante una maggior volontà da parte del governo di consultare i rappresentanti della società civile. Le vessazioni sono state diverse a seconda delle province. In alcuni casi sono stati vietati l‟organizzazione di petizioni, la lettura di comunicati stampa o lo svolgimento di manifestazioni. Il Rappresentante speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani ha compiuto una visita in Turchia a ottobre, esprimendo preoccupazione per l‟apertura di un gran numero di azioni giudiziarie e raccomandando la revisione di tutti i casi ancora aperti contro difensori dei diritti umani. Persone 40 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici che avevano preso parte ad attività legate ai diritti umani spesso sono anche state soggette a sanzioni di natura professionale come licenziamento, sospensione o trasferimento in località lontane dal luogo di residenza. A giugno è stata avviata un‟azione giudiziaria finalizzata alla chiusura del maggiore sindacato turco, il sindacato degli insegnanti Eğitim Sen. Il caso è stato fondato su un‟affermazione contenuta nello statuto del sindacato secondo la quale esso avrebbe «difeso i diritti dei singoli all‟istruzione nella loro lingua madre», dichiarazione che la pubblica accusa riteneva incostituzionale. La sentenza di assoluzione di Eğitim Sen emessa a settembre è stata ribaltata a novembre dalla Corte d‟Appello. Sempre a giugno, la professoressa Şebnem Korur Fincancı e il suo collega Sermet Koç sono stati rimossi dalla carica di presidi delle due facoltà di medicina legale negli ospedali annessi all‟Università di Istanbul. Essi avevano espresso alla stampa preoccupazione per la mancanza di indipendenza dell‟Istituto di medicina legale. Şebnem Korur Fincancı era stata precedentemente allontanata dall‟incarico che svolgeva all‟Istituto per aver redatto una relazione in cui concludeva che una persona era deceduta in custodia a causa delle torture subite. Rilascio di prigionieri di coscienza Il 21 aprile, il Tribunale per la sicurezza di Stato n.1 di Ankara ha confermato le condanne a quindici anni di reclusione comminate a quattro ex parlamentari del Partito della democrazia (DEP): Leyla Zana, Hatip Dicle, Orhan Doğan e Selim Sadak. Il nuovo processo era stato celebrato grazie a una legge che autorizzava nuovi procedimenti giudiziari laddove una sentenza della Corte europea dei diritti umani avesse giudicato il verdetto originale contrario alla Convenzione europea sui diritti umani. Tuttavia, agli inizi di giugno il procuratore capo della Corte d‟Appello ha richiesto il capovolgimento della condanna, sottolineando che anche il nuovo processo si era svolto in violazione degli standard internazionali di equità processuale e che gli imputati avrebbero dovuto sostenere un nuovo processo ma essere rilasciati in attesa di giudizio. Il 9 giugno i quattro ex parlamentari sono stati rilasciati dal carcere Ulucanlar di Ankara. Il nuovo processo è iniziato il 21 ottobre presso il Tribunale speciale per reati gravi n.11 di Ankara. Violenza sulle donne I diritti umani di centinaia di migliaia di donne in Turchia hanno continuato a essere violati a causa del fenomeno della violenza domestica. Sono pervenute segnalazioni di percosse, stupri, omicidi o induzione al suicidio. Le autorità si sono dimostrate incapaci di adottare misure per proteggere le donne in modo appropriato. Le indagini nei casi di violenza familiare spesso non sono risultate adeguate e raramente i responsabili delle violenze sono stati condotti dinnanzi alla giustizia. In tutto il Paese il numero delle strutture di accoglienza per le donne a rischio di violenza è risultato davvero esiguo. A seguito delle congiunte attività di lobby esercitate dalle organizzazioni femminili, dal nuovo codice penale sono state eliminate molte norme discriminatorie in base al genere. Tra le misure positive introdotte vi sono l‟abolizione dell‟opportunità per il responsabile di uno stupro di vedersi ridurre, rimandare o annullare la condanna nel caso in cui questi accetti di sposare la vittima; l‟esplicito riconoscimento dello stupro coniugale quale reato; e la definizione di violenza familiare prolungata e sistematica quale tortura. 41 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Rapporti e missioni di AI Turkey: From paper to practice – making change real, Memorandum to the Turkish Prime Minister on the occasion of the visit to Turkey of a delegation led by Irene Khan, Amnesty International‟s Secretary General (AI Index: EUR 44/001/2004) Turkey: Restrictive laws, arbitrary application – the pressure on human rights defenders (AI Index: EUR 44/002/2004) Turkey: Women confronting family violence (AI Index: EUR 44/013/2004) Europe and Central Asia – Summary of Amnesty International‟s concerns in the region, JanuaryJune 2004: Turkey (AI Index: EUR 01/005/2004) Delegati di AI si sono recati in Turchia nei mesi di febbraio, giugno e dicembre. A febbraio la Segretaria generale di AI ha incontrato importanti esponenti del governo, compreso il primo ministro Recep Tayyip Erdoğan. 42 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Myanmar (the Union of) Capo di Stato: generale Than Shwe Capo del governo: generale Soe Win (subentrato al generale Khin Nyunt a ottobre) Pena di morte: mantenitore Statuto di Roma della Corte penale internazionale: non firmato Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata con riserve Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: non firmato A ottobre il primo ministro è stato posto agli arresti domiciliari e sostituito da un altro generale dell‟esercito. Nonostante a novembre sia stato annunciato il rilascio di un gran numero di prigionieri, più di 1.300 prigionieri politici sono rimasti detenuti, mentre sono proseguiti gli arresti e la carcerazione di attivisti impegnati in pacifiche attività di opposizione politica. L‟esercito ha continuato a commettere gravi violazioni dei diritti umani contro la popolazione civile appartenente a minoranze etniche, nel contesto di operazioni di contro-insurrezione negli Stati di Mon, Shan e Kayin, e nella divisione amministrativa di Tanintharyi. Le restrizioni alla libertà di movimento in Stati popolati soprattutto da minoranze etniche hanno continuato a ostacolare attività quali l‟agricoltura, il commercio e i servizi. Ciò ha avuto un impatto particolare sui rohingya nello Stato di Rakhine. I civili appartenenti a minoranze etniche che vivono nelle suddette zone hanno continuato a essere obbligati ai lavori forzati dai militari. Contesto A maggio, il governo ha convocato la Convenzione nazionale con il compito di redigere una bozza per la nuova Costituzione. La Convenzione non ha visto la partecipazione della maggior parte dei partiti politici, compresa la Lega nazionale per la democrazia (NLD). Vi hanno preso parte 28 gruppi che avevano aderito al cessate il fuoco, 13 dei quali hanno richiesto una maggiore autonomia locale. La Convenzione è stata aggiornata a luglio e a fine anno non si era ancora riunita. A ottobre, il primo ministro, generale Khin Nyunt, che era stato anche capo dei servizi segreti militari, è stato deposto e posto agli arresti domiciliari e sostituito dal generale Soe Win, segretario del Consiglio di Stato per la pace e lo sviluppo (SPDC, la giunta militare). Altri ministri del gabinetto, ritenuti alleati del generale Khin Nyunt, tra cui il ministro degli Interni, colonnello Tin Hlaing, sono stati deposti e posti agli arresti domiciliari. Durante lo stesso mese, l‟SPCD ha dichiarato che avrebbe proseguito sulla via della “road map” verso la democrazia articolata in sette tappe, annunciata dal generale Khin Nyunt nell‟agosto 2003. Nel corso dell‟anno sono continuate in maniera sporadica le trattative per il cessate il fuoco tra l‟Unione nazionale Karen (KNU), un gruppo di opposizione armata karen, e l‟SPDC, ma non è stato raggiunto alcun accordo. Sono continuate le schermaglie tra il KNU e l‟esercito, nello Stato del Kayin e nella divisione amministrativa di Tanintharyi. Nella regione sud-orientale dello Stato di Shan, sono continuati i combattimenti tra l‟esercito e il gruppo di opposizione armata Shan, Esercito dello Stato di Shan-Sud (SSA-Sud). L‟esercito ha esteso la sua presenza nella giurisdizione meridionale di Ye, nello Stato di Mon, dove il partito Hongsawati, una fazione secessionista del gruppo del cessate il fuoco, il partito del Nuovo Stato di Mon (NMSP), aveva combattuto contro il governo centrale. 43 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Nonostante le sedi dell‟NLD siano state riaperte a maggio, tutte gli altri uffici sono rimasti chiusi, tra le segnalazioni che indicavano la repressione da parte dell‟SPDC di membri dell‟NLD. Questa strategia comprendeva il ritiro di licenze commerciali, detenzioni a breve termine, e restrizioni di viaggio per le attività di pacifica opposizione politica dei suoi membri. Arresti e carcerazioni di natura politica Oltre 1.300 prigionieri politici continuano a restare in carcere in tutto il Paese, molti dei quali pur avendo già scontato la loro condanna. La segretaria generale dell‟NLD, Daw Aung San Suu Kyi, è stata posta agli arresti domiciliari per tutto l‟anno. A febbraio, il vice presidente dell‟NLD, U Tin Oo, è stato trasferito dalla Prigione di Kalay agli arresti domiciliari. Alcuni prigionieri sono stati rilasciati dopo aver scontato le loro condanne. Sono state emesse almeno 33 sentenze di carcerazione per ragioni politiche. Tra i condannati figuravano funzionari distrettuali dell‟NLD, provenienti dalle divisioni amministrative di Mandalay e Ayeyarwaddy e dallo Stato di Shan, ex prigionieri politici e attivisti studenteschi. Tra aprile e a maggio, per almeno due gruppi di attivisti politici, sono state emesse condanne dai sette ai 22 anni di reclusione, per aver avuto, secondo quanto riferito, contatti con gruppi politici di opposizione in esilio. U Ohn Than, un ex prigioniero politico, è stato arrestato a settembre e condannato a ottobre a due anni di detenzione per disturbo dell‟ordine pubblico. Avrebbe inscenato, da solo, una pacifica manifestazione di protesta, richiedendo libertà politiche, davanti al Municipio di Yangon. Almeno 24 prigionieri politici sono rimasti detenuti dopo aver scontato la loro condanna. Fra questi, sei leader studenteschi e circa 10 presunti membri del Partito comunista della Birmania, in maggioranza detenuti sin dal 1989 o dal 1991. Fra questi figurano anche due prigionieri di coscienza, Daw May Win Myint e Than Nyein, entrambi parlamentari dell‟NLD che nel corso dell‟anno hanno sofferto di problemi di salute gravi e cronici. Almeno tre persone sono decedute in custodia o subito dopo il rilascio dal carcere. Il prigioniero di coscienza e avvocato Min Thu, arrestato nel 1998 in relazione alla preparazione di un saggio sul movimento studentesco, è morto a giugno nella prigione di Insein. Secondo quanto riferito, nel 2001, aveva subito maltrattamenti in carcere, quando le autorità trattenevano i prigionieri in celle normalmente usate per cani dell‟esercito, durante le indagini relative a uno sciopero della fame nella prigione. Un numero imprecisato del personale dei servizi segreti militari e di altri funzionari governativi sono stati arrestati, tra segnalazioni di diffusa corruzione. Il colonnello Hla Min, della Divisione informazioni del ministero della Difesa, e diversi altri a fine anno erano detenuti nella prigione di Insein. ***Rilasci Circa 40 prigionieri politici, compresi prigionieri di coscienza effettivi e possibili, erano tra i 9.248 prigionieri rilasciati verso la fine di novembre. L‟SPDC ha dichiarato che erano stati arrestati ingiustamente dall‟Ufficio nazionale di intelligence (NIB), abolito dall‟SPDC il 22 ottobre. Tuttavia, l‟SPDC non ha chiarito se i rilasciati fossero criminali o prigionieri politici. 44 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Il prigioniero di coscienza e noto leader studentesco Paw U Tun, alias Min Ko Naing, è stato rilasciato il 19 ottobre dopo oltre 15 anni di carcere. Violazioni dei diritti umani contro minoranze etniche Alla stragrande maggioranza dei rohingya continua a essere negato il diritto a una nazionalità ai sensi della legge sulla cittadinanza birmana promulgata nel 1982. I rohingya, nello Stato del Rakhine settentrionale, per lasciare i loro villaggi devono, di prassi, ricevere un permesso e pagare una tassa, il che complica notevolmente le loro attività di commercio e d‟impiego. I rohingya sono frequentemente obbligati ai lavori forzati. A gennaio, alcune giovani donne nubili provenienti dal villaggio di Kyong Kanya, distretto del villaggio Khaw Za, giurisdizione dello Ye meridionale, Stato del Mon, sono state obbligate a servire e intrattenere ufficiali dell'esercito. Abitanti del villaggio di sesso maschile sono stati obbligati all‟acquisto di alcol per l‟esercito. Questi sistemi sono stati nuovamente adottati dall‟esercito in altre zone della giurisdizione dello Ye meridionale, nelle quali era attivo il partito Hongsawaty. Un agricoltore shan, proveniente dal villaggio Murngkhun, distretto del villaggio Non Laew, giurisdizione di Laikha, Stato di Shan, è stato obbligato a trasportare delle truppe con il suo trattore con tale frequenza da non lasciargli abbastanza tempo da dedicare alla coltivazione. A gennaio, le truppe lo hanno accusato di non volerli trasportare, lo hanno gettato fuori dal suo trattore a calci e gli hanno poi fratturato un braccio calpestandolo. Un uomo rohingya proveniente dalla giurisdizione del Maungdaw settentrionale ha riferito che, a partire da febbraio, gli abitanti dei villaggi di nove distretti, erano stati obbligati a costruire strade per le forze di sicurezza. Impunità Nessuno è stato portato in giudizio per gli attacchi effettuati da sostenitori del governo contro l‟NLD il 30 maggio 2003 a Depeyin, divisione di Sagaing, nel corso dei quali erano rimaste uccise o ferite un numero imprecisato di persone né è stata avviata alcuna inchiesta indipendente. Pena di morte Nel corso dell‟anno, nove persone condannate a morte per alto tradimento nel novembre 2003, accusate di cospirazione al fine di assassinare funzionari del governo e di aver compiuto attentati a edifici governativi, hanno avuto la loro sentenza commutata. Tra questi figurano i prigionieri di coscienza Thet Zaw, direttore della rivista sportiva First Eleven; U Aye Myint, avvocato, e Min Kyi, anch‟egli avvocato. A maggio le sentenze dei tre sono state commutate a tre anni di reclusione. Nello stesso mese, Shwe Mann, un quarto prigioniero di coscienza collegato allo stesso caso giudiziario, ha avuto la sua sentenza di morte commutata in “relegazione a vita”. U Aye Myint, Min Kyi e Shwe Mann sono stati accusati, tra le altre cose, di aver passato informazioni sul lavoro forzato all‟Organizzazione internazionale del lavoro (ILO). A marzo, dopo averli ascoltati nella prigione di Insein, l‟ILO ha sollevato i casi dei tre uomini presso l‟SPDC. Questi hanno riferito di essere stati torturati nel corso dell‟interrogatorio iniziale, avvenuto in seguito al loro arresto nel luglio 2003. A ottobre, i quattro uomini hanno avuto le loro sentenze ridotte ulteriormente a due anni di reclusione. Altri cinque uomini condannati alla pena di morte nello stesso caso, hanno avuto le loro sentenze commutate all‟ergastolo a maggio, e a ottobre, uno dei cinque ha avuto la propria sentenza ulteriormente ridotta a cinque anni di carcere. Non sono note esecuzioni. 