La qualità di vita nel paziente terminale. La

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La qualità di vita nel paziente terminale. La
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea in Infermieristica
La qualità della vita nel paziente terminale
La rilevazione infermieristica di alcuni parametri/indicatori
Tesi di Laurea:
Sara FARRACE
Matricola 711483
Relatore:
Prof. Dr. Lino CASIRAGHI
Correlatore:
Inf. Laura Mancini
Anno accademico 2009 – 2010
3
INDICE
Introduzione
Pag. 06
Capitolo Primo:
1.1.
Le cure palliative
Pag. 07
1.2.
Il malato in fase terminale
Pag. 12
1.3.
La qualità della vita
Pag. 15
1.4.
Caratteristiche dell’operatore di cure palliative
Pag. 17
Capitolo Secondo:
2.1.
Indice ADL
Pag. 26
2.2.
Scala ECOG
Pag. 29
2.3.
Scala di Karnofsky
Pag. 30
2.4.
Controllo dei sintomi
Pag. 32
Capitolo Terzo:
3.1.
Strumenti e metodi
Pag. 35
3.2.
Analisi dati e presentazione risultati
Pag. 36
Conclusioni
Pag. 50
Bibliografia
Pag. 53
Sitografia
Pag. 55
Allegati
Pag. 56
5
INTRODUZIONE
Le cure palliative danno un’ampia assistenza rivolta al malato terminale e la sua
famiglia considerando importanti i bisogni. Per far ciò si propongono di dare una
maggiore qualità della vita nelle sue ultime fasi.
Questo lavoro cerca di valutare se il lavoro dell’operatore di cure palliative, in
particolar modo nella figura dell’infermiere, abbia sempre dato una qualità della
vita soddisfacente al paziente malato di cancro terminale.
Il lavoro di valutazione di qualità della vita che la figura dell’infermiere si
propone di dare, con la collaborazione di altre figure professionali con cui
interagisce, un’assistenza globale alla persona morente, allo lo scopo di
accertare se alcuni aspetti della qualità della vita del paziente possano essere
migliorati e/o modificati.
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CAPITOLO PRIMO
1.1. Cure palliative
Dal latino “pallium” che significa mantello. Palliativo richiama l’idea di avvolgere,
riscaldare, contenere, donare, con riferimento ad una persona fragile. Le cure
palliative sono destinate a soddisfare i bisogni del malato non guaribile e della
sua famiglia, senza tralasciare tutto ciò che potrebbe provocare dolore psicofisico, sociale e spirituale, contenendo i sintomi più tipici delle malattie
irreversibili. Il principio da cui parte il concetto di palliative è che ogni paziente
non guaribile è comunque curabile.
Nel nostro Paese, pur con un certo ritardo rispetto ad altri paesi europei, le
Istituzioni hanno preso conoscenza da alcuni anni dei problemi relativi ai
pazienti affetti da patologie croniche degenerative a rapida evoluzione con
prognosi infausta. Sono state promulgate leggi dello Stato che hanno sancito il
diritto della persona malata a ricevere cure palliative di alta qualità. La più
recente di queste leggi è la Legge 38 del 15 marzo 2010 che in sintesi afferma:
-
È un diritto del cittadino di accedere alle cure palliative e alla terapia del
dolore.
-
Le strutture che erogano cure palliative e terapia del dolore devono
rispettare i principi di tutela della dignità del malato e della qualità della
vita fino al suo termine.
-
Le cure palliative e la terapia del dolore costituiscono obiettivi prioritari
del Piano Sanitario Nazionale.
7
-
Che esistono delle linee guida per la promozione, lo sviluppo e il
coordinamento degli interventi regionali.
-
Che assicura campagne d’informazione.
-
Che individua le figure professionali con specifiche competenze e le
tipologie di strutture di assistenza.
-
Che promulga l’importanza dell’ospedale senza dolore.
La più recente definizione dell’OMS1 cita:
“Le cure palliative sono la cura totale prestata alla persona affetta da una
malattia non più responsiva alle terapie aventi come scopo la guarigione. Esse
implicano una filosofia di cura che pone al centro la persona del malato, nel
tentativo di garantirgli la migliore qualità di vita possibile; un approccio olistico
che, nel rispetto dell'autonomia del malato e delle sue scelte, cerca in ogni
modo di controllare il dolore e gli altri sintomi, sollevare la sofferenza e rendere
la vita più accettabile”.
1
OMS. Collana Rapporti tecnici 804, Ginevra 1990
8
Lo scopo delle cure palliative è quello di:
-
Ottenere la massima qualità della vita possibile per il paziente e per i
suoi famigliari.
-
Affermare il valore della vita, considerando la morte come evento
naturale.
-
Non prolungare né abbreviare l’esistenza del malato.
-
Provvedere al sollievo dal dolore e degli altri sintomi
-
Integrare gli aspetti psicologici e spirituali dell’esistenza.
-
Offrire un sistema di supporto per la famiglia.
