SCHEDA del film - Parrocchia Santa Maria Segreta

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SCHEDA del film - Parrocchia Santa Maria Segreta
LA TRAMA
In un momento imprecisato del XXI secolo, nel sottosuolo di
una metropoli avvolta da una ragnatela di sopraelevate e
grattacieli, macchine e aerei che entrano nelle occhiaie vuote
di palazzi spettrali, un popolo di schiavi senza volto,
marionette mosse da fili invisibili, lavora agli ingranaggi di
un’immensa macchina che sbuffa vapore e non conosce
sosta. Un orologio segna la fine del turno, l’ascensore
vomita nelle viscere della terra nuovi manipoli di automi che
si avviano al lavoro grigi e compatti, i tentacoli della città
ingoiano gli altri, fino al prossimo turno. In superficie,
dall’alto di un grattacielo con vetrate a 360° sulla città, il
potente Frederson (Gustav Fröhlich) segue l’andamento in
Borsa delle sue azioni. Fuori di là, la gioventù dorata della
classe padrona si diletta en plein air tra gare sportive e
giardini in fiore, damigelle vezzose e giochi d’acqua. Un
brioso maestro di cerimonie guida le danze. Il giovane
Freder (Alfred Abel), fortunato erede di tanto padre, è
improvvisamente folgorato dall’apparizione di Maria
(Brigitte Helm), celestiale fanciulla spuntata chissà come
all’ingresso monumentale del palazzo paterno, attorniata dai
figli laceri degli operai del sottosuolo. Nel seguirla come
ipnotizzato, Freder scoprirà lo scenario di sopraffazione e
violenza che brulica sotto i tombini della città. Allucinato, in
preda ad un autentico delirio della visione, in una
memorabile scena che sembra un omaggio a Cabiria, vedrà
la grande macchina industriale trasformarsi in un orrendo
Moloch che ingoia gli uomini. La vista di quel mondo fino
ad allora sconosciuto lo precipiterà in un incubo da cui lo
salverà solo l’amore di Maria.
METROPOLIS
REGIA
Fritz Lang
INTERPRETI
Gustav Fröhlich
Brigitte Helm
Alfred Abel
Rudolf Klein-Rogge
Fritz Rasp
SCENEGGIATURA
Thea von Harbou
Fritz Lang
FOTOGRAFIA
Karl Freund
DURATA
149’
Filmografia
ORIGINE
Germania 1927
• Quando la città dorme (1956)
• La bestia umana (1954))
• Il grande cldo (1953)
• Dietro la porta chiusa (1948)
• La donna del ritratto (1944)
• Anche i boia muoiono (1943)
• Il mostro di Dusseldorf (1931)
• Metropolis (1927)
• I nibelunghi (1924)
• Il dottor Mabuse (1922)
• Destino (1921)
IL REGISTA
Nato il 5 dicembre 1890 da un'agiata
famiglia viennese e morto a Los Angeles
il 2 agosto 1976, ha attraversato la storia
del cinema, prima in Germania e poi ad
Hollywood per sfuggire al nazismo.
Pur sviluppando un cinema 'colto', le sue
radici sono popolari, come testimoniato
dalla predilezione per il serial, il
feuilleton e la letteratura avventurosa d'appendice. Nella sua
filmografia ricorrono frequentemente l'ossessione del
Tempo, il tema del delitto e la figura del grande criminale da
cui egli appare affascinato, rappresentata sia da geni del
male guidati da un'aspirazione profonda al dominio
sull'umanità, esseri inafferrabili ed elusivi, simili all'attore
nella tecnica dei mille travestimenti, sia dall'assassino di
bambine (il 'mostro' di Düsseldorf), vittima lui stesso di
terribili pulsioni cui non è in grado di resistere, preda di un
destino più grande di lui. Inizia a lavorare nel cinema come
sceneggiatore presto in coppia con Thea Von Harbou che
diventerà sua moglie. Dopo le prime prove di regia, alla
DECLA di Erich Pommer il primo vero successo fu Destino
(1921), film che mette bene in evidenza la lotta degli uomini
contro gli inesorabili decreti del Fato. Segue Il dottor
Mabuse, uscito in Germania in due episodi, completamente
dominato dall'ossessione del tempo. La canzone dei
Nibelunghi è invece ispirato alle antiche leggende
germaniche e a Wagner. Metropolis (1927) venne girato di
ritorno da un viaggio a New York e a Hollywood. Nel 1931
esce il capolavoro M, il mostro di Düsseldorf, suo primo
film sonoro, ispirato a un fatto di cronaca nera. L'ultimo film
girato in Germania, prima di fuggire dal nazismo è Il
testamento del dottor Mabuse (1933), ancora un ritorno alla
figura del grande criminale, il cui cervello, pur impazzito,
riesce a plagiare la mente del direttore stesso del manicomio.
