sugli sci con fede - ElectronicsAndBooks
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ANNO 17. N. 6 (770), 13 febbraio 2016. Poste Italiane Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004 art. 1, c1, DCB Milano. Non acquistabile separatamente da La Gazzetta dello Sport, € 2 (SportWeek € 0,50 + La Gazzetta dello Sport € 1,50). sugli sci con fede siamo andati con federica brignone a provare il nuovo tracciato di la thuile, dove lei è di casa: «che emozione sciare sulla mia neve» Federica Brignone fotografata in pista a la thuile. PRIMAVERA · ESTATE 2016 Sommario n. 06 (770) sabato 13 febbraio 2016 international asamoah gyan, strapagato in cina ma famoso per 2 rigori sbagliati La foto di copertina è di Francesco anselmi 7 8 numeri 9 Juve-napoli è una storia di gol. addirittura mai segnati 10 11 12 Start 13 14 15 16 cover StorY 17 18 19 20 21 22 le frontiere del ciclo reportage da dubai, dove si corre tra grattacieli e coccodrilli 23 24 25 26 27 il confronto naturale vS artificiale qual è il tipo di neve migliore? lo abbiamo chiesto a un’ex sciatrice e a uno snowboarder 28 29 30 31 federica brignone la nostra sciatrice di punta in coppa del mondo spiega quanto sia difficile mettere insieme i pezzi del suo mondo. «non vedo mai il fidanzato…» 32 33 zoom 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 ritratti dammi il cinque in una a di basket zeppa di (improbabili) stranieri spicca reggio emilia, una delle favorite in coppa italia © riproduzione riservata 3 46 47 sommario N. 06 48 49 50 51 52 fidanzati d’oro 53 la forza di stare iNsieme 54 a volte soffrono della stessa disabilità, lo sport e l’amore li hanno aiutati 55 56 57 58 59 60 61 62 la storia di mariNo-dedaj lui disabile a una gamba, lei ipovedente. fanno coppia nello sport e nella vita 63 64 65 66 67 68 69 70 71 intervista sÉbastieN loeb ha vinto 9 mondiali rally e 4 tappe all’ultima dakar, ma non è un fanatico della velocità 72 estremo 73 james lawreNce 74 75 ha completato 50 ironman in 50 giorni. «dovevo mantenere i miei figli» 76 77 78 79 moda S p o r t l i f e 80 l’aNima del vero viaggiatore 81 82 colori caldi e giacche morbide per l’uomo in movimento 83 84 85 86 87 88 89 90 91 pub heroes 92 4 © riproduzione riservata treNo, che piacere le nostre squadre di calcio sono tornate a usare le ferrovie. per comodità e risparmio RUN ON IMPULSE NEW fuzeX ™ ASICS FuzeGEL™ offre la perfetta combinazione tra leggerezza e ammortizzazione per qualsiasi distanza tu voglia correre. “SORRIDI! 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Il fatto stesso che si sia scatenata un’asta per il genoano Pavoletti, bravissimo, per carità, ma pur sempre un ragazzo di 27 anni che tre anni fa era ancora in Lega Pro, certifica la crisi del ruolo. Pavoletti come Schillaci a Italia 90? Notti magiche in Francia? Sia- L’attaccante del Genoa Leonardo mo costretti ad aggrapparci alle favole. Ma vi ricordate Francia ’98? Esordio col Cile: dopo 10 minuti, gol di Bobone Vieri. Seconda partita: due gol di Bobone. Terza: Bobone ancora. Non ne nascono più così, forse perché un centravanti deve crescere selvaggio, come Vieri in Australia, o comunque in strada o all’oratorio, mentre è più facile che da una scuola calcio escano bravi ragazzi educati tecnicamente e nei modi, come Bonaventura e Bernardeschi. Un centravanti di razza coltiva l’istinto e la cattiveria. Se va all’oratorio, mette in porta una ragazzino più piccolo, anche se non vuole, e lo bombarda per un’ora, ma intanto si inchioda la porta in testa. Una squadra di calcio è un filo da bucato steso tra un grande portiere e un grande centravanti. L’Italia oggi ha solo il grande portiere: il rischio che i panni azzurri cadano a terra e si sporchino è alto. Possiamo anche eccitarci per le meraviglie di Higuain e Morata, ma a ben guardare sono i Proci che hanno occupato Itaca. Un tempo lo scudetto se lo giocavano i nostri centravanti, se lo giocavano Bobone Vieri e Pippo Inzaghi, furbo come Ulisse. Pavoletti, 27 anni. © RIPRODUZIONE RISERVATA 7 VALERIO PENNICINO T ra quattro mesi esatti, 13 giugno, l’Italia debutterà all’Europeo di Francia contro il Belgio. Chi sarà il nostro centravanti? L’impossibilità di una risposta certa è già un fatto storico, perché non c’è grande trionfo nella leggenda azzurra che non sia stato santificato da un centravanti: Schiavio, Piola e Rossi marchiarono le finali dei primi tre Mondiali. Nel 2006 avevamo centravanti meno fatali, ma tutti e tre finirono in rete portando mattoni preziosi: Toni, Gilardino, Inzaghi. Nell’unica finale europea vinta, quella del ’68, Anastasi fece eco a Gigi Riva. Un Europeo fa Balotelli trascinò gli azzurri di Prandelli e ingombrò la copertina con la doppietta alla Germania e con la posa da Hulk. Nei quattro anni successivi però Hulk, invece della camicia, ha stracciato il suo talento e oggi è sprofondato nella panchina del Milan, sbeffeggiato da Conte. Immobile ha tentato il volo nel calcio che conta (Germania, Spagna), come direbbe lady Cerci, ma ce lo hanno rispedito indietro dopo molte panchine. Sta seduto spesso Zaza, altro attaccante di Conte, e ultimamente, anche Pellè, purtroppo. Il centravanti dei Saints, pur con apprezzabile coerenza, PAVOLETTI MERITA LA NAZIONALE I N T E R N AT I O N A L DI PAOLO CON DÒ CINA Giocare per soldi senza il senso del rigore TRA I NOMI NOTI DELLA SUPER LEAGUE CINESE CHE SETACCIA TALENTI A SUON DI MILIONI (ANCHE DALLA SERIE A) C’È ASAMOAH GYAN, CHE HA SEMPRE AVUTO PER OBBIETTIVO LE SQUADRE DOVE PAGANO DI PIÙ. MA DEVE LA SUA NOTORIETÀ A DUE PESANTI ERRORI DAL DISCHETTO COL GHANA F ra tre settimane inizia il campionato cinese – si chiama Super League – che ha già avuto il maggior impatto sul nostro calcio: tra affari conclusi (Gervinho e Guarin) e trattative saltate (Luiz Adriano), la Cina è diventata un polmone finanziario per la Serie A. Aggiungeteci il trasferimento a Pechino di Alberto Zaccheroni, deciso a ripetere i trionfi di Marcello Lippi, e la necessità per un appassionato di tenere un occhio aperto sulla Super League diventa evidente. Con le conseguenti scoperte: per esempio che allo Shanghai Sipg, secondo nel 2015, gioca Asamoah Gyan, forse il più iconico dei giocatori africani (se la vede con Yaya Touré) in attività. Col consueto amore per le storie di calcio, elenganche.es ha pubblicato un reportage di Francisco Orti su questo attaccante che ha da poco doppiato la boa dei trent’anni, ed è incredibile perché sembra sulla scena dalla notte dei tempi. Il motivo va ricercato nel suo precoce approdo in Europa: l’Udinese lo ingaggiò a 18 anni mandandolo in prestito a Modena per due stagioni, e poi trattenendolo fino al 2008, quando scelse il Rennes. Da lì in poi Gyan ha pro- seguito il suo percorso “marginale” giocando pure in Premier – ma nel Sunderland – e accettando, a soli 26 anni, il “pensionamento” arabo, nell’Al-Ain. Di lì alla Cina, il nuovo Eldorado, il passo era scontato: attaccante bravo ma non eccezionale, ha impostato la carriera sulla ricerca del denaro, tanto che ora risulta essere uno dei giocatori più pagati del mondo. La gloria è stata inseguita con la nazionale, per la quale ha disputato gli ultimi tre Mondiali. Ed è l’amara storia di due importantissimi rigori falliti con la maglia del Ghana il tema della story di Orti. Ricorderete la drammatica conclusione del quarto della Coppa 2010 fra Ghana e Uruguay. Al 120’, sull’1-1, Suarez ribatté di mano sulla linea una conclusione destinata Asamoah Gyan (30 anni) con la mag 8 © © RIPRODUZIONE RIPRODUZIONE RISERVATA RISERVATA alla rete: rigore ed espulsione, ma Gyan, calciando il penalty sulla traversa, fallì il match point procrastinando la soluzione della gara alla serie dal dischetto. «Chiesi di tirare il primo perché dovevo riscattarmi», racconta. «Andando a calciarlo promisi a me stesso che se avessi sbagliato ancora mi sarei ritirato dal calcio». Stavolta Gyan fece gol, ma il Ghana ugualmente ebbe la peggio: e il peso della chance fallita gli rimase addosso. Detto che il nostro amico africano ha sempre difeso la scelta di Suarez («avrei fatto lo stesso»), la ferocia della sorte fa sì che due anni dopo, nella semifinale di Coppa d’Africa, Gyan si trovi in una situazione simile: rigore a favore sullo 0-0. «La mente mi dice di girare la testa, il cuore di assumermi la responsabilità». Vince il cuore, Gyan va sul dischetto, il portiere para e in finale ci va lo Zambia. «Ho dovuto giurare a mia madre che non avrei più calciato un penalty». L’anno scorso, nella finale di Coppa d’Africa, la Costa d’Avorio ha battuto il Ghana ai rigori. Se sbirciate il tabellino, scoprirete che Gyan è stato sostituito (da un rigorista) al 120’. lia dello Shanghai Sipg. SOLO IN AMERICA DI LANFR ANCO VACCARI L’autodistruzione di Johnny Football ERA UNA PROMESSA, JOHNNY MANZIEL, E PENSAVA DI CAMBIARE LA NFL. INVECE, TRA SMARGIASSATE ED ECCESSI, STA BUTTANDO VIA LA SUA CARRIERA. E SECONDO SUO PADRE ANCHE LA VITA: «SE NON LO AIUTIAMO NON ARRIVERÀ VIVO AL SUO PROSSIMO COMPLEANNO» convinto che il talento, non il carattere, sia la chiave della vita. Quando i Browns lo chiamano al n.22 del primo giro, Manziel si presenta sul palco strisciando il pollice sui polpastrelli delle altre dita, nel segno dei soldi. Da lì in poi, è solo un’infilata di scivoloni nel grottesco, che coprono tutto l’arco fra lo sconveniente e il demenziale. Le sue imprese diventano virali sui social media. La foto in cui cavalca un cigno gonfiabile, con in mano una bottiglia di champagne, nella piscina di un night di Austin, Texas. Quella in cui, dentro una cabina del telefono e in un chiaro stato di alterazione, finge di parlare in una mazzetta di dollari tenuti come una cornetta. Quella in cui, nel bagno di un albergo di Las Vegas, tiene una banconota arrotolata alla maniera di quelli che sniffano. Nelle sue poche apparizioni in campo, rari lampi di classe vengono sommersi e annullati da smargiassate inutili. Ogni volta che Johnny Manziel, 23 anni. Cleveland non lo vuole più. 10 © RIPRODUZIONE RISERVATA lo spianano, i difensori avversari riprendono il gesto nel giorno del draft. In una partita di preseason, mostra il dito medio alla panchina dei Washington Redskins che gli urlano qualcosa dopo un passaggio incompleto. Nei due anni della sua carriera, parte titolare otto volte, vince due partite, ne perde sei, lancia sette touchdwon e sette intercetti. Fra una partita e l’altra, arriva tardi alle riunioni e agli allenamenti – o non si presenta proprio. Più di una volta, il personale che si occupa della sicurezza per i Browns va a casa a cercarlo, e non lo trova. All’inizio dello scorso anno entra in una clinica di Reading, Pennsylvania, dove disintossicano dall’alcol e dalle droghe. Ci rimane 73 giorni. Qualche settimana dopo essere uscito, va a vedere un torneo di golf a Irving, Texas, e lancia una bottiglia d’acqua contro un tifoso che gli chiedeva un autografo, secondo la polizia, in modo “troppo aggressivo”. L’ultimo capitolo comincia il 12 ottobre. Un testimone lo vede guidare in modo pericoloso e picchiare la sua fidanzata, Colleen Crowley. I due ammettono di aver bevuto e vengono rilasciati. A fine gennaio, in un albergo di Fort Worth, Texas, le dice di «stare zitta o ti ammazzo e poi mi suicido». La polizia apre un’inchiesta. Per due volte, il padre cerca di convincerlo a farsi curare. Invano. Poi parla con il Dallas Morning News. FONTI: ESPN, SPORTS ILLUSTRATED, A SSOCIATED PRESS, HOUSTON CHRONICLE, ABC/WFAA PETER G. AIKEN I l giorno del draft 2014, il 9 maggio, Johnny Manziel manda un sms ai Cleveland Browns chiedendogli di sceglierlo in modo che «insieme, faremo a pezzi questa lega». Veniva da una meteoritica ascesa nel football studentesco, prima nelle high school e poi al college, tanto che lo chiamavano Johnny Football. Era il più divertente, esplosivo e imprevedibile dei quarterback. Molto più che la sua relativamente contenuta struttura fisica (185 cm per 90 kg), le perplessità sulla sua carriera nella Nfl erano legate al carattere: l’irresistibile attrazione per le feste, le celebrità, Las Vegas. «Ma tutto questo è passato», aveva assicurato. «Ho imparato dagli errori. Continuare a fare le stesse scelte sbagliate sarebbe da stupidi». Neppure due anni dopo, se qualcosa si è sfasciato non è la Nfl. La vertiginosa caduta di Johnny Manziel è tale che, nell’ordine, i Browns hanno deciso di tagliarlo (sarà ufficiale il 9 marzo, inizio della nuova stagione), il suo agente l’ha mollato e suo padre, in un’intervista al Dallas Morning News, ha detto che «se non si trova il modo di aiutarlo, rischia di non vivere abbastanza per vedere il suo 24° compleanno» (il 6 dicembre). La storia di un ragazzo immaturo che fatica a diventare un adulto si è trasformata nel disturbante processo di autodistruzione di un giovanotto NUMERI E PERSONE RRONE DI MASSIMO PE Maradona e il gol alla Juve visto solo al cinema OGGI IL NAPOLI VA ALLO STADIUM PER IL BIG MATCH. A TORINO IL PIBE NON RIUSCÌ MAI A SEGNARE, MA LA VITTORIA ESTERNA PER 5-3 DELL’88 LO ESALTÒ COSÌ TANTO CHE NEL FILM DEDICATOGLI DA KUSTURICA DIEGO SI SBAGLIÒ AGGIUNGENDO UNA RETE: «6, AD AGNELLI GLIENE ABBIAMO FATTI 6…» 0 I CAMPIONATI DI SERIE A conclusi 6 23 ai primi 4 posti, tutte insieme, dalle attuali 4 prime squadre della classifica che si affronteranno nel weekend: oggi, sabato 13, è in programma Juve-Napoli, domani Fiorentina-Inter. Se il poker di testa restasse questo, respingendo l’attacco della Roma e delle altre, si tratterebbe di una primizia assoluta da quando è stata istituita la A, nel 1929/30. Quel campionato inaugurale finì così: prima Ambrosiana (Inter) 50 punti, secondo Genova 1893 48, poi Juventus 45 e Torino 39. I CAMPIONATI FINITI ai primi 4 posti da Juventus, Milan, Inter e Lazio, il poker più frequente. Nel dettaglio: 1949/50 Juventus Milan Inter Lazio, 1950/51 Milan Inter Juventus Lazio, 1951/52 Juventus Milan Inter Lazio (quarta a pari merito con la Fiorentina), 1972/73 Juventus Milan Lazio Inter (quarta insieme alla Fiorentina), 1999/2000 Lazio Juventus Milan Inter, 2002/03 Juve Inter Milan Lazio. Il poker Inter-Juventus-Milan-Fiorentina è uscito invece per 5 volte, l’ultima in quest’ordine nel 2008/09. 11 0 3 al Napoli nelle 4 partite giocate allo Juventus Stadium, finite 3-0, 2-0, 3-0 e 3-1. In 73 precedenti di campionato, di cui uno in B, la Juve è in vantaggio 46-7, i pareggi sono 20. Il primo, nel 1927 in Divisione Nazionale, finì 8-0: 3 gol di Giuseppe Grabbi, nonno di Corrado che giocò anche lui con la Juve 67 anni dopo, e 2 di Antonio Vojak, che poi fu giocatore e allenatore del Napoli, e con i suoi 102 gol è tuttora il più prolifico bomber in Serie A nella storia della società partenopea. in 8 partite sul campo della Juve, compresa una in Uefa (al San Paolo, invece, ne fece 5). Però Diego riuscì a vincere due volte a Torino: 3-1 nell’86, nel campionato del primo scudetto, e 5-3 nell’88, quando Careca fece una tripletta. Un ricordo così straordinario, per Maradona, da evocarlo nel film che nel 2008 gli ha dedicato il regista serbo Emir Kusturica: anche se Diego ha esagerato il punteggio, dicendo (e indicando con le mani) «6, ad Agnelli gliene abbiamo fatti 6…». della Fiorentina sull’Inter: 3-0 e 1-0 nello scorso campionato, 4-1 a San Siro all’andata. I viola possono eguagliare il loro record contro i nerazzurri, i 4 successi ottenuti fra il 1940 e il ’42: 2-0 e 2-1 in un campionato (fra i marcatori anche Ferruccio Valcareggi, futuro c.t. della Nazionale), 1-0 e 4-1 nel successivo (con tripletta di Renato Gei, che concluse il 1941/42 al secondo posto della classifica cannonieri con 18 reti, come Piola e Amadei, secondo solo alle 22 di Boffi). I GOL SEGNATI DALLA JUVE I GOL SEGNATI DA MARADONA © RIPRODUZIONE RISERVATA LE SQUADRE finite fra le prime 4, di cui 14 attualmente in A: Juventus (65 piazzamenti), Inter (59), Milan (55), Fiorentina (29), Roma (23), Lazio (22), Napoli (21), Torino (20), Bologna (15), Genoa, Sampdoria, Udinese (6), Verona (3) e Chievo (1). Sono in Serie B Cagliari (3 volte tra le prime 4 con uno scudetto), Livorno, Perugia, Vicenza (un secondo posto a testa) e Modena (un terzo posto); in Lega Pro c’è il Padova (una volta terzo); in D Parma (5 piazzamenti tra le prime 4), Triestina (un secondo posto) e Venezia (un terzo). LE VITTORIE CONSECUTIVE 11 L’A G E N D A D I G E N E Febbraio D 7 L M M G V S 1 2 3 4 5 6 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 HI DI GENE GNOCC GLI A P P U N TA M E N T I DA NON PERDERE Mancini e Cassano all’altare Lunedì 15 DELLA PROSSIMA SETTIMANA Domenica 14 CARESSA e BERGOMI confessano in un’intervista a Babilonia che sperano nell’approvazione della legge sulle unioni civili per regolare la loro posizione e per poter finalmente adottare Alessandro Alciato. Martedì Per evitare il ripetersi di cori razzisti, TAVECCHIO Mancini dopo un brevissimo propone alle squadre di non schierare più giocatori fidanzamento sposa di colore. la giornalista MIKAELA 16 CALCAGNO. Mercoledì 17 Giovedì Cassano dopo un brevissimo fidanzamento Trema il mondo delle multinazionali del tabacco. sposa lo chef ANTONINO CANNAVACCIUOLO. SARRI e ZEMAN hanno deciso di smettere di fumare. Venerdì 19 Sabato Nel RUGBY viene introdotto il quarto tempo. Il menisco di FEDERER viene venduto all’asta Dopo le birre e il vino del terzo tempo, nel quarto su eBay. Se lo aggiudica Gene Gnocchi ecco superalcolici, spettacoli di burlesque e lap dance. per la modica cifra di 325 mila euro. 12 © RIPRODUZIONE RISERVATA 18 20 salomonrunning suunto salomonrunning suunto www.salomonrunning.com www.sunnto.com Firenze 5/6 marzo 2016 - 3a edizione sabato 5 marzo: 13 km by niGHt - H. 21:00 Firenze urban walkinG - H. 21:05 domenica 6 marzo: 30 km e 45 km - H. 08:30 cHallenGe 13 km by niGHt + 30 km ultracHallenGe: 13 km by niGHt + 45 km www.firenzeurbantrail.com START/CLASSIFICA C’ERAVAMO TANTO AMATI IL VIZIO DEL GOL DELL’EX L’ATALANTA È LA DECIMA SQUADRA IN SERIE A DI MARCO BORRIELLO. MA TRA I GRANDI “VAGABONDI” DELL’ATTUALE CAMPIONATO, RISPETTO A LUI QUAGLIARELLA HA SEGNATO PIÙ GOL AI SUOI VECCHI CLUB. IL NAPOLI TIRA INVECE UN SOSPIRO DI SOLLIEVO: GERMAN DENIS, IL SUO INCUBO, È TORNATO IN ARGENTINA di Fabrizio Salvio (dati di Camp) LUCA TONI 8 MAGLIE, 12 GOL DELL’EX Esordio l’1 ottobre 2000 nel Vicenza, poi Brescia, Palermo, Fiorentina, Roma, Genoa, Juve e Verona. Dodici le reti da ex, così distribuite: 5 al Genoa, 2 a Juve, Palermo e Brescia, 1 alla Fiorentina. FABIO QUAGLIARELLA 6 MAGLIE, 18 GOL DELL’EX Il Toro nel ’99, poi Ascoli, Samp, Udinese, Napoli, Juve e Samp. È quello che ha fatto più gol alle ex: ben 9 alla Samp, 3 a Napoli e Udinese, 2 al Torino e 1 alla Juve. E non ha mai esultato, tanto da far arrabbiare i tifosi granata. GIAMPAOLO PAZZINI 6 MAGLIE, 13 GOL DELL’EX In A inizia nell’Atalanta ’04-05, poi Fiorentina, Samp, Inter, Milan e Verona. Dove, mercoledì 3 febbraio, ha fatto gol proprio alla sua prima squadra, l’Atalanta. Esultando poi in modo irrefrenabile. Ai nerazzurri aveva segnato altre 7 volte, 5 i gol fatti alla Fiorentina. MASSIMO MACCARONE 5 MAGLIE, 10 GOL DELL’EX Esordio col Parma nel 2004, poi Siena, Palermo, Sampdoria ed Empoli. Cresciuto nel Milan, gli ha fatto gol la bellezza di 6 volte, l’ultima poche settimane fa. Tre li ha rifilati al Parma, 1 al Palermo. 