-
Richiedere un approccio d’equipe che riconosca il ruolo dei vari
membri coinvolti ed in cui il personaggio più importante del gruppo
può variare a seconda della necessità del paziente.
-
Accompagnare il malato con un appoggio morale attraverso il
dialogo e l'amicizia.
-
Camminare al suo fianco senza precederlo, né imporgli una strada.
-
Cercare con lui un significato personale al dramma che sta vivendo.
-
Restare con lui. Spesso in silenzio. Sempre in ascolto.
-
Aiutare il malato a reagire, a ricordarsi di essere persona ancora
viva, capace ancora di amare e di essere amato. Stimolarlo a
ritrovare se stesso come persona libera e responsabile. Ad essere
ancora protagonista della propria vita, a compiere atti liberi e
prendere decisioni proprie.
9
-
Scoprire insieme che l'esperienza della malattia può diventare
un'occasione per imparare a vivere: che in essa ci si possa scoprire
capaci ancora di rapportarsi correttamente con Dio, con gli altri, con
se stessi, con la propria vita, con la propria malattia e con la propria
morte.
Quando si entra nell’ultima fase della vita la comunicazione assume molta
importanza: da essa dipende moltissimo la qualità della vita del paziente.
Bisogna far sentire il malato importante con una comunicazione empatica2.
L'ammalato ha bisogno di uno scambio caldo, sincero e sereno; di sentire che è
importante, che ci si vuole veramente prendere cura di lui. La comunicazione
empatica da all'interlocutore la sicurezza di essere stato compreso. Essa si
verifica solo nel contesto di una relazione interpersonale autentica che permetta
di esprimere liberamente anche sentimenti ed emozioni forti o nel totale rispetto
dell'autonomia dell'altro, sappia suggerire le coordinate per la soluzione di
problemi contingenti.
Anche un dolore come il sentirsi 'diverso' scompare quando si comunica con
umiltà e competenza. Il modo di dialogare, di trattare, di toccare, di visitare:
tutto parla.
2
“Cure palliative e assistenza domiciliare in oncologia medica” di Amadori,
Maltoni e Fabbri. Il Pensiero Scientifico, 1999
10
Un’equipe, ben formata da persone che arricchiscono la relazione d’aiuto,
combatte il dolore del malato intervenendo sul benessere psico-fisico, sociale,
spirituale e familiare. Da qui scaturiscono piani di cura e assistenza
personalizzati, a misura di quel malato, adatti per quel specifico momento, in
relazione ai famigliari che lo accompagnano, in risposta ai suoi bisogni.
I programmi di cure palliative comprendono alcuni aspetti: assistenza
domiciliare, servizio di consulenza, assistenza diurna, strutture di ricovero,
supporto psicologico del malato e dei familiari, anche nel lutto.
La medicina palliativa richiede modelli assistenziali alternativi che prevedono
l’implementazione di specifici servizi sul territorio, dall’assistenza domiciliare
all’hospice, integrati con gli ospedali per acuti in un continuum di assistenza.
L’attenzione è rivolta innanzitutto alla persona e poi alla malattia dando risposte
specifiche, tempestive, adeguate. La qualità delle prestazioni erogate, con una
continuità delle cure fino all’ultimo istante per il paziente e anche dopo la morte,
è data da un’equipe formata da medici, infermieri, oss, assistenti sociali,
psicologi, fisioterapisti, assistenti spirituali e volontari formati .
11
1.2. Malato in fase terminale
Il malato terminale è colui che è affetto da una patologia cronica evolutiva in
fase avanzata, per la quale non esistono o sono sproporzionate terapie con
l’obiettivo di una stabilizzazione della malattia e/o di un prolungamento della
vita. Questa fase temporale viene stabilita indicativamente con un criterio
temporale in 90 giorni per il paziente oncologico, mentre per le patologie
croniche degenerative non oncologiche sarà necessario individuare altri criteri,
non necessariamente di durata di vita residua.
Spesso questi malati sono portatori di una complessa sofferenza, definita
“dolore totale”, caratterizzata dalla difficoltà a soddisfare i bisogni primari e dal
deteriorarsi dell’identità corporea, dell’equilibrio psicofisico, del ruolo sociale e
dello status economico. Non è quindi un paziente come tutti gli altri, ha
intrapreso un percorso già noto e deve poter trascorrere il tempo che ha a
disposizione con dignità e, se possibile, senza sofferenze fisiche, emotive e
psicologiche. Perciò è necessario assicurare cure adeguate, dispensate da
personale opportunamente formato.
Il dolore non è solo fisico, invade anche altre sfere della persona umana.
Pertanto va curato in tutte le sue dimensioni se si vuole giungere al controllo
ottimale di quella fisica. Diversamente si rischia un pericoloso frazionamento
che tende a falsare gli stessi principi fondanti questo tipo di approccio alla fase
avanzata della malattia.
