La qualità di vita nel paziente terminale. La
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La qualità di vita nel paziente terminale. La
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Medicina e Chirurgia Corso di Laurea in Infermieristica La qualità della vita nel paziente terminale La rilevazione infermieristica di alcuni parametri/indicatori Tesi di Laurea: Sara FARRACE Matricola 711483 Relatore: Prof. Dr. Lino CASIRAGHI Correlatore: Inf. Laura Mancini Anno accademico 2009 – 2010 3 INDICE Introduzione Pag. 06 Capitolo Primo: 1.1. Le cure palliative Pag. 07 1.2. Il malato in fase terminale Pag. 12 1.3. La qualità della vita Pag. 15 1.4. Caratteristiche dell’operatore di cure palliative Pag. 17 Capitolo Secondo: 2.1. Indice ADL Pag. 26 2.2. Scala ECOG Pag. 29 2.3. Scala di Karnofsky Pag. 30 2.4. Controllo dei sintomi Pag. 32 Capitolo Terzo: 3.1. Strumenti e metodi Pag. 35 3.2. Analisi dati e presentazione risultati Pag. 36 Conclusioni Pag. 50 Bibliografia Pag. 53 Sitografia Pag. 55 Allegati Pag. 56 5 INTRODUZIONE Le cure palliative danno un’ampia assistenza rivolta al malato terminale e la sua famiglia considerando importanti i bisogni. Per far ciò si propongono di dare una maggiore qualità della vita nelle sue ultime fasi. Questo lavoro cerca di valutare se il lavoro dell’operatore di cure palliative, in particolar modo nella figura dell’infermiere, abbia sempre dato una qualità della vita soddisfacente al paziente malato di cancro terminale. Il lavoro di valutazione di qualità della vita che la figura dell’infermiere si propone di dare, con la collaborazione di altre figure professionali con cui interagisce, un’assistenza globale alla persona morente, allo lo scopo di accertare se alcuni aspetti della qualità della vita del paziente possano essere migliorati e/o modificati. 6 CAPITOLO PRIMO 1.1. Cure palliative Dal latino “pallium” che significa mantello. Palliativo richiama l’idea di avvolgere, riscaldare, contenere, donare, con riferimento ad una persona fragile. Le cure palliative sono destinate a soddisfare i bisogni del malato non guaribile e della sua famiglia, senza tralasciare tutto ciò che potrebbe provocare dolore psicofisico, sociale e spirituale, contenendo i sintomi più tipici delle malattie irreversibili. Il principio da cui parte il concetto di palliative è che ogni paziente non guaribile è comunque curabile. Nel nostro Paese, pur con un certo ritardo rispetto ad altri paesi europei, le Istituzioni hanno preso conoscenza da alcuni anni dei problemi relativi ai pazienti affetti da patologie croniche degenerative a rapida evoluzione con prognosi infausta. Sono state promulgate leggi dello Stato che hanno sancito il diritto della persona malata a ricevere cure palliative di alta qualità. La più recente di queste leggi è la Legge 38 del 15 marzo 2010 che in sintesi afferma: - È un diritto del cittadino di accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore. - Le strutture che erogano cure palliative e terapia del dolore devono rispettare i principi di tutela della dignità del malato e della qualità della vita fino al suo termine. - Le cure palliative e la terapia del dolore costituiscono obiettivi prioritari del Piano Sanitario Nazionale. 7 - Che esistono delle linee guida per la promozione, lo sviluppo e il coordinamento degli interventi regionali. - Che assicura campagne d’informazione. - Che individua le figure professionali con specifiche competenze e le tipologie di strutture di assistenza. - Che promulga l’importanza dell’ospedale senza dolore. La più recente definizione dell’OMS1 cita: “Le cure palliative sono la cura totale prestata alla persona affetta da una malattia non più responsiva alle terapie aventi come scopo la guarigione. Esse implicano una filosofia di cura che pone al centro la persona del malato, nel tentativo di garantirgli la migliore qualità di vita possibile; un approccio olistico che, nel rispetto dell'autonomia del malato e delle sue scelte, cerca in ogni modo di controllare il dolore e gli altri sintomi, sollevare la sofferenza e rendere la vita più accettabile”. 1 OMS. Collana Rapporti tecnici 804, Ginevra 1990 8 Lo scopo delle cure palliative è quello di: - Ottenere la massima qualità della vita possibile per il paziente e per i suoi famigliari. - Affermare il valore della vita, considerando la morte come evento naturale. - Non prolungare né abbreviare l’esistenza del malato. - Provvedere al sollievo dal dolore e degli altri sintomi - Integrare gli aspetti psicologici e spirituali dell’esistenza. - Offrire un sistema di supporto per la famiglia. - Richiedere un approccio d’equipe che riconosca il ruolo dei vari membri coinvolti ed in cui il personaggio più importante del gruppo può variare a seconda della necessità del paziente. - Accompagnare il malato con un appoggio morale attraverso il dialogo e l'amicizia. - Camminare al suo fianco senza precederlo, né imporgli una strada. - Cercare con lui un significato personale al dramma che sta vivendo. - Restare con lui. Spesso in silenzio. Sempre in ascolto. - Aiutare il malato a reagire, a ricordarsi di essere persona ancora viva, capace ancora di amare e di essere amato. Stimolarlo a ritrovare se stesso come persona libera e responsabile. Ad essere ancora protagonista della propria vita, a compiere atti liberi e prendere decisioni proprie. 