Leggi un estratto e un saggio inedito di

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Leggi un estratto e un saggio inedito di
SADIK AL-AZM
LA TRAGEDIA
DEL DIAVOLO
FEDE, RAGIONE E POTERE
NEL MONDO ARABO
pensiero libero
Sadik al-Azm
La tragedia del diavolo
Fede, ragione e potere nel mondo arabo
sadik al-azm
La tragedia del diavolo
Religione e potere nel mondo arabo
Pensiero libero: 2
978-88-6105-224-6
pp. 224, cm 15x21, brossura € 20,00
IN
LIBRERIA
A FEBBRAIO
2016
LUISS University Press
Viale Pola 12
00198 Roma
Tel. 06 85225 485 /433
E-mail: [email protected]
sito web: www.luissuniversitypress.it
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Fondare un Califfato e cercare un Califfo che imponga il governo dell’Islam
è uno dei più importanti doveri dell’Islam, e i musulmani che non giurano
fedeltà al Califfo meritano di soffrire su questa terra e oltre.
(Chiamata islamica pubblicata a Beirut, Libano, maggio 1969)
Nel dicembre del 1969 Sadik al-Azm, all’epoca giovane studioso siriano,
preoccupato dal crescente uso strumentale della religione da parte delle élite politiche nel mondo arabo, pubblicò La tragedia del diavolo. Il libro, che oltre ogni aspettativa andò subito esaurito, provocò il più grande tumulto intellettuale arabo del ventesimo secolo, portando all’arresto
e al processo del suo autore, accusato di prendersi gioco della religione.
Nel libro, oggi riscoperto e disponibile per la prima volta in lingue diverse dall’arabo, al-Azm mette in guardia i suoi contemporanei e i posteri
dai rischi insiti nell’uso strumentale della religione da parte del potere
costituito, e rompe uno dei grandi tabù della sua e della nostra epoca, attaccando direttamente il fondamentalismo religioso.
Un libro scritto oltre quarant’anni fa, profetico nel paventare quanto
sarebbe successo nei decenni successivi, vibrante nell’incitare i cittadini
dei paesi arabi ad abbracciare un pensiero più laico e secolare, terribilmente
attuale nel denunciare le azioni disumane dei regimi totalitari.
Sadik Jalal al-Azm è uno studioso di fama internazionale e uno dei più
ascoltati commentatori politici sul Medio Oriente. Definito il “Voltaire arabo”, ha offerto innumerevoli contributi, spesso controversi, sempre innovativi, che sfidano il pensiero dominante sui rapporti tra Islam e Occidente, il secolarismo, l’Orientalismo e il conflitto arabo-palestinese. Nel
2015 la Germania gli ha conferito la Goethe Medal per “l’inestimabile contributo alle relazioni culturali internazionali”.
Questo libro è stato presente sul mercato arabo
ininterrottamente per oltre mezzo secolo.
Per quanto formalmente bandito in ogni stato
arabo, è in realtà disponibile a chiunque, in ogni
nazione araba, abbia voglia di leggerlo (o di
bruciarlo).
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La tragedia del diavolo:
storia di un libro destinato alle fiamme
Sadik al-Azm*
Questo libro è stato presente sul mercato arabo ininterrottamente per oltre mezzo secolo. Per quanto formalmente bandito in ogni stato arabo,
a eccezione del Libano, è in realtà disponibile a chiunque, in ogni nazione
araba, abbia voglia di leggerlo – o di bruciarlo. La sua prima edizione (Beirut, dicembre 1969) andò esaurita quasi immediatamente: le copie rimanenti vennero confiscate dalle autorità libanesi su ordine del Gran Mufti del Libano, e sia l’autore che l’editore vennero rinviati a processo dal
Ministro della Giustizia con l’accusa di “incitamento al conflitto confessionale” nel paese.
Nel mondo arabo, il libro ha scatenato il più sensazionale scandalo
letterario della seconda metà del XX secolo, venendo immediatamente
paragonato dalla critica ad altre due scandalose opere apparse nella prima metà dello stesso secolo, ossia:
a) L’Islam e i fondamenti del potere politico (Cairo 1925), libro di Ali Abdel Raziq che, muovendo da una prospettiva interna all’Islam, sosteneva la separazione di Stato e religione nelle società musulmane
contemporanee, e che a tutti gli effetti giustificava l’abolizione del califfato da parte di Ataturk nel 1923.
b) Sulla poesia preislamica, il volume non convenzionale di Taha Hussein sulla poesia Jahili, cioè di poesia pre-islamica araba (Cairo 1926)
che mise a soqquadro buona parte degli approcci e delle conclusioni medievali sull’argomento.
La tragedia del diavolo generò oltre 1.500 pagine di controversie, polemiche, confutazioni, refutazioni, e risposte – e persino alcune rare difese.
*
Prefazione scritta dall’autore per l’edizione inglese del libro (ottobre 2014).
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Le varie repliche al mio criticismo scettico e alle mie indagini razionali consistevano da una parte nella riaffermazione e nel rafforzamento delle narrazioni tradizionali dell’Islam, e dall’altra nel “dimostrare” nuovamente l’autenticità degli elementi di fede e passi delle scritture da me
caratterizzati come miti. Peraltro, il problema del significato e del ruolo del “mito” nell’Islam (e, implicitamente, la possibilità di demitologizzazione) giocarono un ruolo di primo piano sia nel corso del processo che nelle repliche e nelle confutazioni.
Tale stato di cose andò avanti per molti mesi, specialmente in Libano. In una dichiarazione formale (anche se non una vera e propria fatwa), il Mufti del Libano condannò l’autore del libro per blasfemia contro l’Islam, apostasia e ateismo.
