Nasce a Roma il polo di ricerca pediatrica più
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Nasce a Roma il polo di ricerca pediatrica più
R Anno VIII - Numero 3 - 24 ottobre 2014 eporter nu ovo ValleVegan Il villaggio dei vegani Matematica In mostra a Roma al Palazzo delle Esposizioni Roma antica Porta Maggiore nel degrado Impresa Barikamà yogurt African Style Buona Sanità Nasce a Roma il polo di ricerca pediatrica più importante d'Europa Quindicinale della Scuola Superiore di Giornalismo della LUISS Guido Carli R 3 5 Nasce a Roma il polo di ricerca pediatrica più importante d'Europa Genetica, malattie rare, onco-ematologia e immunoterapia. Il direttore scientifico, Dallapiccola: "Il centro avrà una ricaduta enorme sulle vite dei piccoli pazienti" 4 Barikamà, sfruttati a Rosarno, ora fanno yogurt African style a Martignano Hanno creato una cooperativa solidale dal nulla. Producono yogurt e lo consegnano in bicicletta in tutta la Capitale ValleVegan, il "villaggio" dei vegani a due passi da Roma A Rocca Santo Stefano, ValleVegan è uno dei più importanti rifugi per animali liberi. Tra umani e“non umani" sono in 200 7 9 6 Porta Maggiore, i resti della Roma antica nel degrado Costruita dall'imperatore Claudio e oggi punto nevralgico del traffico nella capitale, si trova in condizioni di abbandono Outdoor Urban Festival: 5 mila metri quadri d’arte a San Lorenzo Arrivato alla sua quinta edizione il Festival di arte urbana si rinnova: uno spazio chiuso, 13 artisti e 6 nazioni rappresentate 8 Filippo La Porta racconta la "bugia" chiamata Roma L’autore spiega il suo percorso bio-topografico tra le più belle menzogne della città eterna La matematica in mostra al Palazzo delle Esposizioni "Numeri. Tutto quello che conta da zero a infinito" è un percorso alla scoperta della storia e dei misteri di calcoli e cifre SOMMARIO R Nasce a Roma il polo di ricerca pediatrica più importante d'Europa POLITICA SANITÀ Genetica, malattie rare, onco-ematologia e immunoterapia. Il direttore scientifico, Dallapiccola: "Il centro avrà una ricaduta enorme sulle vite dei piccoli pazienti" Anna Madia Vale 26 milioni di euro di investimenti e 15 di budget annuo. Ma soprattutto può valere la spiegazione di tante gravi malattie che, spesso, colpiscono fin dalla nascita. Stiamo parlando del più importante polo pediatrico europeo per la ricerca scientifica e l'assistenza medica. Che, proprio martedì, ha aperto i battenti all'ospedale Bambin Gesù di Roma. "Si tratta di una novità che avrà un'enorme ricaduta sulle famiglie", spiega a Voci di Roma il direttore scientifico Bruno Dallapiccola. "Ogni anno, qui al Bambin Gesù, approdano migliaia di bambini affetti da malattie rare. Di 3500 patologie, però, noi non conosciamo ancora la base biologica". Malattie rare e genetica, appunto, ma anche onco-ematologia e patologie multifattoriali, immunoterapia e farmacoterapia: sono questi i campi d'indagine nella struttura del quartiere San Paolo. E se a tanti i termini oscuri non diranno nulla, c'è chi in mano ai ricercatori del Bambin Gesù mette il futuro dei propri figli. "Noi vogliamo dare un nome a queste malattie, capirne i meccanismi, monitorare le gravidanze. E poi cercare terapie adeguate", continua Dallapiccola. Non a caso il presidente dell'ospedale, Giuseppe Profiti, parla del "più grande investimento diretto nella ricerca fatto in Italia negli ultimi anni". Il perché è presto detto. "Qui si cura l'intero processo di diagnosi, spesso molto laborioso, e si svolge ricerca traslazionale. Non è un lavoro di puro studio, è proprio medicina come arte: avrà un impatto diretto sulla vita dei piccoli pazienti", spiega ancora il direttore scientifico Dallapiccola. "La sfida, insomma, è anche l'eccellenza assistenziale". Per vincerla, il Bambin Gesù si è dotato di uno spazio di 5 mila metri quadrati. Ospiterà tanti e diversi laboratori diagnostici che, pensati a partire dalle esigenze dei bambini, serviranno a svolgere indagini