Tra orientamento e auto-orientamento, tra

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Tra orientamento e auto-orientamento, tra
temi&strumenti
studi&ricerche
ISBN 88-543-0003-9
L’Isfol, Istituto per lo sviluppo della formazione professionale
dei lavoratori, è un Ente pubblico di ricerca scientifica istituito
con D.P.R. n. 478 del 30 giugno 1973. L’Istituto opera in base
al nuovo Statuto approvato con D.P.C.M. del 19 marzo 2003 ed
al nuovo assetto organizzativo approvato con delibera del Consiglio di Amministrazione n. 12 del 6.10.2004.
Svolge attività di studio, ricerca, sperimentazione, documentazione, informazione e valutazione nel campo della formazione,
delle politiche sociali e del lavoro, al fine di contribuire alla crescita dell’occupazione, al miglioramento delle risorse umane,
all’inclusione sociale ed allo sviluppo locale. Fornisce consulenza tecnico-scientifica al Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali e ad altri Ministeri, alle Regioni, Province autonome e
agli Enti locali, alle Istituzioni nazionali pubbliche e private.
Svolge incarichi che gli vengono attribuiti dal Parlamento e fa
parte del Sistema Statistico nazionale.
Svolge anche il ruolo di struttura di assistenza tecnica per le
azioni di sistema del Fondo sociale europeo, è Istanza Nazionale per il programma comunitario Leonardo da Vinci e per
l’Azione comunitaria Europass ed è Struttura nazionale di supporto all’iniziativa comunitaria Equal.
Presidente
Sergio Trevisanato
Direttore generale
Antonio Francioni
La collana Temi e Strumenti – articolata in Studi e Ricerche, Percorsi, Politiche comunitarie – presenta i risultati delle attività di ricerca
dell’Isfol sui temi di competenza istituzionale, al fine di diffondere le
conoscenze, sviluppare il dibattito, contribuire all’innovazione e la
qualificazione dei sistemi di riferimento.
La collana “Temi e Strumenti” è curata da Isabella Pitoni, responsabile del Centro di Documentazione Specializzato Isfol
Unione europea
Fondo sociale europeo
ISFOL
TRA ORIENTAMENTO E
AUTO-ORIENTAMENTO,
TRA FORMAZIONE E
AUTOFORMAZIONE
ISFOL Editore
La ricerca presentata in questo volume nasce all’interno dell’Area Politiche per l’orientamento di cui è responsabile Anna Grimaldi.
L’obiettivo del lavoro è stato quello di studiare e comprendere gli spazi di interazione e di
integrazione fra i due grandi ambiti delle scienze umane rappresentati dall’orientamento
e dalla formazione, considerati, in questo contesto, come portatori di fertili aspetti di crescita professionale e personale per i soggetti che ne sperimentano le pratiche.
Il Gruppo di lavoro, coordinato da Anna Grimaldi,
è stato composto da:
Angelo Del Cimmuto e Giovanna De Rossi per l’Isfol
Gian Piero Quaglino, Preside della Facoltà di Psicologia, Università di Torino
Monica Reynaudo, Università di Torino.
Sono autori del testo:
Anna Grimaldi, Gian Piero Quaglino (introduzione)
Gian Piero Quaglino, Monica Reynaudo, Angelo Del Cimmuto (capitolo 1)
Monica Reynaudo, Angelo Del Cimmuto, Anna Grimaldi (capitolo 2)
Anna Grimaldi, Gian Piero Quaglino (conclusioni)
Il volume è a cura di Anna Grimaldi e Gian Piero Quaglino
Si ringraziano i testimoni privilegiati che
con la loro disponibilità ed esperienza
hanno reso possibile la realizzazione di questo volume
La pubblicazione è aggiornata al 31.12.2004
Coordinamento della programmazione editoriale e dell’editing della collana
“Temi&Strumenti”: Piero Buccione
INDICE
INDICE
Introduzione (A. Grimaldi e G. P. Quaglino)
I. Spazi di intersezione in letteratura
(G. P. Quaglino, M. Reynaudo, A. Del Cimmuto)
1. La formazione: tra teorie e metodi
2. L’autoformazione: prospettive a confronto
3. L’orientamento e l’auto-orientamento: il dibattito
in corso e le aperture
4. Formazione, autoformazione, orientamento:
il pieno ed il vuoto.
II. Il punto di vista degli esperti
(M. Reynaudo, A. Del Cimmuto, A. Grimaldi)
1. Le riflessioni dei testimoni privilegiati
2. Le sollecitazioni provenienti dalle esperienze
2.1 I percorsi per un target di giovani e di adulti
2.2 Le pratiche formative nell’ambito universitario
e postuniversitario
2.3 Un’esperienza di ritorno sulla propria vita adulta
2.4 Le attività per l’inserimento e/o il reinserimento
nel mondo del lavoro
2.5 Uno strumento autoformativo e auto-orientativo
per i formatori e le formatrici
3. Le criticità e le prospettive
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III. Conclusioni (A. Grimaldi e G. P. Quaglino)
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Appendice
Scheda di intervista
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Bibliografia
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5
INTRODUZIONE
INTRODUZIONE
L
a ricerca che si presenta in questo volume, nata nell’ambito delle
attività promosse dall’Area Politiche per l’orientamento dell’Isfol ed in
linea di continuità con quanto fin qui realizzato (si vedano Grimaldi,
2002a e 2002b), si è svolta attraverso due momenti tra loro collegati che
hanno tentato di comprendere l’esistenza di possibilità di integrazione
concettuale e pratica tra gli ambiti della formazione e dell’orientamento,
in particolare concentrandosi sulle aperture auto-, vale a dire rispettivamente autoformative e auto-orientative.
Le ragioni di tale interesse sono da ricondursi alla constatazione che gli
ambiti organizzativi e il mondo delle professioni sono attraversati da inarrestabili e profondi cambiamenti di cui non possono non risentire contemporaneamente i domini della formazione e dell’orientamento, che vengono a
trovarsi di fronte a nuovi e più impegnativi interrogativi cui dare risposta
(Guichard, Huteau, 2001). Il processo di mutamento sembra avvenire lungo
alcune dimensioni principali, comuni, peraltro, ad entrambi i contesti:
• una forte centratura dell’attenzione sul soggetto;
• una spinta all’innovazione delle metodologie in un’ottica eminentemente esperienziale (cfr. ad esempio, Mortari, 2003);
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INTRODUZIONE
una sfida crescente verso il mantenimento di una tensione lifelong (cfr.
ad esempio, Field, 2003);
• una riconfigurazione del profilo tradizionale delle professionalità di
“accompagnamento” (Pineau, 2002) verso una molteplicità di riferimenti disciplinari e metodologici;
• una focalizzazione degli obiettivi verso il potenziamento delle competenze personali al fine di una progressiva autonomizzazione del soggetto (Bezille, 2002) nella progettazione del proprio percorso di sviluppo tanto professionale, quanto personale (Quaglino, 2002).
Il progetto scaturito da tale interesse si è posto una triplice finalità:
• esplorare, a un livello teorico, la possibilità o l’impossibilità di una
reale e “virtuosa” convergenza tra formazione e orientamento al fine
di individuare punti di snodo tra i rispettivi territori, spazi di sinergia e rispecchiamento di valori. L’attenzione diretta verso la convergenza tra formazione e orientamento si è, inoltre, arricchita di temi
e suggestioni grazie al confronto con le più recenti questioni attinenti la dimensione della gestione autonoma del processo formativo e
orientativo, finalizzata alla personalizzazione crescente delle risorse
a disposizione del soggetto per il proprio processo evolutivo;
• completare lo “sguardo” teorico con una centratura sulle attività pratiche, coerentemente con l’attenzione che l’Isfol riserva alla definizione di repertori di buone pratiche ed all’individuazione di possibili
linee-guida per la costruzione di modelli di azione dotati di capacità e
di prospettiva lifelong;
• realizzare una fase comparativa di quanto rilevato.
Più in particolare, l’intero progetto di ricerca si poneva una serie di
obiettivi specifici:
- comprendere il punto di vista di esperti di formazione, autoformazione, orientamento sull’attuale scenario della formazione, tentando
di coglierne le principali linee di tendenza a livello di dibattito e di
pratiche;
- esplicitare le definizioni-guida delle ricerche e delle azioni di autoformazione e di auto-orientamento al fine di comprendere i modelli teorici e/o d’azione soggiacenti alle esperienze e alle azioni;
- verificare l’esistenza o meno, a livello concettuale, della possibilità di
un modello complesso e integrato connotato dalla convergenza della
formazione e dell’autoformazione da un lato, della formazione e dell’orientamento dall’altro e, infine, dell’autoformazione e dell’autoorientamento;
- esplorare modelli di pratiche in un'ottica di analisi dei processi sperimentali realizzati con un’attenzione all’approfondimento di tutti i cri•
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INTRODUZIONE
teri fondamentali per un processo di sperimentazione: analisi delle
tipologie di destinatari, risorse economiche e umane messe in campo,
strumenti, tempi, articolazione a livello di inizio, svolgimento e conclusione.
La conoscenza pregressa in tema di autoformazione e orientamento in particolare, oltre a quella già consolidata rispetto alla letteratura internazionale sulla formazione, ha permesso di orientare la scelta delle visite studio
in Francia oltre che in Italia, in quanto nell’area culturale e professionale francese e francofona esiste una consolidata esperienza di ricerca e di
scambio tanto in tema di autoformazione che di orientamento.
In Francia, infatti, risulta ormai diffusa a livello internazionale, e
affermata anche dal punto di vista della produzione bibliografica, l’attività di ricerca del GRAF, Groupe de Recherche sur l’Autoformation
en France, che raccoglie intorno alla propria attività, da circa venti
anni, contributi di esperti provenienti tanto dal mondo universitario
quanto da quelli del settore professionale. Il lavoro del gruppo si connota per la convivenza di molteplici approcci teorici e pratici in tema
di autoformazione oltre che da un dibattito alimentato costantemente
da convegni e giornate di studio di respiro internazionale che vedono
partecipare ai lavori non solo rappresentanti del mondo universitario,
ma anche centri di ricerca nazionale, come il CNAM o agenzie pubbliche come l’ANPE insieme a partner internazionali orientati, in particolare, al mondo delle professioni: valga come esempio per tutti il
gruppo GIRAT (Groupe interdisciplinare de recherche sur l'autoformation et le travail) costituito e attivo in Canada, in particolare presso l’Università di Montreal.
Il GRAF, che ha rappresentato uno dei maggiori riferimenti in termini di
strutture coinvolte per lo svolgimento delle visite studio e di testimoni privilegiati ascoltati, rappresenta anche uno dei nodi del LOS Forschungsgruppe (L. O. S., Lernen, Organisiert und Selbstgesteuert)1, rete internazionale istituita su iniziativa di H. B. Long2 nel 1986 al fine di alimentare la discussione sul tema e le pratiche dell’autoformazione, e che
attualmente gode degli apporti di ricerca provenienti dalla Spagna, dalla
Francia, dalla Germania, dal Canada e dagli Stati Uniti, oltre che da istituti e enti di ricerca o organismi di rappresentanza del mondo professionale. Il LOS, tra gli altri, annovera il lavoro della Deutsche Gesellschaft
La sigla indica il Gruppo di ricerca sull’apprendimento autodiretto e auto-organizzato.
Si tratta di uno dei maggiori esperti statunitensi in tema di studio e ricerca sul tema del
self-directed learning: si vedano i titoli dedicati a questo tema che annualmente l’autore
cura nell’ambito della collana della Oklahoma Research Center for Continuing Professional and Higher Education of the University of Oklahoma.
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für Selbstorganisiertes Lernen (DGSL)3, dell’Institut für "Interdisziplinäre Alternsforschung" (IFA)4 di Brema, l’Institut für empirische Sozialforschung (ISF)5 di Münster, il Bildungszentrum der Wirtschaft im Unterwesergebiet (BWU)6 e il Ländliche Entwicklungsprogramm in Recife/Brasilien (LER)7, e, infine, il già citato, GIRAT dell’Université de Montréal.
Sul versante dell’orientamento indiscusso è il valore dell’esperienza francese con le pratiche legate all’attività dei CIO, piuttosto che non della
Cité des Métiers della Villette di Parigi o della rete di istituzioni facenti
riferimento all’ONISEP e con la vasta tradizione di strumenti messi a
punto per l’orientamento dei giovani e degli adulti.
Dal punto di vista dei tempi e dei metodi, il progetto di ricerca ha inteso
avvalersi di una metodologia di tipo qualitativo che si è concretizzato
attraverso:
• un’analisi e una riflessione critica condotta sui materiali bibliografici
di riferimento;
• una serie di visite-studio residenziali durante le quali è stato possibile
entrare in contatto con centri di documentazione specializzati sulle
tematiche della formazione e dell’orientamento, accanto a centri e
strutture pubbliche, e miste pubblico-private, la cui expertise specifica di studio e di ricerca si declina nei contesti singoli o combinati della
formazione, dell’autoformazione e dell’orientamento; tali visite hanno
permesso la raccolta di materiali oltre che l’osservazione dei contesti
in cui si collocano questi processi;
• lo svolgimento di interviste semi-strutturate ai responsabili e/o agli
operatori dei centri coinvolti nelle visite stesse, i cui contenuti si sono
definiti a partire da una traccia di intervista finalizzata a esplorare
questioni teoriche e pratiche pertinenti rispetto agli obiettivi della
ricerca. Essa è stata messa a punto e tradotta in lingua (nel caso delle
interviste all’estero) dal gruppo di ricerca e inviata (attraverso email o
fax) ai testimoni privilegiati almeno una settimana prima dell’incontro.
L’impianto della ricerca ha previsto per questa prima parte del processo,
due momenti di lavoro distinti:
• una prima fase esplorativa, caratterizzata dalla raccolta dei materiali
bibliografici, attraverso un’indagine di tipo documentario, e dei contributi di cui fossero autori coloro che sarebbero poi divenuti testimoni privilegiati; attraverso le visite residenziali presso gli intervistati e i
Il nome indica la Società tedesca per l’apprendimento auto-organizzato.
È l’Istituto per la ricerca interdisciplinare sugli adulti.
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Si tratta dell’Istituto per la ricerca sociale empirica.
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Il nome indica il Centro di formazione in economia della parte meridionale del Weser.
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Si tratta del Programma regionale di sviluppo per il Recife, Brasile.
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INTRODUZIONE
centri di appartenenza, è stato possibile da un lato acquisire un punto di
vista autorevole sullo stato dell’offerta di servizi integranti formazione e/o
autoformazione e/o orientamento e dall’altro completare il quadro di riferimento mediante il punto di vista teorico-metodologico degli esperti sullo
scenario dei processi formativi, autoformativi e auto-orientativi;
• una seconda fase di analisi e di riflessione critica dei materiali con
costruzione di una griglia tematica omogenea utile a raccogliere e rendere comparabili i punti di vista dei testimoni e le loro esperienze pratiche e a formulare le prime conclusioni.
La seconda fase dell’attività di ricerca è stata finalizzata a consolidare un
archivio delle più attuali e interessanti esperienze di pratiche passibili di
integrare, in qualche modo e con le proprie peculiarità, orientamento,
formazione e momenti autoformativi e/o auto-orientativi. Si è trattato di
una tappa di confronto e di scambio indirizzata, in particolare, a raccogliere indicazioni sulle soluzioni operative scelte al fine di facilitare una
convergenza tra richieste, finalità, fasi, strumenti e risorse proprie del
momento formativo, autoformativo e di quello orientativo e auto-orientativo, valutandone contemporaneamente il senso e i risultati.
Dopo la realizzazione delle interviste e la somministrazione a distanza dei
questionari, è stato possibile leggere il contenuto delle interviste attraverso un metodo di analisi che evidenziasse le dimensioni maggiormente
significative.
La traccia di intervista (allegata in appendice a questo volume), e la versione sottoforma di questionario per la somministrazione a distanza, è
stata articolata intorno ad una serie di domande aperte che sono state
prima elaborate in lingua italiana e successivamente adattate in lingua
francese per le visite studio che si sono svolte all’estero. L’adattamento è
avvenuto a cura del gruppo di ricerca, che al termine delle visite stesse ha
poi ulteriormente modificato lo strumento al fine di renderlo il più affine
possibile, tanto a livello linguistico che formale, alla realtà francese per
un eventuale riutilizzo.
Prima di procedere all’analisi di quanto rilevato durante la ricerca,
riteniamo importante precisare che la vastità della materia considerata
permette di considerare le riflessioni contenute in queste pagine come
preliminari ad approfondimenti ulteriori tanto sul fronte applicativo
quanto su quello comparativo.
Sembra di poter affermare, infatti, che il momento delle visite studio,
in particolare, abbia rappresentato una fase particolarmente prolifica in termini di contatti con professionisti e studiosi, che si sono sentiti particolarmente sollecitati a riflettere sull’oggetto specifico della
ricerca. L’invito alla partecipazione, infatti, ha permesso loro di
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INTRODUZIONE
riflettere sui temi della formazione, dell’autoformazione e dell’orientamento in chiave di possibili intersezioni e di pensare ad alcuni progetti esistenti in forma sperimentale come sede di convergenze tra questi tre poli, finora, tuttavia, rimaste implicite.
Per questa serie di ragioni si ritiene opportuno considerare questo volume
come uno strumento di studio e di riflessione sui risultati raccolti nel corso
di questa ricerca, propedeutici a ricerche ulteriori di approfondimento,
anche sul fronte applicativo e comparativo. Tali approfondimenti sono da
considerarsi certo auspicabili, come ammesso dagli stessi intervistati, in
quanto sul terreno delle possibili integrazioni tra formazione, autoformazione e orientamento si gioca molta dell’efficacia applicativa di progetti a
sostegno della crescita e dell’evoluzione dei giovani e degli adulti.
Nel corso delle visite-studio, proprio i testimoni coinvolti hanno ammesso come la partecipazione alla ricerca abbia permesso loro di pensare in
modo diverso dall'abituale ai temi della formazione, dell'autoformazione
e dell'orientamento. Ciò li ha condotti a divenire attori in prima persona
dell'evoluzione del progetto-processo fornendo preziosi suggerimenti su
altri testimoni privilegiati da contattare in un secondo momento e su fonti
bibliografiche spesso inaccessibili al ricercatore straniero, anche se
ampiamente conosciute nel paese d'origine.
Gli esperti e gli operatori intervistati hanno sottolineato che occorre continuare il lavoro di riflessione iniziato con questo progetto al fine di realizzare un duplice obiettivo:
• un primo, che potremmo definire di riflessione teorica, affinché
soprattutto le esperienze applicative esistenti, capaci di integrare
momenti (auto)formativi e processi (auto)orientativi, divengano, da
un lato, sempre più consapevoli delle dimensioni su cui stanno agendo
e, dall'altro, sempre più solide a livello di riferimenti teorici;
• un secondo, che si potrebbe definire di evoluzione delle pratiche,
affinché divenga effettiva la circolazione delle esperienze, in un’ottica
di confronto e di arricchimento reciproco, a scapito delle duplicazioni
inconsapevoli di pratiche simili cui spesso sono legate anche le duplicazioni di sforzi e di criticità.
Dato il contributo fondamentale offerto al progetto presentato in queste
pagine, l’introduzione non può che chiudersi con il giusto ringraziamento ai testimoni privilegiati che con la loro disponibilità ed esperienza
hanno reso possibile la realizzazione di questo volume: Aureliana Alberici, docente di Educazione degli adulti presso la Terza Università di
Roma; Jacques Aubret, docente emerito di Psicologia dell’orientamento
presso l’Università di Lille 3; Martine Blanc-Rameau, della Divisione
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INTRODUZIONE
Ingenierie de formation et conseil del CAFOC (Centre Académique de
Formation Continue) e Responsabile del Servizio di ingegneria pedagogica della rete dei GRETA (Group d’Etablissemetnts interdisciplinaire) di
Parigi; Philippe Carré, docente presso il Département des sciences de
l'éducation UFR S.P.S.E. Università Paris X; Duccio Demetrio, docente
di Filosofia dell’educazione presso l’Università di Milano Bicocca; Pascal
Galvani, docente presso il dipartimento di Scienze Umane dell’Università
del Quebec a Rimouski; Luigi Giacci, Preside della Scuola Media Statale
“Leonardo da Vinci” di Torino; Andrè Moisan, Maître de conférences
presso lo Cnam (Conservatoire national des arts et métiers) di Parigi;
Attilio Monasta, docente di pedagogia sperimentale presso l’Università di
Firenze; Christine Rieu-Fichot, Ispettrice del settore orientamento e
Direttrice aggiunta dell’INETOP (Institut National d’Étude et d’Orientation Professionnelle) di Parigi; Paolo Serreri professore a contratto
presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Terza Università di
Roma; Farida Temimi, Responsabile del coordinamento del servizio APP
10 - ASSOFAC e Nathalie Lavielle, Dottoranda presso lo CNAM di Parigi e iniziatrice dell’attività del centro ASSOFAC di Parigi; Leonardo
Verdi Vighetti, esperto di processi formativi ed orientativi, Responsabile
del settore valutazione e qualità dell’Enaip nazionale di Roma.
Si ringraziano, inoltre, coloro che hanno fatto parte del gruppo di ricerca: Giovanna De Rossi per l’Isfol, Sara Ruffinatti e Chiara Ghislieri per
il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Torino.
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
SPAZI DI
INTERSEZIONE
IN LETTERATURA
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uesto capitolo si propone di raccogliere alcune riflessioni maturate
nel corso dell’analisi della letteratura più recente prodotta a livello internazionale in tema di formazione e apprendimento, di autoformazione, di
orientamento e di auto-orientamento. Il campo di esplorazione è certamente ampio, per cui queste pagine non potranno che presentare solo una
scelta di contenuti intorno a cui si è instaurato un accordo “tacito” tra i
diversi esperti e solo una parte delle questioni del dibattito e degli interrogativi che aspirano ad essere tradotti in progetti di azione, senza pretese di sistematicità. Il tutto avverrà guardando a un target particolare
quale quello degli adulti, ma senza trascurare altre fasce di età (i giovani).
In letteratura non sembrano essere molti i contributi che esplorano la
relazione tra gli ambiti di interesse sia in termini di possibilità sia di
impossibilità di convergenza (ad esempio: Patton e McMahon, 2002;
Curinier, 2000). Si tratterà, pertanto, di costruire riflessivamente spazi e
punti di connessione tra questi ambiti che paiono accomunati, in primo
luogo, dall’obiettivo di sostenere il percorso evolutivo individuale.
La difficoltà nel riconoscere consapevolmente spazi di intersezione appare forse più semplice tra i “macrosistemi” della formazione e dell'orien-
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
tamento, mentre sono meno comuni i contributi che elaborano il tema
dell'intreccio tra processi autoformativi e auto-orientativi ad un livello
che sia realmente teorico e/o di ricerca (Galvani, 1997; Josso, 2001) e non
solo una dichiarazione di intenti.
Difficile, comunque, non cogliere le assonanze tra talune definizioni di
orientamento e di autoformazione, come nel caso della definizione europea di orientamento professionale enunciata in alcuni documenti ufficiali nel 2000: “l’orientamento professionale è considerato come un processo continuo di sostegno alle persone lungo tutto il corso della loro vita
affinché esse elaborino e mettano in opera il loro progetto personale e
professionale chiarendo le loro aspirazioni e le loro competenze attraverso l’informazione e la consulenza sulle realtà di lavoro, l’evoluzione
dei mestieri e delle professioni, del mercato occupazionale, della realtà
economica e dell’offerta di formazione” (Danvers, Sandjian, 2000).
Da questa definizione emergono probabilmente le questioni centrali su
cui si cercherà di lavorare in queste pagine: in primo luogo, quella della
continuità spazio-temporale tra percorsi di formazione e di orientamento (che richiamano il senso della continuità dell’esistenza individuale) e,
in secondo luogo, lo spostamento verso il tema dell’autonomia, che può
divenire il criterio intorno a cui costruire una continuità di contenuti a
un livello, in certo modo, intrinseco tra i diversi processi implicati.
Nei quattro paragrafi che compongono il capitolo si cercherà di dare
una risposta ad alcune domande: su quali dimensioni i vertici della formazione e dell’orientamento si incontrano? Su questi nodi comuni è possibile pensare ad un’azione sinergica? Che cosa la rende possibile? Come
si inseriscono le questioni dell’autoformazione e dell’auto-orientamento
in questo scenario?
Al fine di elaborare una risposta a questi interrogativi, s’intrecceranno
in primo luogo alcune riflessioni sui processi più emblematici che sembrano percorrere il campo della formazione e dell’apprendimento con
particolare attenzione ai temi connessi al lifelong learning; in secondo
luogo, si definiranno alcune delle questioni aperte sul fronte dell’autoformazione il cui ambito di ricerca e applicazione è ormai consolidato
a livello internazionale, ma che proprio in virtù di tale consolidamento
può proporre temi di ricerca nuovi sul versante dell’autos; in terzo
luogo, si presenteranno alcune linee del confronto sul fronte dell’orientamento, cui seguirà la presentazione di quelle tendenze che meglio possono mostrare, ad oggi, alcune aperture all’auto-orientamento. Il capitolo si chiuderà con un paragrafo destinato a sciogliere l’interrogativo su
quali siano le implicazioni in tema di competenze richieste al soggetto alla
luce degli sviluppi definiti nei paragrafi precedenti.
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
1. LA
FORMAZIONE: TRA TEORIE E METODI
Nell’articolare questo paragrafo si è pensato di concepirlo come una sorta
di mappa concettuale che potesse identificare alcune grandi direttrici su cui
tracciare, in seguito, i contenuti dedicati all’autoformazione, all’orientamento e all’auto-orientamento. Pertanto in queste pagine si è scelto, prima
di tutto, di “fare un passo indietro”, identificando le principali caratteristiche dello scenario attuale, soprattutto del mondo del lavoro e delle organizzazioni. Sebbene quest’esposizione potrà essere per certi versi nota, è
sembrato utile precisare alcuni nodi che hanno avuto e avranno una ricaduta immediata sui temi dell’educazione/formazione e dell’orientamento.
Anticipiamo fin d’ora che una delle prime conseguenze è stata ed è l’enfasi
posta sulla dimensione dell’autos- (con cui scegliamo di riassumere tutti i
temi connessi al percorso di realizzazione individuale) e dell’autonomia.
A questa prima parte faranno seguito alcune riflessioni sul tema del lifelong learning e sulle evoluzioni più recenti in tema di apprendimento.
Esse appaiono nella loro forma attuale, infatti, proprio in risposta alle
peculiarità dello scenario definito in precedenza. Per certi versi questa
relazione appare essere lineare, nella misura in cui il mondo dell’apprendimento permanente cerca, da un lato, di rispondere alle esigenze
poste dalle trasformazioni socio-economiche, ma dall’altro, non manca di
approfondire il lavoro di tutto il pensiero critico postmoderno. Ne può
essere un buon esempio il numero monografico dell’estate 2004 di una
delle più note riviste appartenenti all’ambito dell’educazione e formazione degli adulti, New Directions for Adult and Continuing Educations8,
dedicato al tema della prospettiva critica in pedagogia.
Chiuderanno alcune considerazioni che, cercando di trarre frutto da
quanto presentato nella pagine precedenti, tenteranno un risposta alla
domanda: come è cambiata e cambia la formazione in questo scenario?
In riferimento allo scenario complessivo in cui ci muoviamo, Lovén (2003)
ribadisce l’idea che già Hirschhorn (1988) (tra gli altri) aveva esposto
vent’anni prima e che riguarda la transizione a livello complessivo da una
società industriale a un paradigma postindustriale e postmoderno. Le
implicazioni di questo passaggio sono state rilevate tanto a livello politico-sociale quanto a livello economico-organizzativo. Nel corso dell’ultimo
ventennio si è, infatti, assistito a una serie di processi di cambiamento
che, parafrasando Lipari (2002) e il suo riferimento principale, Crozier
(1989), a livello socio-economico sono riconducibili a una profonda traSandlin J.A., St Clair R. (eds.) (2004), Promoting Critical Practice in Adult Education,
New Directions for Adult and Continuing Education, 102.
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sformazione della natura del lavoro e delle professioni; all’imprescindibilità della variabile tecnologica e del settore dei servizi ai fini del benessere economico; alla “mondializzazione” delle relazioni e degli scambi
economici, accompagnata da un crescente dinamismo dei tempi e delle
modalità di scambio; alla crucialità dei processi di produzione e gestione
dell’informazione, anche alla luce dell’impossibilità di una pianificazione di lungo periodo connessa all’aumento della velocità di cambiamento
e alla ridotta possibilità di stabilità.
I portati di questi cambiamenti a livello di processi di lavoro e organizzativi sono stati: deindustrializzazione e terziarizzazione; moltiplicazione
della velocità dei processi di innovazione a tutti i livelli (tecnologica, culturale e sociale); differenziazione e complessificazione, tanto a livello
sociale quanto economico; crescente flessibilizzazione dei processi produttivi, ottenuta attraverso un decentramento e una conseguente frammentazione del processo produttivo in unità di piccole dimensioni; potenziamento della logica di azione delle organizzazioni in una soluzione di
rete (Lipari, 2002; Lovén, 2003).
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scenario è, inevitabilmente, dominato dalla caratteristica della
discontinuità e dell’imprevedibilità (Morin, 1999; Rotondi, 2002) che
influisce direttamente tanto sul mondo del lavoro quanto su quelli dell’educazione/formazione e del tempo libero (Tractenberg, Streumer, Van
Zolingen, 2002). Appare interessante adottare una lettura attenta a questi tre ambiti, in primo luogo, perché essa valorizza una visione in certo
qual modo più completa delle vite individuali, in quanto oltre alla sfera
professionale e a quella dell’apprendimento, assume nel suo campo di
analisi anche quella che potremmo definire di “lavoro non remunerato e
del tempo libero”. In tal modo, come preciseremo in seguito, la lettura
dei processi di cambiamento e di costruzione dell’individualità, si arricchisce di tutto quanto avviene (e quindi anche degli apprendimenti) nella
sfera privata, dove i processi formali hanno minor ingerenza e permettono alla persona di “formarsi” e “orientarsi” in modo autonomo (Tractenberg, Streumer, Van Zolingen, 2002).
Muovendo, in primo luogo, dal mondo del lavoro e traendo spunto dalle
riflessioni di De Masi (1985, 1999, 2000), Rifkin (1995), Delors (1997) e
Mayor (1999), i processi di trasformazione avvenuti nell’ultimo ventennio sono riconducibili ad alcune grandi tendenze: oltre all’intrecciarsi
sempre più profondo dell’azione organizzativa con quella del suo
ambiente (in virtù della globalizzazione del mercato e delle crescenti
influenze politiche, sociali, etiche ed ecologiche), sono mutate anche le
strutture organizzative e le strategie di management e, nel tempo, si
sono affermate le letture “più destrutturate” delle organizzazioni: vale
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
a dire quella politica, quella simbolico-interpretativa e quella postmoderna (Hatch, 1997).
Per meglio comprendere questa trasformazione è sufficiente pensare al
radicamento progressivo di un’azione organizzativa basata su una logica
reticolare o all’appiattimento delle gerarchie, che rappresentano due
modi diversi di fare network, rispettivamente verso l’esterno (alleanze
strategiche e organizzazioni virtuali) e verso l’interno (affievolirsi dei
confini intraorganizzativi) (Hatch, 1997). Dentro l’organizzazione, la
rete si struttura attraverso un richiamo sempre più forte a una logica di
gruppo (Quaglino e Cortese, 2003d) e di collaborazione: “Le persone […]
si sforzeranno di collaborare l’uno con l’altro partecipando in veste di
esperti, a gruppi di lavoro di volta in volta diversi, continuando a studiare e a imparare per tenere il passo con situazioni in continuo mutamento” (Hatch, 1997, pp. 25-26; cit. in Lipari, 2002).
Il crescere del bisogno di apprendimento appare, dunque, una prima
risposta a questi mutamenti. A questa domanda di professionalizzazione
e aggiornamento si aggiungono domande nuove (di orientamento e di formazione, spesso di base) da parte di nuove categorie di utenti: stanno,
infatti, cambiando le caratteristiche demografiche di coloro che lavorano
(più donne, più persone appartenenti a minoranze e a fasce “a
rischio”...), oltre che le loro necessità: sono sempre più le persone chiamate a mutare continuamente luogo e tempi di lavoro con un’enfasi spiccata, dunque, sulle loro competenze di pianificazione, di soluzione di
problemi e di innovazione (Tractenberg, Streumer, Van Zolingen, 2002).
Si modificano anche le forme del lavoro con una ricerca costante della
riduzione dei tempi sia a livello di settimana lavorativa (si sono incrementate, infatti, le forme contrattuali flessibili) sia a livello di età pensionabile. Si assiste, inoltre, a una crescente “virtualizzazione” dei contesti di lavoro, con una possibilità sempre più consistente di lavoro a
distanza; il trasformarsi della natura della relazione tra dipendente e
organizzazione e tra capi e collaboratori, con questi ultimi destinati ad
essere sempre più “responsabilizzati” rispetto al proprio percorso di
carriera e alla gestione anche economica del proprio lavoro; a un acuirsi di un modello di lavoro di tipo intellettuale, che comporta un incremento dei livelli di creatività e di collaborazione, ma che è connesso
anche a livelli maggiori di competizione e di stress; a una “mentalizzazione” progressiva delle attività lavorative, che comporta il moltiplicarsi degli spazi in cui le persone possono esercitare uno stile di pensiero
simbolico-analitico e euristico.
In altre parole, il sistema di accesso al mondo del lavoro si caratterizza
sempre più per le richieste di crescente qualificazione verso qualsiasi
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categoria professionale a livello di competenze sia di tipo professionale,
sia di tipo più strettamente tecnico, sia di natura trasversale, soprattutto nei termini di capacità di reagire al cambiamento (lavoro in gruppo,
lavoro autonomo, motivazione all’apprendimento, Parlier, 1996). Sono
evidenti, tuttavia, i rischi di esclusione di coloro che possono non apparire sufficientemente “competenti” e rispondenti alle richieste del contesto (d’Iribarne, 1989).
Come sottolineato da Streumer e Bjorkquist (1998): “a causa della crescente instabilità dell’impiego, chi lavora deve imparare a muoversi efficacemente tra un lavoro e un altro […] assumendosi la gestione della propria pensione, della gestione della propria salute e di altre questioni personali, il tutto precedentemente a carico del datore di lavoro” (cit. in
Tractenberg, Streumer, Van Zolingen, 2002, p. 91). In altre parole, si
acuisce la richiesta di autonomizzazione nella gestione del proprio percorso professionale (oltre che personale): gli individui devono scegliere i
propri obiettivi professionali, e, in connessione, le proprie esperienze di
formazione e di lavoro al fine di rendere spendibile la propria professionalità (Tractenberg, Streumer, Van Zolingen, 2002), a fronte, però, di una
crescente precarizzazione del lavoro (Vernières, 1993; Thierry, 1996),
della crisi di un modello verticale di carriera (Parlier, 1996; Boutinet,
1998; Dubar, 2000) e di un’incertezza crescente rispetto alla stabilità futura anche dal punto di vista della vita privata (Guichard, Huteau, 2001).
Le logiche del mondo delle professioni, naturalmente, non possono non
influenzare quello dell’educazione e della formazione oltre che quello
delle scelte personali e del tempo extralavorativo (Tractenberg, Streumer, Van Zolingen, 2002).
Per quanto riguarda le influenze dei processi di cambiamento dell’ambito del lavoro sulle scelte di apprendimento, occorre innanzi tutto segnalare che il settore della formazione professionale e quello della istruzione
scolastica e universitaria è sempre più sollecitato data la necessità di specializzazione (Streumer e Bjorkquist, 1998).
Il crescente bisogno di formazione e la riduzione dei tempi che intervallano i percorsi di aggiornamento da quelli di lavoro comportano, infatti,
un aumento della domanda di apprendimenti. Essi, spesso, vengono conseguiti attraverso forme di apprendimento autonomo che rendono cruciale la capacità di stabilire i propri obiettivi educativi e di scegliere le
esperienze più consone. Per sostenere tale competenza, spesso i professionisti ricorrono a forme individualizzate di orientamento alla carriera
e alla crescita personale (Rothwell e Kazanas, 1994).
La dimensione della vita privata ed extralavorativa, inoltre, come sottolineato dallo stesso Delors (1997), diviene bacino cruciale cui attinge-
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
re competenze e apprendimenti informali fondamentali per sostenere la
competizione professionale. Essa, tuttavia, non è certo meno toccata da
transizioni, vale a dire da fenomeni di instabilità e di rottura (Guichard
e Huteau, 2001).c
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Cosa accade in questo scenario all’apprendimento e alla formazione? A
che cosa può servire la formazione in tutto questo?
Una prima risposta a questi quesiti, più volte ribadita da Morin nelle sue
opere, potrebbe assegnare alla formazione il compito di colmare il senso
di vuoto e di inadeguatezza e di facilitare il rinnovamento rapido del proprio modo di guardare al mondo. Proprio per cercare di contenere questo senso di rottura, una risposta, in realtà non certo recente (ad esempio, Faure 1972), che le istituzioni hanno cercato di dare alle trasformazioni e alle necessità da esse imposte è stata quella di articolare un sistema di offerta che fosse in grado di essere uno strumento a sostegno dell’apprendimento continuo (Halliday, 2003).
Da un lato la definizione di lifelong education (intesa come quel complesso di soluzioni di tipo educativo e formativo poste al servizio del lifelong learning) sembra essere condivisa: “L’apprendimento continuo è
un processo di sostegno al completamento della crescita personale,
sociale e professionale, lungo il corso della vita degli individui al fine di
innalzare la qualità della vita sia degli individui sia delle collettività.
Essa è un’idea unificante che include l’apprendimento formale, non-formale ed informale al fine di acquisire e innalzare la capacità di comprensione così da raggiungere lo sviluppo più completo possibile nei differenti domini e stadi della vita” (p. 95).
Dall’altro, però, alla chiarezza degli intenti, non sempre è corrisposta
un’azione chiara (e forse non potrà mai esservi completamente, data la
complessità intrinseca al progetto) e coerente rispetto ai principi stessi.
Numerose sono, infatti, le voci, per così dire, critiche rispetto alle azioni
intraprese a livello istituzionale (mondiale) per sostenere gli obiettivi di
apprendimento permanente (ad esempio, Preston, 1999; Tuijnman e
Boström, 2002; Halliday, 2003). Esse sottolineano come spesso la risposte istituzionali siano andate nel senso di aumentare i percorsi formali di
apprendimento, in ossequio, quindi più a un’esigenza di recurrent education che non di apprendimento continuo.
Ecco, dunque, che emergono da alcune voci richieste di interventi efficaci sul piano dell’apprendimento permanente e che possono essere quelli
che garantiscono una disponibilità effettiva di servizi, ad esempio gratuiti e su ampia scala, e questo sembra essere particolarmente vero per il
nostro paese a sostegno dell’apprendimento (autonomo), in modo tale da
evitare rischi di esclusione sociale e da sostenere realmente una prepara-
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
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zione professionale degli individui e non una loro indiretta selezione
(Halliday, 2003). Altri, dal canto loro, ribadiscono che una soluzione
all’equivoco può essere proprio quella di sostenere la motivazione all’apprendimento autonomo. Attraverso esso, infatti, la persona può riportare in seno ai dispositivi formali tutto il proprio sapere informalmente
acquisito nel tempo che, altrimenti, rischia di essere estromesso da percorsi estremamente centrati sull’acquisizione di competenze (Bolhuis,
2003). La proposta di Bolhuis va nella direzione di definire un modello di
insegnamento che sappia perseguire la crescita dell’apprendimento autonomo e che viene definito come orientato al processo. Esso intende lavorare essenzialmente su quattro dimensioni: sostenere nel discente un passaggio graduale all’autodirezione (definita come l’autoregolazione degli
scopi dell’apprendimento), alla costruzione di conoscenza in uno specifico dominio, al tenere conto della dimensione emotiva e nel considerare i
risultati e il processo stesso di apprendimento come fenomeni sociali.
In questo scenario di apprendimento continuo, molti sono, comunque, i
modelli di apprendimento adulto che hanno convissuto (si veda ad esempio, Quaglino, 2001 e 2002) nel tempo, oltre a quello dell’apprendimento
autonomo. Appartengono ormai alla tradizione (Merriam, 2001) gli
approcci dell’andragogia e del self-directed learning (maturati tra gli
anni ’70 e ’80), così come ormai consolidata è anche la prospettiva che
per un certo tempo li ha “soppiantati” sulla scena della riflessione, vale
a dire quello del transformative learning.
Le tendenze più recenti della teorizzazione nel campo dell’apprendimento degli adulti sono rappresentate dagli approcci postmoderno e critico.
A queste ultime si deve l’attenzione condotta non solo agli aspetti più personali del processo, ma anche ai processi di “costruzione sociale della
conoscenza che prende forma agli occhi di colui che conosce, piuttosto
che non essere acquisita da una realtà che sta là fuori” (Kilgore, 2001, p.
53). Propria di questi punti di vista è anche l’enfasi posta sulla dimensione del potere e dell’acquisizione di potere (processo che vedremo essere ritenuto, in particolare nel secondo capitolo, uno degli aspetti chiave
dei processi autoformativi e auto-orientativi).
La definizione postmoderna e critica di apprendimento descrive questo
processo come il percorso di costruzione di conoscenza e di se stessi a partire dalla ricezione e dalla creazione di messaggi o di “discorsi” sul mondo
concreati all’interno di contesti comunicativi. In particolare, secondo la
prospettiva critica, si apprende attraverso la riflessione critica e il crescere della propria coscienza rispetto ai processi di costruzione del sapere a
livello sociale, mentre secondo il postmodernismo, l’apprendere è risultato conseguito attraverso la decostruzione e l’eclettismo (Kilgore, 2001).
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
Andragogia, apprendimento autodiretto, apprendimento trasformativo,
prospettiva postmoderna e paradigma critico, e la loro attenzione all’uso
di metodi narrativi, a percorsi destrutturati, al ritorno sul soggetto,
all’enfasi posta sull’esperienza individuale e alla dimensione sociale rappresentano i riferimenti fondamentali per comprendere le possibili intersezioni tra i contesti della formazione, dell’autoformazione, dell’orientamento e dell’auto-orientamento. Come sarà più chiaro con il procedere
della lettura, infatti, è proprio sulle questioni che esse pongono e sugli
strumenti che esse propongono che si gioca la possibilità di un’integrazione efficace per il processo di sviluppo individuale e collettivo.
Prima di passare a queste questioni, però, ci soffermiamo ancora sul
tema della formazione, proprio per dimostrare l’incidenza che queste
proposte culturali (unitamente alle influenze ambientali) hanno avuto nel
cambiare il processo formativo.
Inevitabile appare per la formazione fare i conti con le dimensioni del
lavoro e dell’economia e, a parere di chi scrive, con quella delle organizzazioni (con tutte le implicazioni connesse alla crisi del contratto psicologico, Quaglino, 2004). Altrettanto inevitabile è, per la formazione, considerare l’individualità come portatrice di bisogni nuovi (e non solo più
inerenti al lavoro), parte di un ben più complesso compito di costruzione
della propria identità rispetto a quello del passato (Benadusi, 1998; Quaglino, 2003) per cui si parla di “irruzione della soggettività che entra in
tensione con le tradizionali identità collettive e problematizza il rapporto
tra individuo e organizzazioni, in particolare quelle istituzionalizzate
quali la scuola e l’università” (Benadusi, 1998, p. 19; cit. in Lipari,
2002). La necessità di preparare ad apprendere, la valorizzazione delle
esperienze individuali, il bisogno di stimolare capacità di ragionamento e
autonoma abilità nella soluzione di problemi e nella ricerca di informazioni conducono il mondo della formazione alla destrutturazione progressiva delle soluzioni precedenti, a favore di una contestualizzazione
crescente, sostenuta da un lato da approcci al formare “flessibili, ricchi
di capacità operative e a forte caratterizzazione euristica. In quest’ottica, diventa determinante la ricerca organizzativa come punto di riferimento centrale per la conoscenza dei contesti di riferimento, ma in una
prospettiva che recupera come fondamento e guida la logica della ricerca/azione” (Lipari, 2002, p. 106).
Il richiamo alla ricerca ci appare importante proprio a garanzia di un’effettiva contestualizzazione dell’intervento formativo. Questo criterio trasforma profondamente le dimensioni fondamentali del processo formativo, che diviene sempre più aperto e che, in misura crescente, appare
come un fluire di eventi il cui senso e la cui coerenza è ricostruibile solo
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formazione:
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
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dopo la fine dell’esperienza. Questo cambiamento è collegato a modifiche
in tutti i punti chiave del processo formativo.
1. A livello di logica: la logica dell’unilinearità, della sequenzialità, della
razionalità e della predefinizione degli obiettivi è sostituita da una
nuova concezione che legge la formazione come “apertura” (Lipari,
2002) e come fluire di eventi (Lipari, 1995). Questa prospettiva, coerentemente anche con quell’idea di fondo di sostenere il processo formativo con una ricerca/azione, restituisce, in primo luogo, una parte
della titolarità dell’impresa agli attori della formazione, attraverso il
riconoscimento del loro possesso di risorse autonome e come parte di
una stessa impresa. Questa scelta “negoziale” fa sì che quanto avviene in sede formativa si generi e si modifichi nel corso del suo stesso
svolgersi, rendendo possibile cogliere l’eventuale coerenza del percorso solo al termine dell’esperienza.
Questo modo di perseguire l’apprendimento differisce da quelli propri
di una lettura modernista o neomodernista, in virtù della rilevanza
attribuita a un duplice ordine di elementi: il primo è per Lipari (2002)
la dinamica relazionale, mentre il secondo, aggiungiamo noi, è la
dimensione soggettiva.
Non si tratta di una proposta alternativa, quanto piuttosto di un rapporto di implicazione reciproca. A partire da questo dato di fondo, dunque, il percorso formativo giunge a caratterizzarsi attraverso l’individuazione di alcuni principi chiave:
- costruzione condivisa versus eterodirezione: la “compresenza di una
pluralità di agenti le cui ‘intenzioni’ logiche o preferenze orienteranno (o contribuiranno a orientare) in misura più o meno marcata i contenuti e le direzioni del corso d’azione” (Lipari, 2002, p. 109);
- punto di vista sistemico versus “localizzazione”: la comprensione
degli esiti della formazione dovrà estendersi oltre il momento formativo per assumere anche gli esiti a livello organizzativo e personale;
- razionalità limitata versus razionalità olimpica: si tratta, certamente, da un lato, di rammentare che ciascuno di noi agisce in condizioni
di ambiguità (Weick, 1976; cit. in Lipari 2002), incompletezza e incertezza rispetto al possesso delle informazioni, ma, dall’altro, di non
trascurare il fatto che, al pari di altre esperienze, anche quella dell’apprendimento ha una connessione profonda con la dimensione
emotiva (Brown, 2000) e, pertanto, risente di inevitabili resistenze che
accompagnano l’emergere di controfinalità e di resistenze;
- visione versus obiettivi: le strategie dei corsi d’azione divengono più
sfumate e flessibili, in virtù della scelta non già di fini quanto piuttosto di una condizione futura desiderata, una visione, appunto: “Le
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
visioni non sono obiettivi. Sono idee intuitive dello stato futuro del
sistema. […] Avere una visione non implica votarsi a uno stato futuro
particolare e neppure a qualcuno degli stati futuri che sembrano oggi
verosimili; significa piuttosto che può costituire un aiuto nello scegliere le parti del sistema attuale che dovrebbero essere viste come fonti
di ispirazione e forse persino come spie” (Normann, 1977, p. 126; cit.
in Lipari, 2002).
Questo cambiamento, comporta un nuovo modo di pensare al processo
formativo, partendo dal presupposto che esso è “insieme più o meno coerente (o almeno percepibile come tale) di azioni e condotte pratiche generate in campi relazionali dati da agenti sociali orientati a perseguire
scopi” (Lipari, 2002, p. 113; corsivo nell’originale).
L’assunzione di questa logica di lettura della formazione ha immediate
ricadute in primo luogo sul piano del metodo, poiché legittima l’utilizzo
di tecniche e strumenti finalizzati al recupero delle esperienze e alla loro
interpretazione, tanto nei risvolti soggettivi che in quelli interpersonali.
La prospettiva postmoderna ha d’altro canto facilitato l’affermarsi degli
approcci narrativi (con un posto particolare assegnato al metodo biografico e autobiografico) tanto in ambito organizzativo che formativo (a titolo di esempio: Gabriel, 1991a; 1991b; 1995; 1997; 2000; McAdams, 1993;
Czarniawska, 1997, 1998; Bianchera e Cavicchioli, 1998; Cortese, 1999;
Boje, 2001; Nicolini, 2001; Schettini, 2004). Come risulterà evidente nei
paragrafi successivi, il metodo narrativo, per le sue caratteristiche, sembra poter rappresentare un punto di incontro tra gli ambiti della formazione e dell’orientamento, sostenendo l’appropriazione del processo da
parte del soggetto, sia nelle sue declinazioni autoformative sia in quelle
auto-orientative.
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(iseé,A livello di analisi dei bisogni: dopo essere stata uno dei fattori di investimento maggiore in ambito formativo nel corso degli anni Settanta e
Ottanta (Quaglino, Carrozzi, 1981; Quaglino, 1985), con l’affermarsi
della nuova logica, questa fase del processo risulta non più proponibile nelle forme classiche per molteplici ragioni (Lipari, 2002). In
primo luogo, perché la sua concezione di fase, attraverso cui verificare lo scarto tra attese connesse al ruolo e prestazioni effettive, risulta
anacronistica in uno scenario organizzativo a elevata mutevolezza. In
secondo luogo, perché, rispetto a questo stesso contesto, la sua applicazione in una forma tradizionale la renderebbe (oltre ad averla già
resa in passato) astratta (in quanto incapace di cogliere quegli aspetti
dei bisogni di apprendimento connessi alle dimensioni cognitive, relazionali e culturali) e manipolatoria (poiché spesso nella sua applicazione più tradizionale ha sancito una conferma di esigenze spesso note
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
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e, altrettanto frequentemente, sovrapponibili con quelle che erano le
linee strategiche -già decise- del vertice).
Nella misura in cui l’attenzione della formazione si sposta sui processi di costruzione di significato e di interpretazione del mondo oltre
che sulla sua valenza emotiva9, l’analisi dei bisogni assume a riferimento i temi dell’apprendimento organizzativo e delle competenze.
Nel primo caso, l’analisi dei bisogni cerca di prendere in considerazione i contenuti informali e le azioni spontanee che da sperimentazione di alcuni divengono patrimonio collettivo di soluzione di problemi per molti (Argyris e Schön, 1978 e 1996).
Allo stesso modo, il riferimento alle competenze valorizza i contenuti di
conoscenze costruiti nella situazione concreta e le caratteristiche dell’individuo, ossia valorizza il potere conoscitivo insito nella situazione.
Tutto ciò fa sì che l’analisi dei bisogni non possa più essere parte separata del processo di formazione, ma che finisca per essere in esso
ricompresa, come parte anche di percorsi di analisi organizzativa o di
ricerca-azione (e in tutte le più specifiche forme con cui questa si può
declinare, tenendo fede al principio di base di una conoscenza del contesto che si costruisce attraverso l’azione su problemi concreti che lo
caratterizzano) (Lipari, 2002).
3. A livello di progettazione: le riflessioni condotte in merito alla difficoltà della previsione data dal ritmo delle trasformazioni e dall’emergere della consapevolezza che gli attori agiscono secondo un modello
di razionalità limitata, rendono comprensibile la “crisi” della progettazione nella sua veste tradizionale. Da un lato, infatti, è l’idea stessa
di obiettivi ad essere posta in dubbio in quanto, sebbene essi possano
essere fissati, è data per acquisita la loro mutevolezza in vista dell’emergere delle azioni nel corso del processo formativo stesso e in conseguenza dell’impossibilità di tenere conto della dimensione relazionale. Dall’altro, è l’immagine di progettazione come sequenza di fasi
a trovarsi in crisi, per le stesse ragioni che hanno posto in discussione
il modo tradizionale di pensare agli obiettivi.
La linearità del tempo è sostituita da una concezione più complessa
che tende sempre di più a seguire le articolazioni del processo riflessivo e di quello narrativo, certamente privo della linearità possibile in
un modello razionale (Gherardi, Masiero, 1983; cit. in Lipari, 2002).
Il “progetto” formativo, alla luce di tutto ciò, diviene dunque, una
sequenza aperta di ipotesi, una proposta fondata su idee generali che
Si veda a proposito di questo tema il numero di FOR (2002) dedicato a Emozioni e
apprendimento.
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
assumeranno, però, la loro forma definitiva attraverso i processi di
elaborazione
4. A livello di valutazione: naturale conseguenza della rottura della
logica della linearità e della predominanza degli obiettivi, è la trasformazione del processo di valutazione. Da un’idea di tipo “ingegneristico” essa diviene sempre più “un processo di ricerca sociale
applicata, orientato alla comprensione e all’apprezzamento in campi
d’azione determinati, dei risultati conseguiti, in una prospettiva
analitica che include nel proprio raggio l’intero processo di azione
considerato” (Lipari, 2002, p. 142). In altre parole, la valutazione
diviene processo di apprendimento basato sulla raccolta di dati
(spesso di tipo qualitativo) inerenti al processo, inteso sia nelle sue
componenti di azione sia di relazione sia di contesto oltre che a livello di rispettivi intrecci.
Questa rapida disamina dei cambiamenti che hanno caratterizzato la formazione cerca di dimostrare come il tema della individualizzazione dei
processi e dell’autonomizzazione nei percorsi di costruzione di vita e di
carriera, indotti dalle trasformazioni socio-economiche descritte e accolte dalle teorie critiche e postmoderne dell’apprendimento, abbia un correlato ben preciso a livello di metodo formativo, vale a dire di principi
della “personalizzazione” (Angeli, 2002) e di contestualizzazione.
Nella misura in cui i bisogni individuali sono riconosciuti nella loro diversità e nel momento in cui il contesto assume il ruolo di variabile di attenzione centrale, allora la formazione non può che attrezzarsi pensando a
processi di azione molto destrutturati, a ipotesi, più che a veri propri
progetti, che siano in grado di cambiare al mutare della configurazione
della relazione con gli attori. Da qui discende l’estrema varietà di strumenti e di proposte che i formatori debbono essere in grado di fare.
La centralità degli attori (siano essi individui o organizzazioni), come già
detto, ha comportato, d’altro canto, un ricorso sempre più frequente
all’uso di metodi narrativi al fine di recuperare, in primo luogo, la
dimensione storica e il patrimonio di esperienze proprie degli attori e, in
secondo luogo, tutto il valore del processo di interpretazione e condivisione dei racconti stessi al fine di una costruzione di senso e di una
“messa in forma” individuale che sappia ricostruire la continuità del
proprio percorso.
2. L’AUTOFORMAZIONE:
PROSPETTIVE A CONFRONTO
Come già accennato nel paragrafo precedente la prospettiva dell’autoformazione appartiene, per certi versi, ormai alla tradizione degli studi
27
L’autoformazione:
prospettive a
confronto
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
L’autoformazione:
prospettive a
confronto
sull’apprendimento adulto (almeno nella sua forma del self-directed learning) (Merriam, 2001), ma ciò non toglie che essa sia “viva e in buona
salute, ancorché non venga condotta così tanta ricerca come negli anni
’80. C’è tuttavia più attenzione alla teorizzazione, alla costruzione di
modelli, di fini e di un’etica e modi per valutare l’apprendimento autodiretto” (p. 94)10.
Del fermento e dello studio che caratterizzano il mondo dell’apprendimento da sé e di sé, d’altro canto, rendono ben conto anche Carré e Moisan (2002) in apertura dell’antologia che raccoglie i contributi del secondo Incontro mondiale sull’autoformazione11.
Prendendo spunto da questa pubblicazione, ci soffermeremo sulla
descrizione del tema dell’autoformazione dal punto di vista delle sue possibili definizioni e da quello della ricerca sui processi da essa richiamati.