12
Infatti, oltre una buona conoscenza degli analgesici è essenziale un
atteggiamento di ascolto del malato , senza presumere di capire a priori le
cause del sintomo che il malato accusa. L’eziologia di un sintomo che in
apparenza è da attribuirsi a causa fisiologica, potrebbe essere di tutt’altra
natura e anziché richiedere un analgesico, potrebbe necessitare di un
intervento psicologico o sociale. Il lungo lasso di tempo della fase terminale
della malattia viene caratterizzato da un progressivo deterioramento dello stato
di salute con la perdita dell’autonomia personale e sociale. L’ospedale è una
struttura depersonalizzante che difficilmente viene incontro alle necessità
psicologiche del paziente terminale. Il luogo migliore per l’assistenza al malato
in fase terminale è il suo domicilio dove può avere il conforto dei suoi familiari
senza però, trasformare la casa del malato in una succursale dell’ospedale. La
famiglia deve essere educata all’assistenza del paziente poiché al momento
della morte c’è bisogno di una sfera rassicurante. L’assistenza domiciliare
richiede alle famiglie di far fronte a tutti gli aspetti di cura del paziente. Per
aiutare a prepararsi a questi cambiamenti, i pazienti e i caregiver sono invitati a
ottenere quante più informazioni possibili attraverso l’equipe che li accompagna
in questo cammino. L’equipe ospedaliera o specialistica del territorio, opera in
stretta collaborazione con il medico di famiglia e con i servizi territoriali.
Una alternativa alle cure domiciliari , può essere fornito dal ricovero in hospice
dove la persona malata troverà un’equipe altrettanto preparata a soddisfare i
suoi bisogni alterati e a supportarlo a mantenere il più possibile la propria
autonomia. L’hospice prima di essere una struttura è una filosofia che si
propone di ottimizzare gli obiettivi di cure palliative quando queste non possono
essere erogate al domicilio. L’hospice da la possibilità al morente di vivere
appieno fino alla fine, con dignità e confort. Provvede anche al sostegno della
famiglia e degli amici in lutto. Inoltre l’hospice può fornire un centro diurno ed
una continua formazione. Per i bambini, che richiedono cure e attenzioni
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diverse dagli adulti, e di conseguenza competenze specifiche, ci sono hospice
pediatrici.
14
1.3. Qualità della vita
Per quanto intuitivamente facile da presupporre, il termine di qualità della vita si
presta a diverse possibili interpretazioni, soprattutto in ambito sanitario dove si
è tentato da molto tempo di dare una definizione che non sia solo soggettiva,
ma che raccolga anche elementi di tipo oggettivo creando molto spesso
confusione. Questo perché il termine “qualitativo” ha di per sé un elevato livello
di astrazione e complessità.
Tra le molti definizioni disponibili quella di Campbell3 del 1976 ha il pregio di
mettere in evidenza il fatto che la qualità della vita è un qualcosa di soggettivo,
legato al benessere di un individuo prendendo in considerazione molti fattori.
L’OMS4 ha dato questa definizione: “qualità della vita è la percezione soggettiva
che un individuo ha della propria posizione nella vita, nel contesto di una cultura
e di un insieme di valori nei quali egli vive, anche in relazione ai propri obiettivi,
aspettative e preoccupazioni.” Inoltre l’OMS ci ricorda che la salute va oltre
l’assenza/presenza di malattia. Ne è derivata una molteplicità di strumenti
proposti alla misurazione della qualità della vita correlata alla salute prendendo
in considerazione solo quegli aspetti della vita modificabili attraverso gli
interventi dell’operatore sanitario.
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Http://crc.marionegri.it/qdv, ultimo aggiornamento 25 aprile 2010
4
OMS, Collana Rapporti Tecnici 804, Ginevra 1990
15
Infine si può presupporre che sia un insieme di aree e dimensioni
dell’esperienza umana che non riguardano solo le condizioni fisiche ed i
sintomi, ma anche la capacità dell’individuo di funzionare visto da un punto di
vista olistico.
16
1.4. Caratteristiche dell’operatore di cure palliative
La realtà delle cure palliative è talmente complessa e ricca di variabili, che si
rende necessario porre un approccio con una valutazione multidimensionale,
affinché si tenga conto oltre agli aspetti sanitari anche degli aspetti socioeconomici e spirituali.
Nella letteratura c’è ormai consenso circa alcuni elementi che debbano guidare
la scelta all’assistenza di cure palliative:
-
La richiesta deve essere libera e volontaristica a lavorare in un
servizio di tale tipo.
-
Essere in possesso di un percorso formativo specifico (o disponibilità
a percorrerlo all’interno dell’equipe)
-
Avere un adeguato profilo psicologico: tendente ad escludere fattori di
rischio bourn-out
-
Di non avere forti motivazioni personali recenti.