45 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Iniziative internazionali A marzo, l‟Inviato speciale delle Nazioni Unite per Myanmar ha ricevuto il permesso di effettuare una visita nel Paese, durante la quale ha incontrato la leader dell‟NLD, Daw Aung San Suu Kyi, la quale ha dato indicazioni di voler collaborare con il governo del generale Khin Nyunt. Al Relatore Speciale delle Nazioni Unite per Myanmar non è stato concesso il permesso di effettuare una visita nel Paese. Ad aprile la Commissione delle Nazioni Unite sui diritti umani ha esteso il mandato del Relatore Speciale per Myanmar per un altro anno. A dicembre l‟Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione, con la quale si esprime «grave preoccupazione [...] riguardo alla continua e sistematica violazione dei diritti umani nel Myanmar». In seguito al meeting Asia-Europa (ASEM) di ottobre, cui per la prima volta l‟SPDC ha partecipato in qualità di membro, la Posizione comune dell‟Unione Europea, che prevede alcune sanzioni contro il Myanmar, è stata rafforzata, a causa del mancato avanzamento nell‟abolizione delle restrizioni alle attività politiche nel Paese. A marzo, la dirigenza dell‟ILO ha posticipato l‟attuazione del Piano d‟azione per Myanmar, che prevedeva un negoziatore incaricato di raccogliere i ricorsi relativi ai lavori forzati e di trovare una soluzione. La decisione è stata adottata alla luce delle sentenze di morte emesse contro tre uomini che avevano passato informazioni all‟ILO (vedi sopra). A novembre la dirigenza dell‟ILO ha annunciato il ripristino delle misure originariamente adottate alla Conferenza internazionale sul lavoro del giugno 2000, con le quali si faceva appello a tutti i membri dell‟ILO e alle organizzazioni internazionali affinché prendessero in esame le loro relazioni con l‟SPDC e le loro operazioni nel Myanmar, in modo da garantire che queste non avessero come conseguenza il lavoro forzato. Rapporti di AI Myanmar: The Administration of Justice – Grave and Abiding Concerns (AI Index: ASA 16/001/2004) Myanmar: The Rohingya Minority – Fundamental Rights Denied (AI Index: ASA 16/005/2004) Myanmar: Facing political imprisonment – Prisoners of concern to Amnesty International (AI Index: ASA 16/007/2004) 46 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici GIUSTIZIA PENALE INTERNAZIONALE Il ventesimo secolo è stato sicuramente uno dei più sanguinosi della storia. Milioni di persone sono state vittime di genocidi, crimini contro l‟umanità, crimini di guerra, torture, esecuzioni extragiudiziali e “sparizioni”. Questi crimini sono stati commessi in tutto il mondo durante guerre civili e internazionali e in condizioni di “pace”. Nonostante la dimensione e la natura orribile dei crimini di cui il ventesimo secolo è stato testimone, solamente una manciata di persone è stata portata di fronte alla giustizia. La maggioranza delle persecuzioni legali sono state portate avanti per i crimini commessi nella seconda guerra mondiale e, più recentemente, nella ex Yugoslavia e Ruanda per mezzo di tribunali ad-hoc. Purtroppo la maggior parte dei responsabili ha potuto perpetrare i loro crimini nella consapevolezza che era molto improbabile essere portati di fronte alla giustizia. Oggi esiste un nuovo strumento, fortemente voluto da Amnesty International e da La Corte penale internazionale avrà la centinaia di altre organizzazioni per i diritti facoltà di investigare e perseguire umani che hanno lavorato incessantemente persone accusate di genocidi, crimini contro l'umanità e crimini di guerra per ottenerne l‟adozione: la Corte Penale commessi a partire dal 1° luglio 2002. Internazionale (CPI) il cui statuto, a seguito della sessantesima ratifica, depositata l‟11 aprile 2002 presso l'Ufficio del Segretario Generale delle Nazioni Unite, è entrato in vigore il 1° luglio 2002. Il lungo processo che ha portato alla creazione della CPI ha avuto inizio a partire dagli anni 50 con ciò che viene definita l‟internazionalizzazione dei diritti umani. Dopo la seconda guerra mondiale, la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 è stato il primo fondamentale passo a partire dal quale si sono sviluppate una serie impressionante di convenzioni internazionali, dichiarazioni, risoluzioni - a livello universale o regionale – in materia di Crimini contro l’umanità sono gravi fatti diritti umani. Gli strumenti previsti mirano di violenza commessi su larga scala a essenzialmente a porre sotto controllo gli scopo politico, ideologico, razziale, stati – i loro governi – sia attraverso il religioso o etnico, da individui o da vaglio indipendente sulle politiche interne organi di uno stato. La gravità e la commissione su larga scala sono i dei governi nazionali, sia consentendo in caratteri che li distinguono dalle altre alcuni casi ai singoli cittadini di violazioni dei diritti umani; possono denunciare l‟inadempienza del proprio essere commessi sia in tempo di guerra stato presso organismi internazionali (che che in tempo di pace; possono essere sono talvolta dei veri tribunali, come nel commessi anche contro cittadini dello caso della Corte europea dei diritti umani stesso stato del responsabile. Sono di Strasburgo). crimini contro l’umanità sterminio, Ma queste procedure, pur importantissime omicidio volontario, riduzione in perché hanno consentito di superare, nella schiavitù, deportazione ed altri atti materia dei diritti umani, l‟antico principio inumani commessi ai danni delle che impediva ogni intromissione popolazioni civili. dall‟esterno nelle politiche interne degli stati, servono ad accertare violazioni dei 47 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici diritti umani commesse da istituzioni di governo: non vanno ad individuare e sanzionare le persone responsabili degli atti che hanno prodotto quelle violazioni. Non sono previste, insomma, procedure e sanzioni penali – ossia rivolte a far valere la responsabilità personale degli autori di atti considerati criminali. Per vincere le gelosie degli stati, che non intendono cedere ad un organo fuori del loro diretto controllo il potere di processare degli I crimini di guerra prevedono e individui autori di gravi violazioni di beni puniscono atti commessi dopo l’avvio del essenziali (quali la vita di un individuo o di conflitto e possono riguardare sia i interi gruppi, l‟integrità e la dignità della rapporti tra combattenti che tra persona …), la comunità internazionale ha combattenti e non combattenti. La storicamente battuto due strade. Da un lato codificazione dei crimini di guerra e del ci si è sforzati di identificare un nucleo di diritto dei conflitti armati internazionali, regole di protezione della persona che tutti le cui definizioni si basavano gli stati fossero disposti ad accettare: un ampiamente sulla consuetudine, ha “pacchetto” di crimini di diritto avuto inizio nel XIX secolo con la internazionale (crimini internazionali). Convenzione di Ginevra del 1864 sulla Dall‟altro, si sono studiati meccanismi per protezione dei feriti, dei malati e del facilitare l‟iniziativa di un giudice di personale sanitario ed è poi proseguito qualunque stato intenzionato a procedere con la Convenzione dell’Aja del 1899 contro autori di crimini internazionali. (per adattare alla guerra marittima i Fra i crimini più gravi soggetti alla principi della Convenzione di Ginevra del giurisdizione universale rientrano le 1864), la Convenzione di Ginevra per il violazioni gravi del diritto e delle miglioramento della sorte dei feriti e dei consuetudini di guerra, i crimini di guerra, i malati in battaglia del 1906, le 13 crimini contro l‟umanità, le violazioni del Convenzioni dell’Aja sulla prevenzione Trattato contro la schiavitù, quello contro il della guerra, sulla condotta delle ostilità crimine di apartheid, la serie di e sul regime della neutralità del 1907 e Convenzioni contro la pirateria aerea, la le due Convenzioni di Ginevra del 1929, Convenzione contro la tortura. una relativa alle materie già disciplinate dalle convenzioni del 1864 e del 1906, la seconda relativa al trattamento dei prigionieri di guerra. Tra gli esempi più recenti e più noti di tribunali nazionali che hanno esercitato giurisdizione universale rientrano il caso Habré: nel 2000 il Senegal arrestò l‟ex presidente del Ciad, Hissein Habré, con l‟accusa di “tortura e crimini contro l‟umanità”, il caso Augusto Pinochet, ex presidente del Cile, arrestato a Londra nel 1998 in esecuzione di un mandato della magistratura spagnola e il caso Ariel Sharon, attuale primo ministro israeliano denunciato in Belgio, nel 2001, da 23 vittime e familiari di vittime con l‟accusa di “crimini contro l‟umanità, genocidio e crimini di guerra”, relativamente alle “responsabilità di comando” nel massacro di Sabra e Shatila. La Corte Penale Internazionale (CPI) è un organo giudiziario permanente, indipendente, creato dalla comunità internazionale degli stati al fine di perseguire i più gravi crimini riconosciuti dal diritto internazionale: il genocidio, altri crimini contro l‟umanità e i crimini di guerra. Il 17 luglio 1998, con 120 voti favorevoli, 7 contrari (tra i quali Cina, Libia, Iraq e Stati Uniti) e 21 astensioni, la Conferenza Diplomatica delle Nazioni Unite, convocata a Roma cinque settimane prima, istituiva la Corte Penale Internazionale (CPI) adottandone lo statuto (Statuto di Roma). Lo statuto definisce i crimini, le modalità operative della corte e ciò che gli stati devono intraprendere per collaborare con essa. Fissa in 60 il numero minimo di ratifiche necessario affinché la CPI possa entrare in vigore. A seguito della sessantesima ratifica, depositata l‟11 aprile 2002 presso l'Ufficio 48 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici del Segretario Generale delle Nazioni Unite, la CPI è entrata in vigore il 1° luglio 2002. A quella data, risultavano 73 i paesi che ne avevano ratificato lo statuto. Tra i paesi che non hanno ratificato lo statuto paesi: Stati Uniti, Israele, Cina, Federazione Russa. I tribunali nazionali continueranno in ogni caso ad avere giurisdizione sui crimini di competenza della CPI. In base al principio di “complementarietà”, la CPI agirà unicamente nel caso in cui i tribunali nazionali non avranno una autentica “volontà” o la “capacità” di farlo. Il suo statuto istitutivo non ha inoltre conferito alla CPI la stessa giurisdizione universale che gli stati nazionali, come abbiamo già visto in precedenza, già oggi possono esercitare sui crimini in questione. La CPI potrà perseguire individui accusati di crimini ricadenti nella sua giurisdizione solo nel caso in cui: i crimini siano stati commessi nel territorio di uno stato che abbia ratificato lo statuto di Roma; i crimini siano stati commessi da un cittadino di uno stato che abbia ratificato lo statuto di Roma; pur non essendo coinvolto uno stato che abbia ratificato lo statuto di Roma, questo stesso stato abbia dichiarato di accettare la giurisdizione della CPI nel caso del crimine in questione; i crimini siano stati commessi in una situazione che, in conformità al capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza giudichi costituisca minaccia o rottura della pace e della sicurezza internazionali e come tale venga riferita alla CPI. Nel giugno 2003, ha prestato giuramento, come Procuratore capo della CPI, Luis Moreno-Ocampo, noto per il suo ruolo di sostituto procuratore durante i processi a membri della ex giunta militare argentina. Crimini contro la pace sono “il supremo crimine Andando a internazionale, che è diverso dagli altri crimini di guerra raggiungere i 17 perché contiene in sé il male di tutti gli altri”. “la giudici pianificazione, la preparazione, l’avvio o la conduzione di precedentemente una guerra d’aggressione, ovvero di una guerra in nominati ed il violazione dei trattati, degli accordi e delle intese presidente, il internazionali, ovvero la partecipazione a un piano o un canadese complotto comune a tal fine”. Philippe Kirsch, ( definizione del Tribunale Militare Internazionale di ha reso così Norimberga) possibile l‟avvio concreto dell‟attività della CPI. Secondo quanto annunciato dallo stesso Moreno-Ocampo, il primo procedimento dovrebbe riguardare i crimini perpetrati nella Repubblica Democratica del Congo, nella provincia di Ituri, tra luglio 2002 e inizio 2003. Peraltro, le denunce pervenute, a luglio 2003, risultavano già 499 (in maggioranza provenienti da paesi europei, ma anche dagli Stati Uniti; ad opera di singoli individui e di organizzazioni non governative complessivamente appartenenti a 66 diversi paesi, 27 dei quali non riconoscono la CPI). 49 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Rwanda (the Rwandese Republic) Repubblica del Rwanda Capo di Stato: Paul Kagame Capo del governo: Bernard Makuza Pena di morte: mantenitore Statuto di Roma della Corte penale internazionale: non firmato Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: non firmato Sono proseguiti i processi delle persone sospettate di coinvolgimento nel genocidio del 1994, sia in Rwanda sia innanzi al Tribunale penale internazionale per il Rwanda (Tribunale), ad Arusha, in Tanzania. Nel corso dell‟anno i tribunali rwandesi hanno concluso meno di 200 processi a carico di persone sospettate di genocidio. Non sono state eseguite condanne a morte. Circa 80.000 persone sono rimaste in detenzione, molte delle quali sospettate di aver partecipato al genocidio. Membri delle forze politiche di opposizione, media indipendenti ed esponenti della società civile sono stati oggetto di vessazioni, arrestati e detenuti illegalmente. Contesto Le relazioni del Rwanda con i Paesi vicini Burundi, Uganda e Repubblica Democratica del Congo (RDC) non sono migliorate, a causa dell‟insistenza del Rwanda nel rivendicare il diritto di dare la caccia ai gruppi armati rwandesi con base nella RDC. Il 22 aprile le forze di difesa rwandesi (RDF) sono entrate in Burundi con l‟intento dichiarato di cercare questi gruppi. Sono giunte inoltre notizie secondo cui burundesi sarebbero stati addestrati in Rwanda allo scopo di destabilizzare il Paese confinante (vedi Burundi). Verso la fine di novembre i governi del Rwanda e dell‟Uga nda hanno espulso due diplomatici dalle rispettive ambasciate. Funzionari del governo ugandese hanno sostenuto che un membro di un gruppo armato attivo nel nord dell‟Uganda, l‟Esercito di redenzione del popolo (PRA) era stato addestrato in Rwanda (vedi Uganda). Il 2 dicembre le truppe ugandesi si sono scontrate con soldati sospettati di appartenere alle RDF in transito verso la RDC orientale. Il Rwanda ha continuato a sostenere gruppi armati che, nell‟est della RDC, si oppongono al governo centrale di Kinshasa (vedi RDC). Le relazioni tra il Rwanda e la RDC sono peggiorate a giugno, novembre e dicembre quando il Rwanda ha minacciato di rientrare nella RDC per combattere i gruppi armati rwandesi ivi operanti. Secondo numerose segnalazioni le RDF sono state impegnate in operazioni militari nella RDC. Soppressione dell‟opposizione politica Il governo ha continuato a sopprimere l‟opposizione politica, coloro che criticano le politiche di governo o funzionari dello stesso. Membri del Movimento democratico repubblicano (Mouvement démocratique républicain – MDR), un partito messo al bando, hanno continuato a essere arrestati e detenuti. Almeno un esponente dell‟MDR è stato vittima di esecuzione extragiudiziale. A familiari di alcuni presunti membri o sostenitori dell‟MDR le autorità locali hanno confiscato le terre o impedito l‟accesso ai servizi sociali. Alcuni alti funzionari che avevano lavorato per Faustin Twagiramungu durante la campagna presidenziale del 2003 sono stati arrestati e detenuti illegalmente. 