1 3 45 6 2 MARCO BORRIELLO 10 MAGLIE, 15 GOL DELL’EX Ha esordito col Milan a settembre 2002, poi in A ha giocato a Empoli, Reggio Calabria, Genova (Samp e Genoa), Treviso, Roma, Torino sponda Juventus, Carpi e, da gennaio, Bergamo. Da ex ha segnato 4 gol al Genoa, 3 alla Samp, 2 a Juve, Roma e Reggina, 1 a Empoli e Milan. Col Carpi ha segnato contro il Genoa il 100° gol in carriera. ALBERTO GILARDINO 8 MAGLIE, 11 GOL DELL’EX Prima apparizione in A col Piacenza, poi Verona, Parma, Milan, Fiorentina, Genoa, Bologna e Palermo. Undici i gol realizzati ai club in cui ha militato: 5 al Parma (proprio la squadra che lo ha reso famoso), 3 alla Fiorentina, 2 al Milan e 1 al Piacenza. SERGIO FLOCCARI 7 8 GERMAN DENIS 3 MAGLIE, 9 GOL DELL’EX Otto anni in Italia, 3 squadre: Napoli, con cui ha esordito nel 2008, Udinese e Atalanta. Da ex ha punito le prime 2, segnando addirittura 6 gol ai campani. Tre quelli segnati ai friulani. 14 9 10 1 0 © RIPRODUZIONE RISERVATA 7 MAGLIE, 9 GOL DELL’EX Esordio a Messina nel 2005-06, quindi Atalanta, Genoa, Lazio, Parma, Sassuolo, Bologna. Ha fatto 3 gol a Lazio e Genoa, 1 a Parma, Atalanta e Sassuolo. Proprio al Sassuolo ha segnato il suo primo gol con la maglia del Bologna, il 24 gennaio. ANTONIO CASSANO 6 MAGLIE, 9 GOL DELL’EX Esordio a dicembre ’99 con la maglia del Bari, la sua città. Poi Roma, Samp, Milan, Inter, Parma e Samp. I gol da ex li ha distribuiti così: 4 al Milan, 2 al Bari e alla Samp, 1 alla Roma. ANTONIO CANDREVA 6 MAGLIE, 8 GOL DELL’EX Tra tanti attaccanti è il solo centrocampista presente in questa classifica. Esordio in A con l’Udinese, poi Livorno, Parma, Cesena, Juventus e Lazio. Ha segnato 3 gol all’Udinese, 2 al Parma, 1 a Livorno, Cesena e Juve: praticamente a ciascuna delle squadre nelle quali aveva militato. START/NEWS NON CI POSSO CREDERE FELINO STILIZZATO Il simbolo di Nbacatwatch. Sotto, baby Jag, il gatto di Ryan Hollins (centro dei Memphis Grizzlies). NBA DI SEBASTIANO VERNAZZA Il master in scusologia di Sarri QUANTI GATTI NEL CANESTRO UN SITO USA È DEDICATO AGLI ATLETI CHE AMANO I MICI, DA GINOBILI A PARKER. E TOWNS, CHE CON IL SUO HA FATTO IL “GIRO” DEL MONDO ?? ?????????????????????????????????????????????????? ?????????? ?????????? L’ultima dalla Nba è la Cat List: caccia al gatto più cool. Con un produttore radiofonico, Alex, titolare di Nbacatwatch.com (@nbacatwatch, su Twitter), che offre notizie sugli atleti amanti dei felini. Per il sito, racconta il Wall Street Journal, boom di contatti e segnalazioni dei tifosi sui campioni cat’s addicted. Tipo Karl Anthony Towns, rookie di Minnesota che ha promosso la sua presenza all’All Star Game di Toronto con la clip di un viaggio virtuale in giro per il mondo con il suo micio. O altri “gattari” come Manu Ginobili e la sua Apia, Tony Parker, Nicolas Batum. C’è anche l’elenco di chi li odia: Carmelo Anthony, Lance Stephenson, Carlos Delfino, mentre Zach Randolph di Memphis ammette di esserne terrorizzato. n.s. CHI È L’ALTRO? IN QUESTA FOTO, SCATTATA AI BOX DEL CIRCUITO DI MONZA IN OCCASIONE DEL GP LOTTERIA DEL GIUGNO 1968, C’È ENZO FERRARI (CHE RARAMENTE SI SPOSTAVA DA MARANELLO) INSIEME A UN SUO PILOTA. SE VOLETE SAPERE CHI È GIRATE PAGINA… 16 © RIPRODUZIONE RISERVATA In uno dei recenti “Buongiorno”, la rubrica che firma su La Stampa, Massimo Gramellini ha scritto: «Se oggi esiste un’immagine che riflette l’anima profondamente cattolica del nostro Paese è quella di un immenso “scusificio”, dove si sbaglia e ci si scusa quasi in contemporanea e con assoluta nonchalance, pur di poter tornare a peccare al più presto in santa pace». Un attuale e interessante caso di “scusologia”, diciamo così “indotta”, riguarda Maurizio Sarri. L’allenatore del Napoli, per i suoi insulti omofobi a Roberto Mancini, si è scusato la notte stessa, in diretta tv, ma non è bastato. Prima ha dovuto partecipare al teatrino delle Iene su Italia 1, con un servizio registrato in cui, a domanda sulla possibilità che gay e lesbiche si sposino, ha risposto con entusiasmo: «È chiaro, è palese!». Poi ha concesso un’intervista al settimanale Chi. Sarri è stato “torchiato” da Alessandro Cecchi Paone, sulla rivista diretta da Alfonso Signorini. Come è noto, sia Cecchi Paone sia Signorini sono gay dichiarati. Qui Sarri ha rivelato che il suo migliore amico, purtroppo scomparso, era omosessuale. Non sappiamo cosa preveda ancora il suo percorso rieducativo e riabilitativo, forse un confronto con Luxuria in qualche diretta tv o la partecipazione a un Gay Pride. Di sicuro il master di “scusologia” al quale il “povero” Sarri è stato costretto – con evidente regia alle spalle per la ripulitura della sua immagine – risulta stucchevole. Vien da pensare che ormai, in Italia, si scusa con sincerità solo chi non si scusa e si chiude in un dignitoso silenzio, a meditare sui suoi errori. START/NEWS F.1 BENEFICA ECCO I VERI FOTOGRAFI ALL’ASTA GLI SCATTI DEI PILOTI PER IL GREAT ORMOND STREET HOSPITAL DI LONDRA, DAL CANE “ROMANO” DI HAMILTON A RICCIARDO IN BICI NEL DESERTO. RACCOLTI 23 MILA EURO, MA SI PUÒ ANCORA PARTECIPARE !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! !! L’altro è… TINO BRAMBILLA PILOTA MONZESE DI MOTO E AUTO, CORSE CON IL CAVALLINO E ARRIVÒ A UN PASSO DALLA F.1. «FERRARI MI PARLAVA IN DIALETTO MILANESE. COSA MI CHIEDEVA LÌ? DI AIUTARE I COMPAGNI…» «Cosa mi stava dicendo Enzo Ferrari in quel momento? Me lo ricordo bene: se potevo aiutare gli altri piloti del Cavallino, Baghetti, Bell e Casoni, a fare il tempo, tirandoli con la scia». Era il giugno 1968 e, sulla pista di Monza ancora senza chicane, c’erano le prove del GP Lotteria di F.2. Il monzese doc Ernesto “Tino” Brambilla, l’altro protagonista della foto insieme al Drake di Maranello, guidava una rossa ed era nel momento migliore di una carriera da pilota di moto e auto iniziata negli Anni 50. L’anno dopo Ferrari («Avevamo un bel rapporto, con me si divertiva a parlare in dialetto milanese») gli propose di correre il GP d’Italia di F.1, ma Brambilla (fratello di Vittorio, che vinse un GP iridato nel 1975) non prese il via. A causa di un incidente in moto la settimana precedente, come si disse, o rinunciando 18 per una monoposto poco competitiva? Fatto sta che poco dopo Tino tornò alla sua officina meccanica, gestita poi fino a una quindicina di anni fa, e si dedicò per anni a collaudare le Pirelli per le moto. Oggi che ha 82 anni, due figlie e una nipote 18enne («Ma lei pensa a studiare e non ai miei racconti...»), segue ancora le gare in tv. «Di motociclismo, perché con la F.1 mi g.gas. addormento». OGGI Tino Brambilla, 82 anni. È uscita da poco la sua biografia Mi è sempre piaciuto vincere scritta da Walter Consonni. !!!!!!!!!! !!!!!!!!!! Rendono meglio come piloti, su questo non c’è alcun dubbio. Ma siccome il fine era ed è benefico, ben venga l’impegno di Hamilton e soci con la macchina fotografica. Per il quarto anno consecutivo, infatti, i campioni della F.1 hanno regalato le immagini scattate personalmente durante la stagione all’asta che raccoglie fondi per il Great Ormond Street Hospital Children’s, ospedale per bambini a Londra. Nel corso della stagione 2015 a METTIAMO IN ORDINE DA GP DI MASSIMO PARRINI [email protected] ognuno dei piloti sulla griglia è stato chiesto di scegliere una foto scattata durante la vita da vagabondi in giro per il mondo. I loro lavori, autografati, sono stati battuti dalla Coys durante una serata di gala all’InterContinental Park Lane della capitale britannica il 5 febbraio scorso. Ma l’asta rimane aperta online su www.coys-zoom.co.uk, per chi volesse fare un’offerta. In cambio di una foto, naturalmente. Lo stile degli “artisti” è risultato variegato. Dal selfie di Ricciardo («Mi è sempre piaciuto andare in bici e adoro un po’ di avventura: in questo caso nel bel mezzo del deserto, luogo allo stesso tempo pacifico ma eccitante, compresi i cammelli...») CLIC Dalla foto all’estrema sinistra a quella in alto: i lavori di Ricciardo, Hamilton e Verstappen. Graziani, Baggio e gli altri bulli della Serie A al cielo di Max Verstappen («Se potessi scegliere un superpotere vorrei la capacità di volare. Ma finché non succede devo usare gli aerei e godermi la vista») passando dalla marmotta ritratta da Sebastian Vettel («Come questo animale anch’io amo la pace e la calma delle montagne»), il giro australiano in mountain bike di Jenson Button, Felipe Nasr a pesca in riva a un laghetto austriaco e l’immancabile Roscoe, il bulldog di Lewis Hamilton, nelle vesti di “padrone” di Roma. Numero uno anche in questo caso, l’inglese, visto che la foto è stata battuta a 3.900 euro ed è stata la più pagata. In totale, nella serata, sono stati raccolti 23 mila euro. g.gas. Secondo la definizione di Wikipedia, le vittime del bullismo sono “soggetti considerati dalla gente come bersagli facili e/o incapaci di difendersi”: in Serie A possiamo individuarle nelle squadre che retrocedono (o che sarebbero finite in B senza interventi della giustizia sportiva). Usando questa classificazione, il più grande “bullo” del nostro massimo campionato è Roberto Baggio, capace di segnare 63 gol alle squadre che alla fine della stagione finirono, o sarebbero dovute finire, in B. Il podio dei “prepotenti” è completato da Beppe Signori (58 gol) e Francesco Totti (53). La più grande stagione da “bullo” fu invece il ’76/77 di Ciccio Graziani: il bomber del Torino infierì su “deboli e indifesi” mettendo a segno 11 gol tra Catanzaro (2), Cesena (4) e Sampdoria (5). Notevoli anche il ’94/95 di Marco Simone, 10 reti tra Brescia (4), Foggia (3), Genoa (1) e Reggiana (2) e il 1992/93 di Massimo Agostini, a segno contro Brescia (3), Fiorentina (2), Pescara (5), con l’Ancona, quarta retrocessa, che evitò soprusi solo perché l’aveva in squadra. I “bulli” che si sono maggiormente accaniti contro una vittima (con 6 gol) sono Angelo Schiavio (alla Pro Patria nel ’32/33), Aldo Boffi (al Modena nel ’39/40) e Roberto Boninsegna (al Foggia nel ž73/74). MOSTRA SENNA, UNA VITA IN UN GR ANDE IDOLO abile Lo sguardo indimentic iridato F.1. di Ayr ton Senna, 3 volte immagini scattate da Una selezione di cento fotografo dei GP, rico Ercole Colombo, sto ruz zi ispirati al suo con i tes ti di Giorgio Ter a notte di Ayrton libro Suite 20 0. L’ultim lla mostra allestita de Senna. È il contenuto ità all’autodromo di nel Museo della Veloc febbraio al 24 luglio. Monza, visitabile dal 17 : gli inizi con il kar t, mo Racconta il pilota e l’uo si e delusioni, il l’esordio in F.1, succes st), piloti (soprattutto Pro rapporto con gli altri ia e igl fam la con e am leg gli amori, la fede, il ta in quella tragic a le sue ultime ore in pis . che ce l’ha portato via giornata di Imola ’94 © RIPRODUZIONE RISERVATA 19 start/news dubai tour vecchio ciclismo e nuovi istantanee della gara appena corsa negli emirati: 4 tappe, tra cammelli e grattacieli, che ai i l deserto, i grattacieli e le biciclette. Tradizione, modernità e il fascino di uno degli sport più popolari. Il mix sulla carta un po’ ardito del Dubai Tour ha funzionato ancora una volta: è la terza volta che succede e ogni anno acquista un sapore più azzeccato. La corsa del Dubai Sports Council, organizzata in partnership con Rcs Sport, raccoglie sempre maggiori consensi in gruppo: il clima mite ma non afoso, la possibilità di un ottimo rodaggio agonistico verso gli appuntamenti più importanti, la comodità della partenza delle quattro frazioni sempre uguale e raggiungibile a piedi dai corridori, che dormono coccolati alla Marina di Dubai prima di attaccarsi il numero alla schiena 20 e cominciano ad augurarsi che in futuro si riescano a fare uno o due giorni di gara in più. L’edizione 2016 ha incoronato il tedesco Marcel Kittel, forte di due sprint vinti; premiato pure il nostro Elia Viviani, a segno sull’arcipelago artificiale creato dal nulla dell’Emirato; e permesso allo spagnolo Lobato, vincitore sullo strappo della diga di Hatta, di dedicare un commosso pensiero al compagno Adriano Malori, ancora in ospedale dopo la caduta in Argentina. Si è fatto rivedere, e non è una novità, anche Diego Maradona, che a Dubai vive e di Dubai è testimonial. Le tappe sono volate via, la prima a oltre 48 di media e alla fine, in totale, poco meno di 45 all’ora lungo i 665 chilometri di testo di di ciro scognamiglio ~ foto di Michael Steele emirati mon amour tutte le avventure del gruppo lungo le tappe del dubai tour, arrivato alla sua terza e sempre più felice edizione: in superstrada incrociando un vecchio camion, sotto gli occhi dei dignitari locali, pedalando verso i grattacieli, passando davanti a un cammello e un coccodrillo (ma solo in foto, all’esterno del dubai Crocodile Park). È l’evoluzione di uno sport antico e popolare che esce dall’Europa e familiarizza con nuovi territori. mondi corridori in gruppo piacciono sempre più gara. Per la prima volta ci si è spinti verso l’Emirato di Fujairah, che si affaccia sul Golfo dell’Oman, e il monumentale Burj Khalifa (grattacielo più alto del mondo, 829,3 metri) ha fatto da sfondo alle ultime immagini televisive che hanno raggiunto ben 177 Paesi. Inimmaginabile fino a poco tempo fa, così come la presenza al via di una squadra locale capitanata da Yousif Mirza Banihammad, un ragazzo di Dubai che quando vince mima il gesto del pistolero alla maniera di Contador e ha dato all’Emirato un posto nella gara su strada all’Olimpiade di Rio. Perché il ciclismo è definitivamente uscito dai confini della vecchia Europa, e nei nuovi mondi pedala sempre più forte. © riproduzione riservata 21 C’È JUVE-BAYERN START/INFOGRAPHIC 15 8 16 FIORENTINA INTER JUVENTUS MILAN NAPOLI ROMA MARIO GOMEZ L’ex viola, 30 anni, oggi al Besiktas (Tur), è la nostra bestia nera: 8 gol. 1 3 3 6 1 1 1 1 1 3 2 0 CONTRO I TEDESCHI I BIANCONERI POSSONO EGUAGLIARE LE VITTORIE NELLE COPPE, CHE ORA SONO 4-3. E ANCHE IL BILANCIO CONTRO TUTTE LE ITALIANE, DOVE LA SQUADRA DI MONACO È AVANTI 16-15 (MA NEI MATCH IMPORTANTI LE HA SEMPRE PRESE) VITTORIE BAYERN PARI VITTORIE ITALIANE dati a cura di Camp 2 3 4 1 1 5 39 PRECEDENTI INCONTRI 17 17 MILAN 15 - 2 z S 9 INTER 11 ROMA 13 - 4 z S JUVENTUS 11 - z S 6 3 z S 7 9 NAPOLI 3 4 z S INTER 6 3 z S 8 MILAN 8 - z S 59 8 FIORENTINA 8 - z S TOTALE RETI REALIZZATE DAL BAYERN MONACO 6 reti MIGLIORI MARCATORI BAYERN MONACO 8 4 4 3 3 22 MARIO GOMEZ (2 Inter, 1 Juventus, 3 Napoli, 2 Roma) THOMAS MÜLLER (2 Roma, 1 Inter, 1 Juventus) ARJEN ROBBEN (2 Fiorentina, 2 Roma) MIROSLAV KLOSE (2 Fiorentina, CLAUDIO PIZARRO (1 Inter, © RIPRODUZIONE RISERVATA 1 Roma) 1 Juventus, 1 Milan) NAPOLI 4 2 z S L’ITALIA PUÒ PAREGGIARE A guardarlo oggi, si fa quasi fatica a crederci: nel bilancio delle italiane con il Bayern (rivale della Juve negli ottavi di Champions; andata a Torino il 23) 16 vittorie loro e 15 nostre, più 8 pareggi. È che i tedeschi mica sono sempre stati una corazzata inaffondabile come adesso (e nei primi Anni LEGENDA 70). Nei match più importanti le hanno sempre prese, nell’unica finale (con l’Inter nel 2010) come nelle semifinali col Milan (Coppa Campioni ’8990 e Napoli (Uefa ’88-89). In questi ultimi due casi, il trofeo lo vinsero poi le nostre. Chissà se questi precedenti daranno la spinta alla Juve… z Coppa Campioni Champions League Coppa delle Fiere Coppa Uefa Europa League S Coppa Coppe MIGLIORI MARCATORI SQUADRE ITALIANE 49 TOTALE RETI REALIZZATE DALLE ITALIANE FILIPPO INZAGHI DAVID TREZEGUET CARECA 6 3 3 Milan 6 JUVENTUS 6 - z S 5 Juventus ROMA 4 - 1 z S L’ULTIMA CHAMPIONS Il Bayern l’ha vinta Ƃnale (2-1) contro nel 2013: Ƃnale il Borussia Dortmund. LUD HUANHUAN, LAURENCE GRIFFITHS 5 - z S FINALI GIOCATE reti 5 FIORENTINA 1 Napoli Champions League INTER-BAYERN (2-0) 22/5/2010 23 E CON IL REAL PARI VITTORIE ITALIANE dati a cura di Camp VITTORIE REAL MADRID START/INFOGRAPHIC 25 11 29 FIORENTINA INTER JUVENTUS L AZIO MILAN NAPOLI ROMA TORINO 0 7 8 0 6 0 3 1 24 MILAN 24 - z S 0 2 2 2 3 1 1 0 1 6 8 2 6 1 4 1 IN 60 ANNI DI SFIDE IN TUTTE LE COPPE LE NOSTRE SQUADRE HANNO VINTO 25 VOLTE E PERSO 29. A MADRID LE VITTORIE SONO STATE SOLO 5 (CONTRO 23…) MA DUE DI QUESTE, RECENTI, SONO PROPRIO DEI GIALLOROSSI PRECEDENTI INCONTRI 65 25 MILAN 25 - z S 21 JUVENTUS 20 21 - z S 18 INTER 8 9 3 z S JUVENTUS RAÚL Ben 11 i suoi gol alle italiane. A Ƃne 2015 si è ritirato. 