Ciò al fine di rendere, in un certo senso, meno ingenua quell’idea di centralità del soggetto e di necessità di autonomizzazione di cui si è parlato
nel paragrafo precedente. Nell’ultima parte del paragrafo, invece, si
approfondiranno alcuni contributi che collegano il tema dell’autoformazione a quello dell’auto-orientamento.
Una delle constatazioni contenute nell’incipit dell’antologia di Carré e
Moisan (2002) riguarda proprio la natura del fenomeno autoformazione
“che si costruisce passo dopo passo in Francia da vent’anni come campo
di ricerca e di pratiche, e da cui scaturiscono fenomeni di moda dei quali
essa risente e di soluzioni facili che spesso essa legittima” (p. 13).
Il percorso a tappe di “fondazione” di questo campo, in ambito francofono, inizia a Montréal nel 1997 quando ricercatori e esperti trovano
un accordo intorno alla validità della nozione di autoformazione nelle
sue varie forme.
Tale condivisione sul costrutto rappresenta, appunto, il momento di attivazione del dibattito intorno al tema. Oggi, il movimento di ricerca e di
pratica tende a orientarsi verso un doppio processo di consolidamento
globale e di differenziazione intorno ad alcune concezioni specifiche e talvolta complementari. L’impressione sulla natura del processo in atto,
coerentemente con quanto affermato da Carré e Moisan, è dunque quella di un lavoro di ricerca e pratica12 che, da un lato, consolida la sua unità
Della ricerca e della riflessione condotta dagli anni '70 e '80 per giungere sino ad oggi
offre una rassegna l'antologia pubblicata di recente a cura di G. P. Quaglino (2004),
Autoformazione, Raffaello Cortina, Milano.
11
L’incontro si è tenuto presso l’Abbaye de Royaumont nel giugno del 2000.
12
Non sembra indifferente sottolineare che in Francia il lavoro di ricerca condotto sul
tema dell’autoformazione si è connotato precocemente per un lavoro approfondito sul
versante applicativo.
10
28
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
“paradigmatica”13, e dall’altro permette un continuo approfondimento su
ciascuno dei campi specifici di articolazione, vale a dire sui diversi modi
di intendere l’autoformazione.
Per non indicare che alcuni degli sviluppi più recenti sul fronte della
ricerca sull’autoformazione in ambito psicologico, si può fare riferimento al progressivo consolidamento degli studi sui temi dell’autoefficacia,
dell’autodeterminazione e dell’autoregolazione definiti come “i perni
maggiori della costruzione teorica del concetto di autodirezione, appoggiata a una doppia origine, conativa (o motivazionale) da una parte, e
metacognitiva, dall’altra” (Carré e Moisan, 2002, p. 15).
Su un fronte più applicativo, si constata una certa deriva tecnicista. Si
assiste, infatti, alla crescita delle ricerche sul versante degli strumenti di
valutazione delle competenze di autoformazione a partire dal primo questionario di Guglielmino nel 1977 fino al “profilo dell’autonomia del
discente” messo a punto da Confessore nel 2000, passando per le griglie
dei colloqui sull’autoregolazione dell’apprendimento di Zimmerman e
Martinez-Pons e per la scala di “percezione dell’apprendimento autodiretto” di Pilling-Cormick (Carré e Moisan, 2002).
Gli stessi Carré e Moisan auspicano la crescita e l’approfondimento della
ricerca “quantitativa” su questo tema, al fine di sostenere la ricchezza
qualitativa della produzione con un più approfondito e rigoroso riscontro empirico. Tale commento testimonia una sorta di inversione di tendenza rispetto a uno scenario di studi che appare spesso in cerca di
destrutturazione, e pertanto potrebbe essere interessante interrogarsi su
quali esiti potrebbe avere questa “tensione al rigore misurativo” proprio
nel momento in cui ci si pone nell’ottica di pensare a un’integrazione tra
gli ambiti della formazione, dell’autoformazione, dell’orientamento e
dell’auto-orientamento.
Proseguendo la rassegna, per quanto attiene all’ambito dei metodi, sembra essere giunta la maturità metodologica e teorica dei dispositivi di
apprendimento aperto e a distanza. È il concetto di autonomia, considerata nei suoi risvolti sia motivazionali che metodologici, a rappresentare
il cuore dello studio tecnico-pedagogico. Prima di passare al perfezionamento di metodi e strumenti appare, però, ancora rilevante il lavoro sul
modo in cui i discenti stessi “nella loro radicale singolarità” (Carré e Moisan, 2002, p. 16) utilizzano i mezzi ed i sistemi di apprendimento.
A proposito della natura paradigmatica, Carré e Moisan (2002) sembrano far derivare
questa asserzione sullo stato di sviluppo di questa nuova disciplina dalla relativa “familiarità” che sembra accomunare i contributi in quest’area: “tanto i postulati, che le ipotesi, che i concetti e le testimonianze hanno “un’aria di famiglia” che è necessario conservare a tutti i costi” (p. 14).
13
29
L’autoformazione:
prospettive a
confronto
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
L’autoformazione:
prospettive a
confronto
Dal punto di vista delle modalità ottimali di accompagnamento del processo autoformativo e del ruolo del formatore, le linee del dibattito
appaiono meno definite rispetto a quelle dei due punti precedenti. Le
piste di studio aperte riguardano sia il tema dell’identità professionale
dei formatori stessi sia una concezione dell’accompagnamento caratterizzata da una certa contingenza. In secondo luogo, l’altra direzione di lavoro appare quella di un recupero e di una migliore integrazione della
dimensione sociale nei contesti autoformativi. In tutto ciò s’inserisce la
terza delle tendenze più chiaramente individuabili nel dibattito sulla
modalità di accompagnamento, ossia quella relativa alle modalità di
adattamento della ricerca e delle applicazioni dell’autoformazione a
un’economia dei servizi che privilegia in misura crescente il criterio dell’efficienza (Carré e Moisan, 2002).
Ultimo punto di attenzione su cui l’introduzione si concentra è quello dell’approfondimento dei processi di apprendimento informale nelle organizzazioni, di cui le pratiche di apprendimento autodiretto rappresentano una modalità. Tale soluzione, sia essa prevista formalmente oppure
avvenga come fatto involontario accanto ai progetti formali, rappresenta
un valore aggiunto per le organizzazioni che, prima ancora che promuoverla attivamente, vogliano prenderne atto.
Dopo questa breve rassegna degli sviluppi più recenti degli studi in tema
di autoformazione in ambito francofono14, passiamo a una rapida considerazione dei paradigmi di studio e di applicazione attualmente condivisi nella comunità scientifica. Questo processo di precisazione è utile al
fine di decostruire il concetto di autoformazione spesso identificato come
polisemico e ambiguo, sebbene si muova poi nella direzione di “porre
qualche paletto per contribuire alla ricostruzione, oggi in corso (Straka,
2000), di una concezione di autoformazione centrata sul processo psicologico dell’autodirezione. La nostra intenzione è quella di perseguire qui
una concettualizzazione progressiva di una delle sfaccettature di questo
processo multidimensionale: l’autoformazione come processo psicologico
di apprendimento autodiretto” (Carré, 2002, p. 19-20). Questo percorso
di precisazione appare importante perché molte delle implicazioni valide
per il concetto di autoformazione potrebbero rappresentare approfondimenti possibili nella ricerca futura sul concetto di auto-orientamento.
Le ricerche in ambito anglosassone sul tema del self-directed learning sembrano in calo
e molte di esse tendono a orientarsi in misura crescente sul versante autoistruttivo e a
distanza. Si veda ad esempio l’ultimo dei simposi di uno dei centri che negli anni sono stati
più attivi nel campo della studio sul self-directed learning: Long H. B. & Associates
(2003), Current developments in e-learning & self-directed learning. Motorola University, Boynton Beach, FL.
14
30
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
Rispetto ai paradigmi di studio sul tema dell’autoformazione, i gruppi di
studio francofono e americano concordano su due importanti punti:
1. un nuovo paradigma educativo: riguarda il fatto che l’autoformazione determina l’inversione del paradigma tradizionale con cui si
riflette sull’educazione e sull’apprendimento adulto, passando da
una concezione “eteronoma” della formazione, direttamente ereditata da un modello scolastico della formazione che identifica l’adulto come un allievo un po’ più grande all’interno di quella che è una
“scuola perpetua”, a una prospettiva basata sul concetto di autonomia del soggetto sociale che apprende: “L’’autos’, o il ‘sé’, divengono allora il centro di gravità del fenomeno della formazione che si
caratterizza per l’assunzione di potere, di responsabilità e di controllo del soggetto adulto, concetto che è al cuore di una filosofia
della libertà dell’apprendimento ereditata da C. Rogers, dalle tradizioni democratiche (Brookfield, 2000) o dell’educazione nuova”
(Carré, 2002, p. 20);
2. una concettualizzazione insufficiente: il secondo punto di contatto è,
in realtà, di tipo negativo e concerne l’elaborazione concettuale
riguardante l’autoformazione. In altre parole, ciò che manca all’elaborazione scientifica del concetto di autoformazione è ancora l’accordo sulla sua natura (in alcuni momenti storici esso è, infatti, stato
contemporaneamente “preconcetto” – Carrè, Moisan, Poisson, 1997,
“sensibile” alle differenze culturali – Straka, 1997 e concetto illusorio – Long, 1997.
Nel corso degli anni, dunque, lo statuto del concetto di autoformazione non si chiarisce, forse per la sua natura di nascente paradigma
della formazione degli adulti e nonostante il consenso assiologico e/o
ideologico che raccoglie intorno a sé. Esso è oggetto spesso di critiche
sia sotto il profilo dell’elaborazione teorica, per la sua imprecisione
concettuale e per la sua polisemia, sia sotto quello della traduzione in
pratica formativa, per gli usi alienanti ed esclusivi che autorizzano le
ambiguità di significato: “La si accuserà di mascherare una pedagogia
dell’isolamento (soloformazione), dell’ossessione tecnica (cyberformazione), di favorire una ideologia darwiniana della selezione attraverso
la formazione, di rinforzare gli effetti della riproduzione, ecc. (Brookfield, 2000)” (Carrè, 2002, p. 21).
Oltre a questi punti di contatto, sono cinque i paradigmi di studio basati
su concetti validati dalla comunità degli esperti (Carrè, 2002):
- paradigma autodidattico, in cui l’autoformazione si caratterizza per
un rapporto di indipendenza radicale del soggetto che apprende
rispetto sia ai referenti istituzionali sia alle figure con ruolo di facili-
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L’autoformazione:
prospettive a
confronto
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
L’autoformazione:
prospettive a
confronto
tazione15. Sono esponenti di quest’approccio, ad esempio, A. Tough,
J. Dumazedier, G. Le Meur;
- paradigma educativo, in cui l’autoformazione è identificata essenzialmente con i dispositivi flessibili di apprendimento a distanza e di
“open learning”, oltre che con forme che vengono definite di autoformazione assistita, in quanto indica tutti i processi formativi che
avvengono in contesti formativi istituzionalizzati. Demetrio utilizza
l’aggettivo “formativa” per indicare questa concezione di autoformazione che “raccoglie tutte le pratiche che si prefiggono di sviluppare e
facilitare l’autonomizzazione del soggetto in situazioni di apprendimento formali”, “i soggetti partecipano alla costruzione del loro programma formativo avvalendosi di tutori, supervisori e accompagnatori il cui ruolo è volto anche a incentivare modalità di valutazione personalizzate” (Demetrio, 1999, p. 11). Sono esponenti di questo
approccio P. Carrè e A. Moisan;
- paradigma esistenziale: in cui il processo autoformativo coincide con
l’antropogenesi e con i processi di creazione di sé e di ricerca di senso.
Demetrio descrive questo modello di autoformazione come quello che
“indica ogni esperienza dove si apprende per sé attraverso se stessi e
non conosce limiti di età e di luogo. La dimensione dello sviluppo cognitivo o ermeneutica (autoriferita o applicata a testi dalla esplicita valenza religiosa o filosofica), nonché della cura di sé, è qui privilegiata”; essa
“si realizza attraverso occasioni autoriflessive, narrative, problematizzanti, cliniche: fra cui l’autobiografia, l’ascolto, il racconto, scritture
creative e filosofiche, l’uso del diario” (Demetrio, 1999, p. 11). Si collocano all’interno di questo approccio G. Pineau e P. Galvani;
- paradigma sociocognitivo: in cui l’interesse è rivolto allo studio dei
processi di auto-organizzazione degli apprendimenti da parte di soggetti sociali in luoghi a finalità non strettamente pedagogica. Demetrio
(1999) identifica questo tipo di formazione come “sociale”, poiché
“indica le più diverse occasioni – professionali e non – nel corso delle
quali i soggetti apprendono in gruppo e dal gruppo per finalità sociali, politiche, associative e culturali o soltanto funzionali all’aiuto e al
sostegno psicologico, educativo, didattico dei membri di un gruppo”;
“viene enfatizzato il momento dello scambio, della messa in comune
Nel numero monografico di Adultità dedicato all’autoformazione del 1999, per indicare
questo paradigma viene utilizzata la parola “conoscitivo” ed è descritto come: “già presente nella tradizione greco-latina dell’autodidassi e relativa ai saperi, saper fare, saper
capire di ogni tipo”, “persegue uno sviluppo dell’apprendimento al di fuori di qualsiasi
istituzione educativa, attraverso l’autoistruzione offerta da letture, video, new media,
Internet, simulazioni virtuali” (Demetrio, 1999, p. 11).
15
32
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
delle esperienze, della condivisione: l’apprendimento è relazionale
reciprocativo, comunitario” (p. 11);
- paradigma cognitivo: in cui il processo autoformativo viene studiato
in quanto processo cognitivo. Per Demetrio questa prospettiva “attiene, in interazione con i precedenti paradigmi, alle attività che si focalizzano sulle procedure dell’imparare ad apprendere”; “è presente
laddove il singolo o un’organizzazione perseguono l’incremento delle
competenze metacognitive, metalinguistiche, metacomunicative” (p.
11). Si interessano allo studio di queste dimensioni P. Carrè e A. Moisan in Francia e A. Alberici in Italia.
Una volta compiuto un breve cammino nel territorio dell’autoformazione,
avendo cercato di comprendere anche le direzioni di lavoro future, ci si
può interrogare se i cinque paradigmi sopra individuati non potrebbero
essere altrettanti possibili paradigmi di auto-orientamento. Non c’è al
momento una risposta per tutti, ma sembra possibile che alcuni modelli di
autoformazione e alcuni approcci all’orientamento si accostino. Ad esempio, sembra potersi creare un parallelo importante, a livello di principi, tra
l’autoformazione, intesa come auto-educazione, e l’orientamento nella sua
forma di educazione all’orientamento (finalizzato all’auto-orientamento).
Per comprendere le possibilità di intreccio, forse, si può iniziare ad accostare due definizioni, rispettivamente quella di autoformazione, pensata
in chiave socio-educativa, e una dichiarazione di finalità nell’ambito dell’educazione all’orientamento: “L’educazione è un processo che fa sì che
molteplici funzioni si sviluppino gradualmente attraverso l’esercizio e il
perfezionamento [...]. L’azione definita in tal modo può risultare sia a
partire dall’azione di altri (è l’accezione più primitiva e più generale) sia
dall’azione dell’essere stesso che la concepisce. Ci si serve in questo caso
dell’espressione inglese self-education” (Galvani, 1995, p. 98); “Di fronte alla discontinuità di elementi socio-economici instabili e fluttuanti, il
nostro obiettivo è far acquisire agli adolescenti una competenza che permetterà loro di analizzare, nell’immediato, ma anche più tardi, a ogni
bivio che si presenterà nel corso dello svolgimento del proprio orientamento, gli elementi di sé, le proprie risorse e i propri limiti, e la struttura del mondo circostante con le sue strade maestre e i tornanti, le sue
opportunità e le sue forzature. Se in un mondo in evoluzione non è più
possibile costruire progetti a lungo termine, occorre fare proprie le strategie a breve termine, gli aggiustamenti conseguenti e le disponibilità”
(Pellettier e Dumara, 1984, p. 2816; cit. in Guichard e Huteau, 2001).
16
Prestini-Christophe M. (2000), Entrée en formation et connaissance de soi, Acte du Colloque Eduquer en orientation, Parigi 24-26 maggio 2000.
33
L’autoformazione:
prospettive a
confronto
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
L’autoformazione:
prospettive a
confronto
L’incontro tra forme socioeducative (e esistenziali) di autoformazione e
processi auto-orientativi appare in certo qual modo naturale, nella misura in cui entrambi i processi fanno riferimento a una medesima finalità
quella del “formar-si, dar-si una forma” (Pineau, 1983, p. 113). E assumono delle potenzialità auto-orientative i percorsi autoformativi articolati secondo i principi della ricostruzione delle esperienze individuali
attraverso l’applicazione di strumenti narrativi.
Ne è un esempio l’esperienza descritta da Josso (2001) in Storie di vita e
formazione, in cui si fa esplicito riferimento al potenziale auto-orientativo di un percorso di formazione, ma potrebbero esserlo anche quelle di
Galvani (1997), basate sull’applicazione della tecnica del blasone.
Al centro dell’esperienza descritta da Josso (2001) è il soggetto nella sua
completezza che attraverso processi di tipo riflessivo può comprendere le
trame che hanno contribuito a creare ciò che è divenuto sino a quel
momento, riappropriandosi del proprio potere progettuale: “Capace di
autonomia inventiva e insieme sottoposto a vincoli, Anthropos ritrova dei
margini, un’intenzionalità in cerca di lucidità, una riflessività agente; in
una parola ritrova il diritto, e i doveri che lo accompagnano, di orientare individualmente e collettivamente le sue attività, le sue prospettive, la
sua ricerca coscienziale” (p. 159).
La conoscenza di sé diviene, dunque, non solo modalità di “formazione di
sé”, attraverso il conseguimento di una maggiore consapevolezza, ma proprio in virtù di questa si rende possibile la trasformazione e, quindi, la definizione di una progettualità futura e la “capacità” auto-orientativa: “La
posta di questa conoscenza di sé non è dunque soltanto comprendere come
noi ci siamo formati nel corso della nostra vita attraverso un insieme di esperienze, ma anche prendere coscienza che questa ricognizione di noi come
soggetti […] ci permetterà d’ora in avanti di progettare il nostro itinerario
di vita, i suoi investimenti e le sue mire sulla base di un auto-orientamento
possibile che articola in modo più consapevole le nostre eredità, le nostre
esperienze formatrici, le nostre appartenenze, le nostre valorizzazioni, i
nostri desideri e il nostro immaginario alle opportunità socioculturali che
sapremo cogliere, creare e sfruttare, per pervenire a un sé che impara a
identificare e combinare vincoli e margini di libertà” (Josso, 2001, p. 161).
Il processo conoscitivo, che si realizza attraverso le esperienze di formazione di cui tratta Josso (2001), prevede l’analisi dei molteplici aspetti del
proprio sé, così come dinamicamente formatisi in diversi ambiti (che sono
poi anche i grandi domini della formazione di sé):
- quello della formazione: l’obiettivo è quello di ricostruire gli eventi
che hanno dato la forma attuale al proprio io; in questa fase, il soggetto è chiamato prima a un momento di racconto orale e, in seguito,
34
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
a un lavoro scritto. Inoltre il partecipante passa da un lavoro in gruppo a una riflessione individuale per poi giungere a un lavoro di coppia
sulle reciproche storie di formazione;
- quello del processo di conoscenza: lo scopo di questa sessione di lavoro è quello di comprendere quali saperi teorici e collettivamente condivisi hanno avuto un’influenza sulla formazione personale al fine di
recuperarli dalla memoria. Tali conoscenze teoriche vengono individuate attraverso le storie di vita della prima fase e si discute poi in
gruppo del loro potenziale trasformativo. Questa è la fase che più da
vicino lavora sull’esperienza individuale, poiché affronta il modo con
cui i diversi saperi (formali, informali, condivisi, ecc.) si sono intrecciati nel produrre cambiamenti ed evoluzioni;
- quello dell’apprendimento: il fine di questa fase di lavoro (che ancora
prende le mosse dalla storia di vita) è rendere consapevole il discente
dei diversi modi con cui ha appreso nel tempo, delle diverse competenze acquisite, del suo modo di essere “persona che impara”, dei livelli e degli obiettivi a cui si desidera portare il proprio apprendimento.
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la ricognizione su di sé conduca non solo a un potenziale
autoformativo, ma anche auto-orientativo, occorre che la persona maturi un’intenzionalità e decida di assumersi la responsabilità del percorso
di esplorazione di sé: “la presenza di un investimento affettivo e intellettuale su questo progetto di conoscenza è la condizione sine qua non della
sua fattibilità” (Josso, 2001, p. 180). Concludiamo con queste riflessioni
sul tema della motivazione e dell’intenzionalità, perché esse non sono
dati scontati all’interno di un quadro a così elevata soggettivizzazione:
come dimostra anche Carré (2000) l’autoformazione non è necessariamente sinonimo di apprendimento intenzionale. Spesso occorre “esercitare” il soggetto alla maturazione di un’intenzione prima di giungere a
una reale voglia di autodirezione.
3. L’ORIENTAMENTO
E L’AUTO-ORIENTAMENTO: IL DIBATTITO IN CORSO E LE
APERTURE
Le linee generali della scena su cui ci muoviamo per comprendere le possibilità di intersezione tra formazione, autoformazione, orientamento e
auto-orientamento sono probabilmente chiare. In queste pagine cercheremo, allora di comprendere quali sono le principali questioni che dominano il campo dell’orientamento per delinearne le possibili interazioni
con gli altri ambiti. Partiremo ripercorrendo alcune riflessioni proposte
in letteratura sulle sfide che l’orientamento dovrà fronteggiare e che lo
vedono spesso intrecciarsi con i temi dell’apprendere e del formarsi. A tal
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L’orientamento
e l’autoorientamento:
il dibattito
in corso e le
aperture
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
L’orientamento
e l’autoorientamento:
il dibattito
in corso e le
aperture
fine, presenteremo, poi, un modello che sembra in grado di integrare, fin
dalle sue dichiarazioni di principio oltre che per i suoi metodi, i processi
della nostra ricerca: l’orientamento narrativo.
Cosa accade all’orientamento nello scenario attuale? Le risposte possono essere molte e tra queste sembra convincente quella di Batini (2002):
“L’orientamento cambia la propria finalità principale: da un processo di
facilitazione dell’adattamento del soggetto, alle richieste che gli pervengono dall’ambiente nel quale vive, in direzione di un miglioramento del
benessere individuale, che si esplica in una maggiore consapevolezza
delle proprie scelte, possibilità, decisioni e responsabilità, in una migliore conoscenza e percezione di sé, ma anche nel rinnovamento e potenziamento delle capacità di modifica intervenenti sul proprio comportamento, di progettualità e di ri-progettazione” (p. 20).
Nella misura in cui il proprio progetto può essere sostenuto dall’apprendimento, allora si assiste al crearsi di una domanda di formazione.
Tuttavia questa richiesta spesso è aspecifica e necessitante di orientamento. Ecco che, in tal modo, si alimenta la relazione di integrazione
già esistente e, in un certo senso, “estrinseca” tra orientamento e formazione che vede gli stimoli di un ambito porsi in continuità temporale
con gli altri, perché gli uni servono per dare direzione agli altri
(Oshako, 2000).
Le caratteristiche che potrebbe assumere un orientamento teso a sostenere una domanda di apprendimento da parte degli adulti per certi versi
sono note: esso dovrebbe mantenere il suo ruolo informativo, lavorando
con il soggetto, faccia a faccia, al fine di comprendere quali siano le informazioni rilevanti per lui, considerando le sue peculiarità in modo da sviluppare una competenza critica di scelta e ricerca di informazione;
dovrebbe motivare gli adulti ad apprendere, cercando di sostenere lo sviluppo di atteggiamenti positivi verso l’apprendere stesso; dovrebbe
incentivare l’attenzione al potenziale formativo insito nella propria vita
extralavorativa; dovrebbe sostenere il senso di autoefficacia degli utenti,
il quale rappresenta una molla importante per la continuità dell’apprendere, sensibilizzando alle differenze di genere e ai temi dell’uscita dal
mondo del lavoro (Oshako, 2000).
Nel fare tutto ciò, come sostengono Guichard e Huteau (2001), però è
auspicabile che l’orientamento abbandoni quelle che sono due tendenze
dominanti: il frammentare l’uomo, non rivolgendosi a lui nella sua totalità ma concentrandosi su uno dei suoi aspetti, che possono andare dalla
formazione all’inserimento professionale, e l'accoglierlo, presumendo
che egli sia un essere positivo e così negando gli aspetti di negatività.
Ecco allora che si stabilisce una nuova proposta di senso per l’orienta-
36
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
mento all’inizio del XXI secolo, vale a dire quella di “dare l’occasione di
ri-stabilirsi come persona (Jacques, 1982; Guichard, 2001), ovvero
come prodotto ternario (io-tu-lui) della relazione dialogica con gli altri,
relazione che lo costituisce in quanto tale e lo porta, ogni volta che si
reinstaura, a distanziarsi da ciascuna delle cristallizzazioni del sé” (Guichard, Huteau, 2000, p. 33).
In tal senso appare opportuno introdurre il tema dell’integrazione tra
processi auto-orientativi e autoformativi, resa possibile dal lavoro sulla
dimensione individuale e storica del soggetto, sull’autos-, appunto, in
cui i due processi possono essere compresenti. In particolare il processo auto-orientativo appare funzionale a quello autoformativo di “messa
in forma” di sé.
Per quanto riguarda i modelli teorici che paiono integrare i processi
auto-orientativi con quelli autoformativi, scegliamo di soffermarci sull’approccio dell’orientamento narrativo (Batini e Zaccaria, 2000; Batini
e Zaccaria, 2002). L’idea che sostanzia questa proposta di azione orientativa è quella di tentare di trovare una stabilità prima di tutto interna
nel mezzo delle incessanti trasformazioni esterne. Questa convinzione di
fondo si collega alla prospettiva di base con cui si guarda all’orientamento: esso è processo accompagnato di scelta. Il tema della scelta è richiamato con frequenza (abbiamo visto) dalle condizioni di vita e di lavoro
attuali, dato il crescere del numero delle transizioni personali e professionali. Se è vero che tali opzioni possono essere in certa misura reversibili, è pur vero che esse sono più drammatiche, in quanto maggiore è la
responsabilizzazione in prima persona del soggetto che prende la decisione (Melucci, 2000, p. 18).
In questo processo, la figura dell’orientatore diviene ancora più importante, in quanto la sua presenza deve divenire una condizione continua
(lifelong) e non più saltuaria, e si trova a dover incoraggiare processi di
empowerment, di sostegno alla costruzione di decisioni e di scelte, di
competenze progettuali, attraverso l’ascolto, l’informazione e la formazione (Batini, 2000).
Per entrare più nello specifico del modello di orientamento narrativo, va
detto che esso si pone in linea di continuità con la definizione che di orientamento formula Di Fabio (1998): “[…] il procedimento che permette di
trovare la posizione del Nord e in conseguenza degli altri punti cardinali
in modo che, grazie alla loro rilevazione sia possibile stabilire la corretta
direzione verso cui muovere” (p. 7; cit. in Batini 2000).
Il punto di riferimento da cui procedere sarebbe quello dell’identità e della
ricerca sull’identità svolta attraverso la metodologia narrativa (con riferimento, essenzialmente, agli strumenti di tipo autobiografico, Fontana, 2000).
37
L’orientamento
e l’autoorientamento:
il dibattito
in corso e le
aperture
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
L’orientamento
e l’autoorientamento:
il dibattito
in corso e le
aperture
L’identità appare essere il tema dominante nel mondo dell’orientamento
dopo quello delle attitudini. Essa viene definita come “l’irriducibile tipicità” di ciascuno. Il processo di ricerca su di sé appare imprescindibile
passaggio di appropriazione di potere rispetto ai processi di cambiamento. Tale percorso conoscitivo deve essere funzionale alla costruzione di
una nuova irriducibile tipicità nel futuro (Rossi, 2000).
L’orientamento narrativo, quindi, si pone in un’ottica che al contempo è
prospettica e progettuale e che prende le mosse da una ricerca in se stessi e
nella propria storia delle esperienze fatte, degli apprendimenti informali,
degli studi compiuti, delle scoperte dal respiro universale (Batini, 2002).
Tale storia viene esplicitata attraverso lo strumento della narrazione
autobiografica (tra gli esempi recenti di applicazione di strumenti narrativi all’orientamento: Torben e Johnston, 2003). Esiste un legame implicito tra le funzioni svolte dalla narrazione e gli scopi dell’orientamento.
La narrazione si caratterizza per quattro qualità: “una disposizione congegnata secondo un ordine sequenziale, sensibilità verso ciò che è canonico e ciò che non lo è; identificazione della prospettiva del narratore
(che può anche essere implicita, ma che è sempre presente), agentività
(l’azione umana). Queste funzioni si possono riflettere in altrettante funzioni dell’orientamento, rispettivamente: reperire un ordine e un significato nel proprio vissuto scolastico, formativo, professionale, oppure
organizzare esperienze confuse secondo un senso attribuito a posteriori;
discriminare l’eccezionalità e la norma nel proprio vissuto e nelle proprie
scelte; prendere consapevolezza di una progettualità o identificare perlomeno una o due direzioni (parziali, provvisorie, estensibili, possibili…);
innescare azioni conseguenti alle scelte” (Batini, 2002, p. 21).
La possibilità di acquisizione di una coscienza storica attraverso la narrazione è ciò che fonda il processo di auto-orientamento. L’autos- è,
secondo noi, leggibile in questa prospettiva in due sensi: in un primo
momento, attraverso l’orientamento narrativo, il soggetto recupera la
continuità della propria identità e nella misura in cui comprende se stesso e le proprie caratteristiche (valori, motivazioni, ideali, emozioni, ecc.)
egli diviene anche più autonomo in termini di una propria capacità di
orientarsi: “Sapersi orientare non significa tanto porsi e risolvere dei
problemi decisionali secondo una ristretta criteriologia funzionalistica,
quanto fare esercizio della capacità decisionale attraverso il tirocinio di
abilità intermedie finalizzate (euristica, metodologica, esplorativa, previsionale, progettuale), in grado di sostanziare, in virtù di un continuo
ricorso alla coscienza critica, le differenti scelte che la vita incessantemente propone e di far fronte, mediante un adeguamento attivo, al cambiamento della vita poliedricamente intesa, così da non lasciarsi squalifi-
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
care dalla forza compressiva dei processi trasformazionali quanto piuttosto da divenire agenti innovativi ed evolutivi del momento sociale e culturale” (Rossi, 1992; cit. in Batini, 2000, p. 32).
È relativamente semplice comprendere come questa lettura dinamica
dell’orientamento (perché finalizzata alla scoperta dei dinamismi della
costruzione di identità) porti con sé un notevole potenziale autoformativo, inteso nell’accezione che potremmo dire esistenziale e individuativo (Quaglino, 2002a).
“Ogni valida esperienza di auto-orientamento permette alla persona di
incontrarsi con la sua irriducibile tipicità e di definire l’ideale di sé germinativo dell’intenzionalità di circoscrivere il proprio ruolo nel tessuto
sociale e della volontà di attribuire significato alla personale esistenza, nell’intento di raggiungere traguardi genuinamente sviluppativi sul piano soggettivo e su quello comunitario. Questo è traguardo autoformativo di non
poco conto pensando in particolare al fatto che la salute di una personalità si identifica con un’immagine di sé che è ad un tempo completa ed unificata, un’immagine di sé che comprenda non soltanto il concetto di quello che si è, ma anche di quello che si vuole essere e che si dovrebbe essere”
(Rossi, 2000, p. 61-62); e ancora “la totalità della persona è centrale in
ogni processo orientativo per il fatto che questo si lega in maniera inscindibile all’urgenza più profonda della personalità, rinvenendo in questa il
suo principio e il suo nutrimento: la realizzazione del proprio sé, l’attualizzazione dei propri valori personali. In questo senso appare legittimo
affermare che educazione è orientamento e che orientamento è educazione” (Rossi, 2000, p. 63). Il termine educazione, in questo caso, è in parte
sovrapponibile a quello di (auto)formazione se è vero che Rossi (2000)
richiama “il concetto di educazione psicologica per fare riferimento a quel
fondamentale compito formativo che è la promozione dell’io” (p. 62).
4. FORMAZIONE,
AUTOFORMAZIONE, ORIENTAMENTO: IL PIENO ED IL VUOTO
E’ opportuno quando ci si accinge a trattare temi ampi, pervasivi e trasversali come la formazione, l’orientamento e l’apprendimento fare riferimento a ricerche teoriche e analisi sul campo che interessino contesti
non solo nazionali o locali ma anche più larghi, come ad esempio quelli
dell’area comunitaria. Dopo aver rivolto lo sguardo e la nostra attenzione alla letteratura ed alla produzione documentale esistente, elaborata
nell’ambito di sessioni specialistiche in cui si sono ritrovati esperti soprattutto europei ma anche appartenenti a contesti extra-europei come il
Canada, abbiamo ritenuto utile, ai fini del nostro lavoro, riferirci a
quanto da tempo istituzioni sovranazionali come l’Unione Europea
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Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
hanno elaborato in merito alla applicabilità operativa dei temi oggetto
della ricerca, considerati, in questo caso, come medium di elevata importanza per la crescita del diritto alla cittadinanza europea e del livello
qualitativo dell’offerta formativa complessiva.
Con riferimento agli ultimi cinque anni, la posizione dell’Unione Europea su temi come la formazione e l’orientamento è andata via via definendosi all’interno di un processo circolare di confronto e di condivisione che ha coinvolto operatori, dirigenti di centri di formazione professionale, di istituti scolastici, studiosi, decisori pubblici ed imprenditori
appartenenti a ciascuna realtà nazionale ed ai mondi professionali di
appartenenza.
In quest’ambito, già con il Memorandum sull’educazione e sulla formazione lungo tutta la vita (2000)17, e con i risultati del lavoro di consultazione svoltosi dopo la sua pubblicazione, sono state formulate delle precise richieste ai decisori pubblici ed agli operatori affinché entrambi cooperassero per un miglioramento complessivo delle loro azioni, a livello
micro e macro, in una logica di partecipazione e di collaborazione.
Nel Memorandum, infatti, grande spazio viene riservato alla formazione tout-court, cui si riconosce un ruolo strategico e propositivo nel
creare le condizioni preliminari per lo sviluppo di nuove competenze di
base per tutti e nel dare vita ad una tensione virtuosa per ottenere un
investimento maggiore nelle risorse umane; i processi di insegnamento,
ma soprattutto quelli di apprendimento, attraverso il Memorandum
escono, infatti, dalla ristretta dimensione degli addetti ai lavori, in cui
sono stati confinati per molto tempo, e ricevono una giusta tematizzazione al punto che nel documento vengono descritte tre categorie fondamentali di apprendimento finalizzato:
a) l’apprendimento formale, che si svolge negli istituti d’istruzione o di
formazione e conduce al conseguimento di un diploma o di una qualifica professionale;
b) l’apprendimento non formale, che viene erogato sul luogo di lavoro o
all’interno di attività di organizzazioni o gruppi che operano nel sociale (associazioni giovanili, sindacali o politiche);
c) l’apprendimento informale, che trova la sua naturale collocazione nell’ambito della vita quotidiana.
Il discorso si amplia in un altro documento comunitario relativo ai sisteCommissione delle Comunità Europee (2000), Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità Europee, Lussemburgo; CEDEFOP (2002), Consultation sur le Mémorandum de la Commission européenne sur l’éducation et la formation tout au long de la vie. Analyse des rapports nationaux,
Office des publications officielles des Communautés européennes, Luxembourg.
17
40
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
18
mi di educazione e formazione in Europa , in cui vengono ripresi i risultati scaturiti dal Programma di lavoro per gli obiettivi futuri dei sistemi
di educazione e di formazione, adottato nel 2000 dal Consiglio Europeo
di Lisbona e reso poi operativo nel febbraio 2002, e si tracciano delle
linee d’intervento che toccano da vicino i temi del nostro lavoro. In particolare, nel Documento si fa riferimento ad alcuni obiettivi definiti strategici con la volontà di tradurli in percorsi mirati per un modello di sviluppo improntato ad una estensione dei diritti fondamentali legati alla
cittadinanza europea.
Fra essi merita una certa attenzione quello relativo al bisogno di creare
uno spazio favorevole all’apprendimento, aperto a tutti e dagli esiti certificati, in modo da consentire la realizzazione di momenti di apprendimento continui nel tempo e tali da accrescere le competenze di base della
componente adulta dei target.
Sempre nel Documento si parla esplicitamente di rafforzare i legami tra
il mondo del lavoro e della ricerca applicata attraverso la valorizzazione
del ruolo degli attori sociali nella crescita e nello sviluppo dei percorsi di
formazione iniziale, d’istruzione e di formazione sul luogo di lavoro.
Queste affermazioni di principio trovano una loro collocazione all’interno
del discorso sulle organizzazioni e sullo spazio che esse riservano a forme
innovative di apprendimento e di riflessione sulla formazione on the job.
É, però, in un documento comparso nello stesso periodo che vengono
affrontati, secondo un’ottica comparativa, alcuni temi di interesse comune (Cedefop, 2002a).
Partendo dalla constatazione del cambiamento intervenuto nei luoghi di
lavoro (introduzione di una tecnologia centrata sulle competenze intellettuali e non più solo manuali, esistenza di modelli organizzativi che puntano su flessibilità e qualità della prestazione professionale) e rilevando la
presenza di alcuni fenomeni dai risvolti contradditori – richiesta di adattabilità del lavoratore da un lato e sua immediata disponibilità operativa
dall’altro, possesso di competenze professionali ma soprattutto extra-professionali, le meta-competenze - si giunge alla conclusione che per garantire la conservazione del posto di lavoro deve essere consentito al singolo
lavoratore di poter acquisire un’ampia fascia di competenze che vanno da
quelle tecniche, metodologiche, organizzative a quelle di comunicazione e
di apprendimento; questo compito, che si presenta come una vera e propria sfida per chi fa formazione, implica una riflessione approfondita non
solo su aspetti di natura sistemica (il ruolo dell’istruzione e della formaCommission Européenne, Direction générale de l’éducation et de la culture (2002), Éducation et formation en Europe: sistèmes diffèrent, objectifs partagés pour 2010, Office
des publications officielles des Communautés Européennes, Luxembourg.
18
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Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
zione professionale e le loro interazioni con il mondo organizzativo) ma
anche su alcuni concetti-chiave che vanno rivisti e rifondati.
Fra questi c’è sicuramente il concetto di “qualificazione” che andrà,
secondo gli autori, sostituito con quello di competenza, di natura più
vasta e complessa19.
Il concetto di competenza ha avuto nel corso degli ultimi dieci anni un’attenzione ed una considerazione notevoli da parte degli studiosi e degli operatori ed ha trovato storicamente nell’ambito della formazione professionale, ed in quella degli adulti in modo specifico, il suo luogo naturale,
transitando progressivamente dalla condizione di prodotto conclusivo di
un percorso finalizzato di addestramento professionale ad uno status, di
tipo prospettico e dinamico, in cui tende ad assumere una fisionomia ed
una natura polivalenti, in grado di consentire certamente l’esecuzione efficace di un compito in ambito professionale ma di essere anche un dato
strutturale e funzionale di un processo che riserva al lavoratore la possibilità di saper fronteggiare situazioni professionali – e personali – impreviste, proponendo soluzioni efficaci per la gestione dei momenti critici.
A fronte dei flussi mutevoli delle componenti socio-economiche dei contesti societari occidentali e dei processi frequenti di trasformazione dell’ambiente di lavoro, oltre che delle logiche organizzative che lo muovono, il concetto di competenza è andato col tempo mutando, assumendo
Sulle competenze si discute, si lavora, ci si interroga e si pensa ormai da molto tempo e
il dibattito tra gli studiosi è ampio e diversificato; lo spazio per trattare di questo tema
occuperebbe da solo un intero volume, per cui in questa sede ci limitiamo a segnalare
alcuni contributi che riteniamo significativi: Alberici A. – Serreri P. (2003), Competenze
e formazione in età adulta Il Bilancio di competenze, Monolite Editrice, Roma; Alberici
A. (2003), La dimensione strategica della competenza in Kanbrain, n. 2; Ajello A.M.,
Meghnagi S. (1998), La competenza tra flessibilità e specializzazione, FrancoAngeli,
Milano; Bresciani P.G. (a cura di) (1997), Le competenze: approcci e modelli di intervento in Professionalità, n. 38, marzo-aprile; Demetrio D., Fabbri D., Gherardi S. (1994),
Apprendere nelle organizzazioni. Proposte per la crescita cognitiva in età adulta, La
Nuova Italia Scientifica, Roma; Enaip nazionale-Progetto Cassiopea (2004), Per una
comunità competente. Riflessioni, ricerche, esperienze e pratiche “attorno” all’approccio per competenza, Editoriale AESSE, Roma; Isfol (a cura di G. Di Francesco) (1994),
Competenze trasversali e comportamento organizzativo. Le abilità di base per il lavoro
che cambia, FrancoAngeli, Milano; Isfol (1995), Apprendimento continuo e formazione.
Contributi sulle dimensioni organizzative, sociali e tecnologiche dell’apprendimento,
FrancoAngeli, Milano; Le Boterf G. (1994), De la compétence, essai sur un attracteur
étrange, Les Editions d’organisations, Parigi; Pellerey M. (2001), Sul concetto di competenza ed in particolare di competenza sul lavoro in Isfol (a cura di C. Montedoro), Dalla
pratica alla teoria della formazione: un percorso di ricerca epistemologica, FrancoAngeli, Milano; Quaglino G. P. (1990), Competenza in Appunti sul comportamento organizzativo, Tirrenia Stampatori, Torino; id. (1993), Modelli di formazione per modelli di competenza in De Masi D., Verso la formazione post-industriale, FrancoAngeli, Milano.
19
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
una rilevanza strategica e divenendo un concetto-valigia al cui interno
trovano spazio contenuti sempre più specialistici che vanno ad integrare
ed arricchire quello originario, non più sufficiente.
Lungo quest’asse, abbiamo assistito al passaggio dalle competenze di
base, in cui si fanno solitamente rientrare le abilità essenziali quali quelle dello scrivere, del leggere, del comunicare e dell’eseguire una prestazione, a quelle professionali, tipiche dell’ambito lavorativo in cui si
opera, per approdare, infine, a quelle definite trasversali, caratterizzate
dall’avere uno spessore qualitativamente superiore alle altre due specie
perché si presentano in primis come delle modalità strategiche di intervento sulla realtà lavorativa (e non solo) e, poi, perché tendono a mobilizzare ed utilizzare quelle componenti “immateriali” del comportamento
professionale che rappresentano il vero ed unico “strumento” sia di
appartenenza sia di distinzione personale-professionale del lavoratore.
Riportiamo, a titolo esemplificativo e senza alcuna pretesa di esaustività,
nella Tabella 1 un prospetto relativo al cambiamento intervenuto in merito al concetto di competenza.
Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
Tabella 1
Cambiamenti nel concetto di competenza derivanti dalle nuove tecnologie e da
nuove forme di organizzazione del lavoro
Fattori di competenza
responsabilità
Vecchio contenuto
Tabella 1
Nuovo contenuto
basata sul comportamento
basata sull’assunzione di
inteso come impegno e
iniziative
disciplina
perizia
basata sull’esperienza
di tipo cognitivo:
individuare e risolvere
problemi
interdipendenza
sequenziale, gerarchica
sistemica, lavoro di
gruppo
istruzione e formazione
acquisita in maniera
definitiva
continua
apprendimento
responsabilità personale
nell’apprendimento:
apprendimento da
passivo: addestramento
autodidatta,
apprendimento lungo tutto
l’arco della vita
Fonte: A. Green, A. Wolf, T. Leney (1999), Convergence and divergence in European education and
training systems, Institute of education, Università di Londra, citato in Cedefop (2002), Il futuro è
competenza: istruzione e formazione, op. cit.
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Cambiamenti nel
concetto di
competenza derivanti
dalle nuove
tecnologie e da
nuove forme di
organizzazione del
lavoro
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
Nel contesto europeo sono stati studiati alcuni modelli d’intervento per
adeguare i contenuti formativi e i curricoli dei percorsi d’istruzione e di
formazione professionale al tema delle competenze che hanno dato luogo
a due tendenze:
a) la prima che predilige l’apprendimento di competenze di base e generiche;
b) la seconda che vuole favorire l’acquisizione e lo sviluppo di competenze trasversali.
Lo sforzo intrapreso dai progettisti, dagli studiosi e dagli operatori ha
portato alla definizione di alcune proposte innovative che risultano ispirate ad entrambi gli approcci, anche se si registra una larga intesa, a
livello teorico, sul fatto che vengono ritenuti strategici, in ogni caso, l’apprendimento autonomo e lo sviluppo di competenze ad hoc mediante la
soluzione di problemi di varia natura (relazionali, organizzativi ed
altro); resta centrale, in ogni caso, l’opzione per processi d’insegnamento-apprendimento basati su criteri e metodi più attivi e personalizzati, in
contrapposizione all’insegnamento di tipo classico, centrato su un
apprendimento frontale tradizionale o sulla semplice assimilazione e
riproduzione di competenze sul luogo di lavoro.
Sull’orientamento, data la sua trasversalità e interpolarità, si sono concentrate nel Memorandum le maggiori attenzioni speculative con l’intento di costituire un luogo di riflessione per la messa a punto di una sua
nuova concezione teorica ed applicativa.
Il principio di fondo che sottende la riflessione è che le strutture che erogano i servizi di orientamento agiscano in una dimensione europea esplicita, vale a dire condivisa ma anche partecipata, che risulti poggiata su
quattro paradigmi, definiti priorità, da sviluppare in una logica di partecipazione e di condivisione e in tempi definiti:
1. accessibilità e innovatività dei servizi: i servizi di orientamento devono essere accessibili in permanenza durante tutta la vita della persona e fondarsi su di un modello olistico che ricomprenda e superi in
maniera graduale la frantumazione, ancora oggi esistente, tra orientamento scolastico e professionale; questa differenza che appare superata in letteratura è, invece, ancora esistente non solo nelle pratiche
ma anche nella cultura di base di molti operatori scolastici e della formazione professionale. Per gettare le basi di un nuovo modello di
orientamento diviene necessario passare attraverso la definizione di
un approccio che sia aperto verso le varie fasi della vita di una persona e non più ai suoi “spicchi” di esistenza, centrato sul sostegno alle
transizioni che, ormai, caratterizzano la vita personale e professionale del cittadino europeo.
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
La componente adulta, che fino a qualche tempo fa era considerata
esclusa dai percorsi di orientamento o di ri-orientamento, tende a
divenire una fascia consistente di utenti e per essa andranno progettati servizi che non potranno più essere copia di quelli già esistenti, ma
impostati su di un impianto personalizzato e mirato ai loro fabbisogni;
2. l’équipe e la rete: l’erogazione dei servizi di orientamento sarà opera
di figure professionali che si muoveranno in gruppi di lavoro all’interno di reti locali ma tessendo legami aperti e condivisi all’interno del
sistema complessivo di riferimento; lo sforzo sarà rivolto a dare solidità ai meccanismi di comunicazione ed a quelli di scambio di esperienze e di buone pratiche fra lavoratori e fra questi e le imprese;
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oipila qualità dei servizi: è opinione ormai condivisa che sia necessario
introdurre delle norme di qualità per i servizi di orientamento, anche
se questa esigenza non può riguardare solo le infrastrutture deputate
all’erogazione dei servizi ma la sostanza, il contenuto del processo di
orientamento, in quanto la natura polivalente della qualità non concerne solo gli aspetti materiali (strutture, luoghi, strumenti), per
quanto importanti, ma la natura, il costrutto teorico che è alla base
del processo di orientamento;
4. la formazione e le competenze dell’operatore: questo punto è strettamente collegato al precedente nella misura in cui la qualità di un servizio di orientamento passa inevitabilmente attraverso un’appropriata quanto doverosa formazione professionale dell’operatore sia in
ingresso che nel corso dell’attività lavorativa.
Come è possibile constatare, la logica che sostiene questo quadro di
riferimento è volta a costruire dei servizi orientativi proattivi e personalizzati in grado di consentire a tutti gli utenti di compiere le proprie
scelte nei momenti di passaggio della propria vita personale e professionale, e a fornire loro gli strumenti per acquisire e arricchire la consapevolezza e la capacità di scelta di fronte alle varie e mutevoli situazioni dell’esistenza, a cominciare dalle transizioni che costituiscono
una variabile indipendente dei percorsi di vita professionale e personale dell’attore sociale.
Riconoscendo come strategica questa visione dei fenomeni orientativi non
possiamo non condividere quanto viene acutamente descritto da M. L.
Pombeni (2002, 4) nel momento in cui, dalla sua analisi sullo stato attuale delle pratiche orientative, scaturisce che uno dei primi compiti per chi
opera in questo ambito è ravvisabile nella “(….) necessità di mantenere
integrato il processo di orientamento scolastico e professionale, arrivando tuttavia a distinguere alcune specificità sia in riferimento ai bisogni dei
diversi target sia a partire dalle caratteristiche dei diversi contesti di ero-
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Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
gazione degli interventi. In altre parole, pur accettando i suggerimenti
europei sulla unitarietà del processo, se prendiamo in esame l’età e la
condizione sociale dei destinatari si rende necessario distinguere delle
‘buone prassi’ maggiormente in grado di sostenere le scelte scolasticoprofessionali dei giovani ed altre capaci di accompagnare le transizioni
sul lavoro degli adulti. Entrambe queste tipologie di buone prassi hanno
a che fare con il processo di auto-orientamento della persona e come tali
devono essere identificate come orientative”.
Sulla base di questa premessa, l’autrice prefigura almeno tre macro-tipologie di attività orientative:
a) attività propedeutiche e/o complementari al processo orientativo vero
e proprio, ravvisabili, ad esempio, nelle azioni svolte nella scuola
attraverso l’informazione orientativa o la didattica orientativa, che
riguardano sia i giovani che gli adulti, gli istituti scolastici e l’università, la formazione professionale ed i centri per l’impiego, ma anche gli
inoccupati, i disoccupati e coloro che desiderano cambiare lavoro;
b) altre attività che prendono la forma di accompagnamento dei percorsi individuali di formazione e di lavoro e che sono volte ad accrescere la “capacità di auto-monitoraggio in itinere dei propri comportamenti e delle condizioni esterne” (Pombeni, 2002, id.); può
trattarsi in questo caso di bisogni espressi dagli studenti nel corso del
loro iter formativo o dai lavoratori (occupati e disoccupati) durante
la propria attività, cui dovrebbero corrispondere azioni che tendano
a fornire una risposta sostenibile alle esigenze espresse dalla persona non nei momenti di scelta: pensiamo, ad esempio, a coloro che si
rivolgono ai centri per l’impiego e non sono in condizione di “scegliere” o di elaborare un “progetto professionale”, per i quali un’azione consulenziale non sarebbe appropriata in quanto lascerebbe
insoddisfatti i loro bisogni;
c) attività di consulenza alle scelte o volte “alla messa a punto di progetti formativi e lavorativi personalizzati” (Pombeni, id); anche questa azione è rivolta a diversi target – studenti e giovani, adulti occupati e disoccupati – ed è realizzata all’interno di diverse strutture
attraverso il ricorso a risorse interne o in integrazione con servizi
dedicati; nota giustamente l’autrice che nel “(..) suo significato più
ampio la consulenza orientativa, sia pure con delle differenze rispetto al tipo di pratica assunta come riferimento operativo (consulenza
breve, counseling orientativo, bilancio di competenze), ha tentato
fino ad oggi di dare una risposta a bisogni di sviluppo dell’esperienza individuale; non a caso, si tratta di pratiche che entrano in gioco
o in momenti di scelta (scolastico-professionale) o in situazioni di
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
cambiamento dell’esperienza consolidata (perdita o cambiamento
del lavoro)” (Pombeni, 2002, 5).
In questo contesto, i servizi che si occupano di orientamento dovranno
sviluppare un approccio propositivo verso gli utenti per incoraggiarli a
saper fronteggiare le situazioni, favorendo lo sviluppo di quelle competenze “orientative” basate sul processo interiore di riflessione, verifica e
valutazione di quanto esperito e realizzato, convinti del fatto che “lo
sforzo dovrà essere quello di declinare le diverse tipologie di azioni precedentemente evidenziate rispetto alla specificità dei singoli sistemi e ai
bisogni dei diversi target” (Pombeni, id.).
Dalla formazione all’autoformazione, dall’orientamento all’auto-orientamento: alcune riflessioni
La focalizzazione del discorso su alcuni concetti-chiave come il diritto
alla cittadinanza attiva e all’apprendimento permanente, quest’ultimo
con le sue declinazioni in ambito formale, informale e non formale, sposta inevitabilmente l’attenzione verso quelli che appaiono i nuclei
distintivi del nostro lavoro: la formazione, l’apprendimento e l’orientamento ed i loro frutti maturi costituiti dall’auto-orientamento e dall’autoformazione.
Se l’orizzonte di senso in cui inscrivere i fenomeni oggetto della nostra
ricerca è costituito dalla società della conoscenza e dal suo immediato
corollario che è l’apprendimento lifelong, allora ciò che stiamo considerando acquisisce una valenza prospettica di ampio respiro, all’interno
della quale i concetti tendono a perdere la loro natura squisitamente
teorica per divenire delle chiavi di lettura e di affrontamento dello scenario complesso e multiforme in cui l’attore sociale è immerso. L’orientamento, la formazione ma soprattutto l’apprendimento, in altre parole, a differenza del recente passato, non possono più conservare uno status di tipo autoreferenziale, oggettivati in maniera esclusiva in percorsi
codificati (scuole, istituti d’istruzione, centri di formazione, università)
e definiti sulla base delle fasi di vita di una persona (istruzione-formazione-occupazione) ma vanno considerati come delle opportunità, delle
vie d’accesso permanenti ed aperte per il raggiungimento di una condizione diversa nel corso del tempo, per una riconquista di significato sia
professionale che personale per l’individuo tale da renderlo soggetto e
non più oggetto di diritti fondamentali, primo fra tutti quello di cittadinanza attiva, che implica quello di partecipazione al contesto sociale,
economico e culturale di appartenenza, di formazione, di apprendimento e di orientamento20.
Se passiamo dalle affermazioni di principio ai contesti economici ed orga-
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Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
Formazione,
autoformazione,
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ed il vuoto
nizzativi nei quali la formazione e l’orientamento vanno declinati, diverse e di varia natura appaiono le variabili da considerare per poter legittimamente parlare e rendere sostenibile un approccio verso l’auto-orientamento e l’autoformazione. Dall’ampia letteratura dedicata alla formazione, edita negli ultimi cinque anni21, emerge incontestabile un dato: tutti gli
studiosi, da qualunque ambito professionale provengano, sono d’accordo
nel riconoscere come strategico, ai fini dell’efficacia del processo formativo, il ruolo assegnato al soggetto che apprende. Da tempo si sostiene che
è proprio la personalizzazione del percorso formativo a trasformare radicalmente e copernicanamente l’obiettivo e il fine del fare formazione, in
quanto la centralità del soggetto apprendente dovrebbe consentire ai proSu questi temi meritano una lettura i seguenti documenti: Commissione Europea (2002),
Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità Europee, Lussemburgo; CEDEFOP (2003), Apprendere per
l’occupazione. Politica dell’istruzione e formazione professionale in Europa. Sintesi,
Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità Europee, Lussemburgo.