50 Il 6 ottobre David Habimana e suo fratello sono stati arrestati. Sono stati rinchiusi in diverse stazioni di polizia, per poi, il 21 ottobre, essere trasferiti nelle strutture del Dipartimento Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici d‟intelligence militare (DMI). Non sono stati portati davanti a un tribunale nei tempi previsti, e pertanto erano detenuti illegalmente e clandestinamente dal DIM. David Habimana era un alto funzionario durante la campagna presidenziale di Faustin Twagiramungu. Soppressione della società civile Il 30 giugno il parlamento rwandese ha accolto la raccomandazione di una commissione parlamentare creata a seguito dell‟uccisione di almeno quattro sopravvissuti al genocidio, avvenuta tra l‟aprile e il novembre 2003, per indagare sull‟esistenza e la diffusione di “un‟ideologia genocida” in Rwanda. Diverse istituzioni, incluse istituzioni religiose, scuole, organizzazioni non governative (ONG) nazionali e internazionali, sono state accusate nel rapporto della commissione di aver sostenuto il genocidio o di aver disseminato i principi della dottrina genocida. Tra le ONG citate nel rapporto vi sono organizzazioni per lo sviluppo rurale, un gruppo di sopravvissuti al conflitto nel nordovest tra il 1997 e il 1998 e una delle poche organizzazioni per i diritti umani credibili operative in Rwanda. Le accuse contro queste organizzazioni e alcuni dei loro operatori sono risultate prive di riscontro e politicamente motivate. Gli incriminati stavano lavorando con popolazioni percepite come ostili verso il governo o, nel caso delle organizzazioni per i diritti umani, avevano accusato il governo di violazioni dei diritti umani. A settembre il governo ha ufficialmente riconosciuto il rapporto e chiesto alle autorità giudiziarie di avviare con urgenza provvedimenti legali. Nessuna delle menzionate organizzazioni è stata sciolta, come raccomandato dall‟Assemblea Nazionale, ma loro possibilità di raccogliere fondi, assumere personale qualificato e svolgere il proprio lavoro è risultata seriamente danneggiata. Alcuni soggetti citati nel rapporto della commissione sono stati arrestati e molti hanno perso il loro impiego. Diversi di loro hanno chiesto asilo all‟estero. A ottobre tra 14 e 17 persone sono state arrestate dopo che il ministro dell‟Istruzione aveva licenziato 37 funzionari scolastici e insegnanti e temporaneamente sospeso 27 studenti. Secondo quanto riferito, il governo avrebbe costruito prove false contro alcuni di loro e le presunte vittime avrebbero accusato falsamente altri. Libertà di stampa Alcuni giornalisti hanno continuato a subire intimidazioni e maltrattamenti per aver scritto articoli in cui criticavano le politiche del governo o per aver documentato misfatti di funzionari governativi. È stato riportato che all‟inizio dell‟anno diversi giornalisti sono stati ripetutamente detenuti e interrogati. Tre di loro sono fuggiti dal Rwanda a marzo dopo aver ricevuto minacce di morte, mentre un altro è fuggito in settembre dopo essere stato oggetto di intimidazioni. Charles Kabonero, direttore del giornale indipendente Umuseso, è stato processato a novembre per “divisionismo” e attacco alla dignità di alte cariche politiche. Il tribunale distrettuale l‟ha prosciolto dell‟accusa di “divisionismo” e l‟ha condannato al pagamento di un‟ammnenda simbolica di un franco rwandese. Abusi nel sistema di giustizia penale Molte delle proposte per affrontare gli abusi nel sistema di giustizia penale sono diventate legge nella prima metà dell‟anno. I risultati di queste riforme giudiziarie ancora non sono chiari. Processi celebrati nella prima metà dell‟anno non hanno soddisfatto gli standard internazionali di equità. 51 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Esisteva la presunzione di colpevolezza e gli standard delle prove a carico erano stati abbassati. L‟interferenza del governo nelle decisioni giudiziarie ha costituito una minaccia costante. Pasteur Bizimungu è stato condannato a giugno a 15 anni di carcere per incitamento alla disobbedienza civile, per associazione con elementi criminali e appropriazione indebita di fondi statali. Durante i 12 giorni di processo i testimoni dell‟accusa si sono contraddetti e hanno ammesso di aver fornito falsa testimonianza sotto pesante coercizione. Il reale motivo alla base del processo è riconducibile al lancio, da parte di Pasteur Bizimungu, di un partito di opposizione politica, nel maggio 2001. Processi per genocidio Il 7 aprile il Rwanda ha commemorato il decennale del genocidio del 1994. Nel Paese 80.000 detenuti sono in attesa di essere processati per la loro presunta partecipazione al genocidio e sono rinchiusi in dure condizioni. Altri rwandesi, tra 500.000 e 600.000, sono stati implicati nel genocidio, in massima parte attraverso le confessioni preprocessuali dei detenuti. Verso la metà dell‟anno è stata varata una riforma giudiziaria. L‟insediamento su scala nazionale delle 8.140 giurisdizioni gacaca, un sistema di giustizia di tipo tradizionale gestito a livello comunitario con cui si intende processare la maggior parte di sospetti genocidi, è stato rinviato al 2005. Similarmente è stata rinviata anche la fase processuale dei 746 processi gacaca avviati nell‟ambito di un progetto pilota del 2002. Alla fine dell‟anno non tutti i suddetti processi avevano completato la fase preprocessuale. Tribunale penale internazionale per il Rwanda Presso il Tribunale sono continuati i processi dei maggiori presunti responsabili del genocidio. A fine anno ad Arusha erano detenuti 63 imputati. Oltre 14 indiziati di alto livello erano ancora in libertà. Nel corso dell‟anno sono proseguiti quattro processi a carico di 18 imputati avviati negli anni precedenti. Altri quattro sono stati avviati nei confronti di 7 imputati. Sono state emanate sei sentenze: due imputati sono stati rilasciati con la condizionale; due hanno ricevuto pesanti condanne al carcere e due sono stati condannati all‟ergastolo. Tre nuovi sospetti sono stati arrestati in Olanda, nella RDC e in Sudafrica. Altri 40 sospetti sono stati individuati per essere indagati. Il Tribunale sta operando entro una scadenza stabilita dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che fissa alla fine del 2008 il termine dei processi e al 2010 quello degli appelli. Il procuratore capo del Tribunale ha indicato che 40 casi ancora da indagare sarebbero stati trasferiti ad altre giurisdizioni. Avvocati della difesa hanno scioperato per due giorni, a gennaio, per protestare contro il taglio dei costi che, secondo la loro opinione, danneggerebbe la capacità di difendere i loro assistiti. Il Tribunale ha replicato che aveva dovuto attuare misure di risparmio in risposta alla richiesta dell‟Assemblea Generale delle Nazioni Unite di controllare la spesa. 52 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Violenza sessuale Dieci anni dopo il genocidio del 1994, centinaia di migliaia di donne rwandesi che avevano subito violenza sessuale erano ancora in attesa di risarcimento legale. Quasi il 70% di loro ha contratto il virus dell‟HIV in conseguenza dello stupro e non aveva ricevuto cure mediche o altre forme di assistenza. Nel Paese il fenomeno della violenza sessuale contro donne e ragazze continua. Secondo fonti ufficiali, nel corso dell‟anno sono stati registrati oltre 2.000 casi di stupro e contagio. L‟80% delle vittime erano minorenni. Rifugiati Sessantamila rifugiati vivono ancora fuori dal Rwanda, la maggior parte in situazione di incertezza circa il loro ritorno e nel timore di essere rimpatriati forzatamente. Secondo l‟Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR), nella prima metà dell‟anno sono stati rimpatriati 8.457 rwandesi provenienti da Paesi africani che hanno firmato un accordo tripartito con il Rwanda e l‟ACNUR. Nonostante la vigorosa promozione del rimpatrio spontaneo, il numero di rwandesi che si è registrato per il rimpatrio è rimasto esiguo. L‟ACNUR ha posticipato alla metà del 2006 l‟applicazione della “clausola di cessazione” che porrebbe fine alla protezione internazionale per i rifugiati rwandesi. Fonti hanno riferito che centinaia di rwandesi rimpatriati hanno nuovamente lasciato il Paese in cerca di asilo. Sono giunte inoltre notizie di giovani rimpatriati costretti a seguire un addestramento militare e successivamente trasferiti a prestare il servizio militare nella regione orientale della RDC. Nei mesi di marzo, aprile e maggio funzionari del governo, membri delle forze di sicurezza e leader del Raggruppamento congolese per la democrazia (Rassemblement congolais pour la démocratie – RCD-Goma), sostenuto dal Rwanda, sarebbero entrati nei campi in Rwanda che ospitano rifugiati congolesi per reclutare soldati da impiegare nella RDC. Secondo quanto riferito, funzionari rwandesi avrebbero fatto pressione sui rifugiati affinché si arruolassero rifiutandosi di fornire loro l‟appropriata documentazione attestante lo status di rifugiati e minacciando di far loro perdere la cittadinanza congolese. Rapporti e missioni di AI Rwanda: “Marked for Death” – rape survivors living with HIV/AIDS in Rwanda (AI Index: AFR47/007/2004) Rwanda: The enduring legacy of the genocide and war (AI Index: AFR 47/008/2004) Rwanda: Protecting their rights – Rwandese refugees in the Great Lakes region (AI Index: AFR47/016/2004) Delegati di AI si sono recati in Rwanda a gennaio. Un delegato di AI ha partecipato, in maggio, al convegno della regione dei Grandi Laghi organizzato nell‟ambito dell‟Iniziativa europea per la democrazia e i diritti umani. 53 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Serbia and Montenegro (formerly Federal Republic of Yugoslavia) Serbia e Montenegro Capo di Stato: Svetozar Maroviš Capo del governo: Vojislav Koštunica (subentrato a Zoran Živkoviš per la Serbia a marzo), Milo Đukanoviš (Montenegro) Pena di morte: abolizionista per tutti i reati Statuto di Roma della Corte penale internazionale: ratificato Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificata Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle donne: ratificato La cooperazione con il Tribunale penale internazionale per l‟ex Jugoslavia (Tribunale) dell‟Aja si è deteriorata nel momento in cui le autorità non sono riuscite a trasferire quasi tutti gli imputati dal Tribunale ritenuti presenti in territorio serbo. Vi sono state denunce di esecuzioni extragiudiziali e sono proseguiti i processi a carico di ex ufficiali accusati di complicità in passati reati politici. Torture e maltrattamenti da parte della polizia non sono cessati. La violenza domestica e la tratta di donne e ragazze a scopo di prostituzione forzata restano fenomeni largamente diffusi. La comunità rom ha continuato a essere privata di numerosi diritti fondamentali. Nel Kosovo sono state denunciate complicità militari in offensive interetniche avvenute a marzo e le autorità non hanno saputo garantire la protezione delle minoranze. Sempre nel Kosovo testimoni chiamati a deporre in processi per crimini di guerra hanno subito intimidazioni. Contesto Serbia e Montenegro hanno continuato a muoversi in un contesto di unione non ben definita laddove gran parte delle responsabilità ricadevano sulle due singole repubbliche. La missione ad interim delle Nazioni Unite (UNMIK) ha continuato ad amministrare il Kosovo attraverso i poteri esecutivi esercitati dal Rappresentante speciale del Segretariato Generale delle Nazioni Unite (SRSG). A giugno, l‟SRSG in carica Harri Holkeri è stato sostituito da Søren Jessen-Petersen. Crimini di guerra Il processo a carico dell‟ex presidente Slobodan Miloševiš, accusato di crimini di guerra in Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Kosovo, è continuato di fronte al Tribunale. L‟accusa ha concluso la propria requisitoria. A giugno, il Tribunale ha respinto la richiesta avanzata dalla difesa di archiviazione dell‟accusa di genocidio. Lo stesso ha stabilito l‟esistenza di una «associazione criminale» responsabile del crimine di genocidio a Brčko, Prijedor, Sanski Most, Srebrenica, Bijeljina, Kljuš e Bosanski Novi e che le prove presentate avevano evidenziato il coinvolgimento di Slobodan Miloševiš in tale «associazione criminale». Le autorità serbe hanno rifiutato di tarsferire al Tribunale diverse persone accusate di crimini contro l‟umanità e crimini di guerra in Kosovo nel 1999 tra cui: il sottosegretario agli Interni serbo (deposto a marzo) e l‟ex capo della polizia in Kosovo Sreten Lukiš; l‟ex capo dell‟esercit o jugoslavo Nebojša Pavkoviš; e l‟ex comandante delle unità di Priština Vladimir Lazareviš. A luglio, Goran Hadžiš, ex capo dei serbi di Krajina in Croazia, ha abbandonato la sua abitazione immediatamente dopo che il Tribunale aveva inoltrato un‟incriminazione sigillata contro di lui e prima dell‟emissione di un mandato di arresto nei suoi confronti. A ottobre, un altro accusato, Ljubiša Beara, è stato trasferito al Tribunale, l‟unico trasferimento avvenuto in tutto l‟anno. Circa 20 sospetti, accusati dal Tribunale, sono ritenuti latitanti in Serbia e Montenegro. 