Nasce a Roma il polo di ricerca pediatrica più

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Nasce a Roma il polo di ricerca pediatrica più
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Anno VIII - Numero 3 - 24 ottobre 2014
eporter
nu ovo
ValleVegan
Il villaggio
dei vegani
Matematica
In mostra a Roma
al Palazzo delle Esposizioni
Roma antica
Porta Maggiore
nel degrado
Impresa
Barikamà
yogurt African Style
Buona
Sanità
Nasce a Roma il polo di ricerca pediatrica
più importante d'Europa
Quindicinale della Scuola Superiore di Giornalismo della LUISS Guido Carli
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Nasce a Roma il polo di ricerca pediatrica più importante d'Europa
Genetica, malattie rare, onco-ematologia e immunoterapia. Il direttore scientifico,
Dallapiccola: "Il centro avrà una ricaduta enorme sulle vite dei piccoli pazienti"
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Barikamà, sfruttati a Rosarno, ora fanno yogurt African style a Martignano
Hanno creato una cooperativa solidale dal nulla. Producono yogurt e lo consegnano
in bicicletta in tutta la Capitale
ValleVegan, il "villaggio" dei vegani a due passi da Roma
A Rocca Santo Stefano, ValleVegan è uno dei più importanti rifugi per animali liberi.
Tra umani e“non umani" sono in 200
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Porta Maggiore, i resti della Roma antica nel degrado
Costruita dall'imperatore Claudio e oggi punto nevralgico del traffico nella
capitale, si trova in condizioni di abbandono
Outdoor Urban Festival: 5 mila metri quadri d’arte a San Lorenzo
Arrivato alla sua quinta edizione il Festival di arte urbana si rinnova: uno spazio chiuso, 13 artisti
e 6 nazioni rappresentate
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Filippo La Porta racconta la "bugia" chiamata Roma
L’autore spiega il suo percorso bio-topografico tra le più belle menzogne
della città eterna
La matematica in mostra al Palazzo delle Esposizioni
"Numeri. Tutto quello che conta da zero a infinito" è un percorso alla scoperta
della storia e dei misteri di calcoli e cifre
SOMMARIO
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Nasce a Roma il polo di ricerca
pediatrica più importante d'Europa
POLITICA
SANITÀ
Genetica, malattie rare, onco-ematologia e immunoterapia. Il direttore scientifico,
Dallapiccola: "Il centro avrà una ricaduta enorme sulle vite dei piccoli pazienti"
Anna Madia
Vale 26 milioni di euro di investimenti e 15 di budget annuo. Ma soprattutto può valere la spiegazione
di tante gravi malattie che, spesso,
colpiscono fin dalla nascita. Stiamo
parlando del più importante polo
pediatrico europeo per la ricerca
scientifica e l'assistenza medica. Che,
proprio martedì, ha aperto i battenti
all'ospedale Bambin Gesù di Roma.
"Si tratta di una novità che avrà
un'enorme ricaduta sulle famiglie",
spiega a Voci di Roma il direttore
scientifico Bruno Dallapiccola. "Ogni
anno, qui al Bambin Gesù, approdano migliaia di bambini affetti da malattie rare. Di 3500 patologie, però,
noi non conosciamo ancora la base
biologica". Malattie rare e genetica,
appunto, ma anche onco-ematologia e patologie multifattoriali, immunoterapia e farmacoterapia: sono
questi i campi d'indagine nella struttura del quartiere San Paolo.
E se a tanti i termini oscuri non diranno nulla, c'è chi in mano ai ricercatori del Bambin Gesù mette il futuro dei propri figli. "Noi vogliamo dare
un nome a queste malattie, capirne i
meccanismi, monitorare le gravidanze. E poi cercare terapie adeguate",
continua Dallapiccola. Non a caso il
presidente dell'ospedale, Giuseppe
Profiti, parla del "più grande investimento diretto nella ricerca fatto in
Italia negli ultimi anni".
