The Martian - La sheda del film
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The Martian - La sheda del film
CINECIRCOLO “ROBERT BRESSON” Brugherio °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Mercoledì 27, giovedì 28 e venerdì 29 aprile 2016 Inizio proiezioni ore 21. Giovedì anche alle ore 15 “La prima volta che ho parlato del film con lo sceneggiatore, lui l’ha descritto come una lettera d’amore alla scienza e, quando ho letto il copione, sono stato travolto dalla positività e dall’ottimismo della storia, che mi è sembrata molto divertente e appassionante, esattamente come il mio personaggio”. Matt Damon The Martian di Ridley Scott con Matt Damon, Jessica Chastain, Kristen Wiig, Mackenzie Davis, Kate Mara USA, 2015, 130’ °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Autore di "Alien" e di "Blade runner", fantascienza che ha lasciato il segno, Ridley Scott ci sorprende ancora con "The Martian", un altro affascinante sci-fi, questa volta però ottimistico, futuribile e non distopico. È ancora fresca la notizia dell'esistenza di acqua liquida su Marte che renderebbe, a detta degli scienziati, realizzabile nell'arco di un centinaio d'anni, l'impresa descritta nel film e plausibile anche la disavventura del protagonista Mark Watney abbandonato sul Pianeta Rosso dai compagni costretti a decollare a bordo dell'Ares 3 a causa di una terribile tempesta e convinti che lui sia morto. Tratto dal bestseller di Andy Weir , adattato per lo schermo da Drew Goddard all'insegna del rigore scientifico, il film ha una plausibilità che lo rende appassionante come una vicenda contemporanea. Splendida la prima parte nella quale il sopravvissuto Mark, novello Robinson Crusoe, vive la sua disperata condizione con un atteggiamento ironico, di sfida, aguzzando l'ingegno, giorno dopo giorno per sopravvivere. Un Matt Damon mai così bravo e convincente dà forza e spessore al personaggio, mentre si aggira coraggiosamente nel desolante e suggestivo paesaggio marziano (ricreato nella valle di Wadi Rum in Giordania). Quando finalmente riesce a comunicare con la Terra ha inizio la seconda parte che vede gli scienziati della NASA con l'aiuto dei colleghi cinesi, impegnati a recuperare lo sfortunato astronauta. Una missione pressoché impossibile che spinge i compagni a bordo dell'Ares 3 ad invertire la rotta per salvarlo. Qualche sbavatura, qualche eccesso di cameratismo o sospetto di retorica durante tutta l'operazione, sono dettagli trascurabili che nulla tolgono ad un prodotto cinematografico di altissimo livello, che conquista con la forza emotiva della storia e la preziosità della messinscena, ma anche con la forza dei suoi messaggi sottotraccia. C'è la solidarietà che lega chi si occupa di scienza al di sopra di ogni contrasto politico, c'è l'univoco speranzoso coinvolgimento nell'attesa, di tutti gli uomini di buona volontà ai quattro angoli della terra, e c'è soprattutto l'illuministica e mai sopita fiducia nelle risorse dell'uomo, qui artefice del suo destino. Forse - sembra suggerire Ridley Scott con la saggezza dei suoi settantasette anni - è ancor lecito sperare. Eliana Lo Castro Napoli - Il Giornale di Sicilia 3 Ridley Scott, alle prese con uno script non suo (…)e tratto dal meticoloso romanzo di Andy Weir, un ingegnere informatico reinventatosi scrittore, si dimentica di essere il profeta dei futuri distopici di Alien e Blade Runner. E si limita a fare quel che gli riesce meglio, ossia rendere cinematografica materia che tale non è.