54 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici A novembre, il presidente del Tribunale Theodor Meron ha riferito all‟Assemblea Generale delle Nazioni Unite che, eccetto che nel caso di Ljubiša Beara, la collaborazione di Serbia e Montenegro con il Tribunale era risultata essere pressoché nulla. Allo stesso modo, Carla del Ponte, pubblico ministero del Tribunale, ha evidenziato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la non volontà della Serbia di arrestare gli accusati e come il potere esercitato dai mezzi d‟informazione vicini agli stessi indagati stessero interferendo con i procedimenti giudiziari e che sia in Serbia che in Montenegro fosse in atto una forte campagna di retorica nazionalistica, utilizzata contro il Tribunale e contro lei stessa. A giugno, il Tribunale ha disposto la scarcerazione di Vladimir “Rambo” Kovačeviš, imputato in relazione al bombardamento di Dubrovnik, per un periodo provvisorio di sei mesi a causa di un disturbo mentale per essere trasferito presso l‟Accademia medica militare di Belgrado. A marzo la giuria speciale per i crimini di guerra, operante all‟interno del Tribunale distrettuale di Belgrado, ha avviato il processo a carico di sei persone accusate dal procuratore speciale in Serbia per i crimini di guerra del massacro di Ovčara avvenuto nei pressi di Vukovar, in Croazia nel 1991. A marzo, un altro degli accusati è deceduto dopo che si era lanciato da una finestra dell‟ospedale in gennaio. A maggio sono stati incriminati altri 12 sospetti. Tuttavia, sono state espresse preoccupazioni riguardo alla manifesta natura automatica dei capi d‟imputazione, in quanto non erano mai citate le responsabilità personali degli ufficiali dell‟ex esercito nazionale jugoslavo (JNA), a dispetto delle numerose dichiarazioni di testimoni che confermavano l‟effettivo coinvolgimento degli stessi. A marzo Saša Cvjetan, membro della tristemente nota unità di polizia serba “Scorpioni antiterrorismo” è stato condannato a Belgrado, a 20 anni di carcere per l‟uccisione di 19 persone di etnia albanese avvenuta a Podujevo nel 1999. Esumazioni La Serbia ha continuato a consegnare all‟UNMIK i corpi di persone di etnia albanese uccisi nel Kosovo e sepolti in fosse comuni a Batajnica vicino a Belgrado, a Petrovo Selo, e a Bajina Bašta vicino al lago Perušac. A fine anno erano stati fatti rientrare un totale di 378 corpi degli 836 esumati in queste località. A marzo il procuratore speciale serbo per i crimini di guerra ha affermato che erano in corso «indagini incessanti» nelle fosse di Batajnica e Petrovo Selo, entrambe di competenza del ministero degli Interni, ma a fine anno non erano ancora state formulate incriminazioni. A maggio, 55 corpi sepolti dopo la guerra del 1991-1992 con la Croazia sono stati esumati dai cimiteri di Belgrado e Obrenovac. Possibili esecuzioni extragiudiziali Sono state denunciate esecuzioni extragiudiziali. A ottobre 2 guardie, Dražen Milovanoviš e Dragan Jakovljeviš, sono state uccise a colpi d‟arma da fuoco all‟interno di una struttura militare di Belgrado. Fonti militari hanno dichiarato che si erano sparati a vicenda e che si erano poi suicidati ma secondo altre fonti entrambi sarebbero stati uccisi da terze parti. A novembre una commissione militare d‟inchiesta ha riaffermato che i 2 si erano sparati a vicenda al termine di una lite. Tuttavia, una commissione non militare di Stato, creata dal presidente Maroviš per investigare sul caso, ha concluso, nel mese di dicembre, che erano senza dubbi coinvolte terze parti. A fine anno, le contraddizioni tra i risultati delle inchieste militare e civile erano ancora irrisolte 55 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici A maggio Duško Jovanoviš, capo redattore del quotidiano montenegrino Dan e critico nei confronti di esponenti di governo, è stato ucciso a Podgorica. L‟unico sospetto, poi arrestato, ha rivendicato un collegamento con i servizi di sicurezza, ed è stato avanzato un possibile coinvolgimento delle autorità nell‟omicidio. Passati omicidi politici A febbraio è iniziato il processo a carico di Radomir Markoviš, ex capo della sicurezza di Stato della Serbia, e di altri funzionari della sicurezza accusati di essere coinvolti nell‟attentato contro il leader politico Vuk Draškoviš, nel quale erano rimaste uccise 4 persone, e nell‟omicidio dell‟ex presidente serbo Ivan Stamboliš avvenuto nell‟agosto 2000. È proseguito il processo a carico delle persone accusate di coinvolgimento nell‟omicidio del primo ministro Zoran Đinđiš, avvenuto nel marzo 2003. Il 1° marzo, un testimone oculare dell‟omicidio, Kujo Kriještorac, è stato ucciso a colpi d‟arma da fuoco. A maggio, il principale sospettato, Milorad “Legija” Ulemek-Lukoviš, si è consegnato alle forze dell‟ordine a Belgrado. Ad aprile, il ministro serbo degli Affari Interni, Dragan Jočiš, ha annunciato la creazione di una speciale task-force per far luce sugli omicidi irrisolti tra cui quelli dei giornalisti Slavko Šuruvija e Milan Pantiš avvenuti rispettivamente nell‟aprile 1999 e nel giugno 2001, e quello dell‟ex agente segreto Momir Gavriloviš avvenuto nel mese di marzo. Il ministro ha inoltre richiesto l‟istituzione di una nuova indagine in relazione all‟assassinio di Zoran Đinđiš e ha espresso dubbi riguardo alla morte di due sospettati dell‟assassinio, Dušan Spasojeviš e Mile Lukoviš, avvenuta nel marzo 2003. La polizia ha dichiarato che i due uomini erano stati uccisi nel corso di uno scontro a fuoco mentre tentavano di resistere all‟arresto. Il 30 aprile il settimanale di Belgrado NIN ha pubblicato i risultati ufficiali delle autopsie eseguite sui corpi dei due uomini dalle quali risulterebbe che Dušan Spasojeviš era stato colpito alla schiena mentre giaceva a terra e che Mile Lukoviš era stato colpito alla testa da distanza ravvicinata. A maggio è stata annunciata un‟inchiesta sulle morti, ma a fine anno questa non aveva sortito alcun esito. Torture e maltrattamenti da parte della polizia Il numero di casi riportati riguardanti torture o maltrattamenti da parte della polizia è apparso in diminuzione. Tuttavia le accuse sono continuate e in alcuni processi è stato riconosciuto davanti alla corte che le testimonianze erano state ottenute sotto tortura. Le indagini relative a casi precedenti non hanno cessato di essere gravemente inficiate. Ad aprile Dragan Jočiš ha riconosciuto che vi erano state violazioni dei diritti umani durante “l‟Operazione Sciabola” (la repressione contro il crimine organizzato in seguito all‟assassinio di Zoran Đinđiš). A maggio il sottosegretario agli Affari Interni, riferendosi a un rapporto pubblicato da AI nel settembre 2003 in relazione “all‟Operazione Sciabola”, ha affermato che vi erano stati sei casi di tortura durante l‟operazione. A luglio, delegati provenienti da Serbia e Montenegro sentiti a Ginevra dal Comitato diritti umani delle Nazioni Unite hanno dichiarato che erano state aperte inchieste su 16 casi evidenziati da AI, ribadendo che in 6 di questi vi erano stati maltrattamenti o torture. Tuttavia, non sono state rese note informazioni sulle inchieste, e la presunzione che questi fossero gli unici casi verificatisi si è dimostrata falsa. Non sono stati avviati procedimenti contro agenti di polizia sospettati di essere ricorsi a mezzi di tortura durante “l‟Operazione Sciabola”, e in alcuni processi è stato riconosciuto davanti alla corte che le testimonianze sarebbero state ottenute sotto tortura. 56 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Attacchi alle minoranze A marzo, in risposta ai diffusi attacchi nei confronti delle comunità serbe avvenuti nel Kosovo da parte di albanesi, si sono verificati attacchi contro minoranze in Serbia e nelle moschee di Belgrado e Niš. A marzo le autorità hanno annunciato un numero di arresti: 88 per un attacco alla polizia a Belgrado, 53 per disordini a Belgrado; 9 (divenuti poi 11) a Niš per l‟incendio della moschea di Hadroviš, e, a maggio, 24 per l‟attacco a complessi commerciali albanesi e gorani avvenuto nella regione di Vojvodina. Nella regione multi-etnica di Vojvodina vi è stato un incremento dei casi di attacchi nei confronti di minoranze. A giugno, l‟organizzazione non governativa Comitato di Helsinki per i diritti umani in Serbia ha riportato che, da quando il partito nazionalista radicale serbo aveva vinto la maggioranza dei seggi alle elezioni generali serbe nel dicembre 2003, si erano verificati 40 attacchi di quest o tipo. Violenza sulle donne La violenza domestica continua a essere largamente diffusa. Malgrado in Serbia ci sia stato un aumento dei procedimenti nei confronti dei responsabili di questi crimini dopo il varo di una legislazione anti-crimine nel 2002, la maggior parte dei casi sono rimasti esclusi dalla nuova legislazione a causa di una restrittiva definizione legale di “familiare”. Serbia e Montenegro resta un Paese di partenza, transito e arrivo per donne e ragazze costrette alla prostituzione. Nei casi in cui le persone coinvolte nella tratta sono state condannate, i tribunali hanno emesso sentenze benevole. Il 5 marzo il tribunale distrettuale di Belgrado ha condannato Milovoje Zarubica e 12 altre persone per coinvolgimento nella tratta di donne e ragazze provenienti dalla Moldova. Essi sono stati condannati a pene che vanno dai 5 mesi ai 3 anni e mezzo di reclusione con accuse a loro carico che comprendono il rapimento. Sono stati poi rilasciati dallo stato di custodia in attesa dell‟appello. A giugno il rapporto del Dipartimento di Stato americano sulla tratta di donne e ragazze ha evidenziato il continuo coinvolgimento di funzionari corrotti in Serbia, e in alcuni casi, agenti di polizia fuori servizio sono stati colti mentre svolgevano servizio di sorveglianza nei luoghi dove le vittime destinate alla tratta venivano tenute nascoste. È stato evidenziato come solamente in un caso era stata formulata l‟accusa di reato penale. In Montenegro il rapporto ha stabilito che, malgrado dal 2002 fossero stati istruiti 15 casi penali, non era stata emessa alcuna condanna. A novembre la missione in Kosovo dell‟Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa ha espresso preoccupazione in merito ai risultati ottenuti da una commissione designata dal governo montenegrino ad aprile per indagare sul comportamento della polizia del Montenegro in un caso riguardante una donna moldova. La donna era stata trafficata in Montenegro a scopo di sfruttamento sessuale e le sue dichiarazioni chiamavano in causa alcuni alti funzionari di governo. Il rapporto della commissione ha denigrato il comportamento della vittima. Discriminazioni contro rom Difficoltà economiche e disoccupazione hanno colpito diversi settori della società, ma molti rom continuano ad essere particolarmente svantaggiati. La maggior parte di loro vive in insediamenti in carenti condizioni igieniche ed esposti a fenomeni di discriminazione nei settori dell‟istruzione, del lavoro e dei servizi medico-sanitari. 57 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici La maggior parte dei rom che lasciarono il Kosovo dopo il luglio 1999 continuano ad affrontare diversi problemi, inaspriti dalle difficoltà nell‟ottenimento delle registrazioni necessarie per poter accedere ai servizi sociali e sanitari. In Montenegro essi continuano ad essere trattati come rifugiati senza poter accedere ai benefici di cittadinanza. Molti rom provenienti da Serbia e Montenegro hanno subito analoghe privazioni a causa della loro mancata registrazione all‟anagrafe. In Serbia le autorità hanno intrapreso nuove iniziative per migliore la condizione dei rom ma con scarsi risultati, mentre in Montenegro non è stata adottata alcuna iniziativa di questo tipo. Kosovo ***Crimini di guerra, arresti, processi e nuovi processi Sono proseguiti gli arresti, i processi e i nuovi procedimenti per crimini di guerra e contro l‟umanità, e hanno coinvolto sia kosovari che serbi e albanesi. Decine di migliaia di kosovari di etnia albanese hanno proseguito nella protesta contro il procedimento giudiziario a carico di ex appartenenti all‟Esercito per la liberazione del Kosovo (KLA). La pubblica accusa del Tribunale ha stabilito che alcuni testimoni nel caso degli ex membri del KLA Fatmir Limaj, Isak Musliu e Haradinaj Bala, il cui processo ha avuto inizio a novembre, erano stati oggetto di sistematiche e organizzate intimidazioni. Beqa Beqaj, un parente di Isak Musliu, è stato indagato per aver tentato di interferire con i testimoni ed è stato arrestato e consegnato al Tribunale dell‟Aja a novembre. ***Responsabilità della KFOR Le truppe della KFOR, la forza internazionale guidata dalla NATO in Kosovo, sono state chiamate in giudizio soltanto nei rispettivi Paesi di appartenenza. Il 7 aprile, nel primo caso che ha visto coinvolte truppe della KFOR in un caso di presunta violazione dei diritti umani, la Corte Suprema britannica ha stabilito, in un procedimento civile, che il governo britannico doveva risarcire Mohamet e Skender Bici per i danni subiti nel 1999 quando truppe britanniche della KFOR aprirono il fuoco contro la loro auto. Altri due passeggeri, Fahri Bici e Avni Dudi, rimasero uccisi. Un‟inchiesta aperta dalla Reale polizia militare del Regno Unito aveva scagionato i tre soldati ma il giudice che presiedeva la corte ha stabilito che i soldati avevano causato il danno deliberatamente e indebitamente. ***Mancata risoluzione dei reati di natura inter-etnica L‟UNMIK non è stata in grado di compiere progressi nell‟assicurare alla giustizia i responsabili di omicidi e attacchi di natura etnica compiuti a partire dal 1999. ***Violenze del 17-19 marzo Dal 17 al 19 marzo, violenze di natura etnica sono scoppiate in tutto il Kosovo. Le autorità hanno valutato che circa 51.000 persone erano state coinvolte in 33 episodi di violenza. La maggior parte di questi hanno visto albanesi attaccare enclave e comunità serbe. Il Segretariato delle Nazioni Unite ha riferito la morte di 19 persone, 11 albanesi e 8 serbi, il ferimento di altre 954, oltre a 65 agenti di polizia internazionale, 58 agenti di polizia kosovara 58 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici (KPS) e 61 del personale della KFOR. Circa 730 case e 36 chiese ortodosse, monasteri e altri luoghi religiosi e culturali erano stati danneggiati o distrutti. In meno di 48 ore, 4.100 persone, appartenenti a minoranze, per lo più serbe, erano state nuovamente dislocate. Le altre erano rom, ashkali e albanesi dell‟area a maggioranza serba di Mitrovica/Mitrovicë e Leposaviš/Leposaviq. In alcune zone le forze di sicurezza, compresa la KFOR, non sono state in grado di proteggere le minoranze. Circa 200 abitanti appartenenti allo storico insediamento di comunità serbe di Svinjare/Frashër sono state allontanate dalle loro abitazioni, le quali sono state in seguito date alle fiamme da una folla di circa 500 albanesi. Svinjare/Frashër dista circa 500 metri da una base francese della KFOR. La KFOR ha fatto evacuare gli abitanti ma non ha fatto nulla per fermare gli incendiari. Ci sono state anche gravi accuse di complicità da parte di membri albanesi della KPS in alcune città, tra cui Vučitrn/Vushtrri, dove l‟intera comunità ashkali è stata costretta ad abbandonare le proprie abitazioni, le quali sono poi state date alle fiamme da una folla di circa 300 albanesi. A giugno l‟UNMIK ha annunciato l‟arresto, da parte della polizia, di 270 persone. I procuratori internazionali hanno trattato 52 gravi casi che hanno visto il coinvolgimento di 26 imputati, di cui 18 in stato di arresto, mentre altri circa 120 casi sono stati trattati da procuratori locali. Alla fine di ottobre più di 100 processi erano giunti a sentenza. Ottantatre presone sono state condannate, con sentenze che vanno dall‟ammenda alla reclusione fino a 5 anni di carcere, e a fine anno oltre 200 casi erano ancora in corso di procedimento. Tuttavia, l‟UNMIK non ha fornito dettagli precisi sui casi di accuse di complicità da parte della KPS. ***Tratta di donne e ragazze a scopo di prostituzione La tratta di donne e ragazze costrette alla prostituzione continua a destare gravi preoccupazioni. Gli arresti e i procedimenti giudiziari nei confronti dei trafficanti restano relativamente pochi e le misure volte a garantire la sicurezza dei testimoni non sono state incrementate. Dopo tre anni di discussione, non era stato ancora raggiunto un accordo sul varo di una direttiva amministrativa in grado di applicare la normativa del 2001 sulla tratta di donne e ragazze che dovrebbe assicurare sostegno, protezione e risarcimento alle vittime. Allo stesso modo, il piano di azione sulla tratta, la cui definizione era attesa per la fine di luglio, a fine anno non era stato ancora completato. Rapporti e missioni di AI Serbia and Montenegro: Amnesty International‟s concerns and Serbia and Montenegro‟s commitments to the Council of Europe (AI Index: EUR 70/002/2004)Serbia and Montenegro (Kosovo): The legacy of past human rights abuses (AI Index: EUR 70/009/2004) Kosovo (Serbia and Montenegro): „So does it mean that we have the rights?