L’assistenza domiciliare ai pazienti oncologici in fase avanzata di malattia ha
rappresentato un rovesciamento culturale dell’assistenza tradizionale a cui gli
infermieri (ed i medici) venivano formati in ambiente ospedaliero, ponendo cioè
al centro dell’attenzione la malattia. L’assistenza a domicilio è invece incentrata
sulla persona ammalata e sulla propria famiglia, ed ha prodotto un nuovo
modello assistenziale ed organizzativo , che deve essere fondato sul concetto
di qualità della vita residua, molto flessibile, interdisciplinare e ad elevato livello
di integrazione.
Gli operatori che si accingono a prestare la propria opera professionale in un
tale settore, vanno incontro ad una serie di problematiche diverse rispetto a
quelle consuete, molto complesse e a volte assolutamente nuove: basti
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pensare al quelle legate alla sofferenza ed al dolore che debbono essere
affrontate ricorrendo alla tecnica professionale rendendo sopportabile l’impatto
lavorativo (il che non vuol dire assenza di empatia e partecipazione alla altrui
sofferenza!); basti pensare alle problematiche individuali legate alla assoluta
“non casualità” della scelta di una professione di aiuto così coinvolgente.
Inoltre gli operatori di cure palliative devono avere altre importanti
caratteristiche.
Innanzitutto devono riconoscere e rispettare la morte come evento naturale
della vita. Per far ciò devono far propri quei valori che riconciliano il malato con
la morte infondendogli fiducia e speranza per condurlo verso quel momento
serenamente.
Questo implica la capacità dell’operatore di cure palliative di accettare e
convivere con il senso d’impotenza, senza andare in crisi o fuggire.
Gli operatori devono avere la capacità di leggere le situazioni per essere
sempre vicini quando necessario, per rispondere ai bisogni individuati e saper
attivare il consulente o l’operatore competente. In contemporanea devono
essere capaci di comunicare continuamente e sistematicamente con l’equipe,
non dimentichiamo che le cure palliative comprendono un’assistenza olistica del
malato e quindi non si possono affidare ad un solo operatore.
Bisogna evitare di confermare l’idea che esistono professionisti che curano solo
il corpo e altri che curano solo la mente. Il malato e i suoi famigliari sono
persone complete.
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Il counselling oncologico offerto dagli operatori da un sostegno per ridurre
l’ansia e alimentare la speranza del malato e della sua famiglia 5. Coloro che
vengono colpiti direttamente o indirettamente dal cancro devono confrontarsi
severamente con la stigmatizzazione sociale che essa ancora comporta.
Il counselling è una tecnica usata per la soluzione dei problemi, in modo
particolare se il paziente è confuso oppure sconvolto dalle decisioni da
prendere. Questa tecnica si basa sull’osservazione che i sintomi emotivi
derivano dai problemi pratici del vivere quotidiano. Si articola in questo modo:
-
Elencare i problemi per poi selezionare quello principale.
-
Elencare le opzioni per la gestione del problema principale.
-
Considerare i pro e i contro di ogni singola opzione.
-
Scegliere l’opzione migliore.
-
Fare un piano d’azione articolato in semplici passi per il paziente.
I bisogni del malato possono essere recepiti solo se ci si pone nei suoi confronti
con un ascolto empatico, ascoltando non solo le parole ma anche i pensieri e lo
stato d’animo. Facendo così ci si pone realmente in ascolto del malato e dei
suoi famigliari.
Il dialogo in prossimità della morte ha molti ostacoli tra cui quella di avere
difficoltà di percepire e gestire adeguatamente le emozioni e i sentimenti
suscitati da una relazione che non richiede solo le abilità tecniche del saper fare
poiché sollecita dei meccanismi di difesa che possono distorcere la
comunicazione e indebolire l’efficacia complessiva dell’assistenza.
5
“Il Counselling Sanitario” Giusti E. Masiell L. Ed Carrocci Faber 2003
19
La comunicazione professionale è diversa da quella di una conversazione
qualsiasi per il fatto di avere uno specifico obiettivo. Lo spontaneismo è da
evitare e va sostituito dalla consapevolezza; infatti, ogni intervento comunicativo
deve essere funzionale all’obiettivo e non casuale. Comunicazione come parte
integrante dell’atto terapeutico con ottimizzazione delle relazioni con paziente e
famiglia.
Diversi fattori influiscono sulla scelta dell'approccio da usare tra cui la
personalità del malato e lo stadio della malattia; ad esempio quando è troppo
esausto intellettualmente o emotivamente per prendere parte nelle decisioni
che riguardano la sua cura, il paziente avrà bisogno di sostegno, mentre in altri
momenti richiederà semplicemente informazioni o aiuto per risolvere i suoi
problemi.
Spesso nelle cure palliative occorre prendere una decisone per quanto riguarda
un problema specifico. Nelle cure palliative una scelta è da considerarsi
importante se è alto il costo di fallire nell'obiettivo; è urgente se il costo del
fallimento aumenta con il passare del tempo.
La capacità di educare i caregiver coinvolgendoli negli atti assistenziali, dove è
possibile, è un aspetto peculiare dell’assistenza domiciliare al paziente morente
che aiuta nel processo di assistenza l’operatore.