21
Indicare in nota i testi sulla formazione e sulle politiche formative, anche se comparsi
negli ultimi cinque anni, è impresa improba; ci limitiamo a segnalarne alcuni tra i più significativi: AA.VV. (a cura di C. Torrigiani e I. van der Vliet) (2002), Formazione integrata
e competenze, Carocci, Roma; AIF (1998), Professione formazione, FrancoAngeli, Milano; Alberici A.(1999), Imparare sempre nella società conoscitiva. Dall'educazione degli
adulti all'apprendimento durante il corso di vita, Paravia, Torino; Besozzi E. (a cura di)
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20
48
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
gettisti, agli operatori e infine ai decisori pubblici di ri-modellare le politiche e le pratiche formative in modo da trasformare l’impianto teorico e
operativo attuale in una direzione che da corsocentrico - tutto impostato,
cioè, su di una logica che vede il soggetto apprendente come ricevitore
acritico di contenuti già definiti e organizzati - vada verso una architettura del percorso flessibile e personalizzata, in grado di riconoscere al soggetto in apprendimento uno spazio ed un ruolo attivi, condivisi, partecipati e certificati.
Questo discorso nasce come effetto dei processi di mutamento che hanno
caratterizzato, e che continuano a caratterizzare, gli apparati organizzativi e produttivi delle società ad alto sviluppo tecnologico. Senza
entrare nel merito dei complessi meccanismi che hanno generato il mutamento22 (dematerializzazione del lavoro, fenomeni crescenti di esternalizzazione delle attività produttive, globalizzazione dei mercati, crisi
della soggettività in ambito sociale e riscoperta del valore delle risorse
umane in ambito organizzativo) interessa in questo luogo mettere a fuoco
alcune linee di tendenza che hanno impresso una determinata direzione
al setting delle pratiche formative.
Quello che un tempo era il tradizionale ciclo personale e professionale di
vita di un individuo, che appariva scandito dal succedersi di fasi sequenziali a senso unico che vedevano come tappe intermedie del processo di
crescita professionale e culturale alcuni momenti della vita del soggetto
(istruzione-formazione-occupazione-pensionamento), è andato progressivamente perdendo di stabilità a causa del mutare abbastanza repentino
degli scenari economico-sociali su cui si fondava. In un arco di tempo
relativamente breve, dell’ordine di circa dieci-quindici anni, si è passati
da una serie di attività produttive allocate nelle grandi imprese e rivolte
a grandi quantità di persone ad un insieme di piccole attività produttive
centrate su mestieri e professioni frammentarie, mutevoli e non estese a
tutti gli aventi diritto. Il lavoro, inteso come prestazione professionale, è
andato sempre più perdendo il suo contenuto materiale per assumere una
connotazione “immateriale”, legata, cioè, alle risorse ed alle competenze
che il lavoratore riesce a concentrare, mobilizzare ed impegnare in quel
dato momento e che possono dare luogo ad un processo di produzione.
Per una lettura trasversale dei fenomeni che hanno generato e contraddistinto il mutamento risulta utile un approccio multidisciplinare rintracciabile in: AA.VV. (a cura di C.
Volpi) (1986), Tecnologie dell’informazione e orientamento nella società post-moderna,
Giunti & Lisciani, Teramo; Beck U. (2000), I rischi della libertà. L’individuo nell’epoca
della globalizzazione, Bologna, Il Mulino; Kumar K. (2000), Le nuove teorie del mondo
contemporaneo, Einaudi, Torino; Sennet R. (1999), L’uomo flessibile. Le conseguenze del
nuovo capitalismo sulla vita personale, Feltrinelli, Milano.
22
49
Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
Questo cambiamento di scenario non ha modificato, però, l’intensità con
cui i contesti produttivo-economici condizionano i sistemi formativi, anzi
quello che viene giustamente definito come “il tratto coercitivo della
scena organizzativa e del mercato” (Quaglino, 2003b, p. 18) è divenuto
più pressante per l’individuo, che si trova sempre più spesso nella condizione di dover ri-partire alla ricerca di un’occupazione dopo che la precedente è andata col tempo “esaurendosi”. A fronte di questa situazione
“gli obiettivi della formazione, e con sé dell’autoformazione e dell’orientamento si sono progressivamente spostati piuttosto ad un riequilibrio
della polarità individuale ovvero a una radicalizzazione della formula
della centratura sul soggetto dell’azione” (Quaglino, 2003b, p. 19).
Per una organizzazione che voglia mantenere la propria posizione nel
complesso mercato in cui opera diviene necessario, infatti, optare per
alcune visioni strategiche in cui un ruolo determinante viene giocato dalla
capacità di innovare e di trasformare-controllare i processi e di far rientrare questa scelta tra gli obiettivi della stessa organizzazione; questa
capacità, però, è frutto di decisioni che tendono a rafforzare e a sviluppare il momento della riflessione (e dell’autoriflessione) su quello che è il
consolidato delle pratiche esperite, ciò che un tempo veniva chiamato
know how e che oggi viene indicato come patrimonio di esperienze.
Tutto questo è possibile mediante uno sforzo comune e condiviso da parte
dell’organizzazione per sostenere un investimento economico adeguato in
questa direzione, verso quello che possiamo chiamare il capitale immateriale del contesto organizzativo, verso, cioè, quello che rientra nell’alveo del
patrimonio intellettuale delle risorse umane che lo costituiscono.
Il cambiamento non è di poco conto. Per le organizzazioni si tratta di riconoscere un valore in sé ai processi formativi complessivi, ad una logica di
apprendimento continuo nel tempo e non più parcellizzata in momenti topici (corsi di riqualificazione, di aggiornamento), che sia sviluppata in momenti più lunghi e con contenuti specifici (apprendimento organizzativo, ruolo
delle competenze, funzione delle conoscenze e di quelle tacite in modo particolare, il senso della comunità di pratiche, il momento individuale e quello
di gruppo nell’apprendimento) in grado di costituire un valore aggiunto ai
consueti canali formali o informali di formazione in un contesto lavorativo.
Se, mutando prospettiva, consideriamo le questioni legate alla formazione, all’autoformazione e all’orientamento dal punto di vista del soggetto,
riconoscendo come giusta quella che è stata definita “l’irruzione della
soggettività” (Quaglino, 2003c, p. 15), allora il quadro assume altre connotazioni, particolarmente significative. La dimensione soggettiva rappresenta, infatti, il trait-d’union che consente di poter far transitare il
nostro discorso verso l’approccio autoformativo, in quanto essa si pone
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
come terreno di sviluppo ideale per riconoscere il nuovo ruolo della persona rispetto alla struttura organizzativa in cui agisce e per considerare
produttivo l’investimento formativo e auto-formaivo in termini di crescita personale e professionale, entrambe ritenute utili per lo sviluppo dell’organizzazione.
In questo ambito la dimensione soggettiva viene ad essere qualcosa di
diverso e di livello qualitativo più alto rispetto alla semplice prospettiva
dell’apprendimento individuale o autonomo, perché muta la concezione
del soggetto in apprendimento: egli non è uno statico insieme di capacità,
di competenze professionali, di attitudini e di motivazioni di cui è più o
meno consapevole, ma un organismo dinamico costituito da ragione, sentimenti e progetti volti tutti al raggiungimento di uno stato di equilibrio e
di stabilità, che ben si coniuga con gli elementi che sono alla base della
vita del soggetto in formazione: la realizzazione professionale, l’autostima, il riconoscimento sociale, la sopravvivenza materiale.
In altre parole, le variabili oggettive di tipo economico, sociale e professionale, che hanno sempre costituito un deciso condizionamento per il soggetto, oggi impongono all’individuo che lavora la consapevolezza dell’acquisizione e dello sviluppo di competenze autoformative e auto-orientative di
base, tali da sostenerlo nelle scelte formative e professionali, nei processi di
sviluppo della capacità di autocontrollo della propria vita lavorativa e della
propria carriera, nella individuazione di nuovi percorsi lavorativi, nel
saper affrontare con successo le transizioni psico-sociali e professionali.
Ciò appare ancora più vero solo considerando alcune contraddizioni
che il quadro professionale-lavorativo attuale presenta: vista dal lato
della domanda di lavoro, la situazione appare caratterizzata, infatti, da
una elevata selezione della forza lavoro, cui fa da sfondo un numero di
assunzioni limitate, mirate e con periodi di prova più lunghi e complessi di un tempo, e tale da disporre di requisiti diversificati, perché più
centrati al raggiungimento di obiettivi qualitativi e non solo quantitativi; vista dal lato dell’offerta la situazione appare contrassegnata apparentemente da maggiori opportunità, sulla base dell’applicazione di un
indimostrato principio di “flessibilità” delle forme contrattuali23(lavoro
interinale, part-time, a progetto, ad esempio) che avvantaggerebbe il
lavoratore, ma anche da una elevata precarietà in termini di durata e
di prestazione.
Tutto questo in un contesto in cui l’incontro tra domanda e offerta è divenuto più difficile a causa della non coincidenza delle aspettative dei lavo23
Si legga relativamente agli effetti del principio di flessibilità sulla vita individuale del
lavoratore R. Sennet (1999), L’uomo flessibile, op. cit.
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Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
ratori e delle imprese: i primi alla ricerca di stabilità e di tempi più lunghi di permanenza nell’ambito professionale, le seconde attente alla flessibilità e al turn over.
Sulla legittimità e sulla sostenibilità del fare auto-orientamento e
autoformazione
Una volta definito il ruolo e lo spessore prospettico che vengono ad avere
i processi di formazione, di autoformazione e di orientamento sia per i
contesti organizzativi delle società ad elevato sviluppo tecnologico sia per
le carriere e le traiettorie di vita personali dei lavoratori, viene spontaneo domandarsi se il nuovo ruolo del soggetto apprendente, la sua proattività ai fini del percorso auto-orientativo o autoformativo, nasce come
bisogno del soggetto stesso di poter utilizzare al meglio le possibilità di
crescita personale e professionale, che la dinamica produttiva delle stesse società fortemente industrializzate pone quasi come necessario per
garantire la perpetuità del suo esistere, o si origina come risposta, da
parte delle organizzazioni, per far fronte ai problemi soprattutto economici che fare formazione oggi implica?
In altre parole, pensare e agire in un’ottica auto-orientativa e autoformativa risponde principalmente ad un’esigenza personale e professionale dell’attore in situazione lavorativa o è il frutto di scelte e di logiche
squisitamente organizzative che vogliono “usare” il concetto e la prospettiva autoformativa e auto-orientativa per ridurre il proprio margine
di intervento, anche economico, e, di riflesso, anche il ruolo delle istituzioni che “fanno” formazione?
Con questo non intendiamo minimamente depotenziare il valore di crescita personale e professionale, nonché di miglioramento complessivo
della vita collettiva, che è da ascrivere ai percorsi di formazione, di
autoformazione e di orientamento, ma riteniamo utile, ai fini della ricerca, comprenderne il ruolo e la possibilità in un contesto sociale che
appare segnato da un’elevata complessità e da una “incontrollabile”
velocità di trasformazione, che si pongono in una posizione contraddittoria rispetto ad uno dei principi cardine dell’autoformazione che è proprio la riflessività, il ri-tornare sui propri passi, ri-elaborando i contenuti e le modalità di quanto appreso per trasformarli in contenuti concreti, in competenze spendibili.
Su questo punto occorre fare chiarezza. In maniera molto opportuna
Quaglino (2002a, p. 9) ha notato che “il tema dell’autoformazione può,
dunque, ben rappresentare una nuova inflessibilità nel resistere a quella
deriva di cui è parte non poca letteratura e azione formativa che macina
formule ed eventi di fragile o noioso o fiacco apprendere, in ossequio, il
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
più delle volte, a principi di pura e semplice convenienza commerciale, o
a qualche sempre più cogente (non meglio identificato e comunque il più
delle volte strumentale) imperativo organizzativo”.
Ponendoci in questa prospettiva, diviene inevitabile sgombrare il campo
da alcune questioni che possono inficiare il contenuto propositivo del
discorso sull’autoformazione; due equivoci in questo caso caratterizzano
tale discorso: il primo che vede nell’autoformazione una forma di
“apprendimento in solitudine” (Quaglino, 2002a) e il secondo che considera l’autoformazione come “ricetta per risparmiare costi” (idem, 2002a).
Entrambe tendono a far rientrare il discorso in una visione riduttiva e
semplicistica, che lo snatura della sua portata, e a orientarlo verso una
curvatura di basso profilo che sottende una volontà di piegare fenomeni
emergenti entro gli angusti spazi dell’ordinario.
Autoformazione ed auto-orientamento, infatti, non significano apprendere o apprendere ad orientarsi da soli o in solitudine o ritenere che l’azione di orientamento sia un momento di riflessione interiore sganciato dal
rapporto con l’ambiente nel quale si vive e si opera, trasformando processi che per loro natura sono aperti verso la realtà esterna in un esercizio solipsistico; vuol dire al contrario fare in modo che il soggetto possa
esercitare la sua capacità riflessiva sul percorso che sta compiendo, sul
significato che per lui ha l’apprendere e le modalità con le quali il contenuto appreso va a “sistemarsi” all’interno del suo quadro di riferimento;
ciò comporta che il soggetto apprendente si ri-appropri di alcune capacità di controllo e di direzione del proprio agire professionale (e personale). Sottolinea ancora Quaglino che è importante evitare, quando si parla
di autoformazione, di “(…..) essere contagiati da quell’assurdo imperativo della velocità che danna la vita organizzativa e la condanna a quella
superficialità che è sotto gli occhi di tutti”, in quanto “l’esercizio dell’autoformazione si impone alla ricerca della completezza e della professione:
ricerca lenta, ma non pigra, paziente ma non trascurata, diligente, meticolosa, costante e continua” (Quaglino, 2002a, p. 12).
Sulla seconda questione vale la pena di ritornare. L’autoformazione non
è, infatti, attività che possa chiudersi in un atto formale o formalizzabile
ma comporta, al contrario, impiego di risorse umane e di tempo notevoli
che andranno capitalizzate sapendo che daranno luogo a guadagni professionali e speculativi in fasi successive, non immediate e comunque non
immediatamente “spendibili”; nota ancora Quaglino che “se qualcuno
pensa che ciò che si fa da soli consente di non investire in docenza è sicuramente in errore. Anzi, forse, la possibilità di declinare in forma ancor
più individualizzata l’azione formativa ci dice che il percorso autoformativo necessita di lunga preparazione, di attenta conduzione, e se vogliamo
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Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
usare, almeno una volta, qualche formula di rito di una intensa “partnership di apprendimento” (Quaglino, 2002, ibidem).
La capacità di apprendere e di agire dell’attore sociale: il discorso sulle
competenze
Sul tema dell’autoformazione comincia ad essere diffusa tra gli addetti
ai lavori e gli studiosi una letteratura assai interessante, d’impronta
soprattutto francese e francofona24, che alimenta una fase di crescita
dell’attenzione verso il fenomeno, anche se nel nostro paese, a fronte di
un interesse autentico ma ristretto a pochi soggetti, si registra sia una
penuria di riflessioni sull’argomento sia una assenza di condivisione di
intenti fra gli esperti.
Nel capitolo successivo verranno presentate sia le sollecitazioni teoriche
ed operative provenienti dal dibattito che si è svolto, e si svolge, a livello
internazionale, sia le esperienze nazionali esaminate nel corso della fase
di campo attraverso delle interviste semistrutturate; entrambe sono state
raccolte ed analizzate con l’intento di verificare la possibilità di una convergenza tra formazione, autoformazione, orientamento.
Un possibile terreno di convergenza fra i tre ambiti sembra possibile ravvisarlo proprio con riferimento all’apprendimento ed al processo di
riflessione sull’apprendimento.
Le tre modalità in cui è stato suddiviso nei documenti comunitari - formale, informale, non formale - pur rispondendo ai necessari bisogni di
una società complessa, non possono però ricomprendere in un quadro
unico tre forme d’uso che sono di natura diversa e che agiscono in spazi
e tempi diversi, ma solamente rimarcare il ruolo assegnato ai processi
apprenditivi nei vari momenti della vita di un individuo. In ogni caso, va
ricordato che l’apprendimento di una competenza in ambito lavorativo
non può certo limitarsi ai momenti informali o non formali in quanto
deve comportare un ritorno sull’attività professionale ed è per questa
ragione che è necessario favorire forme di apprendimento consapevoli e
finalizzate, tali da elevare il processo ben al di là del livello di base previsto, come può essere l’acquisizione di contenuti tecnici e di manualità
dirette all’esecuzione di una mansione, per portarlo ad uno status in cui
sia possibile facilitare la riflessione e la crescita personale e professionale del soggetto in apprendimento.
Ricordiamo fra le pubblicazioni esistenti le seguenti: P. Carré et A. Moisan (2002), La
formation autodirigée, L’Harmattan, Parigi; P. Carré et A. Moisan (2002), L’autoformation, fait social? Aspects historiques et sociologiques, L’Harmattan, Parigi; P. Carré et M.
Tétart (2003), Les Ateliers de Pédagogie Personnalisée ou l’autoformation accompagnée
en actes, L’Harmattan, Parigi.
24
54
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
In questo contesto un ruolo significativo viene giocato proprio dall’esperienza acquisita e maturata dal lavoratore sulla base della quale è possibile poi imbastire un percorso di formazione e di autoformazione. Nella
Tabella 2, a titolo esemplificativo, abbiamo indicato alcuni tipi di
apprendimento legati all’esperienza, coscienti del fatto che l’apprendimento è fenomeno più complesso della formazione.
Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
Tabella 2
Tipi di apprendimento legati all’esperienza
Tabella 2
Apprendimento informale:
non comporta un quadro
organizzativo o formale e i suoi
risultati si manifestano da soli
Apprendimento mirato (o insegnato):
apprendimento mediante il quale si
intende ottenere risultati specifici
Apprendimento basato
sull’esperienza:
comporta un processo di riflessione
Apprendimento mediante
coinvolgimento:
avviene senza un processo di riflessione
o in maniera inconsapevole
Fonte: nostro adattamento sul lavoro svolto da Dehnbostel P., Dybowski G. (2001), Company-based
learning in the context of new forms of learning and differentiated training paths citato in Descy P.,
Tessaring M. (ed) (2001), Training in Europe, vol. I.
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punto possiamo rilevare come l’esperienza acquisita dal lavoratore sia la materia prima su cui operare per far nascere e sviluppare un
autentico ed efficace percorso di autoformazione.
Sulla base di quanto detto a proposito dell’apprendimento e dei dati raccolti sembra plausibile, in questa fase della ricerca, poter sostenere che se il
soggetto in apprendimento o autoapprendimento, giovane o adulto che sia,
è il depositario del processo e la misura della validità dello stesso, allora fra
i tre ambiti esiste un percorso di tipo interattivo-integrativo possibile, e
auspicabile, che trova la sua finalità nel fatto di essere assato su alcuni principi comuni che sostengono tutto il sistema e che possiamo così indicare:
a) innanzitutto la capacità di attivare fasi sempre più ampie di riflessività sull’esperienza, considerata come il locus naturale su cui fondare qualsivoglia percorso formativo e orientativo in età adulta, e sull’azione, intesa come risorsa soggettiva capace di “condurre” l’apprendimento da sé e l’auto-orientamento di sé25; questo processo ha
A questo proposito G. P. Quaglino sostiene che questo è il risultato principale di pratiche considerate orientative come le storie di vita o l’autobiografia; si veda dello stesso
Farsi strada: un approccio integrato tra orientamento, formazione e autoformazione in
Isfol (a cura di A. Grimaldi) (2003) Orientare l’orientamento. Modelli, strumenti ed esperienze a confronto, FrancoAngeli, Milano.
25
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Tipi di
apprendimento legati
all’esperienza
CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
come fine quello di fare della storia individuale del soggetto in formazione il metro di valutazione della propria efficacia;
b) la possibilità di acquisizione progressiva di una responsabilità rispetto al proprio percorso professionale e personale in modo da creare le
condizioni per attivare le competenze (di base, trasversali ed anche
meta-) necessarie per affrontare e risolvere una situazione problematica o critica;
c) il padroneggiamento della capacità di lettura della realtà professionale, sociale e culturale di riferimento attraverso l’adozione e l’affinamento progressivo di una nuova forma di razionalità e di una ottica
di lettura dei fenomeni di tipo sinergico-globale, che si affianchi e
ricomprenda quella del punto di vista, su cui storicamente e culturalmente si è costruita la società occidentale.
Su quest’ultimo punto vale la pena di soffermarsi.
Nella seconda metà degli anni ’60, e soprattutto nel corso degli anni ’70, agli
albori del processo attuale di creazione e diffusione massiccia delle informazioni, cui abbiamo da quel momento assistito, si crearono le condizioni tecnologiche per l’avvento di quella che è stata definita “società delle comunicazioni di massa”; questo fenomeno sociale e culturale, che venne allora sostenuto
dal proliferare delle applicazioni di micro-elettronica che, per la prima volta
nella storia, potevano veicolare su supporti sempre più piccoli quantità maggiori di dati, cominciò ad essere studiato da più versanti disciplinari per cercare di comprenderne gli effetti sulle società e sulle organizzazioni.
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anni Sessanta avevano rilevato il forte potere condizionante che essi avevano
nel trasformare i processi produttivi, economici e culturali delle società in cui
avevano luogo26. L’uso sempre più parcellizzato e diffuso delle tecnologie elettroniche, che avvenne a partire dai primi anni ’80, contribuì ad una crescita
esponenziale del fenomeno, che raggiunse livelli elevati nel decennio successivo, nel corso del quale si poté assistere ad un aumento quantitativo e quasi
incontrollato delle comunicazioni, anche se all’accelerazione dei fenomeni
economici, produttivi e sociali, indotti dalla velocità delle nuove tecnologie,
non corrispose una reciproca capacità interpretativa degli stessi da parte del-
Citiamo alcune opere, che possiamo considerare come dei classici, che rappresentano
ancora oggi dei contributi decisivi allo studio dei fenomeni legati alle comunicazioni di
massa: Eco U. (1968), Apocalittici e integrati, Bompiani, Milano; Foucault M. (1967), Le
parole e le cose, Rizzoli, Milano; Gamaleri G. (1976), La galassia Mc Luhan, Armando,
Roma; id. (1985), Il villaggio elettronico di Mc Luhan, Capone, Lecce; Mc Luhan M. (1967),
Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano; Mc Luhan M. (1976), La galassia
Gutenberg. Nascita dell’uomo tipografico, Armando, Roma; Mc Luhan M. (1992), Il villaggio globale. XXI Secolo: trasformazioni nella vita e nei media, Ed. SugarCo, Milano.
26
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CAPITOLO I - SPAZI DI INTERSEZIONE IN LETTERATURA
l’attore sociale, che si ritrovò con una quantità elevata di informazioni a
disposizione ma con una ridotta capacità di analisi e di decodifica delle stesse
a causa del contrarsi del tempo disponibile alla loro assimilazione, visto che
continuava ad applicare modalità di lettura dei fenomeni non più adeguate
alla pervasività ed alla velocità di produzione degli stessi.
Fra coloro che si cimentarono nello studio dei nuovi mass media e che
comprese perfettamente il mutamento, tanto da giungere a teorizzare delle
27
modalità efficaci di lettura dei fenomeni comunicativi, fu M. Mc Luhan .
La sua teoria, che nasceva per dare un significato alla “logica” dei nuovi
mezzi di comunicazione, può essere riassunta in questi punti:
a) l’ordinamento e la struttura di una società sono fortemente correlati
alla natura dei media che vengono utilizzati per la trasmissione della
comunicazione; essi sono, cioè, funzione del tipo di media utilizzati e
sono, pertanto, indipendenti dal contenuto di questa trasmissione –
una delle frasi che contraddistinguono il suo pensiero è: “il medium è
il messaggio”;
b) esistono media “caldi”, che non comportano da parte dell’utilizzatore
una grande partecipazione, e media “freddi”, in cui il processo comunicativo implica una partecipazione attiva dell’utilizzatore;c
c) l’avvento della stampa, ad opera di Gutenberg, ha determinato una
“esplosione” e quindi l’atomizzazione di un antico ordine sociale in frammenti umani, individuali, differenziati, mentre la comparsa dell’elettricità, alcuni secoli dopo, ha comportato una “implosione” che ha unificato
il sistema comunicativo, e quindi sociale, di tutta l’umanità in un circolo
simultaneo, in un villaggio non più isolato ma esteso su scala planetaria.
Secondo il sociologo canadese, le innovazioni tecnologiche incidono fortemente sullo sviluppo delle società che se ne servono, determinando una
precisa direzione ai loro processi di crescita. Se “l’uomo preistorico”,
prima dell’invenzione dell’alfabeto fonetico, viveva in una dimensione
globale, che era data dalla sua appartenenza al villaggio tribale, la comparsa prima dell’uomo “orale”, caratterizzato dalla separazione della
vista dai sensi audio-tattili, e poi dell’uomo “tipografico”, originatosi a
partire dall’invenzione della stampa a caratteri mobili, che gli consentì la
completa separazione della vista dagli altri sensi, determinò una trasformazione della società che era andata definendosi nel tempo.
Marshall Mc Luhan (1911 – 1980), sociologo canadese, è stato uno dei più profondi studiosi della civiltà delle comunicazioni di massa. Con i suoi saggi ha rinnovato radicalmente l’analisi e l’interpretazione degli strumenti della comunicazione ed in particolare
di quelli elettronici. Le opere principali dello studioso canadese sono inserite nella nota
precedente; qui vogliamo solo citare almeno letture recenti sulle sue opere fra le quali
segnaliamo: J. Andrews (1999), Mc Luhan Reconsidered in BeeHive, num. 4 (on-line).
27
57
Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
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Formazione,
autoformazione,
orientamento: il pieno
ed il vuoto
In questo contesto, “L’uniformità, la ripetibilità e l’omogeneità dei caratteri mobili – sottolinea C. Volpi, uno dei più lucidi interpreti di Mc Luhan
– si riprodussero in tutti i settori della vita sociale: a) nell’arte e nella letteratura mediante l’adozione del ‘punto di vista’ e della ‘prospettiva’, in
base alle quali veniva ordinato in modo regolare e ripetitivo il dato estetico; b) nella linguistica, attraverso la nascita e l’affermazione delle lingue nazionali, la costituzione del modello ‘normativo’ della grammatica,
la codificazione della stilistica e la frammentazione accademica delle
conoscenze; c) nella scienza, mediante l’invenzione del metodo della scoperta resa possibile dalla visualizzazione e dalla regolarità della successione tipografica; d) in politica, mediante l’affermazione dello stato
nazionale, identificato nella comunità dei parlanti e garantito da una dialettica centro-periferia favorevole tanto all’assolutismo collettivo quanto
all’individualismo dei singoli; e) in economia, mediante la costruzione di
un sistema di rapporti, del sistema dei prezzi che presuppone la standardizzazione dei prodotti e la loro fruibilità, la creazione di un mercato di
massa (…). Questa costellazione culturale (……) è entrata in crisi agli
inizi del XX secolo, dopo l’avvento dell’elettricità e dei nuovi mezzi di
comunicazione sociali da essa favoriti. All’uomo tipografico e alla logica
del libro stampato si stanno sostituendo l’uomo dei mass media e il regime della comunicazione istantanea e sinergica” (Volpi, 1986, pp. 14-15).
In buona sostanza, l’attore sociale contemporaneo sta transitando da una
cultura lineare, che implica una prospettiva ordinata e seriale, da libro
stampato, ad una cultura elettronica che tende a coinvolgerlo in un processo a spirale che appare privo di precisi rapporti centro-periferia; la
particolare natura di questo processo richiede l’adozione di una procedura di controllo e di comprensione della situazione che rinvia alla definizione di un cambiamento nel modo di pensare e di categorizzare la
nuova realtà “plasmata dai media”. Serve, in altre parole, un altro tipo
di razionalità non solo nelle attività lavorative ma anche nei processi formativi, perché la società dell’informazione e della conoscenza richiedono
la messa a fuoco di modelli di “personalità polivalenti, capaci di leggere
la realtà nell’ottica sinergico-globale (o, per dirla con Mc Luhan, nell’ottica della ‘coesistenza’ e della ‘simultaneità’)” (Volpi, 1986, p. 109). Uno
dei tratti caratteristici della personalità polivalente è la disponibilità al
cambiamento, che appare fondamentale non solo nel lavoro e nella formazione ma nell’esercizio del diritto di cittadinanza in tutti i settori della
vita personale, interpersonale e collettiva, coniugato in ogni caso con la
capacità di scelta nelle diverse situazioni.
58
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
IL PUNTO DI VISTA
DEGLI ESPERTI
R
iprendendo le domande formulate nel precedente capitolo28, l’obiettivo diviene ora quello di trovare una risposta a queste domande, ma questa
volta il punto di partenza sarà costituito dai contenuti emersi nel corso delle
interviste semistrutturate e dai questionari a distanza somministrati a un
gruppo di testimoni privilegiati, francesi e italiani, esperti in almeno uno dei
campi di riferimento della ricerca. Il passaggio ha rappresentato un
momento fondamentale lungo il percorso di verifica della nostra ipotesi che
verte, come indicato nelle pagine precedenti, sulla sostenibilità di un modello di convergenza fra i campi semantici e di pratiche costituiti dall’orientamento, dall’auto-orientamento, dalla formazione e dall’autoformazione.
In altre parole, si sta cercando di completare la rappresentazione da cui
muovere per costruire un nuovo edificio, in cui gli spazi della formazione
e dell’orientamento possano comunicare in modo tale da permettere all’individuo di muoversi in essi ed attraverso di essi in modo autonomo, personalizzandoli. A tal fine occorre comprendere su quali basi si può procedere alla costruzione prima di un progetto e poi dell'edificio vero e proprio.
28
Si veda quanto riportato a p. 16 del presente volume.
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
riflessioni
dei testimoni
privilegiati
L’incontro con gli esperti ha rappresentato una tappa funzionale a tale
fine: essa ha permesso l'esplorazione della natura del terreno su cui si
tenterà la costruzione, prima di procedere a un’ipotesi di articolazione
più precisa degli spazi.
Nel primo paragrafo, saranno riassunte le riflessioni raccolte in merito alla
descrizione dello scenario e delle sue direttrici principali in tema di formazione, autoformazione e orientamento, con un approfondimento delle
parole chiave, dei modelli e delle possibili evoluzioni future. Nel secondo,
invece, si descriveranno alcune esperienze che, a parere degli esperti coinvolti, potrebbero rappresentare un’integrazione, in diverse combinazioni,
dei processi formativi/autoformativi/orientativi/auto-orientativi.
Nel terzo si delineeranno alcune prime ipotesi interpretative di quanto
descritto nelle pagine precedenti.
1. LE
RIFLESSIONI DEI TESTIMONI PRIVILEGIATI
Il primo passo da compiere per giungere a un possibile progetto è quello
di sondare il terreno su cui potrebbe ergersi l’edificio capace di integrare, in qualche modo, soluzioni formative e processi orientativi, tutti
rivolti a favorire nel soggetto la maturazione di capacità auto-orientative e la scelta (anch’essa autonoma) di soluzioni autoformative.
L’esplorazione di questo terreno, nel corso della ricerca, ha portato a
interrogare i testimoni privilegiati coinvolti su alcune temi centrali:
° i concetti-chiave dello scenario della formazione;
° i modelli di autoformazione, di orientamento e di auto-orientamento e
le riflessioni sulle possibili integrazioni;
° le sfide per il futuro.
In questo primo paragrafo, cercheremo di presentare le conclusioni a cui
sono giunte le persone intervistate in merito ai primi due punti, mentre
rimanderemo l’approfondimento dell’ultimo, più di natura prospettica,
al terzo paragrafo di questo capitolo, al fine di completare il percorso di
ricerca con una serie di spunti di riflessione per il futuro.
I concetti-chiave dello scenario della formazione
Nella progettazione della ricerca e nella costruzione degli strumenti, ci è
apparso importante far compiere un passo indietro ai testimoni verso il riconoscimento e l’esplicitazione dei modelli teorici che ispirano la loro ricerca e
la loro riflessione. In tema di decostruzione e di dominio del paradigma critico, infatti, ci è sembrato opportuno iniziare facendo chiarezza, insieme con i
testimoni privilegiati, sui punti di vista da cui si guarda ai temi della formazione, dell’autoformazione, dell’orientamento e dell’auto-orientamento. Ciò
60
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
ha condotto ciascun testimone a identificare una serie di premesse teoriche
fondamentali attraverso cui leggere gli ambiti di sostegno alla crescita individuale, quali quelli presenti nei processi formativi e in quelli orientativi.
In ambito francese, Pineau, esperto a livello internazionale di autoformazione, nonché tra i fondatori del GRAF (Groupe de Recherche sur
29
l’Autoformation en France) , ritiene che una integrazione tra processi
formativi e orientativi sia pensabile su alcune dimensioni fondamentali, in
primo luogo, del modello di uomo che guida la riflessione e la pratica. In
tal senso, uno snodo centrale sarebbe il processo di antropoformazione:
Pineau sostiene, infatti, che l’autoformazione, la formazione e l’orientamento sono inevitabilmente accomunati nel momento in cui il loro oggetto di interesse è l’umano, cioè l’antropos, colto come essere in divenire.
In virtù di questo comune interesse e di un’analoga azione a sostegno di
tale dinamismo, i processi formativi e orientativi, e le loro declinazioni
auto-, sono apparentate dal fatto di poter avere luogo in tutti i tempi e gli
spazi di vita della persona, poiché il processo evolutivo individuale si
caratterizza per il suo essere un fenomeno che accade continuativamente, in ogni contesto e coinvolgendo la persona nella sua globalità.
Questa lettura olistica dell’uomo obbliga a cambiare i paradigmi e le definizioni teoriche sia della formazione che dell’orientamento, imponendo
di comprendere sempre più entrambi i processi come una funzione dello
sviluppo umano, e perciò agenti attraverso i suoi stessi strumenti quali la
parola, gli atti, le interazioni, la comunicazione e finalizzati a sostenere
la persona nella sua capacità di dare una direzione alla propria vita.
Se, dunque, il punto di partenza è l’uomo, e il suo processo di crescita, è
inevitabile per Pineau che l’attuale scenario della formazione si basi su
un’alternanza tra formazione esperienziale e formazione formale: la
centralità data all’uomo sancisce la sua esperienza quale punto imprescindibile della formazione, pur non privando il momento formale del
suo valore di sistematizzazione e arricchimento.
L’ultima delle dimensioni chiave del territorio che intrinsecamente salda
formazione e orientamento è quella dell’integrazione tra individualizzazione, socializzazione ed ecologizzazione. La convergenza tra i tre processi è la radice del modello cosiddetto tripolare e della definizione propria di Pineau di autoformazione, definito biocognitivo.
Egli ritiene, infatti, impossibile, da un lato, un processo di sviluppo che non
consideri il soggetto in crescita come agente del suo percorso, ma dall’altro
Per maggiori informazioni su questo gruppo di ricerca, che nasce presso l’Università di
Tours nel 1992 con l’obiettivo di integrare gli sforzi di ricerca sul tema dell’autoformazione in territorio francese e canadese, si può consultare il sito: membres.lycos.fr/autograf/.
29
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Le
riflessioni
dei testimoni
privilegiati
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
riflessioni
dei testimoni
privilegiati
ammette anche che il polo “auto” non può esistere senza il polo “socio” (gli
altri) e il polo “eco” (l’ambiente): da qui discendono tre modelli di formazione, ovvero autoformazione, eteroformazione ed ecoformazione.
Galvani, dal canto suo, riflettendo su quali siano le parole chiave dello
scenario della formazione, condivide pienamente il modello dell’antropoformazione biocognitiva proprio di Pineau. Anche per Galvani, dunque, la formazione è antropoformazione, cioè processo attraverso cui
l’uomo si “dà una forma” in quanto soggetto nell’interazione tra la vita
nel suo complesso e le forme individuali che essa può assumere.
Nel rispetto di questa matrice comune, le riflessioni di Galvani sulle dimensioni salienti dello scenario della formazione riecheggiano quelle di Pineau.
Lo scenario attuale della formazione appare dominato da quattro grandi
temi: la fenomenologia ermeneutica dell’esperienza, l’esplorazione e l’interpretazione della nostra esperienza, la ricerca di senso e il “darsi una forma”.
In realtà appare chiaro come queste dimensioni abbiano una natura in
parte diversa: i processi di ricerca di senso e di costruzione di una propria forma sono obiettivi, mentre quelli connessi all’analisi dell’esperienza e alla sua interpretazione sono strumenti attraverso cui raggiungere tali scopi. È proprio dell’organismo umano, infatti, il cercare di
conseguire una forma esistenziale compiuta di cui è parte integrante
anche la propria “forma professionale”. Ciò motiva la ricerca di un
senso, composto, in primo luogo, a partire dalla propria esperienza. La
formazione, dunque, non potrà che essere esplorazione e traduzione
interpretata e interpretante di questa stessa esperienza, che, però, è
spesso tacita e sconosciuta30.
Diversamente da Pineau e da Galvani, Aubret guarda allo scenario della
formazione, si potrebbe dire, più da una prospettiva epistemologica che
non ontologica. Infatti, egli ritiene che i processi formativi siano caratterizzati soprattutto dal tema della conoscenza e della sua trasmissione,
oltre che della sua costruzione. Tale lettura comporta che l’analisi dello
scenario della formazione attuale debba rivolgere la sua attenzione ai
processi di soluzione dei problemi e di meta-apprendimento, senza tuttavia trascurare il fatto che essi sono parte di un percorso più ampio di
creazione di una propria forma individuale.
Aubret ribadisce la centralità del tema dell’apprendere come criterio
identificante il mondo della formazione e quindi come momento cruciale
della costruzione di una propria identità, non solo professionale. Questa
Come si vedrà più avanti, nel paragrafo successivo dedicato all’analisi delle esperienze
raccontate dai nostri testimoni, lo Studio di pratiche psicosociali descrittoci da Galvani
ha come obiettivo principale proprio il recupero e la legittimazione della conoscenza insita nelle esperienze professionali e non di ciascun allievo.
30
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
affermazione, certamente condivisa e condivisibile dalla letteratura specialistica, oltre a sottolineare la centralità del tema dell’apprendimento
in qualsiasi forma di relazione (perché per noi formazione e orientamento sono processi implicanti una relazione), appare coerente con l’idea che
la formazione di sé come soggetto sia un processo complessivo, quindi non
frammentabile. Ferma restando questa convinzione, Aubret, come del
resto già accennato da Pineau, rimarca un altro aspetto determinante:
quando si qualifica l’apprendere come polo di attenzione non si può
dimenticare che, accanto alle ricerche e agli studi inerenti la dimensione
più soggettiva dell’apprendimento (quella che, ad esempio, si concentra
sugli stili piuttosto che non sull’apprendere dalla propria esperienza),
gode di una rilevanza fondamentale anche il piano più “oggettivo” del
momento formativo definito “dell’apprendimento accademico”, etichetta
che comprende il piano dell’istruzione formale.
Riflettendo sulle parole chiave dello scenario attuale della formazione,
Rieu-Fichot ritiene che sia fondamentale il tema della centralità del soggetto e dell’evoluzione individuale. Quest’ultima è intesa come un percorso di apprendimento caratterizzato da una profonda continuità. La
nostra testimone, tuttavia, si sofferma meno sul tema della formazione
come processo ontologico per restare, invece, soprattutto all’interno di
un modo tradizionale di intendere la formazione, intesa come dispositivo
a sostegno della costruzione di un sapere. All’interno di questo paradigma, Rieu-Fichot ritiene fondamentali i momenti di progettazione e di
gestione del processo di apprendimento. Essi dovrebbero però essere guidati da due principi fondamentali: quello dell’autonomizzazione e quello
della individualizzazione dei dispositivi di formazione.
D’altro canto, il termine individualizzazione è anche quello che BlancRameau individua come parola chiave cruciale per la descrizione dello
scenario della formazione attuale. Con questo termine, ella sottolinea un
fenomeno per certi versi noto quale quello di un bisogno crescente di formazione attenta ai bisogni individuali. Il principio di personalizzazione,
sottolinea Blanc-Rameau, tuttavia, dovrebbe essere rispettato non solo a
livello di progettazione e implementazione di percorsi di formazione (con
soluzioni modularizzate a seconda delle richieste e dei tempi individuali),
ma anche a livello di riconoscimento di risultati e di valutazione. Il rispetto di questa convinzione ha dato vita in Francia a un vasto processo di
definizione e di condivisione di forme di certificazione riconosciute a
livello nazionale (si pensi alla V.A.E., Validation des Acquis de l’Expérience), che permette di “capitalizzare” l’esperienza maturata dal singolo individuo in un dato profilo professionale in diplomi o altre forme di
certificazione parificati a quelle del sistema di istruzione formale.
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Le
riflessioni
dei testimoni
privilegiati
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
riflessioni
dei testimoni
privilegiati
Questa soluzione, d’altro canto, non ha solo lo scopo di venire incontro ai
bisogni individuali, ma permette anche di accogliere, in parte, le richieste
del mercato sempre più orientate verso percorsi di formazione estremamente brevi e snelli in termini di tempo. Coerentemente con tutto ciò, allora, secondo Blanc-Rameau, la formazione è chiamata a ricercare il percorso il più giusto possibile, alla luce tanto delle esigenze individuali (perché personalizzato) quanto di quelle organizzative (perché rapido e progettato ad hoc).
Il tema dell’apprendimento, già citato da Rieu-Fichot, torna a rappresentare una linea guida della riflessione in tema di formazione attraverso
le parole di Temimi e Lavielle. Considerando come punto fermo il fatto
che la formazione è necessaria per sviluppare le competenze e per attualizzarle, per le intervistate tra le parole chiave non ci può essere tanto il
termine lifelong, che caratterizza un processo di apprendimento come
continuo e costante, quanto quello di recurrent education. Secondo le
testimoni, infatti, la realtà dimostra che il soggetto si affida ad un processo di formazione quando avverte la necessità di un aggiornamento professionale o durante periodi di disoccupazione. Questo comporta, dunque, che una linea di attenzione fondamentale per la formazione sia quella del lavoro sulla motivazione, poiché le persone si pongono spesso
rispetto all’apprendimento con il senso del “dovere” e non tanto con
quello del piacere. Il lavoro sulla motivazione, inoltre, è tanto più necessario laddove alla persona venga richiesta una partecipazione nella
costruzione del proprio progetto di vita professionale ed extraprofessionale, quindi proprio in un contesto di orientamento. Il progetto è, in
effetti, il terzo tema fondamentale dello scenario attuale della formazione
che conduce inevitabilmente il discorso sull’orientamento. Il nodo relativo al progetto è, secondo le testimoni, la precondizione per il realizzarsi
di un efficace percorso di apprendimento e di formazione. Infatti, se si
riesce a costruire con l’individuo un suo progetto si sarà trovata anche
una fonte nuova di motivazione all’apprendimento.
Così come i testimoni francesi hanno dato voce ad un’esperienza maturata in diverse realtà (università, servizi pubblici, servizi privati di formazione e orientamento), anche gli esperti contattati nel nostro paese appartengono a contesti professionali e culturali diversificati rappresentati dall’università (A. Alberici, D. Demetrio, A. Monasta e P. Serreri), dalla
formazione professionale (L. Verdi Vighetti) e dal mondo della scuola (L.
Giacci). Come i colleghi francesi, i testimoni considerati hanno maturato
nel corso della loro esperienza professionale un rapporto diretto con i
temi della formazione, dell’autoformazione e dell’orientamento e, pertanto, sono stati particolarmente sensibili e ricettivi nei confronti del
64
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
nostro lavoro e delle connessioni che abbiamo loro proposto relativamente ai quattro ambiti oggetto della nostra ricerca.
Interrogati sulle dimensioni che ritengono fondamentali nello scenario
della formazione e sui processi che la connotano, tutti gli esperti hanno
mostrato notevole condivisione di vedute e di interessi anche rispetto ai
loro colleghi francesi, soprattutto per ciò che concerne il fine del processo formativo, da tutti riconosciuto nell’apprendimento, considerato la
cartina di tornasole per una valutazione in profondità delle pratiche,
nonché una variabile indipendente su cui misurare l’entità e l’efficacia di
qualsivoglia attività formativa.
In particolare, secondo Alberici, se è vero che l’attività formativa è un
insieme di processi volti a creare dei cambiamenti rilevabili in vista del
perseguimento esplicito dell’obiettivo di favorire nel soggetto un apprendimento consapevole, allora essa ha come compito quello di facilitare, in
maniera efficace, il percorso di apprendimento del soggetto attraverso lo
sviluppo di dinamiche apprenditive che gli consentano di accrescere e di
utilizzare in modo consapevole e critico skill, conoscenze e tecniche e,
nello stesso tempo, di produrle e manipolarle per sviluppare le competenze per il lavoro e nel lavoro. Alberici è consapevole del fatto che la formazione risente delle trasformazioni del mondo produttivo, con il quale
intesse frequentemente un rapporto di scambio, che produce un mutamento della sua natura, della sua logica, dei suoi caratteri, ma è convinta, altresì, che la formazione così trasformata implica inevitabili conseguenze nell’ambito dei contesti organizzativi; questi ultimi, a loro volta,
appaiono sempre più dominati da una progressiva dematerializzazione
delle mansioni operative e professionali e in essi l’apprendimento non
può essere più meccanica accumulazione di conoscenze e di dati organizzati quanto piuttosto il “processo e i suoi risultati, è ciò che si è appreso,
ma è anche la capacità di dare risposte nuove in situazioni definite”. In
quest’ambito, l’apprendimento for the job e quello on the job comportano un’attenzione crescente per la nascita e lo sviluppo di competenze di
natura longitudinale, ed in particolare l’avvio di una riflessione a largo
spettro per la costituzione e l'approfondimento del tema delle competenze strategiche, ovvero delle competenze ad apprendere e a ri-apprendere. La parola chiave diventa allora competenza ed è intorno ad essa che
si può costruire un nuovo scenario per l’attore sociale, il quale l’assumerà come la dimensione caratterizzante il suo agire complessivo, quindi non solo quello professionale; all’interno di questo contesto, in ambito formativo le competenze diventano contenuti di insegnamento-apprendimento con rilevanti ricadute professionali ed operative nel campo di
quelle trasversali e di quelle che Alberici definisce strategiche.
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Le
riflessioni
dei testimoni
privilegiati
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
riflessioni
dei testimoni
privilegiati
Su posizioni simili si situa il lavoro di Monasta. Il processo formativo, in
questo caso, viene assato intorno a due parole-chiave: competenza e professionalità. Il primo termine, considerato tipico dei contesti formativi
legati al lavoro, segna da un punto di vista culturale uno sforzo di adeguamento formale della normativa e dei sistemi di formazione professionale a ciò che si registra nell’ambito dei dibattiti e delle tendenze dello
sviluppo globale ed europeo dei sistemi organizzativi, anche se secondo
Monasta esso resta “il concetto più controverso e più drammaticamente
conflittuale rispetto all’organizzazione del sapere e dei processi formativi formali tipici del nostro paese”.
Per quanto riguarda il termine professionalità, la sua centralità discenderebbe da un dibattito che prende le mosse da molto lontano, ad esempio dal lavoro sulle fasce di professionalità nell'ambito dei processi di formazione professionale31, e che ha trovato seguito in studi curati personalmente da Monasta32e da Guy Le Boterf, autore, nel corso degli ultimi
dieci anni, di rilevanti approfondimenti teorici in merito33.
La parola competenza resta centrale anche nella riflessione di Giacci. Partendo da un’esperienza costruita soprattutto attraverso il lavoro nel campo
e sul campo della scuola, Giacci ritiene, infatti, che la formazione attuale
non possa che muoversi sempre più nel processo di sostegno alla costruzione di competenze trasversali negli individui. Ciò appare tanto più vero
nella misura in cui il contesto richiede persone con maggiore capacità di
auto-orientarsi. Si tratta, dunque, di lavorare su quelle competenze in
gran parte di tipo cognitivo e in gran parte riconducibili alla capacità di
apprendere ad apprendere, attraverso cui il soggetto può meglio leggere il
proprio contesto. Ciò impone, però, di pensare ad un diverso modo di insegnare e a un differente ruolo dell’insegnante, il quale deve contribuire
sempre più alla costruzione di competenze metacognitive, pur senza rinunciare alla diffusione di saperi disciplinari. Il possesso di conoscenze resta,
a parere di Giacci così come nell’idea di altri testimoni intervistati, un
mezzo fondamentale per l’orientamento nel proprio contesto.
Potremmo dire di diverso “respiro” la riflessione di Serreri, in cui ci troviamo in presenza di un approccio longitudinale al tema della formazione,
in quanto un punto di riferimento di carattere generale, relativamente alla
formazione degli adulti e dei lavoratori occupati, è dato da quello che il
Monasta in particolare fa riferimento al lavoro svolto da R. Baraldi nel corso dei primi
anni '80 e che è poi confluito nel volume, curato dalla stessa ricercatrice, dal titolo Fasce
di professionalità. La professionalità come sistema: appunti metodologici e strumenti
empirici per una sua descrizione, FrancoAngeli, Milano, 1982.
32
Si veda Monasta A. (1980), (1996), (1997), (1997a).
33
Si vedano per un utile approfondimento i volumi: Le Boterf G. (1994), (1997), (1998), (2003)
31
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
testimone chiama modello del lifelong learning. Fra gli studiosi che in questo ambito si sono distinti per ricchezza di contributi e di attività di studio
vi è innanzitutto M. Knowles34, uno dei più attenti ed interessanti studiosi
di educazione e di apprendimento degli adulti, che può essere considerato
il fondatore della scienza andragogica, disciplina nata in Germania nei
primi anni dell’Ottocento, ripresa, approfondita e arricchita di contenuti
nuovi ed interdisciplinari proprio da Knowles, e poi P. Jarvis35 che ha dedicato una gran parte della sua lunga attività di studioso proprio al tema dell’apprendimento degli adulti nella prospettiva del lifelong learning.
Con tale espressione Serreri si riferisce a un modello di apprendimento
che ha trovato una sua decisa affermazione soprattutto in aree culturali
anglosassoni o nordamericane, al punto che nelle locali università sono
state create delle cattedre di lifelong learning. Proprio il paradigma culturale del lifelong learning ha assunto e mantiene una sua strategicità,
per il convergere combinato di diverse ragioni, sociali ma anche di natura tecnologica e scientifica, che hanno contribuito a rafforzare l’attenzione per i suoi principi e per le sue metodologie da parte della vasta platea di utenti e di operatori.
Ciò è stato molto significativo, se si pensa che questo paradigma si colloca
all’interno di un contesto culturale ove prevale una tradizione di studi dal
forte carattere empirico anche per ciò che concerne gli ambiti dell’educazione e della formazione. Date queste premesse, per Serreri il mutamento
intervenuto nel campo della formazione è stato rilevante perché direttamente connesso al mutamento delle finalità consuete del fare formazione;
quest’attività, infatti, non appare più legata esclusivamente al trasferimento di conoscenze e saperi da un soggetto che li possiede ad uno che non
li possiede, che nel caso degli adulti può funzionare fino ad un certo punto,
ma il fine del processo formativo diviene quello di formare i comportamenti, e quindi la persona, a scegliere e ad agire. Tale obiettivo è cosa
intrinsecamente ed emotivamente diversa dal formare la persona a fare,
poiché la finalità esplicita diventa preparare la persona ad agire, a sapersi muovere in modo appropriato in contesti differenziati, a saper trovare,
ma anche mantenere, un’occupazione ed una professionalità. All’interno
di questa “linea di frontiera” si ritrova tutta l’elaborazione andragogica,
l’educazione degli adulti, la formazione ed il suo corrispettivo auto-.
Suggeriamo la lettura di almeno due “classici” di Knowles: Quando l'adulto impara.
Pedagogia e andragogia, FrancoAngeli, Milano, 1996 e La formazione degli adulti come
autobiografia, Raffaello Cortina, Milano, 1996.
35
Il contributo di Jarvis è stato delineato in più pubblicazioni; ne ricordiamo alcune:
(1996) Adult and Continuing Education, 2nd ed., Routledge, London and New York;
(2001) The age of learning , Kogan Page, London.
34
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Le
riflessioni
dei testimoni
privilegiati
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
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dei testimoni
privilegiati
Dal canto suo, riflettendo sullo scenario della formazione, Demetrio
ammette di comprendere nel suo orizzonte la doppia anima dei processi
formativi, vale a dire quella della formazione che egli definisce organizzata, strutturata offerta ed erogata intenzionalmente e che coincide con
la formazione tradizionale (comprendente dispositivi tecnici, operativi,
percorsi di costruzione di progetti o percorsi formativi per donne e uomini nei diversi momenti della loro vita), e quella della formazione personale, caratterizzata da qualità meno intenzionali e, in certa misura, più
intime e connotata soprattutto dai suoi risvolti educativi. L’approccio di
Demetrio, in tal senso, richiama da vicino il punto di vista esistenziale di
Pineau e Galvani.
La divisione tra questi due approcci alla formazione è, secondo Demetrio,
in effetti, più una questione di abitudine, nella misura in cui una buona
formazione istituzionalizzata è in grado di attivare anche processi di formazione soggettiva, intendendo con quest’espressione quei processi che
hanno a che fare con scelte esistenziali, con riorganizzazioni dei propri
vissuti e del proprio senso del sé. In altre parole, con Demetrio si giunge
ad una prima sintesi, in certo qual modo già accennata da Pineau, Galvani e Aubret, in cui la polarizzazione tra una concezione di formazione
come processo olistico di costruzione della propria identità e modello di
formazione come costruzione di sé attraverso esperienze formalizzate,
che sembrava delinearsi nelle pagine precedenti, si attenua e s’integra
ritenendo l’una indispensabile all’altra.
In certa misura, la composizione di questa dicotomia, si conferma quando
Demetrio riflette sulla prima parola che egli considera chiave nell’attuale
scenario della formazione. Si tratta del tema della trasformatività. Essa
non è solo obiettivo, ma anche (nella misura in cui appare condivisa nella
comunità di esperti) il prerequisito di una formazione efficace (sia essa
istituzionalizzata o più di tipo esistenziale). Una buona formazione è un’esperienza di carattere trasformativo la cui peculiarità è quella di generare altra domanda di formazione nel momento in cui incoraggia l’interrogazione di sé. In questo processo essa può favorire un ri-orientamento esistenziale e non solo di carattere professionale od occupazionale.
Proprio nell’utilizzo del termine “ri-orientamento” appare concreta la
possibilità che sul terreno di questa dimensione formazione e orientamento possano integrarsi. La trasformazione di sé si identifica, infatti,
come un obiettivo comune tra i due domini e, contemporaneamente, come
un criterio di efficacia del processo formativo e di quello orientativo.
Sembra, infatti, possibile che i due processi debbano dimostrare una
certa coerenza in questa loro ricerca di cambiamento al fine di favorire
nella persona un’evoluzione in senso esistenziale.
68
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Per questa ragione, la seconda parola chiave che struttura il contesto della
formazione è anche per Demetrio, quella di continuità. Benché tutta la
formazione, infatti, dovrebbe essere in grado di animare la tensione trasformativa, i percorsi hanno effettivamente un senso se quanto avviene
all’interno di essi assume valore intimo e personale, divenendo parte della
propria esperienza vissuta e più segreta. Solo attraverso questa integrazione nella continuità della propria esistenza si genera la possibilità di una
continuità della domanda di esperienze di formazione. In questo senso la
formazione diviene processo interminabile di generazione di richieste, di
bisogni, di perfezionamento incessante di quanto si è appreso.
Infine, l’ultima parola chiave che secondo Demetrio descrive lo scenario attuale della formazione, e che è in realtà la precondizione per il
realizzarsi delle altre due, nonché l’aspetto capace di far evolvere il
processo formativo (istituzionalizzato) verso una tensione autoformativa, è l’interrogazione di sé: la formazione deve, infatti, essere intesa
come sviluppo di un processo di interrogazione personale. Quando essa
è capace di attivare questa messa in discussione, allora il soggetto è predisposto all’autoformazione: nel momento in cui il soggetto si percepisce arricchito e mutato, può percepirsi autosufficiente tanto sul piano
della gestione delle relazioni quanto a livello di “gestione” della propria
soggettività e della propria persona; in altre parole il processo di cambiamento innesca processi di autonomizzazione, di autorealizzazione e
di autoappropriazione.
Questi processi, tuttavia, non sono solo descrittori di una formazione che
diviene processo autoformativo, ma anche del suo risvolto auto-orientativo, poiché l’esito potrebbe essere anche quello di una progressiva riappropriazione di se stessi sul piano degli orientamenti, delle scelte, delle
decisioni e delle svolte personali.