‟ – Protecting the human rights of women and girls trafficked for forced prostitution in Kosovo (AI Index: EUR 70/010/2004) Serbia and Montenegro (Kosovo/Kosova): The March violence – KFOR and UNMIK‟s failure to protect the rights of minority communities (AI Index: EUR 70/016/2004) Delegati di AI si sono recati nel Kosovo a maggio e in Serbia e Montenegro a ottobre e novembre. 59 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici PATTO INTERNAZIONALE SUI DIRITTI CIVILI E POLITICI (* ) Gli Stati parti del presente Patto, Considerato che, in conformità ai principi enunciati nello Statuto delle Nazioni Unite, il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo; Riconosciuto che, in conformità alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, l'ideale dell'essere umano libero, che goda delle libertà civili e politiche e della libertà dal timore e dalla miseria, può essere conseguito soltanto se vengono create condizioni le quali permettano ad ognuno di godere dei propri diritti civili e politici, nonché dei propri diritti economici, sociali e culturali; Considerato che lo Statuto delle Nazioni Unite impone agli Stati l'obbligo di promuovere il rispetto e l'osservanza universale dei diritti e delle libertà dell'uomo; Considerato infine che l'individuo, in quanto ha dei doveri verso gli altri e verso la collettività alla quale appartiene, è tenuto a sforzarsi di promuovere e di rispettare i diritti riconosciuti nel presente Patto; Hanno convenuto quanto segue: (*) Il Patto, adottato dall'Assemblea Generale il 16 dicembre 1966, è entrato in vigore il 23 marzo 1976 PARTE PRIMA Articolo 1 1. Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù di questo diritto, essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale. 2. Per raggiungere i loro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle proprie ricchezze e delle proprie risorse naturali senza pregiudizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale In nessun caso un popolo può essere privato dei propri mezzi di sussistenza. 3. Gli Stati parti del presente Patto, ivi compresi quelli che sono responsabili dell'amministrazione di territori non autonomi e di territori in amministrazione fiduciaria, debbono promuovere l'attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto, in conformità alle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite. PARTE SECONDA Articolo 2 1. Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a rispettare ed a garantire a tutti gli individui che si trovino sul suo territorio e siano sottoposti alla sua giurisdizione i diritti riconosciuti nel presente Patto, senza distinzione alcuna, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l'opinione politica o qualsiasi altra opinione, l'origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione. 2. . Ciascuno degli Stati parti del presente Patto si impegna a compiere, in armonia con le proprie procedure costituzionali e con le disposizioni del presente Patto, i passi per l'adozione delle misure legislative o d'altro genere che possano occorrere per rendere effettivi i diritti riconosciuti nel presente Patto, qualora non vi provvedano già le misure, legislative e d'altro genere, in vigore. 3. Ciascuno degli Stati parti del presente Patto s'impegna a: a) Garantire che qualsiasi persona, i cui diritti o libertà riconosciuti dal presente Patto siano stati violati, disponga di effettivi mezzi di ricorso, anche nel caso in cui la violazione sia stata commessa da persone agenti nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali; b) Garantire che l'autorità competente, giudiziaria, amministrativa o legislativa, od ogni altra autorità competente ai sensi dell'ordinamento giuridico dello Stato, decida in merito ai diritti del ricorrente, e sviluppare le possibilità di ricorso in sede giudiziaria: c) Garantire che le autorità competenti diano esecuzione a qualsiasi pronuncia di accoglimento di tali ricorsi. Articolo 3 Gli Stati parti del presente Patto s'impegnano a garantire agli uomini e alle donne la parità giuridica nel godimento di tutti i diritti civili e politici enunciati nel presente Patto. 60 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Articolo 4 1. In caso di pericolo pubblico eccezionale, che minacci l'esistenza della nazione e venga proclamato un atto ufficiale, gli Stati parti del presente Patto possono prendere misure le quali deroghino agli obblighi imposti dal presente Patto, nei limiti in cui la situazione strettamente lo esiga, e purché tali misure non siano incompatibili con gli altri obblighi imposti agli Stati medesimi dal diritto internazionale e non comportino una discriminazione fondata unicamente sulla razza, sul colore, sul sesso, sulla lingua, sulla religione o sull'origine sociale. 2. La suddetta disposizione non autorizza alcuna deroga agli articoli 6, 7, 8 (paragrafi 1 e 2), 11, 15, 16 e 18. 3. Ogni Stato parte del presente Patto che si avvalga del diritto di deroga deve informare immediatamente, tramite il Segretario generale delle Nazioni Unite, gli altri Stati parti del presente Patto sia delle disposizioni alle quali ha derogato sia dei motivi che hanno provocato la deroga. Una nuova comunicazione deve essere fatta, per lo stesso tramite, alla data in cui la deroga medesima viene fatta cessare. Articolo 5 1. Nessuna disposizione del presente Patto può essere interpretata nel senso di implicare un diritto di qualsiasi Stato, gruppo o individuo di intraprendere attività o di compiere atti miranti a sopprimere uno dei diritti o delle libertà riconosciuti nel presente Patto ovvero a limitarlo in misura maggiore di quanto è previsto dal Patto stesso. 2. Nessuna restrizione o deroga a diritti fondamentali dell'uomo riconosciuti o vigenti in qualsiasi Stato parte del presente Patto in virtù di leggi, convenzioni, regolamenti o consuetudini, può essere ammessa col pretesto che il presente Patto non li riconosce o li riconosce in minor misura. PARTE TERZA Articolo 6 1. Il diritto alla vita è inerente alla persona umana. Questo diritto deve esser protetto dalla legge. Nessuno può essere arbitrariamente privato della vita. 2. Nei paesi in cui la pena di morte non è stata abolita, una sentenza capitale può essere pronunciata soltanto per i delitti più gravi, in conformità alle leggi vigenti al momento in cui il delitto fu commesso e purché ciò non sia in contrasto né con le disposizioni del presente Patto né con la Convenzione per la prevenzione e la punizione del delitto di genocidio. Tale pena può essere eseguita soltanto in virtù di una sentenza definitiva, resa da un tribunale competente. 3. Quando la privazione della vita costituisce delitto di genocidio, resta inteso che nessuna disposizione di questo articolo autorizza uno Stato parte del presente Patto a derogare in alcun modo a qualsiasi obbligo assunto in base alle norme della Convenzione per la prevenzione e la punizione del delitto di genocidio. 4. Ogni condannato a morte ha il diritto di chiedere la grazia o la commutazione della pena. L'amnistia, la grazia o la commutazione della pena di morte possono essere accordate in tutti i casi. 5. Una sentenza capitale non può essere pronunciata per delitti commessi dai minori di 18 anni e non può essere eseguita nei confronti di donne incinte. 6. Nessuna disposizione di questo articolo può essere invocata per ritardare o impedire l'abolizione della pena di morte ad opera di uno Stato parte del presente Patto. Articolo 7 Nessuno può essere sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, in particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico. Articolo 8 1. Nessuno può esser tenuto in stato di schiavitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi sono proibite sotto qualsiasi forma. 2. Nessuno può esser tenuto in stato di servitù. 3. a) Nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato od obbligatorio; b) La lettera a) del presente paragrafo non può essere interpretata nel senso di proibire, in quei paesi dove certi delitti possono essere puniti con la detenzione accompagnata dai lavori forzati, che sia scontata una pena ai lavori forzati, inflitta da un tribunale competente; c) L'espressione "lavoro forzato o obbligatorio", ai fini del presente paragrafo, non comprende: i) qualsiasi lavoro o servizio, diverso da quello menzionato alla lettera b), normalmente imposto ad un individuo che sia detenuto in base a regolare decisione giudiziaria o che essendo stato oggetto di una tale decisione, sia in libertà condizionata; ii) qualsiasi servizio di carattere militare e, in quei paesi ove è ammessa l'obbiezione di coscienza, qualsiasi servizio nazionale imposto per legge agli obiettori di coscienza; iii) qualsiasi servizio imposto in situazioni di emergenza o di calamità che minacciano la vita o il benessere della comunità; 61 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici iv) qualsiasi lavoro o servizio che faccia parte dei normali obblighi civili. Articolo 9 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà e alla sicurezza della propria persona. Nessuno può essere arbitrariamente arrestato o detenuto. Nessuno può esser privato della propria libertà, se non per i motivi e secondo la procedura previsti dalla legge. 2. Chiunque sia arrestato deve essere informato, al momento del suo arresto, dei motivi dell'arresto medesimo, e deve al più presto aver notizia di qualsiasi accusa mossa contro di lui 3. Chiunque sia arrestato o detenuto in base ad un'accusa di carattere penale deve essere tradotto al più presto dinanzi a un giudice o ad altra autorità competente per legge ad esercitare funzioni giudiziarie, e ha diritto ad essere giudicato entro un termine ragionevole, o rilasciato. La detenzione delle persone in attesa di giudizio non deve costituire la regola, ma il loro rilascio può essere subordinato a garanzia che assicurino la comparizione dell'accusato sia ai fini del giudizio, in ogni altra fase del processo, sia eventualmente, ai fini della esecuzione della sentenza. 4. Chiunque sia privato della propria libertà per arresto o detenzione ha diritto a ricorrere ad un tribunale, affinché questo possa decidere senza indugio sulla legalità della sua detenzione e, nel caso questa risulti illegale, possa ordinare il suo rilascio. 5. Chiunque sia stato vittima di arresto o detenzione illegali ha pieno diritto a un indennizzo. Articolo 10 1. Qualsiasi individuo privato della propria libertà deve essere trattato con umanità e col rispetto della dignità inerente alla persona umana. 2. a) Gli imputati, salvo circostanze eccezionali, devono essere separati dai condannati e sottoposti a un trattamento diverso, consono alla loro condizione di persone non condannate; b) gli imputati minorenni devono esser separati dagli adulti e il loro caso deve esser giudicato il più rapidamente possibile. 3. Il regime penitenziario deve comportare un trattamento dei detenuti che abbia per fine essenziale il loro ravvedimento e la loro riabilitazione sociale. I rei minorenni devono essere separati dagli adulti e deve esser loro accordato un trattamento adatto alla loro età e al loro stato giuridico Articolo 11 Nessuno può essere imprigionato per il solo motivo che non è in grado di adempiere a un obbligo contrattuale. Articolo 12 1. Ogni individuo che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato ha diritto alla libertà di movimento e alla libertà di scelta della residenza in quel territorio. 2. Ogni individuo è libero di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio. 3. I suddetti diritti non possono essere sottoposti ad alcuna restrizione, tranne quelle che siano previste dalla legge, siano necessarie per proteggere la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, la sanità o la moralità pubbliche, ovvero gli altrui diritti e libertà, e siano compatibili con gli altri diritti riconosciuti dal presente Patto. 4. Nessuno può essere arbitrariamente privato del diritto di entrare nel proprio paese. Articolo 13 Uno straniero che si trovi legalmente nel territorio di uno Stato parte del presente Patto non può esserne espulso se non in base a una decisione presa in conformità della legge e, salvo che vi si oppongano imperiosi motivi di sicurezza nazionale, deve avere la possibilità di far valere le proprie ragioni contro la sua espulsione, di sottoporre il proprio caso all'esame dell'autorità competente, o di una o più persone specificamente designate da detta autorità, e di farsi rappresentare innanzi ad esse a tal fine. Articolo 14 1. Tutti sono eguali dinanzi ai tribunali e alle corti di giustizia. Ogni individuo ha diritto ad un'equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale, stabilito dalla legge, allorché si tratta di determinare la fondatezza di un'accusa penale che gli venga rivolta, ovvero di accertare i suoi diritti ed obblighi mediante un giudizio civile. Il processo può svolgersi totalmente o parzialmente a porte chiuse, sia per motivi di moralità, di ordine pubblico o di sicurezza nazionale in una società democratica, sia quando lo esiga l'interesse della vita privata delle parti in causa, sia, nella misura ritenuta strettamente necessaria dal tribunale, quando per circostanze particolari la pubblicità nuocerebbe agli interessi della giustizia; tuttavia, qualsiasi sentenza pronunciata in un giudizio penale o civile dovrà essere resa pubblica, salvo che l'interesse di minori esiga il contrario, ovvero che il processo verta su controversie matrimoniali o sulla tutela dei figli. 