È interessante notare però che non si verificarono episodi di protesta violenta verso quello che era stato definito allora come un maligno
attacco rivolto non solamente al pensiero religioso, ma alla stessa religione. All’epoca infatti, l’opinione e l’attenzione del mondo arabo erano
ancora stupefatte e paralizzate dalla devastante sconfitta subita nel giugno del 1967 contro Israele nella Guerra dei sei giorni.
In tutto quel subbuglio, sia l’autore che il libro vennero denunciati in
numerose moschee nei sermoni del venerdì. Gli attacchi, almeno in Libano si prolungarono per molti mesi.
All’apice dello scandalo, venni avvicinato da alcuni colleghi intellettuali
arabi residenti in Europa che mi proposero di tradurre il libro in inglese e francese. Essendo all’epoca scettico sul valore di tali traduzioni per
il pensiero europeo e i suoi interessi intellettuali, risposi spiegando che
il mio libro rappresentava una critica illuminista di stampo marxista del
pensiero religioso, qualcosa dal carattere assai déja vu sia nel panorama
inglese che in quello francese, oltre che nella maggior parte delle altre
lingue europee.
La forte ascesa dell’Islam fondamentalista dopo la guerra arabo-israeliana dell’ottobre del 1973 risvegliò l’interesse per il libro a livello locale e internazionale.
Sulla scia dell’attacco dell’11 settembre 2001, un collega americano,
Blair Gadsby di Scottsdale, Arizona, mi propose nuovamente di tradurre il libro in inglese allo scopo di renderlo disponibile a un pubblico più
ampio possibile. Sono profondamente in debito verso di lui per aver dato
inizio a questo progetto di traduzione, portato poi a termine da George
Stergios e da me. In una nota esplicativa, Blair scrisse le seguenti parole: “Soffriamo di una scarsità di lavori tradotti dall’arabo all’inglese… La
“Soffriamo di una scarsità di lavori tradotti
dall’arabo all’inglese…
La speranza è che La tragedia del diavolo venga
considerata un correttivo significativo
a questa realtà. La possibilità di un accesso
crescente all’intero spettro di idee e voci culturali,
socioeconomiche e politiche del mondo arabo
offrirebbe un importante contributo alla riduzione
dei deficit della nostra conoscenza, aiutandoci
a comprendere come l’Islam non sia l’unica risorsa
a cui hanno attinto i pensatori arabi dell’era
moderna. Ci auguriamo che questo passo possa
rappresentare l’inizio di una nuova tendenza.”
Blair Gadsby
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speranza è che La tragedia del diavolo venga considerata un correttivo significativo a questa realtà. La possibilità di un accesso crescente attraverso
la lingua inglese all’intero spettro di idee e voci culturali, socioeconomiche
e politiche del mondo arabo offrirebbe un importante contributo alla riduzione dei deficit della nostra conoscenza, aiutandoci a comprendere
come l’Islam non sia l’unica risorsa a cui hanno attinto i pensatori arabi
dell’era moderna. Ci auguriamo che questo passo possa rappresentare
l’inizio di una nuova tendenza.”
I primi due capitoli del libro risalgono ai primi anni ‘60, e riflettono
la profonda insoddisfazione politica intellettuale per l’inerzia e il conservatorismo del pensiero e della cultura arabi in un’epoca di decolonizzazione, di progressive trasformazioni socioeconomiche, e di progetti
di modernizzazione e crescita nel terzo mondo per avvicinarsi e raggiungere il mondo sviluppato.
Numerose questioni relative al ruolo della scienza e della tecnologia
moderne nelle nostre società sottosviluppate erano all’ordine del giorno, con particolare attenzione alle possibili conseguenze sulla cultura tradizionale, sui sistemi di credenze ereditati e sulle interpretazioni religiose
convenzionali del mondo. Circolavano idee e sull’urgente bisogno di una
reinterpretazione e di un aggiornamento critici della teologia, della legge islamica e delle sue narrazioni convenzionali; e soprattutto, sulla necessità di eliminare l’eccessiva letteralità nella comprensione e interpretazione delle scritture.
Ne è un esempio il mio utilizzo dei sistemi di credenze interni all’Islam
per rielaborare la storia coranica della caduta di Iblis (Satana) nei termini dei concetti moderni di dramma e tragedia legati a difficili scelte di
carattere esistenziale. Il risultato scandalizzò – non inaspettatamente –
tanto l’ortodossia cristiana quanto quella musulmana del mondo arabo.
Quando questi due capitoli vennero presentati durante delle lezioni a Beirut e Damasco, diedero spunto a sane discussioni, critiche e dibattiti, ma
non a uno scandalo diffuso, come invece si verificò quando penetrarono
in parti più sensibili della sfera pubblica.
Il capitolo sull’apparizione della Vergine in una chiesa del Cairo nel
1968 intendeva tentare di rivelare la manipolazione e la politica dell’inganno portate avanti dall’establishment militare e dall’apparato di sicurezza egiziano, che sfruttarono il “miracolo” per sviare l’attenzione popolare dalla sconfitta subita, e del trauma devastante sofferto dalla generazione degli anni ‘60 nel mondo arabo questo saggio porta tutti i dolorosi segni. Quel trauma segnalò il collasso precipitoso dell’amalgama
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politico-culturale allora imperante di nazionalismo, populismo e entusiasmo terzomondista arabi.