Il perché è presto detto. "Qui si
cura l'intero processo di diagnosi,
spesso molto laborioso, e si svolge
ricerca traslazionale. Non è un lavoro di puro studio, è proprio medicina
come arte: avrà un impatto diretto
sulla vita dei piccoli pazienti", spiega
ancora il direttore scientifico Dallapiccola. "La sfida, insomma, è anche
l'eccellenza assistenziale".
Per vincerla, il Bambin Gesù si è
dotato di uno spazio di 5 mila metri quadrati. Ospiterà tanti e diversi
laboratori diagnostici che, pensati a
partire dalle esigenze dei bambini,
serviranno a svolgere indagini genetiche e cellulari. Ma non è tutto:
a San Paolo, in collaborazione con il
Policlinico Agostino Gemelli, è appena nata anche la cell-factory, realtà
unica nell'intero Centro-Sud. Si tratta di un'officina farmacologica estesa su mille metri quadrati e dotata di
ben 13 locali asettici; il luogo in cui
si andrà in cerca di terapie specifiche
per tante patologie. Vettori virali per
portare nelle cellule malate di leucemia il DNA corretto, ad esempio,
ma anche cellule immunitarie del
paziente modificate per la cura dei
tumori. E poi terapie geniche.
La sfida è fondere ricerca e clinica, offrire un'assistenza adeguata
e, infine, definire nuove terapie. Un
obiettivo tutt'altro che facile, ma a
provare a raggiungerlo è il più grande centro pediatrico italiano, quello
che raccoglie il 45% della domanda
ospedaliera pediatrica nazionale.
Punto di riferimento per moltissime
famiglie, da 30 anni lavora nel campo della ricerca "traslazionale" e in
soli 5 ha visto raddoppiare la propria
produzione scientifica.
Ora l'ennesima scommessa. Un'ottima notizia per le famiglie, certo, ma
anche per chi in corsia lavora quotidianamente. In un paese sempre
meno abituato allo stanziamento di
fondi per la ricerca scientifica, infatti,
il polo del Bambin Gesù impiegherà
subito 150 ricercatori. E raggiungerà
quota 200 entro la fine del prossimo
anno, quando funzionerà a pieno regime. Altro che fuga di cervelli. "Noi
vogliamo, anzi, portare a Roma tanti studiosi italiani", conclude Bruno
Dallapiccola. "Ma anche giovani stranieri, per aiutarli a crescere insieme
ai nostri medici".
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"La sfida è fondere ricerca e clinica, offrire un'assistenza adeguata
e, infine, definire nuove terapie".
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Barikamà, sfruttati a Rosarno
ora fanno yogurt African style a Martignano
Hanno creato una cooperativa solidale dal nulla. Producono yogurt e lo consegnano
in bicicletta in tutta la Capitale
Erica Manniello e Marco Luigi Cimminella
Dallo sfruttamento nei campi di Rosarno alla produzione di yogurt biologico. E' il lungo viaggio di un gruppo di immigrati africani che, giunti a
Roma, hanno investito in un progetto
di micro-reddito tanta energia e voglia di libertà. Quella coltivata durante
la fuga dall'Africa, i chilometri in mare
e lo sfruttamento nelle campagne ca-
si è subito diretto a Rosarno. "Ci sono
andato perché non avevo il permesso
di soggiorno e mi avevano detto che lì
c'era possibilità di lavorare a nero".
Orari sfiancanti, paga misera, fame
e violenze: l'esperienza di bracciante
schiavizzato è finita con la rivolta del
2010, quando gli immigrati africani si
sono riversati in strada per denuncia-
"Seguiamo metodi tradizionali e non usiamo
addensanti, coloranti, dolcificanti o conservanti"
labresi. E conquistata con la nascita di
Barikamà: una cooperativa agricola che
fa yogurt naturale nel Casale di Martignano (Rm) e lo consegna in bicicletta
nelle case e nei mercatini della Capitale.