18 - z S 19 INTER 11 6 2 z S 15 9 ROMA ROMA 15 - z S 9 - z S 10 LAZIO 10 - z S 94 3 NAPOLI 3 - z S 2 TOTALE RETI REALIZZATE DAL REAL MADRID FIORENTINA reti 11 6 6 6 5 24 MIGLIORI MARCATORI REAL MADRID RAÚL (5 Roma, 3 Milan, 2 Lazio, 1 Juventus) LUIS FIGO (5 Roma, 1 Lazio) CRISTIANO RONALDO (5 Inter, 1 Milan) CARLOS SANTILLANA (6 Fiorentina) ALFREDO DI STEFANO (3 Milan, © RIPRODUZIONE RISERVATA 1 Fiorentina, 1 Inter) 2 - z S 2 TORINO - 2 z S LA ROMA SPERA NEL BERNABEU A un certo punto, tra l’83 e l’86, il Real Madrid eliminò tre volte su tre l’Inter. Un incubo. Soprattutto, fino ad allora era utopia pensare di non uscire malconci dal Bernabeu. I numeri sono chiari: in 31 partite delle italiane a Madrid le nostre hanno vinto 5 volte, pareggiato 3 e perso ben 23. Due dei successi sono però proprio dei giallorossi (2002 e 2008). E a dire il vero, quando in ballo ci sono state finali e semifinali, le nostre vantano un 2-2 nelle prime e un 3-3 nelle seconde. Quello del 17 in casa della Roma è un ottavo (con ritorno in Spagna l’8 marzo), ma va bene lo stesso. LEGENDA z Coppa Campioni Champions League Coppa delle Fiere Coppa Uefa Europa League S Coppa Coppe MIGLIORI MARCATORI SQUADRE ITALIANE 85 ALESSANDRO DEL PIERO DAVID TREZEGUET GORAN PANDEV MARCO VAN BASTEN FRANCESCO TOTTI 5 3 3 3 3 Juventus 7 LAZIO 7 - z S 3 TORINO - 3 z S 4 FINALI GIOCATE Juventus Lazio Milan Roma reti L’ULTIMA CHAMPIONS Il Real l’ha vinta nel 2014: Ƃnale (4-1 d.t.s.) contro l’Atletico Madrid. 1 NAPOLI 1 - z S JASPER JUINEN, STUART FRANKLIN TOTALE RETI REALIZZATE DALLE ITALIANE Coppa Campioni/Champions L. REAL MADRID-FIORENTINA (2-0) 30/5/1957 REAL MADRID-MILAN (3-2) 28/5/1958 INTER-REAL MADRID (3-1) 27/5/1964 REAL MADRID-JUVENTUS (1-0) 20/5/1998 25 cover story/Sci domestico 26 Federica Brignone è uno sport bastardo l’azzurra abita a due passi da la thuile, dove il 21 debutta la coppa del mondo. ci ha parlato dell’emozione che dà gareggiare in casa, ma anche di quello che lo sci di vertice toglie: «ci si fa male, in pista c’è sempre qualcuno che va più forte di te ed è da capodanno che non vedo il mio fidanzato. voglio una vita più normale» di alessia cruciani ~ foto di francesco anselmi c he bello avere la gara di casa! «Sì, bellissimo… Ma che stress! Mi chiedono di fare video, partecipare a conferenze stampa. Per me è un piacere, è che dall’inizio della stagione la gente si raccomanda: “Preparati per fare bene a La Thuile!”. Sì, certo, ma io devo farle bene tutte!». Se la ride Federica Brignone, 25 anni, l’azzurra dello sci più in forma del momento. Nata a Milano, è cresciuta a La Salle, non molto distante da La Thuile dove, sabato e domenica prossimi, sono previsti discesa (il 20) e superG (il 21) femminili. E la Valle d’Aosta non ospitava la Coppa del mondo di sci da 26 anni. «Non c’è il gigante, la mia specialità, ma anche in superG sto facendo vedere cose abbastanza buone (non fa la discesa; ndr). Il problema è che ci sono grandi aspettative su di me e questa cosa mi mette tensione. Però poLIvaLente La sciatrice azzurra (slalom, gigante e superG) Federica Brignone, 25 anni, sulla pista per lei di casa (vive a La Salle, Ao), di La Thuile, dove il 20 febbraio si disputerà la discesa e il 21 il superG. 27 cover STory/Sci domestico sono gasata all’idea di avere tutto il pubblico dalla mia parte». In questa stagione, la migliore della sua carriera, Federica ha centrato in gigante una vittoria (nella prova inaugurale a Sölden, in Austria) e quattro podi; mentre in superG, disciplina in cui si è lanciata dall’anno scorso, tre piazzamenti nelle prime dieci. Un ritmo incoraggiante in vista della gara su una pista che conosce a memoria. «La conosco, ma da turista. Non ho idea di come possano tracciarla per il superG. Il vantaggio sarà avere il pubblico che fa il tifo per me. Ma c’è anche una trappola: sentirsi costretti a fare qualcosa di grande. Tutti si aspettano molto. Quando sono caduta a Courchevel mi dispiaceva soprattutto per la trentina di persone che era venuta per me. Io so che in una gara di sci può accadere, pensavo però a loro che erano venuti proprio in quella». Quanta gente ci sarà a tifare per lei? «Moltissimi amici che sono proprio di La Thuile saranno già in pista a lavorare. Tanti altri valdostani arriveranno». Dall’anno scorso si è data alla velocità con il superG. E i risultati danno ragione ai suoi amici, fanno bene ad aspettarsi belle cose. «Ho buoni margini di miglioramento, è una disciplina che mi viene facile. All’inizio, mettendo gli sci lunghi in gara, non mi trovavo così bene. Sono nelle prime dieci, ma con la Vonn di adesso è veramente molto difficile. Anche se in una pista come questa, con le curve più strette, potrebbe fare fatica». Che effetto fa sapere che adesso può batterle tutte? «Non riesco a gasarmi. So di poter fare belle cose, ma quando arriviamo all’estrazione dei pettorali e ci sono le prime sette del mondo mi chiedo: “Come faccio a battere queste? Sciano forte, attaccano”. Anche se ci sono già riuscita, mi sento sempre inferiore. So di poter essere una delle mi- gliori, ma è come se non lo accettassi». Dopo una vittoria che cosa cambia nei rapporti con la squadra, in gara e con le avversarie? «Con le compagne, penso niente. Non apprezzo la gente che cambia quando vince e a me piace far parte del gruppo, della squadra. In gara ti dà più sicurezza, sai che sciando al massimo delle tue possibilità puoi giocarti la vittoria.Forse è un vantaggio che ho sfruttato troppo poco. Al cancelletto mi dico: “Magari non mi succederà mai più!”. Quanto alle avversarie, mi sento più osservata, anche dagli altri allenatori. Mi dicono di aver visto il mio video e che ora mi seguono come una delle migliori. Tutto questo è davvero gratificante». E fuori dalle piste? «In tanti ti fanno i complimenti. Per gli 28 amici sei sempre la stessa. La stampa ti cerca maggiormente e diventi più conosciuta. È arrivato anche qualcuno a proporsi come manager». E…? «Sono indecisa. Se avessi un manager, la cena che mi hai visto fare l’altra sera con gli amici non l’avrei potuta fare. Già sono in giro tutto l’anno per gare e allenamenti, sarei piena di impegni anche quando torno a casa. Voglio una vita più normale. È da capodanno che non vedo il mio fidanzato (lo sciatore francese Nicolas Raffort; ndr). Anche lui è in Coppa, ma è fermo da ottobre per infortunio». Fino a poco tempo fa si parlava di lei come della ìfiglia di Ninna Quario”. Che, nel frattempo, è diventata una stimata giornalista nel mondo dello sci. Mi racconta l’intervista ìfamiliare” IN PISTA Federica Brignone in azione sulla pista “Franco Berthod n. 3” di La thuile che ospiterà le gare di Coppa del mondo. La milanese è stata argento ai Mondiali 2011 in gigante, specialità dove a ottobre, a sölden, ha vinto la prima gara di Coppa della carriera. “ Non so se voglio un manager. Già passo la vita in viaggio, sarei piena di impegni anche quando sono a casa subito dopo la vittoria di Sölden? «La prima cosa che mi ha detto è stata: “Questa è l’intervista più bella della mia vita!”. E poi lei riesce sempre a fare domande abbastanza furbe, essendo un’ex atleta». Quest’anno c’è sempre superVonn, ma mancano Tina Maze (è in pausa di riflessione) e la detentrice della Coppa, Anna Fenninger (infortunata). Sarebbe stato bello battere anche loro? «Lo sci è uno sport bastardo, ci si fa male. Ed è un ciclo continuo, magari c’è qualcuna che non va più così forte ma ne arriva una nuova. Anch’io ho saltato una stagione per infortunio e me ne sono fatta una ragione. Comunque ora ci sono campionesse mondiali, di specialità. Non posso certo lamentarmi del livello delle avversarie». Il tecnico Gianluca Rulfi ha detto che lei ha il touche de neige: ciò vuol dire che la ritiene una sciatrice fine, non di potenza. Alla Ted Ligety. «Prima cosa: wow! Ligety è sempre stato uno dei miei sciatori preferiti, adoro le sue linee, mi piace il suo touche de neige. L’ho guardato per anni. Una volta l’ho visto in un riscaldamento e mi sono attaccata dietro per vedere come faceva le curve. Non so se se n’è accorto… Girava tantissimo, io sarei andata molto più dritta, non riuscivo a fare come lui. La differenza è che lui, quando va male, ha sempre delle scuse mentre io mi butto giù, divento crudele con me stessa». Ha un nuovo preparatore atletico. Ho letto che l’ha fatta quasi vomitare per la fatica. «Lavoro con lui quando non sono con la squadra. In questi periodi, di solito, prima mi allenavo da sola, ora invece sono seguita. Mi ha fatto lavorare più sull’intensità che sulla durata, è che l’estate scorsa faceva talmente caldo che a volte mi sembrava di scoppiare. Tutto questo mi ha sicuramente aiutato e fisicamente sto molto, molto bene». Da quest’anno si è aggiunto anche il mental coach. Che cosa fate insieme? «È un ex snowboarder, si chiama Roberto. Lo vedo ad Aosta e poi ci sentiamo per telefono. Abbiamo parlato tanto di rapporti con le compagne, con la squadra, con gli allenatori, della creazione di un ambiente dove stare bene. Nello sci sono quasi più i giorni in cui non sei soddisfatto, in cui le gare non vanno come vorresti, quindi serve un contesto dove essere sereni. Devo pensare che comunque sono in giro con le mie compagne e sto facendo una bella esperienza. Se non c’è questo aspetto, allora diventa dura. Se ti applichi, aiuta». Quante volte ha rivisto le foto e il video della vittoria di Sölden? «Non tantissime, ma mi piace riguardare le foto. È proprio una bella soddisfazione». Federica, ma quanto è difficile vincere in Coppa del mondo? «Tanto, ma se sei in giornata è facile!». E se ne va ridendo. © riproduzione riservata 29 l A pi StA di l A t h u i l e cover story/Sci domestico seGuitemi! dalla partenza soft alle insidie del “grand muret” e della “traversa”, i segreti della “franco berthod n. 3” svelati da federica dopo il suo test a a partenza difficoltà 4 «Facile: una spinta e poi entri nella prima esse. Lì la difficoltà si alza ma non arrivi troppo veloce. È l’unico punto dove puoi godertela». partenza b Grand muret difficoltà 9 «Subito dopo il via è tosta, specie per la testa: vedi il muro, sai che vai veloce e devi girare sci da 2,18 m restando in linea. Non puoi sbagliare nulla». a b d planey difficoltà 3 «In questo punto l’importante è stare più chiusi possibile, in posizione. Non ci saranno curve, quindi è il momento in cui si può tirare un attimo il fiato». d e inGresso 2 difficoltà 7 «C’è un bel curvone, per questo è fondamentale entrarci bene per poi fare tutta la parte finale con il giusto ritmo». a H f arrivo f traversa minicentrale difficoltà 9 «Si entra a tutta ma la pista si stringe. C’è un curvone, si fatica a tenere la linea e si entra in un tratto pianeggiante: se sbagli ti fermi». G salto baita di GiorGio difficoltà 8 «Salto in curva dove non c’è molto spazio per prendere la direzione sia prima che dopo lo stacco». G H traversa maGneuraz difficoltà 9 «Si stringe di nuovo e c’è poco margine per recuperare un errore. Inoltre si sente la stanchezza nelle gambe». 30 c d e f G c muret difficoltà 8 «Sei prima di un piano e se ci entri solo 5 km orari più lenta delle altre, perdi tantissimo. È un punto che può rivelarsi fatale». I PREPARATIVI A bordo pista pure… gli chef A La Thuile ci sarà un direttore giovanissimo, Killy Martinet (foto), 27 anni. Si è occupato di tutto sia in pista, sia fuori. «Il tracciato della discesa sarà disegnato dal responsabile della Fis, Jean-Philippe Vuillet, quello del superG dall’allenatore dell’Austria Roland Assinger», spiega Martinet, che poi aggiunge: «Abbiamo noleggiato molto materiale per tutelare le atlete: useremo 5 mila metri di reti ancorate a strutture fisse e circa 4 mila metri di quelle alte due metri ancorate a pali mobili. E la Fis fornirà i materassi protettivi disposti nei punti più pericolosi». In pista ci saranno un centinaio di volontari, in gran parte militari, più altri 150 per il parterre e la viabilità in paese. Una disponibilità che ha colpito il direttore gara: «Abbiamo avviato il reclutamento online e raccolto subito 120 adesioni. Poi forse saranno troppi...». E poi spazio ai tifosi: «Nel parterre ci sarà una tribuna che potrà ospitare 400 persone: gli ingressi (€ 200) prevedono un servizio catering con prodotti regionali cucinati da chef stellati valdostani. E un’area gratuita per 3-4 mila persone». Quanto alla tv, le telecamere seminate lungo la pista saranno 22. PASSIONI/Il confronto di Raffaele Panizza DeNI S B e k AR ON ale natur ❄ naturale VS artIFICIale ❄ vIvA lA Neve! (Sì, ma quale?) PeR BuONa PaRte dell’iNveRNO è NevicatO POcO O NieNte e Si è SciatO SOlO gRazie ai caNNONi. ma SiamO SicuRi che Sia PeggiO? l’aBBiamO chieStO a uN’ex SciatRice e a uNO SNOwBOaRdeR che haNNO vedute OPPOSte A rgento e bronzo mondiale in gigante, oggi mamma full time, Denise Karbon rimane un’ultras della neve naturale: «che tornerà a cadere copiosa», assicura lei, dal suo osservatorio di Castelrotto. «Inverni così ne ho visti una valanga». PeRFettA PeR DeRAPARe «La neve naturale è molto meno aggressiva, e nelle giornate di relax ti permette di sciare in modo più poetico, senza l’ossessione della perfezione. Poi è più malleabile: si derapa alla grande». le ARtIcOlAzIONI cANtANO «La neve artificiale è pesante per le articolazioni, perché gli sci sono appiccicati a terra: quando “prende”, ti trascina con forza nella direzione della sciancratura, uno stress non facile da gestire». vIvA le gOBBe «La naturale fa le gobbe di ghiaccio, vero. Ma diciamocelo, sono divertentissime! E sono un’occasione per migliorare la sensibilità dei piedi, imparare a impostare gli spigoli e acquisire equilibrio». PeRFettA PeR AtletI cOMPletI «La naturale è più varia, piena di imprevisti che aiutano a sviluppare la percezione del proprio baricentro. Su quella artificiale si lavora molto sulle ginocchia, ma poco più, e non ci si abitua a certe compressioni: una generazione di atleti cresciuta solo sulla neve artificiale sarebbe una generazione incompleta. Anzi, una generazione di atleti robot». 32 Il BellO Del gHIAccIO «Sciare sulla pista ghiacciata insegna a esser leggeri, a non usare troppa forza e scendere “puliti”. E poi richiede competenze tecniche: non puoi piantare le lamine a fine curva ad esempio, altrimenti vieni spinto via. Sono ricchezze». Il PIAceRe DellA “PAPPA” «Amo persino quando fa caldo e la neve si scioglie formando la “pappa”: il terreno quasi non lo senti, galleggi e saltelli usando le solette, ed è come sciare sulle uova». lA MAgIA Del FUORIPIStA «E poi c’è il fuoripista, che è come immergersi nel burro e nel borotalco. Finché d’un tratto tutto cambia e incontri una crosta dura. Nessun cannone sparaneve potrà mai creare questo parco giochi perfetto». StIlI A cONFRONtO da sinistra, denise Karbon in azione all’Olimpiade di vancouver nel 2010 e Roland Fischnaller nella recente tappa di coppa del mondo vinta a mosca. I SEGRETI DELLA NEVE ARTIFICIALE È sferica, pesante e non buona da mangiare I segreti degli innevatori? Li racconta l’ingegner Emanuele Bazzechi, responsabile tecnico di DemacLenko, che cura le piste mondiali di Selva di Val Gardena. SI PU“ MANGIARE? La neve artificiale si può mangiare solo se l’acqua utilizzata è presa da un bacino pulito e se non contiene additivi chimici (che in Italia sono vietati ma in altri Paesi permessi): nel dubbio, meglio evitare. iale artific FIScHNAlleR S ul“mantoartificiale”diMosca ha appena trionfato in Coppa del mondo. «Quella sparata dai cannoni», dice Roland Fischnaller, snowboarder, «è la neve come Dio avrebbe dovuto crearla». INcOllAtI AllA PIStA «Il cristallo è molto più piccolo di quello naturale, e la pista risulta estremamente compatta perché non trattiene aria: il grip, poi, è impareggiabile». cHIeDI A BOlt «Perché me ne sono innamorato? Sarebbe come chiedere a Usain Bolt perché preferisce correre su una pista olimpica ben battuta piuttosto che in un vicolo pieno di buche: per un discesista, l’artificiale è il top». vOlARe SUllA lAMINA «La lamina è così inchiodata a terra che ci si può spingere tranquillamente fino alla massima pendenza e sfruttare tutta la sciancratura: questo tipo di fondo poi è ideale per tutte le manovre di carving». Neve IN SAlSA yANkee «In Usa è diversa, la sparano a tremila metri ed è ancora più asciutta di quella europea. Credo usino anche proteine per ND PERCHÉ A VOLTE » GRIGIA? Quando appare di color grigiastro significa che contiene una quantità eccessiva di acqua, e sarà meno compatta e sciabile. migliorarla, vietate in Europa. Poi laggiù è durissima: se sfrecci a tutta pressione lasci sulla pista un segno quasi invisibile, profondo un millimetro». I FIOCCHI SONO DIVERSI? La neve artificiale ha forma sferica, quella naturale ha la forma di un fiocco. I cannoni migliori sparano granelli grandi circa 150 micron. Quelli naturali arrivano fino a 500. PRINcIPIANtI: AtteNzIONe! «Per chi inizia ad andare in snowboard su neve sparata è consigliabile una pista quasi piatta: il rischio, altrimenti, è di prendere troppa velocità». A QUALE TEMPERATURA SI SPARA? Più la temperatura è bassa, e migliore è la neve prodotta. Chi la crea a temperature alte (si arriva anche a 16 gradi) usa procedimenti criogenici da cui risulta un fiocco simile al ghiaccio: va bene per innevare una pista per un evento della durata di un giorno, ma non impostarci una stagione intera. ASSIcURAzIONe cASkO! «Al contrario, un atleta esperto può permettersi di raggiungere velocità impensabili con un totale senso di sicurezza: scendi a ottanta chilometri all’ora e hai la sensazione che non potrai mai cadere». INFORtUNI AllA lARgA «Non si rischia la lussazione alla spalla, ad esempio, perché quando appoggi le mani a terra non rimani “agganciato” come accade nella neve fresca. E poi eviti quelle tremende capriole in avanti che capitano quando schiacci tanto e il naso della tavola sprofonda e s’impianta». QUANTO PESA? La densità di una pista innevata artificialmente è di circa 500 chili a metro cubo. Naturalmente, si sta intorno ai 200. Ecco perché è più compatta e meno sensibile ai cambiamenti di temperatura. QUANTO SPARANO I CANNONI? I cannoni hanno una potenza impressionante: alcuni, sparano fino a 660 litri d’acqua al minuto, che si trasformano in 3mila chili di neve, secondo il rapporto 1 a 2,5. PUPAzzI ADDIO «Ecco, l’unico inconveniente è che il pupazzo di neve non attacca, perché non è abbastanza umida. Però ci si possono far sopra bellissimi disegni». © RiPROduziONe RiSeRvata 33 emmaNuel duNaNd, miKhail JaPaRidze ROl A il vecchio sceriffo non si batte foto di Julio Cortez Doveva essere la consacrazione del fenomeno emergente e irriverente, ai danni del vecchio campione affermato ma pieno di cicatrici. Insomma, la classica faccenda del new kid in town e via così. Storie, più o meno ricorrenti, da Super Bowl. Peccato che l’anziano non fosse d’accordo e, soprattutto, avesse dalla sua una difesa che definire strepitosa è poco. Così è 34 zoom finita che Peyton Manning, quello sulla destra, mettesse a 39 anni un sigillo vincente e inatteso su una grande carriera grazie ai suoi Denver Broncos. E l’altro, Cam Newton, si ritrovasse a pensare al prossimo campionato, mesto e sconfitto insieme ai suoi Carolina Panthers. Ma con la grazia, questo sì, di regalare prima un sorriso al rivale. © riproduzione riservata a santa clara i complimenti di newton (panthers), a sinistra, per Manning, re del super Bowl coi Broncos (24-10). 