Dopo Liliom (1934), girato in Francia, si trasferì a Los
Angeles, dove iniziò una nuova carriera. Benché in una
situazione inizialmente difficile, affrontò subito alcuni temi
scomodi: Furia (1936) è ancora una meditazione sul
rapporto tra Legge e Morale, Sono innocente (1937) è la
storia tragica di un errore giudiziario; You and me (1938)
una commedia dolceamara su ex detenuti; Il vendicatore di
Jess il bandito (1940), una rivisitazione del mito western di
Jess James. Decisamente anti-nazisti sono il thriller
spionistico Duello mortale (1941), che prende le mosse da
un falso attentato a Hitler e Anche i boia muoiono (1943),
ambientato nella Cecoslovacchia invasa dai tedeschi. In La
donna del ritratto (1944) il protagonista è un tranquillo
borghese statunitense. Nel 1948 gira Dietro la porta chiusa,
mentre è del 1953 il noir Il grande caldo e del 1954 un
remake zoliano, La bestia umana. Malgrado la regia del
perfetto poliziesco Quando la città dorme del 1956,
cominciò a incontrare difficoltà nel lavoro a Hollywood.
Tornato in Germania, nel 1958 Il sepolcro indiano, remake
di un vecchio film diretto da Joe May sceneggiato a suo
tempo con la Harbou. La ricerca del tempo perduto si
completò nel 1960, con Il diabolico dottor Mabuse, in cui il
regista mise in scena l'ultima incarnazione di un discendente
del grande criminale degli anni Venti, le cui imprese sono
aggiornate tecnologicamente al nuovo universo di controllo
e sorveglianza televisiva.
Un film visionario da non perdere
Per aspera ad astra
di Niccolò Re Cinefilos
di Vaniel Maestosi Cinema del silenzio
Pellicola costosissima e tanto amata da Hitler, Metropolis ci traghetta
in futuro che Lang dipinge guardando cent’anni avanti. Un 2026 per
noi dietro l’angolo e nel quale sarà difficile – come e più di oggi –
guardare un’opera come Metropolis senza la minaccia costante dello
sbadiglio. Non ce ne vogliano Fritz e la sua signora, Thea von Harbou,
le pregevoli menti che stanno dietro al film: purtroppo i tempi
cambiano, e il mondo a portata di click non ha abbastanza pazienza per
sopportare intertitoli e muto. Detto questo, Metropolis è un indiscusso
gioiello espressionista e un’opera d’arte che respira a pieni polmoni
aria di Novecento. Trionfo di geometrie imprendibili, creatura stillante
vapori industriali, sinfonia cittadina che si concede una trama e che
non smette per un attimo – come darle torto – di amare il nuovo,
pericoloso e affascinante mondo della tecnica e dell’automazione.
Metropolis non è così manicheo e retorico come a volte è stato detto, e
come si potrebbe pensare dalle prime battute; anzi, soprattutto per
quanto concerne la rappresentazione delle masse, del “popolo”, la
coppia Lang/von Harbou evita bagni di candore e, pur portando sullo
schermo una situazione di sfruttamento ben riscontrabile nel mondo
d’allora (magari anche nel nostro, purché ci si allontani un po’ da
casa), non ci consegna una creatura costruttrice del suo bene e di
quello della società, ma un soggetto tumultuoso, pigro, capace di
ciechi spasmi. E, soprattutto, bisognoso di un mediatore, una figura
che ne indirizzi e controlli l’azione e i sentimenti.