Nel mio contributo all’autocritica araba successiva alla disfatta**, avvertivo come una qualche forma di Islam revivalista avrebbe tentato di
riempire il vuoto risultante. Il centro politico-culturale del mondo arabo si stava già allora spostando dall’Egitto “progressista” di Nasser all’Arabia
Saudita “reazionaria” dei Wahhabi. All’epoca avevo ritenuto che l’Islam
di ritorno avrebbe avuto un carattere maggiormente d’evasione e consolatorio, e non violento e aggressivo.
A seguito di discussioni con il mio editore di tendenze progressiste
e con vari amici e colleghi intellettuali, sono giunto alla conclusione per
la quale raccogliere i miei saggi critici – precedenti e successivi alla sconfitta – e pubblicarli in un libro avrebbe potuto dare forma a un contributo
stimolante e provocatorio per i dibattiti e le controversie che divampavano nel mondo arabo sulla sconfitta e sulle sue conseguenze per gli arabi e per il loro futuro.
Non ritenevo, né mi aspettavo, che la pubblicazione del libro avrebbe potuto avere come risultato uno scandalo letterario di tale portata.
L’establishment clericale sunnita nel Libano e i suoi alleati si misero alla
testa della campagna contro di esso, denunciando l’autore e l’editore in
vari tribunali con accuse diverse. L’establisment clericale cristiano era invece diviso: una parte disapprovava il libro, considerando ogni critica o
scetticismo relativi alla religione come pericolosi e destabilizzanti per le
nostre società, poiché in grado di minare i sistemi di credenze delle persone comuni. L’altra parte accoglieva con cautela il libro – e gli eventi che
ne sono conseguiti – come uno sviluppo positivo e rinnovatore all’interno di un sistema islamico di pensiero e credenza oramai stagnante.
Dato che gli interrogativi critici e gli approcci scettici del libro erano diretti principalmente al pensiero religioso sunnita, l’establisment clericale Shi’i del Libano assunse una posizione ben calibrata di comprensione e tolleranza verso di esso e verso le successive polemiche. Il più venerabile Shi’a ‘Alim e teologo del paese dell’epoca – Mohammad Jawad
Moughniyya – scrisse di trovarsi in disaccordo con tutte le idee e le argomentazioni del libro, ma di essere convinto che l’Islam fosse obbligato, per non perdere rilevanza, a tener conto delle questioni, dei dilem**
Sadik al-Azm, Al-Nakd al-Dhati Ba’da al-Hazima (Dar al-Tali’ah : Beirut 1968), ora
disponibile in traduzione inglese: Self-Criticism After the Defeat, Saqi Books : London
2011. [n.d.r.]
Solo di rado il pensiero islamico ha beneficiato
dai propri tentativi di fare i conti con la modernità,
particolarmente nelle sfere della scienza moderna
e delle istituzioni socio-politiche moderne.
Nel corso dei due secoli passati, questi tentativi
hanno assunto la forma di una dialettica storica
discendente, una serie di disperati
passi all’indietro sempre più in profondità
verso il passato, l’ignoranza e la violenza.
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mi e dei problemi sollevati da Al-Azm. Le autorità e i politici del Libano
contribuirono anch’essi alla controversia e allo scalpore. Le loro affermazioni e le posizioni che tennero relativamente alla controversia erano però spesso meno motivate da questioni di principio di quanto non lo
fossero dalle loro animosità personali e rivalità interne.
Dopo il mio breve imprigionamento a Beirut, il caso fu portato a giudizio nella primavera del 1970: era un processo politico per eccellenza.
Quattro dei più eminenti avvocati libanesi offrirono volontariamente i loro
servizi per difendere l’autore, l’editore e il libro.
L’obiettivo dell’intera faccenda era placare il Mufti e l’establisment clericale sunnita. Kamal Jumblatt, capo dei drusi libanesi e all’epoca ministro dell’interno (ed egli stesso erudito intellettuale asceta, oltre che la
personalità libanese di maggior caratura nel mondo arabo e a livello internazionale) venne attaccato dai suoi nemici per essersi mostrato apparentemente a favore del libro. Di sicuro, egli agì per evitare che mi venisse fatto del male e che io fossi deportato al di fuori del Paese dopo l’imprigionamento. Gliene sono ancora grato.
Un’altra reazione interessante fu quella del premier e leader politico sunnita, nonché sei volte primo ministro, Saeb Salam, che si rifiutò di
condannare il libro, e suggerì invece privatamente alla controparte di preparare un libro di confutazioni piuttosto che continuare ad alimentare
il subbuglio.
In conclusione, la corte rigettò il caso e l’accusa decise di non fare appello nonostante pressanti richieste in proposito da parte di rappresentanti del mondo clericale e di molti fedeli.
In Libano si era formato un blocco informale di opinione pubblica composto di nazionalisti arabi secolari, forze e partiti di sinistra, associazioni
professionali, liberali, secolaristi, militanti palestinesi, intellettuali progressisti di ogni genere e da gran parte della stampa locale. Simili blocchi, di composizione paragonabile, offrirono un supporto informale in
altri paesi arabi. La pressione spontanea esercitata da questi blocchi dette un grande contributo alla mia assoluzione e alla decisione da parte dell’accusa di rinunciare a procedere in appello.
Vale la pena di menzionare che il libro si rivelò un dilemma molto imbarazzante per i comunisti e gli appartenenti alla sinistra. Dal lato, una critica della religione ostacola l’abilità della sinistra di organizzare le masse
popolari. Dall’altro, Karl Marx definì la religione “oppio dei popoli”, e considerava la critica della religione come “la critica della valle di lacrime, di
cui la religione costituisce l’aureola.” Per Marx, la critica della religione co-
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stituisce l’inizio di ogni altra critica della società, dell’economia e della vita
contemporanee. I capi e la stampa di sinistra si destreggiarono in questo
dilemma cercando di galleggiare al di sopra di esso, provando a simulare
atteggiamenti di neutralità relativamente al libro, alla controversia, e alle
ricadute politiche e ideologiche. In altre parole, la sinistra agì come un sostenitore riluttante del libro e dell’autore nonostante il marxismo che li contraddistingueva, mentre il blocco popolare informale di opinione tendeva a esprimere una difesa di principio del libro, senza però abbracciarne
i contenuti.