(…) Scott consegna la sua epica alle riprese in esterni della desolazione marziana. Le passeggiate di Matt Damon sul suolo di Marte, a bordo del suo rover, ricordano tanto le cavalcate fordiane nella Monumental Valley che gli orizzonti infiniti di Lawrence d'Arabia. E non casualmente, visto che quest'ultimo è stato girato in luoghi vicini al deserto della Giordania scelto per The Martian. La visione di Scott e il suo racconto di un'odissea in cui Ulisse e Robinson Crusoe trovano un ideale punto d'incontro procede in parallelo con i teoremi infallibili di Weir, che vede nel suo protagonista l'ingegnere perfetto, un MacGyver di Marte pronto a elaborare modalità di sopravvivenza sempre nuove in un pianeta ostile. Rosso, brullo e indomabile, il quarto pianeta viene privato della allure che lo ha accompagnato in un tutt'altro che brillante passato cinematografico, attraverso l'espediente di ipotetiche civiltà pre-terrestri (Mission to Mars) o alieni belligeranti (La guerra dei mondi). E presentato per ciò che è, un gigantesco e suggestivo ostacolo alla vita. Solo con la forza dello humour da middle-class americana di Damon-Watney e con il pragmatismo della Nasa (collaboratrice e sponsor del film) il racconto regge per la sua lunga durata, avvince e infine porta all'immedesimazione con il protagonista. E pur trattandosi questi, ancora una volta, di un Matt Damon da salvare (Salvate il soldato Ryan) per il bene dell'America e del mondo, lo script spinge il minimo indispensabile sul pedale di un enfatico patriottismo; scegliendo anzi, con un'inattesa svolta narrativa, di ridimensionare il ruolo statunitense di superpotenza infallibile. Il futuro non è mai parso più verosimile di così, divaricando ulteriormente le due storiche branche della fantascienza: da un lato una space opera sempre più assetata di effetti speciali e meraviglie, dall'altro la controparte pseudo-scientifica, con i piedi ben piantati per terra, nonostante gli occhi osservino il cielo. Emanuele Sacchi – Mymovies Scott,ormai distante dai suoi fatidici incubi futuribili, vi racconta la storia del primo uomo rimasto solo su un pianeta ostile e deserto, l'astronauta- botanico Mark totalmente indenne da riflessioni sul 'significato' dell'universo, guerre stellari o incontri ravvicinati con extraterrestri di qualunque tipo. Il film viaggia su una linea di divertente leggerezza e adeguata fluidità narrativa perché la mano di Scott riesce a governare un'ardua inversione di rotta del classico impianto fantascientifico: la lotta del protagonista per la sopravvivenza usufruisce dei picchi emotivi (secondo qualcuno enfatici) nelle svolte più ottimistiche, ironiche e prosaiche dell'azione anziché nelle solite sventagliate spettacolari intergalattiche. "The Martian" si configura come un atto di fede o per meglio dire speranza nei confronti dello spirito avventuroso, esplorativo e ingegnoso del tanto bistrattato genere umano, riuscendo brillantemente ad attivare al posto dei brividi apocalittici, quelli della riflessione e della scoperta. Valerio Caprara – Il Mattino Un'indubbia qualità di The Martian è che l'indeterminato mondo futuro dove si svolge la vicenda è una versione - magari più stilizzata e high tech - del mondo odierno: cosicché lo spettatore può calarsi nei panni dell'astronauta Mark (…) con la stesso spirito di immedesimazione con cui a suo tempo può aver seguito le peripezie del naufrago di Castaway. Alessandra Levantesi – La Stampa The Martian diverge radicalmente dai film precedenti di Scott nella visione della natura umana. Se Alien e Blade Runner erano perfetti esempi di 'gotico del futuro' (con mostri, atmosfere lugubri e personaggi dall'animo oscuro), questa volta il clima è di perfetto ottimismo della volontà (…). L'unico 'nemico' (involontario ) è il pianeta rosso; invece tutti i terrestri sono gentili, sinceramente preoccupati per Mark, collaborativi e disposti a sacrificarsi: dai compagni di missione al direttore della Nasa, (…)ai membri dell'Agenzia Spaziale Cinese, pronti a dare una mano a costo di sacrificare le loro scoperte segrete. Per tutto il film, del resto, aleggia un'inaspettata allegria. Se a tratti Watney perde l'ottimismo lo ritrova subito e, appena può, scambia battute con la Terra e con i colleghi astronauti. Il tutto avvolto in una colonna sonora pop anni 70 e 80 (ABBA ecc.) che invade Marte come fosse una discoteca. L'intera storia, in fondo, si dipana come un apologo su come