"Il mio viaggio per arrivare in Italia è
durato 4 anni", racconta Suleman che,
fuggito dal Mali e sbarcato a Siracusa,
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re aggressioni e maltrattamenti. "Sono
fuggito a Roma per cercare lavoro e
ottenere il permesso di soggiorno".
All'inizio non conoscevano nessuno,
non avevano una casa. Crisi economica
e difficoltà burocratiche chiudono ogni
porta. "La scelta era tornare al sud, nelle campagne. Oppure rimanere qui e
{
ATTUALITÀ
insistere". Aiutati da alcuni ragazzi dei
centri sociali, come l'ex Snia, e dai gruppi di acquisto solidale hanno avviato il
loro progetto: "Siamo partiti con 15 litri
di latte a settimana". Ora sono arrivati
a più di 150. Barikamà nasce così: dalla tenacia di un gruppo di persone. "In
lingua bambara significa resistenza",
spiega Cheikh, che viene dal Senegal:
"L'obiettivo del progetto è garantire
un reddito base a tutti i suoi membri. E
magari in futuro espanderci, per aiutare
altri immigrati in cerca di occupazione".
"Speriamo di comprare presto
delle mucche per diventare più autonomi", continua Suleman, mentre
versa nei barattoli di vetro latte pastorizzato e fermenti lattici. "Seguiamo metodi tradizionali e non usiamo
addensanti, coloranti, dolcificanti o
conservanti". Un prodotto bio che
è anche rispettoso dell'ambiente.
Consegnato in bicicletta e venduto
in barattoli di vetro con il sistema
del vuoto a rendere, lo yogurt Barikamà fa un utilizzo razionale delle
risorse: il contenitore, dopo essere
stato pulito, viene restituito alla cooperativa.
Iniziativa imprenditoriale, integrazione sociale, eco-sostenibilità. E la
forza di resistere a una violenza subita, alla lontananza da casa, alla povertà: "L'Italia non è un Paese facile
per un immigrato - commenta Cheikh
- Ma se si dice così e non si fa nulla,
rimarrà sempre tutto uguale, no?".
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ValleVegan, il "villaggio" dei vegani
a due passi da Roma
A Rocca Santo Stefano, ValleVegan è uno dei più importanti rifugi per animali
liberi. Tra umani e “non umani" sono in 200
Erica Manniello e Manuela Murgia
Bisogna stare attenti a scendere alla fermata davanti allo smorzo - "negozio di materiali edili", lo chiamerebbe un non laziale.
Da lì uno sterrato, a metà strada fra Rocca
Santo Stefano e Bellegra, porta a ValleVegan,
distesa di campi e colline.
"Tra umani e non umani siamo circa 200",
racconta Piero Liberati, che ha partecipato
alla fondazione della Valle ormai otto anni fa.
Nello specifico, gli umani sono lui, Antonella Inicorbaf e altre 2-3 persone non fisse, che
quando non si godono la Valle girano l'Europa
in bicicletta o fanno teatro a Roma. Loro stessi svolgono diverse altre attività, come campi
antibracconaggio. I cosiddetti "non umani"
sono cani, gatti, pecore, capre, maiali, galline,
oche, tartarughe, conigli, una quindicina per
ogni specie. Salvati da allevamenti, macellerie
o laboratori, vivono liberi nel verde. Prima cosa,
il nome. Vegan significa vegetariano radicale,
che implica non mangiare carne, pesce, ma neanche derivati come formaggi, latticini, miele,
uova. Vuol dire "non solo riuscire a salvare esseri viventi che sarebbero sfruttati ma anche fare
una scelta di vita che non li includa nell'alimentazione o in altri scopi". Vegani sì, ma anche anti
specisti, convinti cioè che nessuna specie sia
superiore alle altre, e infine molto attenti a non
umanizzare gli animali. "Cerchiamo di non trattarli come oggetti, come soprammobili, che è
un po' la tendenza classica dell'animalista, che
cerca di trasmettere fin troppo amore, spesso
fin troppa frustrazione, su di loro".