2. Ogni individuo accusato di un reato ha il diritto di essere presunto innocente sino a che la sua colpevolezza non sia stata provata legalmente 3. Ogni individuo accusato di un reato ha diritto, in posizione di piena eguaglianza, come minimo, alle seguenti garanzie: 62 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali 4. 5. 6. 7. Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici a) ad essere informato sollecitamente e in modo circostanziato, in una lingua a lui comprensibile, della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta; b) a disporre del tempo e dei mezzi necessari alla preparazione della difesa ed a comunicare con un difensore di sua scelta; c) ad essere giudicato senza ingiustificato ritardo; d) ad essere presente al processo ed a difendersi personalmente o mediante un difensore di sua scelta; nel caso sia sprovvisto di un difensore, ad essere informato del suo diritto ad averne e, ogni qualvolta l'interesse della giustizia lo esiga, a vedersi assegnato un difensore d'ufficio, a titolo gratuito se egli non dispone di mezzi sufficienti per compensarlo; e) a interrogare o far interrogare i testimoni a carico e ad ottenere la citazione e l'interrogatorio dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; f) a farsi assistere gratuitamente da un interprete, nel caso egli non comprenda o non parli la lingua usata in udienza; g) a non essere costretto a deporre contro se stesso od a confessarsi colpevole. La procedura applicabile ai minorenni dovrà tener conto della loro età e dell'interesse a promuovere la loro riabilitazione Ogni individuo condannato per un reato ha diritto a che l'accertamento della sua colpevolezza e la condanna siano riesaminati da un tribunale di seconda istanza in conformità della legge. Quando un individuo è stato condannato con sentenza definitiva e successivamente tale condanna viene annullata, ovvero viene accordata la grazia, in quanto un fatto nuovo o scoperto dopo la condanna dimostra che era stato commesso un errore giudiziario, l'individuo che ha scontato una pena in virtù di detta condanna deve essere indennizzato, in conformità della legge, a meno che non venga provato che la mancata scoperta in tempo utile del fatto ignoto è a lui imputabile in tutto o in parte. Nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio o a nuova pena, per un reato per il quale sia stato già assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun paese. Articolo 15 1. Nessuno può essere condannato per azioni od omissioni che, al momento in cui venivano commesse, non costituivano reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Così pure, non può essere inflitta una pena superiore a quella applicabile al momento in cui il reato sia stato commesso. Se, posteriormente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, il colpevole deve beneficiarne. 2. Nulla, nel presente articolo, preclude il deferimento a giudizio e la condanna di qualsiasi individuo per atti od omissioni che, al momento in cui furono commessi, costituivano reati secondo i principi generali del diritto riconosciuti dalla comunità delle nazioni. Articolo 16 Ogni individuo ha diritto al riconoscimento in qualsiasi luogo della sua personalità giuridica Articolo 17 1. Nessuno può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegittime nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza, né a illegittime offese al suo onore e alla sua reputazione. 2. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze od offese. Articolo 18 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di avere o di adottare una religione o un credo di sua scelta, nonché la libertà di manifestare, individualmente o in comune con altri, e sia in pubblico sia in privato, la propria religione o il proprio credo nel culto e nell'osservanza dei riti, nelle pratiche e nell'insegnamento 2. Nessuno può essere assoggettato a costrizioni che possano menomare la sua libertà di avere o adottare una religione o un credo di sua scelta. 3. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può essere sottoposta unicamente alle restrizioni previste dalla legge e che siano necessarie per la tutela della sicurezza pubblica, dell'ordine pubblico e della sanità pubblica, della morale pubblica o degli altrui diritti e libertà fondamentali 4. Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a rispettare la libertà dei genitori e, ove del caso, dei tutori legali di curare l'educazione religiosa e morale dei figli in conformità alle proprie convinzioni Articolo 19 1. Ogni individuo ha diritto a non essere molestato per le proprie opinioni. 2. Ogni individuo ha il diritto alla libertà di espressione; tale diritto comprende la libertà di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, senza riguardo a frontiere, oralmente, per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualsiasi altro mezzo di sua scelta. 63 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali 3. Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici L'esercizio delle libertà previste al paragrafo 2 del presente articolo comporta doveri e responsabilità speciali. Esso può essere pertanto sottoposto a talune restrizioni che però devono essere espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti o della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell'ordine pubblico, della sanità o della morale pubbliche Articolo 20 1. Qualsiasi propaganda a favore della guerra deve esser vietata dalla legge 2. Qualsiasi appello all'odio nazionale, razziale o religioso che costituisca incitamento alla discriminazione, all'ostilità o alla violenza deve essere vietato dalla legge. Articolo 21 E riconosciuto il diritto di riunione pacifica. L'esercizio di tale diritto non può formare oggetto di restrizioni tranne quelle imposte in conformità alla legge e che siano necessarie in una società democratica, nell'interesse della sicurezza nazionale, della sicurezza pubblica, dell'ordine pubblico o per tutelare la sanità e la morale pubbliche. o gli altrui diritti e libertà. Articolo 22 1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di associazione. che include il diritto di costituire dei sindacati e di aderirvi per la tutela dei propri interessi 2. L'esercizio di tale diritto non può formare oggetto di restrizioni, tranne quelle stabilite dalla legge e che siano necessarie in una società democratica, nell'interesse della sicurezza nazionale, della sicurezza pubblica, dell'ordine pubblico, o per tutelare la sanità e la morale pubbliche o gli altrui diritti e libertà. Il presente articolo non impedisce di imporre restrizioni legali all'esercizio di tale diritto da parte dei membri delle forze armate e della polizia. 3. Nessuna disposizione del presente articolo autorizza gli Stati parti della Convenzione del 1948 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, concernente la libertà sindacale e la tutela del diritto sindacale a adottare misure legislative che portino pregiudizio alle garanzie previste dalla menzionata Convenzione, o ad applicare le loro leggi in modo da causare tale pregiudizio. Articolo 23 1. La famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato. 2. Il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia è riconosciuto agli uomini e alle donne che abbiano l'età per contrarre matrimonio. 3. Il matrimonio non può essere celebrato senza il libero e pieno consenso dei futuri coniugi. 4. Gli Stati parti del presente Patto devono prendere misure idonee a garantire la parità di diritti e di responsabilità dei coniugi riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e al momento del suo scioglimento In caso di scioglimento, deve essere assicurata ai figli la protezione necessaria. Articolo 24 1. Ogni fanciullo, senza discriminazione alcuna fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l'origine nazionale o sociale, la condizione economica o la nascita, ha diritto a quelle misure protettive che richiede il suo stato minorile, da parte della sua famiglia, della società e dello Stato. 2. Ogni fanciullo deve essere registrato subito dopo la nascita ed avere un nome. 3. Ogni fanciullo ha diritto ad acquistare una cittadinanza Articolo 25 Ogni cittadino ha il diritto, e deve avere la possibilità, senza alcuna delle discriminazioni menzionate all'articolo 2 e senza restrizioni irragionevoli: a) di partecipare alla direzione degli affari pubblici, personalmente o attraverso rappresentanti liberamente scelti; b) di votare e di essere eletto, nel corso di elezioni veritiere, periodiche, effettuate a suffragio universale ed eguale, ed a voto segreto, che garantiscano la libera espressione della volontà degli elettori; c) di accedere, in condizioni generale di eguaglianza, ai pubblici impieghi del proprio paese Articolo 26 Tutti gli individui sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. A questo riguardo, la legge deve proibire qualsiasi discriminazione e garantire a tutti gli individui una tutela eguale ed effettiva contro ogni discriminazione, sia essa fondata sulla razza, il colore, il sesso, la lingua, la religione, l'opinione politica o qualsiasi altra opinione, l'origine nazionale o sociale, la condizione economica, la nascita o qualsiasi altra condizione 64 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Articolo 27 In quegli Stati, nei quali esistono minoranze etniche, religiose, o linguistiche, gli individui appartenenti a tali minoranze non possono essere privati del diritto di avere una vita culturale propria, di professare e praticare la propria religione, o di usare la propria lingua, in comune con gli altri membri del proprio gruppo. Articolo 28 1. E‟ istituito un Comitato dei diritti dell'uomo (indicato di qui innanzi, nel presente Patto, come "il Comitato". Esso si compone di diciotto membri ed esercita le funzioni qui appresso previste. 2. 2.Il Comitato si compone di cittadini degli Stati parti del presente Patto, i quali debbono essere persone di alta levatura morale e riconosciuta competenza nel campo dei diritti dell'uomo Sarà tenuto conto dell'opportunità che facciano parte del Comitato alcune persone aventi esperienza giuridica. 3. I membri del Comitato sono eletti e ricoprono la loro carica a titolo individuale. Articolo 29 1. I membri del Comitato sono eletti a scrutinio segreto fra una lista di persone che posseggono le qualità stabilite all'articolo 28, e che siano state designate a tal fine dagli Stati parti del presente Patto. 2. Ogni Stato parte del presente Patto può designare non più di due persone. Queste persone devono essere cittadini dello Stato che le designa. 3. La stessa persona può essere designata più di una volta Articolo 30 1. La prima elezione si svolgerà entro sei mesi a partire dalla data di entrata in vigore del presente Patto. 2. Almeno quattro mesi prima della data di ciascuna elezione al Comitato, salvo che si tratti di elezione per colmare una vacanza dichiarata in conformità all'articolo 34, il Segretario generale delle Nazioni Unite invita per iscritto gli Stati parti del presente Patto a designare, nel termine di tre mesi, i candidati da essi proposti come membri del Comitato. 3. Il Segretario Generale delle Nazioni Unite compila una lista in ordine alfabetico di tutte le persone così designate, facendo menzione degli Stati parti che le hanno designate, e la comunica agli Stati parti del presente Patto almeno un mese prima della data di ogni elezione. 4. L'elezione dei membri del Comitato ha luogo nel corso di una riunione degli Stati parti del presente Patto convocata dal Segretario generale delle Nazioni Unite presso la sede dell'Organizzazione In tale riunione, per la quale il quorum è costituito dai due terzi degli Stati parti del presente Patto, sono eletti membri del Comitato i candidati che ottengono il maggior numero di voti e la maggioranza assoluta dei voti dei rappresentanti degli Stati parti presenti e votanti. Articolo 31 1. Il Comitato non può comprendere più di un cittadino dello stesso Stato. 2. Nell'elezione del Comitato, deve tenersi conto di un equa ripartizione geografica dei seggi, e della rappresentanza sia delle diverse forme di civiltà sia dei principali sistemi giuridici. Articolo 32 1. I membri del Comitato sono eletti per un periodo di quattro anni. Se vengono nuovamente designati sono rieleggibili Tuttavia, il mandato di nove membri eletti alla prima elezione scadrà al termine di due anni; subito dopo la prima elezione, i nomi di questi nove membri saranno tirati a sorte dal Presidente della riunione di cui al paragrafo 4 dell'articolo 30 2. Allo scadere del mandato, le elezioni si svolgono in conformità alle disposizioni degli articoli precedenti di questa parte del Patto Articolo 33 1. Se, a giudizio unanime degli altri membri, un membro del Comitato abbia cessato di esercitare le sue funzioni per qualsiasi causa diversa da un'assenza di carattere temporaneo, il Presidente del Comitato ne informa il Segretario generale delle Nazioni Unite. il quale dichiara vacante il seggio occupato da detto membro 2. In caso di morte o di dimissione di un membro del Comitato, il Presidente ne informa immediatamente il Segretario generale delle Nazioni Unite, il quale dichiara vacante il seggio a partire dalla data della morte o dalla data in cui avranno effetto le dimissioni. Articolo 34 1. Quando una vacanza viene dichiarata in conformità; all' arti colo 33, e se il mandato del membro da sostituire non deve aver fine entro i sei mesi successivi alla dichiarazione di vacanza, il Segretario generale delle Nazioni Unite ne avverte gli Stati parti del presente Patto, i quali possono entro due mesi designare dei candidati, in conformità all'articolo 29, per ricoprire il seggio vacante. 65 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali 2. 3. Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Il Segretario generale delle Nazioni Unite compila una lista in ordine alfabetico delle persone così designate e la comunica agli Stati parti del presente Patto. L'elezione per ricoprire il seggio vacante si svolge quindi in conformità alle disposizioni pertinenti della presente parte del Patto. Un membro del Comitato eletto ad un seggio dichiarato vacante in conformità all'articolo 33 rimane in carica tino alla scadenza del mandato del membro, il cui seggio nel Comitato sia divenuto vacante ai sensi del predetto articolo. Articolo 35 I membri del Comitato ricevono, con l'approvazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, degli emolumenti prelevati sui tondi della Organizzazione, alle condizioni stabilite dall'Assemblea generale, avuto riguardo all'importanza delle funzioni del Comitato. Articolo 36 Il Segretario generale delle Nazioni Unite mette a disposizione del comitato il personale e i mezzi materiali necessari perché esso possa svolgere efficacemente le funzioni previste dal presente Patto. Articolo 37 1. Il Segretario generale delle Nazioni Unite convocherà la prima riunione del Comitato nella sede dell'Organizzazione. 