Memorabile e testimone dell’arte di Lang la breve sequenza dello
spogliarello del robot-Maria in un bordello d’elìte; con notevole
perizia tecnica, in questo frangente s’intrecciano l’ardito strip
dell’automa, le sofferenze del povero Freder costretto a letto e preda di
allucinazioni e gli occhi bramosi dei ricchi avventori, le cui pupille
invadono e tappezzano lo schermo grazie a un certosino lavoro in stop
motion.
Metropolis: un film da vedere. Una volta, una sola, prima che sia
fisiologicamente troppo tardi. vertigini, con mezzi semplicissimi.
Malgrado ciò che il film denuncia, è una buona notizia.
Continue impalcature gotiche svelano la più straordinaria opera di
visionarietà e genialità di qualsiasi altra cinematografia occidentale.
Sullo schermo appare una massa epocale che disegna un’epoca del
futuro, un’ossessione estenuante pervade titanicamente sviluppo e
progresso. Fritz Lang progetta una città abitata da uomini e macchine e
anche da uomini meccanici o macchine umane, e la immerge in
simboli, in ruoli chiave, incastra perfettamente un delirio e lo struttura
verticalmente, tralasciando ogni umanesimo e spezzando il confine tra
bene e male.
La ricchezza e il potere sono la trama di ogni epoca, mentre il racconto
di essa lo armonizzano le persone, i mortali che introducono psiche e
movimento alla possibilità di ulteriorizzare il concetto umano e
avvicinarsi al divino.
Gigantismo spaziale e sperimentazione visiva, fondendosi, assumono
proporzioni comunicative impressionanti, tanto che Hitler riteneva
Metropolis il più importante film della storia del cinema.
Incredibile la realizzazione: la UFA (Universal Film
Aktiengesellschaft) pubblicò questi dati ufficiali: 310 giorni e 60 notti
di riprese, 1.300.000 metri di pellicola impressionata, 36.000
comparse, 750 bambini, 1100 uomini calvi, 100 negri, 25 cinesi, 3500
paia di scarpe, 75 parrucche, 50 automobili costruite secondo modelli
originali, 1.600.000 marchi di salari, 200.000 marchi per i costumi,
400.000 marchi per le scenografie e l’illuminazione.
Lang allinea la narrazione nella scienza e disegna il protagonistascienziato come il colpevole illuminato, capace di oltrepassare i limiti
della natura e dell’automa per diventare ribelle e assassino, simbolo
perenne di Metropolis dove volontà suprema e superomismo si
incarnano nel negativo, in una eroizazzione diabolica dell’esistenza. Il
Dottor Mabuse d’altronde già cinque anni prima aveva iniziato il
percorso…
L’amore non si può replicare ma se la distruzione vale un sentimento
allora ogni scienza strappa il suo scienziato all’epoca e gli dona il
potere di creazione, di distruzione e di mitizzazione.
Descrivere un simbolo in questo film può aiutare a coglierne gli
innumerevoli altri, dispersi ovunque, nelle pieghe narrative come nelle
cattedrali e case dilaniate da un tempo troppo nuovo, feroce per suo
stesso bisogno.
Le scale sono sempre in discesa, una sorta di sospensione continua
dove scendere significa espiar-si e incontrar-si, le catacombe della
psiche, il risentimento o il sentimento; ma durante l’allagamento della
città, solo per una volta le scale saliranno verso i Giardini Eterni,
inondate da bambini che si salvano, una catarsi spirituale che getta un
fascio di luce miracoloso.
Il regno dei cieli, della salita, si apre ai piedi delle nuove generazioni,
di una vita che passa e una nuova che avanza…
Per aspera ad astra.