Fra le posizioni dei testimoni italiani quella di Verdi Vighetti costringe in
un certo senso a fare una pausa nel percorso di analisi. Egli parte da una
definizione di formazione intesa come un insieme di criteri e di procedure finalizzati a costruire un percorso formativo che contribuisca a risolvere il problema di un soggetto. Egli, interrogato in tema di “modello di
formazione”, pone l’accento sul significato epistemologico del concetto di
modello e sulle implicazioni, in parte riduttive e limitanti, che esso
potrebbe avere nei confronti di un lavoro che voglia indagare la natura
epistemologica e logica di un modello. In buona sostanza, Verdi Vighetti
ritiene che la nozione di modello risulti fin troppo impegnativa e forse
fuori luogo nel caso della formazione e dell’autoformazione in un momento in cui fra gli studiosi e gli operatori si preferisce parlare di approccio
formativo, condizione teorica necessaria che egli poi considera, ai fini
69
Le
riflessioni
dei testimoni
privilegiati
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
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dell'analisi, suddivisibile in due grandi capitoli: a) gli approcci centrati
sul processo-prodotto, b) gli approcci centrati sulle risorse umane.
Nel primo caso possono collocarsi gli approcci che presidiano le pratiche formative e che tentano di elaborare le condizioni per la validazione, la certificazione, il riconoscimento dei loro risultati, mentre nel secondo possono farsi
rientrare approcci caratterizzati da curvature diverse: clinico, rivolto a soggetti che rischiano la marginalizzazione, di tipo educativo-pedagogico, centrato sui valori, sullo sviluppo di capacità di scelta, funzionale, legato all’acquisizione di capacità necessarie per risolvere problemi di varia natura.
“Dal punto di vista dei modelli teorici - nota acutamente Verdi Vighetti c’è da chiedersi se oggi si possano individuare nell’universo della formazione dei Modelli di riferimento. Il termine Modello rinvia a significati di
ordine epistemologico, a linguaggi formalizzati, a relazioni esplicitate tra
i diversi elementi che lo compongono ed a una relazione biunivoca tra la
realtà e la sua rappresentazione nel Modello stesso (Cfr. U. Galimberti,
Psicologia, Garzanti Editore, Torino). Si tratta di un concetto particolarmente impegnativo che risulta essere persino fuori luogo nel caso della
formazione e nell’auto-formazione”.
Scendendo nel dettaglio, per Verdi Vighetti la costruzione teorica all’interno
della quale è possibile situare gli approcci che attengono all'orientamento,
alla formazione e all'autoformazione risulta costituita almeno da tre grandi
aree che vengono denominate ipotesi; la prima è l’ipotesi costruttivista in cui
“il mondo, la realtà sono il prodotto della nostra mente e dell’interazione tra
le diverse menti”; in questo caso il processo di apprendimento è legato all’attività del “soggetto, mettendo in gioco la sua capacità di azione effettiva, simbolica, materiale e verbale. Esso è connesso all’esistenza di schemi mentali,
ossia a strutture di pensiero specifiche” (Giordan, 1998, 39).
La seconda ipotesi, detta olistica, considera l’apprendimento come un
processo di trasformazione che mette in gioco elementi fondamentali come
la cognizione, l’affettività, le relazioni, gli orientamenti di valore in un circolo che vede la trasformazione soggettiva riverberarsi sull’identità del
soggetto e l’apprendimento come la costruzione e la ricostruzione dell’identità soggettiva36. La terza, definita sistemica, si caratterizza per il
ruolo, aperto all’ambiente, che viene riconosciuto all’apprendimento che
Verdi Vighetti a conferma di ciò riporta un brano assai indicativo tratto da un volume di
A. Nardi in cui viene sottolineato il ruolo del cambiamento soggettivo: “Il cambiamento,
la mutazione, la transizione da uno stato ad un altro è un fatto che interessa l'individuo
in ogni momento della sua esistenza. Lo interessa nella sua sfera soggettiva, nella sua
dimensione corporea, nel suo relazionarsi con gli altri, nel suo vivere una condizione
patologica dal punto di vista psicofisico, nel modificarsi del suo stato cognitivo”. A. Nardi
(1999) La didattica del sé, FrancoAngeli, Milano, p. 90.
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“non è un processo di un soggetto isolato, di una funzione mentale singola
ma è l’insieme delle relazioni tra i soggetti stessi, tra funzioni mentali
diverse. E’ un processo di auto-organizzazione (….) che si attiva attraverso l’attenzione selettiva la quale mette in campo la funzione di coordinamento tra le aree cerebrali”. In tal senso Verdi Vighetti, citando P. Ferri,
conclude dicendo che “non sono le regole logiche a priori ad avere significato, ma sono le relazioni complesse di gruppi di attività che si stabiliscono tra i numerosi elementi che costituiscono il sistema” (Ferri, 2002)37.
I modelli teorici di riferimento e le possibili integrazioni tra formazione,
autoformazione, orientamento e auto-orientamento
Per quanto riguarda la definizione di autoformazione, Pineau, ormai da
più di venti anni, lavora su quell’approccio che definisce tale fenomeno
come il percorso di appropriazione del potere della formazione, intendendolo come quel processo attraverso cui le persone possono divenire attori
responsabili del proprio cammino di formazione per giungere ad applicarlo a se stessi. Tale definizione si articola su alcuni elementi cruciali.
In primo luogo, la dimensione del potere in base a cui il soggetto può
dare direzione e guida alla propria vita (quindi auto-orientandola, a
parere di chi scrive). La fonte del potere inizialmente e naturalmente è
collocata all’esterno dell’individuo, nella misura in cui come essere
vivente egli necessita di cure per sopravvivere. Tuttavia, mano a mano
che la sua autonomizzazione anche fisica si impone, è necessario, affinché lo sviluppo segua il suo corso, che si assista a un’autonomizzazione
progressiva dell’individuo e al recupero su di sé della responsabilità
delle proprie scelte. È pur vero però che l’assunzione su di sé del potere
non significa depauperare completamente di valore formativo la relazione con l’altro, con cui, comunque, si continua ad agire in una logica sempre più di partenariato. Se ciò non avviene, l’adulto è condannato a una
infantilizzazione permanente.
In secondo luogo, l’appropriazione del potere è duplice: da un lato sul
fronte del recupero del potere della propria formazione e, dall’altro, sull’adattamento di questa ai propri specifici bisogni.
Il modello teorico che fonda questa definizione di autoformazione trova
i suoi referenti teorici nel filone della pedagogia della liberazione degli
anni ’60 e ’70, e risente, inoltre, delle idee di Habermas e dei contenuti
connessi alla prospettiva dell’emancipazione legata alla conoscenza. Tra
Va ricordato che Verdi Vighetti, a proposito dei riferimenti culturali che sostengono l'orientamento, aggiunge alle tre ipotesi sopra descritte altre due: l'ipotesi comunicativa e l'ipotesi maturativa della soggettività.
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gli altri riferimenti teorici che sostanziano una definizione di autoformazione (dalle aperture auto-orientative), Pineau cita E. Gelpi, cui lo
accomuna il privilegiare più l’attore che non il sistema, J. Mezirow e D.
Riverin-Simard.
In tema di orientamento (ambito che Pineau incontra all’inizio della sua
carriera come psicologo impegnato nell’orientamento per adulti), egli
afferma che tale ambito ha a che fare con la costruzione e la conduzione
del senso della propria vita. In altre parole, orientare (il cui significato
ultimo in una prospettiva antropoformativa è quello di orientar-si) è definire il significato della propria vita, contemporaneamente scegliendo e
mantenendo la direzione entro cui questo senso deve essere costruito.
Se è vero che il modello antropoformativo che guida la riflessione di
Pineau sembra saldare naturalmente momento autoformativo e autoorientativo, quando si voglia parlare di possibilità di integrazione tra
pratiche di formazione e di orientamento occorre, forse, procedere a una
serie di precisazioni:
1. l’integrazione tra formazione e orientamento è possibile a un livello
teorico nella misura in cui il minimo comune denominatore tra i due
campi, intesi come insiemi di teorie e di pratiche, è il processo autopoietico individuale, ossia quel processo di differenziazione e di adattamento dell’organismo umano e della sua articolazione, in base a cui
l’individuo stesso procede, cercando di adattarsi all’ambiente, ma
contemporaneamente ricercando la sua articolazione e differenziazione dal mondo. In virtù di questo comune referente, formazione e
orientamento sarebbero entrambi processi permanenti la cui la relazione si gioca nel tempo. Se ciò non avviene, allora si crea una discontinuità dal punto di vista biologico e si finisce con il pretendere di trattare l’individuo in un modo atemporale e aspaziale;
2. l’integrazione “sincronica” tra formazione e orientamento in quanto
campi di pratiche non è auspicabile, poiché essi sono processi distinti
che ciclicamente si alternano: l’invito di Pineau è quello di tenere i
due processi separati perché diversi per finalità (senza dimenticare
che essi hanno però un oggetto comune). La prima differenza che è
possibile riscontrare tra formazione e orientamento, infatti, si colloca
sulla dimensione che potremmo definire “spazio-temporale”, per cui
la formazione agirebbe più su un livello spaziale, mettendo insieme nel
“qui ed ora” elementi che sono separati, laddove l’orientamento
sarebbe più un processo temporale di individuazione di direzione e di
costruzione dell’avvenire. In altre parole, secondo Pineau, il punto di
congiunzione tra formazione, autoformazione e orientamento “è la
temporalità singolare” che deve essere costruita e pilotata. La concre-
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tizzazione di questa temporalità in uno spazio particolare è il problema comune all’orientamento e alla formazione.
Nel corso della vita individuale, orientamento e formazione si giocano
su periodi diversi secondo una logica di alternanza e di differente rilevanza, per cui in certi momenti, ai fini dell’evoluzione individuale, il
momento orientativo di costruzione di senso e di definizione di una
direzione assume un’importanza maggiore di quello formativo (si
pensi ad esempio a quelli della ricerca di un nuovo lavoro, o alla scelta di un ulteriore percorso di studi). Quest’ultimo è inteso come quell’esperienza che permette all’adulto di procurarsi tutti quegli strumenti che gli permetteranno di perseguire la direzione individuata.
Un modello teorico nato nell’ambito del counselling per adulti dedicato al sostegno delle scelte professionali e utile a comprendere l’idea del
ripresentarsi ciclico dei problemi di orientamento e formazione è quello di Riverin-Simard (1984).
In tale proposta ella considera le età della vita in un modo spaziale,
simbolizzandole come se fossero pianeti tra cui l’individuo deve viaggiare per compiere il suo percorso. In realtà, per la persona può essere complesso stare all’interno di uno stesso pianeta (ad esempio quello del lavoro) e in ciò può essere sostenuto dalla formazione. Allo stesso tempo, però, può essere difficile anche il transito tra i pianeti (e
forse il più noto è quello tra formazione iniziale – lavoro, ma si pensi
anche a quello del pensionamento) e in questi snodi, l’orientamento
può rappresentare un aiuto di importanza fondamentale;
3. l’integrazione “diacronica” tra formazione e orientamento è fondamentale: per Pineau, formazione e orientamento debbono essere intesi come tappe ciclicamente alternantisi di un unico processo caratterizzato da un obiettivo comune (favorire la crescita). Per tale ragione,
essi richiedono che le logiche progettuali e le competenze professionali di formatori e orientatori siano per certi versi complementari. La
ciclicità, in altre parole, non è separazione: non si può frammentare
un cammino che è unico in virtù di competenze professionali diverse
che pretendono di intervenire su aspetti diversi dello stesso oggetto. Se
si agisce in tal modo si finisce con il “deglobalizzare” il processo. Le
separazioni più problematiche ai fini del percorso di crescita individuale sarebbero, pertanto, quelle storico-istituzionali, ovvero quelle
che vedono il crearsi di scuole e quindi la divisione tra professionisti
della formazione e quelli dell’orientamento. In quest’ultimo ambito,
secondo Pineau, l’approccio educativo all’orientamento potrebbe
rappresentare un buon terreno di connessione tra momento formativo
e momento orientativo, nella misura in cui il suo obiettivo è quello di
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sostenere il processo auto-orientativo individuale inteso come parte
del cammino autopoietico.
Al fine di aggiungere un altro tassello a questa rappresentazione, occorre
esplorare ancora le implicazioni della relazione tra formazione e autoformazione. Pineau ritiene, infatti, che occorra situare l’autoformazione
all’interno di una teoria della formazione più ampia, ricordandosi che
l’auto- è solo un prefisso che può essere incomprensibile se lo si pensa in
isolamento rispetto alle dimensioni sociale ed ecologica (cui corrispondono eteroformazione ed ecoformazione).
Dal punto di vista delle età dell’uomo, il tempo dell’autoformazione è
soprattutto quello dell’età adulta (laddove l’infanzia è il tempo dell’etero-, e la vecchiaia è quello dell’ecoformazione), mentre dal punto di vista
del tempo quotidiano, Pineau sostiene che l’autoformazione abbia
soprattutto una vita notturna, mentre l’etero domina in un regime diurno. Di notte, il fatto che il tempo sia meno strutturato e che la determinazione rispetto a quanto si può fare e non fare sia minore rendono possibile per la persona l’auto-organizzazione. In effetti però, nell’idea di
Pineau, la permanenza della formazione può concretizzarsi anche su
questa unità temporale corta, una sorta di formazione permanente ventiquattrore ore su ventiquattro.
Benché il modello teorico di riferimento in tema di autoformazione,
come già detto, per Galvani sia quello dell’antropoformazione biocognitiva, la definizione di autoformazione da questi formulata appare interessante in quanto egli ribadisce ancora con maggiore forza come la
forma che l’individuo cerca di darsi sia, in realtà, qualcosa che riguarda in primo luogo proprio la relazione che egli ha con se stesso. L’autoformazione è, infatti, sì presa di coscienza emancipatoria (come vuole
Pineau) ma essa procede in due direzioni, una interna e una esterna. Il
processo di liberazione può avvenire sia rispetto alle influenze sociali sia
rispetto ai limiti individuali. Mentre in certa misura risulta facilmente
comprensibile il fatto che l’individuo si muova per cercare di emanciparsi dalle pressioni sociali, può essere più controintuitivo il parlare di
un movimento di riscatto che l’individuo compie rispetto a se stesso.
Eppure si tratta di un momento necessario in cui la persona cerca di
liberarsi dagli ostacoli che l’io stesso si pone rispetto alla sua crescita
(tentando, in tal modo, un suo “decongestionamento”).
Per quanto riguarda la definizione che Galvani darebbe di orientamento,
il processo viene definito come una esplorazione simbolica del tragitto
antropologico. Facendo riferimento alle riflessioni di Durand (1969), egli
intende l’orientamento come quel processo di “incessante scambio che
esiste a livello dell’immaginario tra le pulsioni soggettive e assimilatrici e
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
le imposizioni oggettive derivanti dal contesto cosmico e sociale” (p. 38).
In altre parole, spiega Galvani, è importante ricordare che ci sono forme
nel mondo che attirano l’individuo e con le quali egli può entrare in risonanza simbolica, a cui, cioè, può sentirsi più affine. Così esistono anche
delle forme professionali che attraggono la persona perché simili e coerenti alle istanze del processo di costruzione di senso che ella sta conducendo. Vero è, però, che questa relazione non è fissa, perché le risonanze simboliche possono cambiare, in coerenza con quella che è l’idea di
tragitto antropologico. In altre parole, una collocazione professionale che
può assumere una certa suggestione in un certo momento della vita, può,
in uno successivo, perdere questa carica di attrazione in virtù di una
qualche discontinuità creatasi nel percorso autoformativo.
In tal modo appare chiaro come l’orientamento, inteso come insieme di
dispositivi che devono facilitare l’incontro e la conoscenza di queste
forme simboliche coerenti (occorre non dimenticare che il processo di
conoscenza è possibile anche attraverso l’esplorazione simbolica) sia un
processo che non può non avere affinità con quello autoformativo. Esso
sembra porsi rispetto a quest’ultimo in un rapporto funzionale: l’autoorientamento muove dal processo autoformativo per giungere a favorirne
il completamento.
Questa relazione appare ancora più chiara quando Galvani riflette sul
tema dell’auto-orientamento. Infatti non ci può essere orientamento che in
realtà non sia auto-: l’orientamento non può provenire dall’esterno. L’affermazione di Galvani è in realtà ancora più netta: se noi separiamo i domini dell’autoformazione e dell’orientamento, allora siamo nel campo dell’eterodirezione del processo di assunzione di una forma voluta dall’esterno.
Vero è, però, che per il proprio processo di evoluzione lo scambio con gli
altri ha una importanza particolare, in quanto permette alla persona di
scambiare con i propri simili i valori simbolici, così giungendo ad estendere quelli individuali. Per tale ragione, aggiungiamo noi, il processo
autoformativo, in quest’ottica, non può essere in isolamento, come alcune interpretazioni più autoistruttive dell’autoformazione vorrebbero
(Keirns, 1999). In questo processo, il ruolo del consulente sarà quello di
“tenere consiglio”, non tanto quindi quello di “dare” consigli, perché è la
persona che deve esplorare attivamente il proprio orizzonte simbolico.
Galvani propone diversi possibili pratiche che integrano, a suo parere, i
processi autoformativi e auto-orientativi intesi come percorsi “veri” di
realizzazione autentica e che egli definisce come circoli di dialoghi intersoggettivi - così valorizzando la componente relazionale nella dimensione
auto-. In generale, si tratta di tutti quei metodi che appartengono all’approccio della ricerca-azione e che vanno dalle storie di vita agli atélier del
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blasone e di scrittura di sé sino a esperienze più specifiche quali la laurea
dedicata Studio di Pratiche Psicosociali, presentata in maggiore dettaglio
nel paragrafo successivo.
Traggono spunto dal modello socioeducativo di Galvani nel progettare e
attuare un percorso di formazione le due operatrici dell’APP 10, Lavielle e Tamimi. L’idea di fondo che ha sostenuto gli operatori nella scelta di
questo punto di vista di riferimento è che l’APP dovesse assumere un
ruolo educativo in cui l’intervento non dovesse avvenire direttamente
sulla persona, sulla e nella sua storia di vita, quanto piuttosto basarsi sui
contenuti di apprendimento.
Agendo attraverso il sapere di base, infatti, la struttura ha potuto trovare una sorta di mediazione tra mission organizzativa, che non prevede
funzioni di orientamento, e la necessità che una qualche finalità orientativa potesse essere presente nelle pratiche formative. In tal modo, esse
sono state concepite e sono divenute progressivamente processi di accompagnamento nell’acquisizione di contenuti, nella convinzione che facilitando l’accesso ai saperi da parte della persona e il lavoro sui contenuti,
in una logica di apertura, ne fosse favorita un’evoluzione individuale
soprattutto sul piano della capacità di scelta individuale degli aspetti personali da potenziare nelle fasi successive, vale a dire del proprio progetto personale di cambiamento.
L’azione autoformativa procede, tuttavia, rispettando alcuni principi:
differenze individuali nell’apprendimento, molteplicità di strumenti di
apprendimento, funzione di facilitazione del formatore.
Dal punto di vista della definizione dell’attività di orientamento, sebbene non
sia compito dell’APP quello di procedere con questo tipo di attività, in quanto l’azione a carattere orientativo dovrebbe essere stata fatta prima dell’arrivo del soggetto al centro, Tamimi e Lavielle sottolineano che nelle situazioni in cui al momento del colloquio iniziale con il candidato, ossia della sua
accoglienza, viene rilevata la presenza di un progetto poco chiaro o poco preciso, allora ci si affida all’attività di alcuni professionisti dell’orientamento
che procedono a una ridefinzione del progetto stesso. Tali figure professionali fanno riferimento a un modello di orientamento di tipo educativo.
In tema di possibili legami tra formazione, autoformazione, orientamento e auto-orientamento, secondo le operatrici del centro APP 10, esiste
una relazione tra questi ambiti che sarebbe però di tipo sequenziale: l’orientamento, come l’apprendimento, non è mai definitivo, e quindi
ritorna ciclicamente nella vita di un individuo. Per l’APP la formazione
di base e l’autoformazione come processo divengono tappe di tipo strumentale, successive al momento dell’orientamento e antecedenti a quello della formazione qualificante.
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Il lavoro che svolgono le operatrici, ad esempio, è da loro stesse definito
di apertura tra l’orientamento e la formazione. Il momento autoformativo specifico di un APP viene concepito come un processo continuo che
può legare orientamento e formazione, specie quando essi sono concepiti
come momenti gestiti in luoghi e strutture differenti, in quanto facilita la
realizzazione di quel progetto identificato con il momento orientativo
antecedente all’ingresso in APP e la cui realizzazione deve favorire l’accesso a ulteriori percorsi di formazione di livello specifica.
La soluzione autoformativa, quindi, riflette la ciclicità di un processo in cui
dalla formazione si può tornare all’orientamento e da qui alla autoformazione e poi alla formazione, nella misura in cui esigenze di aggiornamento
o fasi di disoccupazione impongono al soggetto l’identificazione di un nuovo
progetto e l’attivazione di un nuovo percorso formativo. Inoltre, in rapporto al momento autoformativo come momento di apprendimento, la fase
orientativa rappresenta un processo fondamentale per attivare l’apprendimento successivo del soggetto chiarendo la direzione e i contenuti.
Oltre al riflesso che l’orientamento può avere nei confronti dell’apprendimento conseguito con modalità autoformativa, esiste anche la possibilità
di un’influenza in senso contrario. L’apprendimento possibile nel corso
della formazione, infatti, e in particolare quando perseguito attraverso
un processo autoformativo, prende le mosse sì da un progetto che mira a
strutturare il futuro del soggetto, ma che non può non iniziare da una
riflessione sul suo passato. In definitiva, il ripiegamento su di sé e sulla
propria storia, che il processo autoformativo induce, favorisce anche una
riflessione sulla qualità e il significato dei momenti precedenti di orientamento con un conseguente ri-orientamento (o auto-orientamento?).
Condividendo la filosofia d’azione dell’APP 10, ed in particolare l’attenzione a sottolineare i tratti connessi alla produzione di conoscenza e sapere, Aubret definisce l’autoformazione come quel processo che permette di
assumere la padronanza progressiva del processo di trasformazione dei
modi di pensare, di essere, di conoscere e di agire.
Questa possibilità di autocontrollo del proprio processo di costruzione
delle conoscenze, secondo Aubret, può avvenire solo con la maturazione
delle proprie competenze metacognitive. Lo sguardo che egli getta al tema
dell’autoformazione, dunque, certamente non vuole essere solo cognitivo,
ma non manca di sottolineare la rilevanza di questa componente dell’individuo. Non a caso egli ritiene che tra i modelli teorici fondamentali per
la conoscenza dell’uomo debbano essere annoverate le opere di J. Piaget.
Per quanto riguarda la definizione di orientamento e di auto-orientamento, occorre precisare come per Aubret i due processi siano la stessa
cosa o, meglio, come tutto l’orientamento non possa essere che auto-
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
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orientamento, in quanto il processo di scelta che esso implica non può
essere imposto dall’esterno o facendo riferimento a un criterio esteriore,
quale quello dei risultati scolastici (purtroppo, ammette Aubret, ciò a cui
si assiste oggi va proprio in direzione contraria all’auto-orientamento).
A livello di definizione, l’(auto)orientamento è la capacità di darsi degli
obiettivi a breve, medio e lungo termine e di mobilizzare le risorse
necessarie per raggiungerli. Aubret ritiene che questa concezione sia
particolarmente adatta al mondo degli adulti, pur non mancando di
essere trasferibile al contesto degli adolescenti in età scolare. Il modello di riferimento per questa concezione è rappresentato dalla prospettiva socio-cognitiva di A. Bandura.
Sebbene Aubret affermi, rispetto alla possibilità di integrazione tra i processi formativi e autoformativi e le possibili connessioni con i percorsi di
orientamento e le ricadute in termini auto-orientativi, che esista questo
intreccio e che esistano pratiche che in qualche modo danno ad esso vita,
egli non manca di porsi in una posizione dialogica rispetto al punto di
vista della nostra ricerca. Egli sostiene, infatti, che non è completamente
corretto porre la domanda sulla possibilità di integrazione, poiché questo
termine evoca l’unione di due processi separati, mentre non esiste che
auto-orientamento se l’”orientamento” viene compiuto in modo ottimale.
L’uso della parola “integrazione”, inoltre, potrebbe essere problematico
per un’altra ragione. Nella misura in cui si contrappongono due dimensioni più auto- a due dimensioni (che per confronto) appaiono essere più
eterodirette (formazione e orientamento, appunto), c’è il rischio di creare l’impressione che dal processo autoformativo e da quello auto-orientativo si cerchi di porre la figura dell’altro in secondo piano. Egli ribadisce,
invece, quanto la relazione con l’altro sia fondamentale nel processo
“auto”, perché essa deve essere tanto efficace da dare luogo a una assunzione di sé, a una “presa in mano” di sé rispetto al proprio cammino.
Se questo principio è rispettato sia nella formazione che nell’autoformazione e nell’(auto)orientamento, allora il problema del loro intreccio non
si pone, perché sarà l’individuo stesso a rappresentare il collante. Il
punto ‘critico’ intorno al quale si giocano la coerenza o la divergenza tra
le parole chiave utilizzate nella ricerca (orientamento, auto-orientamento, formazione, autoformazione), dunque, sta proprio nel ruolo attribuito all’altro in rapporto al sé.
Per tale ragione Aubret preferisce parlare di coerenza (tra questi ambiti) e non tanto di integrazione, in quanto la coerenza risiederebbe nella
continuità ricercata e voluta e nell’atteggiamento dei diversi attori che
accompagnano il processo di sviluppo delle persone: il principio di base
che dovrebbe garantire questa omogeneità è quello del rispetto della per-
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
sona nella sua ‘libertà di apprendere’ e di trasformarsi’. La coerenza non
è il fine, ma il mezzo al servizio dello sviluppo della persona che è l’obiettivo ultimo. In tal senso, dunque, il modello teorico che può sostenere una pratica professionale “coerente” tra processi formativi, autoformativi e (auto)orientativi è quello di C. Rogers.
Rieu-Fichot concorda con Aubret quando enfatizza il tema dell’accompagnamento a sostegno dell’autonomizzazione nel trattare di autoformazione. Se è vero, infatti, che questa può essere definita come la capacità
di autovalutare i propri bisogni di formazione e di identificare la formazione che meglio vi risponde, qualunque sia la sua modalità di erogazione (in presenza o a distanza), allora essa richiede che in primo luogo il
soggetto comprenda ciò che è in grado di fare e ciò che non riesce a fare.
Questa forma di valutazione non è però semplice da realizzarsi in completa autonomia: questa analisi dell’attività deve essere affiancata. Solo
in tal modo si può garantire un’analisi efficace dei bisogni formativi. Parlando di analisi dei bisogni, la nostra testimone si colloca nell’ambito di
una concezione moderna e neomodernista di formazione. Anche la definizione di orientamento ci riconduce a concezioni ampiamente condivise.
L’orientamento è, in effetti, definito come un processo di sviluppo e di
riconoscimento di sé nella prospettiva di elaborazione di un progetto professionale, che si può attuare con i tradizionali strumenti del portafoglio
o con percorsi come quelli di bilancio delle competenze.
Dal suo punto di vista, l’auto-orientamento è processo analogo a quello
autoformativo, ma su un altro versante, in quanto comprende la capacità
di identificare ed esplicitare i propri interessi, le proprie risorse e le competenze al fine di porli in connessione con opportune attività professionali.
Per quanto concerne la possibilità di integrazione tra i vari ambiti, la
testimone ritiene che sia possibile una forma di coerenza, sebbene non
sappia identificare degli esempi specifici in tal senso. Il punto di congiunzione è in realtà rappresentato, a parere nostro e interpretando le parole di Rieu-Fichot in modo per così dire “paradossale”, da elemento di
“disgiunzione”: i processi formativi e quelli orientativi procedono a partire da una rilevazione di uno scarto tra ciò che la persona sa fare e ciò
che non sa fare rispetto a ciò che ha progettato di compiere. Questo eventuale vuoto di competenze attiva una ricerca di formazione e rappresenta il collante tra questo momento e quello orientativo.
La lettura che offre Rieu-Fichot è certamente coerente con il modo attuale di comprendere i rapporti tra formazione e orientamento (almeno in
ambito francese), in quanto la prima si attiva in seguito alla valutazione
di una condizione deficitaria sul piano di ciò che è necessario per rendere effettiva una scelta professionale.
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Le
riflessioni
dei testimoni
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
riflessioni
dei testimoni
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Per quanto riguarda il tema dell’autoformazione, Blanc-Rameau lo
osserva a partire da una prospettiva di tipo cognitivo e ne sottolinea un
aspetto interessante. L’autoformazione è, infatti, processo di apprendimento dall’esperienza, ma anche occasione di sperimentazione. La persona si autoforma nel momento in cui ha la possibilità di “provare” i
suoi apprendimenti nella pratica, formulando delle ipotesi e perfezionandole attraverso la verifica dopo la “messa in pratica” in situazioni
professionali concrete.
Concepita, dunque, in una logica per prova-ed-errore, l’autoformazione
trova collocazione come parte di percorsi formativi in cui apprendimento di tipo teorico e di tipo pratico s’intersecano in una prospettiva di
pedagogia esperienziale,
Dal punto di vista dei legami tra formazione e autoformazione, esso
sarebbe inclusivo, in quanto l’autoformazione si realizza soprattutto in
situazioni concrete che mettono alla prova i saperi individuali, così contribuendo al consolidamento di competenze. In effetti, l’autoformazione è solo un momento puntuale di un percorso formativo più ampio ed
è connotato dal fatto di svolgersi in assenza di un formatore, fatto che,
secondo Blanc-Rameau può avere, in primo luogo, effetti benefici a
livello di costi.
Sotto il profilo dell’orientamento, la definizione che dà Blanc-Rameau
concepisce l’attività stessa come una forma di sostegno e di aiuto all’elaborazione di un progetto personale. Esso è il nodo centrale, perché l’orientamento dovrebbe in primo luogo aiutare l’individuo a costruire il
suo percorso di evoluzione personale.
Analogamente per quanto accade nella formazione, il gruppo in cui lavora Blanc-Rameau utilizza come riferimento il modello dell’educabilità
cognitiva. Il riferimento teorico di fondo renderebbe possibile anche una
certa coerenza tra processi formativi e orientativi. Tre sarebbero le parole capaci di congiungere i contesti di interesse: percorso di vita, progetto, esperienza. Se in un processo di mobilizzazione e ridinamizzazione di
competenze nuove, la formazione e l’orientamento identificano questi tre
elementi come punti di partenza e criteri guida del percorso (e si muovono con un modello concettuale comune), allora l’intreccio non è solo possibile, ma anche naturale ed efficace.
Per quanto concerne i testimoni italiani, le loro riflessioni in tema di
autoformazione assumono posizioni dalle valenze interessanti ed originali. In particolare, se Alberici e Verdi Vighetti sottolineano l’importanza
nei processi autoformativi di quella componente riflessiva, da essi variamente denominata ma per entrambi determinante ai fini di una efficace
autoformazione, che conduce a mettere in forma delle strategie e delle
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pratiche attraverso le quali l’attore sociale giunge a re-interpretare e a rivedere i propri schemi cognitivi, producendo, così, nuova conoscenza in
maniera autonoma, creativa e responsabile, Monasta, dal canto suo, rileva l’indeterminatezza del concetto, sostenendo che ci si muove su un terreno ancora inesplorato in cui può apparire prematuro cercare una definizione di temi dai contorni ancora così labili. In particolare, Monasta
ritiene sia importante chiarire prima di tutto la differenza tra formazione
e apprendimento e subito dopo tra autoformazione “effettivamente sperimentata e apprendimento spontaneo che non prevede formazione in senso
stretto”; il principio che anima tutta la sua riflessione è che l’apprendimento sia un processo molto più ampio e complesso della formazione per
cui se nella maggior parte dei casi l’apprendimento è indotto da situazioni spontanee, la formazione si caratterizza per offrire una forma particolare di apprendimento che, proprio per essere intenzionalmente inteso
come effetto di un processo, viene chiamato apprendimento insegnato. La
conseguenza di questa riflessione è che se l’autoformazione è unicamente
un processo di apprendimento guidato, come può esserlo un curricolo
impostato su una formazione a distanza oppure su processi di open learning, allora il riferimento corre a quanto già esiste ed è stato prodotto nell’ambito degli studi in area francofona o anglosassone su questo tema. Se,
al contrario, per autoformazione intendiamo un apprendimento non
strutturato in alcun modo e non indotto se non dalle esperienze di vita,
allora il riferimento corre all’experiential learning, che riconduce il
discorso dalla formazione alla certificazione dell’apprendimento.
Secondo Demetrio il processo autoformativo è gestione della propria
individualità e di ciò che ad essa è connesso: i propri compiti e le proprie responsabilità. Tutto ciò si accompagna all’assunzione di una maggiore progettualità personale cui segue un’accresciuta consapevolezza
anche sul piano del riorientamento nel mondo dell’esistenza complessiva dell’individuo.
Come già detto, per Demetrio, la formazione sta in rapporto all’autoformazione nella misura in cui riesce ad accrescere nell’individuo processi
di autonomizzazione, di autorealizzazione e di autoappropriazione. Una
persona che abbia appreso ad autoformarsi potrà comunque ritornare
verso la formazione in seguito, sebbene con un grado di consapevolezza
in più in virtù del fatto che egli ha maturato una maggiore capacità di
scegliere processi, di ricorrere alle agenzie o alle risorse in maniera più
autonoma e consapevole. Durante il percorso autobiografico (che descriveremo con maggiore dettaglio nel paragrafo successivo), i formatori utilizzano i segni di presenza o di assenza e il grado di autonomizzazione,
di autorealizzazione e di autoappropriazione come descrittori di un pro-
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
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cesso di autoformazione in corso. Questi processi vengono rilevati attraverso colloqui, interviste e momenti di narrazione autobiografica. La
loro presenza indica il mutare delle rappresentazioni di sé che l’individuo si attribuisce dopo aver fatto una certa esperienza formativa o dopo
aver vissuto una certa fase di vita.
In termini di riferimenti teorici sottostanti alla definizione di autoformazione descritta e al metodo narrativo, scelto come strumento di attivazione del processo, Demetrio indica in P. Ricoeur, in ambito filosofico-educativo, in Jerome Bruner, in ambito psicologico e in Edgar Morin, in
ambito sociologico gli autori di riferimento.
Il paradigma narrativo risulta particolarmente funzionale al processo
autoformativo che si cerca di attivare, in quanto lo sviluppo dei processi
narrativi facilita, accompagna e sostiene la chiarificazione e la comunicazione di sé, del mondo nel quale si vive, di ciò che si è fatto, di ciò che si
è vissuto. La ricostruzione dell’esperienza individuale, attraverso gli
strumenti narrativi, è compresa in un approccio conversazionale, volto a
ricostruire il percorso complessivo di vita, attraverso domande discrete
affini al colloquio clinico o non direttivo, volte a fare in modo che la persona sviluppi processi autoriflessivi e di riflessione su di sé.
Assai dettagliata la posizione dei testimoni sull’orientamento.
In particolare, Alberici definisce l’orientamento come “un insieme delle
opportunità di informazione, formazione e consulenza disponibili lungo
tutto l’arco della vita e per tutti i soggetti di tutte le fasce di età”, in
grado, attraverso l’opera di mediazione dell’operatore, di condurre l’attore sociale a definire delle scelte e/o delle strategie di azione per esercitare il suo diritto alla cittadinanza attiva. In questo contesto, il modello
teorico di riferimento è quello che la testimone chiama delle competenze,
in cui assumono una funzione predominante tre dimensioni che reciprocamente si intersecano: l’autonomia, la responsabilità e la soggettività;
partendo dall’assunto che vede nella realtà sociale e professionale la rottura di un modello di percorso di vita che era scandito da regolarità nello
svolgimento dei compiti lavorativi, ma anche evolutivi e sociali, diviene
necessario muoversi nella direzione dello sviluppo di “competenze orientative” e “auto-orientative” da definire e declinare in termini cognitivi e
di azione intenzionale, mediante l’acquisizione di un repertorio di conoscenze e di modelli empirici relativi agli aspetti conoscitivi ed emotivorelazionali; il fenomeno nuovo consiste nel saperli utilizzare in maniera
efficace per fronteggiare le diverse variabili che connotano l’attuale
società. Muovendosi in questo contesto, l’attore sociale potrà mobilitare
le proprie risorse per l’acquisizione di alcune capacità prospettiche, fra
cui acquistano uno spessore significativo sia il saper contestualizzare e
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
globalizzare le informazioni, le conoscenze e gli eventi sia il saperli situare in una relazione con l’ambiente culturale, sociale, economico, politico
e naturale; queste due capacità saranno due modalità che sostanzieranno
l’agire consapevole dell’attore sociale, che troverà nel processo riflessivo
l’occasione per definire le possibilità o le modalità con le quali sarà possibile comprendere in che modo un evento può influire sul contesto.
L’ambiente diviene lo scenario di riferimento caratterizzato dalla complessità degli eventi e degli elementi che lo costituiscono e nel quale il soggetto sociale si trova a dover scegliere e ad agire; in questo modo esso è
nello stesso tempo il criterio di realtà che informa tutto il processo orientativo, nonché la fonte della relazione fra soggetto ed operatore.
Questa constatazione, che può apparire deterministica se considerata in
maniera assoluta, in realtà non lo è in quanto l’ambiente viene considerato alla stregua di un laboratorio sociale in cui è possibile attuare delle
modifiche in vista di un cambiamento, che diviene la base per un continuo ri-orientamento; quest’ultimo assume una fisionomia nuova perché
viene a poggiare sulla categoria strutturale di competenza, che dall’ambito delle professionalità, del lavoro e dell’occupazione si allarga, si
amplia nella direzione di un assolvimento progressivo dei compiti legati
all’occupazione e al ruolo, mediante i quali assumono un valore evolutivo i comportamenti professionali e personali di ogni attore sociale.
Da questo quadro di riferimento derivano, come conseguenza, delle attività di orientamento che si configurano come delle possibilità di formare,
sviluppare e potenziare il profilo delle competenze sociali dell’individuo
che possiamo sintetizzare in:
a) competenze di leggibilità degli eventi e dei contesti di vita;
b) reperibilità e intelligibilità delle informazioni attraverso le quali l’attore sociale si confronta;
c) definizione di strategie comportamentali, organizzative e cognitive per
mezzo delle quali egli possa governare le situazioni di transizione e di
azione.
Ecco allora che diviene opportuno pensare al raggiungimento di alcuni
obiettivi formativi per sviluppare delle competenze di natura sinergicoglobale che in un recente passato sono state considerate in modo marginale: l’autonomia, l’imparare ad apprendere, l’imparare a gestirsi nei
contesti differenziati in cui si opera, la progettualità della propria vita
professionale ma anche personale.
In questo modo se le competenze vengono considerate come elemento connettivo dello spazio sociale in cui agisce l’attore sociale, e trovano il proprio locus in una prospettiva che considera in forma integrata le dimensioni biografica, sociale e professionale del soggetto, allora la categoria
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Le
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dei testimoni
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
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dell’apprendimento permanente assume un’inedita evidenza ed i processi formativi che ne derivano saranno sempre più centrati sull’acquisizione di competenze e di metacompetenze che, a loro volta, rinviano ad una
concezione dinamica del sapere e delle conoscenze e rendono inscindibile
il riferimento a concetti di tipo prospettico come le conoscenze, le capacità nonché la loro attivazione e mobilitazione.
L’orientamento, dal canto suo, avrà come obiettivo strategico quello di
facilitare il percorso del soggetto nella definizione delle scelte e delle
traiettorie che gli permettano di organizzare i percorsi per operare in
maniera consapevole, ossia per vivere pienamente e criticamente il diritto e la condizione della cittadinanza democratica attraverso un uso intelligente ed efficace delle sue azioni all’interno dei due paradigmi costituiti dall’apprendimento permanente (lifelong learning) e dell’orientamento per tutto l’arco della vita (lifelong guidance).
Monasta ritiene che l’approccio all’orientamento debba essere funzionale alla realizzazione di strategie di lifelong learning e per tale ragione
sottolinea quanto sia rilevante in questo contesto che le pratiche orientative sviluppino quelle azioni di empowerment che permettano al soggetto (qualunque soggetto) di avere più potere reale nello scegliere e nel
decidere del proprio futuro, anche a livello micro, nei passi, piccoli o
grandi, che è chiamato a fare o che desidera fare. In questo modo
potrebbe realizzarsi non solo una connessione ancora più stretta fra
orientamento e formazione ma potrebbero porsi le condizioni per una
sostanziale unità di processo, in quanto, secondo Monasta, non può esistere una formazione che non sia anche in misura maggiore o minore
orientativa, così come non può realizzarsi un serio orientamento che non
sia anche più o meno (positivamente o negativamente) formativo. Le
radici teoriche di questa visione globale dei processi formativi ed orien38
tativi viene individuata nel modello teorico sviluppato da Freire basato
sullo sviluppo di livelli sempre più elevati di “coscientizzazione”; pur
condividendo gli studi di Pombeni e di Di Fabio nell’ambito dei processi orientativi, Monasta trova nella formazione teorica e nell’attività spePaulo Freire (1921-1997) è stato un pedagogista brasiliano che ha acquisito fama internazionale per la diffusione che hanno avuto le sue esperienze didattico-formative e le sue
idee; sua è stata la scuola in cui utilizzava un metodo di alfabetizzazione che in 40 ore
insegnava agli adulti a leggere e a scrivere, e sue sono le idee racchiuse nel principio della
“pedagogia degli oppressi”. Di particolare rilevanza resta, al di là delle attività pratiche,
la sua tensione di studioso e di ricercatore sui modi e sulle forme dell'apprendere e dell'insegnare, sulle metodologie didattico-formative e sull'importanza del dialogo. Utili contributi per comprendere il suo pensiero sono: La pedagogia degli oppressi, Ega Editore,
Torino (2002) e L'educazione come pratica di libertà, Mondadori, Milano (1975).
38
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
culativa ed empirica di Freire il luogo privilegiato in cui la riflessione
filosofica di impronta hegeliana sulla “presa di coscienza” viene curvata in maniera originale secondo un processo che la vede divenire un’azione individuale dall’evidente riflesso culturale e tale da sviluppare nel
soggetto e “dall’interno” la sua presa di coscienza.
Stimolante, sulla scia degli inevitabili rimandi teoretici, è l’approfondimento che Verdi Vighetti dedica all’orientamento. Prendendo le mosse dal
rapporto esistente tra azione orientativa e orientamento, visto nell’ottica
della relazione fra la parte e il tutto, e scindendo l’orientamento dall’azione orientativa, intesa quest’ultima come un insieme di attività tra loro
interagenti che funzionano riferendosi strettamente al tutto, cioè all’orientamento, esso può definirsi come un’attività che presenta alcune
caratteristiche salienti, ampiamente trattate in letteratura e condivise
dalla folta schiera degli specialisti e degli addetti ai lavori; fra le azioni
rilevanti che l’attività di orientamento viene ad avere se ne segnalano alcune – valorizzazione delle risorse esplicite ed implicite del soggetto, adozione di metodi ispirati alla ricerca, alla riflessività ed all’auto-biografia, sviluppo nel soggetto della consapevolezza di vivere una condizione di transizione professionale, sociale ed esistenziale – che costituiscono efficaci elementi a sostegno di una visione interiore delle politiche orientative.
Verdi Vighetti è confortato in questo anche dalle Raccomandazioni che
l’Unione Europea ha espresso a proposito dell’orientamento quando
viene auspicato che esso “deve sviluppare competenze sociali come la
fiducia in se stessi, l’autodeterminazione e la capacità di assumere dei
rischi”. Anche in questo caso, il riferimento programmatico è al Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente e al raggiungimento
di alcuni obiettivi prioritari in esso contenuti39.
Date queste condizioni, l’orientamento viene ad avere una connotazione
ben precisa che conduce all’emersione di due conseguenze assai rilevanti; la prima è legata all’attività del soggetto, il quale utilizzando metodologie improntate alla ricerca ed alla riflessività trasforma un processo
come l’orientamento da etero-diretto in auto-diretto, facendolo divenire
auto-orientamento, apprendimento, autoformazione.
La seconda conseguenza, immediato riflesso della precedente, è la pratica orientativa che acquisisce una valenza propria rispetto alla formazioSul contenuto del Memorandum ci siamo soffermati nel capitolo 1, paragrafo 1.4. Qui
vogliamo soltanto menzionare alcuni di questi obiettivi che Verdi Vighetti ritiene determinanti ed in particolare: il concetto di lifelong guidance, lo sviluppo della capacità autoorientativa, il sostegno nelle fasi di transizione della vita individuale, l’unificazione dell’orientamento scolastico, professionale e personale, il riconoscimento dell’orientamento
non formale, la nuova professionalità del mediatore di orientamento.
39
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ne in quanto contribuisce in maniera esplicita a migliorare la capacità di
formulare scelte di vita personali e professionali.
Sul modello teorico che sostiene questo impianto Verdi Vighetti riprende
le ipotesi descritte sopra a proposito dell’autoformazione e vi aggiunge
altri due approcci: quello legato all’ipotesi comunicativa e quello dedicato all’ipotesi maturativa della soggettività. Nella prima ipotesi rientra
quell’insieme “integrato di attività e di competenze che presidiano la relazione con l’altro, con gli altri, con il contesto, con la rete di attori”; Verdi
Vighetti vede nell’orientamento uno scenario centrato sulla comunicazione che per poter essere efficace comporta il padroneggiamento e l’adozione di competenze diverse ma comunque fondamentali – empatia, capacità
espressiva, prossemica, gestualità. La seconda ipotesi è la risultante di
un’assunzione di natura teorica che considera l’orientamento come modalità privilegiata per lo sviluppo di una competenza “etica” – capacità di
scegliere e di decidere - che avviene attraverso la maturazione complessiva del soggetto, la sua autorealizzazione, il self-empowerment, quel processo che conduce il soggetto ad essere “pienamente ciò che si è” (Jung).
Per Serreri l’orientamento è da intendere come processo, come strumento di intervento e come risultato. In qualità di processo è riconducibile ad
un insieme di attività che concorrono e contribuiscono a dare alla persona sia le informazioni, sia le conoscenze, sia gli strumenti per decidere
e scegliere secondo una dimensione longitudinale in cui risalta anche il
suo aspetto formativo.
Se poi passiamo a considerare gli aspetti strumentali dell’orientamento,
allora non si può non fare riferimento a quel ramo delle scienze dell’educazione che presiede questo ambito e che trova nella sfera dello sviluppo
della persona il suo terreno d’azione, in vista della crescita del senso dell’identità personale e professionale, senza il quale non possono esserci
scelte e non possono avviarsi progetti a breve, media o lunga scadenza.
In termini di risultato l’orientamento può essere valutato dalla capacità da
parte del soggetto di scegliere fra alternative diverse in modo documentato
e consapevole: un soggetto che possiede un sufficiente livello di orientamento è in grado, a fronte di diverse alternative, di compiere una scelta in
modo consapevole, valutando i fatti secondo un principio costi-benefici e
sapendo assumere su di sé la responsabilità della scelta effettuata.
Per quanto riguarda Demetrio, egli distingue tra due forme di orientamento. Da un lato vi è il modello che cerca di collocare “la persona giusta al posto giusto”. Questo tipo di orientamento si colloca spesso in relazione con la formazione come momento ad essa preliminare ed ha lo
scopo di indurre processi di autobilancio rispetto alle proprie scelte, ai
propri interessi, ai propri orientamenti passati e può realizzarsi attra-
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
verso una serie di colloqui. Questa forma di orientamento, prevalentemente connessa all’ambito professionale, è caratterizzata dal fatto di
proiettare la persona nel futuro, nella dimensione del possibile, in cui è
chiamata a cimentarsi in una posizione nuova che può sostenere il suo
processo di costruzione identitaria.
Il secondo approccio all’orientamento è quello che non ha a che fare solo
con le scelte professionali, ma piuttosto con le transizioni di vita (passaggi
critici, di stallo, connessi ai propri affetti personali, alla paternità, alla
maternità). Si tratta, in altre parole, di una prospettiva più esistenziale che
valorizza quei momenti (che in realtà sono) di riorientamento in cui l’individuo ritrova una propria progettualità. Per questa ragione, questa forma
di orientamento è più propriamente definibile come auto-orientamento.
Per questo secondo approccio, non è semplice identificare una dimensione
temporale propria. Esso collega il futuro, il passato e il presente, perché un
(auto)orientamento esistenziale implica un forte sguardo anche retrospettivo, durante il quale non domina tanto il senso del fare un bilancio di vita,
quanto di comprendere in modo più completo il sé. In questo caso la visione
del futuro e la sua progettazione è, almeno in prima istanza, resa più complessa in quanto la persona ha a che fare con una esistenzialità in divenire,
che si interroga, ma che non può fare a meno di considerare il passato.
Le riflessioni di Giacci sul tema dell’orientamento concernono due versanti:
quello della formazione (di competenze cognitive al fine di facilitare l’autoorientamento) e quello dell’informazione, in quanto occorre, infatti, che l’individuo sia sempre in grado di conoscere il proprio contesto, in primo luogo
acquisendo competenze di base necessarie all’interazione con l’ambiente.
L’auto-orientamento, secondo Giacci, non è che l’esito naturale di un processo di interiorizzazione di qualcosa che prima è stato etero-, vale a dire di
conoscenze e di competenze trasmesse da una figura di riferimento. Questo
ordine di questioni richiama, dunque, il grande e complesso tema dell’importanza del modo con cui si struttura la relazione di insegnamento. Sarebbe necessario, infatti, che gli insegnanti fossero formati ad operare con
competenze psicopedagogiche relazionali tali da fare in modo che il modello esterno di relazione insegnante-allievo venga efficacemente interiorizzato dall’allievo e trasformato in strumento per interagire con il mondo.
Sulla possibile ed auspicabile convergenza fra gli ambiti da noi considerati
è opportuno procedere ad un’analisi minuziosa delle posizioni assunte dai
testimoni privilegiati poiché emergono interessanti aspetti che si caratterizzano per essere dei territori di confine, da un punto di vista speculativo, e
nello stesso tempo sedi appropriate per uno sviluppo ulteriore della ricerca.
Per Alberici l’assunto da cui muovere è il riconoscimento della competenza ad apprendere per e nel lavoro come core competence, cui è da
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Le
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dei testimoni
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
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affiancare il riconoscimento, altrettanto strategico, che la formazione
centrata su questo fine presuppone ed implica la consapevolezza di sé e
la capacità di scelta. “Si tratta, sottolinea Alberici, di connotazioni specifiche della competenza professionale che rendono indispensabile e non
rinviabile una riflessione congiunta con il campo teorico/operativo dell’orientamento formativo. Infatti il possesso e la gestione autonoma da parte
del soggetto della consapevolezza di sé e della capacità di scelta è un
aspetto fondante e fondamentale sui piani informativo, consulenziale,
formativo rispetto alla sfera socio-professionale e culturale, ed in quella
di più ampio respiro relativa al loro utilizzo in termini di auto-orientamento e di sviluppo e potenziamento delle competenze auto-orientative”.
L’attenzione deve vertere, in sostanza, sulla necessità di formare e/o
rafforzare, qualora sia già presente, la capacità di scelta e di gestione
delle transizioni che caratterizzano e sempre più caratterizzeranno il
corso della vita dell’attore sociale; lungo questa direzione le azioni di
orientamento comporteranno da un lato l’acquisizione di un elevato
senso di autoefficacia e dall’altro potranno retro-agire positivamente su
di esso sulla base di un processo che sarà tanto più virtuoso quanto più
saranno estesi e profondi i percorsi di formazione ed apprendimento.
Altra ragione per sostenere la tesi di una integrazione fra gli ambiti da noi
considerati è quella legata alle trasformazioni delle modalità e della qualità
del rapporto tra istruzione-formazione professionale-formazione continualavoro. In questo caso il fenomeno di natura socio-professionale che implica
la convergenza è dato dalla frammentazione e dalla flessibilizzazione dei percorsi formativi e lavorativi che avvengono sotto forma di interruzioni, entrate ed uscite, rientri; siamo di fronte al mutamento del concetto classico di
transizione, in quanto viene superata, come non più rispondente ai tempi, la
tradizionale visione che vedeva il passaggio dell’attore sociale tra i sistemi dell’istruzione, della formazione professionale e del lavoro per ritrovare nella
pratica una fase contraddistinta da momenti plurimi e ricorrenti all’interno
delle biografie individuali e delle carriere di lavoro di ciascuno. Ciò conduce
a focalizzare proprio nell’odierno concetto di transizione un possibile spazio
nel quale possono svilupparsi quei punti di contatto da noi ricercati.
In questo ambito, l’orientamento diviene il luogo privilegiato per chi vive
le transizioni perché assume la funzione di momento di mediazione e di
facilitazione nel processo definitorio delle scelte necessarie per reperire
strategie d’azione efficaci e sostenibili nel tempo, capaci di monitorare,
gestire e valutare efficacemente le fasi di transizione.
Per rimarcare ancora più significativamente il ruolo che assumono le
transizioni nei percorsi di vita personali e professionali, Alberici propone di considerarle, anche psicologicamente, come delle costanti dell’espe-
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
rienza di vita che vanno accettate ed interiorizzate e che solo in questo
modo possono avere dei benefici effetti in termini di tempo ritrovato ed
opportunità formative su cui investire, sulla base del principio di negoziazione tra individui, gruppi, istituzioni, soggetti pubblici e privati.
Si tratta, in altre parole, di raccogliere la sfida che proviene dal contesto
sociale attraverso l’adozione di strategie orientative e formative in un’ottica
sistemica e integrata, pensata in vista del superamento dell’emergenza ed in
grado di aiutare gli attori sociali e le società a proiettarsi nel futuro, partecipando al cambiamento in maniera attiva, senza esserne travolti o emarginati. In questo senso, quelle che Alberici chiama le “strategie di ricerca-azione, d’orientamento, di sviluppo della motivazione, di costruzione dell’identità, di sostegno alla progettualità, di costruzione di parametri ecologici e di
qualità dei percorsi e dei processi di vita, di lavoro, di studio” non appaiono più come esiti attesi di un percorso formativo efficace ma possibili contenuti formativi, forme di apprendimento essi stessi, elementi specifici di quella competenza ad apprendere da sperimentare durante il corso della vita.
Diviene, pertanto, opportuno ragionare pensando ad un allargamento del
quadro di riferimento per poter sviluppare delle riflessioni sulla necessità-possibilità di apprendere i percorsi e gli approcci che possono favorire l’affermarsi di quella competenza strategica che si ritrova nell’attribuzione di senso alle pratiche esperite, ovvero nel saper dare un significato all’agire e in senso più generale all’esperienza. Il primo effetto di
questo processo, che viene da Alberici definito virtuoso, consiste nella
produzione e nella acquisizione non solo delle competenze professionali
ma anche delle metacompetenze, i cui contenuti andranno a costituire il
retroterra culturale ed operativo di specifiche attività formative ed orientative, fra le quali assumono particolare spessore: la raccolta ed il trattamento sistematico delle informazioni, la soluzione dei conflitti interpersonali, il coordinamento dei processi, la concettualizzazione dell’organizzazione come sistema, la gestione delle situazioni ambigue, l’assunzione di
iniziative in situazioni di rischio e di incertezza.
Queste attività possono essere considerate come gli obiettivi ultimi dei
percorsi orientativo-formativi, in altre parole come le mete da traguardare affinché il soggetto giunga ad emanciparsi dal sostegno del mediatore per gestire in maniera autonoma e responsabile l’insieme dei processi
che lo riguardano all’interno di una cornice che considera la condizione
umana come un progetto ed una invenzione piuttosto che come un destino: “(….) è questa la prospettiva che permetterebbe di evitare quel
rischio, (….), di definire sistemi e processi di formazione e di orientamento strutturati e finalizzati al solo soddisfacimento delle esigenze contingenti, al solo superamento dell’emergenza – dunque in una prospetti-
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dei testimoni
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
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va cieca – e limitati da un’ottica funzionalista ed economicistica”.