In mezzo ai prati sorge un piccolo casale colorato. Avrebbe potuto essere soltanto una roulotte o un prefabbricato, invece,
"dopo grandi ragionamenti e grandi casualità", con l'utilizzo di materiali recuperati,
Piero e gli altri hanno ristrutturato un intero
casolare, circondato da 6 ettari di terra. Un
luogo spartano, niente televisione né riscaldamento, perché "del superfluo si può fare
a meno". Nessuno è proprietario: "ValleVegan sulla carta è una fondazione, lo abbia-
"L'auspicio è anche che ci siano sempre più
progetti simili al nostro in Italia e in Europa"
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ATTUALITÀ
mo deciso perché non fosse di nessuno".
Diversi progetti sono già in cantiere: "Vorremmo creare un bel frutteto, un orto, un vigneto, magari una pensione per cani da tenere
liberi; renderci sempre più indipendenti". Anche perché le spese sono tante, perciò cibo e
medicine sono sempre ben accetti. Così come
persone che li aiutino concretamente. "Noi
ci teniamo che chi vuole unirsi a noi abbracci
pienamente il progetto. Non siamo in grado di
aiutare qualcuno a senso unico, vogliamo crescere insieme e costruire sempre più questo
posto. L'auspicio è anche che ci siano sempre
più progetti simili al nostro in Italia e in Europa".
Inizialmente accolti con titubanza dagli
abitanti del luogo, hanno finito per instaurare
ottimi rapporti con chi vive attorno alla Valle.
Alcuni sono persino diventati vegetariani o vegani. Proprio nella vallata accanto, vivono tre
signore anziane, che Piero e Antonella aiutano
quotidianamente nelle faccende domestiche.
"Hanno fatto una scelta di vita molto simile alla
nostra, sono tornate alla ruralità", commenta
Antonella, che ha anche iniziato ad insegnare
danza in paese.
Per Piero "libertà è vivere secondo i propri
principi con coerenza, rispetto e conoscenza.
Capire quali sono i tuoi obiettivi e alzarti la mattina col sorriso", e ci spiega che la loro preoccupazione principale è riuscire a mantenere liberi
gli animali che hanno deciso di salvare. Ogni
giorno più convinti e consapevoli della scelta
fatta, non temono le incertezze del futuro. "Sarei molto più spaventata da una vita normale",
ci dice Antonella. "In tempi difficili come questi
la nostra scelta potrebbe anche essere, chissà,
la rivoluzione".
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Porta Maggiore,
i resti della Roma antica nel degrado
Costruita dall'imperatore Claudio e oggi punto nevralgico del traffico nella capitale, si trova in condizioni di abbandono
Emanuele Gentile
Bottiglie abbandonate, sacchi
pieni di immondizia, bagni chimici
maleodoranti e ricoveri prov visori
per clochard. Sembra il ritratto di
una periferia nel degrado, invece
siamo a Por ta Maggiore, in pieno
centro, proprio a due passi da San
Giovanni e San Lorenzo. Quella che
una volta rappresentava una delle por te più impor tanti nelle Mura
Aureliane, adesso è un monumento lasciato a se stesso. E a saltare
le vie Praenestina e Labicana. Nella seconda metà del III secolo, il
monumento venne inglobato nel
tracciato delle mura aureliane erette intorno alla città dall'imperatore
Aureliano, assumendo così il nome
di Por ta Praenestina o Labicana.
Successivamente, nel 402, l'I mperatore Onorio fece innalzare un
bastione davanti alla por ta, dividendola in due entrate distinte: la
Praenestina a destra e la Labicana
"Bottiglie abbandonate, sacchi pieni di immondizia,
bagni chimici maleodoranti e ricoveri
provvisori per clochard"
all'occhio sono sporcizia, erbacce e
incuria.