35 zoom acrobazie tra i colossi foto di schalk van zuydam La competizione assegna il titolo di “King of the air”, re dell’aria, e può sembrare una contraddizione visto che il mezzo si muove sull’acqua. Ma il kitesurf, la tavola trainata da un aquilone, può davvero raggiungere velocità e acrobazie degne di ali leggere. Sulla spiaggia di Cape Town (Sudafrica) nello scorso weekend si sono sfidati 24 campioni della materia, con 36 scontri secchi dentro-fuori, e alla fine ne è rimasto uno, il britannico Aaron Hadlow che vedete nella foto, al secondo successo di fila in questo evento. Quasi pronto al decollo proprio mentre alle sue spalle si intravede la stazza di una nave gigantesca e immobile. La solita vecchia sfida tra elefante e farfalla, insomma, in versione marinara. Silvia Cimini © riproduzione riservata semPre Più iN alto aaron hadlow, 27 anni, britannico, 5 volte iridato nel World tour, durante la sfida in sudafrica. 37 zoom alonzo messo in croce foto di gerald herbert Dura la vita, quando i tuoi compagni si chiamano Anthony Davis (23,4 punti di media a partita), Ryan Anderson (17), Tyreke Evans (15,2) e Jrue Holiday (14,5). Significa che, pur giocando 21 minuti e mezzo a sera, di palloni nelle tue mani ne transitano pochi. E quei pochi vanno consegnati (nel gergo cestistico, scaricati) nelle mani dei compagni deputati a 38 infilare il canestro avversario. Questo è il destino del “povero” Alonzo Gee (2 milioni e 700 mila dollari di contratto annuo), che nei New Orleans Pelicans non parte in quintetto, si sbatte soprattutto in difesa e ha una media di 4 punti a partita. Perciò, immagini come questa, in cui si concede una schiacciata acrobatica, sono preziose. Almeno per lui. © riproduzione riservata in volo alonzo gee, ala piccola dei pelicans, a canestro contro Memphis. per lui, 8 punti in quella partita. 39 zoom uno sport per poppanti foto di vaughn ridley Forse è stato solo un caso, o forse no. Forse quella pubblicità maliziosa, con quattro bimbi a gambotte nude e pannolini bene in vista, non era stata messa per caso sotto la panchina della squadra ospite e l’effetto ridicolo è stato cercato (e trovato…). In Canada l’hockey è, come recita un luogo comune, più di una religione. Ma i Niagara Ice Dogs, squadra di St. 40 Catharines che gioca nell’Ontario Hockey League (riservata a giocatori dai 16 ai 21 anni), hanno provato a dissacrarlo e a mandare un messaggio ai rivali: vi credete grandi e grossi, ma siete solo dei poppanti. Quel giorno, contro i London Knights, ha funzionato: 3-2 il risultato finale. E poi tutti a casa a cambiare i pannolini. © riproduzione riservata comicità in panca la buffa panchina dei london Knights durante la gara di ohl contro i niagara ice dogs. 41 il quintetto gli italiani di reggio emilia. da sinistra, stefano gentile, play; Amedeo della valle, guardia; Andrea de nicolao, play; Achille polonara, ala grande; pietro Aradori, ala piccola. ritratti/Orgoglio nazionale 42 Tendenza Reggio dammi il cinque niente “gimme five”: AllA grissin bon reggio emiliA che orA AffrontA lA finAl eight di coppA itAliA si esultA in itAliAno. grAzie A questi rAgAzzi decisivi per ArrivAre AllA scorsA finAle scudetto e per l’AttuAle primo posto in cAmpionAto. nessun Altro club dellA A di bAsket fA giocAre tAnto i prodotti di cAsA nostrA. eppure in città gli idoli sono Altri… di fabrizio salvio ~ foto di martino lombezzi c’ èun’anomaliavirtuosa nel campionato italiano di basket. Una irregolarità, in un sistema consolidato e purtroppo incancrenito, che addolcisce i pensieri di coloro che non si rassegnano all’invasione di carneadi stranieri, roba da un tanto al chilo, gente che va e viene, contratto annuale con licenza di stracciarlo dopo 3 mesi per incompatibilità tecnica, ambientale, caratteriale. Alla faccia dell’attaccamento alla maglia e dei tifosi che non fanno in tempo ad affezionarsi al nuovo arrivato – prima ancora, a riconoscerlo – e già sono costretti a cambiare figurina nel loro album dei sogni. Alla partenza del torneo, a ottobre, secondo i dati forniti dalla newsletter Spicchi d’arancia, gli stranieri tesserati dai 16 club di Serie A erano 98 su 180 giocatori totali. Settantasette gli italiani, cui si aggiungevano i “passaportati” Forray, Cerella, Viggiano e Nicevic, più il polacco Wojciechowski e il georgiano Metreveli, nati all’estero ma cresciuti nei nostri vivai. Un andazzo che va avanti da anni e nel quale Reggio Emilia si inserisce come la più classica e lodevole delle eccezioni. Insinuando il dubbio che la storia degli italiani che costano troppo sia piuttosto un alibi per giustificare la mancanza di programmazione, che la cura del settore giovanile debba considerarsi cosa buona e giusta e non un fastidio, che insomma si possa provare a vincere anche puntando sul prodotto indigeno e non soltanto pescando qua e là all’estero. Reggio Emilia non è la squadra di A con il maggior numero di italiani, ma quella in cui i nostri stanno di più in campo: 25 minuti e mezzo di media a partita a testa per Pietro Aradori, Andrea De Nicolao, Amedeo Della Valle, Stefano Gentile e Achille Polonara, in ordine alfabetico. Una finale scudetto persa l’anno scorso alla settima e ultima partita contro Sassari, il primo posto attuale in campionato, la possibilità di vincere la Coppa Italia nelle Final Eight che iniziano venerdì prossimo a Milano: sì, il modello Grissin Bon funziona. i numeri deGli americani «Un gruppo italiano forte fa la differenza, anche se non è sinonimo di coesione a tutti i costi», ammette Della Valle. «A volte ci sono incomprensioni anche tra noi perché tutti ci teniamo a far bene, proprio perché sentiamo il senso di appartenenza alla squadra più di uno straniero che oggi c’è e domani chissà. Però anche in quei casi il fatto di parlare la stessa lingua e avere la stessa mentalità, non solo in campo, aiuta a chiarirsi». «Nei momenti di difficoltà accetti gli errori degli altri solo se il gruppo è forte», interviene Aradori. «Ma non puoi fare una squadra di Serie A con 10 italiani di B: quello che conta, alla fine, è la qualità sul parquet, al di là delle origini geografiche». «In una squadra la cosa più importante è creare un obiettivo comune», conferma Gentile. «È più facile riuscirci quando hai tanti italiani rispetto agli stranieri, che a volte fanno solo i propri interessi. Per alcuni, soprattutto se americani, giocare nel nostro campionato è come andare in ufficio. Gli importa fare bene per se stessi. Puntano ad avere contratti sempre migliori, e per ottenerli hanno bisogno di grandi numeri: punti, rimbalzi… Chiaro quindi che l’obiettivo personale non combaci con quello di squadra. Quello degli americani è un mercato globale che arriva fino in Cina, e il loro biglietto da visita sono i numeri. Noi italiani abbiamo un mercato molto più ristretto, si contano sulle dita delle mani quelli che vanno all’estero, e le nostre credenziali migliori sono legate alla reputazione che abbiamo presso gli allenatori». «Ricordo il mio secondo anno a Varese», conferma Polonara. «Di italiani c’eravamo solo io e De Nicolao, le sconfitte erano più delle vit43 ritratti/Gli italiani di Reggio Emilia torie e diventò impossibile tenere unito il gruppo: ognuno andava per la sua strada». «La differenza tra noi e gli americani, non tutti per carità, sta già nella concezione che abbiamo dell’allenamento», riassume De Nicolao. «Per noi è fatica, la consapevolezza che un buon lavoro in palestra vuol dire conquistare un minuto in più in partita. Un americano magari pensa che tutto gli sia dovuto, qualcuno, per convincerlo a firmare, forse gli ha promesso che giocherà in ogni caso 30 minuti a gara. Anche facendo schifo durante la settimana». BENEDEtti ViVai Italians do it better, gli italiani lo fanno meglio, dunque. «Quest’anno i nostri giocano in generale un po’ di più , eppure la mentalità secondo la quale tutto ciò che è straniero è migliore, più bello, è dura a morire», attacca Aradori. «Se potessero, certi allenatori giocherebbero con 10-12 stranieri. L’ho vissuto sulla mia pelle: come tanti altri italiani ho fatto fatica doppia a emergere, pur avendo le qualità per giocarmela alla pari con tanti stranieri. Ho giocato in Turchia e Spagna: il giocatore indigeno è molto più tutelato rispetto a quanto facciamo noi, nonostante, in Turchia, la qualità sia molto inferiore alla nostra. Ci tengono a schierare i loro atleti, meglio se usciti dal vivaio, piuttosto che prendere il primo americano venuto dal college, con la scusa che lo paghi 20 mila dollari in meno e hai la possibilità di tagliarlo dopo 2-3 mesi se non funziona, come facciamo noi». Ma non è colpa anche dei giocatori, degli ingaggi richiesti, se ce ne sono così pochi in A? «È vero che i giocatori di casa nostra di un certo livello sono pochi e quindi costano tanto», risponde De Nicolao, «ma la tassazione così alta è un problema generale del Paese, per esempio. E poi tanti club hanno bisogno di ottenere risultati subito, pena il fallimento, perciò preferiscono investire sullo straniero usa e getta invece che sul vivaio. Prendere esempio da Reggio si può, se però si hanno basi economiche solide come questo club». Interviene Polonara: «Quando ero a Teramo vivevo in foresteria con altri 18 ragazzi. Oggi la foresteria non ce l’ha neanche Milano. Tenere in piedi un settore giovanile costa, ma in questo modo c’è minor possibilità di far crescere i nostri giovani». alla fiEra DEll’Est Avendone le qualità, si può fare come Della Valle, che qualche anno fa ha compiuto il percorso inverso: dall’Italia è partito per l’America. «Ho fatto il college a Ohio State, una delle migliori università statunitensi anche dal punto di vista accademico, e ho trovato un gruppo stre44 A MILANO ➽ LA FINAL EIGHT Tre giorni di fuoco Per Sassari, in difficoltà in campionato, è l’occasione di un rilancio, oltre che di confermarsi detentrice del trofeo. Per Milano c’è la possibilità di prendersi la rivincita sulla squadra da cui l’anno scorso è stata battuta in finale. Per Reggio Emilia, l’opportunità di confermarsi nuova grande del nostro basket. Per tutte le altre, la chance di dare un senso all’intera stagione. Ecco la Final Eight, organizzata da Lega e Rcs Sport, in programma dal 19 al 21 febbraio prossimi al Mediolanum Forum di Milano. In lizza Dinamo Sassari, EA7 Emporio Armani, Grissin Bon Reggio Emilia, Vanoli Cremona, Dolomiti Energia Trentino, Giorgio Tesi Group Pistoia, Umana Reyer Venezia e Sidigas Avellino. In palio la coppa Italia. Biglietti su ticketone.it e vivaticket.it pitoso sotto ogni punto di vista», racconta. «I miei compagni erano quasi tutti neri e mi sono confrontato con gente educata e di buona cultura, apprezzandone la mentalità aperta. Cosa vuol dire? Che gli americani saranno pure materialisti, ma non si fanno problemi nel dire le cose e nell’affrontare le difficoltà». Resta che, nonostante il sentire comune, uno straniero di origine europea è preferibile nel basket italiano a un americano, a meno che quest’ultimo non sia targato Nba. «Gli americani la mettono spesso sul fisico, gli europei sopperiscono al deficit atletico con la tecnica», spiega Gentile. «Io ho imparato più dagli europei: la mentalità è simile alla nostra, anche fuori dal campo», aggiunge Polonara. E De Nicolao: «Hanno una dedizione al lavoro invidiabile: a quasi 40 anni, il nostro Kaukenas ogni mattina va a correre alle 8. È gente forte nella testa, prima ancora che nelle mani. Sono dei vincenti. Inquadrati e quadrati. Arrivano da Paesi piccoli e ci tengono a dimostrare qualcosa in più di quanto farebbero altri». Non sarà quindi un caso, forse, che l’altra caratteristica di Reggio Emilia, oltre al massiccio impiego di italiani, sia la presenza di soli stranieri europei, e tutti dell’Est: 2 lituani, Kaukenas e Lavrinovic; 2 lettoni, Silins e Strautins; 1 bielorusso, Veremeenko; e 1 serbo, Golubovic. Differenze tra loro? «I lettoni IL CALENDARIO ➽ TUTTE LE PARTITE Milano vs Sassari in semifinale? QUARTI DI FINALE 19 febbraio 1 8 Pall. Reggiana 4 5 Pistoia Basket 3 6 Vanoli Cremona 2 7 Olimpia Milano Scandone Avellino sEmIFINALI 20 febbraio ________________________ ________________________ Aquila Trento Dinamo Sassari FINALE 21 febbraio _____________________ _____________________ ________________________ ________________________ Reyer Venezia sono più pacati, non parlano quasi mai, invece Kaukenas e Lavrinovic, quando si accendono, diventa impossibile spegnerli», risponde Della Valle. «Tutti mangiano delle gran zuppe piene di aglio e cipolla e sono molto più freddi rispetto a noi, anche se con le dovute differenze: Rimas (Kaukenas) parla molto di più rispetto a un Silins che pronuncia una parola ogni morte di papa», aggiunge divertito Aradori. «E ogni tre parole dicono una parolaccia nella loro lingua. Per loro è un intercalare. Hanno finito per contagiarci», ride Gentile. In ogni caso i tifosi si identificano negli italiani, no? «No», replica Della Valle. «Fuori Reggio, forse, ma in città sono pro lituani: hanno una passione viscerale per i veterani Lavrinovic e Kaukenas. Il più italiano dei due è Kaukenas, anche se Lavrinovic è il più “scemo” di tutti. Ma l’altro parla perfettamente la nostra lingua, ha speso la carriera qui da noi». E voi, cosa avete insegnato ai compagni stranieri? Gentile: «Gli altri, non so. Io, qualche insulto in napoletano». © riproduzione riservAtA 45 COPPIA VINCENTE Il salernitano emanuele Di marino (27 anni) e Arjola Dedaj (34), albanese naturalizzata italiana: vivono assieme a milano da quasi tre anni. lA sTOrIA/Sognando Rio 46 Arjola Dedaj Emanuele Di Marino Il NOsTrO AmOrE NON hA bArrIErE di Claudio Arrigoni ~ foto di Alberto Dedè e Bruno Pulici I n questa storia ci sono pezzi di Albania e Italia, una ragazza che arriva da un gommone e un ragazzo passato da Salerno a Milano per amore. In mezzo c’è lo sport a farli innamorare, con il sogno di un viaggio in Brasile, non a cercare sole e spiagge, ma gare e medaglie. La Paralimpiade di Rio è diventata un obiettivo per Arjola Dedaj ed Emanuele Di Marino. Provarci insieme. Sudando fra palestra e pista. In condizioni diverse. Arjola è cieca. La vista si è spenta poco a poco. Ora riesce solo a capire se vi è luce. Il ballo e lo sport che non sono solamente hobby: la danza, il baseball e l’atletica a farle vincere Campionati italiani e raggiungere i Mondiali. Emanuele ha una disabilità che quasi non si vede, ma crea problemi a camminare e correre. È nato con il piede torto, il sinistro girato su se stesso. Anni di operazioni e fisioterapia, come contrappasso la passione per la corsa, lo sprint in testa e la Nazionale conquistata. La loro storia d’amore nasce così, fra una pista e un salto nella sabbia. “La coppia dei sogni”: su Facebook hanno aperto sono entrAmBI veloCIstI AzzurrI. luI vIene DA sAlerno e hA unA DIsABIlItà AllA gAmBA sInIstrA, leI DAll’AlBAnIA eD è IPoveDente. InsIeme, DA tre AnnI, formAno “lA CoPPIA DeI sognI” (su fACeBook e nellA vItA) Che PuntA AllA PArAlImPIADe DI rIo “ questa pagina e iniziato a raccontare il loro mondo e la loro voglia di essere a Rio 2016. Insieme. Lo sport paralimpico ha fatto incontrare due mondi. Arjola: «Eravamo in ritiro con la Nazionale. Sento una voce: “Ti va del cioccolato?”