L’operatore di cure palliative deve saper gestire il dolore con farmaci, vie di
somministrazione e tecniche appropriati, valutando le prescrizioni anticipate.
Gestendo il dolore al meglio, l’operatore favorisce una migliore qualità della vita
del paziente togliendogli un’importante fattore negativo della malattia terminale,
la quale porta l’operatore di cure palliative ad interrogarsi su questioni etiche
molto rilevanti: la capacità di confrontarsi e riflettere su questi problemi non
deve prescindere dal lavoro quotidiano degli operatori.
20
Gli obiettivi degli operatori di cure palliative domiciliari comprendono:
-
Migliorare la qualità della vita nelle fasi terminali della malattia
-
Promuovere le dimissioni precoci dall’ospedale
-
Fare restare, fino all’exitus, il più possibile il paziente a domicilio
-
Evitare ricoveri impropri
-
I punti cardine della definizione dei professionisti infermieri, non solo per
le cure palliative, sono:
-
Profilo professionale
-
Ordinamento didattico
-
Codice deontologico
L’infermiere è un professionista che, nel lavoro di cure palliative, applica il
problem solving con azioni di natura tecnica, relazionale ed educativa. Infatti,
concepisce il malato diversamente: non privilegia l’efficienza e il tecnicismo, ma
recupera un rapporto più antico e più profondo tra chi si prende cura e chi è
curato, cura il malato e non la malattia.
L’infermiere di oggi ha preso coscienza che la terapia non è fatta solo di
tecniche: è costituita da qualsiasi intervento che determini un beneficio al
paziente, per cui sono da considerare come veri e propri atti terapeutici la
manipolazione d’ambiente, l’educazione e l’insegnamento rivolti al paziente ed
alla sua famiglia, la ricerca del comfort per la persona ammalata, il semplice
stare vicino a chi soffre, facendolo interagire nel processo di cura,
21
promuovendolo da oggetto a soggetto del trattamento6. Un’atmosfera così
“propizia” che si può creare intorno al paziente sembra essere rilevante per gli
esiti di cura, e ciò è tanto più vero nell’assistenza domiciliare rivolta a persone
in grave difficoltà. Interviene là dove sembra che non ci sia più nulla da fare
questo deve essere il movente principale che spinge l’infermiere ad affrontare
le situazioni più critiche da un punto di vista umanitario e compassionevole;
comprendendo che a volte può essere più utile una carezza e lo stare vicino
alla persona malata, piuttosto che somministrare un farmaco.
E’ oggi chiamato ad essere protagonista nella sua professione. Deve perciò
possedere la capacità di elaborare autonomamente degli adeguati piani di
assistenza, mantendo un efficace sistema informativo (attraverso strumenti
quali la cartella clinica domiciliare), definendo standard qualitativi e sistemi di
verifica, collaborando nella ricerca. Ha il dovere di garantire ai propri assistiti la
miglior tutela possibile della salute, mostrando capacità di discutere e
perfezionare costantemente la prassi quotidiana con interventi efficaci ed
efficienti, avendo quindi l’obbligo di un aggiornamento professionale continuo,
come sancito dal Codice Deontologico Infermieristico.
6
“Ruolo ed attitudine degli infermieri domiciliari a contatto con persone affette
da neoplasie in fase avanzata”, F. Cecchi, B. Mazzocchi, A. Salvetti,
www.oasinforma.com
22
Deve muoversi oggi fra variabili costituite dai contenuti tecnici degli interventi,
dagli aspetti relazionali e dagli aspetti organizzativi del servizio, sapendo
integrare esperienza, innovazioni scientifiche e risorse disponibili.
L’aggiornamento presuppone la creazione di un’assistenza basata su prove di
efficacia, cioè di un evidence based nursing; con materiale che può provenire
da stampa, web, altri mezzi di informazione col quale mantiene un continuo
rimodernamento delle conoscenze scientifiche sui farmaci o sulle tecniche
strumentali-diagnostiche e addirittura assistenziali.
Deve fare un percorso di accoglienza e di valutazione della situazione del
paziente, trattando alcuni problemi tipici che si manifestano in una situazione di
malattia in fase terminale. Dopodiché imposta un piano d’assistenza adeguato e
professionale.
I pazienti assistiti a domicilio hanno un’intensità assistenziale diversificata in
relazione alla complessità del caso, alla situazione funzionale e al supporto
famigliare disponibile.
La diagnosi principale e le patologie concomitanti non sono così importanti per
caratterizzare i percorsi di cura, ma assumono maggior rilievo il livello di
dipendenza e il controllo dei sintomi.
La malattia a prognosi infausta provoca sempre una situazione di crisi e
d’incapacità ad affrontare il cambiamento. L’infermiere deve fare lo sforzo di
evitare queste crisi per mezzo della discussione e della programmazione degli
interventi fatto insieme al paziente ed alla famiglia .