La Storia - Por ta Maggiore fu co struita sotto l’imperatore Claudio
nel 52 d.C. per consentire a otto
degli undici acquedotti che por tavano l’acqua in città di scavalcare
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a sinistra. L’ultimo inter vento risale
al 1882 quando papa Gregorio XVI
restaurò l’intera struttura demolendo in par te la costruzione onoraria
e ripristinando l’antico assetto aureliano. Posizionata nel punto in
cui sorgeva il vecchio tempio dedi-
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SOCIETÀ
cato nel 477 a.C. alla dea Speranza,
la por ta veniva chiamata ad Spem
Veterem. Tutta l'area nelle vicinanze, non a caso, è ricca di reper ti antichi: piccoli monumenti funebri,
colombari, ipogei e, soprattutto,
una basilica sotterranea.
Il Presente - Piazza di Por ta Maggiore è uno dei punti nevralgici per
il traffico capitolino. Nel perime tro che circonda le mura aureliane
transitano tram, trenini, autobus
e autovetture private. M igliaia di
persone passano da qui ogni giorno per raggiungere i diversi luoghi
collegati dai mezzi pubblici che
fanno scalo nella piazza. La nevro si cittadina ha inghiottito anche il
fascino della storia antica: nessuno
presta attenzione ai ruderi monumentali, solo qualche turista scatta
distrattamente un paio di foto.
I tram attraversano gli archi
stessi del monumento, così come
i trenini regionali che collegano la
stazione Termini con le periferie.
Col passare degli anni le vibrazio ni delle carrozze hanno causato
lo spostamento degli stipiti delle
colonne. L’intera zona, del resto, è
svilita dall’attacchinaggio di manifesti abusivi e dalla sosta selvaggia
delle automobili. Nessuno, dal Co mune alla Soprintendenza archeo logica, sembra inter venire in modo
risolutivo di fronte al deterioramento di un patrimonio ar tistico
non soltanto della Capitale, ma
dell’umanità intera.
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ARTE
Outdoor Urban Art Festival:
5 mila metri quadri d’arte a San Lorenzo
Arrivato alla sua quinta edizione il Festival di arte urbana si rinnova: uno spazio
chiuso, 13 artisti e 6 nazioni rappresentate
Benedetta Michelangeli
Ha colorato tante strade romane, quartiere Ostiense in testa: OUTDOOR Urban
Art Festival, che dal 2010 si occupa di arte
urbana nella Capitale, quest’anno cambia
faccia. E posto. Da sabato 25 ottobre al 22
novembre, sarà infatti lo spazio La Dogana
a Scalo San Lorenzo, con i suoi cinquemila metri quadri, ad ospitare la quinta edizione del Festival che in passato ha dato
spazio a artisti come JB Rock, Kid Acne e
Agostino Iacurci, e che per la prima volta
ha sperimentato il crowdfounding come
finanziamento partecipato per la realizzazione del murales di Sten&Lex a Garbatella. Anche quest’anno l’evento è curato da
NuFactory. Ogni padiglione ospiterà un
artista: sei le nazioni rappresentate. Francia, Grecia, Giappone, Sud Africa, Norvegia e Italia, anche in collaborazione con
Ambasciate e Istituti di cultura stranieri.
Un quartiere romano, quello di San Lorenzo, e uno spazio carico di storia che al
termine di Outdoor sarà coinvolto in un
progetto di nuova urbanizzazione. L’augurio da parte del presidente del II Municipio, Giuseppe Gerace, è che una volta
terminata la mostra, il presidio culturale a
San Lorenzo possa restare, seppur in uno
spazio ridotto. Tanti gli artisti che esporranno le loro opere: gli italianii JB Rock,
Laurina Paperina, Brus, Ike e Hoek, Tnec e
e Galo, i greci Blaqk, la sudafricana Faith
47, Lady Aiko dal Giappone, il norvegese
Dot dot dot, il francese Thomas Canto.
