Renata Targetti Lenti Crescita e diseguaglianza nel lungo periodo. L

Transcript

Renata Targetti Lenti Crescita e diseguaglianza nel lungo periodo. L
Renata Targetti Lenti
Crescita e diseguaglianza nel lungo periodo. L'analisi di Thomas Piketty.
1.Introduzione
La "diseguaglianza", in particolare quella nella distribuzione personale dei redditi e della
ricchezza, è tornata ad essere oggetto di un intenso dibattito sotto diversi profili: teorico,
applicato e di “policy”. Il tema di una diseguaglianza crescente all’interno di paesi molto
ricchi, come gli Stati Uniti ha acquistato nuove dimensioni all'interno di ogni paese in
relazione alle trasformazioni dei rapporti sociali e personali ed a livello internazionale con
l'intensificarsi dei processi di globalizzazione. Amartya Sen (2002, p. 5) ha sottolineato
come la sfida principale abbia oggi a che fare "in un modo o nell'altro, con la
disuguaglianza, sia tra le nazioni sia nelle nazioni....Una questione cruciale è la divisione,
tra paesi ricchi e paesi poveri o tra differenti gruppi in un paese, dei guadagni potenziali
generati dalla globalizzazione".
Un contributo importante al dibattito sulla diseguaglianza, con riferimento in particolare alla
“sostenibilità” di sistemi capitalistici nei quali la diseguaglianza sia crescente è offerto dal
“Il Capitale nel XXI secolo” di Thomas Piketty (2014). Il lavoro, che è stato recentemente
tradotto in italiano, era uscito in francese nel 2013 e, quasi immediatamente era stato
tradotto e pubblicato in inglese, nell’aprile del 2014. Numerosi quotidiani e settimanali,
soprattutto americani, hanno ospitato recensioni, quasi sempre molto positive. Per
economisti ben noti come Krugman (2014), Stiglitz (2014a, 2014b), Milanovic (2014),
Solow (2014) si tratta di un contributo importante al pensiero economico, ed in particolare
all’interpretazione della relazione tra crescita e diseguaglianza nel lungo periodo.
Recentemente sono apparse alcune recensioni critiche, sollecitate da un intervento di
Chris Giles (2014) responsabile per la parte economica del Financial Times, circa
l’attendibilità delle fonti utilizzate da Piketty, delle evidenze empiriche nonché di alcune
stime. I rilievi critici, seguiti da altrettanto numerosi articoli in difesa di Piketty, non riescono
ad indebolire significativamente l’impianto del volume. Alle critiche e contestazioni, l’autore
ha replicato in modo convincente osservando che le considerazioni sull’aumento della
diseguaglianza e sui conseguenti effetti negativi in termini di crescita, tratte dall’evidenza
empirica non possono che essere il risultato di un’inferenza imperfetta, così come sempre
accade nell’ambito delle scienze sociali. L’evidenza empirica presentata nel volume,
relativa a numerosi paesi ed al lungo periodo, ha già consentito, e consentirà anche in
futuro di promuovere un dibattito, ricco di spunti innovativi, fondato su basi statistiche più
ampie di quanto non sia mai accaduto in passato. Secondo Andrea Brandolini (2014, p. 2),
proprio i dati empirici sono “il perno del volume, un elemento distintivo che gli dà originalità
e vigore”.
Il volume è il risultato di una ricerca, iniziata da Piketty 15 anni fa con riferimento alla
Francia e proseguito con alcuni colleghi (Atkinson a Oxford, Saez a Berkeley) per
analizzare i casi degli USA e del Regno Unito. L’analisi è stata poi estesa ai dati sui
redditi, in quei paesi occidentali dove esiste da tempo un’imposta personale sui redditi, ma
anche in Cina, in India ed in molte nazioni dell’America Latina. Il risultato è una vera e
propria “rivoluzione” nell’analisi della diseguaglianza, o meglio “delle” diseguaglianze nel
lungo periodo. Mai si era stimata la dinamica della diseguaglianza nella distribuzione della
ricchezza nel lungo periodo sulla base di una evidenza empirica così ricca come quella
presentata in questo lavoro. Raramente le serie storiche sulla concentrazione dei redditi
personali hanno riguardato il lungo periodo.