. Ecco, l’approccio è stato quello, non proprio romantico... Dopo qualche mese siamo andati a vivere insieme». Emanuele: «Avevo difficoltà a trovare società sportive adatte a me. Ho cercato su Internet e alla fine ne ho trovata una: la Superhabily, a sud di Milano. Mi sono iscritto lì. Era la società di Arjola. Ora siamo insieme nella H2 Dynamic Handysport». Dall’Albania in gommone. Una nuova realtà e la vista che se ne andava. A: «Sul gommone guardavo in cielo e vedevo le stelle. Vicino non distinguevo chi avevo di fianco. Retinite pigmentosa (una malattia genetica degenerativa; ndr), me la trovarono a tre anni. I primi occhiali, ma non servivano. A vent’anni li odiavo, erano inutili». eravamo in ritiro con la nazionale. sento una voce: «ti va del cioccolato?». l’approccio non è stato proprio romantico... ArjolA DeDAj 47 la storia/Sognando Rio Era il 21 dicembre del 1998, da allora la vita è cambiata. A: «Totalmente. Mamma era già in Italia, vicino a Milano. Avevo 17 anni. Ero con papà e mio fratello. Cinque ore di cammino nei campi, Lecce e poi Abbiategrasso. Non mi sono più mossa». Nascere con il piede torto. Ospedale e medici come compagni da subito. E: «È vero, una malformazione che mi ha dato problemi fin da quando sono nato. Il gesso sino a sette mesi, poi la prima operazione. Ancora un anno di gesso e nuovo intervento, i ferri per tenermi in asse, tre anni di fisioterapia per imparare a camminare. Avevo percezione del corpo, ma non capivo che cosa faceva la gamba sinistra». sulla pista Un po’ di allungamento al centro sportivo Enjoy Sport di Cernusco (Milano), dove si allenano. Cecità, difficoltà a camminare, piede rovesciato. C’è chi pensa: ìHanno altri problemi, lo sport non interessa”. E: «Invece è il contrario. Hai voglia di mettere alla prova il tuo corpo. E lo fai divertendoti. Devo tanto a mia mamma Antonella e a mio papà Raffaele: sono laureati in scienze motorie, amano l’atletica». A: «È normale fare sport. Ora faccio atletica, ma poi vorrei riprendere con il baseball. Quello per i ciechi è bellissimo. Facevo solo corsette e palestra prima di scoprirlo con il Gruppo Sportivo Non Vedenti di Milano. Ho partecipato a dieci campionati e vinto sei scudetti con i Tuoni, una delle due squadre milanesi. Che ricordi i derby con i Lampi al Kennedy, un campo storico». Il vostro è un amore paralimpico. A: «Abbiamo sperimentato segni nostri, solo per noi. Tenendoci per mano e toccandoci le dita. Per spostarsi, per esempio. Nessuno si accorge che Ema mi dà segnali». E: «Condividere tutto non è noioso per noi, anzi. Abbiamo tanto in comune: esigenze, orari, alimentazione. Anche l’amore per gli animali: viviamo con due gatti, Shelly e Dafne». “ Farlo insieme aiuta anche a conciliare meglio gli impegni, vero? 48 Abbiamo segni nostri, solo per noi. con la guida Arjola in un momento della corsa con la guida Vanessa Palombini. Sotto, ai blocchi con Emanuele. E: «Viviamo a Milano da quasi tre anni e ci alleniamo a Cernusco, appena fuori città, grazie al supporto di Enjoy Sport, che ha strutture adatte anche a chi ha disabilità. Se non ci allenassimo insieme ci vedremmo proprio poco». A: «Ho fatto la babysitter e l’operaia: smistavo scatole colorate, non distinguevo i colori. E poi l’aiuto cuoca: in quei tre anni ho imparato la cucina a memoria. Ho frequentato un corso di computer all’Istituto dei ciechi a Milano e ora lavoro all’Allianz Assicurazioni, che mi dà un grande aiuto. Grazie a Ema metto insieme i vari pezzi». Vivere insieme vuol dire condividere anche la disabilità dell’altro. E: «Sono molto disordinato. All’inizio non capivo che mettere l’olio sempre allo stesso posto era essenziale per Arj. L’ordine è indispensabile. Mi ha sorpreso per come è brava in cucina, specialmente a preparare dolci». A: «Ema è un po’ i miei occhi, si è anche abituato a raccontarmi scene ed espressioni dei film in tv o al cinema!». E: «La cosa più difficile è stato quando siamo andati a vedere Lo Schiaccianoci. Non capisco nulla di balletto! Mi chiedeva: “Che fanno?”. E io: “Ballano”. Insomma, sono stato un disastro...». Arj è anche ballerina. Potreste danzare insieme. O correre insieme, visto che serve la guida. A: «Faccio danze standard. Ho vinto campionati italiani e partecipato anche ad Albania’s Got Talent». E: «Sono una catastrofe a ballare. Facciamo le stesse specialità nell’atletica, 100 e 200 metri, Arj poi anche salto in lungo, ma lì c’è il richiamo dell’allenatore sul punto di battuta. Qualche volta sono stato la sua guida, ma è difficile. Al Mennea Day corsi i miei 100, poi li feci con lei come guida, poi i miei 200 e di nuovo con lei. Alla fine ero distrutto». Tenendoci per mano e toccandoci le dita Si guarda a Rio 2016... A: «Veniamo entrambi da infortuni, sarà dura, ce la mettiamo tutta. “La coppia dei sogni”: che bello poterci essere insieme. Sì, un sogno». © riproduzione riservata 49 In PISTA e In VASCA Da sinistra, Silvia Parente, non vedente, in azione dietro alla sua guida (e compagno nella vita) Lorenzo Migliari a Sestriere, alla Paralimpiade di Torino 2006: vinsero l’oro. I nuotatori Federico Morlacchi e Giulia Ghiretti, fidanzati, saranno assieme ai Giochi di Rio. LA STORIA/Fidanzati d’oro Altre coppie paralimpiche L’ InSIeme neLLA gIOIA e neL dOLORe amore in mezzo a piste, neve, acqua, sabbia, ghiaccio. Non importa quale sia la superficie o l’elemento. Lo sport paralimpico cupido per atleti d’oro. Nel vero senso della parola. Con intrecci da far felici riviste di gossip. La coppia più bella e ammirata a Londra 2012 era quella fra Vanessa Low e Markus Rehm. Lei, tedesca, è fra le grandi star dell’atletica paralimpica, grande avversaria della nostra Martina Caironi. È amputata a entrambe le gambe sopra il ginocchio da quando aveva 16 anni. Durante i festeggiamenti per una vittoria della Germania al Mondiale di calcio del 2006 uno sconosciuto la spinse sotto un treno. È diventata una delle più grandi di sempre. Markus Rehm, anche lui tedesco, è amputato a una gamba sotto il ginocchio dopo un incidente mentre faceva wakeboard a 14 anni. È già nella storia dello sport: ai Mondiali di Doha, lo scorso ottobre, vinse l’oro nel lungo saltando a 8,40 metri. Sarebbe stato argento ai Mondiali (normodotati) di Pechino 2015 e oro alla scorsa Olimpiade. Si conobbero nel 2008 e si innamorarono. Dopo Londra la storia finì. Vanessa ora fa coppia fissa con l’australiano Scott Reardon, re dello sprint paralimpico per atleti amputati completi di gamba. La perse per un incidente con un trattore. Prima dell’atletica ha vinto nello sci nautico. Si ritroveranno tutti e tre sulla pista di Rio, nel settembre 2016. SAmUeLe e YUnIdIS In Brasile, Samuele farà il tifo per la sua Yunidis. La loro è una storia di tenacia, 50 oltre che di grande amore. Samuele Gobbi, veneto d Piove di Sacco, vicino Padova, e Yunidis Castillo, cubana di Santiago, si sono sposati nel 2013. Hanno un figlio, Gabriel, che ha poco più di un anno. Era il 2008 quando si videro la prima volta, sui campi di allenamento della Paralimpiade di Pechino. Entrambi amputati di braccio: il sinistro per lui, perso per un infortunio sul lavoro nel 2004, a 26 anni; il destro per lei, dopo un incidente di autobus. Anni di messaggi a distanza, telefonate ed email. Yunidis diventava una delle più grandi di sempre nell’atletica: a Londra vinse 100, 200 e 400 m con tre record del mondo. Si rividero ai Mondiali di Lione nel 2013. Era agosto. Yunidis disse: «Vieni a trovarmi a Cuba». Samuele a settembre era là. Un paio di mesi ed erano marito e moglie. AmORI In CORSIA Sotto, Markus Rehm e Vanessa Low, tedeschi, lui amputato a una gamba, lei a due, sono stati una delle più grandi coppie dell’atletica paralimpica, ma dopo Londra la loro storia d’amore è finita. A destra, in alto la cubana Yunidis Castillo; in basso l’azzurro Samuele Gobbi, suo marito. lo sport ha unito anche nella vita tante coppie di atleti, spesso con lo stesso tipo di disabilità, come Yunidis castillo e samuele gobbi, entrambi senza un braccio, o gli amputati di gambe vanessa low e markus rehm. e la sciatrice silvia parente ha “trovato” la sua guida Lei vive a L’Avana, dove si allena per Rio, Samuele prepara la loro casa in Veneto. FedeRICO e gIULIA Federico Morlacchi e Giulia Ghiretti sono ormai più che grandi speranze del nuoto paralimpico azzurro. Nuoteranno insieme nella piscina di Rio. Intanto lo fanno tutti i giorni a Milano, dove si allenano e lei si è trasferita per seguire all’università i corsi di ingegneria biomedica. Federico è nato con ipoplasia a una gamba, Giulia è paraplegica dopo una caduta durante un esercizio al trampolino elastico. Poco più che ventenni, sono una delle coppie più belle dello sport paralimpico mondiale. L’amore è sbocciato dopo un anno di vasche insieme e qualche trasferta azzurra. Galeotta fu l’Islanda e i suoi ghiacci per due che hanno fatto la storia dello sport invernale, a Torino 2006. Silvia Parente è un’atleta multisport, ma ama la montagna e lo sci. Anche nel buio della cecità. Milanese, smise di vedere fra i due e i tre anni per un retinoblastoma. Dopo pochi mesi mamma e papà la misero sugli sci con il fratello. Grande scelta. È diventata una delle più grandi di sempre: ori olimpici e mondiali. Quelli sulle nevi del Sestriere vinti insieme al fidanzato e compagno di una vita, Lorenzo Migliari. I ciechi hanno una guida che indica loro il percorso attraverso segnali sonori, sono simbiotici e giustamente l’oro va a entrambi. Dieci anni prima si erano detti “ti amo” e dati i primi baci aiutati dal clima e dalle atmosfere di quell’isola di vulcani e ghiacci. Qualche tempo dopo Torino, un grave incidente a Lorenzo. Rischiarono di am- putargli una gamba: «Sarebbe stato il primo caso di un amputato a guidare un cieco», ci scherzarono poi. Parente non si è fatta mancare nulla, vincendo il titolo mondiale anche nella vela (metodo Homerus: due ciechi in barca e boe sonore) sul lago di Garda e due titoli mondiali nell’arrampicata sportiva. BILLY e SAmI Attraversiamo l’Oceano. In Canada, quello fra Billy Bridges e Sami Jo Small è un amore fra Olimpiadi e Paralimpiadi. Sami portieredellanazionaleolimpicadihockey su ghiaccio, Billy un attaccante di quella di ice sledge hockey. Si sono conosciuti dopo i Giochi di Torino, dove vinsero l’oro entrambi. Spaventoso mettere insieme le loro medaglie: dieci d’oro fra Olimpiadi e Mondiali. Si sposarono nel 2011. © riproduzione riservata 51 alberto pizzoli, alberto dedè e bruno pulici, gareth copleY di claudio arrigoni intervista/Il fenomeno S Sébastien Loeb ettantotto rally vinti, nove Mondiali conquistati, sei successi nel Mondiale Turismo e quattro tappe all’esordio alla Dakar nel gennaio di quest’anno: Sébastien Loeb non è mai sazio. L’unica cosa che è andata di traverso al “cannibale” francese è il tonneau argentino. Parliamo del cappottone di cui è stato protagonista nella speciale da Salta a Belen, costatogli il trionfo al raid. il pilota che vince per gioco Di chi è la colpa? «È stato un mio errore: nel tratto fuoripista abbiamo perso del tempo, così ho voluto recuperare immediatamente e ho colpito una pietra non segnalata. Sarebbe comunque stato complesso vincere perché c’erano molte tappe fuori-pista per le quali non ho esperienza: non sapevo che ritmo prendere». dai nove mondiali rally vinti alle 4 taPPe della daKar ConQUiState QUeSt’anno, alla SFida Con valentino roSSi, il FranCeSe raCConta i SUoi SUCCeSSi ottenUti… Senza Fretta: «la veloCità non mi intereSSa e il riSChio non mi eCCita. PerÒ Che emozione diventare Un videoGame...» Nelle prime tappe è però stato velocissimo. Pensava di vincere la Dakar? «Prima del via non ci pensavo perché non sapevo che cosa aspettarmi. Nelle prime speciali ho attaccato come nel Mondiale rally e ci siamo ritrovati in testa. Ma non mi illudevo: sapevo che mi aspettava il fuori-pista dove la gestione della vettura e il ritmo sono importanti». di Giovanni Cortinovis ~ foto di Simone Perolari Come si pone la Dakar rispetto ai rally e al Mondiale Turismo? «Sono tre modi di guidare differenti. Il più lontano dai due è il terzo perché la cura per i dettagli è estrema: dal settaggio della vettura alla guida, che richiede la precisione al centimetro e la ripetizione. La Dakar è più simile ai rally, ma porta all’estremo l’improvvisazione e la scoperta: non ci sono le note, ma un roadbook che dà indicazioni sommarie e così si gareggia senza conoscere il tracciato». alsaziano SÈbastien Loeb, 41 anni. Nato ad Haguenau (Francia), ha conquistato 9 Mondiali rally (e 78 gare) e vinto con Prototipi, auto Turismo e alla Dakar 2016 (dove era al debutto). Quale preferisce? «Il rally e poi la Dakar, che è più spontanea rispetto al Turismo. Quando ho esordito nei rally guidavo in maniera naturale, senza studiare il modo in cui gli 52 53 intervista/Sébastien Loeb altri affrontavano una curva, facevo ciò che mi sentivo. Dei rally-raid, così come dei rally, mi piace la collaborazione con il navigatore, la condivisione delle emozioni: è per questo che ho voluto al mio fianco alla Dakar Daniel Elena, anche se non aveva esperienza in quella gara». L’auto più divertente che ha guidato? «La Peugeot 208 T16 che ho pilotato alla Pikes Peak 2013 (famosa sfida in salita negli Stati Uniti, abbassò il record della gara di 92 secondi; ndr). Non essendoci limitazione di potenza, a differenza delle auto con cui ho corso negli altri campionati, ho usato un mostro da 875 cv e 850 chili con le gomme slick. Come accelerazione è molto simile a una F.1». Che cosa rappresenta per lei la velocità? «La mia vita è una sfida contro il crono- uno e trino Loeb – in versione carne e ossa, cartonato e ìalla guida” – a Parigi durante l’evento organizzato per la presentazione del suo videogioco. metro, quindi la velocità è importante per guadagnare del tempo. Pur essendo parte della mia esistenza, non è però ciò che mi piace. Per esempio, andare a 450 km/h in rettilineo non mi interessa, preferisco fare una buona curva in quarta di traverso». E il rischio? «Il rischio non mi eccita, non lo cerco, è un parametro da controllare ed evitare. Mai stato un kamikaze. Mi sono capitate delle brutte uscite e dei tonneaux, ma è naturale se gareggi. Non ne ho fatti tanti perché amo riflettere e spingo al mas- simo solo quando ho piena fiducia». Pochi piloti hanno dato il loro nome a un videogioco. Che cosa rappresenta per lei la scelta di Milestone? «Mi fa piacere essere associato a un bel gioco realizzato da una Casa con grande credibilità nel racing game. Prima di esordire nei rally giocavo con gli amici per ore a Colin McRae Rally». Qual è stato il suo contributo personale al gioco? «La base di partenza era molto buona, così come la grafica. L’importante era che la vettura avesse un comportamento realistico. All’inizio ho trovato un po’ di ritardo nella risposta nei comandi, i rapporti del cambio erano troppo lunghi rispetto alla realtà e l’equilibrio della vettura non era perfetto. Poi tutto è stato sistemato». POLIVALENTE Re dei rally, asso con tutto Negli Anni 50 era la norma alternare impegni in F.1, vetture Sport e altro ancora. Ma l’eclettismo di SÈbastien Loeb ha segnato l’era moderna dell’automobilismo. Solo Juan Pablo Montoya (al top in F.1, Indycar, Prototipi e Nascar) può tenergli testa in tema di polivalenza vincente. rally un fenomeno da 9 mondiali Loeb e il copilota Daniel Elena con la Citroën Xsara nel rally di Argentina nel 2004, l’anno del primo dei 9 titoli iridati conquistati. 54 prototipi alla 24 ore di le mans Il francese ha chiuso al 2° posto la classica della Sarthe nel 2006 con una PescaroloJudd. In carriera ha corso anche con le GT. “ Prima di esordire nei rally sfidavo gli amici per ore al videogioco Colin McRae Anche Valentino ha conquistato nove Mondiali. Tra voi due, chi arriverà per primo a dieci? «Oggi lui ha più possibilità di me di vincere il decimo. Lo ammiro per ciò che fa, per la motivazione che ci mette, per essere tornato ai vertici dopo un biennio in cui non aveva il materiale per stare al top, per di più contro avversari giovani che non concedono nulla». Ha dei rimpianti per aver lasciato i rally? «Per me nove o dieci Mondiali non cambiano nulla. L’essenziale è trarre piacere turismo lascia il segno nel wtcc Eccolo nella gara di Macao 2014 con la Citroën. Nel Mondiale Turismo ha corso per due anni portando a casa sei successi. da ciò che faccio, come è stato nei rally. Poi ho scelto di approfittare del tempo per fare altre cose, invece di inseguire il decimo titolo». IL VIDEOGIOCO Si gareggia con 58 auto Nel 2016 dove gareggerà? «Non nei rally. Dovrei invece disputare due o tre gare Rally-Raid con la 2008 Dkr16 in preparazione alla Dakar 2017». Altre sue passioni? «La moto: amo le uscite insieme agli amici con quella da enduro. Ne ho anche una da trial». SÈbastien Loeb RallyEvo è il nuovo videogioco di guida dell’italiana Milestone. Disponibile per PlayStation 4, Xbox One e Pc, una simulazione rallystica cui si aggiungono la Pikes Peak e cinque circuiti di Rallycross: otto le gare del Mondiale rally, di otto speciali l’una, fedeli riproduzioni dei tratti iridati più caratteristici. Le auto disponibili sono 58: si va dalla Renault 5 Maxi Turbo alla Lancer, dalla Delta S4 alla 208 T16 Pikes Peak. Numerose le modalità: Partita Veloce, Carriera, Campionato. E SÈbastien Loeb Experience, che permette di rivivere la sua storia. Il videogioco costa € 69,90 (su Steam a € 39,90). Dimentica la passione per il volo. «Possiedo un elicottero Ec120: è molto pratico, ha uno spazio per i bagagli grande e un motore a turbina importante per la sicurezza. È divertente, ma serve essere molto delicati coi controlli». © riproduzione riservata rally raid a un passo dal trionfo dakar Nel 2016 ha corso la prima Dakar della sua vita, con una Peugeot. Era in testa quando si è capottato all’ottava tappa. Ha chiuso 9°. 55 ali buraf, jean-francois monier, francois flamand, andre lavadinho Oltre a lei, Milestone incentrerà un gioco su Valentino Rossi. Vi conoscete? «Ci siamo incontrati diverse volte a vari eventi e abbiamo gareggiato insieme al rally di Monza del 2011 (vinse Loeb; ndr)». estRemO/Imprese da record James Lawrence 50 x 50 x 50 IRONCOWBOY 50 ironman in 50 giorni consecutivi nei 50 stati americani: è l’impresa di un canadese che ha scoperto il triathlon solo 12 anni fa. e ha deciso di sfidare i limiti umani “grazie” al crac finanziario degli usa: «avevo perso tutto, mi restava questa passione. e 5 figli da mantenere» di silvia guerriero ~ foto di JessaKae 56 sempRe IN sella James lawrence (39 anni) era entrato nel 2012 nel guinness World records per aver corso 30 ironman in un anno. il 50-50-50 (a sinistra il percorso) non è stato invece omologato poiché non si trattava di Ironman ufficiali. 