Una rigenerazione artistica che coinvolgerà l'area chiusa da oltre 4 anni, in
attesa della riconversione dello spazio.
Una realtà visitabile anche attraverso tour
virtuali grazie alla piattaforma on line
Street Art Rome, collaborazione con il Google Cultural Institute, di cui NUfactory è
partner nel progetto Street Art. “Da sempre crediamo nell’arte come straordinario strumento di dialogo e aggregazione,
capace di coinvolgere ed emozionare il
pubblico, rendendolo partecipe dei pro-
"Ogni padiglione ospiterà un artista: sei le nazioni
rappresentate. Francia, Grecia, Giappone, Sud Africa,
Norvegia e Italia"
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cessi di cambiamento che animano la città”, spiega Francesco Dobrovich, direttore
e fondatore del Festival. Tanti artisti chiusi
in questo spazio che "per la sua grandezza
fa perdere i normali riferimenti spaziali, spiega Antonella Di Lullo, curatrice del festival - che non deve spaventare ma essere
parte integrante del tutto, nessuna antitesi tra contenitore e contenuto, quanto
piuttosto una perfetta coincidenza e sovrapposizione in cui l’arte esprime tutto il
suo carico estetico, i suoi gesti impulsivi,
emozionali, geniali e sempre diversi”.
L’appropriazione dello spazio da parte
dell’artista, il riscontro con i cittadini che
quello spazio lo abitano, lo vedono cambiare e, se vogliono, possono pure partecipare aggiungendo un tratto al disegno.
L’arte urbana che è comunità e recupero
della memoria. Oltre ad Outdoor sono tanti gli esperimenti di street art che stanno
coinvolgendo la Capitale. “Così gli anziani
sembrano i più attenti osservatori della
città che si colora”, ha raccontato nel corso della presentazione del Festival al Museo Maxxi di Roma, David Diavù Vecchiato, lo street artist e curatore di M.U.RO., il
progetto di street art che ha trasformato
il Quadraro in un museo a cielo aperto.
A dipingere insieme a lui, tanti artisti internazionali che hanno convertito in tele
en plain air pareti di palazzi e giardinetti.
Esempi dal sapore europeo, che ricordano
l’esperimento di Jean Faucheur. A Parigi,
nel quartiere di Oberkampf, l'artista ha
individuato una parete che a rotazione
viene riempita dalla fantasia di artisti
diversi, anche di chi per caso capita davanti quel muro.
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Filippo La Porta racconta
la "bugia" chiamata Roma
L’autore spiega il suo percorso bio-topografico tra le più belle menzogne della città eterna
Eugenio Murrali
“Forse il mio è un mito, un mito culturale, ma lo stupore di noi romani potrebbe salvarci”.
Filippo La Porta, intellettuale, critico
letterario, guarda con ottimismo alle
“anime stupefatte” che abitano la Capitale delle contraddizioni. Santità e dissacrazione, stupore e cinismo, la Roma
dell’“Anvedi” amato da Pasolini e quella
del “Che tte frega”.
Nel suo nuovo libro lo scrittore dà
corpo a un ritratto affettuoso e lucido
della romanità e della sua “dialettica dei
contrari”.
Roma è una bugia (Editori Laterza,
122 pagine) è un percorso biografico,
ma anche una “cartografia”, un pellegrinaggio tra memorie e cliché, una passeggiata tra molti (a volte troppi) richiami letterari.
Da anni La Porta aveva in mente questo libro, voleva raccontare il sentimen-
"Un percorso biografico,
ma anche una “cartografia”,
un pellegrinaggio
tra memorie e cliché"
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to di “apocalisse rimandata” che caratterizza Roma e forse voleva a sua volta
rimandare degli addii, prolungare certe
esistenze.