Il merito principale del lavoro è di avere riportato al centro del dibattito economico e
politico il tema della diseguaglianza e della sua perpetuazione tra generazioni, attraverso
la trasmissione ereditaria delle diverse forme di capitale fisico, finanziario ed umano.
Secondo Brandolini (2014, p. 1) il volume di Piketty resta “straordinario” principalmente per
quanto riguarda “il vincolo indissolubile che lega giudizio normativo e analisi della
disuguaglianza. Il discorso sulla distribuzione del reddito e della ricchezza è
inevitabilmente un discorso sulla giustizia sociale: possiamo discutere su quali
disuguaglianze siano giuste, ma è illusorio pensare che si possa condurre un astratto
ragionamento neutrale, in punto di teoria economica.” Piketty afferma "la storia delle
diseguaglianze dipende dalla rappresentazione di ciò che è giusto e di ciò che non lo è
che si fanno gli attori economici, politici, sociali, dei rapport di forza tra questi attori, e delle
scelte collettive che ne derivano; è ciò che viene determinato da tutti gli attori coinvolti”
(Piketty, 2014a, p.43).
La distribuzione funzionale tra redditi da capitale e redditi da lavoro torna con Piketty ad
essere un tema centrale dell’analisi economica così come era stato per gli economisti del
XIX secolo. Questo tema era uscito dall’agenda delle ricerche in economia, anche in
relazione alla crescente influenza del pensiero neoclassico. Nello stesso tempo si era
consolidata l’ipotesi che le politiche redistributive non siano efficaci. Robert Lucas (2004,
p. 15) premio Nobel per l’economia nel 1955 afferma: “Of the tendencies that are harmful
to sound economics, the most seductive, and in my opinion the most poisonous, is to
focus on questions of distribution.... of the vast increase in the wellbeing of hundreds of
millions of people that has occurred .....none of it can be attributed to the direct
redistribution of resources from rich to poor” (Lucas, 2004, p. 5). D’altra parte per molto
tempo era stata accettata l’ipotesi che la distribuzione “funzionale” del reddito nazionale
tra i fattori che avevano contribuito alla sua formazione, si mantenesse costante nel tempo
e per questo non fosse importante analizzarla. Secondo Keynes (1939, p. 41) si trattava di
una sorta di “miracle". Alcuni studi avevano, poi, fornito supporto empirico a questa ipotesi.
Tale regolarità sembra tuttavia essersi interrotta proprio a partire dall’inizio degli anni ‘90,
con il progressivo declino della quota del lavoro ed il corrispondente aumento della quota
dei profitti e delle rendite finanziarie sul valore aggiunto totale.
Un accettabile livello di diseguaglianza era considerato funzionale alla crescita, sia nei
modelli aggregati (keynesiani) che in quelli multisettoriali (neoclassici). Per Lewis la
nascita di un settore manifatturiero in un paese in via di sviluppo era reso possibile dalla
formazione di profitti ed era accompagnata da una crescita del divario tra salari in
agricoltura e salari nell’industria. Per Kuznets la prima fase dello sviluppo è accompagnata
da un aumento della diseguaglianza.
Una delle ragioni del grande successo che ha accompagnato la pubblicazione del
“Capitale nel XXI secolo” è riconducibile al fatto che negli Stati Uniti, negli ultimi anni, è
aumentata l’attenzione nei confronti di una diseguaglianza che stava rapidamente
crescendo. In un confronto con gli altri paesi industrializzati gli Stati Uniti sono
caratterizzati dalla più elevata diseguaglianza nella distribuzione dei redditi personali
disponibili. Nel 2013 l’indice di Gini calcolato sulla distribuzione dei redditi di mercato era
pari a 0,57, non molto superiore a quello della Spagna o delle nazioni scandinave, ma
inferiore a quello di molti altri paesi europei come la Germania, la Gran Bretagna, Grecia e
Irlanda. La riduzione dell’indice attribuibile alla redistribuzione risultava molto minore
rispetto a quella di tutti gli altri paesi europei considerati. L’indice di Gini, calcolato, sul
reddito disponibile (pari a 0,42) si riduceva solo dello 0,15 per cento, molto meno rispetto
alla Germania (0,24 per cento) o rispetto al Lussemburgo e Norvegia (0,20 per cento).