9 - Scoprire insieme che l'esperienza della malattia può diventare un'occasione per imparare a vivere: che in essa ci si possa scoprire capaci ancora di rapportarsi correttamente con Dio, con gli altri, con se stessi, con la propria vita, con la propria malattia e con la propria morte. Quando si entra nell’ultima fase della vita la comunicazione assume molta importanza: da essa dipende moltissimo la qualità della vita del paziente. Bisogna far sentire il malato importante con una comunicazione empatica2. L'ammalato ha bisogno di uno scambio caldo, sincero e sereno; di sentire che è importante, che ci si vuole veramente prendere cura di lui. La comunicazione empatica da all'interlocutore la sicurezza di essere stato compreso. Essa si verifica solo nel contesto di una relazione interpersonale autentica che permetta di esprimere liberamente anche sentimenti ed emozioni forti o nel totale rispetto dell'autonomia dell'altro, sappia suggerire le coordinate per la soluzione di problemi contingenti. Anche un dolore come il sentirsi 'diverso' scompare quando si comunica con umiltà e competenza. Il modo di dialogare, di trattare, di toccare, di visitare: tutto parla. 2 “Cure palliative e assistenza domiciliare in oncologia medica” di Amadori, Maltoni e Fabbri. Il Pensiero Scientifico, 1999 10 Un’equipe, ben formata da persone che arricchiscono la relazione d’aiuto, combatte il dolore del malato intervenendo sul benessere psico-fisico, sociale, spirituale e familiare. Da qui scaturiscono piani di cura e assistenza personalizzati, a misura di quel malato, adatti per quel specifico momento, in relazione ai famigliari che lo accompagnano, in risposta ai suoi bisogni. I programmi di cure palliative comprendono alcuni aspetti: assistenza domiciliare, servizio di consulenza, assistenza diurna, strutture di ricovero, supporto psicologico del malato e dei familiari, anche nel lutto. La medicina palliativa richiede modelli assistenziali alternativi che prevedono l’implementazione di specifici servizi sul territorio, dall’assistenza domiciliare all’hospice, integrati con gli ospedali per acuti in un continuum di assistenza. L’attenzione è rivolta innanzitutto alla persona e poi alla malattia dando risposte specifiche, tempestive, adeguate. La qualità delle prestazioni erogate, con una continuità delle cure fino all’ultimo istante per il paziente e anche dopo la morte, è data da un’equipe formata da medici, infermieri, oss, assistenti sociali, psicologi, fisioterapisti, assistenti spirituali e volontari formati . 11 1.2. Malato in fase terminale Il malato terminale è colui che è affetto da una patologia cronica evolutiva in fase avanzata, per la quale non esistono o sono sproporzionate terapie con l’obiettivo di una stabilizzazione della malattia e/o di un prolungamento della vita. Questa fase temporale viene stabilita indicativamente con un criterio temporale in 90 giorni per il paziente oncologico, mentre per le patologie croniche degenerative non oncologiche sarà necessario individuare altri criteri, non necessariamente di durata di vita residua. Spesso questi malati sono portatori di una complessa sofferenza, definita “dolore totale”, caratterizzata dalla difficoltà a soddisfare i bisogni primari e dal deteriorarsi dell’identità corporea, dell’equilibrio psicofisico, del ruolo sociale e dello status economico. Non è quindi un paziente come tutti gli altri, ha intrapreso un percorso già noto e deve poter trascorrere il tempo che ha a disposizione con dignità e, se possibile, senza sofferenze fisiche, emotive e psicologiche. Perciò è necessario assicurare cure adeguate, dispensate da personale opportunamente formato. Il dolore non è solo fisico, invade anche altre sfere della persona umana. Pertanto va curato in tutte le sue dimensioni se si vuole giungere al controllo ottimale di quella fisica. Diversamente si rischia un pericoloso frazionamento che tende a falsare gli stessi principi fondanti questo tipo di approccio alla fase avanzata della malattia. 