Credo che questo mio libro si manterrà rilevante e significativo per
un lungo periodo all’interno dell’universo del discorso arabo-islamico.
I centri di studio e apprendimento islamici (Al-Azhar al Cairo, Zitouna
a Tunisi, e le scuole Shari’a collegate alle università nazionali arabe) sono
sterili oggi quanto lo erano all’epoca in cui scrissi le mie critiche. Solo di
rado il pensiero islamico ha beneficiato dai propri tentativi di fare i conti con la modernità, particolarmente nelle sfere della scienza moderna
e delle istituzioni socio-politiche moderne. Nel corso dei due secoli passati, questi tentativi hanno assunto la forma di una dialettica storica discendente, una serie di disperati passi all’indietro sempre più in profondità
verso il passato, l’ignoranza e la violenza.
Ad esempio, il movimento di riforma in teologia, pensiero e legge islamica della fine del XIX secolo regredì dal rivoluzionarismo afgano al mero
adattismo e latitudinarismo di Mohammad Abdo, un adattismo che aprì
la via nella successiva generazione al conservatorismo teologico e a alla
reazione politica di Rashid Rida (un allievo di Abdo). Quel conservatorismo scivolò ulteriormente indietro nella restaurazione e in un fondamentalismo con Hasan Al-Banna e con l’organizzazione da questi fondata
nel 1928, i Fratelli Musulmani, e ancora, nella successiva generazione,
nel jihadismo di Sayyid Qutb contro la “jahiliyya” del XX secolo, come spiegato nel suo famoso e influente libro Pietre miliari.
La dialettica discendente raggiunse il suo nadir pratico e logico nei
seguenti quattro fenomeni: a) il pamphlet seminale di Abdusalam Faraj’
Jihad: il Comandamento Assente (Cairo 1981), (b) l’esagerata violenza nell’Egitto degli anni ‘80 della “Gama’at al-Islamiyya”, (c) lo spettacolare terrorismo di scala globale di Bin Laden e (d) il cieco jihadismo e barbarie
dei suoi figli ed eredi. Questa parabola discendente invece che ascendente
fa sì che libri scioccanti, idee critiche, interpretazioni stimolanti e letture provocatorie come la La tragedia del diavolo mantengano il loro carattere
di rilevanza e necessità.
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Altri pensatori e altre opere condividono lo spirito critico del mio lavoro, spesso originando all’interno dell’Islam, e rappresentano barlumi
di vitalità e speranza all’interno della narrativa dominante fatta di regressione e disperazione. Gli esempi più prominenti sono i seguenti:
a) L’egiziano Nasr Hamid Abu-Zayd (1943-2010) e la sua rilettura storica dell’Islam, della Shari’a e dello stesso Corano, come presente ad
esempio nel suo famoso libro Islam e storia. Critica del discorso religioso (Cairo 1994, ed. it. Torino 2002), che ha provocato un importante scandalo letterario egiziano e arabo, costringendo per molti anni
il suo autore all’esilio in Olanda. Molto rilevante anche il suo volume Al-Tafkir fi Zaman Al-Tafkir (Provare a pensare in un’era di apostasia) (Cairo 1995).
b) Il siriano Muhammad Shahrur e la sua re-interpretazione in chiave
semantica e linguistica di Islam, Shari’a e del Corano, principalmente
nel suo primo libro: The Book and the Koran: A Contemporary Reading
(Damasco 1990). L’opera di Shahrur causò censure, attacchi e confutazioni da parte dell’Islam ortodosso e fondamentalista (un’antologia critica su Sharur è adesso disponibile in inglese: The Qu’ran, Morality and Critical Reason: The Essential Muhammad Shahrur (Brill
2009)).
c) L’algerino Mohammad Arkoun (1928-2010) e il suo tentativo di applicare la teoria del discorso e i metodi e gli approcci semiotici postmoderni francesi alla rilettura del Corano, della Shari’a e dell’Islam
in generale. I libri di Arkoun hanno provocato forti reazioni da parte dell’ortodossia, gettando al contempo una luce importante sul pensiero islamico contemporaneo.
Che nessuno di questi tre intellettuali e teologi si sia formato in quelli che
sono i centri tradizionali di apprendimento islamico è di per sé un elemento particolarmente suggestivo e degno di nota, come suggestivo è il
fatto che nulla sia emerso in tali centri che sia in grado di avvicinare, in
termini di coraggio politico o di caratura intellettuale, le loro opere.
Sadik Al-Azm
Berlino, Ottobre, 2014
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La colpa dell’innocente,
o la responsabilità del pensiero critico
Perché leggere oggi La tragedia del diavolo
Giovanni Vezzani1
Sadik al-Azm nasce a Damasco il 7 novembre 1934, erede di una importante dinastia. Sotto la dominazione ottomana, un suo antenato (Asaad alAzm) aveva governato la città tra il 1743 e il 1757. A lungo il palazzo degli al-Azm ha testimoniato il potere e la fama di questa grande famiglia,
come ricorda Sadik stesso all’inizio del suo unico libro apparso sinora in
italiano2. La famiglia prese parte al progetto di costruzione della linea ferrovia Istanbul-Medina, facendosi araldo di un’idea di progresso all’interno dell’Impero ottomano3. Anche dopo la disgregazione di quest’ultimo al
termine della prima guerra mondiale, la famiglia mantenne un rilevante
peso sulla scena politica nazionale e Khalid al-Azm rivestì il ruolo di primo ministro4. Le sorti della famiglia dovevano però mutare con l’ascesa del
partito Ba’th, che prese il potere nel 1963. Il partito ‘portava una sfida al
dominio della politica siriana da parte di un numero ristretto di famiglie
urbane’5. Tra queste ultime figurava certamente la famiglia degli al-Azm.