La diseguaglianza e la polarizzazione dei redditi negli Stati Uniti, non solo sono le più
elevate tra i paesi industrializzati, ma sono anche cresciute sistematicamente. Come
sottolinea Stiglitz (2012) tra il 2009 ed il 2010 il 93% dei guadagni della ripresa è stato
percepito dai redditieri che si collocano nell’1% più elevato della distribuzione. Nel 2012 il
quintile più povero di famiglie riceveva solo il 3.4% del reddito di mercato (“money income
before taxes”) equivalente, mentre il quintile più ricco riceveva ben il 49.9%. Il 5% più ricco
riceveva il 22.1%. L’arricchimento progressivo dell’ultimo quintile è stato accompagnato da
un calo del peso della classe “media” definita come quella che corrisponde al secondo,
terzo, e quarto quintile (60 per cento delle famiglie). Nel 2012 questa fascia ha ottenuto
una quota di reddito pari al 45,7 per cento, di molto inferiore al 53,2 per cento del 1968.
Un livello di diseguaglianza così elevato, che colpisce anche la classe media può
diventare un fattore di freno per la crescita, se si traduce in minori opportunità per le
prossime generazioni. Già oggi il divario nei risultati delle prove di apprendimento (“test
scores”) tra bambini ricchi e poveri risulta del 30-40% più ampio di quanto non fosse 25
anni fa. Anche le misure di mobilità sociale, già inferiori a quelle di molti paesi europei,
continuano a restare basse
Piketty, grazie ad un straordinaria raccolta di dati ed alla rielaborazione degli stessi, non
solo documenta le tendenze della diseguaglianza nella distribuzione dei redditi e della
ricchezza, nel lungo periodo e per un numero elevato di paesi, ma anche evidenzia le
“connessioni” tra queste variabili e la dinamica del sistema economico. La stima e la
rielaborazione delle diverse serie storiche (rapporto capitale prodotto, quota dei redditi
capitale, diseguaglianza tra r e g) documentano la validità delle “leggi fondamentali” del
capitalismo “patrimoniale”. Queste sono alla base di un modello molto semplificato che,
tuttavia, consente di giungere ad una interpretazione completa ed innovativa circa la
dinamica delle diseguaglianze in società caratterizzate dal capitalismo patrimoniale.
L’evidenza raccolta consente di distinguere tre periodi che mantengono cartteristiche
analoghe nei diversi paesi ed in particolare in Europa e negli Stati Uniti. In un primo
periodo che intercorre tra la fine dell’ 800 e l’inizio del 900 (1910 o 1920 a seconda delle
serie storiche) le diverse forme di diseguaglianza, nella distribuzione della ricchezza e dei
redditi, sono state elevate e crescenti. In un secondo periodo (tra il 1920 ed il 1970)
definito “età dell’oro” queste stesse diseguaglianze si sono ridotte, o comunque non sono
cresciute. Nel periodo compreso tra 1910 ed il 1970 si è verificata, dunque una
diminuzione del livello di concentrazione della ricchezza negli Stati Uniti ed in Europa. In
questo periodo si è verificata, a livello mondiale una inversione della relazione tra r e g. La
diminuzione della diseguaglianza nella distribuzione dei redditi, almeno negli Stati Uniti,
inizia un pò più tardi e cioè a partire dal 1930. In ogni caso tutti i tipi di diseguaglianza
hanno ricominciato a crescere dopo il 1970.