12 Infatti, oltre una buona conoscenza degli analgesici è essenziale un atteggiamento di ascolto del malato , senza presumere di capire a priori le cause del sintomo che il malato accusa. L’eziologia di un sintomo che in apparenza è da attribuirsi a causa fisiologica, potrebbe essere di tutt’altra natura e anziché richiedere un analgesico, potrebbe necessitare di un intervento psicologico o sociale. Il lungo lasso di tempo della fase terminale della malattia viene caratterizzato da un progressivo deterioramento dello stato di salute con la perdita dell’autonomia personale e sociale. L’ospedale è una struttura depersonalizzante che difficilmente viene incontro alle necessità psicologiche del paziente terminale. Il luogo migliore per l’assistenza al malato in fase terminale è il suo domicilio dove può avere il conforto dei suoi familiari senza però, trasformare la casa del malato in una succursale dell’ospedale. La famiglia deve essere educata all’assistenza del paziente poiché al momento della morte c’è bisogno di una sfera rassicurante. L’assistenza domiciliare richiede alle famiglie di far fronte a tutti gli aspetti di cura del paziente. Per aiutare a prepararsi a questi cambiamenti, i pazienti e i caregiver sono invitati a ottenere quante più informazioni possibili attraverso l’equipe che li accompagna in questo cammino. L’equipe ospedaliera o specialistica del territorio, opera in stretta collaborazione con il medico di famiglia e con i servizi territoriali. Una alternativa alle cure domiciliari , può essere fornito dal ricovero in hospice dove la persona malata troverà un’equipe altrettanto preparata a soddisfare i suoi bisogni alterati e a supportarlo a mantenere il più possibile la propria autonomia. L’hospice prima di essere una struttura è una filosofia che si propone di ottimizzare gli obiettivi di cure palliative quando queste non possono essere erogate al domicilio. L’hospice da la possibilità al morente di vivere appieno fino alla fine, con dignità e confort. Provvede anche al sostegno della famiglia e degli amici in lutto. Inoltre l’hospice può fornire un centro diurno ed una continua formazione. Per i bambini, che richiedono cure e attenzioni 13 diverse dagli adulti, e di conseguenza competenze specifiche, ci sono hospice pediatrici. 14 1.3. Qualità della vita Per quanto intuitivamente facile da presupporre, il termine di qualità della vita si presta a diverse possibili interpretazioni, soprattutto in ambito sanitario dove si è tentato da molto tempo di dare una definizione che non sia solo soggettiva, ma che raccolga anche elementi di tipo oggettivo creando molto spesso confusione. Questo perché il termine “qualitativo” ha di per sé un elevato livello di astrazione e complessità. Tra le molti definizioni disponibili quella di Campbell3 del 1976 ha il pregio di mettere in evidenza il fatto che la qualità della vita è un qualcosa di soggettivo, legato al benessere di un individuo prendendo in considerazione molti fattori. L’OMS4 ha dato questa definizione: “qualità della vita è la percezione soggettiva che un individuo ha della propria posizione nella vita, nel contesto di una cultura e di un insieme di valori nei quali egli vive, anche in relazione ai propri obiettivi, aspettative e preoccupazioni.” Inoltre l’OMS ci ricorda che la salute va oltre l’assenza/presenza di malattia. Ne è derivata una molteplicità di strumenti proposti alla misurazione della qualità della vita correlata alla salute prendendo in considerazione solo quegli aspetti della vita modificabili attraverso gli interventi dell’operatore sanitario. 3 Http://crc.marionegri.it/qdv, ultimo aggiornamento 25 aprile 2010 4 OMS, Collana Rapporti Tecnici 804, Ginevra 1990 15 Infine si può presupporre che sia un insieme di aree e dimensioni dell’esperienza umana che non riguardano solo le condizioni fisiche ed i sintomi, ma anche la capacità dell’individuo di funzionare visto da un punto di vista olistico. 16 1.4. Caratteristiche dell’operatore di cure palliative La realtà delle cure palliative è talmente complessa e ricca di variabili, che si rende necessario porre un approccio con una valutazione multidimensionale, affinché si tenga conto oltre agli aspetti sanitari anche degli aspetti socioeconomici e spirituali. Nella letteratura c’è ormai consenso circa alcuni elementi che debbano guidare la scelta all’assistenza di cure palliative: - La richiesta deve essere libera e volontaristica a lavorare in un servizio di tale tipo. - Essere in possesso di un percorso formativo specifico (o disponibilità a percorrerlo all’interno dell’equipe) - Avere un adeguato profilo psicologico: tendente ad escludere fattori di rischio bourn-out - Di non avere forti motivazioni personali recenti. L’assistenza domiciliare ai pazienti oncologici in fase avanzata di malattia ha rappresentato un rovesciamento culturale dell’assistenza tradizionale a cui gli infermieri (ed i medici) venivano formati in ambiente ospedaliero, ponendo cioè