Anche per Verdi Vighetti è reale l’esistenza di punti di contatto e di intersezione fra i quattro ambiti della nostra ricerca e per dimostrarne la
sostenibilità vengono presi dall’autore a riferimento due casi emblematici: a) la tassonomia, riportata nella Tab. 2, proposta da M. L. Pombeni
in occasione del 1° Forum nazionale dell’orientamento40, in cui vengono
messe in relazione alcune variabili, come la specificità orientativa, con
altre legate alla tipologia delle azioni e delle attività connesse, b) la ricerca condotta dall’ENAIP e finalizzata alla costruzione di un modello di
valutazione della qualità delle azioni di orientamento.
Verdi Vighetti sottolinea che da quest'ultima indagine emergono due risultati
utili, rinvenibili sia nella complessità sia nella varietà delle attività di orientamento messe in campo; per offrire un quadro complessivo delle attività
riportiamo, a titolo di esempio, la mappa ragionata delle azioni ed attività di
orientamento così come è stata predisposta da Verdi Vighetti nella Tab. 3.
Tab. 3
Azioni catalogate in base al grado di specificità orientativa
Tabella 3
Specificità
orientativa
Azioni catalogate
in base al grado
di specificità
orientativa
Bassa
Normale
Media
Alta
Tipologia
Attività
Attività connesse alla scuola dell’obbligo ed
Sviluppo di
alla formazione professionale iniziale
competenze
(Valenza orientativa delle discipline,
orientative di base
Unità Formative Capitalizzabili
sulle competenze trasversali)
Autoconsultazione o consultazione
guidata nei servizi e tramite l’utilizzo
Informazione
delle tecnologie dell’informazione
orientativa
e della comunicazione, tecniche per
la ricerca attiva del lavoro
Consulenza
Sviluppo di competenze di monitoraggio
orientativa breve o
della storia personale (in prospettiva anche
di gruppo di primo
nei servizi per l’impiego)
livello
Counselling, bilancio
di competenze
Sviluppo della storia personale
e formativo/professionale
Fonte: adattamento da Pombeni M.L. (2001), Criticità e indicazioni strategiche per lo sviluppo di un
sistema territoriale di orientamento, doc. cit.
Pombeni M.L., Criticità e indicazioni strategiche per lo sviluppo di un sistema territoriale di orientamento, documento presentato al 1° Forum nazionale dell’orientamento,
Genova, 14-18 novembre 2001.
40
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Tab. 4
Mappa ragionata delle azioni e delle attività di orientamento
Tabella 4
A) Informazione orientativa
Servizio di accoglienza: primo colloquio per una lettura del bisogno,
informazioni sui servizi interni e/o esterni, filtro ed eventuale indirizzo verso altre strutture;
Sportelli informativi: punti di informazione strutturati, interni o
esterni al CSF, dotati di operatori, dossier informativi, postazioni
internet, banche dati;
Incontri pubblici e conferenze con esperti: incontri informativi e/o promozionali rivolti a target specifici (ad es. studenti, immigrati, donne);
Consultazione Banche dati: postazioni interne al CSF o decentrate sul
territorio, ad esempio nelle scuole, in auto - consultazione o consultazione guidata;
Prodotti per la diffusione dell’informazione (prodotti multimediali, guide).
B) Formazione orientativa
Moduli formativi di orientamento: “Preparazione ed adattamento ad
un corso”, “Educazione alla scelta”, “Mercato del lavoro e professioni”, “Tecniche di ricerca del lavoro”, “Orientamento all’imprenditorialità”, “Recupero motivazionale e ri-orientamento”, “Normativa sul
mercato del lavoro e rapporto di lavoro”, “Competenze trasversali”,
“Imparare ad imparare”
Orientamento e formazione sul campo/esperienze di alternanza formazione e lavoro:
a) Tirocinio, b) Visite guidate;
C) Consulenza Orientativa
Servizi di consulenza orientativa individuale:
- Bilancio e progetto professionale: autovalutazione e costruzione del
progetto di sviluppo professionale;
- Counseling: servizio di consulenza caratterizzato da una relazione
d’aiuto, con attività “diagnostica” e di “recupero”, gestito da personale specializzato con competenze di area psicologica;
- Bilancio di competenze: percorso di consulenza individuale con precisi riferimenti teorici e metodologici, articolato in colloqui individuali,
laboratori di gruppo ed attività di approfondimento personale. Prevede una valutazione delle competenze e la restituzione di un relativo
“portafoglio delle competenze”.
Servizi di orientamento di gruppo a se stanti: Job club;
Servizi a sostegno dell’inserimento lavorativo:
- Supporto nella ricerca di lavoro/ Accompagnamento al lavoro: definizione del piano di ricerca di lavoro, guida alla ricerca di lavoro, supporto alla formulazione di domande e curricula, diffusione di informazioni sulle opportunità di lavoro.
- Tutoring per l’inserimento lavorativo: Azioni o servizi finalizzati a
supportare il soggetto nelle fasi iniziali del proprio inserimento in
ambiente lavorativo, facilitandone il processo di socializzazione organizzativa e di adattamento al ruolo.
Fonte: nostro adattamento della tabella predisposta da L. Verdi Vighetti
91
MAPPA
RAGIONATA delle
AZIONI e delle
ATTIVITÀ di
ORIENTAMENTO
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
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ceitPer
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L
i:b
eton
.irt Monasta il discorso sulla convergenza
riflessioni e
dei testimoni
considerando due diversi livelli di lettura
privilegiati
fra i quattro ambiti va svolto
dei fenomeni considerati; nei
fatti e nei percorsi realizzati Monasta ritiene che esista qualcosa di più
stretto rispetto alla sola evidenza di punti di contatto, mentre può registrarsi una divisione, a livello istituzionale, finanziario, organizzativo che
deriva dalla difesa anacronistica di confini professionali, come sostenuto
da Pineau nelle pagine precedenti, che assume sempre più spesso il tono
di un corporativismo sterile; per questa ragione, chiosa Monasta, queste
divisioni “rivelano professionalità limitate e di vecchio stampo”. In particolare, si nota che “se la distinzione fra formazione e orientamento da
un lato e auto-formazione e auto-orientamento dall’altro, è solo una questione di soggetti protagonisti (uno o più formatori esterni, o il soggetto
stesso), la compenetrazione, se non addirittura, l’unicità del processo
formativo ed orientativo resta sostanziale”. L’autore sottolinea, in modo
assai pertinente, che l’autoformazione e l’auto-orientamento non comportano quella sorta di ripiegamento interiore che può portare a ritenere
quasi che si tratti di azioni slegate dal rapporto con la realtà esterna e
senza una figura che guidi, assista o aiuti a predisporre i singoli momenti del processo; al contrario, il ruolo della figura del mediatore resta
determinante ai fini della piena riuscita del processo.
Se, invece, il riferimento è alle modalità reali con cui avvengono questi
processi, allora possono esistere “separazioni anche nette fra ciascuno di
essi. Anzi, spesso nella scuola e nella formazione, da un lato, come nell'apprendistato e in alcuni modi di fare orientamento con il counselling o
la relazione d'aiuto; dall'altro, queste separazioni sono gelosamente difese
dagli specialisti delle varie istituzioni e agenzie che erogano questi servizi”.
Su questo versante Serreri si pone in linea con quanto sostenuto dagli
altri testimoni, in particolare per quanto concerne la necessaria, e per il
nostro autore anche naturale, convergenza fra i tre ambiti della nostra
ricerca. Risulta, infatti, assai povero di significato e di potenzialità, ad
esempio, un orientamento sganciato dalla formazione e dai riflessi
autoformativi in essa impliciti, in quanto qualsiasi intervento di orientamento, anche quello più specialistico, come il counseling psicologico individuale, assume una sua valenza formativa, perché aiuta la persona ad
acquisire maggiore consapevolezza e ad automotivarsi, favorendo un percorso di crescita complessiva che parte da un’azione riflessiva del soggetto sulla propria condizione personale e professionale, quale precondizione per stabilire delle priorità, per compiere delle scelte, per far crescere
il senso di autoefficacia e per sviluppare la capacità di coping, nonché la
capacità di trovare e mantenere il lavoro.
Dal punto di vista delle relazioni possibili tra orientamento e formazione,
92
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Demetrio riconosce che nella loro concezione più tecnicista si tratta di
processi molto differenziati. Esistono tuttavia alcuni concetti che possono rappresentare punti di collegamento tra le diverse concezioni di formazione, autoformazione e orientamento: prima fra tutte quella di competenza, perché consentirebbe una valutazione quantitativa degli
apprendimenti e delle acquisizioni.
In una concezione esistenziale, invece, la parola competenza può apparire inadeguata se intesa come “un qualcosa che si può misurare”, sebbene
Demetrio rilevi come l’esercizio della scrittura e dell’orientamento possano affinare competenze di carattere linguistico o stilistico. Nella misura in
cui, inoltre, nel corso del lavoro, molte esperienze avvengono in gruppo e
nella scrittura si scopre l’importanza della presenza dell’”altro”, vengono
sollecitate anche competenze di tipo sociale, con la crescita della capacità
di valutazione equilibrata e ponderata dell’altra persona.
Secondo Demetrio, nel momento in cui l’autobiografia “permette l’esercizio” di competenze sociali, essa si differenzia da approcci di tipo autoistruttivo, intesi come dispositivi applicati in solitudine dal discente.
L’interazione tra l’individuale e il sociale appare molto interessante, in
quanto, da un lato, evita di scivolare verso un’accezione egoistica dell’autoformazione, mentre, dall’altro limita il rischio di avvalorare un’idea esclusivamente socio-relazionistica della formazione. La buona formazione, afferma Demetrio, ovvero una formazione che è utile all’individuo ed è generativa, è quella che riesce a rendere complementari le competenze “per sé” e le competenze nella relazione con gli altri.
Tra le altre dimensioni su cui si può lavorare per costruire un intreccio
tra formazione, autoformazione, orientamento e auto-orientamento certo
non può mancare quella della continuità/discontinuità. Tuttavia, l’idea
di Demetrio è che il processo di formazione più che dall’essere permanente (termine nei confronti dei quali è scettico), dovrebbe essere caratterizzato dal fatto di essere reversibile, nel senso che la formazione (di sé
e da sé, nella sua accezione più esistenziale) è formazione anche quando
il processo si ferma, anche quando si assiste a discontinuità e interruzioni, e non solo quando si va ossessivamente avanti.
Sebbene non parta da un punto di vista esistenziale sui temi oggetto della
ricerca, anche per Giacci l’incrocio tra formazione e orientamento è in
qualche misura “naturale”. Ciò per due ragioni. La prima è intrinseca al
processo di crescita per cui, egli sostiene, ciò che prima era etero-, necessariamente diventa auto-, mentre la seconda considera il percorso di formazione come un percorso che produce capacità di orientarsi o di autoorientarsi. L’idea di base è che è stretta la connessione tra apprendimento
(e la formazione che lo sostiene) e orientamento, in quanto, l’apprendi-
93
Le
riflessioni
dei testimoni
privilegiati
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
mento (fatta salva la sua natura di processo di acquisizione di informazioni) è apprendimento di competenze di interazione con il reale, quindi
orientamento. Quindi più un individuo è strutturato, attraverso la formazione, dal punto di vista delle sue competenze, più è capace di individuare le proprie caratteristiche personali in relazione a molteplici percorsi di
scelta presenti nel contesto. In altre parole, la capacità di auto-orientamento è rafforzata da una (buona) formazione, nella misura in cui questa
riesce ad accrescere nel soggetto la capacità di interagire con il reale.
Se, dunque, ci si preoccupa di progettare un’efficace formazione, si può
dare come risultato naturale di essa una migliore competenza di autoorientamento. Il problema è comprendere quale tipo di formazione sia
quella ottimale per realizzare questo fine. La risposta di Giacci è che
occorre pensare a una formazione che sappia partire dai saperi disciplinari per poi generare un processo di costruzione di sapere “in azione”.
In tal senso, forse, afferma Giacci, potrebbe non essere così urgente pensare al tema dell’auto-orientamento, ma piuttosto a quello dell’efficacia
della formazione che naturalmente può generarlo.
Le
2. LE SOLLECITAZIONI PROVENIENTI DALLE ESPERIENZE
sollecitazioni
provenienti
dalle
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aver sondato il terreno per la verifica dell’ipotesi
esperienze
della possibilità
di convergenza tra gli ambiti di interesse, volgiamo ora lo sguardo alle
esperienze al fine di confrontare tra loro differenti progetti, provare a
comprenderne la tenuta e, infine, (ma questo sarà oggetto delle conclusioni) iniziare a tracciare la planimetria del nostro edificio ipotetico in cui
le stanze dell’orientamento, dell’auto-orientamento, della formazione e
dell’autoformazione possano, eventualmente, essere rese comunicanti.
Il quadro delle esperienze si presenta, comunque, assai articolato e composito, in ogni caso interessante per gli aspetti trattati e per il ruolo che
assumono gli attori sociali nei vari contesti considerati. In alcuni casi le
esperienze descritte, come esempi di convergenza tra gli ambiti che stiamo esplorando, appaiono in certo qual modo note; in altri, invece, si
tratta di progetti poco conosciuti o del tutto inesistenti nel nostro paese.
Nelle pagine che seguono, dopo aver brevemente riassunto le riflessioni
su esperienze per così dire già conosciute, accosteremo progetti e dispositivi francesi e italiani che saranno descritti distinguendoli in base alle
categorie di utenti a cui si riferiscono e in base alle loro finalità principali: nel primo caso si tratterà di esperienze di specializzazione universitaria o postuniversitaria in cui il tema della professionalizzazione appare preminente, nel secondo caso si evidenzierà soprattutto il significato
evolutivo a livello personale dell’esperienza e, infine, si chiuderà il capi-
94
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
tolo presentando rispettivamente una struttura (APP 10), un progetto
specifico di ricollocazione professionale e uno strumento applicativo
(interessante per il rilievo che viene dato alla dimensione di genere).
Partiamo, in primo luogo, riportando le considerazioni di due testimoni
in merito alle potenzialità di intreccio tra i luoghi/tempi/principi/finalità
di processi formativi, autoformativi, orientativi ed auto-orientativi rintracciabili in percorsi e dispositivi conosciuti all'interno della comunità
dei professionisti: l'attenzione sarà rivolta, in particolare, alla pratica del
bilancio di competenze, di cui ha parlato Aubret, e a quella della Città
dei mestieri citata da Alberici.
Rispetto alle pratiche che possono rendere effettiva una certa coerenza tra gli
ambiti di interesse, Aubret ritiene che il bilancio di competenze, così come
definito in Francia, sia uno degli strumenti attraverso il quale la persona può
assumere la responsabilità della gestione delle proprie transizioni professionali. Non ci soffermiamo qui sulla descrizione della pratica del bilancio di
competenze41, certo nota anche in Italia42, ma precisiamo ciò che il bilancio di
competenze è per Aubret: esso può essere descritto come uno spazio e un
tempo di “presa in mano di sé” il cui fine è quello di permettere all'individuo
di iscriversi all'interno di una dinamica di formulazione di scopi e di progetti.
Aubret consiglia di approfondire questi riferimenti con i seguenti contributi: Aubret J.,
Aubret F., & Damiani C. (1990). Les bilans personnels et professionnels. Guide méthodologique. Etablissement d’Applications Psychotechniques, Paris; Aubret J., Fédération
des CIBC. (2001). Le portefeuille de compétences. Le portefeuille des acquis de formation
et d'expérience. Etablissement d’Applications Psychotechniques, Paris.
42
Ricordiamo, come alcuni tra i possibili approfondimenti su questo tema, le pubblicazioni di Bresciani P.G, Callini D. (2000) Personalizzare i percorsi: il ruolo delle pratiche di
analisi-valutazione in ingresso e di bilancio di competenze, Professionalità, 60, pp. 35-43;
Bresciani P.G. (2000a) La valutazione degli interventi di orientamento: questioni aperte e
piste di lavoro, Risorsa Uomo, 1/2, pp. 75-82; Bresciani P.G. (2000b) Il bilancio di competenze degli operatori della formazione professionale, Professionalità, 59, pp. 12-19;
Ruffini C., Sarchielli V. (2001) (a cura di) Il bilancio di competenze. Nuovi sviluppi. Milano: FrancoAngeli.; Sarchielli V. (2000) Il counseling di orientamento, Risorsa Uomo, 1/2,
pp. 83-91; inoltre Aubret suggerisce una serie di approfondimenti bibliografici: Ferrieux
D., & Carayon D. (1996) Impacts du bilan de compétences sur le positionnement personnel et professionnel: étude réalisée auprès de chômeurs de longue durée, Carriérologie,
6, 2, 45-69; Ferrieux D., & Carayon D. (1998) Evaluation de l’aide apportée par un bilan
de compétences en termes d’employabilité et de réinsertion de chômeurs de longue durée,
Revue Européenne de Psychologie Appliquée, 48, 4, 251-259; François P.-H., & Langelier B. (1998) L’agentivité comme “variable de sortie” du bilan. Communication présentée
au Xème Congrès de l'AIPTLF. Bordeaux, Août.; Gaudron J.P., Bernaud J.L. & Lemoine C. (1997). Evaluation des effets individuels des bilans de compétences: théories,
méthodes et résultats. In E. Brangier, N. Dubois, & C. Tarquino (Dir.), Compétences et
contextes professionnels, perspectives psychosociales (pp. 79-83) Actes du colloque international et rencontres praticiens-chercheurs. Metz, Juin.
41
95
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
La coerenza tra fini formativi e scopi di orientamento viene resa possibile nel momento in cui tale metodo offre alla persona i mezzi con cui analizzare le proprie esperienze e le proprie competenze e, alla luce di queste, rende possibile la definizione di nuovi progetti, eventualmente sostenuti da tappe intermedie di formazione. La relazione tra momenti di
orientamento e tappe di formazione, coerentemente con il modello sociocognitivo all'interno del quale si radica gran parte della ricerca sulle competenze, è costruita su due elementi. In primo luogo, dalla finalità del
percorso di bilancio, che vede convergere i processi al fine di sostenere la
persona nel colmare un'incoerenza o “scarto” (di cui parla anche RieuFichot) avvertito tra ciò che si ha, ciò che si desidera e nel ricercare ciò
che manca per ridurre questa “distanza”.
In secondo luogo, l'integrazione potrebbe essere permessa (e richiesta) da
un criterio temporale, in quanto le fasi debbono porsi in modo sequenziale: la scelta in una data direzione (il momento a valenza orientativa)
avviene prima, per poi procedere ad un'eventuale formazione, adeguata
per la realizzazione del proprio progetto.
Al momento attuale, quindi, secondo Aubret, il bilancio di competenze
renderebbe possibile una coerenza tra formazione, orientamento e autoorientamento, mentre si può dire più complessa la questione relativamente all’autoformazione. Da un lato, infatti, se si intende il percorso
autoformativo soprattutto come un insieme di dispositivi di tipo autoistruttivo, allora il bilancio di competenze finirebbe con il lasciare fuori la
dimensione dell’autoformazione, non tanto per una questione concettuale, quanto per una ragione di ordine pratico: non è detto che la formazione utile per accrescere le competenze necessarie alla realizzazione del
proprio progetto sia fruibile attraverso una modalità autodidattica/autodistruttiva.
In effetti, se si pensa a una formazione in autonomia essenzialmente in
questi termini, allora è possibile che non tutte le strutture di bilancio
siano attrezzate per questi percorsi, che il consulente non li ritenga del
tutto adatti alla persona o che la stessa scelga questa modalità. Tutto ciò
potrebbe essere particolarmente vero per il nostro paese dove al momento non esistono luoghi specificamente attrezzati come gli APP (Atélier de
Pèdagogie Personnalisée) francesi (di seguito presentati) dedicati al
sostegno dell’apprendimento in autoistruzione.
Dall’altro, però, se, come afferma lo stesso Aubret (par. 2.1), l’autoformazione si può anche intendere come il percorso di appropriazione progressiva ed autonoma del processo di trasformazione delle proprie conoscenze, allora essa appare più coerente con i fini di appropriazione di
momenti di scelta e di progettazione da parte delle persone all’interno di
96
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
un bilancio di competenze. Affinché ciò sia reso possibile, giocano un
ruolo fondamentale due elementi: il primo è identificato dallo stesso
Aubret che nota come lo strumento del portafoglio di competenze possa
avere importanti risvolti autoformativi e auto-orientativi; il secondo è
dato dalla figura del consulente e dalla sua capacità di favorire una
responsabilizzazione del soggetto per una gestione autonoma del proprio
percorso di scelta e di formazione.
Ancora ispirato al patrimonio di pratiche francese è l’esempio di esperienze rivolte ai giovani e agli adulti descritte da Alberici. L’autrice svolge una attenta analisi delle iniziative italiane che si ispirano alle francesi
Città dei mestieri e delle professioni; si tratta di modelli di azione che possono costituire secondo l’autrice un terreno di riflessione nell’ottica della
nostra posizione sui temi in oggetto.
Le Città dei mestieri e delle professioni si presentano innanzitutto come
degli spazi dedicati all’informazione, alle attività di orientamento sui
percorsi scolastici e formativi, alla comunicazione delle possibilità
offerte dal mondo del lavoro e più in generale della vita professionale,
alle opportunità per la propria realizzazione personale che vengono
erogate dai canali comunicativi e dalle reti che collegano gli ambiti
della formazione e del lavoro.
La loro ragion d’essere la si trova nell’impegno di tipo sinergico dei diversi partner locali, pubblici e privati, che decidono di operare creando un
luogo interistituzionale e integrato al servizio del cittadino che eroghi
consulenza e risorse su tutti i dispositivi di orientamento, formazione,
occupazione e sviluppo professionale.
L’obiettivo è aiutare il soggetto-cliente a divenire in maniera cosciente
sempre più consapevole attore della propria vita professionale attraverso il soddisfacimento delle esigenze, personali e professionali da esso
identificate e l’impiego dei diversi strumenti utili per l’elaborazione e la
definizione di un percorso che considera la scelta lungo tutto l’arco della
vita sia come necessità che come opportunità.
Alberici sottolinea come le Città dei mestieri più che ad un modello teorico si ispirino al paradigma generale del lifelong learning ed a quello del
lifelong guidance che evidenziano la condizione nella quale si trovano ad
agire socialmente e professionalmente donne e uomini. Se si può accennare ad un modello teorico, il riferimento va ad un approccio che sia ispirato alla logica dell’integrazione delle risorse per l’orientamento e la formazione in una prospettiva sistemica che ponga come obiettivo fondamentale l’apprendimento, e dunque la possibilità per il soggetto, di praticare l’autoformazione e l’auto-orientamento in modo consapevole, critico e responsabile.
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Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
Da un punto di vista cronologico, Alberici nota come “le Città dei Mestieri e delle Professioni realizzano un’esperienza che si fonda su un vero e
proprio modello d’azione, definito in Francia dove, a Parigi presso la
Cités des Sciences et Industries, è stata aperta nel 1992 la prima Cité des
Métiers. Questo modello di intervento individua sei criteri di riferimento
che connotano la Città dei Mestieri e delle Professioni. Essa si deve infatti configurare quale spazio: multipubblico (aperto a chiunque, indipendentemente da fattori quali età, status, categoria socio-professionale, provenienza geografica), multitematico (dedicato a tutti i settori di attività ed
a tutte le questioni di ordine professionale), multiuso (fondato sull’interazione tra consulenza, risorse ed incontri con i professionisti), pluripartenariale (con partner che forniscano supporto finanziario e/o operativo),
incentrato sui fabbisogni degli utenti (ciò significa, tra le altre cose, porre
le logiche istituzionali in secondo piano e considerare il bisogno dell’utente predisponendo una adeguata organizzazione dello spazio, dei servizi e
delle risorse), accessibile liberamente (gratuito, senza previo appuntamento, privilegiando la modalità della consultazione individuale)”.
Volendo indicare alcune parole chiave che meglio possono definire il
quadro di riferimento dell’esperienza, un posto centrale è riservato alla
centralità del soggetto, in quanto è il soggetto il vero protagonista dei
processi e degli interventi che contraddistinguono questi percorsi. A ciò
segue, come è naturale, la personalizzazione dei percorsi che va considerata in uno con l’integrazione che si realizza su due piani: da un lato
il soggetto, in un luogo fisico riconoscibile ed accogliente, può usufruire
di tutte le risorse messe a sua disposizione, disponendo di elementi significativi per definire strategie di azione che deciderà di attivare autonomamente nei campi dell’orientamento, della formazione, del lavoro; dall’altro, esiste la possibilità concreta per i partner di stabilire e fondare
nuovi canali comunicativi tra di loro.
Il valore aggiunto è che in questo modo si creano le condizioni per sviluppare una rete di agenzie territoriali attive nelle politiche del lavoro e
dello sviluppo in grado di operare come tessuto connettivo di un sistema
integrato, capace di rispondere in modo differenziato a seconda della
specifica esigenza espressa dal singolo soggetto.
Gli obiettivi di questa particolare esperienza sono riconducibili all’esigenza di rispondere a tutte le questioni attinenti alle sfere del lavoro,
della formazione, dell’orientamento poste dagli utenti, fornendo a questi
ultimi le indicazioni e gli strumenti utili per l’attivazione di strategie
messe a punto con il supporto offerto dai consiglieri. Assume una particolare rilevanza in questo contesto la volontà del soggetto di intraprendere o meno e in quale modo il percorso orientativo e/o formativo, ed in
98
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
particolare se sfruttare o meno le possibilità e le opportunità di cui è
venuto a conoscenza; in altri termini, fine ultimo del percorso è di rendere l’attore sociale/cittadino sempre più consapevole del proprio agire,
con l’obiettivo di favorire il raggiungimento di una dimensione sostanziale di autonomia sulla base della quale diviene possibile perseguire realisticamente i processi di auto-orientamento e di autoformazione.
Relativamente al target che usufruisce dei servizi all’interno della Città
dei mestieri, si rileva il gran numero di soggetti adulti che costituiscono la
fetta più ampia di utenti. Come sottolinea Alberici, questo elemento
“risulta particolarmente significativo in rapporto alla persistenza di un
modello culturale e di pratiche orientative per i quali i servizi di orientamento sono stati sempre considerati come cose destinate ai giovani, e non
dunque cose da adulti. In altri termini, gli adulti di norma non hanno l’abitudine ad usufruire dei servizi di orientamento e, quando li utilizzano,
mostrano talvolta una certa reticenza/diffidenza. Può essere interessante
capire se questa tipologia di approccio possa aiutare al superamento di
tali auto-limitazioni, di tali atteggiamenti e difficoltà che rendono particolarmente difficile intercettare e portare a consapevolezza dei loro bisogni o anche delle loro possibilità, desideri e aspirazioni degli adulti stessi. E ciò evidenzia una sfera problematica di tutte le azioni di cui ci stiamo occupando definita fondamentalmente da elementi culturali e che rinvia alle considerazioni espresse nella prima parte”.
Per quanto concerne le figure professionali che operano in questo contesto particolarmente importante è la presenza del consigliere e le modalità
dell’integrazione con i soggetti interessati; da un punto di vista metodologico è proprio la possibilità, che resta facoltativa per l’utente, di interagire con questa figura che rende il rapporto fra le parti stimolante al
punto da trasformare il flusso delle informazioni disponibili in uno strumento dinamico per la definizione delle strategie di azione piuttosto che
una semplice rassegna di dati e di notizie. La consulenza, annota Alberici, è di tipo breve, non consiste in una presa in carico ma in un processo
di condivisione di intenti in cui l’ultima parola spetta al soggetto-utente,
che deciderà sulla base dei suoi tempi e delle sue esigenze. La varietà degli
strumenti - bilanci di competenze, materiali biografici, metodologie di
sostegno e di empowerment – testimoniano una metodologia improntata
ad una personalizzazione dell’approccio con il soggetto-utente.
Le competenze professionali del consigliere abbracciano un ampio spettro di ambiti. Di norma questa figura possiede conoscenze di tipo psicologico, ma ciò oggi non è più sufficiente, in quanto il consigliere deve possedere anzitutto capacità e competenze relative alla gestione del colloquio nei suoi vari aspetti – verbale, non verbale, relazionale, emotivo –
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Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
ed essere in grado di offrire all’utente informazioni precise, attendibili
ed aggiornate sul contesto territoriale in cui si opera e all’interno del
quale si vuole definire una strategia d’azione. Il consigliere, nota Alberici, deve “avere una chiara conoscenza e percezione delle dimensioni
socio-economiche caratterizzanti i vari contesti nei quali per il soggetto
sarà possibile agire, da quello territoriale a quello comunitario, in una
prospettiva di globalità. Ma ciò che mi preme sottolineare, e che ancora
appare di non facile comprensione nella predisposizione dei servizi di
orientamento, è la necessità di preveder figure che possiedono competenze nel dominio della formazione, nei suoi diversi aspetti, che vanno,
per citarne solo alcuni, dalla capacità di saper offrire strumenti idonei
per leggere e/o fare emergere i bisogni formativi, le risorse e i potenziali
posseduti, alle competenze necessarie per aiutare e facilitare la progettazione di percorsi formativi, specifici, ecc. E questo è un aspetto veramente innovativo, rispetto alle pratiche più diffuse e che attiene al nuovo
orizzonte teorico in cui si collocano i temi dell’orientamento e della formazione. Orizzonte che si fonda sull’assunzione del concetto di orientamento formativo e di capacità riflessive/ proattive da sviluppare nei soggetti durante tutta la vita, anche in funzione dell'apprendimento permanente e alla conquista della capacità di attribuzione di senso al proprio
lavoro, alla propria vita, di cui si è parlato sopra”.
2.1 I percorsi per un target di giovani e di adulti
La ricerca di proposte, progetti e strumenti adatti a favorire l’intreccio
tra momenti formativi e orientativi, oltre che tra quelli autoformativi e
auto-orientativi, restituisce diverse proposte, alcune note e rivisitate, per
così dire, con occhi nuovi, altre di natura sperimentale poi conclusesi con
la fine del progetto, altre affermatesi come veri e propri dispositivi condivisi e conosciuti.
Appartiene alla seconda categoria l’esperienza che qui presenteremo brevemente, illustrataci da Giacci nel corso dell’intervista e facente riferimento al Progetto sperimentale nazionale L'Orientamento nella scuola
media, ideato e realizzato dal Ministero della Pubblica Istruzione nel
biennio '96-'98, che ha coinvolto 40 istituti medi su tutto il territorio
nazionale. Tale progetto si collocava all’interno di un modello di orientamento formativo che veniva definito come "azione formativa mirante a
mettere in grado i giovani di orientarsi in una realtà complessa e prevenire la dispersione scolastica", ritenendo contemporaneamente superate
le concezioni più diagnostiche di orientamento e quelle di tipo prevalentemente informativo.
Lavorando attraverso percorsi di tipo didattico, il progetto intendeva
100
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
perseguire i seguenti obiettivi: formare abilità e capacità funzionali al
"saper scegliere" nelle situazioni del quotidiano, come nelle situazioni a
maggior grado di complessità; promuovere abilità di impostazione e di
soluzione dei problemi; individuare nel soggetto le prime manifestazioni
attitudinali e i primi interessi per specifiche esperienze disciplinari; riconoscere le competenze di base acquisite e motivare a ulteriori approfondimenti; fornire adeguate conoscenze ed esperienze per una lettura analitica e di interpretazione del contesto locale socio-economico e culturale
nella prospettiva della mondializzazione; migliorare, ristrutturare e integrare i curricoli disciplinari accentuando l'attenzione verso gli ambiti
dedicati ai contenuti funzionali alle conoscenze strategiche delle discipline e alle loro applicazioni in materia di lavoro, impresa, professione
anche nell'ottica dello sviluppo sostenibile43.
Come precisa Giacci, tale progetto si ispirava principalmente all’opera di
Clotilde Pontecorvo44, e alla luce di questi stimoli, si centrava sulla
sostanziale identità tra formazione e orientamento. Il processo era finalizzato alla formazione di competenze trasversali (metacognitive, capacità
di definizione e soluzione di problemi, comunicative, capacità funzionale
di lettura, capacità di produzione di testi scritti, capacità di fruizione dell’offerta artistica e culturale della società), attraverso un'articolazione
molto strutturata dei curricoli scolastici e dei contributi degli insegnanti.
Tale progetto si proponeva di disegnare il possibile funzionamento di un
istituto basato su di un insieme di curricoli definiti dall’istituto stesso
secondo un principio di autonomia poi divenuto noto. Il principio di fondo
dell’organizzazione del sapere era quello di far procedere sistematicamente45 e parallelamente diverse situazioni formative e non più, dunque,
diverse discipline attraverso il susseguirsi di materie specifiche. Ciascuna
situazione formativa chiamava in causa il contributo di diversi saperi
disciplinari che si univano per perseguire un obiettivo concreto definito da
un progetto, così sollecitando l’applicazione di competenze trasversali. Le
situazioni formative, ad esempio, potevano prevedere la creazione di un
Tutte queste informazioni sono state ricavate dal documento Linee progettuali per l'attività di formazione nella scuola rintracciabili, insieme con informazioni più dettagliate
sul Progetto, all’indirizzo: http://www.bdp.it/~dgsm0001/orientam/azioni, html.
44
Si vedano ad esempio: Pontecorvo C., Ajello A.M., Zucchermaglio C. (1995) I contesti
sociali dell’apprendimento: acquisire conoscenza a scuola, nel lavoro, nella vita quotidiana, LED, Milano; Pontecorvo C. (1977), Psicologia dell’educazione: obiettivi e valutazione nel processo educativo, EIT,Teramo; Pontecorvo C. (1986), Psicologia dell’educazione: conoscere a scuola, Il Mulino, Bologna.
45
In effetti, come sottolinea Giacci, la situazioni formative sono sempre esistite nella scuola, ma su iniziativa spontanea degli insegnanti e mai in una forma sistematizzata come è
accaduto, invece, in questo progetto.
43
101
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
giornale di classe o di altri prodotti per la realizzazione dei quali era necessario che competenze operative si unissero a quelle socio-relazionali
(richiamate dal lavorare in gruppo), a quelle comunicative, formate attraverso l'attivazione degli ambiti disciplinari più appropriati.
Dal punto di vista dell’intreccio tra formazione e orientamento, precisa
Giacci, questo progetto poteva permettere un’acquisizione di conoscenze
nel raggiungimento di un obiettivo (quindi una formazione su azioni e
capacità) che poteva rendere il ragazzo più abile nella sua interazione successiva con il mondo. I ragazzi potevano, infatti, imparare a mettere insieme diversi saperi per arrivare a un prodotto o a come reperire determinate informazioni per risolvere il proprio “problema” di apprendimento.
Ciascuna situazione formativa, così come sperimentata da Giacci, prevedeva il raggiungimento degli obiettivi dei laboratori in due mesi. Gli allievi lavoravano due pomeriggi la settimana, su diversi progetti, portandone a termine 8 entro l’anno (alcuni potevano riguardare anche il ballo o
la danza, ad esempio).
Il valore aggiunto di questo progetto, oltre a quello di favorire il conseguimento contemporaneo di competenze cooperative, di soluzione di problemi e di innovazione, stava nel fatto che al termine dei laboratori i
ragazzi manifestavano spesso preferenze per certi contenuti piuttosto che
non per altri, compiendo così una propria scelta autonoma, in una logica
che potremmo dire di auto-orientamento.
Dal punto di vista formale, secondo Giacci uno dei lati positivi del progetto nazionale è stata la sua capacità di strutturare in modo chiaro l’articolazione per ambiti, le situazioni formative, i progetti perseguibili e il contributo delle diverse discipline, con obiettivi, tempi e modi. Questa logica
ha richiesto agli insegnanti di ragionare in un diverso modo rispetto a quello di acquisizione cumulativa di conoscenze lungo il corso dell’anno, giungendo ad adottare un modello formativo in una logica “per progetti”.
I contributi delle circa 40 scuole coinvolte nella sperimentazione sono stati
diversi, in quanto mentre per alcune la sperimentazione non ha avuto
seguito, altre hanno tentato di introdurre queste situazioni formative nella
struttura tradizionale. Questo ha, però, determinato alcune criticità nell’articolazione oraria, in quanto gli insegnanti non potevano più essere
coinvolti in fasce orarie definite, ma venivano sollecitati in momenti diversi e con colleghi di materie diverse, con una richiesta di grande flessibilità.
In alcune scuole, uno degli esiti positivi della partecipazione all’iniziativa
ministeriale è stato quello di introdurre dei cambiamenti di orario tali da
facilitare attività di gruppo di tipo laboratoriale: ad esempio, si sono limitate le ore di lezione a 50 minuti, anziché a 60, per ricavare (sommando i
10 minuti così recuperati) alla fine 3 ore da dedicare a lavori di gruppo.
102
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Nel corso dell’intervista, Giacci ha presentato inoltre un altro progetto
pensato nel quadro di un percorso di educazione all’orientamento, realizzato tra il 2001 e il 2003 in partenariato con un istituto francese e finalizzato alla costruzione di un portfolio delle competenze di orientamento
destinato a ragazzi della Scuola Media46.
Fra gli obiettivi di queste schede vi era quello di insegnare ai ragazzi processi autovalutativi e auto-osservativi sulle competenze acquisite progressivamente nel tempo (dall’ultimo anno delle elementari ai tre delle
medie) e che potevano andare da quelle inerenti alla matematica fino alle
lingue straniere, alla lingua madre, alla lettura. Inoltre venivano raccolte informazioni rispetto a eventuali certificazioni esterne, ad esempio
sulle conoscenze informatiche.
Essendo nota la logica del portafoglio di competenze, non ci addentriamo
nella descrizione specifica di questo strumento, ma ci limitiamo a notare
come il portafoglio di competenze sia nuovamente riconosciuto (lo ha rilevato anche Aubret) come strumento capace di integrare processi autoformativi e auto-orientativi. È vero, però, che non si è ancora giunti a una
specificazione del modo con cui ciò può avvenire. La comprensione di tali
processi, pertanto, potrebbe essere un'interessante linea di approfondimento della ricerca futura.
Sempre ad un target di giovani si riferisce il progetto presentatoci da
Monasta nel corso della sua intervista.
Partendo dall’assunto che l’integrazione fra i quattro ambiti dell’orientamento, dell’auto-orientamento, della formazione e dell’autoformazione, quando esiste, non dipende da una volontà esplicita di legare insieme
processi spesso eterogenei quanto piuttosto dall’analisi delle valenze che
hanno in sé certi processi, originatesi nell’ambito della formazione integrata, Monasta si sofferma sulle esperienze attivate in Toscana a partire
dall’autunno del 2003 come conseguenza dell’Accordo fra Stato e Regioni e di quello, successivo, fra Ministero dell’Istruzione, Università e
Ricerca e Regione Toscana per la sperimentazione della formazione integrata negli Istituti scolastici di istruzione secondaria di secondo grado.
Nello specifico, questi progetti (varie decine in tutte le province toscane)
riguardano gli Istituti professionali di stato.
La sperimentazione viene svolta attraverso l’attivazione di:
a) percorsi modulari inseriti nei curricoli delle classi prime e seconde,
nella misura del 15% del monte-ore annuale, per favorire lo sviluppo
di un collegamento più specifico fra istruzione e mondo del lavoro;
Per informazioni più dettagliate sul contesto del progetto è possibile consultare il sito:
www.provincia.torino.it/scuola/delvicino/proget6.htm.
46
103
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
b) percorsi di formazione professionale di durata almeno biennale volti al
conseguimento di qualifiche rientranti nel repertorio regionale e dotate di riconoscimento da parte della Regione;
c) servizi individualizzati di orientamento e di certificazione delle competenze per tutti gli utenti coinvolti in qualunque percorso formativo
volto al riconoscimento dei crediti acquisiti ai fini del passaggio da un percorso all’altro e/o per l’accesso ad altri percorsi presenti sul territorio.
L’individualizzazione del percorso prevede per gli utenti lo svolgimento
di colloqui prima, durante e al termine delle attività in vista di un’analisi degli interessi, delle aspettative e delle competenze extra-scolastiche
maturate, mentre per i docenti ed i formatori è previsto che venga fornito il sostegno alla progettazione dei vari percorsi sulla base delle
aspettative e delle competenze dei soggetti-utenti. Sottolinea Monasta
come “(…) non tutti i progetti marciano nella stessa maniera. Ma la
strategia è chiara e, le misure avviate sono, probabilmente, irreversibili, andando a costruire un nuovo sistema. Bisogna ricordare che la
Toscana non aveva più, da quasi venti anni, un sistema di formazione
professionale, salvo in alcune sporadiche realtà, come ad esempio nel
Comune di Firenze. Questa sperimentazione pare volta a limitare i
danni del “doppio canale” derivabile dalla L. 53/2003, inserendo a
pieno titolo i percorsi di formazione professionale (anche se paralleli)
negli Istituti scolastici, che collaborano con agenzie formative anche
esterne, ma sono responsabili della certificazione delle competenze e del
riconoscimento, almeno interno, dei crediti”.
Il modello teorico di riferimento, per Monasta, risulta essere abbastanza
“forte” e basato su:
1. la revisione del concetto di professionalità, che viene considerata non
solo nei suoi approcci “tecnici” e “specifici” ma anche e soprattutto
nella sua dimensione di direzione e controllo (siano essi individuali o
collettivi) dei processi in cui si è inseriti;
2. il contributo di D. Schön nel momento in cui viene tematizzato il ruolo
del reflective practicioner senza trascurare quanto lo stesso autore
tratta in un’opera giovanile dal titolo Displacement of concepts;
3. il riassetto epistemologico dell’organizzazione disciplinare del sapere:
il sapere attuale ha finito per cristallizzarsi solo in conoscenze sempre
più astratte e teoriche impedendo la saldatura tra formazione e orientamento, fra teoria e pratica, fra conoscenze e competenze.
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obiettivi Monasta è assai esplicito: quelli politici e istituzionali sono
strettamente collegati alla costruzione di un sistema che renda effettive le
opportunità di lifelong learning e riduca le rigidità dei percorsi e dei
sistemi formativi; quelli sociali e culturali appaiono controversi: se le
104
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
esperienze fossero mal governate, e non si facesse crescere massicciamente il livello di istruzione di base della popolazione, si potrebbe giungere
tra non molto ad una società di “eterni bambini” bisognosi di guida,
orientamento, formazione senza mai sapere a cosa serve; se, al contrario,
gli obiettivi sociali e culturali di queste azioni coincidono con un processo di empowerment dei cittadini della società della conoscenza, da sviluppare attraverso un rapporto continuo e critico con la cultura ed i meccanismi legati alla certificazione delle loro esperienze, comunque acquisite, allora essi possono considerarsi delle mete per uno sviluppo sociale e
personale dei soggetti umani.
I destinatari dell’esperienza possono essere indicati in tre categorie:
a) giovani fra i 14 ed i 18 anni;
b) adulti coinvolti in forme di educazione permanente, come coloro che
hanno fatto parte del progetto ARCO organizzato dal Comune di
Firenze47;
c) immigrati con titolo di studio che fruiscono di corsi volti all’inserimento formativo e/o professionale.
Le risorse umane impiegate per l’erogazione dei servizi descritti sono
costituite soprattutto dai docenti dell’istruzione che collaborano attivamente, pur con grandi difficoltà, alla piena realizzazione del processo; indicativo è il percorso scelto dalla Regione Toscana che ha deciso
di percorrere la strada dell’impiego delle agenzie formative diverse
dalla scuola, riconoscendo e accreditando più di 1.200 agenzie, comprese molte istituzioni scolastiche.
Le professionalità dei soggetti coinvolti in questo processo risultano ancora inadeguate ed è in corso un fenomeno di “riconversione” professionale, organizzato dalla Regione, degli addetti alle attività formative in cui la
risorsa maggiore è data dalla motivazione personale ad apprendere ed a
venire incontro ai bisogni dei soggetti destinatari, facendo ricorso a strumenti innovativi e partecipativi e non puntando più in maniera esclusiva
sulle competenze acquisite o l’esperienza comunque consolidatasi.
Le competenze che vengono richieste per lo svolgimento di queste attività
sono le seguenti:
Il progetto ARCO (Azione sperimentale per l'Accertamento e il Riconoscimento delle
COmpetenze nella formazione permanente), promosso dal Comune di Firenze e gestito da
un gruppo di istituzioni private (Aristeiaonline, CNA, Assindustria, Fondazione Diocesana, Irecoop), è nato all'interno della rete provinciale fiorentina dell'educazione degli adulti. I suoi obiettivi sono: sperimentare metodi e strumenti per consentire agli utenti di progettare il proprio percorso formativo, fornire risposte concrete alle problematiche legate
all'accertamento, alla certificazione e al riconoscimento delle competenze, creare le condizioni per l'individuazione di criteri condivisi e omogenei per l'attribuzione di crediti alle
competenze accertate.
47
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Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
1. competenze relazionali e di gestione dei rapporti fra persone e fra professionisti di varia provenienza;
2. conoscenze relative ai processi di innovazione in corso nelle società
postindustriali e di condivisione delle strategie di mutamento che toccano i sistemi formativi;
3. competenze relative alla progettazione ed alla gestione di percorsi integrati di istruzione, formazione e orientamento, uscendo dalle categorie disciplinari e professionali tradizionali e stereotipe.
Fra i soggetti la cui partecipazione è ritenuta strategica a livello di coinvolgimento, ma anche fra le più difficili da ottenere, vi è certamente il
sistema delle imprese e soprattutto delle piccole e piccolissime imprese;
anche le associazioni di imprenditori a vario titolo (industriali, artigiani,
commercianti) partecipano alle attività ma spesso in maniera sporadica e
poco convinta in quanto non hanno ancora sviluppato una “cultura”
della formazione integrata e/o della formazione per tutto l’arco della vita.
Lasciamo il contesto italiano per approdare a quello francese con la
descrizione del progetto DPC – ISSAM, Diplôme de Premier Cycle Sciences Sociales et Actions de Médiation, resaci da A. Moisan, docente
presso lo CNAM di Parigi48.
Rispetto al precedente progetto, descritto da Monasta, quello delineato in
queste pagine ha in comune una forte tensione alla professionalizzazione
dei soggetti coinvolti. Moisan, infatti, contestualizza le finalità del progetto collegandole all’attenzione che da sempre lo CNAM dimostra nei
confronti dei processi di inserimento professionale di giovani e adulti. Il
progetto DPC - ISSAM49 nasce nel 1999 (e si chiude nel 2002), sulla base
della progettazione del Dipartimento Lavoro e Impresa dello CNAM di
Parigi, al fine di sostenere soprattutto gli educatori del sistema dell’Éducation Nationale nello sviluppo di competenze professionali specifiche,
ma ampliandosi in seguito verso il pubblico dei giovani impegnati nei
50
cosiddetti Emploi Jeune .
Tale nome è dato a un’iniziativa speciale destinata a creare contratti di
Per meglio comprendere che cos’è lo CNAM e i suoi obiettivi si può visitare il sito:
www.cnam.fr.
49
Molte delle informazioni raccolte in queste pagine sono illustrate sul depliant di presentazione del progetto fornitoci gentilmente da André Moisan. Tutte le indicazioni inerenti
al progetto, che al momento della ricerca era stato interrotto per carenza di fondi, sono
comunque rintracciabili su sito: www.cnam.fr/dpcissam. Inoltre, ulteriori approfondimenti sono possibili attraverso l’articolo: Moisan A. (2002) Une propédeutique professionnelle comme une des réponses de formation aux emplois-jeunes. In M.D. Vasconcellos (a cura di) Les Emplois-Jeunes: Nouveaux métiers, nouvelles professionnalités, Edition du Conseil Scientifique de l’Université Charles-de-Gaulle - Lille 3, Lille.
50
Per ulteriori informazioni: http://emploi.beabase.com/emploi-jeune.htm
48
106
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
lavoro riservati a giovani di età compresa tra i 18 e i 26 anni e tra i 26 e i
30 anni inoccupati o disoccupati, disabili e senza sussidio di disoccupazione. Per mezzo di queste soluzioni, le persone possono trovare una collocazione professionale all’interno del sistema scolastico nazionale (Éducation Nationale) o in vari servizi sul territorio a carattere pubblico (ad
esempio ANPE51, Mission Locale, PAIO52), in associazioni o in imprese
con ruoli che, da un lato, li pongono a contatto con il pubblico (studenti,
giovani, operai, utenti di servizi pubblici), ma che contemporaneamente,
li vedono mediare con figure istituzionali (professori, responsabili di servizi, rappresentanti politici, ecc.) oltre che con tutti i loro colleghi.
Il presupposto che guidava l’azione del progetto, articolato su due anni
di attività, era di professionalizzare il più possibile queste persone (contrariamente a una certa tendenza alla deprofessionalizzazione, in un’ottica più di tipo assistenziale che si andava affermando con il procedere
dell’iniziativa Emploi Jeune), formandoli nel campo delle relazioni
umane e sociali, con particolare attenzione al tema del rapporto con l’altro e dei cambiamenti nel mondo del lavoro, al fine di potenziare la loro
professionalità di mediatori nei contesti del lavoro sociale, della formazione degli adulti, dell’insegnamento, dell’educazione specializzata, dei
servizi di documentazione e di comunicazione.
I destinatari del DPC – ISSAM, in primo luogo, sono state persone che
spesso avevano maturato un rapporto conflittuale con le strutture educative e che, per tale ragione, avevano finito tardi gli studi, spesso abbandonando anche l’università. La maggioranza dei soggetti coinvolti fino al
2002 era composta da figli di immigrati o di famiglie provenienti dalle ex
colonie in cerca di una professionalizzazione in contesti protetti, come
quello della funzione pubblica, e aspiranti a un’integrazione anche di
tipo sociale e culturale (Moisan, 2002).
I criteri per accedere al progetto prevedevano che i candidati possedessero un livello BAC di studi, un’esperienza di lavoro con Emploi Jeune di
almeno sei mesi e che essi avessero formulato un progetto d’azione scritto. Inoltre era richiesto che il responsabile del giovane firmasse una convenzione specifica con lo CNAM, concordando i fini e i tempi del progetto. Dal punto di vista degli obiettivi di dettaglio, questo percorso prevedeva il conseguimento di un diploma di livello BAC+2, attraverso un percorso di studi in alternanza, con momenti di lezione su contenuti inerenti soprattutto alle Scienze dell’Uomo al Lavoro, e a fasi di lavoro sul
campo e di impegno in un’attività professionale.
51
52
ANPE è la sigla con cui viene definita l’Agence Nationale pour l’Emploi.
PAIO indica il servizio Permanence d’Acceuil d’Information et d’Orientation.
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Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
Analizzando ora il progetto DPC – ISSAM, lo strumento del progetto professionale appare un elemento caratterizzante il percorso formativo ma capace
anche di saldarlo strettamente con quello orientativo, nonché uno dei due
punti centrali della filosofia progettuale che stava alla base dell'iniziativa
stessa: i progettisti53, infatti, ritenevano che l’elaborazione del progetto fosse
certamente un criterio basilare, ma che esso non fosse realizzabile senza un
processo di formazione dell’intero soggetto. Per tale ragione, accanto alla
formazione scientifica e alla trasmissione di saperi di base (rispetto ad alcune discipline), il processo di apprendimento prevedeva momenti esperienziali e un’elaborazione di tipo narrativo di quanto stava accadendo.
Il fatto che il partecipante giungesse al dispositivo con un progetto professionale poneva il momento orientativo come passaggio imprescindibile dell’intero percorso. Al suo termine, infatti, dopo aver creato un portfolio di
competenze, egli poteva scegliere se continuare con una formazione universitaria, oppure con un concorso o se scegliere una formazione specialistica.
D’altro canto questa elaborazione progettuale avveniva non solo all’interno di un processo su contenuti, ma anche attraverso un più ampio percorso di formazione soggettiva. Moisan definisce questa formazione
come: “una formazione nel pieno senso della parola, che si gioca tanto
nell’esplorazione dei determinismi del passato e degli elementi costitutivi
della propria storia quanto nella proiezione nel futuro professionale.
Passando attraverso l’acquisizione di teorie esplicative. Questo è ciò che
evochiamo attraverso ‘la formazione del soggetto e l’elaborazione del
progetto’: soggetto nella sua dimensione riflessiva definentesi in particolare attraverso l’avvio della costruzione del suo divenire attraverso il
progetto” (2002, p. 117).
I riferimenti concettuali che Moisan elegge a riferimento del modello di formazione è il concetto di soggettivizzazione di Touraine (1992) e di Dubet
(1994), oltre a quello di autonomia, così come concepito da Castoriadinis
(1998): “L’autonomia dell’individuo consiste nel processo che instaura un
altro rapporto tra l’istanza riflessiva e le altre istanze psichiche, così come
tra il suo presente e la storia mediante la quale egli è divenuto ciò che è, permettendogli di sfuggire all’asservimento della ripetizione, del ritorno su se
stesso, le ragioni dei suoi pensieri e le ragioni dei suoi atti, guidato dalla ricerca del vero e dal chiarimento del suo desiderio” (p. 131; cit. in Moisan, 2002).
Tornando alla formazione sui contenuti, il progetto DPC – ISSAM richiedeva al partecipante di apprendere una serie di conoscenze base nel
campo delle scienze sociali e del lavoro al fine di imparare a comprendeAndré Moisan è stato uno dei responsabili della progettazione e della costruzione dell’impianto didattico del dispositivo.
53
108
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
re e ad agire con persone in situazione. I contenuti vertevano su sette
unità di valore o campi di sapere inerenti alla ricerca sociale o alle discipline connesse al mondo del lavoro e delle professioni (per comprendere
l’articolazione del processo si veda la figura 1).
Primo anno
Unità di valore generale
Unità di valore professionalizzanti
EMOP
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A3
A6
A41
A51
Socio.
A1 o A2
Secondo anno
Unità di valore generale
Unità di valore professionalizzanti
A2
A42
A52
Diritto 1
A1
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Fig. 1
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eatro aree di contenuto erano articolate in:
- A1: Uomo, lavoro e impresa - il corso focalizzava le trasformazioni del
mercato del lavoro e delle occupazioni in ambito europeo;
- A2: Forme di analisi del lavoro - il corso esplorava i principali contenuti delle aree dell’ergonomia, della psicologia e della sociologia del
lavoro e tutti i loro apporti nell’ambito della formazione degli adulti;
- A3: Raccolta, trattamento e presentazione dei dati - il corso insegnava a effettuare una ricerca in gruppo, illustrando il processo in tutte
le sue fasi (dalla progettazione alla scelta dei metodi, all’analisi dei
dati);
- Sociologia A1 e A2 - si componeva di due corsi destinati a trasmettere
i principali contenuti in sociologia;
109
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
- A1: Diritto del lavoro e relazioni individuali – l’esperienza formativa
intendeva trasmettere i contenuti principali in materia di contrattualistica e di relazioni con il datore di lavoro e preparava specificamente coloro che desideravano divenire educatori in ambito giudiziario;
- A4: Condotta di progetti d’azione di mediazione – la preparazione
mirava a rendere le persone consapevoli del modo con cui si poteva
pensare a un progetto finalizzato a migliorare il servizio in cui si lavorava, quindi procedendo dall’analisi del contesto sino al coinvolgimento dei diversi attori;
- A5: Pratiche di comunicazione e di negoziazione – l’esperienza intendeva formare quelle competenze di ascolto e di negoziazione proprie di
ogni figura di mediazione;
- A6: Approcci alle situazioni di mediazione – il corso aveva come obiettivo quello di fornire griglie di lettura multidisciplinari per comprendere le diverse variabili coinvolte in un servizio (il profilo dell’utenza,
le problematiche presentate, la configurazione del servizio e la sua
capacità di risposta);
- EMOP: Elaborazione e Messa in Opera di un Progetto professionale
– si trattava di un percorso di elaborazione di un progetto articolato
su due anni, durante i quali la persona era accompagnata a comprendere non solo come produrre il proprio progetto, ma anche
come modificarlo alla luce delle possibilità offerte dal contesto e di
assumere una capacità critica rispetto alle informazioni provenienti
dal mondo del lavoro, per giungere poi a programmare il modo con
cui realizzarlo.