2. Il modello interpretativo.
Piketty condivide con i “classici” l’ipotesi che la distribuzione del reddito e la
corrispondente diseguaglianza non possano che essere il risultato di un conflitto. Il
conflitto, in una società caratterizzata dal “capitalismo patrimoniale”, nasce tra categorie
ben più eterogenee di quelle prese in considerazione da Ricardo e da Marx. Non solo i
lavoratori entrano in conflitto con i percettori di redditi da capitale, ma, anche all'interno di
queste due categorie nasce un conflitto distributivo. Ai percettori di interessi da capitale
finanziario si contrappongono i percettori di profitti generati dall’utilizzo del capitale fisico e
di rendite da proprietà immobiliare. Ai percettori di redditi da lavoro dipendente od
autonomo si contrappongono soggetti come i “managers” che percepiscono redditi ben più
elevati della media e si collocano all’interno dell’1% più ricco dei percettori. Piketty, in
particolare, si discosta dalla scuola classica nell’interpretazione delle relazioni tra
diseguaglianza e crescita. Non è interessato ad analizzare gli effetti della dinamica dei
profitti e della conseguente accumulazione del capitale sullacrescita, ma piuttosto la
relazione inversa. Ovvero di come il tasso di crescita dell’economia, in relazione al saggio
di crescita dei rendimenti da capitale, influenza la formazione del capitale patrimoniale e di
conseguenza la diseguaglianza. Uno degli aspetti distintivi dell’analisi Piketty “è il tentativo
di semplificare ciò che semplice non è” e di cercare di sintetizzare in poche essenziali
relazioni fenomeni che per loro natura sono molto complessi. Il rapporto tra il saggio di
rendimento del capitale r e saggio di crescita dell’economia g “è una chiave di lettura
potente delle tendenze in atto nel capitalismo e delle loro implicazioni per la
disuguaglianza. Avere attratto l’attenzione su quel rapporto è un grande merito di Piketty”.
(Franzini, 2014, p.1). Il capitale così come definito da Piketty è in realtà la ricchezza
patrimoniale. E’ costituito da capitali industriali e commerciali, capitali finanziari, capitali
immobiliari, incluse le abitazioni di proprietà, capitali agricoli, brevetti e altri beni
immateriali. Questo capitale-ricchezza, d’ora innanzi, per semplicità, indicato solo con il
termine capitale, genera un reddito per i suoi proprietari che viene definito tasso di
rendimento r. Il rapporto capitale prodotto nel lungo periodo è determinato ricorrendo ad
un modello del tipo Harrod-Domar (Piketty, 2014a, p. 353). Esso è pari al rapporto tra
saggio di risparmio e saggio di crescita dell’economia ovvero β=s/g. Questo implica che in
una società stagnante, dove l’ammontare dei patrimoni è elevato, la propensione al
risparmio eccederà il saggio di crescita (s>g), e dunque il rapporto capitale/reddito β
risulterà elevato e crescente.
La quota α dei redditi da capitale sul reddito complessivo è derivata in un modello basato
su di una funzione di produzione del tipo Cobb-Douglas (Piketty, 2014a, p. 333), dove
Y=F(K, L) ed α = r β, ovvero α è eguale al prodotto tra tasso di rendimento del capitale r e
rapporto capitale/prodotto β. La relazione α = r β costituisce la “prima legge fondamentale
del capitalismo” (Piketty, 2014a, p. 87). L’aumento di α dipenderà dall’elasticità di
sostituzione del capitale rispetto al lavoro (σ) nella funzione di produzione Y=F(K, L). Se si
accetta l’assunzione standard che il valore di σ sia eguale ad 1, quando cresce β il tasso
di rendimento r del capitale diminuisce nella stessa proporzione e α rimane costante. Se
invece si pone l’ipotesi che σ sia maggiore di 1 il tasso di rendimento del capitale r
diminuisce meno di quanto aumenti il capitale nel rapporto β così che anche α cresce. Ne
deriva che, in questo caso, quando il capitale aumenta più velocemente del reddito non
aumenta solo il patrimonio, ma anche la quota dei redditi da capitale rispetto ai redditi da
lavoro sul reddito complessivo.