57 in gara L’Ironman si svolge su tre distanze: nuoto in mare aperto (3,86 km), bicicletta (180,25 km) e corsa (42,195 km, l’equivalente della maratona). estremo/James Lawrence I l cowboy di ferro è un bel signore sulla quarantina, con gli occhi azzurro cielo e la barba rossiccia. In forma, certo, ma all’apparenza nulla di che. Ma solo perché è vestito. Se accendete il computer e cercate James Lawrence in “abito” da gara, che può essere un costume, un completo da ciclista o calzoncini e maglietta da runner, strabuzzerete gli occhi: il suo corpo sembra uscito da un libro di anatomia, direttamente dal capitolo sui muscoli. D’altronde uno che si sciroppa 50 distanze da Ironman in 50 giorni consecutivi nei 50 Stati americani non può che essere superdotato. Sì, avete capito bene: il signor Lawrence, triatleta canadese di Calgary residente nello Utah, Usa, la scorsa estate ha portato a termine l’incredibile 50-50-50, vale a dire 3,86 km di nuoto, 180,25 km in bicicletta e 42,195 km di corsa ogni singolo giorno, per un totale di 193 km di nuoto, 9.012,5 km in bici e 2.109,75 km di corsa in 50 giorni. In America, manco a dirlo, è diventato un’icona. Famoso da anni come Iron Cowboy per i cappelli da gringo che indossa durante le gare, «così i miei figli possono riconoscermi», è considerato da molti un mito. Per alcuni, ovviamente, è un pazzo. Lui invece si vede semplicemente come «un papà e un marito». Seduto al tavolo della sala riunioni della Rudy Project, l’azienda trevigiana che da tempo lo sostiene nelle sue “follie”, James Lawrence racconta e si racconta con l’aiuto della moglie Sunny, la classica grande donna che sta dietro a un grande uomo. «Perché la famiglia è la mia forza», dice tirando fuori un telefonino, che userà durante tutta l’intervista per illustrare la sua storia. Pronti, via: lui con i figli, la famiglia al mare, i bambini nel lettone… Ce ne sono tante di immagini, perché di figli ne ha cinque: belli, biondissimi, che mostra come neanche una mamma ap- pena dopo il primo. «Non mi hanno mai lasciato solo, mi hanno seguito con la mamma nel motorhome durante tutto il 50-50-50. Mia figlia grande, Lucy, che ha 13 anni, ha corso con me gli ultimi 5 km tutti i giorni; la seconda, Lily (12), l’ha fatto per 40 volte. Sono incredibili!». Ma la cosa forse più incredibile James la dice alla fine, dopo un’ora di chiacchiere e dopo aver raccontato che il triathlon l’ha scoperto solo dodici anni fa, dopo aver fatto wrestling (all’università) e golf: «All’epoca lavoravo in banca, ero uno di quelli che davano i mutui. Ero ricco, infelice ma ricco. Il triathlon era il mio sfogo. Poi nel 2008, con il crac finanziario negli Usa, ho perso tutto: i soldi che avevo messo da parte, la casa, la macchina. Anche i mobili ci hanno portato via. Avevamo 5 figli e ci siamo dovuti trasferire in un piccolo appartamento con due stanze, non potevamo permetterci neppure il riscaldamento, facevamo fatica a trovare il denaro per mangiare. Mia moglie si stava laureando in psicologia. A quel punto ho pensato: che cosa posso fare per essere felice e guadagnare qualcosa? E ho rischiato, buttandomi nel triathlon. Non avevo nulla da perdere». Un bel rischio, faceva questo sport solo da quattro anni! «Eppure ho trovato subito qualche piccolo sponsor: nel giro di poche gare guadagnavo mille dollari al mese (poco più di 900 euro; ndr), meglio di niente, no?! E poi avevo già in testa qualcosa di unico, come organizzare eventi per beneficenza coinvolgendo grandi marchi, che è poi quello che ho fatto. Adesso ho un business di coaching di successo, parlo in tutto il mondo per la Nike, la Redbull, la Disney e alcune società di benessere, mi ha contattato anche la Marina degli Stati Uniti (Sunny: «E abbiamo una casa con più di due stanze!»). Mi sono dato molto da fare 58 in compagnia James prima della frazione in bici, assieme ad alcuni appassionati che ogni giorno hanno pedalato (e poi anche corso) con lui. “ Ho pianto molto. Tutti i giorni. Per la stanchezza e per le emozioni. Ma mollare non l’ho mai considerata un’opzione jaMes lawrence per trovare degli sponsor e degli obiettivi. Come quello dei 30 Ironman in un anno con cui sono entrato nel Guinness World Records nel 2012, mandando aiuti in Africa. Stavolta ho scelto di combattere una battaglia “in casa” cui tengo molto: quella contro l’obesità, aiutando la Jamie Oliver Food Foundation che si occupa di educare i bambini al buon cibo. Abbiamo raccolto 68.000 dollari (circa 62.000 euro; ndr)». Cinquanta Ironman in 50 giorni nei 50 Stati americani: perché? «Proprio per sensibilizzare la gente in ogni parte degli Usa, per coinvolgere tutti sul problema dell’obesità soprattutto infantile (Sunny: «Voi non potete capire! In Europa ti stupisci se vedi uno obeso, negli States se trovi uno magro… E poi è stato bello, i bambini erano in vacanza e abbiamo fatto visitare loro tutto il Paese»). Chiunque poteva iscriversi, fare una donazione e correre con me gli ultimi 5 km. Era anche una sfida, tutti mi dicevano che sarebbe stato impossibile; invece io sapevo, dopo i 30 Ironman, che fisicamente e mentalmente potevo fare di più». Cosa le hanno detto i suoi genitori? «Che ero pazzo! E che non ci sarei riuscito. Non capivano perché volessi farlo». E gli altri? «I medici me l’hanno sconsigliato. Nessuno ha creduto in me, neanche gli sponsor: hanno chiesto ai loro dipendenti di scrivere su un foglio quanti Ironman sarei riuscito a fare… nessuno ha messo 50. Sunny era l’unica a credere in me». Solo perché la ama tanto! «Anche perché mi conosce bene». Quanto ci ha messo a prepararsi? «Diciamo 5 anni, perché tutto quello che ho fatto prima è servito ad arrivare pron59 estremo/James Lawrence to a questo momento. Negli ultimi due ho pensato di più anche all’organizzazione». Qual è stato lo Stato più difficile da attraversare? «Sono stati tutti difficili perché ero esausto. Direi però il numero 17, 18 e 19. Avevo problemi ai piedi, ne avevo uno tagliato a metà e in Tennessee mi sono addormentato sulla bici e sono caduto, fracassandomi un po’ ovunque». E lo Stato in cui si è divertito di più? «Il primo, per l’eccitazione della partenza e l’energia che avevo addosso, e l’ultimo: una giornata speciale, ce l’avevo fatta». Quindi è possibile divertirsi facendo 50 Ironman consecutivi? «È stato divertente il viaggio, incontrare tanta gente diversa (Sunny: «Ogni mattina ci aspettavano centinaia di persone fuori dal motorhome, era pazzesco»). Solo che a me ci voleva così tanto per svegliarmi, visto che oltretutto non riuscivo mai a dormire più di quattro ore, che quando uscivo così stravolto nessuno pensava che quel giorno ce l’avrei fatta». “ Per la prossima impresa ho in mente qualcosa di grande: diciamo che il 50-50-50 è stato un allenamento per farla… Non ha mai avuto voglia di mollare? «Mai. C’era sempre un motivo per andare avanti: i miei figli, mia moglie, le persone che venivano a incitarmi e a correre con mefacendomisentireunsupereroe.Quando avevo momenti di sconforto, chiedevo cinque minuti da solo e piangevo». james lawrence Piangeva? «Ho pianto molto. Tutti i giorni. Per la stanchezza e per le emozioni. Ma mollare non l’ho mai considerata un’opzione». Quanto tempo ci ha messo, dopo, a riprendersi? «Tre mesi. Poi ho ripreso ad allenarmi e adesso che sono al 100% sto per iniziare la preparazione per la prossima impresa». Che cosa ha in mente? «Per ora è top secret, lo svelerò a marzo. Dico solo che il 50-50-50 è stato un allenamento per la nuova avventura…». 60 l’opinione non esagerate con lo sport: diventa dannoso di Fausto Narducci in trionfo James festeggiato dalla gente, che gli ha sempre dato sostegno e… cibo: parte delle 10-12.000 calorie che ha assunto ogni giorno arrivava dai tifosi. all’arrivo Iron Cowboy ringrazia col megafono e, sul traguardo, posa con la moglie Sunny (34 anni) e i figli: da sin. Daisy (9), Quinn (6), Dolly (8), Lily (12) e Lucy (13). Ricorda la prima? «Certo, l’ho fatta nello Utah a 28 anni, si chiamava Supersprint: 500 metri di nuoto in piscina, quasi 20 km di bici e 8 km di corsa. Avevo appena imparato a nuotare: indossavo un tappo per il naso e mi tenevo attaccato al galleggiante che divide le corsie! Però ho vinto nel mio gruppo». Ed è stato subito amore… «Mi sono innamorato dello stile di vita: chi fa triathlon è molto cool. Mi piace perché devi saper fare tre cose e non una sola. Perché gareggi contro gente della tua età. Perché adesso, che lo insegno anche, sono più presente di un papà con un lavoro normale, poiché il garage è diventato una palestra e tutto quello di cui ho bisogno è vicino a casa. Ogni giorno preparo la colazione ai miei figli, li vado a prendere a scuola, pranziamo assieme e passo molto tempo con loro». Pensa sia più difficile fare 50 Ironman o crescere 5 figli? «Sono entrambe imprese molto dure, ma quella coi bambini mi dà molte più soddisfazioni». Il dilemma è antico come l’uomo: lo sport fa bene o fa male? Non è certo il caso di dare troppo risalto allo studio del professore tedesco Uwe Schutz che nel dicembre scorso ha pubblicato su New Scientist i risultati di una ricerca durata sei anni insieme ai colleghi dell’Università Hospital di Ulm su un campione di 44 partecipanti alla Trans Europe Root Race del ’99: dopo 64 giorni di corsa dall’Italia alla Norvegia era stato riscontrato un restringimento del 6,1% della massa cerebrale e una forte atrofia della zona oculare per la prolungata riduzione del campo visivo. Imprese come quella di ripetere 50 Ironman in 50 Stati diversi, però, appartengono sicuramente al campo delle esagerazioni che abbiamo cercato di stigmatizzare sulla Gazzetta. Il problema vero, in effetti, non è tanto quello di abbandonarsi a facili allarmismi mostrando tout court i danni della pratica agonistica ma piuttosto quello di delineare un campo di azione in cui i benefici dell’attività sportiva superano di gran lunga le controindicazioni. Un compito non facile per educatori, insegnanti e addetti ai lavori che hanno spesso a che fare con infortuni prolungati e crisi di rigetto da parte di chi fa sport. Limitandoci alla corsa, però, l’esperienza ci insegna che si tratta di una pratica a tutti gli effetti salutare, sia pur traumatica per le articolazioni, che ha l’unico limite appunto nelle esagerazioni che si ottengono quando si richiede troppo al proprio fisico. Gli studi hanno dimostrato che correre due-tre maratone all’anno rappresenta per un amatore il limite massimo a cui arrivare per sentirsi in salute. Va da sé che una 100 chilometri o una corsa a tappe nel deserto sono all’estremo confine di questo limite così come un singolo Ironman, che è fra le discipline estreme del triathlon (corsa più nuoto e ciclismo). Andare oltre in molti casi significa volersi fare del male. © rIproDuzIone rIServata 61 S P O R T L I F E BENTORNATI SUL TRENO MESTO RITORNO 1966: gli azzurri lasciano l’Inghilterra dopo essere stati eliminati al Mondiale. DAGLI INIZI DEL NOVECENTO ERA PER NECESSITÀ, OGGI LO SI FA PER RISPARMIARE (E PER COMODITÀ): IL NOSTRO CALCIO HA RISCOPERTO IL PIACERE DEI BINARI ... in più 74 OCCHIALI WOODONE, LE OPERE DI BALLETTI, SCOOTER ASKOLL, I VINI DI GARDINI 77 84 © RIPRODUZIONE RISERVATA 85 63 ieri e oggi a sinistra, Gigi Meroni alla stazione di Londra prima di ripartire per l’italia dopo l’eliminazione al Mondiale ’66. a destra, roberto Mancini alla stazione Centrale di Milano. sotto a sinistra, la Germania mondiale nel ’54; a destra, il Grande torino a Bruxelles. S p o r t l i f e M A N S T Y L E Le nostre squadre di calcio sono tornate ad affidarsi al treno, per risparmiare. Certo viaggiando più comode di una volta u na volta era il mezzo più rapido e comodo (si fa per dire, visti i tempi di percorrenza e la durezza dei sedili). Oggi è diventato il più economico, nei casi in cui la destinazione sia a una distanza ragionevole da suggerire l’uso del treno e non dell’aereo. Perché è proprio del caro, vecchio treno che le nostre squadre di calcio sono tornate a servirsi, tanto da legare a sé in alcuni casi il Frecciarossa di Trenitalia come partner ufficiale. Così hanno fatto Juventus, Torino, Inter, Milan, Lazio, Roma, Napoli, Fiorentina, Bologna e Sassuolo, che usufruiscono regolarmente dell’alta velocità. Binari presidiati da polizia e carabinieri e carrozze riservate, i club di A si affidano alla ferrovia per raggiungere in fretta e risparmiando qualcosa città come Firenze o Bologna par- 64 tendo da Milano o Torino. Niente di male, ci mancherebbe: due ore scarse passate ad ammirare scorci tra i più belli d’Italia, come i paesaggi appenninici e le colline toscane, non sono proprio da buttar via, sempre che non si sia impegnati a fissare lo schermo del cellulare o il vuoto davanti a sé, cuffie nelle orecchie. Sarebbe in ogni caso un viaggio più piacevole di quello cui furono costretti gli azzurri della Nazionale il 25 maggio 1910, direzione Budapest, dove avrebbero affrontato l’Ungheria nella prima trasferta della loro storia. La Nazionale partì da Milano e arrivò a Venezia dove si imbarcò sul piroscafo fino a Trieste. Qui risalì sul treno verso Budapest. La Federcalcio non aveva soldi per vagone letto e ristorante: previdente, il mediano Attilio Trerè si era portato dietro un baule di formaggi e salumi con cui sfamò se stesso e i compagni. D I Fa b r I z I o S a lv I o KoLL, a. Hudson, CLaudio viLLa, Benzi il mago a lato, Helenio Herrera con della Giovanna e Guarneri nell’inter del ’66. sotto a sinistra, il capitano del Manchester united, Cantwell, a Londra con la Fa Cup vinta nel ’63. a destra, la nazionale inglese a victoria station nel 1933. © riproduzione riservata 65 S P O R T L I F E M O DA A CURA DI IRENE TRAINA - FOTO DI LUIGI MIANO ORIENT EXPRESS COLORI CALDI E GIACCHE MORBIDE. CAPPELLO IN TESTA E SCARPE COMODE. PER L’UOMO DI OGGI CON L’ANIMA DEL VIAGGIATORE DI IERI, IN PRIMA CLASSE ALLA RICERCA DI POSTI ESOTICI DA SCOPRIRE H A C O L L A B O R AT O 66 © RIPRODUZIONE RISERVATA GIOELE PANEDDA A SINISTRA Parka in nylon Gaudì (€ 175). Giacca in lino (€ 274), camicia in cotone (€ 83), tutto Seventy. Cravatta in cachemire e seta Ermenegildo Zegna (€ 135). Cappello in panno Borsalino (€ 275). Occhiali Oliver Peoples (€ 260). A DESTRA Bomber in pelle Gas (€ 399). Camcia in cotone Ingram (€ 80). Gilet (€ 98) e pantaloni (€ 95), tutto Reporter. Cintura Church’s (€ 160). Boots in pelle Lumberjack (€ 119,90). Occhiali da vista Dolce & Gabbana Eyewear (€ 250). Orologio Watchmaker Milano (€ 220). © RIPRODUZIONE RISERVATA 67 S p o r t l i f e m o da orient express 68 A sinistrA Giacca in poliestere stone island (€ 438). Camicia in lino seventy (€ 109). Pantaloni in fresco di lana Canali (€ 310). Bretelle Bretelle & Braces (€ 103). Zaino La Martina (€ 412). Boots in pelle Frau (€ 159). Occhiali ray-Ban (€ 149). A DestrA Field jacket Moorer (€ 629). Abito in lino, lana e seta check (€ 758), camicia in cotone (€ 118), tutto Angelo nardelli. Cravatta in seta ermenegildo Zegna (€ 195). Cintura in pelle Barrett (€ 350). Cappello in feltro Borsalino (€ 296). 69 S p o r t l i f e m o da A sinistrA Parka cerato spiewak (€ 399). Blazer in lino e seta Luigi Bianchi Mantova sartoria (€ 750). Camicia in denim sun 68 (€ 85). Pantaloni lino e cotone BerWich (€ 156). Occhiali emporio Armani eyewear (€ 160). 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S P O R T L I F E L INK È naturale sceglierli I TONI DEL BOSCO NEGLI ELEGANTI ACCESSORI REALIZZATI IN LEGNO, CANVAS O CUOIO DI GIANLUCA ZAPPOLI WOODONE Occhiali da vista in legno altoatesino rivestito con fili di fieno. € 569 74 FOSSIL Zaino in canvas di cotone e pelle con zip in metallo dorato. € 179 TIMBERLAND Cintura in canvas di cotone con dettagli in pelle e fibbia in metallo anticato. € 30 AB AETERNO Orologio in legno di sandalo con movimento svizzero. € 119 DIADORA HERITAGE Sneakers in tela di cotone con dettagli in pelle delavé e suola in gomma. € 170 © RIPRODUZIONE RISERVATA www.yamatovideo.com S p o r t l i f e FASHION l AbyrINtH Icona di stile Continua la fortunata Collaborazione (iniziata nel 2012) tra DaviD Beckham e il Colosso svedese H&M per il quale l’ex CalCiatore inglese seleziona ogni stagione un guardaroba ideale fatto di pezzi basiCi ed essenziali. oltre alla CaMpagna pubbliCitaria sCattata da Mario sorrenti è stato anCHe girato un video per i soCial network aMbientato nel Centro di lisbona (in foto un’iMMagine di baCkstage). la Collezione Modern essentials sarà disponibile in alCuni store del brand dal 18 febbraio. Potere casual Sarà sempre Carnevale trent’anni fa strauss Creò doCkers (e i kHaki pants), brand oggi Celebrato da una Collezione total look N el 1986, Levi Strauss & Co. diede vita a un nuovo marchio di abbigliamento, Dockers (nella foto, la campagna pubblicitaria di trent’anni fa), introducendo così un nuovo concept nell’abbigliamento maschile, un’alternativa ai blue jeans grazie ai primi pantaloni “eleganti” e durevoli: i khaki pants. Sei anni dopo, il brand fu a capo di una vera e propria rivoluzione quando spedì a più di 25 mila aziende americane una lettera chiedendo loro di concedere ai lavoratori un giorno alla settimana in cui poter vestire casual. Nacque così il “Casual Friday”, e tutti cominciarono a indossare tranquillamente i chinos per andare in ufficio. Per festeggiare i trent’anni di Dockers è nata oggi la prima collezione total look, quindi non solo pantaloni, ma anche, tra gli altri, trench, abiti e maglieria, declinati in un unico colore: il khaki, ovviamente. La collezione verrà lanciata su Dockers.com in questi giorni e in Europa sarà in vendita esclusivamente presso Harvey Nichols a Londra e da Printemps Haussmann a Parigi. F ino alla prima settimana di aprile è possibile acquistare negli store United Colors of Benetton la collezione per uomo, donna e bambino che il marchio veneto ha dedicato al Carnevale. Si caratterizza per grafismi e diverse palette di colore per pullover, cardigan e T-shirt. 