Al declino del potere politico non si accompagnò, tuttavia, a un venir meno
dell’antico prestigio. Figlio di genitori modernisti e di ampie vedute, la sua
educazione si svolge in scuole internazionali dove il giovane Sadik impara a conoscere e a padroneggiare le culture europee e americane6. Prima
1.
2.
3.
4.
5.
6.
LUISS Guido Carli, Université Libre de Bruxelles.
L’Illuminismo islamico. Il disagio della civiltà. Seconda edizione ampliata. Roma: Di
Renzo, 2002.
Si veda l’introduzione di Jean-Pierre Rondas a Sadik Al-Azm, “Science and Religion,
an Uneasy Relationship in the History of Judeo-Christian-Muslim Heritage,” in AA. VV.,
Islam & Europe, Challenges and Opportunities. Lovanio: Leuven University Press,
2008, p. 129.
Ibid.
Albert Hourani, Storia dei popoli arabi. Milano: Mondadori, 2002, p. 402
Per ulteriori informazioni biografiche si veda la prefazione di Stefan Wild alla raccolta in tre volumi degli scritti in inglese di Sadik al-Azm, Secularism, Fundamentalism,
and the Struggle for the Meaning of Islam. Berlino: Gerlach Press, 2014, vol. I, pp. 7-15.
18
titolo capitolo - testatina
le scuole missionarie francesi della Società di Maria a Damasco, il Gerard
Institute a Sidone (Libano) dove ottiene il diploma di scuola superiore, poi
l’American University di Beirut (1953-1957) e infine l’università di Yale,
dove si specializza in filosofia moderna europea. Nel 1961 consegue il dottorato con una tesi sulla filosofia morale di Henri Bergson. Nel 1963 rientra in Siria, dove rimane per un anno all’università di Damasco. Successivamente, al-Azm è professore presso il dipartimento di filosofia dell’American
University di Beirut tra il 1963 e il 1968, poi all’università della Giordania
nel 1968-1969. Sono questi anni cruciali non solo per la sua formazione,
ma anche per la sua produzione intellettuale. A poco più di trent’anni, alAzm pubblica un paio di importanti scritti sulla filosofia kantiana, di cui
è profondo conoscitore, oltre a due opere destinate a renderlo famoso e ad
avere una grande risonanza nel dibattito culturale mediorientale. Nel 1968
esce a Beirut Autocritica dopo la sconfitta, un’analisi severa delle condizioni
socio-culturali che avevano condotto alla umiliante sconfitta araba durante
la Guerra dei sei giorni del giugno del 19677. La sconfitta, secondo al-Azm,
era figlia di una condizione sociale e prima ancora intellettuale sulla quale le riforme di Nasser fino a quel momento avevano inciso poco o nulla.
Solo un ben più profondo ripensamento critico dei presupposti su cui la
mente e le società arabe operano avrebbe potuto far emancipare queste ultime dalla condizione di debolezza strutturale che le caratterizzava. Da queste riflessioni scaturisce il nucleo tematico della seconda grande opera di
al-Azm, Naqd al-Fikr ad-Dini (“Critica del pensiero religioso”), pubblicato sempre a Beirut nel dicembre del 1969 e riproposto oggi per la prima
volta ai lettori italiani con titolo La tragedia del diavolo, che subito solleva
enormi polemiche in Libano. Il libro viene ritenuto oltraggioso dal Gran
Mufti del paese, e l’autore viene accusato di incitamento al conflitto interconfessionale e imprigionato per qualche tempo, poi rilasciato. Trent’anni
dopo l’autore stesso paragonerà il proprio caso all’affaire Rushdie, del quale egli sarà fiero difensore8. Famoso è stato anche l’acceso scambio seguito alla pubblicazione del libro Orientalismo di Edward Said nel 1978, di cui
al-Azm critica duramente il paradossale essenzialismo ‘al contrario’ nel sag7.
8.
Edizione inglese: Self-Criticism After the Defeat. Londra: Saqi Books, 2011.
Sullo scrittore Salman Rushdie, condannato a morte nel 1989 da una fatwa di Khomeini (provocata dalla pubblicazione del romanzo I versi satanici), al-Azm ha pubblicato due saggi, “The Importance of Being Earnest about Salman Rushdie” e “The Satanic Verses Post Festum,” ora contenuti in Islam - Submission and Disobedience, secondo volume di Secularism, Fundamentalism, and the Struggle for the Meaning of Islam, cit., rispettivamente pp. 7-57 e 59-119.
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gio “Orientalism and Orientalism in Reverse” del 19819. Nel 1977 viene
nominato professore di filosofia europea moderna all’università di Damasco,
dove resterà fino al 1999, anno del pensionamento, divenendone professore emerito. Visiting professor nelle più prestigiose università di tutto il mondo, ha ripetutamente insegnato non solo negli Stati Uniti d’America, ma
anche in Italia presso l’università LUISS Guido Carli e in numerosi atenei
in Europa e in Giappone. Nel 2004 ad al-Azm è stato conferito il premio
Erasmo, che attesta un ‘contributo eccezionalmente importante alla cultura, alla società o alle scienze sociali europee’10.