Tutti i corsi si avvalevano di momenti di lezione frontale, di esercitazioni, di esperienze pratiche sul campo, di lavoro di gruppo alternato a
momenti individuali di colloquio, di interviste svolte in prima persona dal
candidato a professionisti del campo di suo interesse, fossero essi figure
di professionisti o altre figure di formatori.
Il processo di formazione avveniva attraverso tre momenti formativi:
la formazione attraverso l’esperienza: in questa fase, il concetto di
esperienza era così definito: “è quella dello sviluppo della capacità
riflessiva che si appoggia e che si alimenta di una posizione sociale che
passa progressivamente da quella di attore agito a quella di attore
agente” (Moisan, 2002, p. 117). Tale parte del processo è accompagnata dalle unità di valore “Forme di analisi del lavoro”, “Condotta di progetti d’azione di mediazione” e “Approcci alle situazioni di mediazione”, finalizzate alla costruzione di un’immagine più realistica del soggetto e della sua collocazione lavorativa sia nei suoi aspetti di contenu-
110
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
to sia in quelli di relazione. Il partecipante doveva, infatti, condurre
una ricerca sul proprio contesto di lavoro al fine di comprenderlo con
più chiarezza. Iniziava in tal modo l’assunzione di un ruolo di attore
agente rispetto all’ambiente, che rendeva possibile per il soggetto la
costruzione di una definizione di sé attraverso la sua stessa azione.
Questa evoluzione prevedeva che il partecipante definisse un progetto
di innovazione54 realistica da proporre all’interno del suo servizio (A41
e A51). Per realizzarla egli avrebbe dovuto apprendere a negoziare, in
modo autonomo, con gli altri attori rilevanti del contesto, così imparando a collocarsi in un’ottica di sistema, ma contemporaneamente
potendosi ancora avvalere della protezione del dispositivo di apprendimento in cui era inserito.
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parte del percorso si avvaleva di strumenti tendenzialmente
concepiti soprattutto in forma di griglie e di tracce che guidano il soggetto, ad esempio, nella raccolta dei dati rispetto al proprio contesto,
nella costruzione del progetto di innovazione nell’ambiente stesso di
lavoro, con la definizione conseguente del capitolato d’appalto che
avrebbe dovuto sostenere la trasformazione del servizio. Era specifico
del progetto DPC – ISSAM, infatti, che la progettazione avvenisse in
modo realistico, anche a livello di previsione di risorse economiche e
di adempimento di richieste normative.
Nel secondo anno, il partecipante confrontava quanto appreso rispetto al suo più ristretto contesto di esperienze con uno scenario più
ampio (A42 e A52): si trattava di un processo di presa di distanza, di
interrogazione sui propri processi di azione e di confronto (tramite
interviste condotte in prima persona) che avveniva sia con un rapporto con professionisti del proprio campo (reso possibile, appunto, dalle
interviste) sia attraverso lo studio di discipline specifiche comprese
nelle unità “Uomo, lavoro e impresa” e “Forme di analisi del lavoro”;
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st formazione attraverso il confronto con le Scienze sociali: oltre alla
capacità progettuale e di innovazione, il dispositivo intendeva anche
accrescere nel partecipante la capacità di osservazione e di analisi dei
contesti organizzativi e sociali, fornendogli lenti di lettura provenienti dalle diverse Scienze Sociali. Questo processo era indispensabile
affinché l’attore apprendesse progressivamente a decentrarsi rispetto
alla sua prospettiva e alle immediate influenze ambientali per assumere un punto di vista più sistemico.
Al fine di approfondire il concetto di innovazione contrapposto a quello di invenzione
Moisan (2002) suggerisce il riferimento a Alter N. (2001), L’innovation ordinaire, PUF –
Sociologies, Paris.
54
111
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
Il presupposto epistemologico che si collocava alla base di questo
obiettivo era quello di far incontrare la persona con le evidenze fornite dai saperi teorici acquisiti (presupposto che anima anche l’esperienza della Laurea in Studio di Pratiche Psicosociali, descritto nelle
pagine successive da Galvani), così sottoponendo il suo progetto alla
prova scientifica, intesa come prova di realtà (Moisan, 2002).
I partecipanti dovevano, infatti, apprendere a costruire indicatori di
efficacia del progetto che, da un lato, avrebbero permesso loro di dialogare su dati concreti con i propri interlocutori istituzionali e, dall’altro, di unire al tema della soggettivizzazione, che era all'origine del percorso di progettazione e realizzazione, quello dell’oggettivizzazione;
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st formazione attraverso il ritorno soggettivo sul proprio percorso
personale e professionale e la sua proiezione nel futuro: questa parte
del processo prevedeva l’elaborazione vera e propria del progetto, in
tal modo rappresentando la parte orientativa dell’intera iniziativa. In
realtà si componeva di due momenti. Il primo prevedeva il ritorno
sulla propria storia professionale attraverso la costruzione di un portafoglio di competenze (primo semestre del primo anno, EMOP 1). Il
secondo, previsto nell’ultimo semestre del secondo anno (EMOP 2),
era conseguente all’elaborazione del progetto d’azione e all’analisi
delle proprie competenze e si proponeva di comprendere come il progetto potesse essere portato avanti, anche attraverso altri momenti di
incontro con professionisti del settore. In questa fase, si partiva dal
presupposto che il lavoro della fase intermedia doveva aver permesso
agli attori di comprendere la fattibilità e i margini di trasformazione
del progetto stesso, oltre che il suo ambito di applicazione (l’insegnamento e la formazione, il lavoro sociale, la documentazione, l’espressione culturale ed artistica, la comunicazione).
Questo processo di riflessione sulla fattibilità del progetto facilitava un
bilancio sull’intero percorso e si sedimentava in una memoria scritta.
Essa rappresentava la tesi finale da produrre al termine dei due anni e
contenente riflessioni sull’andamento del progetto d’azione elaborato e
sul progetto professionale futuro del partecipante. A livello di metodo,
essa era costruita secondo i principi della storia di vita, in quanto si riteneva che in tal modo si sarebbe facilitato il rinsaldarsi dei legami tra storia personale e professionale. Questo confronto con la propria storia
rappresentava uno dei tre confronti “sociali” che costellavano il percorso: la persona, infatti, durante il processo apprendeva a porre in relazione se stessa, il suo sapere e la sua progettualità rispettivamente con le
istanze socio-professionali (gli altri professionisti esperti incontrati e
intervistati, i colleghi di corso ed altre figure), le istanze del sapere scien-
112
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
tifico e, infine, appunto, le istanze soggettive accolte attraverso la narrazione di sé. La ponderazione di quanto appreso e di quanto realizzabile nel futuro veniva ancora ribadita nel momento della discussione
della tesi finale di fronte a una commissione. Questa fase aveva un’importanza fondamentale come momento di ufficializzazione del senso del
processo e dell’apertura al futuro attraverso il progetto. Ciò, in particolare, era dovuto al fatto che nel gruppo di valutazione della tesi era presente un professionista esperto nel campo professionale scelto come contesto di riferimento dell’elaborato finale del candidato. Questi assumeva
dunque un ruolo fondamentale nel fare il punto con il discente sullo stato
di avanzamento del progetto, oltre che nel dargli consigli sui passaggi
ulteriori, in particolare, per l’inserimento nel settore professionale scelto (che poteva andare dalle Mission Locales ad altre associazioni o servizi) e per completare la sua preparazione. In altre parole, anche la sessione di valutazione finale era stata pensata in un’ottica orientativa.
Oltre a quest’ultima fase e alle due specificamente destinate all’orientamento (EMOP 1 e 2), secondo Moisan, si può rintracciare un ulteriore
passaggio di lavoro cruciale in senso orientativo o, meglio, auto-orientativo, anche nella fase iniziale della preparazione teorica dei due anni (le
cosiddette “unità di valore generale”): l’idea è che l’acquisizione di
conoscenze specifiche inerenti al settore di lavoro professionale scelto
avrebbe permesso alla persona di formulare in forma più realistica il
proprio progetto nelle due sessioni di lavoro EMOP.
Questi due momenti, in particolare, erano protetti, nel senso che prevedevano un incontro individuale e privato tra il partecipante al progetto e le figure di affiancamento in cui si tracciava un bilancio sia sul
grado di definizione della propria progettazione futura, sia sulla partecipazione dimostrata lungo il percorso e del modo con cui era lavorato. Dal punto di vista degli strumenti, nella fase EMOP 1 veniva
chiesto al soggetto di scrivere la sua storia di vita, mentre nell’EMOP
2 si utilizzavano colloqui individuali più incentrati sugli aspetti professionali del percorso e meno su quelli di storia personale. Tra i punti
di forza del dispositivo, tracciando un bilancio a distanza di tempo,
Moisan ritiene possa essere annoverata la sua capacità di condurre la
persona a una maggiore consapevolezza di sé e a una maggiore fiducia
in sé. Tuttavia, questo processo non era facile, in quanto richiedeva
strumenti pedagogici molto differenziati e un attento lavoro in équipe
di diversi professionisti. Ciò imponeva una forma di coordinamento
certo non semplice, tanto più in presenza di un’utenza dalle caratteristiche peculiari, spesso a rischio di esclusione e, pertanto, resa molto
più aggressiva nel suo modo di relazionarsi.
113
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
Questa evoluzione in negativo delle qualità della domanda dipendeva e
dipende, secondo Moisan, anche da alcune debolezze intrinseche all’iniziativa Emploi Jeunes, ma inevitabilmente comportava e comporta una richiesta di preparazione professionale degli operatori sempre più approfondita
a cui però non sempre corrisponde una formazione adeguata.
Un’ultima domanda resta su questo progetto, a questo punto: perché esso
sarebbe capace di integrare formazione, autoformazione, orientamento e
auto-orientamento? Moisan afferma che si tratta certamente di un dispositivo di formazione, in quando prevede un percorso di apprendimento
strutturato, con obiettivi precisi. Esso, inoltre, sostiene un processo di
autoformazione in quanto permette un’acquisizione progressiva di potere attraverso la definizione di un progetto adulto su di sé, che fa perno
su processi di azione e di riflessione. Un tratto fondamentale del progetto alla base del dispositivo DPC – ISSAM era, però, quello di favorire sì
un percorso di autoformazione, ma cercando di evitare processi di individualismo negativo55, ovvero di chiusura egoistica e di carenza di attenzione sociale. L’intero dispositivo, infatti, tentava in più fasi di far maturare la consapevolezza della collocazione sociale dell’attore e del suo
ruolo nella trasformazione del sistema collettivo.
D’altro canto, esso è un progetto di orientamento perché facilita l’elaborazione di un progetto professionale, con la conseguente facilitazione
della costruzione autonoma di identità in riferimento a una propria collocazione professionale.
2.2 Le pratiche formative nell’ambito universitario e postuniversitario
Il D.E.S.S. (Diplôme d’Études Supérieures Spécialisées) in “Funzioni di
accompagnamento in Formazione: bilancio di competenze, orientamento, gestione delle carriere, riconoscimento degli apprendimenti”
Nella ricerca di pratiche ed esperienze caratterizzate dal fatto di avere al
contempo una funzione formativa e orientativa, Pineau cita due esempi:
il primo riguarda un metodo, mentre il secondo un’esperienza di formazione. Del primo si darà solo un accenno, laddove del secondo si procederà a un approfondimento in termini di analisi.
Per quanto riguarda il metodo, Pineau ritiene che le storie di vita rappresentino uno strumento dal fondamentale valore autoformativo e
auto-orientativo, in quanto esse favoriscono un processo di ricerca e
costruzione di senso a partire dai fatti temporali vissuti. Il metodo autobiografico permette di ritornare sulle tracce che ciascuno di noi ha
Moisan suggerisce la lettura di Castel R. (1995), Les métamorphoses de la question sociale, Gallimard, Paris.
55
114
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
lasciato per giungere poi a ricostruire il proprio cammino. Il valore
autoformativo è, dunque, dato da ciò che si apprende su di sé ritornando sul proprio passato. Tutto ciò, però, ha un fondamentale valore autoorientativo (Pineau intende il momento orientativo sempre come un
momento di scelta di direzione) che può essere rappresentato dall’immagine di una spirale che torna su se stessa, facilita una proiezione più
consapevole del proprio futuro. Solo il ripiegamento su quello che è stato
evita al futuro di deformarsi, perché “mette ordine” nel percorso personale e rintraccia la direzione.
Per quanto riguarda il secondo esempio di pratica capace di porre in connessione momento formativo ed orientativo, Pineau descrive il D.E.S.S.
(Diplôme d'Études Supérieures Spécialisées) in “Funzioni di accompagnamento in Formazione: bilancio di competenze, orientamento, gestione
delle carriere, riconoscimento degli apprendimenti” promosso dall’Università François Rabelais di Tours.
Si tratta di un percorso di studi specialistici destinato a formare professionisti dell’accompagnamento. Con questa etichetta si intende quel
complesso di attività professionali che integrano una funzione formativa
e un’azione orientativa. Nello specifico, svolgono funzioni di accompagnamento operatori di orientamento, formatori, mentori, coach, esperti in risorse umane, oltre a tutti coloro che sono impegnati, in particolari momenti della propria vita professionale, a sostenere il processo evolutivo di altri individui. È fin d'ora utile precisare, anche per facilitare
la relazione tra le riflessioni seguenti e quelle immediatamente precedenti, che il percorso di specializzazione previsto dal D.E.S.S. implica
l’utilizzo delle storie di vita come fondamentale strumento di formazione dei discenti, in ciò assumendo quindi tutto il loro valore autoformativo e auto-orientativo.
Dal punto di vista dei principi che ispirano il modello, infatti, la formazione prevista nell'ambito del diploma pone l'individuo al centro del processo, chiamandolo ad esserne attore principale sotto due forme: la prima
è riferita al fatto che ciascun partecipante è chiamato a scrivere una propria memoria personale; la seconda è connessa alla possibilità per ciascuno di godere di una individualizzazione del percorso, centrato sull'esperienza e destinata a facilitare una costruzione “personalizzata” di sé a
livello umano oltre che professionale.
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eoit nel 1996, il D.E.S.S. in “Funzioni di accompagnamento” è attualmente gestito dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università F. Rabelais e dal SUFCO, Servizio Universitario di Formazione Continua. Esso si pone, come finalità di ordine generale, quella di rispondere ai bisogni di qualificazione degli utenti attraverso un’apertura inter-
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Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
disciplinare e interprofessionale della propria offerta formativa.
Dopo aver constatato l’evoluzione repentina nella società francese della
varietà, oltre che dei compiti, delle cosiddette figure di “accompagnamento” (Pineau, 2002), il percorso di specializzazione nasce con l’obiettivo di garantire una qualificazione completa dei discenti in termini di
approfondimento, attualizzazione e ampliamento delle loro competenze.
In particolare, esso intende assicurare un accompagnamento cooperativo
in tutti i momenti cruciali del processo di apprendimento che vanno dalla
validazione degli apprendimenti acquisiti in passato alla realizzazione di
momenti di orientamento, nonché di percorsi di bilancio di competenze.
Esso mira, inoltre, a facilitare la definizione di un progetto personale sia
di formazione sia di orientamento alla carriera, e a riflettere su una serie
di problemi in particolare di ordine psicologico, sociologico, deontologico talvolta connessi alle relazioni di aiuto.
Il principio che guida l’azione dei formatori è legato, secondo Pineau, a
un paradigma evolutivo, per cui si cerca di utilizzare quello che Sartre
chiamava metodo progressivo-regressivo, in questo caso attualizzato
attraverso il ritorno su di sé reso possibile dall’uso della storia di vita.
Essa è intesa in chiave di strumento di autoformazione e auto-orientamento che coglie l’evoluzione del processo individuale. Tra le opzioni di
metodo fondamentali, l’équipe dei formatori ha scelto di lavorare secondo un modello cooperativo che forma i partecipanti al lavoro di gruppo,
facendo loro vedere che gli stessi docenti funzionano come un gruppo.
Secondo coloro che hanno progettato il D.E.S.S., infatti, le problematiche dell’orientamento e della formazione sono troppo complesse per
essere trattate da un solo professionista, pertanto i docenti del corso di
studi lavorano in équipe al fine di trasmettere lo stesso modello di lavoro ai partecipanti.
I destinatari del diploma sono professionisti appartenenti ad ambiti
diversi (aziende, organizzazioni sanitarie, servizi): accompagnatori di
bilancio, consulenti professionali, consulenti di orientamento, consulenti
delle Mission Locales, psicologi, manager, responsabili risorse umane,
studenti di psicologia o di sociologia, consulenti di formazione-impiego,
coordinatori di centro di bilancio, psicologi del lavoro, consulenti di carriera, persone incaricate dell’accoglienza e del monitoraggio di percorsi
di formazione e orientamento.
A livello di articolazione, il DESS in “Funzioni di accompagnamento”
può durare uno o due anni a seconda delle scelte individuali di percorso
e di combinazione dei moduli (peraltro frequentabili anche senza iscriversi all’intero percorso) e prevede una selezione per titoli e un colloquio
motivazionale.
116
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Sebbene i contenuti possano variare a seconda delle esigenze della persona, la formazione è articolata in moduli raggruppabili in due grandi
aree, in cui si alternano momenti di formazione, lavoro in autoformazione, momenti individuali e fasi di lavoro in gruppo. Le attività didattiche si strutturano in:
. moduli di accompagnamento: costituiti da due sottomoduli che operano, in primo luogo, a livello meta- favorendo la maturazione nel
discente della consapevolezza che lui è il primo attore della propria
formazione, che è portatore di un’esperienza (che potrà essere concretizzata nella creazione di un portafoglio di competenze), che può
riconoscersi in una storia (che dovrà culminare nella scrittura della
propria autobiografia) e che può giungere ad elaborare un proprio
progetto personale e professionale. In secondo luogo, si chiede al soggetto di elaborare un progetto di ricerca e di azione riferito all’attività
professionale che gli permetterà di apprendere una metodologia per
diventare attore della propria formazione;
. moduli tematici: mirano a trasmettere conoscenze di carattere socio-giuridico, in tema di bilancio di competenze e di riconoscimento dei propri
apprendimenti; di carattere metodologico, in riferimento agli strumenti
utilizzabili in un processo di bilancio o di riconoscimento delle esperienze; di carattere cognitivo, al fine di comprendere i processi di apprendimento e mentali di soluzione dei problemi; di carattere antropoformativo, in cui il soggetto può comprendere come si costruisce l’identità individuale; di carattere professionale, nel senso che la persona apprende a
conoscere meglio il tema delle professioni in riferimento al contesto
socioeconomico e il tema delle relazioni umane nei luoghi di lavoro.
Il partecipante al corso ottiene il titolo dopo aver superato tre tipi di
prove: valutazione del portafoglio di competenze e di una sua presentazione orale; scrittura di una memoria autobiografica di ricerca su un
tema connesso alla propria professione e, infine, la discussione orale sulla
sua storia di vita di fronte a una commissione esaminatrice.
A livello di professionisti coinvolti nelle attività formative, le persone che
si occupano della formazione in questo D.E.S.S. sono docenti universitari, psicologi clinici, esperti di orientamento (professionisti con incarichi
di responsabilità presso le Mission Locales o esponenti di centri CAFOC),
nonché consulenti o consulenti di orientamento-psicologi.
Essi lavorano in rete, coinvolgendo spesso anche le proprie associazioni
di appartenenza (tra le altre, esse possono essere il GRAF, il GREF,
Gruppo di Ricerca sull’Ecoformazione, un’Associazione per le Storie di
Vita e, infine, una rete che lavora sul tema dell’accompagnamento e che
si chiama movimento RRR, che sta per “Ricerca, Rete, Reciprocità”).
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Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
In tema di competenze, racconta Pineau, questi professionisti debbono possedere le stesse competenze auspicate per coloro che vanno a formare: competenze per l’analisi del lavoro, per la valutazione del lavoro e per l’orientamento alla carriera; competenze cognitive; competenze antropologiche e,
infine, due competenze che Pineau ritiene indispensabili e che definisce: “di
comprensione dell’umano” e di “conquista del proprio tempo”, intesa quest’ultima come capacità di comprensione e gestione della continuità tra il proprio passato, presente e futuro. Le competenze che si cercano di sviluppare,
infatti, tentano di coniugare, nel proprio profilo professionale, capacità di
manifestare la propria umanità e solidarietà e competenze più tecniche.
Tra i punti forti di questa pratica, in cui momenti autoformativi e autoorientativi si saldano nella costruzione di una propria professionalità,
Pineau ritiene che la partecipazione al D.E.S.S. possa favorire l’apprendimento continuo dei docenti del D.E.S.S. stesso. Esso sarebbe reso possibile, infatti, dal contatto ripetuto con i discenti e le loro esperienze.
Tra i maggiori limiti di questa esperienza, invece, vengono indicati due ordini
di criticità di carattere istituzionale: in primo luogo, esisterebbero, secondo
Pineau, ancora eccessive divisioni tra aree disciplinari diverse che andrebbero ad avere un impatto negativo proprio sulle possibilità di incontro tra i saperi della formazione e quelli dell’orientamento, oltre che sulla preparazione di
figure professionali al confine, come quelle di accompagnamento, che inevitabilmente dovrebbero avere competenze in entrambi i processi; in secondo
luogo, si rilevano impedimenti di ordine strutturale, connessi alla difficoltà di
individuare figure di insegnanti con un profilo istituzionale forte e competenze adeguate alla mission del D.E.S.S.; alla problematicità del reperimento di
risorse sufficienti; alla limitatezza dei tempi previsti per l’aggiornamento degli
stessi docenti del D.E.S.S. appartenenti alla struttura pubblica.
La laurea in Studi di Pratiche Psicosociali: l’autoformazione attraverso
la ricerca56.
Nel corso della sua intervista, Galvani porta come esempio di pratica passibile di integrare momenti formativi, autoformativi, di orientamento e di
auto-orientamento la laurea in Studi di Pratiche Psicosociali, creata nel
2001 presso l’università del Quebec a Rimouski (UQAR), sulla scia di un
precedente progetto voluto da H. Desroche negli anni ‘50.
Questo percorso di formazione è volto “alla ricerca”, intesa come capacità di fare ricerca nel settore delle scienze e delle pratiche sociali. Ere-
La descrizione dell’esperienza è stata tratta da Galvani, P., L’autoformation par la
recherche dans la maîtrise en étude des pratiques psychosociales, documento inedito gentilmente concesso per fini di ricerca dall’autore.
56
118
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
ditando la missione dei cosiddetti études de pratiques, avviati da Desroche e Pineau, la laurea si indirizza ai professionisti e alle professioniste
impegnate nelle forme di intervento psicosociale e mira a offrire un
accompagnamento metodologico, individuale e collettivo alla ricerca utilizzando le storie di vita, la prasseologia e la ricerca-azione.
Il percorso soggiacente alla laurea deriva dal consolidamento progressivo
delle esperienze di autoformazione collettiva alla ricerca previste all’interno dei Collegi Cooperativi nati negli anni ‘50 per volontà di Desroche,
i quali cercavano di combinare e certificare a un livello universitario le
conoscenze teoriche e professionali di esperti in politiche di sviluppo cooperativo e comunitario e nell’educazione degli adulti (Draperi, 1997; cit.
in Galvani inedito). Tutto ciò veniva strutturato a partire da due principi (ereditati, oggi, dalla laurea in Studi di Pratiche Psicosociali): il primo
riguardava la personalizzazione del percorso, che prevedeva che il
discente, inizialmente in posizione ancora passiva di ricezione dei saperi,
divenisse progressivamente più attivo e autonomo nel fare ricerca; il
secondo faceva riferimento a un criterio di metodo fondamentale quale
l’uso dell’autobiografia, che permetteva di definire l’oggetto della ricerca a cui si sarebbe dedicato il discente nel corso della sua formazione e le
tappe di studio previste per il compimento del progetto di ricerca stesso
(inteso sempre nella logica della ricerca-azione). In tale processo giocavano allora e giocano ancora oggi un ruolo fondamentale sia una serie di
apporti didattici interdisciplinari (Draperi, 1997; cit. in Galvani inedito),
sia momenti di lavoro cooperativo.
La logica formativa che sostiene la laurea descritta da Galvani è quella di
una formazione al fare ricerca attraverso la ricerca. In questo percorso,
il soggetto si forma costruendo continuamente legami tra saperi formali,
saperi in azione e conoscenze esistenziali. In questo processo, l’autoformazione è pensata come un’alternanza di formazioni esperienziali non
formali e di formazioni formali che permettono di costruire dei saperi a
partire dalla riflessione sull’esperienza (Pineau, 1999).
Secondo Galvani, infatti, l’obiettivo è quello di favorire una formazione
esperienziale attraverso la ricerca basata su tre fondamenti: prasseologia, fenomenologia, ermeneutica.
Il modello che rappresenta il presupposto concettuale e di metodo dell’esperienza, precisa Galvani, è quello biocognitivo di Pineau che concepisce l’autoformazione come un processo vitale di produzione e riproduzione continua di una forma. “L’uomo esiste in formazione, dice Galvani
citando Honoré (1992), ma il tipo di forma che egli assumerà e il suo senso
dipendono dalle influenze dell’esistenza stessa, dall’esperienza pratica e
dalle conoscenze offerte dall’ambiente sociale della persona.
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Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
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esperienze
Per tale ragione, l’accompagnamento del processo autoformativo avviene
in base al principio etico per cui è responsabilità del formatore quella di
creare un ambiente adeguato affinché l’autoformazione possa avvenire in
modo davvero autonomo, senza eccessi di predeterminazione. In effetti,
nel corso di studi, la facilitazione da parte dei formatori avviene in due
modi: come accompagnamento metodologico dell’autoformazione e come
animazione della co-formazione, ossia del momento cooperativo.
Il processo di autoformazione (accompagnata) avviene attraverso alcune
fasi: in primo luogo, l’analisi critica della vita quotidiana, culturale, professionale e del tempo libero. In questo momento il metodo prevede che il
soggetto sia incoraggiato nella riflessione critica sulle situazioni vissute
dai partecipanti e procede ripercorrendo tutte le fasi della ricerca, che
vanno dalla problematizzazione dell’esperienza vissuta alla ricerca di
informazioni e alla sperimentazione attiva. Dal punto di vista teorico, il
lavoro si appoggia sui metodi dell’allenamento mentale (Entraînement
Mental) di Dumazedier (1994) e sulle pratiche di formazione esperienziale (Courtois et Pineau 1991; cit. in Galvani, inedito).
La seconda fase di lavoro è quella della scrittura della storia di vita: il
processo riflessivo resta la costante di questo momento, ma si estende su
tutti gli ambiti della vita adulta nel rispetto dell’approccio di una ricerca
di senso trasversale (Josso 1991, Galvani 1997).
La terza fase consiste nell’esplorazione e nello sviluppo dei saperi d’azione:
una serie di workshop sulla prasseologia il colloquio di chiarimento (entretien
d’explicitation) e i gruppi di co-sviluppo professionale57, concretizzano il processo di accompagnamento dell’autoformazione dei saperi d’azione basandosi sul concetto di professionista riflessivo di Schön (1994) e su un principioguida del metodo che, attraverso l’applicazione della riflessione sull’esperien58
za vissuta, facilita una produzione collettiva e/o individuale di senso .
Il processo di formazione si basa, dunque, su una dinamica di problematizzazione e di modellizzazione dell’esperienza che parte dalle situazioni
pratiche per giungere alla comprensione del modo stesso in cui vengono
strutturati i problemi, al fine di giungere in seguito a un cambiamento dei
modelli di comprensione della realtà. Questo processo si attua attraverso
una serie di fasi:
57
Per comprendere meglio questo concetto si veda Galvani P. L’autoformation par la
recherche, op. cit., e Champagne C., Payette A. (1997), Le groupe de codéveloppement
professionnel, Presses de l’Université du Québec.
58
Per approfondimenti in merito a queste riflessioni Galvani, nel documento sopra indicato, cita: St-Arnaud Y. (1992), Connaître par l’action, Presse Universitaire de Montréal; Vermesch P. (1994), L’entretien d’explication, ESF, Paris; Galvani P. (1991),
Autoformation et fonction du formateur, Chronique Sociale, Lyon.
120
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
la co-formazione, attraverso gli scambi reciproci dei saperi: in questa
parte del processo i soggetti sono chiamati a descrivere e a formulare la
propria esperienza attraverso la riflessione sulla stessa, per poi confrontarsi in gruppo sui diversi modi con cui ciascuno ha rappresentato
il problema. Questo confronto in qualche modo riconduce l’autoformazione alla co-formazione reciproca (il processo deve però essere sia
59
sollecitato sia mediato) . In tal modo il partecipante può apprendere,
attraverso una logica di gruppo e di rete di esperti, che ciascun problema di ricerca è una costruzione; può meglio imparare a distinguere,
attraverso il contributo dei propri colleghi, ciò che è ricerca e ciò che è
azione; può comprendere ciò che accade nel ricercatore durante il processo di ricerca-azione;
l’incrocio dei saperi: una formazione attraverso la ricerca-azione presuppone uno scambio di saperi appartenenti a campi diversi (Barbier
1996, 1997; Galvani 2003, cit. in Galvani, inedito) quali: ambito teorico che comprende i saperi formali, ambito socio-professionale dei
saperi d’azione, ambito personale dei saperi di vita. Uno dei principiguida della ricerca-azione è proprio quello di riconoscere dignità a
diversi tipi di saperi (Barbier 1996, cit. in Galvani, inedito), favorendone uno scambio all’interno di un percorso accompagnato.
L’accompagnamento da parte di formatori esperti è necessario soprattutto per sostenere il processo di riconoscimento e formalizzazione dei
saperi taciti, contenuti nelle azioni, e dei saperi esistenziali, vale a dire
quelli compresi nel complesso della propria esperienza. Essi sono, infatti, i più ineffabili. In particolare, i saperi esistenziali rappresentano
quella che Legroux (1981, cit. in Galvani, inedito) definisce “la” conoscenza. La natura di questo sapere è data dalla dimensione simbolica
dell’esperienza vissuta (Galvani, 1997) e intessuta attraverso le interazioni con il contesto sociale. Solo con un processo di formalizzazione, il
soggetto può passare da una conoscenza esistenziale ineffabile a una formazione esistenziale (Courtois et Pineau 1991; cit. in Galvani, inedito),
che renda possibile l’esplicitazione delle teorie implicite e la loro integrazione nell’identità individuale. Per fare ciò, i formatori ricorrono
all’uso di metodi e strumenti quali: storie di vita e di pratiche, diari,
osservazione partecipante, che possono sostenere un ritorno riflessivo
sul sè e una presa di coscienza dell’esperienza personale; momenti di
condivisione in gruppi di “esplorazione” dei risvolti dell’esperienza;
un’analisi del contenuto dei materiali prodotti; un elaborato scritto, che
Per una migliore comprensione di questi concetti: Héber-Suffrin C. (1998), Les savoirs
de la reciprocité et le citoyen, Desclée de Brouwer, Paris.
59
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Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
riguarderà un certo argomento, scelto individualmente o collettivamente, su cui il partecipante procederà poi alla sua ricerca personale. In tal
modo, i “saperi d’azione escono dall’anonimato e dall’automatismo che
li rende così sottili e così difficili da esplicitare” (Schön 1994, Vermesch
1994, cit. in Galvani, inedito).
L’attribuzione di valore alle conoscenze pratiche permette di raggiungere una serie di obiettivi nel processo di apprendimento: comprendere che
i saperi sono multipli, reciprocamente pertinenti e tutti legittimi, in
quanto fondati su propri valori e su propri vissuti; favorire l’emancipazione dei saperi individuali rispetto ai saperi teorici e formalizzati, ritenuti fino a quel momento superiori. È necessario, infatti, che il ricercatore/partecipante apprenda che tutti i tipi di conoscenza (teorica, d’azione e esistenziale) possono arricchirsi reciprocamente e che ciascuno,
preso singolarmente, comporta dei limiti.
Con la comprensione del valore formativo di tutti i saperi, si conclude il
primo momento del processo di apprendimento connesso alla laurea. Il
secondo momento vede il partecipante divenire maggiormente attore
nella costruzione dei propri saperi. I principi di fondo della formazione
restano la riflessione e la condivisione in gruppo, ma il formatore cambia
in parte il suo ruolo, divenendo maggiormente un consulente metodologico che allena a seguire itinerari intellettuali60.
In concreto, il partecipante assiste a workshop collettivi in cui ci si “allena” a fare ricerca. Tutti sono invitati a: porre e formulare domande a
partire dall’osservazione dell’esperienza vissuta, in tutte le sue forme;
identificare una questione-problema, precisandola attraverso un processo di destrutturazione dell’esperienza vissuta; ricercare, analizzare, criticare e sintetizzare le informazioni pertinenti per passare dal tema iniziale ad una vera e propria domanda di ricerca; fare il punto della situazione ricorrendo a esperti, a una ricerca bibliografica; provare a guardare il problema sotto diversi aspetti e attraverso differenti punti di
vista; costruire un percorso di inchiesta o di esplorazione dei fatti; osservare e analizzare le pratiche esplicitando le teorie implicite; elaborare e
verificare ipotesi al fine di rispondere alle domande poste attraverso l’esperienza; analizzare e valutare gli scarti tra i modelli e i fatti; produrre
un nuovo sapere come sintesi delle conoscenze acquisite durante il processo; presentare quanto prodotto nel gruppo di co-formazione; confrontare gli approcci e le analisi con altri saperi.
Per approfondimenti Galvani (2003) cita Desroche H. (1990) op. cit.; Chartier D. &
Lerbet G. (a cura di) (1993), La formation par production de savoir, L’Harmattan,
Paris.
60
122
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Attraverso questo processo, l’individuo si colloca come autore in rapporto critico con i propri saperi e i saperi formalizzati. Nel corso degli studi,
infatti, sono regolarmente richieste memorie scritte: nel primo anno
occorre presentare una bozza del problema che si vorrà affrontare nella
ricerca del secondo anno, mentre in questa seconda annualità si deve
produrre un documento di cinquanta pagine. Tutte sono necessarie per
preparare la persona alla scrittura della propria tesi di ricerca prevista
per la fine del terzo anno. Il principio sotteso al percorso di studi è, dunque, quello di rovesciare la tendenza dominante che vuole i partecipanti
“consumatori di saperi” verso una logica che li vede come attori di una
“produzione di saperi” profondamente radicati nella propria individualità, sebbene in dialogo con la realtà.
In questi tre anni, infatti, il partecipante (che occorre non dimenticare è
un professionista) apprende dapprima a riconoscere le sue teorie in atto
per poi passare a utilizzarle consapevolmente, così compiendo quel passaggio da una comprensione in atto a una realizzazione nel pensiero che
aveva già teorizzato Piaget (1974). In tal modo il professionista diviene
professionista riflessivo capace di leggere la sua azione in quanto interazione riflessiva tra lui e l’ambiente (Lavelle 1937, cit. in Galvani, inedito).
La formazione sottesa alla laurea descritta da Galvani, dunque, tenta di
legare i saperi d’azione e i saperi teorici, in primo luogo, facendo in modo
che i professionisti scoprano, analizzando le proprie pratiche, che già
posseggono delle teorie in atto, ma anche che ulteriori teorie sviluppate
da altri possono offrire suggerimenti per la pratica.
Ecco allora che occorre formare i professionisti stessi a saper leggere,
attraverso la ricerca bibliografica, la valutazione critica dei discorsi e
delle fonti; a saper scrivere, attraverso la scrittura euristica del diario
della ricerca, la scrittura riflessiva del diario di bordo; a saper problematizzare e concettualizzare; a saper osservare e investigare e raccogliere dei dati, attraverso una metodologia di indagine, di osservazione, di
colloquio, di analisi del contenuto; a sapersi lasciar ispirare.
In conclusione, dunque, la formazione perseguita in questo corso di
studi tenta di passare dall’acquisizione dei saperi e dallo sviluppo delle
competenze alla ricerca di una propria “forma” personale e alla produzione di senso, capace di prendere in carico anche temi simbolici esistenziali. Questi vengono dapprima esplorati attraverso un percorso
autobiografico, ma poi devono essere assunti come parte di un progetto
di ricerca che contribuisce alla formazione professionale, oltre che personale del ricercatore61.
In questa esperienza sembra che i temi della formazione e dell’autoformazione (anche collettiva) siano più forti rispetto a quelli dell’orienta-
123
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
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esperienze
mento e dell’auto-orientamento. Pare, tuttavia, possibile affermare che
la crescita di consapevolezza rispetto ai tre livelli di saperi (teorici, d’azione, esistenziali) con cui un professionista si confronta non solo permette di integrare le proprie conoscenze nel proprio sé, ma facilita anche
l’auto-orientamento (inteso come capacità di darsi autonomamente una
direzione) nei percorsi di costruzione di altri saperi e di una nuova sintesi tra questi e il patrimonio precedente, che appartiene alla persona in
quanto persona individuata.
2.3 Un’esperienza di ritorno sulla propria vita adulta
L’esperienza della Libera Università di Anghiari62 (LUA)63, che ci ha
descritto D. Demetrio riflettendo sulle possibilità di convergenza degli
ambiti della formazione, dell’autoformazione, dell’orientamento e dell’auto-orientamento, ha un certo rapporto di continuità concettuale con
quelle descritte nel paragrafo precedente, in primo luogo, perché destinata a un pubblico adulto (e di giovani adulti) e, in secondo luogo, perché finalizzata a facilitare un ritorno sulla propria esperienza in una
comune ottica esistenziale di analisi del proprio percorso di vita.
Demetrio, fondatore con S. Tutino64 della LUA (specificamente dedicata
alla formazione attraverso l’autobiografia) rappresenta, nel nostro paese,
uno degli studiosi maggiormente impegnati nella ricerca sull’autoformazione concepita nella sua accezione esistenziale. Ad essa è stato dedicato
un volume monografico (curato dallo stesso Demetrio) della rivista Adultità nel 199965. Sul tema dell’introspezione, legata per questo testimone in
modo indissolubile al tema dell’autoformazione, egli ha dedicato, in particolare, un volume: L’Educazione interiore (2000) e recentemente Autoanalisi per non pazienti. Inquietudine e scrittura di sé (2003).
La LUA nasce nel 1998 come associazione culturale senza fini di lucro
(associazione tuttora esistente) e diviene Università nel 1999. L’idea era
quella di fare in modo che si avviasse, anche sulla base di esperienze franGalvani O. (1997) op. cit. suggerisce come possibili approfondimenti: Pineau G. (1983),
Produire sa vie, autoformation et autobiographie, Edilig, Paris; Holton G. (1981) L’imagination scientifique, Gallimard, Paris; Desroche H. (1990) Apprentissage 3: Entreprende d’apprendre: d’une autobiographie raisonnée aux projets d’une rechercheaction, Editions Ouvrières, Paris.
62
Il luogo di Anghiari ha un significato particolare in virtù del senso stesso del “fare memoria” che ispira il progetto.
63
Alcune delle informazioni contenute in queste pagine sono reperibili al sito www.lua.it e
sulla brochure di presentazione del programma della scuola.
64
Saverio Tutino è un noto giornalista italiano, fondatore, 17 anni fa, dell’Archivio Diaristico di Pieve Santo Stefano.
65
AA.VV. (1999), Autoformazione, Adultità.
61
124
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
cesi, un’attività che sostenesse l’apprendimento della scrittura della propria storia di vita e dell’arte dell’autobiografia. Come indicato nella brochure che presenta le iniziative della LUA, infatti, “la scrittura autobiografica rappresenta un mezzo e un metodo insostituibile per la valorizzazione di se stessi, per lo sviluppo delle capacità cognitive e delle diverse
forme del pensiero, per la creazione di una sensibilità volta a leggere le
testimonianze degli altri e ad ascoltarle per poi riscriverne la storia”.
Il progetto di Demetrio, in particolare, nasce dalla sua esperienza nel
campo dell’educazione degli adulti e dall’aver intuito il potenziale formativo presente nell’approccio autobiografico. Tale interesse lo conduce,
nel 1995, alla costituzione della rivista Adultità e alla fondazione del
Gruppo di Ricerca sulla Condizione Adulta nato nel 1989. Intorno a
Demetrio, professore di Pedagogia degli adulti presso l’Università degli
Studi di Milano Bicocca, si muove da tempo un gruppo di lavoro di specialisti che si interessano, in particolare, al tema dell’autobiografia e che
collabora allo svolgimento delle attività presso la LUA. Il gruppo è costituito da educatori autobiografi che operano attraverso seminari e progetti in scuole e settori del volontariato e dell’azione sociale, al fine di
promuovere quella che viene definita la cultura della memoria.
Oltre al desiderio di formare all’autobiografia, la LUA opera anche con
scopi di ricerca e di approfondimento scientifico e interdisciplinare sul
ruolo, sugli obiettivi, sui significati della scrittura autobiografica e delle storie di vita. Pertanto l’Università diviene un laboratorio di studio dei cambiamenti in età adulta e nelle fasi di transizione alla vita adulta. Il modello
teorico che ispira l’attività della LUA, pur rifacendosi ai contributi propri
del paradigma narrativo, ha maturato un approccio all’autobiografia specificamente italiano, collocato in un filone di tipo più filosofico.
Dal punto di vista delle finalità, il percorso proposto presso l’Università
intende porre l’accento, attraverso l’autobiografia, soprattutto sulla
dimensione autopedagogica, autoanalitica e introspettiva della narrazione di sè, perseguendo due grandi finalità: in primo luogo, quella istituzionalmente definita di formazione professionalizzante all’uso e alla lettura delle biografie e autobiografie. La LUA, infatti, si rivolge al mondo
delle professioni tanto del sociale quanto del volontariato, del mondo
della scuola così come dell’animazione comunitaria e territoriale, al fine
di formare all’utilizzo del metodo autobiografico come strumento di lavoro. In secondo luogo, la pratica dell’autobiografia permette di raggiungere scopi individuali di conoscenza di sé e di trasformazione.
Dal punto di vista degli obiettivi interiori che può avere la persona che
giunge all’Università, precisa Demetrio, si può osservare inizialmente un
obiettivo generico di scrittura di sé, che si trasforma progressivamente
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Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
nella misura in cui avviene il processo di cambiamento personale correlato al processo riflessivo connesso alla scrittura. Tali trasformazioni
possono riguardare sia il livello cognitivo, sia quello decisionale, sia
quello relazionale. In questo senso l’esperienza della LUA può rappresentare un momento di connessione tra processi autoformativi e autoorientativi.
I “discenti” della LUA, in genere, si rivolgono alla scuola e ai seminari
soprattutto perché intendono apprendere e specializzarsi in metodologie
autobiografiche rilevanti per la loro professione. Solo una minoranza di
questi utenti è motivato (a livello consapevole) da un desiderio personale
di scrittura della propria autobiografia.
L’accesso alla LUA è libero (fino al numero massimo di 40 corsisti), previa iscrizione, e non esistono vincoli di titolo di studio o di formazione
precedente. L’unico criterio imprescindibile per la partecipazione alle
attività è quello di accettare di scrivere di sé. La durata del percorso è di
un anno e mezzo circa.
A partire dal 2003, la struttura didattica della scuola assume il nome di
Mnemosine. Il percorso è articolato in tre esperienze che assumono il
nome dalla tradizione pedagogica greca:
Grafein, si tratta di una base propedeutica comune e preliminare ai
due percorsi successivi, a loro volta opzionali, e si articola in due laboratori di scrittura e in un seminario che il partecipante può scegliere
a partire da una gamma di seminari di base offerti. Inoltre il percorso si compone di 50 ore monitorate a distanza attraverso mailing list,
e si avvale di una newsletter e un’area web riservata, destinate all’elaborazione di un testo autobiografico. Al termine del percorso viene
rilasciato un attestato di “Cultore in campo autobiografico”.
Il primo laboratorio è dedicato alle tecniche di scrittura personale.
Esso prevede un momento di introduzione teorica al pensiero autobiografico e al suo valore curativo, pedagogico e sociale. In seguito è
programmata una fase di sperimentazione del valore formativo della
scrittura nei termini dell’accrescimento dell’autoconsapevolezza e
come momento preliminare all’autoanalisi (fase più avanzata del
percorso autoformativo). In terzo luogo, la persona può accedere a
un momento esercitativo che richiede la pratica della scrittura,
affinché la persona possa assumere familiarità con il lato emotivo
della memoria, contemporaneamente sperimentando il piacere della
scrittura e la cura del sé.
Essa è affidata alla ricostruzione delle trame principali della propria
vita e degli attori che l’hanno animata. Nell’ultima fase, si ha un
momento di condivisione che serve a riflettere sulle potenzialità del
126
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
confronto delle storie, siano esse autobiografie o biografie.
Un secondo laboratorio prevede un primo momento di introduzione
teorica e metodologica al colloquio biografico e alla trascrizione, elaborazione e redazione dei testi narrativi.
Al termine di questo primo percorso il discente è chiamato a consegnare una propria autobiografia alla Direzione scientifica, incaricata
di vagliare le richieste di passaggio ai due percorsi successivi, che sono
connotati dal fatto di essere volti alla formazione di campi di competenze professionali specifiche di insegnanti, educatori professionali,
pedagogisti, psicologi e operatori culturali.
Agorà: rappresenta il primo di questi due indirizzi e il suo obiettivo è
quello di “dotare di una preparazione scientifica coloro che intendono dedicarsi, anche su mandato di enti locali, associazioni e pro-loco,
alla realizzazione di progetti e programmi di tutela, conservazione,
sviluppo delle memorie individuali e collettive in un dato ambito territoriale”. Sebbene i contenuti della formazione possano variare tra
un’edizione e l’altra, essi prevedono momenti didattici finalizzati a
fornire conoscenze teorico-pratiche in ambiti diversificati (pedagogico-sociale e di animazione di gruppi; biografico e traspositivo; archivista dei beni locali della memoria; fotografia e osservazione del paesaggio, pittura e ritrattistica amatoriale; cucina tradizionale; manufatti e tradizioni artigianali; erboristica e valorizzazione della flora
locale; metodi di raccolta della documentazione storica; teatro della
memoria e creazione di testi).
Articolato in tre sessioni di studio per un totale di 90 ore di formazione in sede e 60 ore di formazione a distanza (resa possibile attraverso
mailing list, newletter, area web riservata) per la preparazione dell’elaborato finale, esso si conclude con il rilascio di un attestato specifico.
Epimeleia: è il secondo percorso specialistico i cui corsi si rivolgono,
in questo caso, “a coloro che intendono dedicarsi alle pratiche psicosocio-pedagogiche nelle relazioni di aiuto e nella didattica con i bambini, gli adolescenti, adulti e anziani accompagnando sia storie di crescita che di sofferenza”. La scrittura e l’analisi dei testi può servire
anche a integrazione di scopi terapeutici. I contenuti si articolano,
pertanto, nelle aree della psicologia della scrittura personale e della
lettura; grafoterapia; didattiche della narrazione orale e scritta; differenze di genere e scrittura di sé. Anche in questo caso alla formazione in presenza, si alterna quella a distanza (sempre grazie a mailing list, newletter, area web riservata).
Oltre ai tre percorsi illustrati, le persone che li hanno conclusi (e altri
possibili destinatari) possono accedere ad ulteriori tre percorsi avanzati
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Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
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esperienze
di approfondimento: Mnemon: destinato a specialisti del volontariato
autobiografico; Mòrfosis: destinato ai formatori di Laboratori in Arte
dell’autobiografia; Ta eìs eauton: per specialisti in scrittura autoanalitica, che può essere intrapreso solo dopo aver utilizzato lo strumento dell’autobiografia.
Si tratta di un percorso autoanalitico direttamente supervisionato da Demetrio. Esso si articola attraverso momenti di scrittura autoanalitica di cui una
parte può essere condotta online attraverso la costituzione di micro-comunità di penna e di conversazione a distanza, che ogni anno si incontrano per
un momento di confronto e di messa in comune delle esperienze.
Il lavoro dei discenti è prevalentemente individuale, in particolare per il
percorso Grafein. Nei momenti laboratoriali, quando si tratta di lavori
in gruppo, a livello formale sono proibiti scambi e letture sulle autobiografie individuali dei partecipanti, perché tutto è protetto da una totale
privacy, al fine di evitare forme di esibizione, contemporaneamente facilitando l’incontro più profondo con se stessi.
Gli strumenti che vengono utilizzati lungo i percorsi sono soprattutto
scritture, stimoli e sollecitazioni che seguono temi diversi: si va da esercitazioni più di carattere retrospettivo ad esercitazioni di tono più introspettivo, ma sempre a declinazione filosofica e mai psicologica. Tra gli stimoli introspettivi viene proposto per esempio un inventario, ossia uno
schema a domande aperte (ad esempio: “mi ricordo...” oppure “D’estate...”) che richiede al soggetto di rispondere secondo un principio liberoassociativo. In altre occasioni, gli stimoli concernono il tema dei passaggi
di età per cui ci possono essere delle sessioni dedicate all’infanzia o all’adolescenza o all’età adulta, che sono funzionali a una maggiore focalizzazione narrativa sui temi legati alle stagioni dell’esistenza.
Tutti gli stimoli che vengono suggeriti ai soggetti, racconta Demetrio, sono
accomunati dal principio di voler accompagnare il discente in un percorso
di progressivo ritrovamento del proprio passato e delle proprie memorie, ad
esempio con domande come: “in che modo sono diventato ciò che già ero?”.
Verso la fine del percorso, esso può assumere risvolti filosofico-esistenziali più marcati (sebbene la scrittura non divenga mai scrittura creativa). A
questo punto il processo retrospettivo diviene progressivamente introspettivo fino a giungere al momento autoanalitico e può essere accompagnato da domande dedicate alle “stanze della nostra vita”, alle “case della
nostra vita” o agli amori piuttosto che ai momenti dolorosi della vita.
Dal punto di vista dei risultati che si possono osservare a livello soggettivo, Demetrio rileva che essi possono essere diversi per i singoli individui:
in alcuni casi si tratta del cambiamento delle intenzioni iniziali con cui si
era entrati nella scuola, in quanto, talvolta, chi si è accostato all’auto-
128
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
biografia per ragioni professionali scopre il valore personale del ripiegamento e, viceversa, chi ha scelto un cammino di tipo soggettivo comprende le ricadute di questo sulla sfera professionale. In alcuni casi si può
parlare della crescita della sensibilità individuale verso le biografie
altrui, in altre parole l’attenzione rivolta a sé facilita la maturazione di
una maggiore empatia verso la storia di altri (essa si può manifestare
attraverso un maggiore autocontrollo, una maggiore consapevolezza, una
maggiore possibilità di entrare nei processi personali altrui).
Demetrio, inoltre, osserva come gli autobiografi iniziano a nutrire un
bisogno quotidiano di uso del diario e giungano ad animare microcomunità di penna, anche online.
Le autobiografie prodotte alla fine del percorso sono lette solo da Demetrio che suggerisce alle persone possibili approfondimenti (ma non mette
mai in atto una modalità “valutativa”). Gli elaborati individuali possono
essere archiviati ad Anghiari dopo che le persone hanno firmato una liberatoria, oppure esse le tengono per sé.
Per quanto riguarda i professionisti che sostengono questo percorso, si
possono fare alcune distinzioni per le varie proposte formative. Il percorso definito Agorà, si contraddistingue per la presenza di un’équipe
composta da docenti universitari, esperti e da cittadini di Anghiari, che
svolgono attività legate in qualche modo al “recupero della memoria”,
anche nel suo senso più lato: artigiani, antiquari, storici, artisti del paesaggio, poeti, registi e attori, ristoratori.
Per quanto riguarda gli altri percorsi, i docenti sono esperti in genere
nelle tematiche della formazione e dell’autobiografia. Inoltre l’intero
processo (specie nella fase delicata di scrittura della propria autobiografia), in particolare nelle sue fasi di lavoro a distanza, viene sostenuto da
due tutor, laureati in Scienze dell’educazione, che con Demetrio supervisionano i partecipanti nei loro percorsi presso la LUA.
Le dimensioni più critiche dell’intero percorso possibile presso la LUA
sono, in realtà, inerenti alla dimensione più personale, in quanto il procedere del ricordo e della riflessione, fin dalla prima fase, può generare
profondi turbamenti. In questo momento, infatti, la persona può maturare la consapevolezza di avere bisogno di una relazione di altra natura,
quale quella terapeutica.
2.4 Le attività per l’inserimento e/o il reinserimento nel mondo del lavoro
Le due esperienze che si presentano di seguito, grazie alle testimonianze
di F. Tamimi e N. Lavielle (APP 10) e M. Blanc-Rameau (CAFOC), si differenziano dalle precedenti in quanto entrambe hanno un esplicito obiettivo di sostegno all’inserimento professionale di utenti adulti.
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Le
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provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
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esperienze
L’approfondimento del caso APP 10 è sembrato interessante in quanto
esso rappresenta una forma di applicazione di percorsi autoformativi
non esistente in Italia. Si è, pertanto, pensato di esplorare, con operatori impegnati attivamente a facilitare il percorso di apprendimento e di
professionalizzazione, le questioni connesse a un possibile intreccio tra
formazione e orientamento, oltre che le possibili implicazioni di tipo
autoformativo e auto-orientativo.
Questa esperienza, inoltre, insieme con quella del centro CAFOC, permette di ampliare lo scenario della riflessione sui temi di interesse a
fasce di utenza per così dire “a rischio”: immigrati, giovani fuoriusciti
dal percorso di istruzione tradizionale, donne, disoccupati o persone
che hanno perso il lavoro.
Queste fasce di utenti stanno diventando progressivamente i destinatari
di servizi di formazione e orientamento anche in Italia, e per questa
ragione in questa ricerca si è ritenuto utile cercare di comprendere quali
azioni presenti in Francia potrebbero essere esportabili nel nostro territorio o divenire spunti per una progettazione originale.
Prima di passare all’approfondimento dell’analisi dei due casi, occorre
ancora una precisazione. Nel corso dell’intervista presso l’APP 10, la riflessione sui possibili intrecci tra gli ambiti oggetto di questa ricerca ha condotto le operatrici a porre attenzione su alcuni aspetti. In primo luogo, l’intreccio tra formazione, autoformazione, orientamento e auto-orientamento,
al momento attuale, più che non da singole pratiche sarebbe dato più dal
lavoro di rete tra strutture e dispositivi che, svolgendo compiti e funzioni
diverse, determinano la circolazione dei soggetti all’interno della rete stessa.
In questo senso l’integrazione tra agenzie dell’Éducation Nationale piuttosto che non dipendenti dal Ministero degli Affari Sociali e del Lavoro
rappresentano un buon esempio. In alcuni casi, l’idea di un auspicabile
avvicinamento tra le funzioni formative, autoformative e orientative
viene testimoniata dagli interventi progettati in Bretagna e in Borgogna
in particolare, per cui si sono raggruppate fisicamente le strutture aventi funzioni diverse in uno stesso edificio.
Secondo Tamimi e Lavielle, oltre a queste esperienze di lavoro in rete e
di avvicinamento spaziale, se è vero che ci possono essere esperienze
che uniscono processi formativi e momenti orientativi, è pur vero però
che non sembrano esistere sperimentazioni che integrino tutte le attività
contemporaneamente nello stesso processo, né tantomeno forme di
“orientamento all’autoformazione”. Di fatto, ammettono le intervistate, non ci sono impossibilità di principio a che ciò venga realizzato, perché, per esempio, l’autoformazione è una modalità di apprendimento
tra altre e così pure il legame tra formazione, autoformazione e orien-
130
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
tamento potrebbe essere una categoria tra tutte le categorie di formazione pensabili. Allo stesso tempo, però, è possibile che alcune esperienze di convergenza siano sì praticate e applicate, ma non ad un livello consapevole. In altre parole, potrebbero esistere progetti che implicitamente tentano un intreccio all’interno, ma senza che questo venga
perseguito intenzionalmente.