A parità di altre condizioni, poi, la concentrazione nella distribuzione della ricchezza cresce
nella misura in cui il tasso di rendimento del capitale r sia maggiore del tasso di crescita
del reddito nazionale. La diseguaglianza r>g costituisce la il “fattore di divergenza
fondamentale” (Piketty, 2014a, p. 49). Se il processo di crescita del prodotto netto g
rallenta a causa di fattori esogeni (demografici o tecnologici) ed il capitale si accumula
aumentando più rapidamente del reddito nazionale non solo i patrimoni ricevuti in eredità
“prevalgono largamente sui patrimoni accumulati nel corso di una vita di lavoro”, ma
cresce anche la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza, e di conseguenza la
diseguaglianza complessiva (Piketty, 2014a, p. 51). Si innesta un circolo vizioso tra
diseguaglianza e crescita. Questo è tanto più vero quanto più i redditi da capitale sono
costituiti da rendite improduttive, e cioè provenienti da beni ereditati piuttosto che da beni
accumulati con il risparmio originato dai redditi da lavoro. I “patrimoni ereditati dal passato
si ricapitalizzano più in fretta rispetto all’andamento del processo di produzione e dei
redditi.... In tali condizioni è pressochè inevitabile che i patrimoni ricevuti in eredità
prevalgano largamente sui patrimoni accumulati nel corso di una vita di lavoro, e che la
concentrazione del capitale raggiunga livelli assai elevati” (Piketty, 2014a, p.51).
Piketty precisa che la diseguaglianza r>g non comporta necessariamente mutamenti della
diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza. Rispondendo ad alcune osservazioni di
Mankiew (Mankiew, 2015) afferma “Indeed, as rightly argued by Mankiw (2015), the
inequality r>g holds true in the steady-state equilibrium of the most common economic
models, including representative-agent models where each individual owns an equal share
of the capital stock....and this does not entail any implication about wealth inequality”
(Piketty, 2015, p. 4). Al fine di derivare da r>g implicazioni in termini di variazione della
diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza è necessario tener conto di quei fattori
(shocks) che nel tempo modificano “the wealth trajectories of families” e contribuiscono a
rendere la distribuzione molto ineguale. Questi sono di varia natura, demografici, diversa
abilità degli individui ad effettuare buoni investimenti, diversa propensione al risparmio e
così via. “A central property of this large class of models is that for a given structure of
shocks, the long-run magnitude of wealth inequality will tend to be magnified if the gap r g is higher. In other words, wealth inequality will converge towards a finite level. The
shocks will ensure that there is always some degree of downward and upward wealth
mobility, so that wealth inequality remains bounded in the long run... a higher gap between
r and g allows to sustain a level of wealth inequality that is higher and more persistent over
time (i.e. a higher gap r-g leads both to higher inequality and lower mobility...In this class
of models relatively small changes in r - g can generate very large changes in steady-state
wealth inequality.” (Piketty, 2015, p. 5-6; Piketty, Zucman, 2015, section 5.4).
La diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza, e di conseguenza in quella dei
redditi, cresce fino a raggiungere gli elevati livelli osservati nell’ultimo decennio. Una
diseguaglianza crescente finisce con il costituire un freno invece che uno stimolo alla
crescita. Si verifica, infatti, una riduzione della partecipazione al processo di formazione
del capitale umano da parte di una quota significativa della popolazione, e di conseguenza
si riduce la mobilità sociale che dovrebbe essere un elemento caratterizzante delle
moderne democrazie. L’accesso ai gradi più elevati dell’istruzione è costoso e le categorie
più povere, ma oggi anche gran parte della “classe media”, ne vengono escluse. Una
società più equa è, secondo Piketty, alla base di un’economia più efficiente e dinamica
oltre che la condizione per l’esistenza di una società democratica. In un sistema
caratterizzato da ciò che Piketty definisce il "capitalismo patrimoniale", basato
sull’accumulazione del capitale ereditato e non guadagnato con il lavoro da parte di
pochissimi ricchi "il capitalismo produce automaticamente diseguaglianze insostenibili,
arbitrarie, che rimettono in discussione i valori meritocratici sui quali si reggono le nostre
società democratiche" (Piketty, 2014a, p.12).