Dopo una vita spesa tra Beirut e Damasco, con lo scoppio e l’aggravarsi della guerra civile in Siria, al-Azm risiede oggi prevalentemente nella capitale libanese, non mancando di dedicare riflessioni e scritti alla tragica situazione vissuta dal paese11. Nell’agosto 2015 la Germania gli ha
conferito la Goethe Medal per “l’inestimabile contributo alle relazioni culturali internazionali”.
In questo breve scritto non mi propongo di svolgere un’analisi sistematica del pensiero di Sadik al-Azm. Mi sono già cimentato in questa impresa
in diverse occasioni in passato. Piuttosto, il mio scopo è quello di considerare la possibilità e l’interesse di fornire una chiave di lettura contemporanea de La tragedia del diavolo. Per far questo, vorrei provare a sviluppare alcune considerazioni di portata più generale, partendo da un
aneddoto di carattere personale.
“Perché un ragazzo di vent’anni oggi si interessa a un libro scritto da un
autore marxista alla fine degli anni ‘60 sulla condizione delle società e del
pensiero arabo-islamici?” Questa domanda mi è stata rivolta anni fa da
uno dei più illustri studiosi del pensiero islamico moderno e contempo9.
Oggi ripubblicato in Is Islam Secularizable? Challenging Political and Religious
Taboos, terzo volume di Secularism, Fundamentalism, and the Struggle for the Meaning of Islam, cit., 27-55.
10. “Important Figures from the Islamic World Awarded,” disponibile sul sito di Qantara.de:
h t t p : / / e n . q a n t a r a . d e / I mp o r t a n t - Fi g u r e s - f r o m - t h e - I s l a m i c -Wo rl d Awarded/7397c168/index.html.
11. In proposito, si vedano in particolare i contributi “The Arab Spring: ‘Why Exactly at
this Time?’,” e “Civil Society and the Arab Spring,” in Is Islam Secularizable? Challenging
Political and Religious Taboos, cit., rispettivamente pp. 191-199 e 201-216. Si veda
anche l’articolo “Syria in Revolt: Understanding the Unthinkable war,” (2014) disponibile sul sito della Boston Review: http://www.bostonreview.net/world/sadik-al-azmsyria-in-revolt.
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titolo capitolo - testatina
raneo, nonché profondo e diretto conoscitore delle variegate realtà che
in ambito accademico vengono ricomprese sotto l’acronimo inglese
MENA (Medio Oriente e Nord Africa). Stavamo rientrando in taxi da una
conferenza organizzata dalla mia università sul filosofo marocchino Mohammed al-Jabri e l’autore in questione era Sadik al-Azm. Quel “perché?”
mi colse alla sprovvista. Dal tono sinceramente curioso della domanda era
chiaro che il mio interlocutore non si sarebbe accontentato di conoscere
le ragioni di un mio interesse accademico. Piuttosto, egli voleva capire le
motivazioni profonde che mi avevano indotto ad approcciare al-Azm per
la prima volta. Come sa chiunque dedichi anni allo studio di qualcosa, col
tempo intellettualismi a volte un po’ barocchi tendono a mettere sullo sfondo le ragioni genuine che spingono alla scelta proprio di quel soggetto tra
i tanti possibili. Solo con molta esperienza alle spalle si acquisisce la capacità di tornare all’essenziale, ma in modo nuovo, rendendo chiaro e apparentemente semplice ciò su cui si è ragionato per anni. Quel “perché?”,
quella sera, in quel taxi nella mia mente non aveva risposta. Meglio, rispondere a quel “perché?” mi pareva troppo semplice e troppo complesso. Eppure dovevo rispondere: lo imponeva il sorriso indulgente e schietto che mi fronteggiava. Cercando di vincere l’imbarazzo dissi allora con
ingenua franchezza la prima cosa che mi venne in mente: “perché al-Azm
ci ricorda sempre che dobbiamo pensare criticamente.”
Mi sembrò che il sorriso di chi mi stava accanto si facesse impercettibilmente più largo, ma subito voltò la testa per guardare dal finestrino
i pini tinti di giallo della notte romana. Nonostante al momento pensai
subito che la mia fosse una delle risposte più ovvie che potessi dare, rimuginando da solo sulla strada di casa dovetti ammettere che fosse anche una delle cose più vere che potessi dire. Quello era davvero il motivo per cui il pensiero di al-Azm mi aveva tanto affascinato e colpito quando lo leggevo per le prime volte.
Rinfrancato, durante la conferenza il giorno seguente condussi un
piccolo sondaggio personale. Ne risultò che i membri del mio campione informale provenienti o legati al mondo arabo tutti o quasi conoscevano al-Azm (ovviamente in gradi diversi e con diverse opinioni in
merito), mentre tra gli italiani solo alcuni addetti ai lavori lo avevano
sentito nominare e ancora meno lo avevano studiato. Nonostante lo scarso valore scientifico di questa indagine conoscitiva, mi dissi che era il momento di far conoscere anche in Italia questo autore così noto nei paesi arabi. Perciò, quando l’editore di questo volume mi contattò esprimendo
la volontà di realizzare la traduzione italiana delle opere di al-Azm, ac-
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cettai subito e con grande piacere di dare a tale progetto tutto il supporto
di cui ero capace.