al centro dell’attenzione la malattia. L’assistenza a domicilio è invece incentrata sulla persona ammalata e sulla propria famiglia, ed ha prodotto un nuovo modello assistenziale ed organizzativo , che deve essere fondato sul concetto di qualità della vita residua, molto flessibile, interdisciplinare e ad elevato livello di integrazione. Gli operatori che si accingono a prestare la propria opera professionale in un tale settore, vanno incontro ad una serie di problematiche diverse rispetto a quelle consuete, molto complesse e a volte assolutamente nuove: basti 17 pensare al quelle legate alla sofferenza ed al dolore che debbono essere affrontate ricorrendo alla tecnica professionale rendendo sopportabile l’impatto lavorativo (il che non vuol dire assenza di empatia e partecipazione alla altrui sofferenza!); basti pensare alle problematiche individuali legate alla assoluta “non casualità” della scelta di una professione di aiuto così coinvolgente. Inoltre gli operatori di cure palliative devono avere altre importanti caratteristiche. Innanzitutto devono riconoscere e rispettare la morte come evento naturale della vita. Per far ciò devono far propri quei valori che riconciliano il malato con la morte infondendogli fiducia e speranza per condurlo verso quel momento serenamente. Questo implica la capacità dell’operatore di cure palliative di accettare e convivere con il senso d’impotenza, senza andare in crisi o fuggire. Gli operatori devono avere la capacità di leggere le situazioni per essere sempre vicini quando necessario, per rispondere ai bisogni individuati e saper attivare il consulente o l’operatore competente. In contemporanea devono essere capaci di comunicare continuamente e sistematicamente con l’equipe, non dimentichiamo che le cure palliative comprendono un’assistenza olistica del malato e quindi non si possono affidare ad un solo operatore. Bisogna evitare di confermare l’idea che esistono professionisti che curano solo il corpo e altri che curano solo la mente. Il malato e i suoi famigliari sono persone complete. 18 Il counselling oncologico offerto dagli operatori da un sostegno per ridurre l’ansia e alimentare la speranza del malato e della sua famiglia 5. Coloro che vengono colpiti direttamente o indirettamente dal cancro devono confrontarsi severamente con la stigmatizzazione sociale che essa ancora comporta. Il counselling è una tecnica usata per la soluzione dei problemi, in modo particolare se il paziente è confuso oppure sconvolto dalle decisioni da prendere. Questa tecnica si basa sull’osservazione che i sintomi emotivi derivano dai problemi pratici del vivere quotidiano. Si articola in questo modo: - Elencare i problemi per poi selezionare quello principale. - Elencare le opzioni per la gestione del problema principale. - Considerare i pro e i contro di ogni singola opzione. - Scegliere l’opzione migliore. - Fare un piano d’azione articolato in semplici passi per il paziente. I bisogni del malato possono essere recepiti solo se ci si pone nei suoi confronti con un ascolto empatico, ascoltando non solo le parole ma anche i pensieri e lo stato d’animo. Facendo così ci si pone realmente in ascolto del malato e dei suoi famigliari. Il dialogo in prossimità della morte ha molti ostacoli tra cui quella di avere difficoltà di percepire e gestire adeguatamente le emozioni e i sentimenti suscitati da una relazione che non richiede solo le abilità tecniche del saper fare poiché sollecita dei meccanismi di difesa che possono distorcere la comunicazione e indebolire l’efficacia complessiva dell’assistenza. 5 “Il Counselling Sanitario” Giusti E. Masiell L. Ed Carrocci Faber 2003 19 La comunicazione professionale è diversa da quella di una conversazione qualsiasi per il fatto di avere uno specifico obiettivo. Lo spontaneismo è da evitare e va sostituito dalla consapevolezza; infatti, ogni intervento comunicativo deve essere funzionale all’obiettivo e non casuale. Comunicazione come parte integrante dell’atto terapeutico con ottimizzazione delle relazioni con paziente e famiglia. Diversi fattori influiscono sulla scelta dell'approccio da usare tra cui la personalità del malato e lo stadio della malattia; ad esempio quando è troppo esausto intellettualmente o emotivamente per prendere parte nelle decisioni che riguardano la sua cura, il paziente avrà bisogno di sostegno, mentre in altri momenti richiederà semplicemente informazioni o aiuto per risolvere i suoi problemi. Spesso nelle cure palliative occorre prendere una decisone per quanto riguarda un problema specifico. Nelle cure palliative una scelta è da considerarsi importante se è alto il costo di fallire nell'obiettivo; è urgente se il costo del fallimento aumenta con il passare del tempo. La capacità di educare i caregiver