2. Dopo la sua prima riunione, il Comitato si riunisce alle scadenze previste dal proprio regolamento interno. 3. Le riunioni del Comitato si tengono normalmente nella Sede delle nazioni Unite ovvero nell'Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra. Articolo 38 Ogni membro del Comitato, prima di assumere la carica, deve fare in udienza pubblica dichiarazione solenne che egli eserciterà le sue funzioni in modo imparziale e coscienzioso. Articolo 39 1. Il Comitato elegge il proprio ufficio di presidenza per un periodo di due anni. I componenti di tale ufficio sono rieleggibili. 2. Il Comitato stabilisce il proprio regolamento interno; questo deve tuttavia contenere, tra l'altro, le disposizioni seguenti: a) Il quorum è di dodici membri; b) Le decisioni del Comitato sono prese a maggioranza dei membri presenti. Articolo 40 1. Gli Stati parti del presente Patto si impegnano a presentare rapporti sulle misure che essi avranno adottate per dare attuazione ai diritti riconosciuti nel presente Patto, nonché sui progressi compiuti nel godimento di tali diritti: a) entro un anno dall'entrata in vigore del presente Patto rispetto a ciascuno degli Stati parti; b) Successivamente, ogni volta che il Comitato ne farà richiesta. 2. Tutti i rapporti sono indirizzati al Segretario generale delle Nazioni Unite, che li trasmette per esame al Comitato I rapporti indicano, ove del caso, i fattori e le difficoltà che influiscano sull'applicazione del presente Patto. 3. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, previa consultazione col Comitato, può trasmettere agli istituti specializzati interessati copia di quel le parti dei rapporti che possono riguardare i campi di loro competenza. 4. Il Comitato studia i rapporti presentati dagli Stati parti del presente Patto. Esso tras mette agli Stati parti i propri rapporti e le osservazioni generali che ritenga opportune. Il Comitato può anche trasmettere al Consiglio economico e sociale tali osservazioni, accompagnate da copie dei rapporti ricevuti dagli Stati parti del presente Patto. 5. Gli Stati parti del presente Patto possono presentare al Comitato i propri rilievi circa qualsiasi osservazione fatta ai sensi del paragrafo 4 del presente articolo. Articolo 41 1. Ogni Stato parte del presente Patto può dichiarare in qualsiasi momento, in base al presente articolo, di riconoscere la competenza del Comitato a ricevere ed esaminare comunicazioni, nelle quali uno Stato parte pretenda che un altro Stato parte non adempie agli obblighi derivanti dal presente Patto. Le comunicazioni di cui al presente articolo possono essere ricevute ed esaminate soltanto se provenienti da uno Stato parte che abbia dichiarato di riconoscere, per quanto lo concerne, la competenza del Comitato. Il Comitato non può ricevere nessuna comunicazione riguardante uno Stato parte che non abbia tatto tale dichiarazione. Alle comunicazioni ricevute in conformità al presente articolo si applica la procedura seguente: a) Se uno Stato parte del presente Patto ritiene che un altro Stato parte non applica le disposizioni del presente Patto, esso può richiamare sulla questione, mediante comunicazione scritta, l'attenzione di tale Stato. Entro tre mesi dalla data di ricezione della comunicazione, lo Stato destinatario fa pervenire allo Stato che gli ha inviato la comunicazione delle spiegazioni o altre dichiarazioni scritte intese a chiarire la questione, che dovrebbero includere, 66 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali 2. Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici purché ciò sia possibile e pertinente, riferimenti alle procedure e ai ricorsi interni già utilizzati, o tuttora pendenti, ovvero ancora esperibili; b) Se, nel termine di sei mesi dalla data di ricezione della comunicazione iniziale da parte dello Stato destinatario, la questione non è stata risolta con soddisfazione di entrambi gli Stati parti interessati, tanto l'uno che l'altro hanno il diritto di deferirla al Comitato, mediante notifica fatta sia al Comitato sia all'altro interessato. c) Il Comitato può entrare nel merito di una questione ad esso deferita soltanto dopo avere accertato che tutti i ricorsi interni disponibili siano stati esperiti ed esauriti in conformità ai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. Questa norma non si applica se la trattazione dei ricorsi subisce ingiustificati ritardi. d) Quando esamina le comunicazioni previste dal presente articolo il Comitato tiene seduta a porte chiuse. e) Salvo quanto è stabilito alla lettera c), il Comitato mette i suoi buoni uffici a disposizione degli Stati parti interessati, allo scopo di giungere ad una soluzione amichevole della questione, basata sul rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, quali sono riconosciuti dal presente Patto. f) In ogni questione ad esso deferita, il Comitato può chiedere agli Stati parti interessati, di cui alla lettera b), di fornire qualsiasi informazione pertinente. g) Gli Stati parti interessati, di cui alla lettera b), hanno diritto di tarsi rappresentare quando la questione viene esaminata dal Comitato e di presentare osservazioni oralmente o per scritto, o in entrambe le forme. h) Il Comitato deve presentare un rapporto, entro dodici mesi dalla data di ricezione della notifica prevista alla lettera b): i) Se è stata trovata una soluzione conforme alle condizioni indicate alla lettera e), il Comitato limita il suo rapporto ad una breve esposizione dei tatti e della soluzione raggiunta; ii) Se non è stata trova una soluzione conforme alle condizioni indicate alla lettera e), il Comitato limita il suo rapporto a una breve esposizione dei fatti; il testo delle osservazioni scritte e i verbali delle osservazioni orali presentate dagli Stati parti interessati vengono allegati al rapporto. Per ogni questione, il rapporto è comunicato agli Stati parti interessati. Le disposizioni del presente articolo entreranno in vigore quando dieci Stati parti del presente Patto avranno fatto la dichiarazione prevista al paragrafo 1 del presente articolo. Detta dichiarazione sarà depositata dagli Stati parti presso il Segretario generale delle Nazioni Unite, che ne trasmetterà copia agli altri Stati parti. Una dichiarazione potrà essere ritirata in qualsiasi momento mediante notifica diretta al Segretario generale. Questo ritiro non pregiudicherà l'esame di qualsiasi questione che formi oggetto di una comunicazione già inviata in base al presente articolo; nessun'altra comunicazione di uno Stato parte sarà ricevuta dopo che il Segretario generale abbia ricevuto notifica del ritiro della dichiarazione, salvo che lo Stato parte interessato non abbia fatto una nuova dichiarazione. Articolo 42 1. a) Se una questione deferita al Comitato in conformità all'articolo 41 non viene risolta in modo soddisfacente per gli Stati parti interessati, il Comitato, previo consenso degli Stati parti interessati, può designare una Commissione di conciliazione ad hoc(indicata da qui innanzi come "la Commissione". La Commissione mette i suoi buoni uffici a disposizione degli Stati parti interessati, allo scopo di giungere ad una soluzione amichevole della questione, basata sul rispetto del presente Patto. b) La Commissione è composta di cinque membri nominati di concerto con gli Stati parti interessati. Se gli Stati parti interessati non pervengono entro tre mesi a un'intesa sulla composizione della Commissione, o di parte di essa, i membri della Commissione sui quali non è stato raggiunto l'accordo sono eletti dal Comitato fra i propri membri, con voto segreto e a maggioranza dei due terzi. 2. I membri della Commissione ricoprono tale carica a titolo individuale. Essi non devono essere cittadini né degli Stati parti interessati, né di uno Stato che non sia parte del presente Patto, né di uno Stato parte che non abbia tatto la dichiarazione prevista all'articolo 11. 3. La Commissione elegge il suo Presidente e adotta il suo regolamento interno 4. Le riunioni della Commissione si tengono normalmente nella Sede delle Nazioni Unite ovvero nell'Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra Tuttavia, esse possono svolgersi in qualsiasi altro luogo appropriato che può essere stabilito dalla Commissione previa consultazione con il Segretario generale delle Nazioni Unite e con gli Stati parti interessati. 5. Il segretariato previsto all'articolo 36 presta i suoi servigi anche alle commissioni nominate in base al presente articolo 6. Le informazioni ricevute e vagliate dal Comitato sono messe a disposizione della Commissione, e la Commissione può chiedere agli Stati parti interessati di fornirle ogni altra informazione pertinente 7. Dopo un completo esame della questione, ma in ogni caso entro un termine massimo di dodici mesi dal momento in cui ne è stata investita, la Commissione presenta un rapporto al Presidente del Comitato, perché sia trasmesso agli Stati parti interessati: a) se la Commissione non è in grado di completare l'esame della questione entro i dodici mesi, essa si limita ad esporre brevemente nel suo rapporto a qual punto si trovi l'esame della questione medesima; b) se si è giunti ad una soluzione amichevole della questione, basata sul rispetto dei diritti dell'uomo riconosciuti nel presente Patto, la Commissione si limita ad esporre brevemente nel suo rapporto i fatti e la soluzione a cui si è pervenuti; 67 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici c) se non si è giunti ad una soluzione ai sensi della lettera b), la Commissione espone nel suo rapporto i propri accertamenti su tutti i punti di fatto relativi alla questione dibattuta fra gli Stati parti interessati, nonché le proprie considerazioni circa la possibilità di una soluzione amichevole dell'affare. Il rapporto comprende pure le osservazioni scritte e un verbale delle osservazioni orali presentate dagli Stati parti interessati; d) se il rapporto della Commissione è presentato in conformità alla lettera c), gli Stati parti interessati, entro tre mesi dalla ricezione del rapporto, debbono rendere noto al Presidente del Comitato se accettano o meno i termini del rapporto della Commissione 8. Le disposizioni del presente articolo non pregiudicano le attribuzioni del Comitato previste all'art. 41 9. Tutte le spese dei membri della Commissione sono ripartite in parti uguali tra gli Stati interessati, in base a un preventivo predisposto dal Segretario generale delle Nazioni Unite. 10. Il Segretario generale delle Nazioni Unite è autorizzato a pagare, se occorre, le spese dei membri della Commissione prima che gli Stati parti interessati ne abbiano effettuato il rimborso, in conformità al paragrafo 9 del presente articolo. Articolo 43 I membri del Comitato e i membri delle commissioni di conciliazione ad hoc che possano essere designate ai sensi dell'articolo 42 hanno diritto a quelle agevolazioni, quei privilegi e quelle immunità riconosciuti agli esperti in missione per conto delle Nazioni Unite, che sono enunciati nelle sezioni pertinenti della Convenzione sui privilegi e le immunità delle Nazioni Unite. Articolo 44 Le disposizioni per l'attuazione del presente Patto si applicano senza pregiudizio delle procedure istituite nel campo dei diritti dell'uomo ai sensi o sulla base degli strumenti costitutivi e delle convenzioni delle Nazioni Unite e degli istituti specializzati. e non impediscono agli Stati parti del presente Patto di ricorrere ad altre procedure per la soluzione di una controversia, in conformità agli accordi internazionali generali o speciali in vigore tra loro. Articolo 45 Il Comitato tramite il Consiglio economico e sociale, presenta ogni anno all'Assemblea generale delle Nazioni Unite un rapporto sulle sue attività. PARTE QUINTA Articolo 46 Nessuna disposizione del presente Patto può; essere interpretata in senso lesivo delle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite e degli statuti degli istituti specializzati che definiscono le funzioni rispettive dei vari organi delle Nazioni Unite e degli istituti specializzati riguardo alle questioni trattate nel presente Patto. Articolo 47 Nessuna disposizione del presente Patto può essere interpretata in senso lesivo del diritto inerente a tutti i popoli di godere e di disporre pienamente e liberamente delle loro ricchezze e risorse naturali. PARTE SESTA Articolo 48 1. Il presente Patto è aperto alla firma di ogni Stato membro delle Nazioni Unite o membro di uno qualsiasi dei loro istituti specializzati di ogni Stato parte dello Statuto della Corte internazionale di giustizia, nonché di qualsiasi altro Stato che sia invitato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite a divenire parte del presente Patto. 2. Il presente Patto è soggetto a ratifica. Gli strumenti di ratifica saranno depositati presso il Segretario generale delle Nazioni Unite. 3. Il presente Patto sarà aperto all'adesione di qualsiasi Stato tra quelli indicati al paragrafo 1 del presente articolo. 4. L'adesione sarà effettuata mediante deposito di uno strumento di adesione presso il Segretario generale delle Nazioni Unite. 5. 5.Il Segretario generale delle Nazioni Unite informerà tutti gli Stati che abbiano firmato il presente Patto, o che vi abbiano aderito, del deposito di ogni strumento di ratifica o di adesione. Articolo 49 1. 1.Il presente Patto entrerà in vigore tre mesi dopo la data del deposito presso il Segretario generale delle Nazioni Unite del trentacinquesimo strumento di ratifica o di adesione. 68 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali 2. Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Per ognuno degli Stati che ratificheranno il presente Patto o vi aderiranno successivamente al deposito del trentacinquesimo strumento di ratifica o di adesione, il Patto medesimo entrerà in vigore tre mesi dopo la data del deposito, a parte di tale Stato, del suo strumento di ratifica o di adesione. Articolo 50 Le disposizioni del presente Patto si applicano, senza limitazione o eccezione alcuna, a tutte le unità costitutive degli Stati federali. Articolo 51 1. Ogni Stato parte del presente Patto potrà proporre un emendamento e depositarne il testo presso il Segretario generale delle Nazioni Unite Il Segretario generale comunicherà quindi le proposte di emendamento agli Stati parti del presente Patto. chiedendo loro di informarlo se sono favorevoli alla convocazione di una conferenza degli Stati parti per esaminare dette proposte e metterle ai voti Se almeno un terzo degli Stati parti si dichiarerà a favore di tale convocazione, il Segretario generale convocherà la conferenza sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Ogni emendamento approvato dalla maggioranza degli Stati presenti e votanti alla conferenza sarà sottoposto all'approvazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. 