Il fattore “tempo” è un elemento decisivo nell’assistenza al paziente terminale
che ha generalmente, come prospettiva la morte: il poco tempo che resta è un
tempo da vivere intensamente. Quotidianamente si deve dedicare del tempo al
malato studiandone la situazione e applicando tutti gli interventi necessari per
ottenere la migliore e più tempestiva risposta al bisogno di quel momento.
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Il primo colloquio con il paziente è fondamentale per instaurare un valido
rapporto di comunicazione. La comunicazione non verbale è indispensabile
come quella verbale: non bisogna aspettare che il malato si lamenti ma
bisogna saper chiedere e osservare. Empatia, comprensione e miglioramento
dell’umore sono essenziali componenti di ogni terapia.
Dal primo colloquio con il paziente bisogna già attivare immediatamente
un’assistenza mirata e personalizzata ponendosi degli obiettivi specifici e a
breve termine in modo di poterli modificare nel momento ove si presentassero
ulteriori problemi. La presenza al domicilio del paziente deve quindi essere
costante per attuare l’assistenza necessaria. Spesso occorre tempo per entrare
in sintonia col malato e la famiglia, in un momento in cui si sentono abbandonati
dalle strutture di cura. L’apertura nel dialogo richiede ore di discorsi anche su
argomenti diversi dalla stretta problematica assistenziale che hanno come
ultimo traguardo l’instaurarsi della fiducia la fiducia nell’operatore e nel servizio
stesso .
Il servizio infermieristico domiciliare era stato riconosciuto utile e come tale,
previsto dalla riforma sanitaria del 1978 con la legge 833. Ma per le prime
esperienze si dovette attendere fino al successivo e più ampio progetto di
Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) che è parte integrante del Piano
Sanitario Nazionale del 1994-1996.
Non si può non parlare di etica dell’operatore quando si tratta l’argomento delle
cure palliative. Egli deve avere in mente che mentre non è mai lecito
sopprimere una vita umana, non c’è l’obbligo di mantenere in vita la persona
con mezzi terapeutici inadeguati. Le cure lecite sono soltanto quelle che curano
il dolore e gli altri sintomi, rendendo più sopportabile la sofferenza. Infatti, ci si è
chiesti perché debba esservi e quale sia il limite degli interventi tecnologici che,
in date condizioni, si forniscono a molti altri malati (es. infusioni endovenose,
24
nutrizione parenterale, ossigenoterapia, ecc) o a più elevata tecnologia (come
ventilazione meccanica in caso di grave insufficienza respiratoria o la dialisi).
L’infermiere ha la necessità di individuare tempestivamente i bisogni del
paziente ed in particolar modo quelli di assistenza.
Il processo di assistenza implica una raccolta dati sistematica che può
influenzare in modo determinante l’approccio dell’infermiere con il paziente. Per
tale scopo si utilizzano diversi indici e scale di valutazione per una raccolta
semplificata dei dati che in modo più o meno dettagliato definiscono lo stato del
paziente e il grado di autonomia che lo stesso può avere . Con questi
l’operatore può capire come si deve comportare nell’aiuto dei fabbisogni dello
stesso e in che modo procedere nel momento in cui questi dovesse peggiorare.
Le scale di valutazione e gli indici assistenziali favoriscono la gestione dei dati e
la loro elaborazione che condurranno all’interpretazione, organizzata e
strutturata, della realtà in cui vive il paziente.
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CAPITOLO SECONDO
2.1. Indice ADL
L’indice ADL è uno strumento di misura dell’indipendenza funzionale nelle
attività di base della vita quotidiana ideato per valutare l’autonomia e l’efficacia
dei trattamenti nei malati cronici.
Valuta la capacità di compiere attività che consentono il soddisfacimento di
bisogni fisiologici e di sicurezza fondamentali della persona e la cui
compromissione determina uno stato di dipendenza funzionale attraverso sei
variabili:
-
Capacità di lavarsi
-
Capacità di vestirsi
-
Capacità di utilizzo dei servizi igienici
-
Capacità di movimento
-
Continenza sfinterica
-
Capacità di alimentarsi
Sono funzioni biologiche e psicosociali primarie condizionate dalla capacità
fisiche più che dagli aspetti intellettivi, culturali e socio-ambientali. È con
l’aggravarsi del deficit cognitivo che anche l’autonomia nelle attività di base
viene progressivamente a perdersi fino alla completa disabilità nelle fasi
avanzate della malattia.
26
Nell’indice ADL ciascuna attività è valutata in base a una scala a tre livelli di
assenza (assente, parziale oppure completa), ognuno dei quali viene ricondotto
alla dicotomia funzionale “dipendente/indipendente” secondo linee guida
predefinite.
Grazie alle informazioni raccolte si programma un piano d’intervento mirato al
recupero ed al mantenimento delle attività di vita quotidiana. Le informazioni
devono però rappresentare la realtà del momento in cui il test viene applicato
ed essere riferite a ciò che il paziente è in grado di fare.