Nelle sue pagine rivivono la Piazza
del Popolo di Elsa Morante, le gallerie
dove si incontravano pittori e scrittori,
la via Merulana di Gadda e del concerto
di Jimi Hendrix (due cercatori di nuove
forme), gli anni vissuti al Liceo Nazareno con Carlo Verdone e Christian De
Sica, le catabasi urbane dai Parioli a San
Basilio.
L’autore non si sente però un laudator temporis acti: “Non voglio fare quello che dice che Roma è stata bella l’ultima volta negli anni Settanta. Alcuni
fatti sono oggettivi: nel centro storico ci
sono quasi esclusivamente gelaterie e,
come dice il mio amico Carlo Verdone,
il gelato sa ovunque di shampoo, sono
scomparsi tanti luoghi storici. Complessivamente però non sarei negativo, perché c’è stata una rivitalizzazione
della periferia, dove ci sono moltissimi
fermenti culturali, forme di resistenza
civica”. E nel libro La Porta richiama gli
orti urbani di San Basilio, le feste multietniche del Casilino, i racconti bellissimi sull’immensa periferia romana, che
spesso si mostra accogliente.
“Io sono meno pessimista di Paolo
Sorrentino, − continua lo scrittore −
perché in fondo il suo è un film molto
malinconico che celebra in realtà la fine
della grande bellezza. Nel suo film la
grande bellezza si ritira da tutto, dalla vita sociale, dalla religione, dall’arte
contemporanea. Tutto questo è vero a
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CULTURA
metà, perché Roma è una bugia o, se
preferite, una mezza bugia: non è mai
interamente quello che dice di essere”.
Profonde le riflessioni dell’autore
sulla deriva dell’architettura urbana,
troppo centrata sulle grandi opere delle
archistar e poco sulla riqualificazione:
“Ci scontriamo con un mito del nostro
tempo: il mito della creatività assoluta.
Ma la creatività non è un diritto sociale
come la salute o l’istruzione. e questo è
un equivoco nel quale cadono anche gli
architetti. Io abito a viale Aventino dove
sui marciapiedi sono state messe delle
strutture per i fiori orrende, ribattezzate
nel quartiere le bare. Ho fatto una piccola indagine al I municipio e ho scoperto che gli architetti che le hanno disegnate volevano lasciare il segno. Dio
mio, non lasciate questo segno. Come
dico nel libro, in una grande città l’architettura è soprattutto manutenzione,
gestione ragionevole dell’esistente”. E
aggiunge: “Mi ha sempre colpito che le
zone di degrado sociale si accompagnino a quelle di degrado urbano”.
Dall'opera di La Porta, Roma emerge come metafora, l’urbanistica
come educazione dell’anima, e questa, a dispetto del titolo, è una grande verità:
“I luoghi sono dei dispositivi emotivi, io penso che le strade, le piazze
di Roma mandino continuamente dei
messaggi e ho sentito di doverli decifrare: in questo libro che ho maturato lentamente in me, Roma diventa un
luogo simbolico, una visione del mondo,
la metafora di un modo di vivere”.
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CULTURA
La matematica in mostra
al Palazzo delle Esposizioni
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"Numeri. Tutto quello che conta da zero a infinito" è un percorso alla scoperta
della storia e dei misteri di calcoli e cifre
Antonia Murgo, Alice Passamonti, Antonella Scarfò
Un bambino annoiato a morte dalla matematica e un mago dei numeri che gliela
farà riscoprire. È la trama di un libro per ragazzi di Hans Magnus Enzensberger, Il mago
dei numeri. Ma potrebbe essere il filo conduttore della mostra “Numeri. Tutto quello
che conta da zero a infinito”, al Palazzo delle Esposizioni fino al 31 maggio. Nel libro ci
sono 12 sogni, qui, invece, 12 sale. E il vero
protagonista è il visitatore. La matematica
diventa un gioco da ragazzi per adulti e bambini, guidati dalla “magia” di grandi menti del
passato: da Pitagora a Fermant, passando
per Fibonacci. Ecco tutte le curiosità.