Visionarietà e sintesi di esperienze
di Paola di Giuseppe Indie eye cinema
Nel felice incontro avvenuto in Germania nei primi decenni del secolo
scorso fra cinema e avanguardia espressionista, Metropolis (1927) è
infatti “ricapitolazione e sintesi di tutte le esperienze fin lì compiute e
può essere considerato come limite estremo del campo in questione”.
La qualificazione stilistica data al cinema dalla simbiosi fertile con il
linguaggio del teatro e delle arti visive, oltre che dalla grande
letteratura mitteleuropea di quegli anni, fu la conquista di un’epoca.
Figlio di quella cultura dell’Europa centrale che ha fondato la civiltà
dei tempi in cui viviamo, Lang elaborò immagini nate nella
Repubblica di Weimar guardando la skyline del Nuovo Mondo. Era il
1924 e arrivava a New York per la prima americana de I Nibelunghi :
“Io ed Erich fummo considerati i nemici stranieri, e per qualche strana
ragione non potemmo scendere a New York il giorno in cui la nave
arrivò al porto, ma dovemmo attendere il giorno dopo per sbarcare.
Ricordo, quella sera, di aver osservato dalla nave le principali strade di
New York illuminate a giorno dalle migliaia di insegne luminose. Era
uno spettacolo del tutto nuovo ed insolito ai miei occhi, e cercai di
immaginarmi quest’enorme città, piena di grattacieli, proiettata nel
futuro. E fu cosi che cominciai a pensare a Metropolis.” Diviso in
“Prologo”, “Intermezzo” e “Finale”, Metropolis ebbe la stessa vita
lunga e movimentata del suo autore. Nato come kolossal che richiese
diciotto mesi di lavorazione, oltre cinque milioni di marchi, migliaia di
comparse e un eccezionale staff di collaboratori, fra cui Eugen
Schüfftan inventore di arditi effetti speciali che fecero scuola.
Recuperato negli archivi del museo di Buenos Aires e dichiarato
patrimonio mondiale dell’umanità, il film torna oggi sul grande
schermo a due anni da “Metropolis – Il capolavoro ritrovato”, la
spettacolare mostra che la Cineteca di Berlino allestì nel 2012 a
Torino, al Museo del Cinema. Sintesi di ricerche compiute in più
ambiti (teatro, musica, letteratura, architettura), opera che indaga i
meccanismi del potere elaborando in immagini un’allegoria
sconvolgente sul destino dell’uomo, Metropolis è opera così eclettica
nelle scelte drammaturgiche e visive da diventare scuola di esperienze
future, in campo cinematografico e non. Dotata infatti di uno statuto
autonomo, è un classico che, mentre definisce il suo tempo, lo
trascende, intessuto con i fili di tante tradizioni a comporre un unico
scenario, di fronte al quale si resta ammirati e smarriti. Cinema che si
evolve in pittura, trasporta nei territori dell’incubo e dell’angoscia la
percezione del reale, ne destabilizza i connotati e li rende
irriconoscibili all’occhio abituato ad inconsistenti decalcomanie della
realtà. Immagine permanente nella sua verità che va oltre il tempo,
esemplare passaggio del cinema da Vision a Visionaire, nell’accezione
formulata da Rolf Merkel, quelle folle compongono uno scenario
drammaticamente profetico nella sua inalterata attualità. Ciò che
accade nel complesso intreccio che porta al finale spettacolare, in
un’accelerazione vorticosa di eventi che culmina nella catarsi
liberatoria, fonde stilemi della fantascienza con visioni apocalittiche di
matrice espressionista, prospettive di rigenerazione sociale di stampo
marxista e utopie messianiche coltivate da Thea von Harbou, moglie di
Lang fino al divorzio che precedette l’esilio volontario del regista in
America nel ’33, in fuga da Hitler e dalle sirene del Terzo Reich. “The
mediator between head and hands must be heart!” è la scritta in
sovraimpressione che chiude il film. Nel ’59 Lang, ricordandola, disse:
“Oggi non si può più dire che il cuore sia il mediatore fra il braccio e la
mente, perché si tratta d’un problema puramente economico “.