Questo indice, usato nelle cure palliative, segue l’assioma per cui nel malato
terminale la perdita delle funzioni fondamentali avviene secondo un ordine
gerarchico e progressivo.
27
28
2.2. Scala ECOG
È uno strumento multidisciplinare di valutazione della qualità di vita quotidiana
progettato per i malati di cancro terminali.
Questo indice è utilizzato per valutare come le malattia di un paziente
progredisce , in che modo la malattia limita la capacità di vita quotidiana, e lo
studio del trattamento fine al paziente .
Dei 26 sintomi che vengono presi in considerazione l’operatore deve
attribuire,settimane per settimana, una dicotomia da scegliere tra :no, un po’,
molto, moltissimo, non rilevabile; affinché si possa capire lo status del paziente
e pertanto agire con un piano di trattamento mirato ad alleviare i sintomi più
invalidanti.
Grado
ECOG
0
Pienamente attiva, in grado di svolgere tutte le prestazioni pre-malattia senza
restrizioni.
1
Limitata in strenua attività ambulatoriale e fisicamente, ma in grado di svolgere
opera di un sedentario o di natura luce, ad esempio, lavori leggeri casa, il lavoro
d'ufficio.
2
Ambulatoriale e capace di tutti i selfcare ma incapace di svolgere qualsiasi attività
di lavoro. Su e su oltre il 50% delle ore di veglia.
3
Capace di solo selfcare limitata, costretta a letto o una sedia più del 50% delle
ore di veglia.
4
Completamente disattivato. Non è possibile portare avanti alcun selfcare.
Totalmente costretto a letto o una sedia
5
Dead
29
2.3. Scala di Karnofsky
E’ un indice “di attività” per la misurazione dei risultati dei trattamenti
antitumorali: lo stato fisico del paziente, le prestazioni e la prognosi successiva
all’intervento terapeutico. E’ adatta per determinare l’idoneità del paziente alla
terapia.
Come tutti gli attuali strumenti, la scala di Karnofsky consiste in un certo
numero di domande da porre al paziente. Secondo le risposte, la qualità della
vita sarà espressa in percentuale rispetto ad un normale di (100%) stato di
salute.
ATTIVITÀ
CURA
SINTOMI SUPPORTO
QUOTIDIANA
PERSONALE
SANITARIO
Completa
Completa
Completa
Nessuno
100
Lieve difficoltà
Lieve difficoltà a
Completa
Segni/sintomi "minori"
90
Attività lavorativa
(*1)
camminare
± calo ponderale ≤ 5%
± calo energie
Difficoltà
Difficoltà
Lieve
"Alcuni" segni/sintomi (*2) 80
lieve → grave
lieve → moderata
difficoltà
± calo ponderale ≤ 10%
a camminare e/o
± moderata ↓ energie
guidare
Inabile
Difficoltà moderata Moderata
"Alcuni" segni/sintomi (*2) 70
(si muove
± moderata ↓ energie
difficoltà
prevalentemente a
casa)
30
Grave difficoltà a
Difficoltà
Segni/sintomi "maggiori"
camminare e/o
moderata →
(*3)
guidare
grave
± grave calo ponderale ≤
60
10%
Alzato per più 50% Grave difficoltà
Supporto sanitario
ore del giorno
frequente (pz
50
ambulatoriale)
A letto per più 50% Limitata cura di
Assistenza sanitaria
ore del giorno
straordinaria (per
sé
40
frequenza e tipo di
interventi)
Inabile
Inabile
Indicazione al ricovero od 30
ospedalizzazione a
domicilio (supporto
sanitario molto intenso)
(*1) SALTUARI Non condizionanti il
Grave compromissione di 20
supporto terapeutico continuativo
una o più funzioni
(*2) SALTUARI O COSTANTI
organiche vitali
Condizionanti spesso il supporto
irreversibili
terapeutico
(*3) COSTANTI O INVALIDANTI
Rapida progressione dei
10
Condizionanti il supporto terapeutico processi biologici mortali
Decesso
0
31
2.4. Controllo dei sintomi
Per l’obiettivo di una morte umanamente dignitosa è necessario ottenere il
controllo dei sintomi indipendentemente dalla progressione della malattia; la
qualità della vita deve essere sempre lo scopo dei trattamenti affiancata da un
supporto sociale e psicologico.
I bisogni e i sintomi, che in altre patologie possono essere secondari, nel
paziente terminale divengono a volte , priorità assolute. Infatti il continuativo
controllo del dolore e dei sintomi disturbanti vanno presi in considerazione con
un adeguato criterio: favorire un colloquio rassicurante e realistico piuttosto che
un trattamento che non comporta alcun vantaggio al modo di vivere del
paziente.
La sintomatologia dei pazienti terminali di cancro appare comune,
indipendentemente da età e tipo di patologia d’origine.
Si è diffusa la cultura dell’anticipazione del sintomo più che alla sua cura.