La “contraddizione” insita nel capitalismo “patrimoniale”, non è dunque la caduta
tendenziale del saggio di profitto, come avava ipotizzato Marx, bensì la crescita delle
rendite da capitale patrimoniale. Quando questo aumento supera quello del reddito
diventa conveniente per l’imprenditore trasformarsi in rentier. Se questo surplus sarà
investito andrà ad aumentare la quota di capitale sul prodotto, in un processo che si
autoalimenta potenzialmente all’infinito. I patrimoni ereditati si ricapitalizzeranno quindi più
in fretta di quelli di nuova costituzione, legati al lavoro e alla produzione. Il quadro analitico
di riferimento implica che un Paese con risparmi elevati e crescita lenta accumuli, nel
lungo periodo, un stock di capitale elevato e tenda, quindi, a sperimentare una
diseguaglianza crescente , e, nel lungo periodo, un rallentamento della crescita stessa. Il
passato “divora” il futuro.
3. L’accumulazione della ricchezza e la dinamica del rapporto capitale reddito nel lungo
periodo.
Piketty poggia la sua interpretazione su di una raccolta di dati “straordinaria” per
estensione geografica e storica e per qualità statistica (Piketty, 2014b). Con un metodo
innovativo, riesce a stimare i valori della ricchezza patrimoniale. Partendo dalle statistiche
sulle imposte di successione arriva a quantificare la trasmissione per via ereditaria dei
patrimoni, e dunque non solo la dinamica della formazione delle diseguaglianze
patrimoniali, ma anche il peso delle eredità. Accanto ai dati sui patrimoni sono stati raccolti
quelli sui redditi da capitale di varia natura (affitti, dividendi, interessi, plusvalenze). Piketty
documenta l‘andamento delle variabili β e α, stimando le corrispondenti serie storiche nei
diversi paesi presi in considerazione, in Europa e nel mondo nel suo complesso.
Figura 1
La figura 1 riporta le stime del valore complessivo della ricchezza privata espressa in
annualità di reddito nazionale dal 1870 fino al 2010, ovvero del rapporto β in alcuni paesi
europei (Germania, Francia e Regno Unito). Si osserva una curva ad U di grande
ampiezza (Piketty, 2014a, p.49). Il rapporto β si è mantenuto sostanzialmente stabile
attorno a valori molto elevati compresi tra 6-7 “annualità” nel periodo che corrisponde agli
ultimi decenni del 1800 ed alla cosidetta “belle époque”. Ha subito una drastica
diminuzione in corrispondenza al periodo 1910- 1950 per scendere a valori pari a 1,8 volte
in Germania, a 2,2 volte in Francia, a 3 volte nel Regno Unito nel 1950. Questo è stato il
periodo della grande redistribuzione. Il peso della ricchezza patrimoniale ha ricominciato a
crescere fino ad arrivare, nel 2010, a valori pari a circa 6 volte in Francia, a 5 volte nel
Regno Unito ed a 4 volte in Germania. Si è così tornati ad una società caratterizzata dal
“capitalismo patrimoniale” in cui i valori di β sono molto elevati. Si osserva un andamento
del tutto simile anche nel caso dell’Europa nel suo complesso.
Figura 2
Negli Stati Uniti, invece, in confronto all’Europa, la curva ad U (figura 2) appare molto
meno pronunciata, quando il numeratore di β sia costituito da un valore che include anche
il capitale pubblico (Piketty, 2014a, p. 253).