76 a Cura di Carlo ortenzi Ha Collaborato fabio finazzi Scimmia europea Stilisti, è l’ora degli addii il 2016, seCondo il Calendario Cinese, è l’anno della sCiMMia. per l’oCCasione Johnnie Walker Blue laBel propone di festeggiarlo Con Year of tHe MonkeY (€ 190), bottiglia di wHiskY in edizione liMitata Mondiale (Con 1.350 pezzi per il MerCato europeo). I l 3 febbraio Stefano Pilati (nella foto) ha dato le dimissioni dal ruolo di head of design di Ermenegildo Zegna Couture. «Ho riflettuto a lungo su questa decisione», ha detto lo stilista. «E dopo un confronto con Gildo Zegna abbiamo concluso che l’obiettivo per cui ero stato chiamato è stato raggiunto». Solo due giorni prima, Brendan Mullane (in carica da Brioni dal 2012) e Alessandro Sartori (da 5 anni con Berluti) hanno lasciato i loro incarichi di direttore creativo. Non finisce qui: anche Raf Simons, lo scorso ottobre, aveva lasciato Dior, mentre una settimana dopo Alber Elbaz era stato licenziato da Lanvin nonostante avesse risollevato le sorti del marchio. Infine, pare che lo stilista Hedi Slimane sia pronto a dire addio a Saint Laurent. Balletti in mostra F ino al 5 marzo, alla galleria Artespressione di Milano, si può visitare Mauro Balletti, mostra omonima dedicata al poliedrico artista (fotografo, pittore, regista, scultore e realizzatore di video musicali), dal 1973 grafico e fotografo di Mina. L’esposizione prevede 40 opere in un percorso che ha portato Balletti a essere ìcreatore” di immagini e spettatore di una quotidianità captata nelle sue suggestioni per poi essere riproposta attraverso imponenti corpi maschili (in foto Uomo sdraiato) e giunoniche figure femminili che rimandano a Fellini, Picasso e Balthus. Camminare militare lo store giapponese kicks laB e l’artista singaporese sbtg, alias Mark ong, Hanno Collaborato per CustoMizzare le sneakers asiCs tiger gel-lite v (€ 150). il risultato è una Calzatura sportiva Caratterizzata dall’inContro di diversi Materiali (Cuoio, nYlon, suede, goMMa) e Con una forte ispirazione Militare. © riproduzione riservata 77 Sp ortlife a Cura di CarLo ortenzi e GianLuCa zappoLi - foto di simone aGostoni c ult CK Profumo di coppia due per uno Wasabi, mandarino, iris, incenso e legno di sandalo nell’eau de toilette spray Ck 2 Calvin Klein (100 ml, € 69). dopo aver reso popoLari Le fraGranze unisex, oGGi, Con CK 2, CaLvin KLein propone La prima fraGranza Gender-free, pensata per CeLebrare Le persone Che si amano indipendentemente daL Loro Genere © riproduzione riservata 79 S p o r t l i f e v isi o ni D I FA B R I Z I O S C L AV I vestirsi ad arte TENDENZA CoLore LUOGO spazio espositivo MODA trenCh Monopetto sFoderato in Cotone e nYLon. paraMontura Con nastro diseGnato. GiLet in Lana superFine GriGia. CaMiCia di Cotone e Cravatta. tutto di CorneLiani. COME E PERCHÉ un Capo CLassiCo reaLizzato però in un tessuto eFFetto CroCCante. È CoLorato CoMe un Quadro, aCCorGiMento Che Lo rende perFetto anChe aLLa prova arte. eCCoLo inFatti esposto in una GaLLeria insieMe… aLL’“aMiCo” appendino. © riproduzione riservata 81 S p o r t l i f e l ibr i di enrico aiello Alex Honnold, l’uomo che non deve cadere mai il freesoloist californiano scala senza protezioni, un errore gli sarebbe fatale. «la montagna ha la capacità di farti sentire insignificante» altre letture A lex Honnold è l’uomo che a mani nude arrampica pareti lisce come il vetro, sospeso sul nulla, sempre a un passo dal baratro. Le sue imprese in solitaria, senza corde né protezioni, ne hanno fatto una leggenda del free solo. Adesso, con Nel vuoto (Fabbri Editori), il trentenne californiano si racconta e ci parla della sua visione del mondo, dell’arrampicata e del suo amore per la montagna, estremo come le sue sfide. Ce l’ha avuto un maestro, una figura da cui ha appreso i fondamentali? «Non esattamente. Negli anni ho imparato molte cose osservando diversi bravi compagni di scalate, ma non ho mai avuto un coach ufficiale o roba simile. Anche se devo riconoscere che, in certi momenti, avere maggiore guida mi avrebbe aiutato». Arrampicare è principalmente questione di preparazione. La sua qual è? «Il mio maggior merito è sapermi mantenere concentrato sul non cedere alla paura e alle emozioni. Non sono poi tanto forte fisicamente, pensando agli altri climber». La “regola del gioco” del suo sport è semplice quanto crudele: hai un solo errore a disposizione. Se va male tocca “vivere i quattro secondi più brutti della vita”, per citarla. Evidentemente, però, per lei ne vale la pena. Perché? «Domanda complessa. Esistono rischi che vale la pena di correre nella vita? Guidare, sciare, eccedere con il cibo, sono attività cui sono connessi dei rischi, ma in molti ci si dedicano comunque. Io amo arrampicare e il free solo è parte del mio modo di essere. Per cui ne vale assolutamente la pena». Esiste il confine da non oltrepassare in termini di rischio, il limite oltre il quale è meglio rinunciare? «Esiste un confine ben definito, ma appartiene più alla sfera delle sensazioni personali. Ci sono alcune cose che so di non dover 82 fatto di sangue Francesco Ricci ediciclo 256 pagine - € 15 giudizio ✤✤✤✤✤ » una storia di fantasia quella scritta da Francesco Ricci, ma c’è tanta attualità. Il doping, infatti, anche se adesso lo scandalo dei “motorini” invisibili montati sulle biciclette sembra avere più appeal tra i media, continua a essere una piaga. In questo romanzo, accanto alla vicenda del campioncino che sbaraglia ogni concorrenza tra i dilettanti, ci sono l’amore tra sua madre e un telecronista ex ciclista e un direttore sportivo disposto a sacrificare la salute del suo pupillo pur di fargli vincere il Giro d’Italia. » un libro che racconta da dentro la passionaccia per le due ruote, dalla quale non si guarisce mai anche se ora il ciclismo è uno sport un po’ bugiardo. Luca Bergamin casa e lavoro alex honnold, 30 anni, su una parete strapiombante e, a destra, l’atleta del team north face nel van che gli fa da casa. Alex Honnold con David Roberts fabbri - 288 pagine € 19 (ebook € 9,99 ) giudizio ✤✤✤✤✤ fare e altre dove sento di poter arrivare, anche se appaiono un po’ folli». Ama la montagna: per lei rappresenta qualcosa o si tratta solo di pareti funzionali all’arrampicare? «Adoro la montagna, ma non saprei definire che cosa rappresenti per me. Forse mi affascina la vastità della terra paragonata alla piccolezza dell’uomo, forse perché è un simbolo di potenza o di avventura. In ogni caso è una grande fonte di ispirazione». il gigante sconosciuto Stefano Ardito corbaccio 304 pagine - € 19,90 giudizio ✤✤✤✤✤ Fosco Maraini, uno dei “testimoni” chiamati nel libro a raccontare il mitico Kangchenjunga, la terza vetta più alta del mondo, tra il Nepal e il Sikkim, lo chiama Il Cancenzongà e dice che “scintilla libero nel sole, coronato da nubi abbaglianti, come un castello incantato di marmoree sostanze imperiture”. Eppure, anche se l’hanno scalata i più grandi alpinisti di tutti i tempi compresi Reinhold Messner e Simone Moro, questa vetta, che nulla ha da invidiare all’Everest, mantiene un mistero che Ardito riesce a svelarci. Per chi non può raggiungere questa terra popolata da monaci e contadini, e tentare l’ascesa, ci sono queste belle pagine. l.b. Durante un’ascesa qual è la sua impostazione mentale? Testa sgombra da ogni pensiero, una sorta di trance in cui ci si isola da tutto, o cosa? «Resto concentrato in una sorta di condizione di “pilota automatico”, non inteso come dissociazione totale dei pensieri, ma dell’esecuzione tecnica dei gesti. Almeno questa è l’intenzione, ma non sempre funziona…». Lei vive in un furgone. Questione di praticità o scelta “filosofica”, la stessa visione essenziale che la porta ad arrampicare senza attrezzatura? «La scelta del Van è di ordine pratico, anche se è vero che deriva da una propensione per la semplicità. Mi piace poter scalare in ogni momento e il Van mi permette di farlo». Mai capitato che una sua impresa venisse accolta con incredulità dalla © riproduzione riservata community dei climber? O esiste una sorta di codice d’onore per il quale non si dubita delle imprese di un “collega” anche se non ci sono testimoni? «Una delle cose che ho sempre amato dei climber è il valore che viene riconosciuto alla parola di ciascuno. Nessuna delle mie ascese è mai stata messa in dubbio, nonostante il fatto che per alcune di esse non ci siano testimoni. Nel nostro ambiente fino a prova contraria tutti sono considerati onesti». Mark Synnott, alpinista con cui ha condiviso varie imprese, ha detto che “arrampicare è uno sport che ti rimette al tuo posto”. Cosa intendeva dire? «Penso intendesse che l’arrampicata e la montagna hanno la capacità di farti sentire piccolo e insignificante, ti rendono più umile. Per quanto uno possa essere presuntuoso, basta una camminata sotto un temporale per farti sentire un cane bastonato». Essere un climber ha avuto un impatto sulla sua personalità? «Mi ha reso una persona più sicura e aiutato a considerare le cose nella giusta prospettiva. Molte delle presunte priorità nella vita reale appaiono molto meno importanti se paragonate alla continua sfida tra la vita e la morte insita nel free solo». Prossimi progetti? «Sono in partenza per la Patagonia, dove spero di poter arrampicare cime innevate. Ma la lista dei posti che ancora mi piacerebbe visitare e scalare è infinita». In ogni impresa la salita è la parte più dura e affascinante. Resta un dubbio: una volta finito da dove si scende? (ride). «Di solito da uno dei sentieri che stanno dalla parte opposta della montagna. Ogni tanto però devi calarti in corda doppia e scendere da dove sei salito…». 83 eric rohr e jimmy chin nel vuoto due ruote S P O R T L I F E ME G A MI X LET IT GLOW ROVER WAGRAM/ AUDIOGLOBE GIUDIZIO ✤✤✤✤✤ musica DI RAFFAELLA OLIVA ROVER SA FARE SQUADRA IL CANTAUTORE FRANCESE, OSANNATO IN PATRIA, VIENE DAL RUGBY E NE FA TESORO: «ANCHE NEI SUONI E NELLE BAND SERVONO SINTONIA E CARICA» D allo sport alla musica. Questa la strada percorsa da Rover alias Timothée Régnier, cantautore francese osannato in patria, che da ragazzino sognava di diventare un campione di rugby. Tutto è iniziato nel 1995 guardando una partita in tv, da lì l’ingresso nelle giovanili dello Stade Français Paris, con il suo metro e 90 di altezza e il fisico possente. Un infortunio al ginocchio bloccherà la sua carriera di atleta, che l’ha visto militare anche nel Rugby Club Paris 15. «Ma il rugby lo seguo ancora», precisa il songwriter 36enne, da poco passato in Italia per una serie di concerti. «Tre mesi fa ho sofferto per la morte di Jonah Lomu, un eroe, aveva solo 40 anni». Rugby e musica non sono così lontani, spiega: «Nelle squadre di rugby così come nelle band bisogna trovare una sintonia tra i diversi componenti, ognuno ha le sue qualità e i suoi difetti, e serve una carica comune che permetta a tutti di scendere in campo o di salire su un palco con la voglia di dare il massimo, ma senza barare, senza trucchi, senza dimenticare le regole del gioco e il rispetto per il pubblico». Il suo secondo disco, uscito lo scorso novembre, s’intitola Let It Glow. «È nato dalla voglia di far fluire la musica nel modo più naturale possibile, lasciando anche difetti e asperità», afferma Rover. «Con il mio primo disco si era creato un rapporto di forza tra me e le canzoni, questa volta non volevo controllo, ma spontaneità». Il suo è un pop intenso, infarcito di folk e di rock, un po’ rétro, romantico, decadente, con echi di David Bowie. «Lui e Serge Gainsbourg sono artisti a 360 gradi, ma tra le mie influenze citerei anche Bach, i Beach Boys, i Beatles, gli Interpol», osserva il songwriter. «Scrivo canzoni per dire ciò che nel quotidiano non riesco a esprimere, da dove arrivi l’ispirazione è sempre un mistero, può essere un’opera di Van Gogh, pittore che amo, o un libro, una notizia d’attualità, un viaggio. E io di viaggi ne ho fatti tanti, oggi vivo tra Parigi, la Bretagna e Bruxelles, in passato ho vissuto a New York, in Germania, nelle Filippine, in Libano: esperienze che, oltre ad arricchirmi come musicista, mi hanno insegnato a non aver paura dell’altro, dello straniero, del diverso». 84 ECO SCOOTER A 20 EURO T ranquilli, non si tratta di uno scooter mosso dal motore di una lavatrice, pure se la Askoll è leader nella progettazione e produzione di motori elettrici per elettrodomestici e molto altro. È stata proprio la consapevolezzadi disporre di un’avanzata tecnica nel campo dei motori elettrici a convincere l’azienda vicentina a dedicarsi anche alla mobilità elettrica. Cominciando con una bicicletta a pedalata assistita (la eB1) e con questo interessante scooter eS1 interamente madeinItaly. La linea essenziale e intrigante è concepita attorno a un motore elettrico brushless alimentato da due pacchi di batterie al litio da 2.100 Wh alloggiati nel sottosella, ricaricabili con la rete domestica attraverso una normale presa Schuko e asportabili disgiuntamente in modo agevolissimo così da poter essere ricaricate anche in casa in un tempo (da zero) di 2 ore e mezza ciascuna.Autonomia DI CARLO CANZANO È IL COSTO ANNUO (COME “BOLLETTA” ENERGETICA) DELL’eS1 DI ASKOLL. E POI STABILITÀ, FRENI, COMFORT: PER NOI COLLAUDO POSITIVO LA SCHEDA > Nome: Askoll eS1 > Motore: elettrico brushless Askoll a magneti permanenti > Potenza: 1.500 W, coppia 100 Nm > Dimensioni: passo 1.245 mm, altezza sella 760 mm, peso 72 kg > Freni: anteriore a disco da 190 mm, posteriore tamburo da 140 mm Prezzo: € 2.690 Proposto in 6 colori (bianco compreso), svariati accessori (portaoggetti nel retroscudo, bauletto, termoscudo coprigambe) e abbigliamento dedicato. Catalogo e punti vendita su http:// mobility.askoll.com tra i 70 km (a velocità di oltre 45 km/h in modalità Power, come nel nostro test) sino a oltre 100 nella modalità Eco (velocità sino a 35 km/h) passando per quella “normal”. Recupero energia in frenata. Leggero, ha buona stabilità e comfort anche sul pavé cittadino, molto bene i freni, pronta l’accelerazione. Con una percorrenza media giornaliera di 20 km, il costo energetico è di circa 20 euro l’anno, senza contare la gratuità del bollo per i primi 5 anni e il dimezzamento del premio assicurativo. In futuro ci sarà anche una versione biposto (equivalente a un 100 cc) e poi una city car. gym in cantina DI SABRINA COMMIS DI LUCA GARDINI VUOI DIMAGRIRE? BALLA IN SALOTTO UNA SCALATA DI QUALITÀ NIENTE PALESTRA: PER PERDERE PESO CI SI PUÒ AFFIDARE A VIDEOGIOCHI DANCE, DALL’HIP HOP AL TANGO SULLE SALITE DI MONTALCINO L’AZIENDA BIANCHINI IMBOTTIGLIA UN SANGIOVESE D’ECCELLENZA I M n inverno si fanno i conti con la bilancia. «In media, da novembre a gennaio, si mettono su dai 3 ai 4 chili», afferma Andrea Strada, professore di nutrizione clinica all’università di Parma. «Le cause? Aumento nel consumo di alcol, dolci, cibi grassi, diminuzione dell’attività fisica a causa del freddo». Per tornare in forma usate testa e tecnologia e ballate in salotto. Just Dance 2016, il videogioco più venduto al mondo, utilizza console Wii, Wii U, Xbox, PlayStation. Sviluppato da Ubisoft, ha fatto ballare nel mondo più di 100 milioni di persone, celebrity incluse. «Si può scegliere con cosa allenarsi e divertirsi. L’offerta è vasta, 40 le nuove hit. Si va dalla break dance ai balli latini, dalla disco dance all’hip hop al tango», spiega Andrea Carollo, personal trainer. «Basta attivare la modalità Just Sweat con cui è possibile personalizzare il training in base ai brani musicali preferiti e scegliere la playlist. Allenamento, calorie bruciate, risultati della sessione vengono registrati all’interno di un profilo personale insieme al tempo trascorso e al numero di brani riprodotti. Bastano due sessioni a settimana per risultati garantiti». Il costo è di 40 euro, info su just-dance.ubi.com. Un’alternativa è il videogioco Zumba fitness world party. I video con i maestri spiegano passi e coreografie, in più si può scegliere grado di difficoltà delle sequenze, ritmo della musica e stabilire così quante calorie bruciare. Il prezzo è di 24,90 euro e le info si trovano su www. zumbafitnessgame.com. © RIPRODUZIONE RISERVATA ontalcino è una collina piena di storia, di salite e di vigne. Tra chi ha contribuito a fare grande questo territorio, va sicuramente citata la tenuta che fu di proprietà della famiglia Ciacci Piccolomini d’Aragona e oggi appartiene alla famiglia Bianchini. Castelnuovo dell’Abate, frazione in cui si trova l’azienda, è situata nella parte sud-est della collina di Montalcino. Per arrivarci bisogna affrontare un su e giù di pendenze che le piante, solo e rigorosamente di varietà Sangiovese, sopportano senza fatica; in questo caso al pari di Paolo Bianchini, attualmente alla guida dell’azienda. Che, da ciclista vero, non solo sa arrampicarsi in bicicletta sui dislivelli del territorio di Montalcino, ma anche, questa volta grazie alle etichette che produce, sulla ripidissima scala qualitativa che caratterizza i vini che appartengono a questa eccellenza enologica nazionale. LE SCELTE BRUNELLO DI MONTALCINO PIANROSSO 2010 MERITO ANCHE DI UNA GRANDE ANNATA, IN BOCCA È AMPIO MA ANCHE TESO. SA DI ROSA ESSICCATA, CILIEGIA, LIQUIRIZIA E TABACCO. € 75 BRUNELLO DI MONTALCINO 2011 Sorso fruttato, potente, ma che, grazie a una vena balsamica, riesce a esprimere grande eleganza. € 60 ROSSO DI MONTALCINO 2012 Sempre a base Sangiovese, ideale con una grigliata di carne. € 15 85 S P O R T L I F E ME G A MI X comics app DI FABIO LICARI DI MARCO CONSOLI IL TENNISTA TRA AGASSI E FEDERER QUESTO GOLF NON TI DÀ BUCA OTTIMA FRUIBILITÀ E GRAFICA MOLTO CURATA PER IL WORLD GOLF TOUR MOBILE GAME OSSESSIONATO DAL PADRE COME ANDRE, PERFETTO COME ROGER: È MAX WINSON, GRAN FUMETTO I l golf vanta un’offerta molto ampia di simulazioni ludiche. Tra queste