coinvolgendoli negli atti assistenziali, dove è possibile, è un aspetto peculiare dell’assistenza domiciliare al paziente morente che aiuta nel processo di assistenza l’operatore. L’operatore di cure palliative deve saper gestire il dolore con farmaci, vie di somministrazione e tecniche appropriati, valutando le prescrizioni anticipate. Gestendo il dolore al meglio, l’operatore favorisce una migliore qualità della vita del paziente togliendogli un’importante fattore negativo della malattia terminale, la quale porta l’operatore di cure palliative ad interrogarsi su questioni etiche molto rilevanti: la capacità di confrontarsi e riflettere su questi problemi non deve prescindere dal lavoro quotidiano degli operatori. 20 Gli obiettivi degli operatori di cure palliative domiciliari comprendono: - Migliorare la qualità della vita nelle fasi terminali della malattia - Promuovere le dimissioni precoci dall’ospedale - Fare restare, fino all’exitus, il più possibile il paziente a domicilio - Evitare ricoveri impropri - I punti cardine della definizione dei professionisti infermieri, non solo per le cure palliative, sono: - Profilo professionale - Ordinamento didattico - Codice deontologico L’infermiere è un professionista che, nel lavoro di cure palliative, applica il problem solving con azioni di natura tecnica, relazionale ed educativa. Infatti, concepisce il malato diversamente: non privilegia l’efficienza e il tecnicismo, ma recupera un rapporto più antico e più profondo tra chi si prende cura e chi è curato, cura il malato e non la malattia. L’infermiere di oggi ha preso coscienza che la terapia non è fatta solo di tecniche: è costituita da qualsiasi intervento che determini un beneficio al paziente, per cui sono da considerare come veri e propri atti terapeutici la manipolazione d’ambiente, l’educazione e l’insegnamento rivolti al paziente ed alla sua famiglia, la ricerca del comfort per la persona ammalata, il semplice stare vicino a chi soffre, facendolo interagire nel processo di cura, 21 promuovendolo da oggetto a soggetto del trattamento6. Un’atmosfera così “propizia” che si può creare intorno al paziente sembra essere rilevante per gli esiti di cura, e ciò è tanto più vero nell’assistenza domiciliare rivolta a persone in grave difficoltà. Interviene là dove sembra che non ci sia più nulla da fare questo deve essere il movente principale che spinge l’infermiere ad affrontare le situazioni più critiche da un punto di vista umanitario e compassionevole; comprendendo che a volte può essere più utile una carezza e lo stare vicino alla persona malata, piuttosto che somministrare un farmaco. E’ oggi chiamato ad essere protagonista nella sua professione. Deve perciò possedere la capacità di elaborare autonomamente degli adeguati piani di assistenza, mantendo un efficace sistema informativo (attraverso strumenti quali la cartella clinica domiciliare), definendo standard qualitativi e sistemi di verifica, collaborando nella ricerca. Ha il dovere di garantire ai propri assistiti la miglior tutela possibile della salute, mostrando capacità di discutere e perfezionare costantemente la prassi quotidiana con interventi efficaci ed efficienti, avendo quindi l’obbligo di un aggiornamento professionale continuo, come sancito dal Codice Deontologico Infermieristico. 6 “Ruolo ed attitudine degli infermieri domiciliari a contatto con persone affette da neoplasie in fase avanzata”, F. Cecchi, B. Mazzocchi, A. Salvetti, www.oasinforma.com 22 Deve muoversi oggi fra variabili costituite dai contenuti tecnici degli interventi, dagli aspetti relazionali e dagli aspetti organizzativi del servizio, sapendo integrare esperienza, innovazioni scientifiche e risorse disponibili. L’aggiornamento presuppone la creazione di un’assistenza basata su prove di efficacia, cioè di un evidence based nursing; con materiale che può provenire da stampa, web, altri mezzi di informazione col quale mantiene un continuo rimodernamento delle conoscenze scientifiche sui farmaci o sulle tecniche strumentali-diagnostiche e addirittura assistenziali. Deve fare un percorso di accoglienza e di valutazione della situazione del paziente, trattando alcuni problemi tipici che si manifestano in una situazione di malattia in fase terminale. Dopodiché imposta un piano d’assistenza adeguato e professionale. I pazienti assistiti a domicilio hanno un’intensità assistenziale diversificata in relazione alla complessità del caso, alla situazione funzionale e al supporto famigliare disponibile. La diagnosi principale e le patologie concomitanti non sono così importanti per caratterizzare i percorsi di cura, ma assumono maggior rilievo il livello di dipendenza e il controllo dei sintomi. La malattia a prognosi infausta provoca sempre una situazione di crisi e d’incapacità ad affrontare il cambiamento. L’infermiere deve fare lo sforzo di evitare queste crisi per mezzo della discussione e della programmazione degli interventi fatto insieme al paziente ed alla famiglia . Il fattore “tempo” è un elemento decisivo nell’assistenza al paziente terminale che ha generalmente, come prospettiva la morte: il poco tempo che resta è un tempo da vivere intensamente. Quotidianamente si deve dedicare del tempo al malato studiandone la situazione e applicando tutti gli interventi necessari per ottenere la migliore e più tempestiva risposta al bisogno di quel momento. 