Ad esempio, una serie di dispositivi messi in atto dall’ANPE per l’orientamento professionale e la ricerca di impiego facevano sì che (al momento della ricerca) circa l’80% delle loro attività avvenisse attraverso modalità autoformative. I soggetti, infatti, sarebbero stati coinvolti in percorsi di orientamento realizzati attraverso colloqui, a cui, in base alla logica
del modello educativo di orientamento, si sarebbero alternati compiti di
auto-documentazione, attraverso ricerche autonome, e di autoformazione attraverso letture specifiche. Questo principio, tuttavia, non è dichiarato, cioè non si assume esplicitamente che il soggetto si stia autoformando, ma a livello concreto è esattamente ciò che accade.
In riferimento ai significati che questa tendenza può avere rispetto all’autoformazione, tuttavia, occorre pensare che se è vero che in Francia si
assiste a una progressiva individualizzazione, allo stesso tempo, però,
questo processo non è riconosciuto come autoformazione: tale mancato
riconoscimento testimonierebbe di una certa debolezza, forse anche concettuale, di questo paradigma rispetto ad altri modelli e metodi formativi.
66
L’APP 10 – ASSOFAC
L’APP 10, Atelier de pédagogie personnalisée, collocato nel decimo
arrondissement di Parigi, nasce nel 1999. Esso fa parte di una rete più
ampia di strutture similari presenti su tutto il territorio francese (nel 2002
i centri erano 470 di cui quattro a Parigi). Tutti gli APP condividono una
serie di aspetti comuni (previsti da una precisa legge che definisce il loro
capitolato d’appalto e quindi la natura dell’organizzazione), ma ciascuno
di essi, in base alle associazioni che possono decidere di aprire un centro
APP, possono assumere una serie di peculiarità. Nel caso dell’APP 10, ad
esempio, l’associazione privata che lo ha fondato si chiama l’ASSOFAC
(Association Solidarité Familiale et Culturelle) che si occupa, sul territorio della regione Ile de France, di formazione e di orientamento in partiUna delle testimoni intervistate durante la visita, Nathalie Lavielle, ha partecipato alla
fondazione del centro, mentre Farida Temimi, attuale responsabile del coordinamento,
entra presso l’atelier nel corso del 2001. Nel corso dell’anno 2002, l’APP 10 ha accolto
449 persone, provenienti da tutta Parigi e anche dall’intera regione dell’Ile de France,
elemento che rappresenta una peculiarità rispetto all’usuale logica di funzionamento
degli APP che tendono, infatti, ad operare su territori più limitati.
66
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Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
colare per disoccupati e lavoratori a bassa qualificazione, oltre che di formazione per gli operatori della formazione e dell’orientamento.
I primi APP nascono nel 1983 con lo scopo di accogliere “un pubblico
spesso poco riconosciuto e che chiedeva giustamente un’attenzione diversa per vivere meglio” (Oger, 2003, p. 11). Precursori degli APP sono stati,
in Canada, i cosiddetti Lieux-Ressources67, nome traducibile con l’espressione “Luoghi-risorsa” che ne evidenzia la natura di luoghi di lavoro al
servizio della propria utenza con una connotazione di tipo pedagogico.
Scoperti in Canada da un esponente del DRFP (Délégation Régionale à
la formation professionnelle) della Rhône-Alpes, i centri canadesi vengono esportati in Francia (è il 1982) con la finalità di sostenere il percorso
di giovani usciti dal sistema scolastico, ma con difficoltà a inserirsi nel
mondo del lavoro.
Dopo due anni di sperimentazione, i centri si diffondono sul territorio
nazionale francese. In questo processo di diffusione, essi non solo assumono il nome attuale di Atelier de pédagogie personnalisée, ma vedono
definita anche, tramite la DFP (Délégation à la formation professionnelle), la loro condizione giuridica e amministrativa di servizio, in quanto
viene elaborato un capitolato d’appalto (il Cahier de charges) che tuttora,
con minime variazioni dagli anni ‘80, regolamenta in modo stretto l’identità e l’attività comune (in termini di obiettivi del servizio pubblico, attività e strumenti di formazione) di ciascun APP sul territorio francese.
Gli APP rappresentano da un lato una realtà a forte connotazione territoriale, tanto per le influenze politico-economiche di cui risente quanto
per il tipo di domanda cui tenta di dare risposta e le specifiche modalità
con cui avviene68. Dall’altro, ogni centro conta su un’azione di rete resa
possibile dalla presenza di un servizio nazionale di animazione e accompagnamento chiamato Iota+69.
I centri Lieux-Ressources sono servizi privati di formazione, in cui in particolare gli
immigrati di recente ingresso in Canada possono trovare risorse a fruizione autonoma o
percorsi di consulenza per lavorare o sulle competenze linguistiche (apprendere il francese in specifico) o su quelle matematiche. La relazione con la struttura è mediata dalla
formulazione di un contratto pedagogico definito con gli operatori del centro al fine di stabilire progetto formativo, monte ore di lavoro settimanale e frequenza (fissa) di presenza
al centro oltre agli obiettivi da raggiungere da parte del discente.
68
Come sarà meglio specificato in seguito gli APP sono centri dalle piccole dimensioni e
concepiti per essere funzionali alle esigenze tanto di studio e consulenza individuale,
quanto di incontro e scambio di gruppo.
69
Creato su volontà del DFP e attualmente parte di Algora – Formation ouverte et reséau
(organismo specificamente dedito allo sviluppo della formazione aperta in una logica di
rete), la mission di Iota+ riecheggia la missione generale degli APP, ma ne rappresenta la
struttura di rete. La sua attività è sostenuta da un gruppo di pilotaggio nazionale costi67
132
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Oger (2003) definisce gli APP come un’organizzazione “intelligente, dinamica e flessibile, creativa, capace di favorire l’apprendimento delle conoscenze di base (matematica, francese, scienze amministrative e navigazione in internet), attraverso una metodologia basata sull’individualizzazione e sull’autoformazione accompagnata, per un pubblico in maggioranza
con basso livello di qualificazione” (p. 13). Obiettivo degli APP e della
rete Iota+ è quello di sostenere l’integrazione sociale di giovani e adulti a
rischio di emarginazione attraverso la loro preparazione professionale
(Oger, 2003). Come meglio specifica Perraud (Perraud, 2003), la rete
degli APP ha rappresentato “il primo tentativo massiccio (a livello di
scala del territorio nazionale) di collocare il discente al centro della sua
stessa formazione, al fine di lasciargli uno spazio di scelta negoziato sempre maggiore con il passare degli anni [in termini di]: obiettivi, ritmo,
metodi, mezzi e strumenti di apprendimento” (p. 21-22).
Obiettivo di personalizzazione del percorso e scelta di strutturare un percorso finalizzato alla preparazione professionale specifica e all’inserimento
lavorativo, sono tra le ragioni che hanno indotto la scelta del nome APP per
connotare questi centri, in quanto: il termine atelier intende differenziare il
tipo di formazione offerta in questi centri rispetto alla formazione iniziale
(con cui molti dei primi clienti degli APP avevano avuto una relazione fallimentare), “riferendosi in modo implicito al ‘mondo del lavoro’, dove tutti
hanno dei compiti particolari da portare a termine” (Perraud, 2003, p. 29).
L’aggettivo pedagogico sintetizza la qualità di questi luoghi quali contesti di
apprendimento finalizzati all’inserimento professionale e sociale, mentre
l’aggettivo personalizzata, anziché “individualizzata”, è stato scelto perché
tuito da rappresentanti delle istituzioni statali e regionali, animatrici dello sviluppo degli
APP. Tale équipe si occupa anche del sostegno ai gruppi di lavoro che agiscono sul territorio. Secondo quanto illustrato da F. Temimi dell’APP 10, a livello regionale esistono dei
gruppi di lavoro costituiti da operatori degli APP che si incontrano con il gruppo di animazione regionale (nel caso specifico dell’APP si tratta della regione Ile de France) quattro volte l’anno e lavorano su tematiche connesse al funzionamento degli APP come gruppi di riflessione e scambio di esperienze.
La rete Iota+ che unisce gli APP si occupa, tra le altre cose, del coordinamento delle attività per la formazione formatori (con iniziative unificate messe in campo ogni anno), della
creazione di bollettini di informazione che veicolano esperienze dei diversi APP, lasciando spazio di scrittura agli operatori del territorio, della messa a punto di una procedura
di raccolta di dati statistici relativi alle attività dei vari centri e aggiornata in tempo reale,
attualmente, sul sito internet degli APP (www.app.tm.fr).
L’informatizzazione progressiva della strumentazione e dei processi ha, inoltre, favorito
l’inserimento degli APP nella rete di strutture di sostegno all’attività di organismi di formazione continua con competenze specifiche nella gestione dei processi “a distanza”: i due
partner principali sono lo CNED (Centre national d’enseignement à distance) e il CNEFAD (Centre national d’enseignement et de formation à distance).
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Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
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dalle
esperienze
può connotare meglio la particolare qualità della relazione tra discente e
formatore, identificando la centratura sul soggetto in apprendimento,
accettato nella sua condizione attuale, sia a livello personale (potenzialità e
limiti) che sociale, oltre che nel rispetto del suo progetto e dei suoi obiettivi.
Nella progettazione dei Lieux-Ressources, che hanno ispirato la costituzione degli APP, alla mission di formare in particolare persone a rischio di
estromissione dal mondo del lavoro, si è associato anche un legame particolare con l’azione a carattere orientante. Il progetto, che tenta di dare
una prima risposta anche di ordine organizzativo a questa situazione di
disagio70, concepisce, infatti, un’azione articolata su quattro livelli: un
momento di accoglienza, di orientamento e di monitoraggio (ritenuto
imprescindibile); la preparazione alla formazione professionale; dei percorsi di formazione qualificanti e professionalizzanti (ma altamente flessibili per accogliere gli utenti nel momento più opportuno rispetto al loro
progetto di vita e alla loro condizione presente); l’avviamento al lavoro.
La creazione dei Lieux Ressources, poi divenuti APP, avviene, dunque,
con la precisa intenzione di farne luoghi di formazione aperta, ma collegati con i centri di orientamento (che sono spesso collocati anche fisicamente
vicino al Lieu Ressource), al fine di garantire un senso di continuità.
Per entrare più nel dettaglio dell’attività degli APP, i loro capitolati di
appalto71 prevedono alcune condizioni fisse: i destinatari dovevano e
devono giungere al centro con un progetto di formazione o di impiego
validato all’interno di un centro di accoglienza, orientamento e monitoraggio; la formazione deve essere professionalizzante o qualificata e deve
facilitare l’ingresso nel mondo del lavoro, attraverso una varietà di contenuti e di strumenti offerti; i percorsi devono essere individualizzati con
ingressi e uscite pressoché permanenti, formulazione di contratti di
apprendimento a partire dagli obiettivi del progetto formativo, definizione di un calendario di presenza al centro (la presenza, pertanto, non è
più quotidiana e a tempo pieno come per gli stage), percorso seguito da
un formatore specifico; gli operatori devono essere esperti nelle discipline costituenti i saperi di base a cui l’APP deve formare; la collocazione,
in base alla quale i centri devono rispettare il cosiddetto “principio di
prossimità”, ovvero devono essere ben radicati in una determinata realtà
Si tratta del “Plan Boutin”, dal nome di André Boutin, rappresentante del DRFP.
In questo processo di sviluppo il ruolo delle strutture istituzionali che operano a vario
livello (Ministero del Lavoro, piuttosto che non Éducation Nationale, DRFP e enti o consorzi regionali, oltre ad associazioni pubbliche e private, anche a connotazione politica)
rientra nella attività volte alla creazione dei Lieux-Ressources prima e degli APP poi,
assumendone anche la responsabilità, nell’elaborazione prima e nel monitoraggio poi, dei
principi di funzionamento burocratico-amministrativo e pedagogico.
70
71
134
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
locale; la condizione dei discenti, che non sono remunerati durante il
periodo di formazione (fatta eccezione per alcune categorie di lavoratori)
al fine di evitare fenomeni di “parcheggio”.
La natura della struttura d appoggio72 che crea l’APP sancisce delle
differenze tra i centri stessi. Ad esempio, l’ASSOFAC (che supporta
l’APP 10) lavora in particolare anche sul tema dell’orientamento. Ciò
ha permesso al centro APP di mutuare strumenti ed esperienza professionale in tal senso.
Dal punto di vista del modello teorico e degli obiettivi della pratica in APP,
l’attività si avvia da una concezione dell’apprendimento e della persona di
tipo costruttivista. Il ruolo dei formatori non è, infatti, inteso nel senso di
agenti di trasmissione di saperi. In APP non esistono veri corsi, bensì si
cerca di facilitare, prima di tutto, l’autoformazione. L’esito è, dunque,
quello di un’autoformaizone assistita, che consente l’accesso delle persone
mettendo a loro disposizione soluzioni strumentali e logistiche con la specifica finalità di sostenere la persona nella sua personale ricerca, costruzione
e comprensione dei contenuti. Questo passaggio appare come il primo passo
per facilitare al contempo il percorso evolutivo e di crescita che si presuppone essere alla base del modello di discente che sostanzia l’approccio.
Se, dunque, il discente è al centro del processo formativo, allora l’intera
organizzazione del percorso dovrà mettere a sua disposizione la gamma
più articolata possibile di competenze (di esperti disciplinari) e di fonti e
mezzi per permettere alla persona di poter scegliere quello che le è più
funzionale in termini di obiettivi di apprendimento. Tale percorso di scelta è sostenuto a sua volta da formatori che hanno il compito di esplorare
con la persona ciò che può facilitare il suo apprendimento.
Tra gli obiettivi specifici del servizio, dunque, vi è lo sviluppo della persona attraverso l’apprendimento. Questo concetto appare importante ai
fini della nostra ricerca, in quanto la relazione tra momento autoformaLe operatrici intervistate presso l’APP 10 spiegano che ciascun APP può essere costituito da una diversa “struttura di supporto Groupe d’Etablissement de l’Éducation Nationale”: si tratta, appunto o di centri o istituzioni pubbliche (ad esempio potrebbero essere
i GRETA), così come anche associazioni private che concorrono a un bando di gara dello
Stato (unico ente a cui spetta l’autorità di decidere per la creazione di un nuovo atelier).
Quando viene rilevata la necessità dell’istituzione di un APP, infatti, lo Stato emana un
bando a cui possono rispondere strutture che operano già come centri di formazione. Esse
si apprestano a proporre un progetto. Il migliore viene approvato e determina la creazione dell’APP. Ciò fa sì, quindi, che l’azione dei vari atelier possa differenziarsi in certa
misura, ad esempio, nelle modalità di innovazione metodologica o strumentale adattandole alla propria realtà territoriale. Nel decimo arrondissement ci sono quattro APP: a
suo tempo ne mancava uno su questo territorio, per cui l’ASSOFAC ha proposto un progetto al corrispondente bando, vincendo e sancendo la nascita dell’APP 10.
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tivo e orientativo non è solo facilitata da una vicinanza spaziale tra strutture di formazione e agenzie orientative, come detto in precedenza, ma
anche attraverso l’assunzione di una concezione olistica della persona.
Il presupposto di base è che agendo sulle sue conoscenze (con una soluzione di autoformazione assistita), si favorisca la crescita complessiva
(con un esito a livello di autoformazione “esistenziale”). Le operatrici
intervistate, inoltre, hanno sostenuto di muoversi per un’azione finalizzata a incoraggiare una sorta di auto-orientamento, in quanto tentano di
accompagnare la scelta individuale del soggetto rispetto al proprio futuro.
Affinché il percorso abbia esito positivo, tuttavia, è indispensabile che le
persone siano motivate, fatto a volte reso più difficoltoso dalla mancanza
di remunerazione del percorso, dal metodo scelto per lavorare (vale a
dire l’autoformazione) che per la maggior parte di loro risulta nuovo, e
da una certa lunghezza del percorso.
Nel corso di vent’anni sembrano essere stati circa due milioni di persone
quelle che hanno varcato la soglia degli APP, a partire dal momento in cui
ancora si chiamavano Lieux-Ressources, per praticarvi, in media, circa
un centinaio di ore di formazione. Il gruppo di destinatari, che rappresenta il bacino iniziale di queste strutture, sono stati essenzialmente “giovani in rottura con il sistema dell’educazione tradizionale, in cerca di un
impiego per cui però non hanno la qualificazione necessaria, e che non
riescono a trovare soddisfazione negli stage standardizzati messi in piedi
durante gli anni ‘80” (Veilex, 2003, p. 40).
In base a quanto previsto dal capitolato d’appalto, ciascun APP è obbligato a compilare una quindicina di tabelle di bordo mensili (messe a
disposizione sul sito Internet degli APP73, oltre che raccolti a livello tanto
regionale quanto nazionale). In questi documenti “vengono registrati i
nuovi arrivi (di cui vengono indicati i dati anagrafici come età e sesso
oltre alla condizione socio-professionale di quel momento e il progetto), il
monte ore di formazione realizzato (chi sono i finanziatori, quali sono gli
ambiti della formazione, quali le situazioni pedagogiche scelte), le uscite
(situazione al momento del termine, stima sul grado di raggiungibilità
degli obiettivi)” (Veilex, 2003, p. 43).
Gli utenti degli APP sono molto diversi tra loro: da un’utenza iniziale,
principalmente di giovani tra i 16 e i 25 anni poco qualificati e ormai
esterni al sistema scolastico, si passa, grazie alla volontà dei finanziatori
e degli operatori, a un pubblico più diversificato in cui, come nel caso dell’APP 10, gli utenti vanno dai 17 anni ai 60.
Si tratta di uomini e donne di tutte le età, di tutti i livelli scolari, sala73
www.app.tm. fr
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
riati così come persone in pensione (Veilex, 2003, p. 44) con molteplici
bisogni: da donne che rientrano nel mercato del lavoro, dopo il periodo
dedicato alla famiglia, ad artigiani. Nell’APP 10, per esempio l’utenza
può provenire dall’ANPE, dalle Missions Locales o dalle imprese, ma
possono anche esserci candidature spontanee o operatori sociali che
beneficiano delle RMI (Revenu Minimum d’Insertion, si tratta del sussidio di disoccupazione).
Le loro richieste vanno dal conseguimento di un titolo scolastico, all’imparare a leggere e scrivere, ad apprendere il francese e le lingue straniere, alla preparazione a concorsi.
Di fatto, l’utenza degli APP resta composta in maggioranza da persone
disoccupate74, donne75, soggetti con un basso livello di qualificazione76,
detenuti77, dipendenti di imprese78 e paganti79.
Dal punto di vista dell’articolazione del processo, dei metodi, degli strumenti e delle risorse attivate, due sono le caratteristiche che contraddistinguono gli APP come dispositivi formativi: l’apertura e la flessibilità.
Nel corso dell’anno 2001 circa il 60% delle persone entrate in un percorso APP erano
disoccupate. Dato interessante riportato è che al momento dell’uscita dello stesso campione solo un 37% circa era ancora nella condizione di disoccupazione, segnale, questo,
di una modificazione in corso della situazione di molti soggetti, attribuita per certi versi
anche allo stesso processo di apprendimento (Veilex, 2003, op. cit.).
75
Queste donne dimostrerebbero anche una maggiore tendenza a trovare soluzioni alla
loro condizione di disoccupazione attraverso la formazione e, in particolare, tenderebbero a favorire un metodo più attento alla persona, perché basato sull’ascolto e sulla presa
in carico delle difficoltà e dei limiti personali. Inoltre la flessibilità organizzativa dei percorsi di apprendimento permetterebbe in particolare alle donne di conciliare meglio il
loro percorso formativo con le responsabilità famigliari (Veilex, 2003, op. cit.).
76
Mentre il pubblico con scarsa qualificazione (livello uguale o inferiore al V) resta il più
numeroso, le accresciute necessità di formazione sul versante dell’information technology
e della gestione amministrativa informatizzata, hanno sancito l’apertura a un pubblico di
popolazione di livello scolastico superiore (livello III e IV) che, in termini di quantità, è
rapidamente raddoppiato tra il 1991 e il 2001. Solo alcuni APP sono strutturati per sostenere il percorso di apprendimento anche dell’analfabetismo e l’APP 10 è uno di questi
77
Esistono dei decentramenti di APP anche all’interno degli istituti di detenzione, in particolare di quelli che accolgono detenuti con pene di breve periodo.
78
Nell’anno 2001 rappresentavano solo il 10% degli utenti complessivi. Si tratta di una fascia
ancora poco coinvolta nei processi di apprendimento autoformativo, in quanto, da un lato,
esiste una resistenza ideologica degli APP, nati eminentemente con lo scopo di sostenere persone senza occupazione, e dall’altra anche tra le imprese non è ancora diffusa la sensibilità
all’uso di questi dispositivi. Dal punto di vista dei dipendenti, categorie di utenza particolari sono quelle di salariati con contratti speciali come i Contrat Emploi Solidarité e altre
forme di contratto privilegiato. I salariati che accedono a questo tipo di servizio necessitano spesso di un aggiornamento soprattutto a livello di competenze informatiche.
79
Rappresenta una percentuale minima, ma pur sempre presente, di utenti degli APP. Essi
sono connotati dal fatto di accedere volontariamente e di pagare autonomamente il servizio.
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
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Del modo in cui l’apertura venga concretizzata all’interno di queste
strutture si è già è parlato in qualche modo nei paragrafi precedenti. La
flessibilità di queste strutture è, invece, argomento, più complesso, nella
misura in cui essa richiede un’organizzazione rigorosa, in quanto la logica di funzionamento impone di: individualizzare il processo articolando
risorse, tempi e metodi in maniera adeguata tanto alle esigenze individuali quanto a quelle complessive, gestendo, inoltre, un flusso continuo
di entrate e uscite (Thion, 2003).
Anche l’organizzazione degli spazi e la gestione degli strumenti e dei
metodi sono strettamente regolamentati attraverso il capitolato d’appalto nazionale: in termini di orari al pubblico, gli APP sono aperti tutta la
settimana, compreso il sabato e talvolta anche la sera. Dal punto di vista
logistico, ad esempio, l’organizzazione spaziale della struttura deve essere funzionale al principio della libera accessibilità alle risorse, della libera circolazione delle persone e, allo stesso tempo, deve rispettare un principio di relativa informalità per evitare di suscitare l’impressione di essere una struttura scolastica. In particolare, in ogni APP esistono un centro risorse di documentazione, postazioni di lavoro dotate di computer e
uno spazio aperto e conviviale, in cui si cerca di favorire la creazione di
una dinamica di gruppo che sappia stimolare senso di appartenenza e
confronto tra gli utenti.
Esiste poi uno spazio di accoglienza, costituito dall’ufficio di segreteria
amministrativa, dall’ufficio del coordinatore e da uno spazio di attesa.
Oltre a tali stanze si trovano gli spazi utilizzati dai formatori. Il vincolo dato
dalla necessità di rispettare i criteri previsti dal capitolato crea non pochi
problemi logistici per un centro come l’APP 10 che ha poco spazio a disposizione: si tratta di 200 metri quadrati in cui devono collocarsi tutti gli uffici indicati. Il centro è organizzato su due piani: al superiore si trovano gli
uffici amministrativi e pedagogici, mentre in quello sottostante il locale che
contiene 14 postazioni informatiche a completa disposizione dei discenti.
Dal punto di vista dell’organizzazione pedagogica, negli APP si trovano
strumenti di supporto quali libri, dossier per materia e dossier autocorrettivi, fogli lavoro e fogli autocorrettivi, CD-rom e altri strumenti multimediali (essi rendono possibile l’autoformazione attraverso supporti virtuali; facilitano lo scambio di informazioni, strumenti, documenti, risorse attraverso la posta elettronica; agevolano la partecipazione a videoconferenze o a piattaforme di scambio). Inoltre i centri risorse sono dotati di dizionari, enciclopedie e manuali di grammatica, oltre ad altri documenti che possono essere utilizzati sia dalla persona in autonomia sia con
il formatore. I formatori stessi cercano di variare, mescolandole, attività
e strumenti di supporto. I casi e gli esercizi assegnati alle persone sono
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
dotati di correzioni, in modo che la persona sia autonoma nel processo di
valutazione del proprio lavoro.
Dal punto di vista del percorso di formazione, esso inizia al momento in
cui quelli che vengono definiti “prescrittori” (ad esempio ANPE piuttosto che non un CIO o una Mission Locale, per non citarne che alcune, o
da un’impresa) inviano una persona all’APP o quando una persona decide di accedervi spontaneamente.
La persona giunge in APP, normalmente, con un progetto di formazione
già definito (fanno eccezione quegli utenti con candidatura spontanea) dal
“prescrittore”, che in genere prevede l’acquisizione di alcune competenze
ritenute mancanti. Al termine del processo, in genere, la persona viene rinviata al prescrittore, ma se durante il percorso di formazione si sono rilevati altri bisogni (di orientamento, di formazione), il personale dell’APP
può inviare la persona a strutture adeguate a soddisfare tali bisogni.
Un criterio importante per la riuscita del processo è la qualità del progetto (in ciò, quindi, la fase di orientamento appare cruciale) che dovrebbe essere portato a compimento in un periodo di un mese - un mese e
mezzo. Tale durata è fissata all’inizio dal “prescrittore” stesso. Dopo la
fine di questo periodo, un momento di verifica attesta se la persona può
uscire dal percorso o se deve proseguirlo.
Dopo il primo incontro di accoglienza dell’utente, in cui la persona può
iscriversi al centro, segue una riunione informativa, durante la quale si
spiegano sia le modalità di funzionamento e l’organizzazione dell’APP
sia lo specifico dispositivo dell’autoformazione, in quanto metodo
pedagogico scelto.
A questo momento segue un secondo colloquio con un operatore in cui,
oltre al chiarimento di alcune implicazioni amministrative, si avvia il lavoro sul progetto. La finalità di questo incontro è duplice: da un lato, verificare la fattibilità del progetto alla luce della situazione che viene descritta
dal candidato; dall’altro, comprendere se realmente l’APP è il dispositivo
che può realizzare quel progetto. Nel caso in cui si rilevi la non adeguatezza del dispositivo rispetto ai bisogni individuali dell’utente, allora l’APP
può rinviare il soggetto al prescrittore.
In seguito a queste fasi preliminari, la persona viene assegnata a un formatore che sarà responsabile del suo percorso per tutta la durata. A questo punto si somministrano alcuni test finalizzati a comprendere il livello
di preparazione del soggetto e a capire a che punto è rispetto al percorso
di cui necessita per poter realizzare il suo progetto. Segue la restituzione
e la negoziazione del contratto pedagogico, in cui, alla luce dei risultati,
viene predisposto il contratto pedagogico personalizzato e si verifica che
l’utente abbia compreso le tappe che lo attendono. Successivamente si
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
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procede con la definizione del planning settimanale di formazione: si
tratta della negoziazione tra la persona e il formatore responsabile del
numero di giorni in cui la persona dovrà essere presente al centro e di
come questi ultimi possono essere organizzati, della durata del suo percorso e dei contenuti. A questo punto la persona è pronta per entrare in
formazione. Essa inizierà circa quindici giorni dopo: questo lasso di
tempo è considerato una sorta di “periodo di adattamento” del soggetto
al metodo proposto e di consolidamento della motivazione.
I colloqui iniziali hanno un valore particolare al fine della verifica della
motivazione alla partecipazione ad un dispositivo di autoformazione assistita. In genere, presso l’APP 10 circa il 95% delle persone che sostengono il primo colloquio proseguono la formazione.
Il formatore, nel rispetto del principio dell’autoformazione accompagnata, si preoccupa di spiegare al soggetto il funzionamento organizzativo e
pedagogico del centro e si occupa di firmare il contratto pedagogico con
il discente, fissa gli obiettivi, assegna gli esercizi, ridefinisce il percorso in
caso di necessità. Thion (2003) definisce il formatore come un facilitatore che è contemporaneamente tutor, accompagnatore-guida, personarisorsa. Egli sceglie gli strumenti di supporto sulla base del ritmo di
apprendimento del soggetto, che incontra regolarmente al fine di monitorare costantemente la coerenza del contratto pedagogico o la necessità di
modificarlo oltre che, al termine del percorso, la possibilità di concludere o di proseguire la formazione.
Il vantaggio di un percorso di autoformazione assistita in APP è la possibilità di entrare in un dispositivo flessibile, che risulta complementare ad
altri, ma in cui la persona sente garantita la sua centralità. Questa condizione assicurerebbe, inoltre, un vantaggio ulteriore, sebbene in certa
misura contro-intuitivo, rispetto all’individualizzazione del processo in
quanto: “L’APP è un luogo di formazione, ma anche di recupero della
fiducia in se stessi, di condivisione, in cui si incontrano uomini e donne
con prospettive diverse e con progetti diversificati” (Veilex, 2003, p. 44).
La relazione con altri utenti e con i formatori permette, infatti, un
ampliamento dei punti di vista e sostiene anche la socializzazione degli
apprendimenti e delle esperienze.
A livello di risultati attesi, le operatrici dell’APP 10 affermano che è
auspicabile che il percorso di formazione generi, in realtà, altra domanda di formazione; che accresca l’autonomia del soggetto, in particolare
nei termini della gestione autodiretta del proprio processo di apprendimento; che sostenga la promozione sociale degli individui, in particolare di quelli con maggiore grado di svantaggio, facilitando il loro accesso al sapere.
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Se si considerano gli esiti reali, invece, le operatrici sostengono che la formazione, sebbene raramente permetta di trovare un impiego stabile, può
comunque attivare processi di cambiamento nell’utente che vanno ad
incidere sul suo progetto professionale e di vita.
Egli, infatti, può, per esempio “confermare o costruire un progetto professionale orientato verso una successiva formazione qualificante o verso
la preparazione di un concorso” (Veilex, 2003, p. 51-52). Questo processo di cambiamento sembra positivamente innescato dai processi riflessivi
che i soggetti ammettono di attivare rispetto al loro stesso progetto, grazie alla presenza della figura del formatore, che si rende stimolo e mediatore di questi processi di auto-interrogazione.
I metodi pedagogici, d’altro canto, assumono una rilevanza particolare
in tutto ciò, in quanto permettono al discente di maturare una maggiore fiducia in sé, che, a sua volta, si collega positivamente con l’attivazione di nuove energie per la ricerca di un lavoro e con una ri-conciliazione tra immagine di sé e il cambiamento rappresentato da un nuovo
momento di formazione.
L’APP 10 (al momento della realizzazione delle interviste) aveva un personale composto da un’équipe di quattro formatori (ciascuno dei quali è
referente per un certo numero di soggetti per cui è incaricato dell’accompagnamento e del bilancio), due segretarie a tempo pieno e la coordinatrice, anch’ella a tempo pieno che svolge, però, anche funzioni amministrative e pedagogiche. I formatori incontrano immediatamente le persone, già
al momento del primo incontro, in cui presentano se stessi e il proprio
ruolo oltre agli strumenti pedagogici. La loro presenza accanto alla persona è maggiore nella fasi iniziali del processo e diviene progressivamente
minore nella misura in cui la persona si appropria del metodo. Per quanto riguarda il funzionamento interno, i formatori si confrontano regolarmente in gruppo sull’andamento delle persone coinvolte nel dispositivo.
Dal punto di vista delle competenze, i formatori devono essere esperti in
almeno due ambiti di contenuto (dalla matematica di base alle lingue straniere, dall’informatica al francese...). Inoltre, essi devono possedere, in
primo luogo, competenze di accompagnamento individualizzato. La formazione di questa capacità avviene sul campo. Secondo Haeuw (2003)80,
inoltre le competenze dei formatori degli APP possono essere distinte in:
competenze concettuali, quali capacità di analisi e di comprensione; competenze tecniche di tipo pedagogico, quali conoscenza dei metodi e dei
Haeuw F. (2003), Pratiques et compétences des formateurs en APP. In P. Carré, M.
Tétart (a cura di) Les Ateliers de Pédagogie Personnalisée ou l’autoformation accompagné en actes, Parigi, L’Harmattan, pp. 57-78.
80
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processi formativi; competenze umane a livello di relazioni interpersonali e intrasoggettive.
Dal punto di vista del titolo di studio, i formatori devono possedere almeno un BAC+3 su di una materia, mentre seguono un’ulteriore formazione successiva grazie all’offerta che la rete APP predispone per i formatori della rete stessa.
Cercando di tracciare un bilancio del funzionamento del dispositivo APP
10, le intervistate individuano alcuni punti di forza di carattere organizzativo, quali la possibilità di essere collocati, come centro pubblico,
all’interno di una rete e di essere affiliati a strutture associative private
(ad esempio, ASSOFAC). L’appartenenza a una comunità di pratiche
arricchisce di innovazioni il centro. Nel caso dell’APP 10, la relazione
con ASSOFAC permette di utilizzare l’expertise accumulata nel tempo
negli ambiti della formazione e dell’orientamento e può tradursi, per
esempio, in proposte nuove proprio sul fronte degli strumenti e dei metodi, in particolare, di carattere tecnologico.
Sempre sul versante organizzativo, ma questa volta interno, per gli operatori essere parte di un dispositivo di autoformazione “libera” quel
tempo che, nei processi tradizionali, essi impegnerebbero direttamente
con gli utenti, e lo utilizzano a favore della progettazione e dell’innovazione sul piano dei metodi. Tali professionisti sono motivati a questo lavoro sul piano metodologico dalla consapevolezza di esercitare anche una
funzione sociale di promozione dell’utenza, fondata su un’ideologia che
incoraggia la libertà dell’individuo e la sua autonomizzazione dal sistema, prima di tutto attraverso il libero accesso ai saperi.
Sul piano umano, tra le peculiarità del processo in APP, occorre annoverare anche alcune caratteristiche di quelle persone che accettano di
entrare in un dispositivo di questo tipo. Esse appaiono particolarmente
predisposte a tornare su se stesse e sulla propria storia al fine di riappropriarsi delle strategie e di prendere coscienza di sé.
Sul fronte delle criticità che possono caratterizzare l’attività dell’APP, i
principali nodi sono: a livello di utenza, tema verso il quale le intervistate esprimono rammarico, perché non possono spesso accettare tutte le
persone disperate che richiedono aiuto al centro, in quanto, in termini di
obiettivi e di metodo, la struttura non può prendere in carico tutti i tipi
di problematiche; a livello di risorse, in quanto i finanziamenti sarebbero insufficienti e, per strutture come l’APP 10, sovvenzionate da un’organizzazione privata, le spese non possono essere demandate allo Stato
ma debbono essere totalmente sostenute all’interno.
Questa limitazione sul piano economico non solo comporta una restrizione delle opportunità di innovazione e di scambio con la rete di APP, ma
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
impone anche di garantirsi un afflusso continuo di utenza per poter sovvenzionare il centro.
I processi di ingresso e di uscita pressoché continui, con afflusso costante di persone nuove, finisce con il sottoporre l’organizzazione a una pressione non indifferente rispetto al tipo e al numero di professionisti da
mettere in capo per far fronte alla domanda, al tipo di percorsi da progettare e agli strumenti da adottare. Questo fa sì che gli operatori si assumano più funzioni su di sé: ad esempio gestione amministrativa e contemporaneamente progettazione, con conseguente carico di lavoro.
Il progetto DéCAMob
Blanc-Rameau nel corso dell’intervista descrive l’esperienza di un progetto di ricollocazione chiamato DéCAMob. Esso ha avuto luogo all’interno dell’organizzazione GRETA (Group d’établissements publics
locaux d’enseignement) con specifico coinvolgimento del centro CAFOC
(Centro Accademico di Formazione Continua).
I GRETA sono centri collocati su tutto il territorio francese e dipendono
formalmente dall’Éducation Nationale. La rete GRETA di Parigi è attiva essenzialmente su due versanti: quello dell’offerta di formazione e
quello dell’offerta di consulenza. Nel primo caso, i percorsi formativi
offerti vanno da quella terziaria a quella specializzata, dalla formazione
dei formatori alla formazione di tutor aziendali. Per quanto riguarda la
consulenza e il sostegno alle politiche delle risorse umane, i GRETA
hanno un’offerta variegata che va dall’analisi dei bisogni sino alla consulenza per la progettazione della formazione, dalla realizzazione di
bilanci di competenze a percorsi di validazione delle acquisizioni.
Per quanto riguarda il CAFOC di Parigi, si tratta di un centro accademico che è parte della rete GRETA, pur mantenendosi autonomo in
determinate azioni. Il CAFOC (di cui è responsabile Blanc-Rameau) è
una struttura dedicata in primo luogo alla progettazione della formazione e di strumenti pedagogici e alla formazione dei formatori. Essa si pone
al servizio di tutti i GRETA, ma può anche offrire direttamente alle
aziende servizi di formazione e consulenza. In particolare, il CAFOC di
Parigi è fortemente orientato al mercato e alle imprese, in particolare in
percorsi di accompagnamento alla mobilità dei dipendenti e al loro riorientamento professionale.
Blanc-Rameau ha illustrato come in questi processi l’obiettivo sia quello
di attuare processi di educabilità cognitiva, ovvero di formare le persone
all’apprendere ad apprendere, ritenuto strumento fondamentale per
poter garantire la flessibilità e la capacità di (auto)orientamento degli
utenti in un mercato sempre più flessibile.
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
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Tale obiettivo è stato anche quello che ha accompagnato la realizzazione del
progetto DéCAmob che prende le mosse nel 1999 sulla scia di un processo
di riorganizzazione che vede coinvolto l’ospedale Saint Joseph81 di Parigi.
L’iniziativa progettuale si configura come un percorso di sviluppo delle
competenze e di accompagnamento alla mobilità interna, come indicato dal
suo nome, DéCAMob82. Esso si rifà all’expertise globale della rete GRETA
di Parigi in materia di consulenza e di ingegneria pedagogica, di orientamento e di bilancio professionale e di formazione (Dubois e Faivre, 2001).
Di fronte alle crescenti incombenze legate alla gestione del budget e alle
modifiche relative all’orario lavorativo di 35 ore, a partire dal 1993 tale
istituzione si è trovata progressivamente impegnata in un processo di
accreditamento e di modernizzazione delle infrastrutture. La creazione
di raggruppamenti su due poli, rispettivamente medico-chirurgico e
medico-tecnico, ha determinato nel tempo un incremento della richiesta
di competenze polivalenti e adattabili mentre, contemporaneamente, per
altre mansioni ospedaliere si è evidenziata progressivamente una necessità di riconversione. Come effetto dell’intero processo, si profilava
anche un problema di esubero di personale, ma l’ospedale come ente
non-profit non poteva licenziare i propri lavoratori.
Allo stesso tempo, tuttavia, l’ospedale presentava delle carenze a livello di
personale nei settori della sicurezza e a livello di barellieri. Per tale ragione il problema che ha dato il via al progetto è stata una questione di riconversione: occorreva fare in modo che le persone in eccesso potessero essere
orientate verso e formate per le professioni di cui la struttura necessitava.
In questo scenario, l’équipe progettuale ha elaborato la sperimentazione
agendo sulla costruzione di un percorso di evoluzione professionale da
parte delle persone “in riconversione”, e, in secondo luogo, cercando di
sostenerne l’occupabilità attraverso lo sviluppo di nuove competenze e la
costruzione di nuove identità professionali atte a supportare la crescita
dei soggetti sul lungo periodo. Lo slogan scelto a ispirazione e illustrazione del progetto DéCAMOB è stato, infatti, quello di “far venir voglia di
muoversi spesso”. In altre parole, la finalità dei progettisti era quella di
stimolare nei soggetti coinvolti la consapevolezza e la motivazione a un
percorso di carriera non più ancorato a un solo luogo di lavoro.
Di fatto l’idea del progetto DéCAMOB nasce più da un incontro fortuito
L’ospedale Saint Joseph è stato fondato nel 1878 e attualmente svolge attività in settori
disciplinari diversificati della medicina. Nel 2003, esso contava 450 posti letto. Si tratta
di un’istituzione non profit che fa parte del servizio pubblico ospedaliero. Nel 2003 la
struttura si occupava della produzione dei pasti per altri due ospedali parigini.
82
L’acronimo sta a indicare il titolo del progetto: “Développer les compétences et accompagner la mobilité”.
81
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
tra interessi individuali e conoscenze personali che non da un’intenzione
consapevole di costruire un dispositivo di tal genere. Blanc-Rameau, che
è stata una delle maggiori artefici, racconta infatti come il fatto che la
Responsabile delle Risorse Umane dell’ospedale fosse una Psicologa clinica abbia favorito la maturazione della consapevolezza in azienda delle
necessità di pensare a una fase orientativa, oltre che formativa: prima di
avviare una formazione, infatti, era necessario lavorare su un progetto
personale e professionale.
I destinatari del progetto vengono individuati, fin dalla prima fase, nelle
50 persone in esubero. Esse vengono divise in “gruppi professionali”,
distinti per le mansioni svolte all’interno dell’organizzazione (personale
di accoglienza polivalente, personale di accoglienza e di sicurezza e, infine, personale di segreteria medica).
I finanziamenti per il progetto vengono in parte dall’ospedale SaintJoseph e in parte da finanziamenti del Fondo Sociale Europeo.
Al momento del suo avvio, i progettisti auspicano di realizzare più di 120
percorsi di bilancio, finalizzati ad accompagnare lo sviluppo del progetto; ad elaborare referenziali per le competenze ed a sviluppare nuove
capacità; a potenziare la disponibilità alla mobilità, con ciò garantendo
un adattamento delle professioni ai bisogni della struttura ospedaliera.
Tutto ciò avrebbe comportato un ampliamento dei percorsi individuali di
formazione, sostenendoli con la creazione di una borsa lavoro e con l’organizzazione di un Forum des Métiers specifico per favorire la costruzione di nuove identità professionali.
In termini di articolazione, il progetto si struttura intorno a due idee di
fondo, vale a dire quella di creare una dinamica individuale e collettiva
e quella di concepire un dispositivo globale di sostegno al cambiamento.
Questi due principi d’azione hanno guidato la definizione delle seguenti fasi: realizzazione di uno studio di fattibilità con lo scopo di analizzare in primo luogo le logiche di funzionamento dei diversi attori coinvolti, contemporaneamente cercando di individuare i possibili fattori di
ostacolo interni all’istituzione stessa e gli elementi facilitatori di tale
processo di trasformazione;
progettazione di un dispositivo di accompagnamento inteso come percorso di sostegno ad alta flessibilità, ossia capace di adattarsi in maniera
rapida alle richieste differenti dei percorsi di orientamento.
In particolare, questa seconda fase, relativa alla creazione del dispositivo di accompagnamento, si è svolta tra maggio 1999 e luglio 2001, segmentandosi in cinque momenti principali:
il “bilancio-accompagnamento del progetto”, caratterizzato dalla
costruzione del progetto di sviluppo professionale e centrato su un
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Le
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provenienti
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esperienze
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
sollecitazioni
provenienti
dalle
esperienze
percorso individuale di bilancio e orientamento. Tra le persone coinvolte, alcune avevano già elaborato un progetto consapevole di cambiamento, che richiedeva solo di essere validato, mentre per altre
occorreva rendere più chiara un’aspirazione presente solo “in potenza” e, infine, nel caso di altre persone, non era presente alcuna progettualità. L’accompagnamento ha previsto tre percorsi di bilancioaccompagnamento strutturati su colloqui di 4, di 7 o di 13 ore;
la riflessione sulle professioni e la successiva elaborazione degli specifici mansionari, che è avvenuta dopo un lavoro di analisi condotto da
ciascun “gruppo professionale”, che ha permesso ai soggetti, da un
lato, di costruirsi nuove identità professionali e, dall’altro, di maturare rappresentazioni meno stereotipiche e fossilizzate di alcuni
mestieri. Tale fase ha previsto, infatti, come momento cruciale, la
creazione di gruppi di discussione durante il “Forum dei mestieri”,
nel corso del quale l’apprendimento di quali fossero le competenze
ritenute di base per ciascuna professionalità è avvenuta anche attraverso la visione di video sui mestieri e di CD-Rom differenziati per i
tre gruppi professionali interessati (personale di accoglienza polivalente; di accoglienza e di sicurezza e segreteria medica);
la formazione integrata nelle situazioni di lavoro, che ha permesso
l’individuazione delle nuove occupazioni da parte delle persone in
riconversione. Al fine di sostenere questo processo di acquisizione di
una nuova professionalità, i consulenti consigliavano alle persone di
intraprendere specifici percorsi di formazione. Tale tipo di formazione si è connotata specificamente per un periodo di training sul posto
di lavoro, accompagnata da momenti di formazione teorica condotti
presso i centri GRETA. Durante il percorso sono state previste figure
di accompagnamento in azienda (tutor), con la specifica finalità di
facilitare l’apprendimento del nuovo mestiere e di trasmettere al
dipendente in riconversione tutte le indicazioni, le procedure e le
accortezze necessarie all’acquisizione delle competenze desiderate;
il coaching, che è stato condotto da figure di accompagnamento in
affiancamento ai tutor, con lo specifico obiettivo di formare le persone in riconversione e di far evolvere pratiche cristallizzate nel tempo
e non più modificatesi in virtù di un’applicazione routinaria.
Il processo autoformativo, nel corso del progetto, si realizza proprio,
secondo Blanc-Rameau, quando la situazione professionale concreta è
divenuta un’occasione di formazione. In altre parole, l’autoformazione in questo processo finisce con il coincidere con l’apprendimento
esperienziale.
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146
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
misto, ossia costituito da appartenenti al Ministero dell’Educazione francese, l’Education Nationale, e da personale dell’organizzazione committente, l’Ospedale Saint-Joseph, secondo il principio della massima condivisione delle decisioni e delle responsabilità. Tale gruppo ha avuto
come compiti principali quello di definire gli orientamenti, assicurare la
regolare collaborazione tra i partner, preoccuparsi dei processi informativi a favore dei dipendenti, valutare e assumere, comunicandoli alla
committenza, gli effetti della formazione.
La fase di realizzazione del processo di accompagnamento ha visto coinvolti professionisti della rete GRETA di Parigi, in particolare attraverso
le strutture: CIBC (Centro Interistituzionale di Bilancio di Competenze),
il CAFOC (Centro Accademico di Formazione Continua), i GRETA
Paramédical et Social, ossia i centri di formazione specifici per il personale operante in ambienti medici e operatori sociali.
Al fine di mobilizzare il più possibile le risorse della rete GRETA per la
realizzazione del progetto, le competenze sono state attivate in momenti
diversi. Lo studio qualitativo del contesto e il bilancio - accompagnamento del progetto sono stati condotti da un’équipe del CIBC, la costruzione
dei Groupe-Métier, con la creazione dei referenziali dei mestieri e delle
competenze, il gruppo di analisi della pratiche, il coaching degli accompagnatori, il Forum des Métiers e la borsa del lavoro sono state curate
dall’équipe del CAFOC, mentre la collocazione professionale tecnica,
così come la formazione individualizzata, è stata a cura del GRETA.
Tra i principali vantaggi che si sono potuti osservare al termine del progetto, e che si possono trasferire ad organizzazioni diverse coinvolte in
processi di riorganizzazione, possono individuarsi benefici di ordine
organizzativo, a livello di politiche di risorse umane. A livello individuale, i principali benefici riscontrati sembrano essere stati raggiunti sul versante del rafforzamento della propria identità professionale, con un
effetto positivo anche sulla motivazione e sul grado di coinvolgimento
rispetto al lavoro. Non solo, ma come testimonia una delle partecipanti al
progetto, le possibilità di crescita offerte dal progetto, dopo la minaccia
di perdita del lavoro, viene vissuta come un’occasione di riscatto e di crescita della fiducia nella propria capacità di meritare una nuova collocazione e una nuova occasione di successo professionale.
Oltre agli effetti benefici che si manifestano nell’organizzazione di appartenenza, sul piano individuale si può assistere anche a una ridefinizione in
positivo degli obiettivi personali (Dubois e Faivre, 2001).
A livello di processo di realizzazione del progetto, l’efficacia dell’azione
sembra essere stata sostenuta proprio dal susseguirsi armonico delle fasi
di orientamento, formazione e autoformazione (in questo caso, concepita
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
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come una forma di sperimentazione autonoma delle nuove competenze
sul campo), che garantisce una maggiore coerenza del processo.
Tra i principali risultati osservati al termine del percorso, l’équipe rileva
come il processo, articolato su momenti individuali e collettivi, abbia
generato un effetto di dinamizzazione dei soggetti coinvolti, grazie allo
scambio e alla condivisione che si è attivata intorno alle principali situazioni professionali; accanto a questo effetto, è stato possibile anche rilevare come questa possibilità di confronto collettivo abbia progressivamente facilitato la riduzione delle resistenze al cambiamento lasciando il
posto a una nuova identità professionale.
Il modello del progetto DéCAMOB è stato applicato in altri processi di
accompagnamento alla mobilità in grandi imprese francesi83, quali l’OPAC di Parigi, la Mutuelle générale de la Police, le Centrali Nucleari
E.D.F., le Poste e, infine, l’Istituto Bancario ABN AMRO.
La metodologia messa a punto dal CAFOC prevede per questi destinatari che i tre momenti dell’orientamento, della formazione e dell’autoformazione siano ritenuti imprescindibili e, soprattutto, che siano armonizzati. L’importanza del momento di bilancio e progettazione del proprio
futuro, d’altro canto, è fortemente sentita dalla Regione stessa, che impone che i disoccupati che entrano in circuiti GRETA prima passino attraverso un centro di bilancio. Infatti il CAFOC, come parte del GRETA,
quando non si occupa esso stesso dell’orientamento accoglie persone che
vengono inviate dalle Missions Locales o dai CIO, o da altre strutture in
grado di realizzare una fase di orientamento.
In questo caso il CAFOC deve verificare che tali soggetti posseggano il
livello minimo di conoscenza per entrare nel processo di formazione.
Per quanto riguarda i professionisti coinvolti nei progetti di mobilità (e
più ampiamente nei progetti del CAFOC), essi sono molteplici e vanno
dallo psico-sociologo, al formatore specializzato nell’educabilità cognitiva o rimediazione cognitiva o a quello esperto in matematica o comunicazione. Di fatto, in un percorso ci possono essere più formatori per lo
stesso soggetto e questi lavorano in équipe aggiornandosi reciprocamente
sui cambiamenti del soggetto in formazione (che vengono valutati soprattutto attraverso bilanci cognitivi). Il monitoraggio dell’utente avviene,
infatti, verificando il progressivo raggiungimento di obiettivi predefiniti.
Il mancato conseguimento può comportare l’avvio di nuove iniziative di
formazione oppure l’uscita dal processo, se la persona lo desidera, ma
senza che sia stato ottenuta la qualificazione prevista.
Ulteriori approfondimenti sono rintracciabili al sito http//:dafco.scola.ac-paris.
Fr/PR/PR_Accompagn.htm
83
148
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Oltre alle valutazioni “a caldo”, vengono realizzati follow up a tre o a sei
mesi dalla fine del percorso di formazione con il coinvolgimento dei capi
diretti della persona.
A livello di risorse utilizzate nella realizzazione delle attività, il CAFOC
opera attraverso referenziali di mestiere, risorse pedagogiche, a volte
commercializzate dallo stesso CAFOC, e altri generi di risorse condivise
tra i formatori. Una persona dell’équipe si occupa della raccolta di tali
strumenti sebbene, racconta Blanc-Rameau, la formalizzazione delle
risorse in schede condivisibili e standardizzate non sia questione semplice (anche per una scarsa predisposizione alla condivisione da parte dei
formatori stessi).
In termini di profilo, competenze e ruoli i professionisti del CAFOC
sono rappresentati da consulenti di formazione, che, a partire da
un’analisi dell’ambiente economico e sociale, e di quelli che sono i
bisogni in termini di formazione continua che ne conseguono, definiscono quali sono i dispositivi esistenti più adatti al soddisfacimento di
queste necessità e partecipano alla progettazione di soluzioni nuove
nel caso di bisogni particolari del mercato; vi sono, inoltre, particolari équipe pedagogiche, costituite da formatori permanenti o da consulenti che intervengono saltuariamente, insegnanti appartenenti all’Éducation Nationale o da professionisti accreditati. Tutti sono connotati da una formazione specialistica nei contenuti pedagogici e formativi che loro competono.
Sotto il profilo delle competenze professionali degli accompagnatori
di questi processi, quelle che Blanc-Rameau ritiene indispensabili si
collocano su due fronti: da un lato, quelle proprie di una professionalità psicologica che ricopre un ruolo cruciale nel sostenere la verbalizzazione e la formalizzazione del progetto e la validazione in termini di fattibilità.
Dall’altro, capacità di sostegno all’attivazione individuale che sono
appannaggio di formatori in grado di coinvolgere la persona in attività
di vario genere, come giochi o esercitazioni. Il principio soggiacente a
questo tipo di relazione è quello della mobilizzazione delle energie, affinché il soggetto possa recuperare fiducia in sé. Come precisa BlancRameau, questi formatori non sono formatori tradizionali in quanto da
essi non ci si attende solo l’insegnamento di contenuti, ma anche lo svolgimento di un ruolo di mediazione e di aiuto al soggetto in formazione nell’elaborare processi di pensiero e di azione, funzionali alla formulazione
di sue ipotesi e alla conseguente progettazione di piani di azione.
Tra gli apprendimenti maturati attraverso le attività specifiche del
CAFOC, soprattutto a livello di accompagnamento e riconversione, vi è
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provenienti
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la comprensione della difficoltà a gestire progetti con grandi numeri.
Inoltre, a livello individuale, divengono particolarmente complesse quelle situazioni in cui i soggetti giungono con un progetto di riconversione
irrealistico, spesso maturato come esito degli effetti controintuitivi di
logiche di empowerment.
Uno dei nodi critici dell’attività del CAFOC, che si colloca perfettamente nell’ambito della nostra ricerca sulle possibilità di legame tra formazione e orientamento e tra i loro correlati auto-, è che quando il CAFOC
agisce come agenzia formativa, ovvero quando i dipendenti di imprese
arrivano già con un progetto elaborato in una precedente fase orientativa, spesso accade che quest’ultima non sia stata condotta in modo adeguato, giungendo alla definizione di un progetto non realistico, basato su
rappresentazioni inadeguate delle professioni.
La criticità è rappresentata in questi casi dalla gestione da parte di due
strutture diverse del momento di orientamento dei clienti.
A livello più di risorse che di processo, si colloca un’altra criticità, vale a
dire la tendenza individualistica dei formatori, che spesso devono essere
obbligati a una condivisione di risorse che essi non ricercano spontaneamente. Questo rende ovviamente difficoltosa la circolazione e la condivisione degli strumenti pedagogici e dei dispositivi.
Sempre ad un’ottica di chiusura, anche se di tipo più culturale, si deve
ricondurre un altro limite inerente al lavoro di équipe: proprio su progetti che possono richiedere un’articolazione tra formazione, autoformazione
e orientamento si può assistere ad una autoreferenzialità nella propria cultura professionale. Talvolta è difficile far coabitare su uno stesso universo,
qual è l’accompagnamento di un dipendente, tecniche e referenti concettuali differenti, come quelli della formazione e dell’orientamento. Il problema principale appare, dunque, quello dell’assenza di figure professionali capaci di intervenire dal momento del bilancio fino alla formazione.
2.5 Uno strumento auto-orientativo ed autoformativo per i formatori
e le formatrici
Al termine della disamina sugli aspetti teorici, metodologici e speculativi
che costituiscono il campo in cui si muovono i temi oggetto della nostra
ricerca, ci pare opportuno presentare uno strumento operativo rivolto ai
formatori ed alle formatrici di notevole rilevanza auto-orientativa ed
autoformativa che ci è stato presentato da Verdi Vighetti nel corso dell’intervista; si tratta di un manuale per gli operatori e le operatrici che
lavorano nell’orientamento con attenzione alla differenza di genere84.
Come sottolinea Verdi Vighetti, il volume nasce per “accompagnare chi
opera nell’Orientamento, nei percorsi che questi sta tracciando e percor-
150
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
rendo, piuttosto che prescrivere direzioni di marcia. L’accompagnamento
presuppone un dialogo tra due soggetti, una condivisione di intenti. Perciò il Manuale è lo strumento di una conversazione che l’operatore o l’operatrice intrattiene con se stesso o con se stessa, prima ancora di essere
uno strumento didattico da utilizzare con l’utente. Questo significa che
l’operatore o l’operatrice sono invitati a leggerlo, lasciandosi prendere
per mano, facendosi interpellare, sollecitare e provocare. Come se dovessero essi stessi compiere un tragitto di orientamento o disorientamento”.