Concetto che riguarda particolarmente il dolore il cui anticipo, nella terapia al
bisogno, diviene essenziale per la qualità della vita. Stesso discorso per tutti gli
altri sintomi: copertura e anticipazione con l’utilizzo di farmaci, con il minimo di
somministrazioni possibile e vie di accesso minimamente invasive per quantità
e numero.
Va ricordato che nell’evoluzione della malattia neoplastica, dopo la terapia
attiva, quando non è più possibile evitare un’ulteriore progressione della
malattia, l’organismo del paziente è afflitto da numerosi sintomi secondari che
causano disagi sia fisici che psichici e che è proprio in questa fase che il
malato viene dimesso dalle strutture di ricovero, per proseguire le cure a casa.
È di estrema importanza che chi ha il compito di prendere in cura e seguire il
paziente in queste fasi abbia le competenze e le informazioni più corrette per
affrontare le richieste ed i bisogni del paziente e dei suoi familiari.
32
Ecco alcune caratteristiche dei sintomi che ho preso in considerazione nel mio
studio.
Dolore: è il sintomo per il quale più frequentemente viene richiesto l’intervento
dell’operatore di cure palliative. È importante conoscere almeno i principi
fondamentali di trattamento del dolore, come è altrettanto importante saper
riconoscere il momento nel quale deve essere valorizzato e reso prioritario il
concetto di qualità della vita, rispetto all’obiettivo “guarigione” e “quantità di
vita”, mettendo in atto una serie di interventi organizzati e coordinati. Il dolore
deve essere affrontato con una corretta valutazione, considerando in modo
particolare che il trattamento deve essere individualizzato, le terapie
farmacologiche sono il trattamento principale utilizzando il farmaco giusto, alla
giusta dose e con il giusto intervallo.
Nausea/vomito: relativi spesso alla difficoltà di adattamento e di induzione delle
prime fasi di somministrazione di analgesici oppioidi o al dosaggio degli
analgesici antinfiammatori non steroidei. Le cause possono essere diverse e
relative anche alla patologia primitiva ed ai trattamenti neoplastici. Sono sintomi
che possono protrarsi per ore o per diversi giorni non dando tregua al malato.
Ciò è causa d’importanti problemi psicologici e dall’aggravamento di anoressia
e cachessia del paziente.
Astenia: l’affaticamento è percepito come più grave e persistente dalla semplice
sensazione di stanchezza. I malati riferiscono una serie di sensazioni che
possono essere compresenti: mancanza di energie, esaurimento, irrequietezza,
perdita d’interesse di ciò che si fa, debolezza, fatica a respirare, dolore. Questo
sintomo è molto complesso poiché costituito da un insieme di sensazioni fisiche
(es. l’essere rallentati nei movimenti), di percezioni affettive ( es. irritabilità) e di
sensazioni di origine cognitiva (es. perdita di capacità di concentrarsi).
Disfagia: una vasta serie di fattori può disturbare la preparazione orale del bolo,
la fase orale della deglutizione, le fasi faringea ed esofagea, alterando sia
33
l’anatomia sia la funzionalità delle strutture deputate alla deglutizione. Un
esame al letto del paziente può rilevare alterazioni delle prime due fasi, mentre
una disfagia complessa necessita di una valutazione di tipo specialistico. Nella
maggior parte dei casi il paziente è in gradi di fornire indicazioni precise e
accurate. Al contrario, la difficoltà di deglutire determinati alimenti (in base alla
loro consistenza) non è di aiuto per determinare la patologia sottostante. Molto
importanti saranno, quindi, i sintomi di inalazione, la localizzazione e il tipo di
dolore.
Insonnia: le più comuni cause dei disturbi del sonno comprendono familiarità,
sesso, età, compresenza con altri sintomi o eventi stressanti correlati alle varie
fasi della malattia oncologica. Si distinguono generalmente tre tipi di fattori
causali d’insonnia: fattori farmacologici , fattori psicologici, fattori ambientali. Ai
fini del trattamento si differenziano a seconda della fase del sonno in cui si
colloca il disturbo: insonnia iniziale, insonnia centrale e insonnia terminale.
34
CAPITOLO TERZO
3.1. Strumenti e metodi
Per la ricerca ho utilizzato una parte della cartella domiciliare della Fondazione
Don Gnocchi: la scala di Performance Status ECOG e l’indice ADL; misurando
specificatamente cinque sintomi: dolore, insonnia, astenia, disfagia,
nausea/vomito.
La ricerca prende in considerazione 298 casi dal 2007 al 2009, un campione
casuale di pazienti sopravvissuti almeno due settimane dalla presa in carico.
Utilizzando una griglia di rilevazione che raggruppava questi determinati
parametri/indici, ho voluto indagare i punteggi attribuiti ad essi sia alla presa in
carico sia dopo 14 giorni.
Dopodiché con supporto informatico ho analizzato la situazione che fotografava
la situazione dei vari punteggi e la dinamicità di questi misurando la variazione
(delta) degli stessi valori.
35