23 Il primo colloquio con il paziente è fondamentale per instaurare un valido rapporto di comunicazione. La comunicazione non verbale è indispensabile come quella verbale: non bisogna aspettare che il malato si lamenti ma bisogna saper chiedere e osservare. Empatia, comprensione e miglioramento dell’umore sono essenziali componenti di ogni terapia. Dal primo colloquio con il paziente bisogna già attivare immediatamente un’assistenza mirata e personalizzata ponendosi degli obiettivi specifici e a breve termine in modo di poterli modificare nel momento ove si presentassero ulteriori problemi. La presenza al domicilio del paziente deve quindi essere costante per attuare l’assistenza necessaria. Spesso occorre tempo per entrare in sintonia col malato e la famiglia, in un momento in cui si sentono abbandonati dalle strutture di cura. L’apertura nel dialogo richiede ore di discorsi anche su argomenti diversi dalla stretta problematica assistenziale che hanno come ultimo traguardo l’instaurarsi della fiducia la fiducia nell’operatore e nel servizio stesso . Il servizio infermieristico domiciliare era stato riconosciuto utile e come tale, previsto dalla riforma sanitaria del 1978 con la legge 833. Ma per le prime esperienze si dovette attendere fino al successivo e più ampio progetto di Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) che è parte integrante del Piano Sanitario Nazionale del 1994-1996. Non si può non parlare di etica dell’operatore quando si tratta l’argomento delle cure palliative. Egli deve avere in mente che mentre non è mai lecito sopprimere una vita umana, non c’è l’obbligo di mantenere in vita la persona con mezzi terapeutici inadeguati. Le cure lecite sono soltanto quelle che curano il dolore e gli altri sintomi, rendendo più sopportabile la sofferenza. Infatti, ci si è chiesti perché debba esservi e quale sia il limite degli interventi tecnologici che, in date condizioni, si forniscono a molti altri malati (es. infusioni endovenose, 24 nutrizione parenterale, ossigenoterapia, ecc) o a più elevata tecnologia (come ventilazione meccanica in caso di grave insufficienza respiratoria o la dialisi). L’infermiere ha la necessità di individuare tempestivamente i bisogni del paziente ed in particolar modo quelli di assistenza. Il processo di assistenza implica una raccolta dati sistematica che può influenzare in modo determinante l’approccio dell’infermiere con il paziente. Per tale scopo si utilizzano diversi indici e scale di valutazione per una raccolta semplificata dei dati che in modo più o meno dettagliato definiscono lo stato del paziente e il grado di autonomia che lo stesso può avere . Con questi l’operatore può capire come si deve comportare nell’aiuto dei fabbisogni dello stesso e in che modo procedere nel momento in cui questi dovesse peggiorare. Le scale di valutazione e gli indici assistenziali favoriscono la gestione dei dati e la loro elaborazione che condurranno all’interpretazione, organizzata e strutturata, della realtà in cui vive il paziente. 25 CAPITOLO SECONDO 2.1. Indice ADL L’indice ADL è uno strumento di misura dell’indipendenza funzionale nelle attività di base della vita quotidiana ideato per valutare l’autonomia e l’efficacia dei trattamenti nei malati cronici. Valuta la capacità di compiere attività che consentono il soddisfacimento di bisogni fisiologici e di sicurezza fondamentali della persona e la cui compromissione determina uno stato di dipendenza funzionale attraverso sei variabili: - Capacità di lavarsi - Capacità di vestirsi - Capacità di utilizzo dei servizi igienici - Capacità di movimento - Continenza sfinterica - Capacità di alimentarsi Sono funzioni biologiche e psicosociali primarie condizionate dalla capacità fisiche più che dagli aspetti intellettivi, culturali e socio-ambientali. È con l’aggravarsi del deficit cognitivo che anche l’autonomia nelle attività di base viene progressivamente a perdersi fino alla completa disabilità nelle fasi avanzate della malattia. 