In maniera provocatoria, infatti, si vuole che all’inizio l’incontro con
questo strumento dia luogo ad un disorientamento, in quanto il tema è
fuori norma, inconsueto, destabilizzante; attraverso il disorientamento,
chi legge viene inserito in un luogo altro che gli consente di porsi nella
condizione più favorevole per comprendere ed aiutare coloro, uomini e
donne, che hanno bisogno di orientamento, anche se, l’autore molto
opportunamente ritiene che l’orientamento non si chiede, si vive, si realizzi in una modalità che è soprattutto auto-orientativa.
Maieuticamente, il disorientamento è il primo passo verso un itinerario di
ricerca che vede alternarsi nella pratica l’uso di alcuni strumenti di natura “socratica”: il domandare, l’accettare il dubbio, il lasciarsi condurre
dalla riflessione e dalla consapevolezza che poco a poco cominciano a farsi
strada all’interno del soggetto, divenendo un percorso dentro se stessi.
Siamo in presenza dell’emersione della soggettività e un buon percorso di
orientamento non può non cominciare dalla propria soggettività per procedere poi con la capacità di decidere di se stessi e, quindi, di che cosa
essere nella scuola, nella formazione, nel lavoro, nella società.
Il manuale è un invito a percorrere dentro di sé il tragitto che passa attraverso la propria singolarità facendo emergere le differenze che ci contraddistinguono dagli altri e dalle altre e scoprendo il senso della differenza per eccellenza che attraversa la specie umana: quella tra il maschile ed il femminile. “Di qui l’invito - ricorda Verdi Vighetti - che può suonare paradossale rispetto alle premesse. Leggere, riflettere, lasciarsi
prendere da ciascuna parte di cui si compone il Manuale, senza farsi catturare dalla tentazione televisiva dello zapping. Il primo approccio
dovrebbe essere metodico e lineare. Seguire lo sviluppo del discorso
attraverso la lettura di ciascun capitolo. Ogni capitolo è un passo del traIl Manuale, dal titolo Una prospettiva che orienta Attenzioni metodologiche e approccio di genere nei percorsi di orientamento per giovani donne e uomini, pubblicato nel
2002 per i tipi della Editoriale AESSE, è il frutto di un lavoro di ricerca Isfol-Enaip svoltosi l’anno precedente sotto la direzione di C. Montedoro e con il coordinamento di A. Del
Cimmuto; il lavoro è stato coordinato per l’Enaip da L.Verdi Vighetti e realizzato da G.
Antonucci e S. De Fazi, di Enaip nazionale.
84
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gitto. Verso la padronanza nel comprendere la propria soggettività di
operatore ed operatrice di orientamento, nella differenza di genere.
In un secondo tempo, questo approccio può essere abbandonato. Addirittura capovolto. E' la centralità del soggetto in orientamento che conduce il
gioco. Sono gli ultimi capitoli del Manuale che diventano i primi. Lì ci sono
le risorse metodologiche e didattiche per costruire la relazione orientativa.
Restando nel paradosso, il Manuale è quasi-prescrittivo nel rapporto dell’operatore e dell’operatrice con se stessi. E’ quasi-permissivo nel rapporto tra costoro e i soggetti in orientamento”.
Metodologicamente il lavoro origina da uno studio delle pratiche di
orientamento e di formazione rivolte alle donne, analizzate per mettere
a punto azioni efficaci; per questa ragione, l’attenzione è stata rivolta
alle esperienze di vita personale e lavorativa – in cui assumono un ruolo
centrale le competenze acquisite, i cicli di vita, i tempi, gli aspetti di
conciliabilità tra i diversi ruoli – all’interno delle quali sono stati
affrontati e risolti aspetti legati ad una maggiore flessibilità e personalizzazione dei percorsi.
In dettaglio, l’attenzione alle differenze di genere ha condotto prima alla
sperimentazione e poi all’applicazione di metodologie che hanno elevato
il soggetto al centro del processo, giungendo a definire, così, forme originali di pratiche orientative e formative in cui assumono una funzione di
guida alcuni concetti-chiave:
• la considerazione dei soggetti come protagonisti principali del proprio
percorso e del proprio progetto;
• l’uso di un linguaggio sessuato, un linguaggio che uscendo dal falso
neutro dia visibilità alla diversità dei soggetti;
• la realizzazione dell’ascolto attivo delle richieste portate dai diversi
soggetti;
• l’attenzione per le soggettività che sono diverse per appartenenze culturali, etniche, per età, aspettative, motivazioni, bisogni, storie personali e familiari, stili cognitivi, ciclo di vita;
• la valorizzazione di quello che i soggetti dicono e pensano;
• l’espressività, stimolando la possibilità di prendere parola, a partire
da sé, facendo riferimento alle proprie esperienze e al proprio essere
sessuato;
• l’impiego di metodi narrativi, autobiografici. La pratica narrativa è
importante perché permette riflessioni sul proprio passato che aiutano a meglio comprendere il presente e a disegnare elementi per progettare il futuro;
• la considerazione delle condizioni di accoglienza e dei momenti iniziali- fondanti di un percorso, tra cui quello della definizione del con-
152
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
tratto formativo;
• la fornitura di strumenti per la valorizzazione consapevole delle abilità trasversali e della risorsa in più che esse costituiscono sul mercato del lavoro;
• il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze e abilità messe
in campo anche in attività non lavorative;
• la sollecitazione verso i soggetti a tener conto dei vincoli personali in
rapporto a quelli dell'ambito lavorativo di riferimento;
• il confronto tra le proprie esperienze, competenze e quelle di altri/e.
Il rispecchiamento nel gruppo consente l’ emersione della consapevolezza delle competenze che si possiedono. Il gruppo e il lavoro di gruppo producono rafforzamento dell’auto-stima, riconoscimento dell’altro/a e, anche, presa di distanza dai problemi analizzati, consentendo
di contenere la possibile ansia;
• l’utilizzo di strumenti metodologici che mettano al centro interattività,
auto-apprendimento, che favoriscano libertà di espressione e di intervento, che valorizzino la creatività nella formazione, che stimolino
l’immaginazione e la pensabilità: si tratta di metodi narrativi e autobiografici, di metodologie di bilancio di competenze, di metodologie di
rete, di metodologie attive;
• l’uso di strumenti di autovalutazione, come questionari e griglie motivazionali che guidino autoriflessioni sui propri percorsi di scelta nella
formazione e nel lavoro, sulle motivazioni e aspettative attuali, sui
bilanci di esperienza, nonché di griglie per la conduzione di colloqui e
interviste (che esplorino anche le dimensioni della disponibilità,
tempi, vincoli, aspettative sulla formazione e sul lavoro futuro).
Come ricorda Verdi Vighetti “la formazione e l'orientamento rivolti alle donne
hanno posto inoltre con forza la necessità di una formazione degli operatori e
delle operatrici che metta in gioco la loro stessa soggettività, perché è soltanto a partire da sé, dalle proprie esperienze che è possibile operare trasferimenti consapevoli sui soggetti in orientamento, attraverso il criterio metodologico della formazione analogica e dell'apprendimento in situazione".
Uno sforzo è stato compiuto nella direzione di definire gli strumenti
da utilizzare nelle diverse fasi di un percorso, che ha condotto ad
85
identificare, in linea generale, alcuni criteri , che possono essere sintetizzati in una serie di domande, che riportiamo nella tabella 5, che
è opportuno porsi quando si sceglie o si rielabora un qualsiasi strumento o metodologia.
Si deve a Giulia Ghirardini l'elaborazione di queste domande, contenute in Strumenti
metodologici, Task Force "Attenzione alla Differenza di Genere", ENAIP, Roma, 1998.
85
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dalle
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CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Sono metodologie centrate sull’attenzione al processo di formazione e di
orientamento come processo di cambiamento, dove in gioco c’è l’identità,
l’immagine di sé, la crescita, l’autonomia delle persone, donne e uomini.
Fanno emergere le soggettività individuali - facendo leva su capacità,
consapevolezze, diversità trascurate o negate - e possono perciò costituire una risorsa formativa di notevole efficacia.
Tab. 5 Le domande “fondanti” nella relazione orientativa
Tabella 5
Le domande
“fondanti”
nella relazione
orientativa
Gli strumenti e le metodologie utilizzate:
• Consentono a donne e uomini che li utilizzano di parlare in prima persona? Mettono in condizione di fare riferimento alla propria esperienza?
• Favoriscono la raccolta delle esperienze personali che possono essere
utili anche nel lavoro? E delle esperienze di lavoro?
• Aiutano la donna e l'uomo a classificare e selezionare le esperienze
fatte e ad attribuirvi un significato alla luce di quel che si vuole fare?
• Mostrano come utilizzare le esperienze personali e lavorative pregresse?
Sollecitano l'espressione di desideri, sogni e ambizioni?
• Propongono di confrontare i propri desideri con le occasioni e le possibilità che il mondo lavorativo offre?
• Spingono a tenere conto dei vincoli personali in rapporto ai vincoli
dell'ambito lavorativo cui uomini e donne aspirano?
• Propongono di confrontare le proprie scelte con quelle di altre/i?
• Propongono di chiedere il parere sulle scelte effettuate a una persona
di fiducia?
• Mettono nelle condizioni di scegliere in prima persona, con agio, e
dandosi al contempo un limite (senza restare a lungo nell'ambiguità del
"tutto è possibile")?
fonte: nostro adattamento della tabella riportata nell’intervista a L. Verdi Vighetti
Le
criticità e le
prospettive
3. LE
CRITICITÀ E LE PROSPETTIVE
Il processo di esplorazione delle ipotesi inerenti alla possibilità di integrazione tra formazione, autoformazione, orientamento e auto-orientamento
ha restituito materiali certamente ricchi a partire dall’esplorazione delle
esperienze di chi lavora nel mondo della formazione, dell’autoformazione
e dell’orientamento. Appare, pertanto, utile iniziare a fissare i primi
punti, contemporaneamente anticipando le direzioni di lavoro future.
Il primo elemento su cui si può lavorare (e per il cui approfondimento
rimandiamo alle conclusioni) è certamente quello del modo in cui pensare ad un’integrazione tra le aree di interesse della ricerca.
154
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Da un lato si può dire che non sembrano esserci opposizioni di principio
a che questo avvenga, sebbene non si possano non trascurare le raccomandazioni di coloro che ritengono utile e opportuno non confondere
troppo gli ambiti. O, meglio, che richiamano l’attenzione sul fatto di pensare alla formazione e all’orientamento come a due settori diversificati
per i contenuti su cui lavorano. La prima (in una veste ancora molto tradizionale) sembra lavorare sui processi di costruzione di competenze e di
conoscenze (e noi vi includiamo, per ora, anche la conoscenza di sé),
mentre la seconda lavora, potremmo dire, principalmente sulla progettualità individuale.
Se è vero che appare più importante pensare ai due processi come distinti e, in certo senso, alternantisi (sebbene le forme dell’educazione all’orientamento e dell’orientamento formativo già pongano non pochi interrogativi in merito a questa “alternanza”), è, pur vero, però, che il loro
rapportarsi ciclico non può essere pensato senza una logica comune. Con
questo concetto generale intendiamo sia un criterio di ordine teorico e di
filosofia della progettazione, sia un criterio di tipo organizzativo, ossia
l’azione di rete, di osmosi tra strutture diverse.
Partiamo da questo secondo aspetto che ci permette di fare alcune ulteriori precisazioni. Innanzitutto, si può pensare a un’integrazione tra i
processi formativi ed orientativi (e delle loro declinazioni auto-), per così
dire, estrinseca: si può provare, in primo luogo (e questo vale in particolare per il nostro paese ancora poco avvezzo alle collaborazioni in rete),
a porre in una logica di prossimità i servizi che svolgono attività diverse,
ma che hanno una finalità comune: preparare l’individuo a una migliore
collocazione professionale.
In secondo luogo, e passiamo qui a una prospettiva più intrinseca, si
“devono” progettare interventi in cui il modello-guida, il paradigma
esplicativo tanto dell’azione formativa quanto di quella orientativa sia il
medesimo: solo in tal modo si può costruire una coerenza di fondo che
metaforicamente segua il fluire della vita individuale o, almeno, non
frammenti ulteriormente i percorsi sempre più “interrotti” delle persone
(come dimostrato nel primo capitolo, par. 1.1).
Questa dichiarazione non è certo nuova, ma, come è stato dimostrato
spesso nel corso delle interviste, è il valore che più spesso viene posto in
crisi al momento del passaggio alla fase applicativa, in virtù della convergenza di professionalità diverse (dal mondo della formazione e da
quello dell’orientamento) che spesso faticano a condividere, in primo
luogo, i modelli di professionalità.
Le separazioni istituzionali e le divergenze professionali sono state indicate come aspetti problematici nella ricerca di integrazione al momento
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Le
criticità e le
prospettive
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
Le
criticità e le
prospettive
dell’azione. Una delle risposte possibili a questa divisione potrebbe essere quella di una tensione verso il potenziamento delle risorse tanto economiche quanto professionali, al fine di facilitare il lavoro di rete tra le
strutture attualmente esistenti, convergenti spesso in fasi diverse del processo. Inoltre, qualcun’altro dei testimoni privilegiati, suggerisce l’importanza di una condivisione dei risultati tra tutti i professionisti coinvolti nei processi. I rischi di demotivazione verso la collaborazione, infatti, possono essere attribuiti anche alla frammentazione del processo, che
fa sì che solo alcune tra le figure di facilitazione possano vedere le ricadute effettive dello stesso.
Per tale ragione, se è vero che per Pineau il centro del lavoro futuro,
volto a un’integrazione tra formazione, autoformazione e orientamento,
resta quello di ribadire costantemente la crucialità della costruzione
umana, allora questa può essere sostenuta a livello di lavoro metodologico attraverso l’assunzione di una prospettiva transdisciplinare e di una
logica di funzionamento di rete in un’ottica ciclica di ricerca-formazioneazione-ricerca.
Secondo qualcuno è altrettanto fondamentale che anche il mondo della
ricerca e il mondo accademico siano coinvolti in questo processo di studio e di applicazione, affinché non siano disperse risorse fondamentali
per la riflessione e per l’azione. In altre parole, si auspica che il mondo
della ricerca e della riflessione teorica entri quale protagonista nel processo “autoformativo” delle strutture stesse che si occupano di autoformazione. Se essa è, infatti, intesa, in primo luogo come un processo che
richiede coinvolgimento in attività di interrogazione delle proprie pratiche e di apprendimento metacognitivo, oltre che di riflessione esistenziale sul senso della propria azione, allora i professionisti della ricerca e dei
dispositivi non possono non predisporre se stessi a un percorso di analisi
critica del proprio agire professionale.
Per tornare al tema della centratura sulla formazione della persona nel
suo complesso e nella sua complessità, possiamo soffermarci su un altro
punto importante. Quando i dispositivi descritti hanno eletto a modello di
riferimento una teoria dell’uomo di tipo esistenziale, allora la coincidenza fra gli ambiti dell’autoformazione e dell’orientamento diviene naturale, in quanto il tema dell’apprendimento è sempre lo stesso, vale a dire il
sé e i metodi scelti (in genere di tipo narrativo) permettono di tenere compresenti il momento della conoscenza di se stesso e della propria messa in
forma e quello della progettazione di sé nel futuro.
In merito alle altre possibili sfide future cui potrebbe essere sollecitato il
campo dell’autoformazione, Pineau precisa come sarà cruciale pensare
sempre più a processi autoformativi che, nel sostegno alla formazione
156
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
individuale e alla progettazione di sé in un’ottica di realizzazione personale, siano capaci di favorire anche l’autoformazione altrui. Riflessioni
analoghe vengono prodotte, tra gli altri, anche da Moisan e da Aubret
quando sottolineano, il primo, la necessità di un’autoformazione che
liberi dai rischi dell’individualismo negativo e, il secondo, di una spinta
forte degli intellettuali che operano nei settori della formazione e dell’orientamento verso una responsabilizzazione progressiva degli attori (in
controtendenza rispetto a un mondo che deresponsabilizza).
Il tema della responsabilità sociale del processo di autonomizzazione, in
particolare, richiama qualche riflessione emersa sull’argomento della
socializzazione. Alcuni dei testimoni esperti pongono al centro dell’attenzione per il lavoro di ricerca futuro quello della questione di come aiutare il soggetto che scelga un percorso di apprendimento di tipo personalizzato, e a forte connotazione individualistica, a inserirsi adeguatamente
nell’universo sociale e culturale, oltre che professionale, di appartenenza evitando fenomeni di isolamento.
Altre due indicazioni di lavoro importanti per il futuro si collocano su un
livello per così dire di tipo culturale: alcuni testimoni privilegiati ribadiscono l’importanza di diffondere, proprio a livello socio-politico, tanto una
cultura dell’integrazione tra i processi formativi ed orientativi (con particolare attenzione a quest’ultima che rischia di essere fagocitata dai bisogni
di professionalizzazione) quanto una cultura della “lentezza”: è necessario,
infatti, che maturi la consapevolezza che questi processi richiedono molto
tempo se essi intendono agire in maniera costruttiva ed efficace sulla globalità della persona.
157
Le
criticità e le
prospettive
CAPITOLO II - IL PUNTO DI VISTA DEGLI ESPERTI
CONCLUSIONI
N
elle pagine di questo libro si è usata la metafora della costruzione
di un edificio o, meglio ancora, della sua progettazione, per rappresentare il tipo di lavoro che si stava cercando di fare, vale a dire esplorare
le possibilità o le impossibilità di convergenza tra processi formativi,
autoformativi, orientativi e auto-orientativi.
Nel corso del testo, non abbiamo volutamente dato una nostra definizione di questi processi, perché avevamo scelto di usare come bussole le
semplici etichette con cui, in letteratura così come nella pratica, si definiscono questi ambiti. Tale scelta è dovuta al fatto che nel corso della
ricerca abbiamo sempre tentato di comprendere quali fossero i modelli
teorici alla base delle pratiche e delle attività di approfondimento presenti tra operatori e accademici e le loro ricadute a livello di metodi e
strumenti.
Esistono, infatti, certamente, molti modi di intendere e praticare la formazione, così come tante sono le teorie alla base dei vari approcci all’orientamento. Per questa ragione, è certamente giustificata la posizione di
chi afferma di trattare con cautela il tema del “modello”: siamo forse in
un’epoca in cui è difficile trovare proposte che effettivamente raggiunga-
159
CAPITOLO III - CONCLUSIONI
no la solidità necessaria per essere definite “teorie” o “modelli”, sia nella
formazione che nell’orientamento.
Medesimo problema per ciò che si raccoglie sotto l’etichetta di autoformazione. Cinque, d’altro canto, sono i paradigmi alla base della produzione in tema, ma essi derivano da una faticosa operazione di sintesi a
partire da una pluralità di posizioni. Nell’ambito dell’auto-orientamento, d’altro canto, i modelli sembrano ancora non essere molti. Quando si
trova qualche riferimento alla parola auto-orientamento, spesso si
riscontra che ci si limita al solo uso della parola, ma che ancora non ci si
addentra nell’esplorazione delle implicazioni richiamate da questa etichetta: qual è l’idea di autonomia che si propone quando si tratta questo
tema? In che rapporto sta con l’intenzione? E la motivazione? Esistono
diversi stili? Esistono diverse propensioni? Si può parlare di un autoorientamento di tipo educativo? E di tipo formativo? Si tratta forse solo
di un’altra moda, maturata alla luce di tutto il processo di riflessione sull’importanza dell’autonomizzazione? Quali sono i rischi?...
In realtà, queste domande non andrebbero poste solo nel momento in cui
si scegliesse di capire meglio che cosa sta nel contenitore auto-orientamento, ma dovrebbero essere interrogativi di ricerca di una nuova fase di
approfondimento di questa prima esplorazione sulle possibilità o impossibilità di convergenza tra gli ambiti di interesse. Ciò sarà necessario, in
effetti, per passare dalle riflessioni “conclusive” che faremo in queste
pagine a una verifica sul campo, ben più analitica di quella attuata finora, della tenuta delle prime ipotesi che faremo. In altre parole, occorrerà
passare dalle dichiarazioni di principio, all’approfondimento di ciascuna
relazione che verrà proposta per comprendere quali sono e il modo in cui
si esplicano processi psicologici, scelte pedagogiche, dinamiche relazionali ed emotive in quei percorsi passibili di intrecciare istanze formative e
esigenze orientative oltre che le loro declinazioni auto-.
Questi passaggi futuri, tuttavia, richiedono ora di riflettere su quello che
si può rispondere, al momento alla domanda: ha un senso pensare a una
relazione di convergenza tra percorsi formativi, autoformativi, orientativi e auto-orientativi?
Le ragioni di una risposta affermativa a questo interrogativo di ricerca
sono diverse. In primo luogo, i processi implicati in ciascuno di questi
quattro ambiti sono al momento guidati da una serie di idee chiave comuni che pongono richieste e vincoli a ciò che la ricerca e la pratica possono
fare, in tutti e quattro gli ambiti di interesse.
Il contesto: è constatazione comune nella letteratura sulla formazione,
sull’autoformazione e sull’orientamento che è ancora forte, nonostante le
dichiarazioni di principio, il tratto “coercitivo” della scena organizzativa
160
CAPITOLO III - CONCLUSIONI
e del mercato. Essi inevitabilmente impongono a chi agisce sul campo
della ricerca o della pratica, tanto orientativa quanto formativa, di assumere un atteggiamento “realista” (Boursier, 2000), di fronte al carattere
oppressivo e ossessivo al tempo stesso della richiesta organizzativa, che
finiscono con il divenire oppressive e ossessive della formazione e dell’orientamento (Boutinet, 2000; Curinier, 2000), nella ricerca ostinata dei
tempi brevi, dell’ottimizzazione strumentale, della conformità dei contenuti per giungere sino al culmine dell’ingegnerizzazione meticolosa.
Comuni, infatti, gli atteggiamenti di condanna dell’eccessiva tecnologizzazione dei processi e della deriva “informaticistica” o, perlomeno, condivisa è l’amara consapevole constatazione del loro peso nel condizionare le scelte di metodo con cui formazione, autoformazione e orientamento devono procedere (Danvers, Sandjian, 2000).
Il richiamo ad un esame di realtà, tuttavia non può essere guidato solo da
scelte di principio. Nella progettazione di percorsi integrati di formazione e di orientamento, infatti, non si potrà prescindere dal considerare i
processi di globalizzazione, dal prendere in carico tutti i risvolti connessi al tema delle competenze e a quello delle richieste di crescente autonomizzazione, che finiscono con il porre come fondamenta dell’edificio che
si propone di costruire proprio il tema dell’apprendimento. Esso è, però,
anche, contemporaneamente, il fine del processo: solo alimentando il
desiderio di apprendere (in forma autonoma o tradizionale) si può garantire che accanto all’attenzione per la crescita a livello personale venga
salvaguardata anche la sua professionalizzazione.
Il soggetto: consapevoli dei rischi e a conoscenza delle implicazioni che
questa ingegnerizzazione eccessiva può comportare, gli obiettivi della
formazione, dell’autoformazione, dell’orientamento e delle proposte
auto-orientative si sono piuttosto progressivamente spostati verso un riequilibrio della polarità individuale, ovvero verso una radicalizzazione
della formula della centratura sul soggetto dell’azione. Così Guichard
(2000) identifica i quadri ideologici del processo di trasformazione della
concezione dell’orientamento proprio nella centratura progressiva sull’individuo, nella sua crescente responsabilizzazione nel cammino realizzativo, nella constatazione della necessità di cogliere l’individuo nella sua
globalità, per cui l’impegno professionale non può prescindere dal contribuire alla costruzione dell’identità individuale e personale, e, infine,
nella constatazione che questo soggetto si muove sempre più in uno scenario incerto.
È pur vero, tuttavia, che l’accettazione del rafforzamento della polarità
individuale ha immancabilmente lo svantaggio di proiettare l’azione formativa e orientativa verso traguardi più alti di quelli a cui abitualmente
161
CAPITOLO III - CONCLUSIONI
rinvia l’ambito dei contenuti. Sarà per questa ragione che Boursier
(2000) propugna una concezione “esperienziale e opportunista dell’orientamento”. La raccomandazione è quella di trattare con cautela
modelli (di formazione e di orientamento) che lei stessa definisce “essenzialisti” oltre che “genetici e vocazionali” (p. 141) e che finisce per tacciare di un eccesso di idealismo. La ragione per cui viene elaborata tale
attribuzione è dovuta al principio in base al quale si snoderebbero tali
attività, ossia “che la conoscenza precede l’esistenza […] meglio si conosce la causa di un problema, meglio lo si risolve. Più si chiarificano obiettivi e motivazioni, più si è certi di trovare delle soluzioni” (p. 141). L’accusa di essenzialismo e idealismo deriva dal fatto che questo modo di concepire l’orientamento e la formazione passa attraverso la conoscenza
approfondita della persona, la sua “essenza”, per giungere a dire per che
genere di professione o studio è “fatta” e quale percorso è più opportuno, ossia per indicarle la via. Tale prospettiva, tuttavia, può condurre le
persone a pensare che non si possa formulare una scelta senza prima trovare la propria “essenza maestra” (p. 141), rendendole incapaci di
cogliere quelle opportunità che invece si presentano nella vita quotidiana
e di formulare progetti realistici.
Il tema del progetto è apparso, in effetti un tema cruciale, su cui
costruire una ragionevole possibilità di convergenza tra gli ambiti di
interesse. Vero però che questo “patrimonio” non può essere assunto
nel modo stesso in cui si presenta. Non si può assumere il desiderio di
una persona come un progetto realistico, occorre analizzarne gli aspetti oggettivi e i dati storici, costringere il soggetto a considerare le sue
ragioni consapevoli e inconsapevoli (e forse non a caso in Francia il
dibattito sulla competenza psicologica nell’ambito delle professionalità
legate dell’orientamento è tanto acceso) che lo hanno portato a richiedere una consulenza orientativa o a formulare una determinata scelta
formativa. Come direbbe ancora Dewey (1938), infatti: “Il problema
centrale dell’educazione basata sull’esperienza è quello di selezionare il
genere di esperienze presenti che possono vivere creativamente nelle
esperienze successive” (pp. 16-17).
L’esperienza: per evitare idealismo e irrealismo, allora, sembra imprescindibile che la centratura sul soggetto si declini, senza soluzione di continuità con la dimensione fondamentale e imprescindibile dell’esperienza. Che sia formazione o che sia orientamento è inevitabile che l’esperienza sia la scena primaria su cui si fonda qualsiasi processo formativo
e orientativo che autenticamente aspiri a radicarsi nella storia individuale e ad essere efficace fin dalle sue premesse. E dunque che sia
autoformazione, o autoeducazione o auto-orientamento è questo il senso
162
CAPITOLO III - CONCLUSIONI
del messaggio di Dewey: “Tutta l’autentica educazione avviene attraverso l’esperienza” (1938, p. 13). Che non si potesse lavorare con la forma
dell’adulto e del giovane senza prenderne in considerazione l’esperienza
lo si è progressivamente compreso anche a livello di metodi: nessun percorso di formazione che si voglia dire ben fatto inizia senza che sia stato
elaborato un progetto e questo progetto non ha altro riferimento che ciò
che il soggetto ha appreso a fare e a desiderare. Come dimostra Boursier
(2000) dal campo dell’orientamento: “Tutto il lavoro sulla motivazione, il
cambiamento, le resistenze, l’impegno hanno a che fare con un registro
eminentemente esperienziale, nel presente, qui ed ora. Spesso le persone
sottolineano la costruzione progressiva nell’esperienza del loro percorso
di orientamento, il concetto reale di progetto non appare che tardivamente attraverso aggiustamenti progressivi, tentativi, errori, approssimazioni, prove e incontri” (p. 143). Inoltre è recentissima in Francia,
sebbene già largamente diffusa, la pratica della “Validation des Acquis”
(la legge data febbraio 2002), ossia il processo di riconoscimento di quanto il soggetto ha già imparato a fare, senza per questo necessariamente
avere diplomi a dimostrarlo.
Questo tipo di pratiche valorizzano al massimo il senso dell’esperienza
come terreno di tutto ciò che è “formante”. Non è che non ci siano rischi
in tutto ciò, beninteso: quando la validazione dei propri apprendimenti
diviene la soluzione per accelerare il processo orientativo e formativo,
quando esso si lascia sopraffare dall’idea che la competenza acquisita sia
modularizzabile in unità di cui si può o non si può fare a meno, quando,
in altre parole, venga perso il senso della continuità soggettiva allora non
si fa che recuperare vecchie soluzioni vestendole di nuovo. Eppure ciò,
fortunatamente, sembra poco probabile se è vero che anche in dispositivi di autoformazione assistita come gli APP (Atelier de Pèdagogie Personnalisée, cfr. cap. 2), dove la soluzione tecnologica è venuta a velocizzare il servizio, gli stessi operatori ammettono che il successo della formazione e della realizzazione del progetto individuale sta nella scelta di
un modello teorico socio-educativo, magari con qualche apertura esistenziale di autoformazione, in cui esiste la consapevolezza che la persona è una globalità, che apprende peggio se lasciata completamente sola e
se non stimolata a processi di riflessione proprio sul suo rapporto con gli
apprendimenti, le formazioni e gli orientamenti passati.
Dunque l’esperienza individuale e il suo correlato di saper fare appaiono
tra i criteri imprescindibili a livello di contenuto da cui possono muovere percorsi integrati. Più volte, nel testo e nella presentazione dei progetti
è stato rimarcato come momenti dal valore altamente autoformativo e
auto-orientativo siano quelli in cui la persona si confronta con il tema dei
163
CAPITOLO III - CONCLUSIONI
saperi, sia quelli acquisiti in forma di teorie già pensate da altri, sia quelli che scopre di aver costruito autonomamente e che utilizza nel corso dell’azione.
L’azione: alla domanda su quali potrebbero allora essere queste esperienze dal valore autoformativo e autoeducativo, potremmo in certo qual
modo rispondere in duplice modo. Si tratta in primo luogo di azioni,
ossia di processi in cui il soggetto è chiamato prima a vedere una professione agita e poi ad agirla in prima persona (si pensi a talune forme di
Forum-Métiers, o a “gruppi di parola” in cui professionisti vengono a
raccontare ciò che fanno a persone coinvolte in processi di riconversione, come testimoniato dai nostri intervistati). Il vero senso del cambiamento progettuale (perché è inevitabile che orientamento e formazione
richiamino il terreno del cambiamento) si mette alla prova sul terreno
dell’azione. Così la proposta di Boursier (2000) si colloca da una prospettiva che considera l’impegno/coinvolgimento nell’azione come soluzione non finalizzata solo ad aiutare il soggetto a tracciare un mero bilancio dei pro e dei contro di una certa decisione, dei guadagni e delle perdite, bensì concepisce l’orientamento condotto con specifica valorizzazione dell’impegno nell’agire come un processo complesso e plurilivello
“in cui l’agire richiama dei registri tanto affettivi ed esperienziali quanto
intellettuali” (p. 142). Il fatto di assumere questa complessità contemporaneamente rifiutando una concezione “economica” dell’orientamento,
come trattamento dei guadagni e delle perdite o “come sola procedura di
analisi dei vissuti o pianificazione astratta di tappe da anticipare” (p.
143), comporta di sostenere che nel coinvolgimento in un’azione esiste un
principio educativo basato appunto sull’apprendimento dall’esperienza.
La riflessione e la trasformazione: il secondo genere di esperienze
autoformative e auto-orientative possono essere quelle di carattere riflessivo. È vero, infatti, come ricordava Kolb (1984), che l’apprendimento è
quel processo in cui si crea conoscenza attraverso la trasformazione dell’esperienza. Ciò che accade diviene conoscenza e adattamento al mondo
(e queste due tensioni sono comuni tanto alla formazione che all’orientamento, e d’altro canto di questo legame tra conoscenza e adattamento
non ci si deve mai dimenticare, stando al pensiero di Kolb, ma soprattutto per non incoraggiare o promuovere apprendimenti “autistici”) solo
nel momento in cui si avvia un processo di “lavoro” sull’esperienza stessa (in tutti i suoi risvolti). Per tale ragione il modo riflessivo, insieme a
quello dell’azione, diviene tanto cruciale. Si tratta di lasciar convivere il
pensiero “implicativo” con quello riflessivo (Boursier, 2000).
D’altro canto, come bene sottolinea Lipari (2002), dal campo della formazione, la competenza riflessiva a livello individuale è risorsa fonda-
164
CAPITOLO III - CONCLUSIONI
mentale per la crescita e l’innovazione per i mondi organizzativi così
come si sono trasformati: “poiché l’innovazione è in larga misura legata
alla possibilità di organizzare capacità riflessive sull’esperienza accumulata nelle pratiche lavorative consolidate, emerge con forza la priorità e
la centralità, in questo tipo di organizzazioni, della risorsa umana, del
‘capitale intellettuale’, dell’investimento in ricerca e in know-how innovativi” (p. 96). Sembra difficile non rilevare come questo principio di
fondo valga tanto per la formazione quanto per l’orientamento.
La risorsa soggettiva della riflessività deve essere, dunque, intesa come
una capacità per “condurre” l’apprendimento da sé e l’auto-orientamento di sé: è questo per esempio il risultato principale di pratiche considerate orientative come le storie di vita o l’autobiografia. Il ripiegamento su di sé, quando contenuto con un metodo e accompagnato
(Pineau, 2002), può permettere una forma di ri-orientamento della propria direzione. Qui, in definitiva, la riflessività diviene necessariamente
critica e trasformativa, perché: “la riflessività critica può essere descritta come un tipo di pensiero che serve a sfidare le nozioni formulate attraverso apprendimenti precedenti” (van Halen-Faber, 1997, p. 51). Questo
turbamento delle certezze non è privo di conseguenze in quanto, in primo
luogo, genera incertezze su se stessi, sulle proprie possibilità e sulle proprie competenze, ma è proprio qui che si colloca la possibilità di cambiamento, di trasformazione: come dimostrano, infatti, Gaudron, Cayasse e
Capdevielle (2001), dall’ambito dell’orientamento, e un classico come
Mezirow (1985, 1990, 1991), da quello dell’apprendimento, nel ripiegamento critico su di sé è contenuta la possibilità di una riprogettazione più
consapevole del proprio futuro.
A questo punto, per cercare di concretizzare una prima ipotesi di modello, proponiamo di pensare alla relazione di convergenza tra gli ambiti di
interesse della ricerca così come rappresentato in figura 2 .
Da un lato, è possibile se non doveroso iniziare a pensare sempre più che
i sistemi della formazione e dell’orientamento hanno obiettivi comuni di
sostegno all’evoluzione e alla professionalizzazione individuale. La convergenza tra i due sistemi sarebbe in certo qual modo “esterna”: cioè i
due insiemi, che restano complessi distinti di soluzioni e di strumenti
sostenuti da teorie (perciò utilizziamo il termine “dispositivi”), rimangono processi con mission specifiche. L’ambito dell’orientamento si presenta come momento (per lo più ciclico) di definizione del proprio progetto
di vita e della proprie scelte, di individuazione di una direzione e di un
periodo di “messa alla prova” sul campo della validità della scelta stessa;
la formazione, dal canto suo, interviene a sostegno di questa scelta attraverso la messa a disposizione di contenuti e di “buoni esempi” al fine di
165
CAPITOLO III - CONCLUSIONI
un miglioramento della prestazione e dell’affinamento delle competenze.
Tra queste soluzioni formative, possono e debbono essere sempre più
prese in considerazione, nel nostro paese, anche le proposte di tipo
autoformativo (nella sua variegata offerta di paradigmi) più consone agli
obiettivi del processo di apprendimento. Tutto il processo, comunque,
dovrebbe tentare di rendere il più possibile la persona autonoma nella
sua capacità successiva di orientarsi e di proseguire nell’apprendere
ripartendo sempre dai propri saperi e dalla propria esperienza, sì accumulati, ma anche costantemente rinnovati.
I processi formativi e quelli orientativi, dunque, restano separati, anche
per salvaguardare l’utente da rischi di confusione e per cercare di rispettare il principio della modularizzazione del percorso. Esprimendo questa
idea, ci sembra di poter soddisfare sempre più le esigenze di personalizzazione del percorso di crescita individuale a livello tanto personale che
professionale. Un ipotetico utente, infatti, può non manifestare bisogno o
desiderio di un momento formativo o orientativo, perché è già autonomo
e riesce ad auto-orientarsi, sia rispetto ai propri bisogni sia relativamente alle proprie aspirazioni. Egli o ella potrà allora usare il sistema nel
modo che ritiene più opportuno senza commistioni di processi.
In questa prima proposta i processi di formazione e di orientamento
rimandano l’uno all’altro in modo ciclico (e ciò è tanto più vero in tempi
di lifelong learning e/o di ricollocazione professionale continua) e
sequenziale, ma stanno tra loro in un rapporto di tipo sistemico. Questa
relazione è ritenuta una significativa forma di convergenza perché, sebbene a livello ideale si affermi spesso che i sistemi dovrebbero funzionare proprio in questa logica, ciò nella realtà non accade. Questo rapporto, dunque, è inteso come una forma di intreccio, perché, come dimostrato nel corso della ricerca, esso richiede proprio di pensare in termini
di integrazione finalizzata a un funzionamento armonico tra percorsi
orientativi e formativi, al fine di restituire continuità a un processo che
spesso è diviso in fasi più per questioni storico-istituzionali che non per
una reale assenza di obiettivi comuni.
Tale intreccio può essere possibile, innanzitutto, progettando i percorsi
con principi teorici comuni e assumendo un modello di uomo e di processo di sviluppo il più possibile coerente. Le teorie a disposizione sono molteplici e non si può stabilire una relazione di priorità tra esse, ma si può
solo dire che possono raggiungere obiettivi diversi. Un momento orientativo realizzato con cura dovrebbe permettere di comprender quale soluzione di modelli e di metodi (formativi e orientativi) può essere più adatta alla persona e indirizzarla verso un sottosistema di proposte formative-orientative coerente con i bisogni (ad esempio: potremmo trovarci
166
CAPITOLO III - CONCLUSIONI
davanti a un utente che necessita di acquisire alcuni saperi di base, perciò può essere più opportuno rinviarlo a strutture che lavorano secondo
un modello educativo o sociocognitivo e, forse, meno indirizzarlo verso
esperienze che utilizzino un approccio esistenziale).
Questo sul piano ideale. Mentre in Francia, la tradizione di studi e di
pratiche rende in certo qual modo possibile un’offerta di soluzioni molto
variegata al cliente/utente, in Italia, forse, lo scenario è meno chiaro o,
forse, solo, meno intrecciato a livello di lavoro integrato tra istituzioni.
Questa opzione di lavoro sinergico avrebbe molti vantaggi: potrebbe facilitare il dialogo, talvolta complesso, tra professionalità della formazione
e dell’orientamento, che spesso si pensano separate. Inoltre potrebbero
essere superate resistenze istituzionali e tensioni ai “confini” e potrebbe
essere agevolato un funzionamento in “rete” (si è visto come esistono
alcune forme di sperimentazione di avvicinamento consapevole, prima di
tutto in senso spaziale, di servizi che si occupano specificamente di formazione o autoformazione o orientamento, ma forte è il dibattito interno
tra i professionisti di questi settori che constata la presenza di tensioni ai
confini tra i tre ambiti dovuti a una ridotta permeabilità).
D’altro canto questo principio di funzionamento in rete dovrebbe essere
posto tra i primi punti in un’agenda di lavoro istituzionale. È da precisare come, a livello pratico, in particolare, esistono già esperienze che si
riconoscono consapevolmente come tentativo di associare percorsi di
orientamento e/o formazione e/o autoformazione, ma spesso questa associazione è più implicita e ricostruita a posteriori più che non essere motivata da un intento cosciente di ricerca di una convergenza e di un completamento reciproco. Certamente questi progetti possono rappresentare
buoni banchi di prova e di ricerca al fine di comprendere meglio quali
sono i meccanismi attivati negli utenti da percorsi convergenti e omogenei. Un ampio lavoro, infatti, resta da fare proprio sui processi individuali che vengono attivati, in particolare, dalle esperienze di lavoro autonomo per comprendere come sostenere meglio la progettualità, la motivazione, capacità diverse di autogestione, ecc.
Per tale ragione la specializzazione professionale dovrà essere sempre
crescente, poiché i professionisti dovranno essere sempre più preparati a
livello di competenze trasversali ed umane di alto profilo (e possibilmente dovrebbero essere sempre più in grado di essere contemporaneamente
esperti di orientamento e di formazione), ma è anche vero che al momento attuale i professionisti intervistati denunciano, a volte, l’incapacità di
cogliere il senso continuo del progetto e della rilevanza dell’obiettivo ultimo rispetto a quelli intermedi. Occorre quindi lavorare proprio per
costruire un nuovo modello “continuo” tra gli ambiti di interesse.
167
CAPITOLO III - CONCLUSIONI
A questo proposito, al momento, esistono o sembrano esistere anche
responsabilità e difficoltà istituzionali. Sul piano delle responsabilità,
pressoché tutti gli intervistati denunciano carenza di risorse finanziarie e
umane (di alto profilo professionale) a fronte di una domanda costante e
interessata. Tali limiti ricadono proprio sulle progettualità più complesse
che aspirerebbero a integrare i momenti della formazione, dell’autoformazione e dell’orientamento in dispositivi più completi, ma che devono poi
rinunciare limitando l’attuazione a uno dei tre poli per carenza di risorse.
Una progettazione integrante di servizi di orientamento e formazione,
potrebbe superare le “difficoltà” istituzionali che stanno ai confini tra
agenzie e che attualmente esistono perché l’una riceve spesso l’utente così
come è stato preso in carico e gestito dall’altra, ma si trova spesso di fronte a una situazione che non può trattare con le sue logiche e deve pertanto ricominciare daccapo spesso assumendosi parti di processo che non le
appartengono. In questo modo si duplicano i tempi e i costi.
Quanto detto fino a questo momento, vale in particolare per ciò che è rappresentato nel lato sinistro della figura 2. La parte destra si riferisce,
infatti, a una seconda possibilità di convergenza pensabile tra processi
formativi e orientativi. In un certo senso, non si dovrebbe neppure pensare in termini di integrazione, quanto di identità. Gli approcci di tipo esistenziale, maturati soprattutto a livello di studi sulle dimensioni autonome
dell’apprendere e, aggiungiamo ora, dell’orientarsi, infatti, ritengono che
in virtù dell’unità del soggetto processi di formazione e di orientamento
siano sostanzialmente momenti di un flusso continuo di costruzione della
propria identità. Per tale ragione, è più opportuno pensare non più in termini di formazione e di orientamento quanto di autoformazione e di autoorientamento, perché, inevitabilmente ciò che guida il processo non è più
un criterio di ordine strutturale e sistemico (come poteva essere nella
prima proposta di convergenza sopra descritta), quanto un criterio di tipo
psicologico che ha che fare con l’unitarietà della persona.
Nel caso di questo approccio, un buon processo di autoformazione è contemporaneamente un percorso di ritorno sulle proprie scelte. Tutto ciò
può essere raggiunto attraverso un lavoro sulla memoria e sulla ricostruzione che non è soltanto relativa alla propria storia personale (pur non
potendo fare a meno di essa), ma che è anche legata al proprio percorso
professionale. Più volte nel corso della ricerca e, in particolare, attraverso le interviste, è stato, infatti, sottolineato come tutte le pratiche che
facilitano l’uso della memoria e un lavoro di ricostruzione posseggano un
valore al contempo autoformativo e auto-orientativo: è così per il portafoglio di competenze o per tecniche più proiettive come il blasone.
Restando questo un versante della proposta di modello, occorre precisa-
168
CAPITOLO III - CONCLUSIONI
re un dato molto importante: in questi processi di lavoro sui momenti
della propria vita, le figure di accompagnamento rivestono un ruolo fondamentale. In altre parole, non si può pensare che questi processi avvengano in solitudine. Al contrario, la loro efficacia dipende proprio dalla
grande competenza dei professionisti nel sostenere e facilitare questi processi di analisi di sé e su di sé. Ciò comporta una formazione specializzata e multidisciplinare da parte dei professionisti stessi, a cui è richiesto di
essere preparati sia nel campo della formazione sia in quello dell’orientamento, nel senso che essi debbono essere in grado di comprendere l’unitarietà del processo.
Come si vede dalla figura, secondo noi, il modello più strutturale e sistemico di relazione tra ambiti della formazione, dell’orientamento, dell’autoformazione e dell’auto-orientamento può certo entrare in rapporto con
un modello più di tipo esistenziale e viceversa, in quanto l’uno può fungere da completamento dell’altro.
Al di là delle ipotesi che abbiamo cercato di rappresentare in questa
prima proposta di sintesi, tuttavia, è possibile ancora fissare qualche
punto, in particolare a livello di metodo, a conclusione della riflessione.
In un ragionamento in termini di convergenze, infatti, alcuni elementi
appaiono cruciali.
Il primo punto centrale è quello del progetto: le persone devono giungere con un progetto o avviarne la definizione nelle prime fasi di lavoro, in quanto esso permette di focalizzare direzioni di investimento e, al
contempo, di apprendere l’importanza dell’applicazione del principio
di realtà.
Il secondo nodo è il lavoro su di sé e sulla propria storia di vita, necessario al fine di comprendere meglio quali sono stati i processi rilevanti in
termini di apprendimento, quali sono state le trasformazioni più significative e come si sono prodotte, quali sono le risorse attivate e che spesso
si è dimenticato di possedere. Interessante in questo processo, appare il
ruolo attribuito ai saperi teorici: al fine di un’integrazione efficace, in
particolare, tra processi autoformativi e auto-orientativi, è utile comprendere come si sono costruiti i propri saperi. Questo processo permetterà all’individuo di comprendere come le fonti di conoscenza siano
diverse e come le teorie condivise a livello collettivo abbiano dignità analoga a quella costruita in situazione.
Altro elemento importante a livello di metodi di lavoro è che nei processi
di formazione e di orientamento in chiave integrata si pensi a momenti di
lavoro collettivi. Si è dimostrato, infatti, come essi facilitano tanto lo
scambio sulle proprie dinamiche esistenziali quanto lo strutturarsi a un
livello più complesso delle conoscenze e delle rappresentazioni. La pre-
169
CAPITOLO III - CONCLUSIONI
senza degli altri, in queste fasi, permetterebbe, inoltre, all’individuo di
procedere nel proprio cammino autoformativo e auto-orientativo nella
consapevolezza della presenza dell’altro e della necessità di prenderlo in
carico.
Un altro criterio importante, sempre dal punto di vista del metodo, è che
oltre alla riflessione venga favorita l’azione: il valore dell’apprendimento esperienziale è univocamente riconosciuto proprio nel suo potenziale
autoformativo e auto-orientativo.
Una considerazione fondamentale che sembra opportuno formulare
proprio in chiusura è che la ricerca dell’integrazione tra questi processi non può far passare in secondo piano tutto il tema delle differenze
individuali. Questo tema ha un’importanza cruciale proprio laddove si
cerchi di attivare processi di realizzazione personale fortemente autonomi e centrati su di sé, poiché la capacità di attivarsi degli individui,
in tal senso, è molto diversa e può essere uno dei fattori cruciali di efficacia del processo.
170
CAPITOLO III - CONCLUSIONI
Apprendere (nuove esperienze, nuovi saperi teorici, saperi in azione)
Auto-orientamento
Soluzioni
autoformative
Paradigma
autodidattico
Dispositivi di
orientamento
Dispositivi di
formazione
Paradigma
educativo
Paradigma
sociocognitivo
Paradigma
esistenziale:
identità
tra momento
autoformativo
e autoorientativo
Paradigma
cognitivo
ATTENZIONE:
ATTENZIONE:
Coerenza di modelli di lettura e d’azione
tra operatori (educativo, socio-cognitivo,
cognitivo, esistenziale); lavoro integrato
e in équipe con scambio di esperienze.
Elevata
preparazione degli
operatori e loro
capacità di gestire
il processo nei suoi
risvolti
complessivi;
ancoraggio alla
realtà.
Apprendimenti (esperienze, saperi teorici, saperi in azione)
Figura 2 : Una proposta di convergenza tra gli ambiti dell’orientamento,
dell’auto-orientamento, della formazione e dell’autoformazione.
171
APPENDICE
SCHEDA DI
INTERVISTA
APPENDICE
ISFOL
PROGETTO DI RICERCA
ORIENTAMENTO, AUTOFORMAZIONE
E AUTO-ORIENTAMENTO
Traccia di intervista
173
APPENDICE
Presentazione
L’intervista di seguito proposta si inserisce quale strumento esplorativo di
raccolta dei dati all’interno di un progetto promosso dall’ISFOL (Istituto
per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori), in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di
Torino, dal titolo Orientamento, autoformazione e auto-orientamento.
L’idea di fondo che ha ispirato e che tuttora guida la realizzazione del
progetto è quella che già aveva mosso un primo progetto dal titolo Orientamento e rapporti con la formazione rispetto al quale il secondo s’inserisce in linea di continuità. Il fine è quello di comprendere i rapporti possibili, quando non di fatto già esistenti, tra formazione, autoformazione
e orientamento in qualità di ambiti tanto di riflessione teorica quanto di
applicazione pratica, finalizzati alla crescita personale e professionale
dei loro destinatari, siano essi giovani o adulti. Inoltre, si tenterà di comprendere come la dimensione auto-, oltre che nell’ambito della formazione, si declini in quello dell’orientamento nella forma dell’auto-orientamento.
I quattro ambiti indicati sono certamente accomunati da una centratura
sull’individuo e da una tensione a perseguire e facilitare in misura sempre maggiore un processo di formazione continuo. L’obiettivo della ricerca è quello di comprendere come ciò possa essere realizzato, grazie ad
un’armonica integrazione tra formazione, autoformazione, orientamento
e, eventualmente, auto-orientamento.
In particolare, accanto ai necessari approfondimenti teorici, e coerentemente con il senso dell’azione di studio e di ricerca dell’Isfol, è interesse
peculiare del progetto quello di porre particolare attenzione alle “pratiche”, ossia ai momenti applicativi propri degli ambiti esplorati. È, infatti, scopo specifico dell’Isfol quello di individuare delle linee-guida per
l’avvìo di percorsi di sperimentazione che possano fungere da esperienze
di approfondimento per l’elaborazione di politiche istituzionali il più
possibile congruenti con le esigenze dei lavoratori.
Anche se la sua esperienza professionale oltre che di studio e di ricerca
tende a collocarsi maggiormente in uno dei quattro settori d interesse,
chiediamo la sua gentile collaborazione per quest’intervista al fine di
esplorare la possibilità e la fattibilità dell’intreccio tra formazione,
autoformazione, orientamento e auto-orientamento e le eventuali ricadute pratiche.
174
APPENDICE
Sezione 1
Modelli, definizioni e possibilità di intreccio
tra formazione, autoformazione e orientamento
• Quali sono le parole-chiave con cui descriverebbe le principali dimensioni dell’attuale scenario della formazione e dell’apprendimento, sia
dal punto di vista dei modelli teorici che delle applicazioni pratiche?
• Qual è, in sintesi, la definizione di autoformazione e di azione autoformativa che lei darebbe, all’interno dell’attuale scenario della formazione così come lei lo ha descritto?
• Qual è il modello teorico che sostiene tale definizione di autoformazione e di azione autoformativa?
• Quale definizione darebbe, in sintesi, di orientamento e di azione
orientativa?
• Qual è il modello teorico che sostiene, a suo parere o secondo la sua
esperienza, tali definizioni di orientamento e di azione orientativa?
• Secondo lei, e sulla base della sua esperienza, potrebbero esistere o già
esistono dei punti di contatto/collegamento/intersezione tra i quattro
grandi ambiti di studio e di azione della formazione, dell’autoformazione, dell’orientamento e dell’auto-orientamento?
175
APPENDICE
Sezione 2
Percorsi, metodi e strumenti
• Lei è a conoscenza di azioni/esperienze/percorsi “pratici” che già tentano di integrare o integrano i quattro ambiti della formazione, dell’autoformazione, dell’orientamento e dell’auto-orientamento?
• Se conosce una o più esperienze pratiche, di quali azioni si tratta?
• In quali contesti vengono realizzate e chi ne è il promotore o chi ne
sono i promotori (enti pubblici e/o soggetti privati e/o aziende, o…)?
• Queste esperienze si ispirano a un qualche modello teorico? Se sì, di
quale modello si tratta?
• Come descriverebbe con una parola/un’immagine/un’etichetta queste
esperienze?
• Quali sono gli obiettivi di queste azioni?
• Quali sono i target di queste azioni?
• Quali sono le risorse (umane, logistico-strumentali, informative,
finanziarie…) utilizzate per l’erogazione dei servizi/percorsi descritti?
• Che cosa è “offerto” al cliente/utente in termini di risultati? Quali sono
i risultati attesi di queste azioni?
• Come si svolgono nel concreto queste esperienze, a livello di momento
di avvio, di fase centrale, di conclusione e di eventuale monitoraggio/valutazione?
• Quali sono i metodi utilizzati all’interno del percorso o dei percorsi da
Lei descritti?
• All’interno di questi percorsi vengono utilizzati strumenti specifici?
• Qual è l’articolazione temporale di questa esperienza (è un insieme di
fasi? È ciclica?…)? Qual è la sua durata?
• Quali sono, secondo Lei, i punti forti di queste azioni capaci di combinare formazione, autoformazione e orientamento e, eventualmente,
auto-orientamento?
• E quali sono, invece, i punti deboli di queste azioni?
• Quali sono le principali difficoltà che si incontrano oggi nell’attuazione di un percorso di tal genere?
• Rispetto al tema delle figure professionali, quali sono i professionisti
coinvolti in queste azioni? Qual è la loro formazione?
• Quali sono le competenze richieste per svolgere questo tipo di attività?
• Se esistono figure professionali diverse, come si intreccia il loro lavoro?
176
APPENDICE
Sezione 3
Linee di sviluppo
• La realizzazione di queste esperienze prevede l’esistenza di una rete di
rapporti tra strutture al fine di favorire lo svolgersi dei percorsi che ci
sta descrivendo (ad esempio: tra aziende e servizi pubblici, o tra soggetti privati, o…)? Se sì, quali sono gli attori coinvolti e come si articola tale collaborazione tra differenti organizzazioni?
• È a conoscenza di altre esperienze in cui esista un intreccio tra formazione/autoformazione e orientamento/auto-orientamento? Se sì, di
quali esperienze si tratta?
• Quali sono, secondo Lei, le tendenze possibili per il prossimo futuro
sul fronte dell’intreccio tra formazione, autoformazione, orientamento e auto-orientamento?
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Indice delle pubblicazioni della collana
“Temi & Strumenti”
Isfol, Sviluppo locale. Prima analisi e compendium dei programmi nelle
regioni dell’obiettivo 1, Roma, Isfol, 2004 (Temi&Strumenti. Studi e
Ricerche; 1)
Isfol, Le politiche comunitarie per la mobilità giovanile: un panorama
comunitario, nazionale e locale, Roma, Isfol, 2005 (Temi&Strumenti.
Politiche Comunitarie; 1)
Isfol, Mobilità e trasparenza delle competenze acquisite: l’esperienza
Europass Formazione in Italia, Roma, Isfol, 2005 (Temi&Strumenti.
Studi e Ricerche; 2)
Isfol, Il Fondo Sociale Europeo 2000-2006. Quadro Comunitario di sostegno Ob. 3. Valutazione intermedia. 1° e 2° Parte, Roma, Isfol, 2005
(Temi&Strumenti. Studi e Ricerche; 3)
Isfol, Percorsi di orientamento. Indagine nazionale sulle buone pratiche.
Roma, Isfol, 2005 (Temi&Strumenti. Studi e Ricerche; 4)
Isfol, La qualità del lavoro in Italia, Roma, Isfol, 2005 (Temi&Strumenti. Studi e Ricerche; 6)
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Prestampa, stampa e allestimento
Società Editrice IMAGO MEDIA
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Finito di stampare nel mese di novembre 2005