genetiche e cellulari. Ma non è tutto: a San Paolo, in collaborazione con il Policlinico Agostino Gemelli, è appena nata anche la cell-factory, realtà unica nell'intero Centro-Sud. Si tratta di un'officina farmacologica estesa su mille metri quadrati e dotata di ben 13 locali asettici; il luogo in cui si andrà in cerca di terapie specifiche per tante patologie. Vettori virali per portare nelle cellule malate di leucemia il DNA corretto, ad esempio, ma anche cellule immunitarie del paziente modificate per la cura dei tumori. E poi terapie geniche. La sfida è fondere ricerca e clinica, offrire un'assistenza adeguata e, infine, definire nuove terapie. Un obiettivo tutt'altro che facile, ma a provare a raggiungerlo è il più grande centro pediatrico italiano, quello che raccoglie il 45% della domanda ospedaliera pediatrica nazionale. Punto di riferimento per moltissime famiglie, da 30 anni lavora nel campo della ricerca "traslazionale" e in soli 5 ha visto raddoppiare la propria produzione scientifica. Ora l'ennesima scommessa. Un'ottima notizia per le famiglie, certo, ma anche per chi in corsia lavora quotidianamente. In un paese sempre meno abituato allo stanziamento di fondi per la ricerca scientifica, infatti, il polo del Bambin Gesù impiegherà subito 150 ricercatori. E raggiungerà quota 200 entro la fine del prossimo anno, quando funzionerà a pieno regime. Altro che fuga di cervelli. "Noi vogliamo, anzi, portare a Roma tanti studiosi italiani", conclude Bruno Dallapiccola. "Ma anche giovani stranieri, per aiutarli a crescere insieme ai nostri medici". § "La sfida è fondere ricerca e clinica, offrire un'assistenza adeguata e, infine, definire nuove terapie". 3 R Barikamà, sfruttati a Rosarno ora fanno yogurt African style a Martignano Hanno creato una cooperativa solidale dal nulla. Producono yogurt e lo consegnano in bicicletta in tutta la Capitale Erica Manniello e Marco Luigi Cimminella Dallo sfruttamento nei campi di Rosarno alla produzione di yogurt biologico. E' il lungo viaggio di un gruppo di immigrati africani che, giunti a Roma, hanno investito in un progetto di micro-reddito tanta energia e voglia di libertà. Quella coltivata durante la fuga dall'Africa, i chilometri in mare e lo sfruttamento nelle campagne ca- si è subito diretto a Rosarno. "Ci sono andato perché non avevo il permesso di soggiorno e mi avevano detto che lì c'era possibilità di lavorare a nero". Orari sfiancanti, paga misera, fame e violenze: l'esperienza di bracciante schiavizzato è finita con la rivolta del 2010, quando gli immigrati africani si sono riversati in strada per denuncia- "Seguiamo metodi tradizionali e non usiamo addensanti, coloranti, dolcificanti o conservanti" labresi. E conquistata con la nascita di Barikamà: una cooperativa agricola che fa yogurt naturale nel Casale di Martignano (Rm) e lo consegna in bicicletta nelle case e nei mercatini della Capitale. "Il mio viaggio per arrivare in Italia è durato 4 anni", racconta Suleman che, fuggito dal Mali e sbarcato a Siracusa, 4 re aggressioni e maltrattamenti. "Sono fuggito a Roma per cercare lavoro e ottenere il permesso di soggiorno". All'inizio non conoscevano nessuno, non avevano una casa. Crisi economica e difficoltà burocratiche chiudono ogni porta. "La scelta era tornare al sud, nelle campagne. Oppure rimanere qui e { ATTUALITÀ insistere". Aiutati da alcuni ragazzi dei centri sociali, come l'ex Snia, e dai gruppi di acquisto solidale hanno avviato il loro progetto: "Siamo partiti con 15 litri di latte a settimana". Ora sono arrivati a più di 150. Barikamà nasce così: dalla tenacia di un gruppo di persone. "In lingua bambara significa resistenza", spiega Cheikh, che viene dal Senegal: "L'obiettivo del progetto è garantire un reddito base a tutti i suoi membri. E magari in futuro espanderci, per aiutare altri immigrati in cerca di occupazione". "Speriamo di comprare presto delle mucche per diventare più autonomi", continua Suleman, mentre versa nei