26 Nell’indice ADL ciascuna attività è valutata in base a una scala a tre livelli di assenza (assente, parziale oppure completa), ognuno dei quali viene ricondotto alla dicotomia funzionale “dipendente/indipendente” secondo linee guida predefinite. Grazie alle informazioni raccolte si programma un piano d’intervento mirato al recupero ed al mantenimento delle attività di vita quotidiana. Le informazioni devono però rappresentare la realtà del momento in cui il test viene applicato ed essere riferite a ciò che il paziente è in grado di fare. Questo indice, usato nelle cure palliative, segue l’assioma per cui nel malato terminale la perdita delle funzioni fondamentali avviene secondo un ordine gerarchico e progressivo. 27 28 2.2. Scala ECOG È uno strumento multidisciplinare di valutazione della qualità di vita quotidiana progettato per i malati di cancro terminali. Questo indice è utilizzato per valutare come le malattia di un paziente progredisce , in che modo la malattia limita la capacità di vita quotidiana, e lo studio del trattamento fine al paziente . Dei 26 sintomi che vengono presi in considerazione l’operatore deve attribuire,settimane per settimana, una dicotomia da scegliere tra :no, un po’, molto, moltissimo, non rilevabile; affinché si possa capire lo status del paziente e pertanto agire con un piano di trattamento mirato ad alleviare i sintomi più invalidanti. Grado ECOG 0 Pienamente attiva, in grado di svolgere tutte le prestazioni pre-malattia senza restrizioni. 1 Limitata in strenua attività ambulatoriale e fisicamente, ma in grado di svolgere opera di un sedentario o di natura luce, ad esempio, lavori leggeri casa, il lavoro d'ufficio. 2 Ambulatoriale e capace di tutti i selfcare ma incapace di svolgere qualsiasi attività di lavoro. Su e su oltre il 50% delle ore di veglia. 3 Capace di solo selfcare limitata, costretta a letto o una sedia più del 50% delle ore di veglia. 4 Completamente disattivato. Non è possibile portare avanti alcun selfcare. Totalmente costretto a letto o una sedia 5 Dead 29 2.3. Scala di Karnofsky E’ un indice “di attività” per la misurazione dei risultati dei trattamenti antitumorali: lo stato fisico del paziente, le prestazioni e la prognosi successiva all’intervento terapeutico. E’ adatta per determinare l’idoneità del paziente alla terapia. Come tutti gli attuali strumenti, la scala di Karnofsky consiste in un certo numero di domande da porre al paziente. Secondo le risposte, la qualità della vita sarà espressa in percentuale rispetto ad un normale di (100%) stato di salute. ATTIVITÀ CURA SINTOMI SUPPORTO QUOTIDIANA PERSONALE SANITARIO Completa Completa Completa Nessuno 100 Lieve difficoltà Lieve difficoltà a Completa Segni/sintomi "minori" 90 Attività lavorativa (*1) camminare ± calo ponderale ≤ 5% ± calo energie Difficoltà Difficoltà Lieve "Alcuni" segni/sintomi (*2) 80 lieve → grave lieve → moderata difficoltà ± calo ponderale ≤ 10% a camminare e/o ± moderata ↓ energie guidare Inabile Difficoltà moderata Moderata "Alcuni" segni/sintomi (*2) 70 (si muove ± moderata ↓ energie difficoltà prevalentemente a casa) 30 Grave difficoltà a Difficoltà Segni/sintomi "maggiori" camminare e/o moderata → (*3) guidare grave ± grave calo ponderale ≤ 60 10% Alzato per più 50% Grave difficoltà Supporto sanitario ore del giorno frequente (pz 50 ambulatoriale) A letto per più 50% Limitata cura di Assistenza sanitaria ore del giorno straordinaria (per sé 40 frequenza e tipo di interventi) Inabile Inabile Indicazione al ricovero od 30 ospedalizzazione a domicilio (supporto sanitario molto intenso) (*1) SALTUARI Non condizionanti il Grave compromissione di 20 supporto terapeutico continuativo una o più funzioni (*2) SALTUARI O COSTANTI organiche vitali Condizionanti spesso il supporto irreversibili terapeutico (*3) COSTANTI O INVALIDANTI Rapida progressione dei 10 Condizionanti il supporto terapeutico processi biologici mortali Decesso 0 31 2.4. Controllo dei sintomi Per l’obiettivo di una morte umanamente dignitosa è necessario ottenere il controllo dei sintomi indipendentemente dalla progressione della malattia; la qualità della vita deve essere sempre lo scopo dei trattamenti affiancata da un supporto sociale e psicologico. I bisogni e i sintomi, che in altre patologie possono essere secondari, nel paziente terminale divengono a volte , priorità assolute. Infatti il continuativo controllo del dolore e dei sintomi disturbanti vanno presi in considerazione con un adeguato criterio: favorire un colloquio rassicurante e realistico piuttosto che un trattamento che non comporta alcun vantaggio al modo di vivere del paziente. La sintomatologia dei pazienti terminali di cancro appare comune, indipendentemente da età e tipo di patologia d’origine. Si è diffusa la cultura dell’anticipazione del sintomo più che alla sua cura. Concetto che riguarda particolarmente il dolore il cui anticipo, nella terapia al bisogno, diviene essenziale per la qualità della