Appuntamento con la storia - La mostra
non può che fare riferiemento alla figura del
fisico Albert Einstein (1879-1955). Proprio
nel 2015, infatti, ricorre il centenario della
rivoluzionaria Teoria della Relatività, grazie
alla quale è stato possibile approfondire la
comprensione del tempo, dello spazio e del
funzionamento dell'intero universo.
Diamo i numeri - Quante palline, spugne
o paperelle ci sono nelle teche? Nella prima
sala, un gioco interattivo sfida i visitatori a
calcolarli a mente. I numeri come “oggetti naturali” prendono la forma di palline da
tennis e da ping-pong, spugne metalliche,
fili di lana e fagioli, ma indovinarne la cifra
esatta non è facile. E attenzione a non far arrabbiare il gioco: “Il numero inserito è troppo
basso!” è la scritta che appare sul monitor in
caso di errore.
Storie, simboli e curiosità - Non ci sono
molti nomi femminili legati alla scienza dei
numeri. La rivincita delle matematiche arri-
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va soltanto nel 2014, quando Maryan Mirzakhan conquista un prestigioso premio matematico: la medaglia Fields. I numeri sono
da sempre legati alla fortuna e alla sfortuna
tanto da aver dato vita a vere e proprie teorie
numerologiche. In Cina, ad esempio, la sorte è decisa dall’omofonia. Il numero 8, la cui
pronuncia è simile alla parola “soldi”, porta
fortuna. Il 4, invece, è un numero sfortunato,
per la sua vicinanza alla parola “morte”.
Gesti e segni per contare - Gli occidentali contano in base 10 per via delle dieci dita
delle mani. In molte culture invece si conta
in base 5. Diversi sono anche i calendari, una
grande proiezione mostra alcune date storiche scritte secondo le varie modalità.
Prima dei computer c’erano i “computer” - Il termine indicava persone con una
particolare abilità nel calcolo mentale. Ma
anche abachi, antiche calcolatrici, e strumenti ingegnosi come il quipu: sistema peruviano di cordicelle colorate e annodate secondo un ordine di unità, decine, centinaia
e migliaia.
Le cifre che contano - I numeri diventano soldi che diventano debiti. E i babilonesi erano attenti ai debiti almeno quanto
le donne oggi sono attente al peso. Nella
sala 7, i numeri sono usati per quantificare
e misurare. Una bacheca di pesi e bilancine
fa da sfondo a un’enorme “macchina per antropometria”: il visitatore sale su una pedana e uno “specchio” digitale calcola peso e
altezza. E non mancano simpatici confronti
con l’elefante più pensante del mondo o col
vulcano più alto.
Misurare il mondo - La mostra, iniziata
con un lungo corridoio illuminato, si conclude in una saletta buia occupata da “colonne”
di cifre in continua evoluzione: la popolazione mondiale, i nati del giorno, l’energia solare che colpisce il pianeta.
Ora facciamo i conti - È il titolo dell’atelier-laboratorio dedicato ai bambini.
Qui una squadra di giovani educatrici,
attraverso “trucchetti” e giochi di scomposizione, mostra ai più piccoli le magie
nascoste tra i numeri. Ma a dover fare i
conti con la matematica sono soprattutto gli adulti, messi alla prova da frazioni,
radici quadrate e teoremi.
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Quindicinale della Scuola
Superiore di Giornalismo
“Massimo Baldini”
Direttore responsabile
Roberto Cotroneo
Ufficio centrale
Emiliano Condò, Sara Grattoggi,
Giovangualberto Lucarini e Sandro Marucci
Progettazione grafica e impaginazione
Claudio Cavalensi
Redazione
Viale Pola, 12 - 00198 Roma
tel. 06.85225358 - fax 06.85225515
Stampa
Centro riproduzione dell’Università
Reg. Tribunale di Roma n. 15/08
del 21 gennaio 2008
[email protected] - www.reporternuovo.it