barattoli di vetro latte pastorizzato e fermenti lattici. "Seguiamo metodi tradizionali e non usiamo addensanti, coloranti, dolcificanti o conservanti". Un prodotto bio che è anche rispettoso dell'ambiente. Consegnato in bicicletta e venduto in barattoli di vetro con il sistema del vuoto a rendere, lo yogurt Barikamà fa un utilizzo razionale delle risorse: il contenitore, dopo essere stato pulito, viene restituito alla cooperativa. Iniziativa imprenditoriale, integrazione sociale, eco-sostenibilità. E la forza di resistere a una violenza subita, alla lontananza da casa, alla povertà: "L'Italia non è un Paese facile per un immigrato - commenta Cheikh - Ma se si dice così e non si fa nulla, rimarrà sempre tutto uguale, no?". R ValleVegan, il "villaggio" dei vegani a due passi da Roma A Rocca Santo Stefano, ValleVegan è uno dei più importanti rifugi per animali liberi. Tra umani e “non umani" sono in 200 Erica Manniello e Manuela Murgia Bisogna stare attenti a scendere alla fermata davanti allo smorzo - "negozio di materiali edili", lo chiamerebbe un non laziale. Da lì uno sterrato, a metà strada fra Rocca Santo Stefano e Bellegra, porta a ValleVegan, distesa di campi e colline. "Tra umani e non umani siamo circa 200", racconta Piero Liberati, che ha partecipato alla fondazione della Valle ormai otto anni fa. Nello specifico, gli umani sono lui, Antonella Inicorbaf e altre 2-3 persone non fisse, che quando non si godono la Valle girano l'Europa in bicicletta o fanno teatro a Roma. Loro stessi svolgono diverse altre attività, come campi antibracconaggio. I cosiddetti "non umani" sono cani, gatti, pecore, capre, maiali, galline, oche, tartarughe, conigli, una quindicina per ogni specie. Salvati da allevamenti, macellerie o laboratori, vivono liberi nel verde. Prima cosa, il nome. Vegan significa vegetariano radicale, che implica non mangiare carne, pesce, ma neanche derivati come formaggi, latticini, miele, uova. Vuol dire "non solo riuscire a salvare esseri viventi che sarebbero sfruttati ma anche fare una scelta di vita che non li includa nell'alimentazione o in altri scopi". Vegani sì, ma anche anti specisti, convinti cioè che nessuna specie sia superiore alle altre, e infine molto attenti a non umanizzare gli animali. "Cerchiamo di non trattarli come oggetti, come soprammobili, che è un po' la tendenza classica dell'animalista, che cerca di trasmettere fin troppo amore, spesso fin troppa frustrazione, su di loro". In mezzo ai prati sorge un piccolo casale colorato. Avrebbe potuto essere soltanto una roulotte o un prefabbricato, invece, "dopo grandi ragionamenti e grandi casualità", con l'utilizzo di materiali recuperati, Piero e gli altri hanno ristrutturato un intero casolare, circondato da 6 ettari di terra. Un luogo spartano, niente televisione né riscaldamento, perché "del superfluo si può fare a meno". Nessuno è proprietario: "ValleVegan sulla carta è una fondazione, lo abbia- "L'auspicio è anche che ci siano sempre più progetti simili al nostro in Italia e in Europa" 5 { ATTUALITÀ mo deciso perché non fosse di nessuno". Diversi progetti sono già in cantiere: "Vorremmo creare un bel frutteto, un orto, un vigneto, magari una pensione per cani da tenere liberi; renderci sempre più indipendenti". Anche perché le spese sono tante, perciò cibo e medicine sono sempre ben accetti. Così come persone che li aiutino concretamente. "Noi ci teniamo che chi vuole unirsi a noi abbracci pienamente il progetto. Non siamo in grado di aiutare qualcuno a senso unico, vogliamo crescere insieme e costruire sempre più questo posto. L'auspicio è anche che ci siano sempre più progetti simili al nostro in Italia e in Europa". Inizialmente accolti con titubanza dagli abitanti del luogo, hanno finito per instaurare ottimi rapporti con chi vive attorno alla Valle. Alcuni sono persino diventati vegetariani o vegani. Proprio nella vallata accanto, vivono tre signore anziane, che Piero e Antonella aiutano quotidianamente