Torniamo quindi alla domanda iniziale. Perché leggere oggi La tragedia
del diavolo, opera pubblicata per la prima volta a Beirut nel dicembre del
1969? Proverò ad elaborare la risposta spontanea di quella sera. Credo
che il motivo profondo per cui leggere il pensiero di al-Azm risulta oggi
più che mai necessario risieda nel fatto che esso ci ricorda che esiste un
pensiero critico e auto-riflessivo che parte dalla fiducia in valori e principi universali (ed è quindi tutt’altro che relativista), ma che è al contempo
sempre consapevole della propria contingenza storica, sociale e politica. È un pensiero in cui la critica è spesso pungente, a volte profondamente
ironica, a tratti caustica. Ma, soprattutto, è un pensiero che vaglia continuamente se stesso, i propri presupposti, non-detti, tabù e pregiudizi.
Memorabile a tal proposito l’analisi della tensione tra l’impronunciabile sensazione di ‘gioia maliziosa’ (Schadenfreude) provata dall’autore come
da molti nei paesi arabi nel vedere la potente America ripiegarsi su se stessa dopo gli attentati dell’11 settembre e il lancinante senso di colpa scaturente da quella stessa ripugnante e mortifera sensazione12. Si capirà dunque perché quello di al-Azm sia un discorso spesso accolto con freddezza o con aperta ostilità da più parti. Tuttavia, che si sia d’accordo o meno
con alcune delle tesi espresse o delle previsioni formulate, di questo autore occorre anzitutto riconoscere la coerenza intellettuale di chi non solo
non blandisce, ma neppure si auto-compiace. Perché il pensiero sia davvero libero, suggerisce al-Azm, non basta urlare la propria assoluta indipendenza e irridere qualunque potere costituito. Una critica efficace del
pensiero dogmatico non può costituirsi opponendo specularmente al dogma un dogma eguale e contrario. Piuttosto, è necessario vagliare le condizioni sulle quali tale pensiero può svilupparsi. Dunque, quella di al-Azm
è una critica che muove dall’analisi storica, dall’esperienza concreta del
dato sociale ed economico, dalle considerazioni politiche e da una fiducia
incrollabile nella capacità della mente umana di rendersi cosciente e presente a se stessa. Leggendo al-Azm si ha la percezione netta che questa
presa in carico del pensiero da parte del pensiero stesso non possa avvenire
in un orizzonte fatalistico e fideistico che vede il destino dell’uomo in12. Si veda “Islam, terrorismo e occidente oggi,” in Il Mediterraneo: ancora Mare Nostrum?,
a cura di Maurice Aymard, Giovanni Barberini e Sebastiano Maffettone. Roma: LUISS
University Press, 2004, pp. 79-98.
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titolo capitolo - testatina
scritto in un ineluttabile rischiaramento razionale (le ‘magnifiche sorti
e progressive’). Piuttosto, le conquiste della ragione avvengono tramite
guizzi, scatti d’orgoglio, ammissioni sofferte e sforzi titanici. Nulla è gratuito, sembra dire al-Azm. Qui è particolarmente forte la vicinanza a Kant,
il quale, nel saggio Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo?, ammonisce il lettore ricordando che non è facile emanciparsi da se stessi poiché ‘è così facile essere minori!’
Questa edizione viene pubblicata utilizzando quale titolo principale La
tragedia del diavolo, richiamando il titolo di uno dei capitoli. Possono essere addotte diverse spiegazioni per questa scelta, ma ne individuo due
principali, una stilistica e una sostanziale.
Cominciando dalla motivazione stilistica, personalmente ho sempre
ritenuto che la forma discorsiva utilizzata da al-Azm abbia in sé alcuni
elementi che rimandano allo stile tragico. Anzitutto, come in ogni vera
tragedia, argomentazione e narrazione non sono mai rigidamente disgiunte, ma si combinano in modo fluido e unitario e il lettore ha sempre e saldamente l’impressione di trovarsi all’interno di una medesima
storia, variamente composta di cose da descrivere, fatti e azioni da narrare, pensieri e retro-pensieri da spiegare. In secondo luogo, come in ogni
vera tragedia, ogni storia raccontata di volta in volta si inscrive in un discorso più ampio sul rapporto intimo dell’uomo con se stesso. La critica
della figura di Satana come paradigma dell’eroe tragico scandaglia questo rapporto nelle sue profondità abissali. Infine, come in ogni vera tragedia, la narrazione è costruita in modo da portare il lettore ad anticipare l’esito necessario della vicenda. È la consapevolezza di questa concatenazione necessaria − a cui il personaggio non può e non vuole sfuggire, ma che invece decide invece di affrontare − a fare della tragedia una
tragedia e del personaggio un eroe tragico. Allo stesso modo, il lettore
viene portato fino al limite estremo dall’argomentazione di al-Azm, ma
la decisione se compiere o meno l’ultimo passo e trarre le estreme conseguenze è una decisione che l’autore demanda al lettore stesso. Si tratta qui sicuramente del riconoscimento di responsabilità che ogni operazione critica presuppone. Tuttavia, a un livello più profondo questo espediente argomentativo permette al lettore di sentirsi parte della tragedia,
o persino di arrivare a concepire se stesso nell’esercizio della propria facoltà critica come eroe tragico.