2. Gli emendamenti entreranno in vigore dopo esser stati approvati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e accettati, in conformità alle rispettive procedure costituzionali, da una maggioranza di due terzi degli Stati parti del presente Patto. 3. Quando gli emendamenti entreranno in vigore, essi saranno vincolanti per gli Stati parti che li abbiano accettati, mentre gli altri Stati parti rimarranno vincolati dalle disposizioni del presente Patto e da qualsiasi emendamento anteriore che essi abbiano accettato. Articolo 52 Indipendentemente dalle notifiche effettuate ai sensi del paragrafo 5 dell'articolo 48, il Segretario generale delle Nazioni Unite informerà tutti gli Stati indicati al paragrafo 1 di detto articolo: a) delle firme apposte al presente Patto e degli strumenti di ratifica e di adesione depositati in conformità all'articolo 48 b) della data in cui il presente Patto entrerà in vigore, in conformità all'articolo 49, e della data hl cui entreranno in vigore gli emendamenti ai sensi dell'articolo 51. Articolo 53 1. Il presente Patto, di cui i testi cinese, francese, inglese, russo e spagnolo, fanno egualmente fede, sarà depositato negli archivi delle Nazioni Unite. 2. Il Segretario generale delle Nazioni Unite trasmetterà copie autentiche del presente Patto a tutti gli Stati indicati all'articolo 48 69 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici PROTOCOLLO FACOLTATIVO RELATIVO AL PATTO INTERNAZIONALE SUI DIRITTI CIVILI E POLITICI Gli Stati parti del presente Protocollo, Considerato che, per meglio assicurare il conseguimento dei tini del Patto relativo ai diritti civili e politici (indicato di qui innanzi come "il Patto") e l'applicazione delle sue disposizioni, sarebbe opportuno conferire al Comitato dei diritti dell'uomo, istituito nella parte quarta del Patto (di qui innanzi indicato come "il Comitato"potere di ricevere e di esaminare, secondo quanto è previsto nel presente Protocollo, comunicazioni provenienti da individui, i quali pretendano essere vittime di violazioni di un qualsiasi diritto enunciato nel Patto. Hanno convenuto quanto segue: Articolo 1 Ogni Stato parte del Patto che diviene parte del presente Protocollo riconosce la competenza del Comitato a ricevere ed esaminare comunicazioni provenienti da individui sottoposti alla sua giurisdizione, i quali pretendano essere vittime di violazioni, commesse da quello stesso Stato parte, di un qualsiasi diritto enunciato nel Patto. Il Comitato non può ricevere alcuna comunicazione concernente uno Stato parte del Patto che non sia parte del presente Protocollo. Articolo 2 Salvo quanto è stabilito all'articolo primo, ogni individuo il quale pretenda che un qualsiasi diritto enunciato nel Patto è stato violato, ed abbia esaurito tutti i ricorsi interni disponibili, può presentare una comunicazione scritta al Comitato affinché la esamini. Articolo 3 Il Comitato dichiara irricevibile qualsiasi comunicazione presentata in base a questo Protocollo che sia anonima, o che esso consideri un abuso del diritto di presentare tali comunicazioni ovvero incompatibile con le disposizioni del Patto Articolo 4 1. Salvo quanto è stabilito all'articolo 2, il Comitato rimette ogni comunicazione ad esso presentata in base a questo Protocollo all'attenzione dello Stato parte di detto Protocollo che si pretende abbia violato una qualsiasi disposizione del Patto. 2. Entro i sei mesi successivi, detto Stato sottopone per iscritto al Comitato spiegazioni o dichiarazioni che chiariscano la questione e indichino, ove del caso, le misure che esso potrà aver preso per rimediare alla situazione. Articolo 5 1. Il Comitato esamina le comunicazioni ricevute in base al presente Protocollo tenendo conto di tutte le informazioni scritte ad esso fatte pervenire dall'individuo e dallo Stato parte interessato. 2. Il Comitato non prende in considerazione alcuna comunicazione proveniente da un individuo senza avere accertato che: a) la stessa questione non sia già in corso di esame in base a un'altra procedura internazionale di inchiesta o di regolamento pacifico; b) l'individuo abbia esaurito tutti i ricorsi interni disponibili. Questa norma non si applica se la trattazione dei ricorsi subisce ingiustificati ritardi. 3. Il Comitato, quando esamina le comunicazioni previste nel presente Protocollo, tiene le sue sedute a porte chiuse 4. Il Comitato trasmette le proprie considerazioni allo Stato parte interessato e all'individuo Articolo 6 Il Comitato include nel rapporto annuale previsto all'articolo 45 del Patto un riassunto delle attività svolte in base al presente Protocollo. Articolo 7 In attesa che siano raggiunti gli obbiettivi della risoluzione 1514 (XV) approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1960, riguardante la Dichiarazione sulla concessione dell'indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali, le disposizioni del presente Protocollo non limitano in alcun modo il diritto di petizione accordato a questi popoli dallo Statuto delle Nazioni Unite e da altre convenzioni e strumenti internazionali conclusi sotto gli auspici delle Nazioni Unite e dei loro istituti specializzati. 70 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Articolo 8 1. Il presente Protocollo è aperto alla firma di ogni Stato che abbia firmato il Patto. 2. Il presente Protocollo è sottoposto alla ratifica di ogni Stato che abbia ratificato il Patto o vi abbia aderito. Gli strumenti di ratifica saranno depositati presso il Segretario generale delle Nazioni Unite. 3. Il presente Protocollo sarà aperto all'adesione di ogni Stato che abbia ratificato il Patto o vi abbia aderito. 4. L'adesione sarà effettuata mediante deposito di uno strumento di adesione presso il Segretario generale delle Nazioni Unite. 5. Il Segretario generale delle Nazioni Unite informerà tutti gli Stati che abbiano firmato il presente Protocollo o che vi abbiano aderito del deposito di ogni strumento di ratifica o di adesione. Articolo 9 1. Purché il Patto sia entrato in vigore, il presente Protocollo entrerà in vigore tre mesi dopo la data del deposito presso il Segretario generale delle Nazioni Unite del decimo strumento di ratifica o di adesione. 2. Per ognuno degli Stati che ratificheranno il presente Protocollo o vi aderiranno successivamente al deposito del decimo strumento di ratifica o di adesione, il Protocollo medesimo entrerà in vigore tre mesi dopo la data del deposito, da parte di tale Stato, del suo strumento di ratifica o di adesione Articolo 10 Le disposizioni del presente protocollo si applicano, senza limitazione o eccezione alcuna, a tutte le unità costitutive degli Stati federali. Articolo 11 1. Ogni Stato parte del presente Protocollo potrà proporre un emendamento e depositarne il testo presso il Segretario generale delle Nazioni Unite. Il Segretario generale comunicherà quindi le proposte di emendamento agli Stati parti del presente Protocollo, chiedendo loro di informarlo se sono favorevoli ala convocazione di una conferenza degli Stati parti per esaminare dette proposte e metterle ai voti. Se almeno un terzo degli Stati parti si dichiarerà a favore di tale convocazione, il Segretario generale convocherà la conferenza sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Ogni emendamento approvato dalla maggioranza degli Stati presenti e votanti alla conferenza sarà sottoposto all'approvazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. 2. Gli emendamenti entreranno in vigore dopo esser stati approvati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e accettati, in conformità alle rispettive procedure costituzionali, da una maggioranza di due terzi degli Stati parti del presente Protocollo. 3. Quando gli emendamenti entreranno in vigore, essi saranno vincolanti per gli Stati parti che li abbiano accettati, mentre gli altri Stati parti rimarranno vincolati dalle disposizioni del presente Protocollo e da qualsiasi emendamento anteriore che essi abbiano accettato. Articolo 12 1. Ogni Stato parte potrà denunciare, in qualsiasi momento, il presente Protocollo mediante notifica scritta indirizzata al Segretario generale delle Nazioni Unite. La denuncia avrà effetto tre mesi dopo la data in cui il Segretario generale ne avrà ricevuto la notifica. 2. La denuncia non impedirà che le disposizioni del presente Protocollo continuino ad applicarsi a qualsiasi comunicazione presentata in base all'articolo 2 prima della data in cui la denuncia stessa avrà effetto. Articolo 13 Indipendentemente dalle notifiche effettuate ai sensi del paragrafo 5 dell'articolo 8 del presente Protocollo, il Segretario generale delle Nazioni Unite informerà tutti gli Stati indicati al paragrafo 1 dell'articolo 48 del Patto: a) delle firme apposte al presente Protocollo e degli strumenti di ratifica e di adesione depositati in conformità all'articolo 8; b) della data in cui il presente Protocollo entrerà in vigore in conformità all'articolo 9 e della data in cui entreranno in vigore gli emendamenti ai sensi dell'articolo 11; c) delle denunce fatte in conformità all'articolo 12. Articolo 14 1. Il presente Protocollo, di cui i testi cinese, francese, inglese, russo e spagnolo, fanno egualmente fede, sarà depositato negli archivi delle Nazioni Unite. 2. Il Segretario generale delle Nazioni Unite trasmetterà copie autentiche del presente Protocollo a tutti gli Stati indicati all'articolo 48 del Patto. 71 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici SECONDO PROTOCOLLO FACOLTATIVO AGGIUNTIVO AL PATTO INTERNAZIONALE SUI DIRITTI CIVILI E POLITICI Adottato il 15 dicembre 1989 Articolo 1 Nessuna persona sottoposta alla giurisdizione di uno Stato parte del presente Protocollo sarà giustiziata. Ogni Stato parte prenderà tutte le misure necessarie per abolire dalla propria giurisdizione la pena di morte. Articolo 2 Non è ammessa alcuna riserva al presente Protocollo, salvo la riserva formulata al momento della ratifica o dell‟adesione che preveda l‟applicazione della pena di morte in tempo di guerra in base ad una condanna pronunciata per un crimine militare, di estrema gravità, commesso in tempo di guerra. Lo Stato parte che formula una simile riserva comunicherà al Segretario generale dell‟Organizzazione delle Nazioni Unite, al momento della ratifica o dell‟adesione, le norme della propria legislazione interna che si applicano in tempo di guerra. Lo Stato parte che formula una simile riserva notificherà al Segretario dell‟Organizzazione delle Nazioni Unite l‟inizio e la fine dello stato di guerra sul proprio territorio. Articolo 3 Gli Stati parte del presente Protocollo comunicheranno, nel rapporto che presenteranno al Comitato per i diritti umani in virtù dell‟articolo 40 del Patto, le misure che avranno preso per dare attuazione al presente Protocollo. Articolo 4 Per quanto riguarda gli Stati parte del Patto che hanno accettato, in base all‟articolo 41 la competenza del Comitato per i diritti umani nel ricevere ed esaminare le comunicazioni con cui uno Stato parte pretende che un altro Stato parte non disattenda i suoi obblighi, si estende alle disposizioni del presente Protocollo, a meno che lo Stato parte in causa non abbia fatto una dichiarazione in senso contrario al momento della ratifica o dell‟adesione. Articolo 5 Per quanto riguarda gli Stati parte del Primo Protocollo facoltativo al Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato nel 1966, la competenza riconosciuta al Comitato per i diritti umani nel ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da privati cittadini appartenenti alla loro giurisdizione, si estende alle disposizioni del presente Protocollo, a meno che lo Stato parte in causa non abbia fatto una dichiarazione in senso contrario al momento della ratifica o dell‟adesione. Articolo 6 Le disposizioni del presente Protocollo si applicano in quanto disposizioni addizionali al Patto. Senza pregiudicare la possibilità di formulare la riserva prevista dall‟articolo 2 del presente Protocollo, il diritto garantito dal primo paragrafo dell‟articolo 1 del presente Protocollo non può essere oggetto di alcuna delle deroghe permesse dall‟articolo 4 del Patto. Articolo 7 Il presente Protocollo è aperto alla firma di tutti gli Stati che hanno firmato il Patto. Il presente Protocollo è sottoposto alla ratifica di tutti gli Stati che hanno ratificato il Patto o che vi hanno aderito. Gli strumenti di ratifica vanno depositati presso il Segretariato generale dell‟Organizzazione delle Nazioni Unite. Le adesioni avvengono con il deposito dello strumento di adesione presso il Segretariato generale dell‟Organizzazione delle Nazioni Unite. Il Segretario generale dell‟Organizzazione delle Nazioni Unite informerà tutti gli Stati che hanno firmato il presente Protocollo o che vi hanno aderito del deposito di ogni strumento di ratifica o di adesione. Articolo 8 Il presente Protocollo entrerà in vigore tre mesi dopo la data del deposito presso il Segretario generale dell‟Organizzazione delle Nazioni Unite del decimo strumento di ratifica o di adesione. Per ogni Stato che ratifica il presente Protocollo o vi aderisce dopo il deposito del decimo strumento di ratifica o di adesione, il Protocollo entrerà in vigore tre mesi dopo la data del deposito del suo strumento di ratifica o di adesione. Articolo 9 Le disposizioni del presente Protocollo si applicano senza alcuna limitazione né eccezione a tutti gli Stati membri di Stati federali. 72 Cosa accade nel mondo: alcune situazioni reali Viaggio nel mondo dei Diritti Umani La pena capitale tra diritti civili e politici Articolo 10 Il Segretario generale dell‟Organizzazione delle Nazioni Unite informerà tutti gli Stati considerati dal paragrafo 1 dell‟articolo 48 del Patto: a) delle riserve, comunicazioni e notificazioni ricevute in base all‟articolo 2 del presente Protocollo; b) delle dichiarazioni fatte in base agli articoli 4 o 5 del presente Protocollo; c) delle firme apposte al presente Protocollo e degli strumenti di ratifica e di adesione depositati conformemente all‟articolo 7 del presente Protocollo; d) della data alla quale il presente Protocollo entrerà in vigore conformemente all‟articolo 8. Articolo 11 Il presente Protocollo di cui i testi in inglese, arabo, cinese, spagnolo, francese e russo fanno egualmente fede, sarà depositato negli archivi dell‟Organizzazione delle Nazioni Unite. Il Segretario generale dell‟Organizzazione delle Nazioni Unite trasmetterà copia conforme del presente Protocollo a tutti gli Stati considerati dall‟articolo 48 del Patto. 73
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