nelle faccende domestiche. "Hanno fatto una scelta di vita molto simile alla nostra, sono tornate alla ruralità", commenta Antonella, che ha anche iniziato ad insegnare danza in paese. Per Piero "libertà è vivere secondo i propri principi con coerenza, rispetto e conoscenza. Capire quali sono i tuoi obiettivi e alzarti la mattina col sorriso", e ci spiega che la loro preoccupazione principale è riuscire a mantenere liberi gli animali che hanno deciso di salvare. Ogni giorno più convinti e consapevoli della scelta fatta, non temono le incertezze del futuro. "Sarei molto più spaventata da una vita normale", ci dice Antonella. "In tempi difficili come questi la nostra scelta potrebbe anche essere, chissà, la rivoluzione". R Porta Maggiore, i resti della Roma antica nel degrado Costruita dall'imperatore Claudio e oggi punto nevralgico del traffico nella capitale, si trova in condizioni di abbandono Emanuele Gentile Bottiglie abbandonate, sacchi pieni di immondizia, bagni chimici maleodoranti e ricoveri prov visori per clochard. Sembra il ritratto di una periferia nel degrado, invece siamo a Por ta Maggiore, in pieno centro, proprio a due passi da San Giovanni e San Lorenzo. Quella che una volta rappresentava una delle por te più impor tanti nelle Mura Aureliane, adesso è un monumento lasciato a se stesso. E a saltare le vie Praenestina e Labicana. Nella seconda metà del III secolo, il monumento venne inglobato nel tracciato delle mura aureliane erette intorno alla città dall'imperatore Aureliano, assumendo così il nome di Por ta Praenestina o Labicana. Successivamente, nel 402, l'I mperatore Onorio fece innalzare un bastione davanti alla por ta, dividendola in due entrate distinte: la Praenestina a destra e la Labicana "Bottiglie abbandonate, sacchi pieni di immondizia, bagni chimici maleodoranti e ricoveri provvisori per clochard" all'occhio sono sporcizia, erbacce e incuria. La Storia - Por ta Maggiore fu co struita sotto l’imperatore Claudio nel 52 d.C. per consentire a otto degli undici acquedotti che por tavano l’acqua in città di scavalcare 6 a sinistra. L’ultimo inter vento risale al 1882 quando papa Gregorio XVI restaurò l’intera struttura demolendo in par te la costruzione onoraria e ripristinando l’antico assetto aureliano. Posizionata nel punto in cui sorgeva il vecchio tempio dedi- { SOCIETÀ cato nel 477 a.C. alla dea Speranza, la por ta veniva chiamata ad Spem Veterem. Tutta l'area nelle vicinanze, non a caso, è ricca di reper ti antichi: piccoli monumenti funebri, colombari, ipogei e, soprattutto, una basilica sotterranea. Il Presente - Piazza di Por ta Maggiore è uno dei punti nevralgici per il traffico capitolino. Nel perime tro che circonda le mura aureliane transitano tram, trenini, autobus e autovetture private. M igliaia di persone passano da qui ogni giorno per raggiungere i diversi luoghi collegati dai mezzi pubblici che fanno scalo nella piazza. La nevro si cittadina ha inghiottito anche il fascino della storia antica: nessuno presta attenzione ai ruderi monumentali, solo qualche turista scatta distrattamente un paio di foto. I tram attraversano gli archi stessi del monumento, così come i trenini regionali che collegano la stazione Termini con le periferie. Col passare degli anni le vibrazio ni delle carrozze hanno causato lo spostamento degli stipiti delle colonne. L’intera zona, del resto, è svilita dall’attacchinaggio di manifesti abusivi e dalla sosta selvaggia delle automobili. Nessuno, dal Co mune alla Soprintendenza archeo logica, sembra inter venire in modo risolutivo di fronte al deterioramento di un patrimonio ar tistico non soltanto della Capitale, ma dell’umanità intera. R ARTE Outdoor Urban Art Festival: 5 mila metri quadri d’arte a San Lorenzo Arrivato alla sua quinta edizione il Festival di arte urbana si rinnova: uno spazio chiuso, 13 artisti e 6 nazioni rappresentate Benedetta Michelangeli Ha colorato tante strade romane, quartiere Ostiense in testa: OUTDOOR Urban Art Festival, che dal 2010 si occupa di arte urbana nella Capitale, quest’anno cambia faccia. E posto. Da sabato 25 ottobre al 22 novembre, sarà infatti lo spazio La Dogana a Scalo San Lorenzo, con i suoi cinquemila metri quadri, ad ospitare la quinta edizione del Festival che in passato ha dato spazio a artisti come JB Rock, Kid Acne e Agostino Iacurci, e che per la prima volta ha sperimentato il crowdfounding come finanziamento partecipato per la realizzazione del murales di Sten&Lex a Garbatella. Anche quest’anno l’evento è curato da NuFactory. Ogni padiglione ospiterà un artista: sei le nazioni rappresentate. Francia, Grecia, Giappone, Sud Africa, Norvegia e Italia, anche in collaborazione con Ambasciate e Istituti di cultura stranieri. Un quartiere romano, quello di San Lorenzo, e uno spazio carico di storia che al termine di Outdoor sarà coinvolto in un progetto di nuova urbanizzazione. L’augurio da parte del presidente del II Municipio, Giuseppe Gerace, è che una volta terminata la mostra, il presidio culturale a San Lorenzo possa restare, seppur in uno spazio ridotto. Tanti gli artisti che esporranno le loro opere: gli italianii JB Rock, Laurina Paperina, Brus, Ike e Hoek, Tnec e e Galo, i greci Blaqk, la sudafricana Faith 47, Lady Aiko dal Giappone, il norvegese Dot dot dot, il francese Thomas Canto. Una rigenerazione artistica che coinvolgerà l'area chiusa da oltre 4 anni, in attesa della riconversione dello spazio. Una realtà visitabile anche attraverso tour virtuali grazie alla piattaforma on line Street Art Rome, collaborazione con il Google Cultural Institute, di cui NUfactory è partner nel progetto Street Art. “Da sempre crediamo nell’arte come straordinario strumento di dialogo e aggregazione, capace di coinvolgere ed emozionare il pubblico, rendendolo partecipe dei pro- "Ogni padiglione ospiterà un artista: sei le nazioni rappresentate. Francia, Grecia, Giappone, Sud Africa, Norvegia e Italia" 7 cessi di cambiamento che animano la città”, spiega Francesco Dobrovich, direttore e fondatore del Festival. Tanti artisti chiusi in questo spazio che "per la sua grandezza fa perdere i normali riferimenti spaziali, spiega Antonella Di Lullo, curatrice del festival - che non deve spaventare ma essere parte integrante del tutto, nessuna antitesi tra contenitore e contenuto, quanto piuttosto una perfetta coincidenza e sovrapposizione in cui l’arte esprime tutto il suo carico estetico, i suoi gesti impulsivi, emozionali, geniali e sempre diversi”. L’appropriazione dello spazio da parte dell’artista, il riscontro con i cittadini che quello spazio lo abitano, lo vedono cambiare e, se vogliono, possono pure partecipare aggiungendo un tratto al disegno. L’arte urbana che è comunità e recupero della memoria. Oltre ad Outdoor sono tanti gli esperimenti di street art che stanno coinvolgendo la Capitale. “Così gli anziani sembrano i più attenti osservatori della città che si colora”, ha raccontato nel corso della presentazione del Festival al Museo Maxxi di Roma, David Diavù Vecchiato, lo street artist e curatore di M.U.RO., il progetto di street art che ha trasformato il Quadraro in un museo a cielo aperto. A dipingere insieme a lui, tanti artisti internazionali che hanno convertito in tele en plain air pareti di palazzi e giardinetti. Esempi dal sapore europeo, che ricordano l’esperimento di Jean Faucheur. A Parigi, nel quartiere di Oberkampf, l'artista ha individuato una parete che a rotazione viene riempita dalla fantasia di artisti diversi, anche di chi per caso capita davanti quel muro. R Filippo La Porta racconta la "bugia" chiamata Roma L’autore spiega il suo percorso bio-topografico tra le più belle menzogne della città eterna Eugenio Murrali “Forse il mio è un mito, un mito culturale, ma lo stupore di noi romani potrebbe salvarci”. Filippo La Porta, intellettuale, critico letterario, guarda con ottimismo alle “anime stupefatte” che abitano la Capitale delle contraddizioni. Santità