una persona di buona volontà possa, anche abbandonata nello spazio, applicarsi a risolvere un problema alla volta (Mark coltiva, produce acqua, ripara con lo scotch lo scafandro rotto...) fino alla soluzione del problema complessivo. L'intenzione di fare un film per il grande pubblico è chiara; ed esercita anche un influsso riposante sulle spiegazioni scientifiche. Forse non proprio inappuntabili, ma almeno semplici e che non ti costringono a faticosi sforzi di comprendonio come "Gravity" o "Interstellar". Roberto Nepoti – La Repubblica Nonostante le premesse drammatiche, l'odissea nello spazio di Ridley Scott è molto meno prevedibile di quello che si potesse pensare, anche perché riesce nell' impresa di prendere le dovute distanze da due recenti space drama d'autore come Gravity (richiamato solo nel finale) e Interstellar. (…)Ma ogni paragone è presto dimenticato. Questa volta non c'è la vertigine sospesa nella contemplazione dello spazio proposta da Alfonso Cuarón, mentre l'epica drammatica di Nolan è lontana anni luce dalle intenzioni di Scott. Il suo film è un inno all'ironia come molla della motivazione umana, un'esaltazione divertita di un protagonista sagace, invidiabile, supportato da una visione quasi autoderisoria, ma fondamentale per non lasciare spazio alla rassegnazione. Grazie ad un testo di partenza assai preciso, Scott costruisce un film per lo più credibile, scrupoloso nel voler spiegare allo spettatore ogni singolo passo verso la sopravvivenza. Ogni esperimento chimico, ogni intuizione o procedimento biologico viene reso accessibile tramite i videlog di Watney(…), confessioni spontanee che ci fanno entrare in confidenza con un personaggio facile da stimare, vicino al pubblico senza bisogno di parenti, mogli o figli ad aspettarlo sulla Terra. Mark Watney sembra essere solo, su Marte come sul suo pianeta. La sua dedizione alla causa e alla scienza dice tutto di lui e il film lo ribadisce senza cedere al fascino dello sdolcinato. La missione di Ridley è un'altra, diretta altrove. Campi lunghissimi in cui immergere un personaggio faccia a faccia con l'infinito, ampie panoramiche sulle immense distese di terra sabbiosa, e poi lo spazio sterminato, dove un'umanità minuscola si muove quasi in apnea. Scott non manca di contemplare la grandezza di Marte o di ammirare la volta stellare, ma questa volta non cade nella tentazione di dare alle immagini una predominanza puramente estetica. The Martian è prima di tutto un racconto il cui vero propellente è la parola, gestita con ritmo e varietà di tono. La maestria dell'autore ritrovato si manifesta nella facilità con cui il film segue traiettorie ondivaghe, passando in maniera fluida da situazioni ricche di tensione a scatti di brillante umorismo. Si scherza, si irride la morte, si convive con stati d'ansia. In questa ricca esperienza di empatia nei confronti di un uomo ammirabile, Scott tradisce quella che è sempre stata una grande costante nel suo cinema: la presenza di un nemico., la figura dell'antagonista è sempre stato un riferimento per il regista. Un elemento qui assente(…) Di contro, anche la figura dell'eroe cambia (…)qui l'eroe, anche se solo, riesce ad ispirare il coraggio negli altri, a trainare i suoi compagni e alcuni terrestri. Watney segna la via, con fatica e ingegno, così non resta che seguirne le orme. (…)qui la musica assume un ruolo importante, fondendosi in maniera imprescindibile con le sequenze più riuscite del film. Un jukebox sonoro dinamico, fuoriuscito dagli anni Settanta a suon di ABBA, David Bowie e Gloria Gaynor, a conferma del voluto disimpegno di un'opera di puro, riuscito intrattenimento. Con mano sciolta Scott abbandona di colpo il pilota automatico che lo aveva frenato negli ultimi anni per concedersi accelerate, qualche sbavatura e non pochi rischi, che qualcuno potrebbe non gradire, ma certamente ne confermano il coraggio. Giuseppe Grossi – movieplayer
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