Figura 3
La figura 3 mostra l’andamento del valore del capitale privato, inteso sempre come quota
percentuale del reddito nazionale, in un periodo più breve e cioè tra il 1970 ed il 2010 in
alcuni “paesi ricchi” (Piketty, 2014a, p. 261). Nell’intervallo 1970-2010 β aumenta
sensibilmente in tutti i paesi europei considerati, ma anche negli Stati Uniti, in Canada, in
Australia ed in Giappone. In Italia questo rapporto è aumentato più velocemente che negli
altri paesi da un valore di 3 volte nel 1970 ad un valore di 7 volte nel 2010. Questa crescita
è attribuibile sia all’aumento dei prezzi degli immobili sia ad un trasferimento di ricchezza
pubblica verso quella privata grazie alla crescita ed al collocamento presso i privati del
debito pubblico.
Figura 4
La figura 4 mostra la dinamica della ricchezza privata a confronto con quella pubblica
(Piketty, 2014a, p. 281). Si può osservare, ad esempio, come in Italia la ricchezza publica
sia sistematicamente diminuita dal 1970 al 2010 mantenendosi sempre negativa.
Solamente in Canada si osserva un andamento analogo.
Figura 5
L’aumento del rapporto β negli ultimi decenni è spiegato dal “ritorno a un regime di
crescita relativamente lenta” (Piketty, 2014a, p. 50). Il saggio di risparmio s è cresciuto più
velocemente del saggio di crescita dell’economia g. In corrispondenza alla crescita di β è
aumentata anche la quota dei redditi da capitale α. Questo è avvenuto proprio nel periodo
1975-2010. In questo periodo sono aumentati contemporaneamente il rapporto capitale
prodotto e la quota dei redditi da capitale in tutti i paesi industrializzati (figura 5). La quota
α ha oscillato tra un minimo del 13% (Regno Unito) ed un massimo di 25% (Italia) nel 1975
(Piketty, 2014a, p. 340). Nel 2010 il divario tra i diversi valori si era ridotto. Il massimo era
ancora per l’Italia pari al 28% ed il minimo, questa volta, si osservava in Francia con un
valore pari al 25%.
4. La diseguaglianza nella distribuzione personale della ricchezza e dei redditi nel lungo
periodo.
Le domande a cui Piketty (Piketty, 2014a, p.11) ha tentato di rispondere con il suo lavoro
di ricerca sono sostanzialmente le seguenti: “Che cosa sappiamo realmente del processo
di distribuzione dei redditi e dei patrimoni dal XVIII secolo in poi, e quali lezioni possiamo
trarne per il XXI?... La questione della distribuzione delle ricchezze è oggi una delle più
rilevanti e dibattute. Ma che cosa si sa, davvero, del suo sviluppo sul lungo termine? La
dinamica dell’accumulazione del capitale privato comporta inevitabilmente una
concentrazione sempre più forte della ricchezza e del potere in poche mani, come
pensava Marx nel XIX secolo? Oppure le dinamiche equilibratrici della crescita, della
concorrenza e del progresso tecnico determinano, nelle fasi avanzate del processo
economico, una riduzione spontanea delle disuguaglianze e un’armonica stabilizzazione
dei beni, come pensava Kuznets nel XX secolo?”
Piketty ha avuto la capacità di rivitalizzare il metodo messo a punto da Simon Kuznets
(1955) mezzo secolo prima avviando la riscoperta di un giacimento ricchissimo di dati, in
generale facilmente accessibili ma trattati con distacco dagli economisti, ad eccezione di
qualche adepto di scienza delle finanze o di storia economica. Questi dati sono le
tabulazioni per classi di reddito delle entrate assoggettate alle imposte personali sui
redditi. Kuznets ha mostrato come se ne potessero derivare risultati generali
rapportandole ai totali della popolazione e dei redditi tratti dai censimenti e dai conti
nazionali. “Ciò non è bastato a vincere la ritrosia degli economisti” (Brandolini, 2014, p. 2)
anche se poteva essere giustificata dalla “difficoltà” di condurre ricerche come quella di
Piketty.