e dissacrazione, stupore e cinismo, la Roma dell’“Anvedi” amato da Pasolini e quella del “Che tte frega”. Nel suo nuovo libro lo scrittore dà corpo a un ritratto affettuoso e lucido della romanità e della sua “dialettica dei contrari”. Roma è una bugia (Editori Laterza, 122 pagine) è un percorso biografico, ma anche una “cartografia”, un pellegrinaggio tra memorie e cliché, una passeggiata tra molti (a volte troppi) richiami letterari. Da anni La Porta aveva in mente questo libro, voleva raccontare il sentimen- "Un percorso biografico, ma anche una “cartografia”, un pellegrinaggio tra memorie e cliché" 8 to di “apocalisse rimandata” che caratterizza Roma e forse voleva a sua volta rimandare degli addii, prolungare certe esistenze. Nelle sue pagine rivivono la Piazza del Popolo di Elsa Morante, le gallerie dove si incontravano pittori e scrittori, la via Merulana di Gadda e del concerto di Jimi Hendrix (due cercatori di nuove forme), gli anni vissuti al Liceo Nazareno con Carlo Verdone e Christian De Sica, le catabasi urbane dai Parioli a San Basilio. L’autore non si sente però un laudator temporis acti: “Non voglio fare quello che dice che Roma è stata bella l’ultima volta negli anni Settanta. Alcuni fatti sono oggettivi: nel centro storico ci sono quasi esclusivamente gelaterie e, come dice il mio amico Carlo Verdone, il gelato sa ovunque di shampoo, sono scomparsi tanti luoghi storici. Complessivamente però non sarei negativo, perché c’è stata una rivitalizzazione della periferia, dove ci sono moltissimi fermenti culturali, forme di resistenza civica”. E nel libro La Porta richiama gli orti urbani di San Basilio, le feste multietniche del Casilino, i racconti bellissimi sull’immensa periferia romana, che spesso si mostra accogliente. “Io sono meno pessimista di Paolo Sorrentino, − continua lo scrittore − perché in fondo il suo è un film molto malinconico che celebra in realtà la fine della grande bellezza. Nel suo film la grande bellezza si ritira da tutto, dalla vita sociale, dalla religione, dall’arte contemporanea. Tutto questo è vero a { CULTURA metà, perché Roma è una bugia o, se preferite, una mezza bugia: non è mai interamente quello che dice di essere”. Profonde le riflessioni dell’autore sulla deriva dell’architettura urbana, troppo centrata sulle grandi opere delle archistar e poco sulla riqualificazione: “Ci scontriamo con un mito del nostro tempo: il mito della creatività assoluta. Ma la creatività non è un diritto sociale come la salute o l’istruzione. e questo è un equivoco nel quale cadono anche gli architetti. Io abito a viale Aventino dove sui marciapiedi sono state messe delle strutture per i fiori orrende, ribattezzate nel quartiere le bare. Ho fatto una piccola indagine al I municipio e ho scoperto che gli architetti che le hanno disegnate volevano lasciare il segno. Dio mio, non lasciate questo segno. Come dico nel libro, in una grande città l’architettura è soprattutto manutenzione, gestione ragionevole dell’esistente”. E aggiunge: “Mi ha sempre colpito che le zone di degrado sociale si accompagnino a quelle di degrado urbano”. Dall'opera di La Porta, Roma emerge come metafora, l’urbanistica come educazione dell’anima, e questa, a dispetto del titolo, è una grande verità: “I luoghi sono dei dispositivi emotivi, io penso che le strade, le piazze di Roma mandino continuamente dei messaggi e ho sentito di doverli decifrare: in questo libro che ho maturato lentamente in me, Roma diventa un luogo simbolico, una visione del mondo, la metafora di un modo di vivere”. R CULTURA La matematica in mostra al Palazzo delle Esposizioni { "Numeri. Tutto quello che conta da zero a infinito" è un percorso alla scoperta della storia e dei misteri di calcoli e cifre Antonia Murgo, Alice Passamonti, Antonella Scarfò Un bambino annoiato a morte dalla matematica e un mago dei numeri che gliela farà riscoprire. È la trama di un libro per ragazzi di Hans Magnus Enzensberger, Il mago dei