vita. Stesso discorso per tutti gli altri sintomi: copertura e anticipazione con l’utilizzo di farmaci, con il minimo di somministrazioni possibile e vie di accesso minimamente invasive per quantità e numero. Va ricordato che nell’evoluzione della malattia neoplastica, dopo la terapia attiva, quando non è più possibile evitare un’ulteriore progressione della malattia, l’organismo del paziente è afflitto da numerosi sintomi secondari che causano disagi sia fisici che psichici e che è proprio in questa fase che il malato viene dimesso dalle strutture di ricovero, per proseguire le cure a casa. È di estrema importanza che chi ha il compito di prendere in cura e seguire il paziente in queste fasi abbia le competenze e le informazioni più corrette per affrontare le richieste ed i bisogni del paziente e dei suoi familiari. 32 Ecco alcune caratteristiche dei sintomi che ho preso in considerazione nel mio studio. Dolore: è il sintomo per il quale più frequentemente viene richiesto l’intervento dell’operatore di cure palliative. È importante conoscere almeno i principi fondamentali di trattamento del dolore, come è altrettanto importante saper riconoscere il momento nel quale deve essere valorizzato e reso prioritario il concetto di qualità della vita, rispetto all’obiettivo “guarigione” e “quantità di vita”, mettendo in atto una serie di interventi organizzati e coordinati. Il dolore deve essere affrontato con una corretta valutazione, considerando in modo particolare che il trattamento deve essere individualizzato, le terapie farmacologiche sono il trattamento principale utilizzando il farmaco giusto, alla giusta dose e con il giusto intervallo. Nausea/vomito: relativi spesso alla difficoltà di adattamento e di induzione delle prime fasi di somministrazione di analgesici oppioidi o al dosaggio degli analgesici antinfiammatori non steroidei. Le cause possono essere diverse e relative anche alla patologia primitiva ed ai trattamenti neoplastici. Sono sintomi che possono protrarsi per ore o per diversi giorni non dando tregua al malato. Ciò è causa d’importanti problemi psicologici e dall’aggravamento di anoressia e cachessia del paziente. Astenia: l’affaticamento è percepito come più grave e persistente dalla semplice sensazione di stanchezza. I malati riferiscono una serie di sensazioni che possono essere compresenti: mancanza di energie, esaurimento, irrequietezza, perdita d’interesse di ciò che si fa, debolezza, fatica a respirare, dolore. Questo sintomo è molto complesso poiché costituito da un insieme di sensazioni fisiche (es. l’essere rallentati nei movimenti), di percezioni affettive ( es. irritabilità) e di sensazioni di origine cognitiva (es. perdita di capacità di concentrarsi). Disfagia: una vasta serie di fattori può disturbare la preparazione orale del bolo, la fase orale della deglutizione, le fasi faringea ed esofagea, alterando sia 33 l’anatomia sia la funzionalità delle strutture deputate alla deglutizione. Un esame al letto del paziente può rilevare alterazioni delle prime due fasi, mentre una disfagia complessa necessita di una valutazione di tipo specialistico. Nella maggior parte dei casi il paziente è in gradi di fornire indicazioni precise e accurate. Al contrario, la difficoltà di deglutire determinati alimenti (in base alla loro consistenza) non è di aiuto per determinare la patologia sottostante. Molto importanti saranno, quindi, i sintomi di inalazione, la localizzazione e il tipo di dolore. Insonnia: le più comuni cause dei disturbi del sonno comprendono familiarità, sesso, età, compresenza con altri sintomi o eventi stressanti correlati alle varie fasi della malattia oncologica. Si distinguono generalmente tre tipi di fattori causali d’insonnia: fattori farmacologici , fattori psicologici, fattori ambientali. Ai fini del trattamento si differenziano a seconda della fase del sonno in cui si colloca il disturbo: insonnia iniziale, insonnia centrale e insonnia terminale. 34 CAPITOLO TERZO 3.1. Strumenti e metodi Per la ricerca ho utilizzato una parte della cartella domiciliare della Fondazione Don Gnocchi: la scala di Performance Status ECOG e l’indice ADL; misurando specificatamente cinque sintomi: dolore, insonnia, astenia, disfagia, nausea/vomito. La ricerca prende in considerazione 298 casi dal 2007 al 2009, un campione casuale di pazienti sopravvissuti almeno due settimane dalla presa in carico. Utilizzando una griglia di rilevazione che raggruppava questi determinati parametri/indici, ho voluto indagare i punteggi attribuiti ad essi sia alla presa in carico sia dopo 14 giorni. Dopodiché con supporto informatico ho analizzato la situazione che fotografava la situazione dei vari punteggi e la dinamicità di questi misurando la variazione (delta) degli stessi valori. 35