Quest’ultima considerazione conduce alla seconda e più sostanziale ragione dietro alla scelta del titolo. Tutta l’opera di al-Azm è accomunata
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da una critica senza posa del pensiero dogmatico, quale che ne sia la forma contingente: le forme più ottuse e bigotte di religiosità cieca, il paternalismo tradizionalistico e autoritario di certi leader politici, la violenza terroristica e così via. Ogni sfera dell’attività umana in cui il dogma svolge una funzione rinsaldante, motivante, performativa o anche
solo intellettualmente preclusiva viene indagata. In questa prospettiva,
il saggio sul diavolo fornisce una chiave di lettura imprescindibile per
tutta la produzione successiva di al-Azm. Il diavolo rappresenta la figura
che rompe la narrazione dogmatica (perché ordinata da Dio) della prostrazione angelica davanti ad Adamo. Ma tale rottura ha una portata propriamente tragica solo nella misura in cui essa si inscrive in una rispondenza a una più ampia volontà divina. Satana disobbedisce e viene dannato, ma lo fa precisamente per rientrare nel progetto voluto da
Dio stesso: il diavolo obbedisce al suo dovere assoluto di sottomettersi
all’unicità divina rifiutandosi di obbedire all’ordine che gli impone di inginocchiarsi davanti all’uomo, cosa che avrebbe comportato riconoscere
uno statuto quasi divino a quest’ultimo. Come afferma al-Azm, il rifiuto da parte del diavolo ‘costituisce la forma più sublime di santificazione di Dio e il più grande esempio di rispetto per la sua unicità’. La più
grave colpa concepibile – quella del diavolo− è in realtà la colpa dell’innocente. Da qui la tragedia profonda, che al-Azm definisce ‘la tragedia
suprema’. Eppure, secondo l’autore, una visione dogmatica della religione
abbisogna di un male assoluto (e di Satana come colpevole fonte del male)
per costruire la propria nozione del bene assoluto. La religione, dice alAzm, per propria natura non riesce a coesistere con la tensione generata
dalla vera tragedia. In un orizzonte religioso il tragico non può perdurare: esso deve essere disinnescato, riassorbito e superato. Ciò può essere fatto in due modi. In primo luogo si può tentare di polarizzare uno
dei due elementi conflittuali che caratterizzano l’eroe tragico: poiché il
diavolo non può essere concepito come il colpevole innocente, colui che
ha disobbedito a un ordine di Dio per rispondere alla volontà più ampia di quest’ultimo, egli diviene semplicemente un ribelle che ha scelto il male. Oppure, si può risolvere la tragedia sciogliendone precisamente
l’elemento tragico, cioè eliminando la tensione quando essa diviene insopportabile in un’ottica religiosa: ad esempio commutando il sacrificio di Isacco in un sacrificio animale allorquando Abramo è sul punto di
sgozzare il figlio. Al contrario, il pensiero critico è capace di riconoscere l’elemento tragico quando lo vede, di accettarlo per quello che è come
parte della vita umana. Questo sembra essere il messaggio più profon-
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titolo capitolo - testatina
do di al-Azm. Lo spazio concettuale del tragico è coestensivo con quello della vita: accettare quest’ultima significa ammettere la possibilità del
primo, e questa possibilità si nutre di un pensiero capace di relativizzare.
Il pensiero dogmatico, chiuso nella logica dogma contro anti-dogma, è
un pensiero che ha ‘nostalgia dell’assoluto’ (per usare una felice espressione di George Steiner) e che si nutre di antinomie specularmente necessarie al suo progetto eterno, che come tale, però, non è di questo mondo. Il pensiero critico, invece, può tollerare il permanere dell’impermanenza e delle tensioni che ne scaturiscono; esso ha come orizzonte
proprio le cose di questo mondo, di cui scruta i paradossi e le ingiustizie cercando di alleviarli il più possibile.
Arriviamo così al nucleo tematico che forse più preme ad al-Azm, soprattutto nella sua produzione più recente, ma che qui mi limito a menzionare perché in questa raccolta di natura più squisitamente teorica esso
resta sullo sfondo: la questione politica. Il filosofo ha scritto molto sulla questione sociale, la classe politica e le élite intellettuali nei paesi arabi, la decolonizzazione, la questione palestinese e i rapporti con Israele, la globalizzazione, i diritti umani, l’Islam politico, il fondamentalismo
religioso, il terrorismo, e, più di recente, le primavere arabe e la guerra
in Siria. Su questi temi sviluppa tesi a volte polemiche e taglienti, altre
volte propone semplicemente soluzioni di buon senso, una risorsa apparentemente scarsa. In ogni modo, come si è visto, è impossibile capire lo spirito che informa gli scritti più apertamente politici di al-Azm senza partire da questo testo del ‘69.
Perciò al mio illustre e benevolo compagno di viaggio posso rispondere che sì, La tragedia del diavolo è un libro attuale anche per chi ha vent’anni nel 2015.
A T. B.
“Dio mi disse “Prostrati dinanzi a qualcuno altro da Me”.
Io risposi “A nessuno, tranne che a Te”. Egli disse “Io ti
maledico”. Io dissi “Nessun male. Se mi attiri vicino a Te,
allora Tu sei Tu.” Egli disse “Lo fai in arroganza
e vanagloria.” Io risposi “Signore! Chiunque Ti abbia
conosciuto un solo istante nella propria vita, o è stato
con Te un momento, o Ti ha accompagnato nel tuo
amore per un pezzo, certo può essere orgoglioso.
Quanto volte ogni giorno e notte ho professato la Tua
unicità? Quante volte ho appreso le lezioni della Tua
santità? Le tradizioni e i segni testimoniano per me.
Dove era Adamo quando io ero imam degli angeli,
il predicatore di tutti i cherubini, e la guida dei Tuoi
compagni vicini? Io Ti ho adorato da tempo
immemorabile. Quando i segni della Tua volontà si sono
fatti manifesti, le tracce di adorazione sono svanite.
Il giurista ha errato nel proprio giudizio. Il maestro
ha perso il proprio alto rango. Che io mi prostri dinanzi
a Adamo o no, che Ti adori o no, è inevitabile che
io ritorni al destino preordinato. Tu mi hai creato
dal fuoco; è inevitabile che io ritorni al fuoco.”
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