numeri. Ma potrebbe essere il filo conduttore della mostra “Numeri. Tutto quello che conta da zero a infinito”, al Palazzo delle Esposizioni fino al 31 maggio. Nel libro ci sono 12 sogni, qui, invece, 12 sale. E il vero protagonista è il visitatore. La matematica diventa un gioco da ragazzi per adulti e bambini, guidati dalla “magia” di grandi menti del passato: da Pitagora a Fermant, passando per Fibonacci. Ecco tutte le curiosità. Appuntamento con la storia - La mostra non può che fare riferiemento alla figura del fisico Albert Einstein (1879-1955). Proprio nel 2015, infatti, ricorre il centenario della rivoluzionaria Teoria della Relatività, grazie alla quale è stato possibile approfondire la comprensione del tempo, dello spazio e del funzionamento dell'intero universo. Diamo i numeri - Quante palline, spugne o paperelle ci sono nelle teche? Nella prima sala, un gioco interattivo sfida i visitatori a calcolarli a mente. I numeri come “oggetti naturali” prendono la forma di palline da tennis e da ping-pong, spugne metalliche, fili di lana e fagioli, ma indovinarne la cifra esatta non è facile. E attenzione a non far arrabbiare il gioco: “Il numero inserito è troppo basso!” è la scritta che appare sul monitor in caso di errore. Storie, simboli e curiosità - Non ci sono molti nomi femminili legati alla scienza dei numeri. La rivincita delle matematiche arri- 9 va soltanto nel 2014, quando Maryan Mirzakhan conquista un prestigioso premio matematico: la medaglia Fields. I numeri sono da sempre legati alla fortuna e alla sfortuna tanto da aver dato vita a vere e proprie teorie numerologiche. In Cina, ad esempio, la sorte è decisa dall’omofonia. Il numero 8, la cui pronuncia è simile alla parola “soldi”, porta fortuna. Il 4, invece, è un numero sfortunato, per la sua vicinanza alla parola “morte”. Gesti e segni per contare - Gli occidentali contano in base 10 per via delle dieci dita delle mani. In molte culture invece si conta in base 5. Diversi sono anche i calendari, una grande proiezione mostra alcune date storiche scritte secondo le varie modalità. Prima dei computer c’erano i “computer” - Il termine indicava persone con una particolare abilità nel calcolo mentale. Ma anche abachi, antiche calcolatrici, e strumenti ingegnosi come il quipu: sistema peruviano di cordicelle colorate e annodate secondo un ordine di unità, decine, centinaia e migliaia. Le cifre che contano - I numeri diventano soldi che diventano debiti. E i babilonesi erano attenti ai debiti almeno quanto le donne oggi sono attente al peso. Nella sala 7, i numeri sono usati per quantificare e misurare. Una bacheca di pesi e bilancine fa da sfondo a un’enorme “macchina per antropometria”: il visitatore sale su una pedana e uno “specchio” digitale calcola peso e altezza. E non mancano simpatici confronti con l’elefante più pensante del mondo o col vulcano più alto. Misurare il mondo - La mostra, iniziata con un lungo corridoio illuminato, si conclude in una saletta buia occupata da “colonne” di cifre in continua evoluzione: la popolazione mondiale, i nati del giorno, l’energia solare che colpisce il pianeta. Ora facciamo i conti - È il titolo dell’atelier-laboratorio dedicato ai bambini. Qui una squadra di giovani educatrici, attraverso “trucchetti” e giochi di scomposizione, mostra ai più piccoli le magie nascoste tra i numeri. Ma a dover fare i conti con la matematica sono soprattutto gli adulti, messi alla prova da frazioni, radici quadrate e teoremi. R Quindicinale della Scuola Superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” Direttore responsabile Roberto Cotroneo Ufficio centrale Emiliano Condò, Sara Grattoggi, Giovangualberto Lucarini e Sandro Marucci Progettazione grafica e impaginazione Claudio Cavalensi Redazione Viale Pola, 12 - 00198 Roma tel. 06.85225358 - fax 06.85225515 Stampa Centro riproduzione dell’Università Reg. Tribunale di Roma n. 15/08 del 21 gennaio 2008 [email protected] - www.reporternuovo.it