non bisogna perdersi Wgt: World Golf Tour MobileGame, che rispetto alla media offre una grafica verosimile, basata su una serie di campi ben riprodotti, tra cui Pebble Beach e St Andrews. È sufficiente far scivolare le dita sul display per dare la giusta potenza allo swing e poi WGT MOBILE bloccare la rotazione al GAME (iOs, momento giusto per diriAndroid; gratis) gere il tiro e tentare di GIUDIZIO guadagnarsi un birdie, a ✤✤✤✤✤ dispetto del vento che infastidisce la traiettoria. Il bello del gioco è la sfida con altri utenti pescati online, che possono diventare amici ed entrare nella community: in palio ci sono crediti virtuali (che si possono anche acquistare) per ottenere mazze, palle e bonus che facilitano i colpi: serviranno a migliorare la crescita di livello del proprio atleta. I l più grande tennista di tutti i tempi è l’uomo più infelice della Terra. Max Winson è l’atleta troppo perfetto. Assistito da un padre isterico che lo obbliga a una non vita di allenamenti. Circondato da una corte di manager avidi e senza scrupoli. Max non ha mai perso una partita: un colpo un punto, una macchina senz’anima come il suo tennis. Ma sta per succedere qualcosa che ne sconvolgerà l’esistenza, finalmente… Ognuno è libero di trovare i suoi riferimenti, di pensare che il rapporto di Max col padre sia come quello di Agassi col genitore. Di immaginare che anche nel tennis al computer di oggi, batti e vinci, ci sia spazio per i Federer raccontati con matita e dialoghi poetici. Questo è un grande fumetto ed è bello lasciarsi trascinare da Max Winson, struggente, surreale e verissimo. Con fisionomie e montaggio di Eisner, con sguardi alla Breccia per i cattivi, o alla Manuel Fior nei momenti di commedia, il francese Jérémie Moreau racconta meravigliosamente il tennis sport di uomini, sentimenti. E sconfitte. ALTRE APPLICAZIONI GOLF STAR MAX WINSON JÉRÉMIE MOREAU BAO 328 PAGINE, € 23 GIUDIZIO (iOs, Android; gratis) Nonostante una fisica della pallina convincente, questa simulazione si colloca nel novero dei videogame da bar. ✤✤✤✤✤ GIUDIZIO ✤✤✤✤✤ 86 LONELY ONE (iOs, Android; gratis) È perfetto per rilassarsi questo golf in cui bisogna andare in buca in un colpo solo con meccaniche da Angry Birds. GIUDIZIO ✤✤✤✤✤ cinema DI ALDO FITTANTE CHE SQUADRA IL CAMPIONE DI RISATE CON BEN STILLER NEL SEQUEL DI ZOOLANDER CI SONO DAVVERO TUTTI, DA STING A MIKA A HAMILTON T anta roba e tanta Roma (Ben Stiller ha girato nella Capitale più o meno negli stessi giorni dell’ultimo James Bond), ma anche tanta moda italiana (Valentino su tutti) nel sequel del film del 2001 che anticipò la moda dei selfie, diventato cult in dvd dopo un’uscita in sala non proprio esaltante. Invariati i protagonisti di allora (Ben, Wilson, Ferrell e Christine Taylor, moglie, nella vita, di Stiller), new entry prorompenti come Penélope Cruz (esplosiva, erotica, autoironica, sportiva) e Benedict Cumberbatch (una trans che ha già scatenato polemiche) per una storiella che vede il ritorno dei “figosi” Derek e Hansel, affiancati da Valentina (la Cruz), ex modella di costumi da bagno ora agente dell’Interpol. Qualcuno sta eliminando «i più belli del mondo» e Derek Zoolander si convince a lasciare la vita ritirata da «granchio eremita» che aveva scelto perché suo figlio è in pericolo. Nel vorticoso tour promozionale (Zoolander 2 è uscito ieri praticamente in ogni dove), Stiller è approdato anche nella sede del Real Madrid, che per l’occasione ha realizzato una maglietta celebrativa. Citazioni colte (persino Vittorio De TEMPIO MADRILENO Ben Stiller al Santiago Bernabeu per la presentazione del Ƃlm. Sotto, tra Owen Wilson e Penélope Cruz. ZOOLANDER 2 di Ben Stiller con Penélope Cruz, Owen Wilson, Will Ferrell (Usa 2016, 102’). Da giovedì 11 febbraio televisione cucina pop DI LUCA CASTALDINI DI DAVIDE OLDANI IL CALCIO DI VIALLI È UN “INCUBO” PASSIONE INGREDIENTE PRINCIPALE SU MTV L’EX JUVENTINO E AMORUSO SARANNO ALLE PRESE CON CALCIATORI IMPROVVISATI INTESA COME FRUTTO, ALLA QUALE NON BISOGNA ATTRIBUIRE PERÒ IMPROBABILI POTERI AFRODISIACI… N el piatto di oggi ci metto la passione, sì, insomma il frutto della passione, con tutto il suo sapore caratteristico e il suo fascino esotico. Anche se, va detto, si chiama frutto della passione perché le caratteristiche del suo fiore ricordano la Passione e la Crocifissione , non per improbabili poteri afrodisiaci che qualcuno gli attribuisce. E poi, e anche questo non va dimenticato: qualsiasi piatto ben fatto, gustoso e invitante, a tavola un po’ di passione ce la porta, o no? GIUDIZIO ✤✤✤✤✤ Sica) e cast affollato: oltre ai personaggi principali, camei di Sting (per una parodia di Star Wars), Susan Sarandon (in una scena “bollente”), Mika (fa il parrucchiere) e Madalina Diana Ghenea (la bellissima venere che esce dall’acqua di Youth. La giovinezza, fresca conquista – pare – di Marco Borriello). Mentre Macaulay Culkin (il bambino di Mamma, ho perso l’aereo, oggi 35enne), Anna Wintour (la direttrice di Vogue), Justin Bieber, Susan Boyle, Kate Moss, Katy Perry, John Malkovich, Miley Cyrus, Naomi Campbell, Ariana Grande, Kiefer Sutherland, Usher, Demi Lovato, Kim Kardashian (con coniuge West al seguito), Milla Jovovich, Lenny Kravitz e Billy Zane (gli ultimi tre già presenti nel primo Zoolander) interpretano se stessi. Così come Lewis Hamilton, il campione del mondo di Formula 1. Comicità demenziale (molto cool) per puri aficionados. POVERI LORO Amoruso e Vialli con una delle loro squadre. L’ incubo (nei titoli) non finisce mai. Prima ci sono state le “Cucine” di Cannavacciuolo (prendetela voi una pacca sulle spalle dallo chef gigante), poi i “Giardini” di Lo Cicero (ex pilone della Nazionale: basta la parola). Adesso, per le “Squadre”, nightmare raddoppia: “il braccio” Lorenzo Amoruso e “la mente” Gianluca Vialli saranno i conduttori di Squadre da incubo (dal 18 febbraio, ogni giovedì alle ore 21.15 su Mtv8), format nel quale l’ex capitano dei Rangers e l’ex bomber di Samp, Juve e Chelsea alleneranno per una settimana ciascuna sei formazioni “diversamente competitive”: Sezze Scalo (Lt), Martirano Lombardo (Cz), Giffoni Valle Piana (Sa), Buttrio (Ud), Carunchio (Ch) e Roma Nord. All’inizio, i due allenatori avranno a che fare con problemi di spogliatoio, disorganizzazione e strutture fatiscenti. Vialli versione “boss in giacca e cravatta” e Amoruso “sergente di ferro col fischietto” ci proveranno con team building, dinamiche comportamentali e manageriali. Ce la faranno? © RIPRODUZIONE RISERVATA BARBABIETOLA ARROSTITA, FRUTTO DELLA PASSIONE E SCAROLA INGREDIENTI PER 4 PERSONE PER LA BARBABIETOLA: y 2 barbabietole y 2 g di sale Ƃno PER LA SALSA: y 100 g di succo di frutto della passione y 50 g di acqua y 1 g di sale y 2 g di zucchero y 2 g di maizena diluita in acqua fredda PER LA FINITURA: y 100 g di scarola y 2 g di sale y 2 g di olio extravergine d’oliva Per la barbabietola: avvolgere le barbabietole nell’alluminio con il sale e cuocere in forno a 180° per circa 50’. Togliere dal forno e far freddare. Sbucciare e tagliare in fette alte un centimetro, arrostirle in padella. Per la salsa: in una pentola portare a bollore il succo, l’acqua, lo zucchero e il sale, legare con la maizena e Ƃltrare. Per la Ƃnitura: far arrostire la scarola in una padella con l’olio e il sale. Disporre il trancio di barbabietola nei piatti con la salsa e la scarola. 87 RENAULT MEGANE Lunga 4.359 mm, alta 1.447, larga 1.814, passo di 2.669 mm, ha un bagagliaio che parte da 384-434 litri. La versione base è la Life con motore 1.2 benzina da 100 cv. Da € 18.650 S P O R T L I F E AU T O VARIETÀ La nuova Megane è proposta in cinque allestimenti, il più ricco è il GT Line. Nel corso dell’anno ci sarà anche la sportiva GT (a destra in questa foto) griffata “Renault Sport”. RENAULT La Megane fa i muscoli PIÙ LUNGA, PIÙ BASSA E MOLTO GRINTOSA: ECCO LA QUARTA SERIE DELLA VETTURA FRANCESE, DIVENTATA ANCHE SUPER TECNOLOGICA. E PER QUALCHE EMOZIONE IN PIÙ OCCHIO ALLE VERSIONI GT DI CARLO CANZANO U na faccia, un corpo e un lato B completamente nuovi e anche ben riusciti. Per la quarta serie – in vent’anni – della Megane che debutta nelle concessionarie italiane nel weekend del 20-21 febbraio, i designer della Renault non si sono certo risparmiati. E si sono ispirati più alla neonata “ammiraglia” Talisman che non alla più piccola Clio, che quattro anni fa ha certificato il cambiamento stilistico della Casa francese. Grintosa, in qualche tratto quasi muscolosa, anche grazie alle diverse dimensioni: è più lunga, più bassa, con passo e carreggiate aumentati rispetto alla precedente versione. Il totale cambiamento riguarda pure l’abitacolo, con materiali e tratti stilistici propri delle recenti Renault più grandi, Talisman ed Espace, con un bel disegno della plancia e della consolle centrale sulla quale spicca il grande schermo touch, una sorta di tablet in posizione verticale. In questi interni che nelle diverse versioni sconfinano in una categoria superiore grazie anche a sistemi sfiziosi come il Multisense, che prevede illuminazione differente a seconda dello stile di guida impostato (che incide – beninteso – su risposta del motore, dell’acce- leratore e del cambio automatico dove previsto) oltre che la funzione massaggio per il sedile del guidatore. Dotazione high tech completa, nelle versioni top, con cruise control adattativo, head up display, frenata di emergenza autonoma, monitoraggio della distanza di sicurezza, lane assistant, e parcheggio assistito con sensori e telecamere. Parecchio utile, quest’ultimo, considerato che 88 © RIPRODUZIONE RISERVATA – come abbiamo constatato nel nostro test – la bontà delle linee deve pagare qualcosa alla visibilità. Nelle possibili motorizzazioni (a benzina gli 1.2 turbo 4 cilindri da 100 e 130 cv, a gasolio i 4 cilindri turbo da 90 e 110 cv e il nuovo 1.6 da 130) abbiamo scelto quello – collaudatissimo – che sarà probabilmente il best seller della gamma, cioè il 1.5 da 110 cv e 260 Nm di coppia, abbinato al cambio automatico Edc doppia frizione a 6 rapporti, nel dotato allestimento Intens. Abbiamo riscontrato che i tecnici hanno trovato un buon compromesso tra comfort e guidabilità. Megane è precisa, dotata di una buona agilità; il cambio Edc funziona bene, pur se ci è parso non troppo rapido in una guida brillante. Il motore, come ci aspettavamo, fa il suo dovere e con consumi inferiori ai 5,5 litri/100 km. La sensazione è che Megane possa fare molto bene con la versione più sportiva, la GT, che sarà disponibile più avanti, con motori 1.6 benzina da 205 cv o diesel da 165. Insieme alle versioni “normali” e con le stesse motorizzazioni (eccetto le due “minori”) arrivano anche le versioni GT line, caratterizzate da allestimenti completi e linee più grintose a partire da 24.950 euro. STAFF OPEL GT, è un altro ’68? DALLA CONCEPT CHE VEDREMO A GINEVRA POTREBBE DERIVARE UNA PICCOLA SPORTIVA, COME 48 ANNI FA TESTATA DI PROPRIETÀ DE “LA GAZZETTA DELLO SPORT SRL” - A. BONACOSSA DIRETTORE RESPONSABILE: ANDREA MONTI VICEDIRETTORI: GIANNI VALENTI (VICARIO), PIER BERGONZI, STEFANO CAZZETTA, ANDREA DI CARO, UMBERTO ZAPELLONI ©RCS MEDIAGROUP SPA - DIVISIONE QUOTIDIANI SEDE LEGALE: VIA RIZZOLI, 8 – MILANO ACCERTAMENTI DIFFUSIONE STAMPA CERTIFICATO N. 7967 DEL 9.2.2015 DIRE T TO DA MATTEO DORE UFFICIO CENTRALE FILIPPO CAROTA (art director), GIANLUCA GASPARINI (caposervizio), NICOLA OCCHIPINTI (vice caporedattore) REDA ZIONE ANDREA ARCOBELLI (vice caposervizio), FABIO MARINELLO (vice caposervizio), ANGELA BRINDISI, LUCA CASTALDINI, ALESSIA CRUCIANI, SILVIA GUERRIERO, NAIMA MANCINI (photo editor), FABRIZIO SALVIO, MONIA URBAN RICERCA ICONOGR AFICA DONATELLA MARCUZZO SEGRETERIA DANIELA MADOTTO tel. 02-62.82.77.32 - fax 02-62.82.77.46 - e-mail: [email protected] FA S H I O N D I R EC TO R ALESSANDRO CALASCIBETTA [email protected] Fashion Editor: CARLO ORTENZI Non può sorprendere con quegli pneumatici anteriori rossi che paiono generare il fil rouge che divide la carrozzeria in modo orizzontale. Ma la GT Concept che la Opel presenterà al Salone di Ginevra (dal 3 al 13 marzo) potrebbe non essere soltanto un interessante esercizio di stile, bensì il prototipo da cui derivare una piccola sportiva. Proprio come accadde nel 1968 con la Opel GT, figlia della Experimental GT, primo esempio di concept car presentato da una Casa europea (nel ’65). La Opel GT ebbe grande successo, la chiamavano anche la piccola Corvette (pure lei della General Motors) come la sportiva americana, con un lungo cofano anteriore e l’assenza di quello posteriore. Stesso stile di questa GT Concept che monta il motore 1.000 tre cilindri turbo in alluminio di Adam, Corsa e Astra. Una coupé di soli 1.000 kg capace di toccare i 215 km/h. A quando la nuova GT? PRECEDENTE ROSSO Tre viste della GT Concept. Gli pneumatici rossi hanno un precedente in casa Opel con la motocicletta Motoclub 500 del 1928 (all’avanguardia come veicolo per i tempi), che montava gomme proprio di quel colore. H A N N O C O L L A B O R AT O Enrico Aiello, Claudio Arrigoni, Luca Bergamin, CAMP, Carlo Canzano, Silvia Cimini, Sabrina Commis, Paolo Condò, Marco Consoli, Giovanni Cortinovis, Michele Dalai, Fabio Finazzi, Aldo Fittante, Luca Gardini, Luigi Garlando, Gene Gnocchi, Fabio Licari, Fausto Narducci, Davide Oldani, Raffaella Oliva, Gioele Panedda, Raffaele Panizza, Massimo Parrini, Massimo Perrone, Fabrizio Sclavi, Nicola Sellitti, Irene Traina, Lanfranco Vaccari, Sebastiano Vernazza, Gianluca Zappoli PER LE IMMAGINI Afp, Alamy, Allsport, Ansa, ChinaFotoPress, Contrasto, Dpa, Dppi, Archivi Farabola, Getty Images, Ipa Agency, LaPresse, Olycom PROGE T TO GR AFICO FILIPPO CAROTA S TA M P A ROTOLITO LOMBARDA - Pioltello (Mi) A S S I S T E N Z A T E C N I C A EMANUELE MARINI D I S T R I B U Z I O N E M-DIS DISTRIBUZIONE MEDIA S.P.A. via Cazzaniga 1, Milano tel. 02-25.82.1 - fax 02-25.82.53.06 P U B B L I C I TÀ RCS MEDIAGROUP S.P.A. DIREZIONE PUBBLICITÀ via A. 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Ogni violazione sarà perseguita a norma di legge. 89 H e r o e s dd u B a l Zo di M i ic h ele dala C’ era qualcosa di struggente e poetico nella corsa di Zola Budd, forse la falcata ampia ma leggera, i piedi nudi sul tartan, forse l’idea di una sofferenza più nostra che non sua, lei che invece sembrava del tutto a suo agio in mezzo a donnoni più alti di lei di qualche spanna, loro e le loro scarpette chiodate. Magari era meno nobile il meccanismo che l’aveva portata a gareggiare a Los Angeles, un’Olimpiade che avrebbe potuto solo guardare in televisione se non avesse scelto di cambiare nazionalità e abbandonare la sua bandiera (il Comitato olimpico aveva escluso il Sudafrica, ancora fiero baluardo dell’apartheid) per gareggiare sotto quella inglese, una pratica burocratica tanto veloce e senza intoppi da entusiasmare i tifosi dell’efficienza british e lasciare enormemente perplessi i tifosi in genere, quelli che amano l’atletica come eccezione alla regola del furbo e non come confermadiognicattivopensierosullosport. Aveva 18 anni Zola, il viso dolce attraversato da nuvole veloci di rabbia, concentrazione, la voglia di fare qualcosa di memorabile. L’11 agosto si corre la finale dei 3.000 metri donne e Zola non è la favorita in senso assoluto ma poco ci manca. Ha l’età e la spregiudicatezza dei campioni e poco importa se Mary Decker corre in casa e ha promesso fuoco e fiamme. Zola parte bene e tiene il suo ritmo, sta davanti per non rischiare di rimanere schiacciata dalle altre, per non ritrovarsi in quella mattanza che può diventare la corsa nel gruppo. Ma non basta. La Decker la incalza e le due si toccano una prima volta, un contatto pericoloso come tutti quelli che spezzano l’armonia di una corsa, la frequenza perfetta dei passi, i piedi che rimbalzano sul terreno e spingono in avanti come molle. Un contatto catti90 © riproduzione riservata vo come tutti quelli non casuali, sempre nella zona grigia delle responsabilità, perché tra chi tocca e chi viene toccato è difficile stabilire l’intenzione e il danno. Passano pochi secondi e capita di nuovo, sono gli attimi che compromettono per sempre le possibilità di medaglia delle duellanti. La Decker si avvicina di nuovo e Zola fa una cosa terribilmente istintiva e definitiva. Sono passati cinque minuti dall’inizio della gara e le due si sono alternate in testa, Zola con la canotta bianca e il pettorale 151, la Decker con la divisa rosso fuoco della nazionale americana, il numero 373 e la convinzione di chi non può perdere davanti al suo pubblico. Solo che c’è troppo agonismo per pensare a un ex aequo, di primo posto se ne assegna uno solo e chi non lo conquista perde per sempre. All’altezza della linea del traguardo, appena prima, Zola incrocia la corsa della Decker, allarga la gamba sinistra e la fa cadere. Una brutta caduta, dolorosa, una specie di tackle calcistico portato da Davide a Golia, un volo rovinoso. La Decker esce di scena e il pubblico non la prende bene. Un diluvio di fischi su Zola, che forse si rende conto del pasticcio e all’improvviso sente il peso esile dei suoi 18 anni, della poca esperienza e dell’incapacità di reggere a un muro di ostilità come quello di Los Angeles. Visibilmente scossa, Zola rallenta e perde posizioni. Arriva settima, l’oro se lo aggiudica la romena Maricica Puica, le duellanti perdono entrambe. Zola viene prima squalificata e poi riabilitata, la Decker rifiuta le sue scuse, De Coubertin piange da qualche parte lassù, è una delle pagine meno nobili dell’atletica olimpica (doping escluso, s’intende). Zola Budd, la prima eroina da bancone: il sospetto che più che una piccola teppista fosse una lottatrice, una vera. @micheledalai cesare galiMberti Quel tackle a piedi nudi che ha segnato l’atletica
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