Per stimare la distribuzione personale dei redditi Piketty ricorre ad una fonte alternativa a
quelle tradizionali. Al posto delle indagini campionarie sui redditi individuali (o famigliari)
utilizza i dati fiscali così come aveva fatto Pareto. L’analisi di questa fascia di percettori è
molto recente poiché, per effettuarla, è necessario adottare specifici metodi di stima,
condizionati dalle differenze fra i regimi fiscali e fra i tassi di evasione. In particolare
occorre risolvere i problemi di comparabilità tra paesi, con particolare riferimento alla stima
dei redditi di origine finanziaria. Piketty ha impiegato le statistiche fiscali per stimare la
quota di reddito dei contribuenti più ricchi dapprima in Francia, e poi insieme a Emanuel
Saez e Facundo Alvaredo, negli Stati Uniti. Infine, coordinando insieme ad Anthony
Atkinson un progetto internazionale, ha potuto arrivare a costruire il “World Top Incomes
Database”, una ricca e innovativa banca dati liberamente accessibile on line (Alvaredo F.,
Atkinson A., Piketty T., Saez E.).
Per lungo tempo, le autorità fiscali di molti paesi hanno pubblicato sintetiche informazioni
sulla distribuzione dei redditi dei contribuenti. La definizione dei redditi fiscali risponde a
criteri amministrativi invece che economici e può escludere componenti importanti del
reddito complessivo. I valori possono risultare “distorti” dall’evasione fiscale. I valori
riflettono il regime di imposta differenziato nel tempo e nei diversi paesi. La comparazione
delle serie storiche richiede dunque un processo di armonizzazione. Tuttavia la fonte
fiscale è la sola che consente di disporre di serie storiche molto lunghe. Per alcuni paesi
queste serie sono disponibili per l’intero secolo XIX e XX. La fonte fiscale, poi, consente,
con buona approssimazione, di stimare i redditi più elevati, ed in particolare quelli percepiti
dall’1% più ricco della popolazione. D’altra parte anche i dati delle indagini campionarie
non sono esenti da difetti “risentono della reticenza degli intervistati, particolarmente per i
redditi finanziari, soffrono di discontinuità in occasione dei cambiamenti delle metodologie
di rilevazione e, per la loro natura campionaria, non riescono a rappresentare la
distribuzione dei redditi più elevati” (Bradolini, 2014, p. 3). Piketty ritiene la distribuzione
personale dei redditi dipenda, almeno in parte, dalla distribuzione funzionale, e cioè dal
peso relativo delle quote di reddito percepite dal capitale e dal lavoro e dal diverso livello
di concentrazione che li caratterizza. I dati raccolti documentano come la concentrazione
dei redditi personali rifletta, in ogni periodo, la concentrazione esistente nei redditi da
capitale e nei redditi da lavoro. I redditi da capitale presentano una concentrazione
maggiore rispetto a quella dei redditi da lavoro. Questo significa che il peso dei redditi da
capitale rispetto a quelli da lavoro sul prodotto nazionale, e la loro dinamica, contribuisce
in modo significativo a determinare il livello della diseguaglianza nella distribuzione
personale dei redditi.
Per i redditi da capitale la principale causa di diseguaglianza è individuata nella
trasmissione ereditaria dei patrimoni che ne determina la concentrazione, e, come già
osservato nel divario tra saggio di rendimento e saggio di crescita dell’economia, ovvero
dalla diseguaglianza r>g. I fattori di diseguaglianza all’interno dei redditi da lavoro sono di
vario tipo. Tra questi spiccano per importanza quelli istituzionali comprese le norme che
regolano il mercato del lavoro. Proprio l’esistenza di queste norme comporta che i redditi
da lavoro dipendente siano più equamente distribuiti di quelli da lavoro autonomo e di
quelli da capitale. Fanno eccezione i redditi percepiti da alcune categorie di lavoratori che
solo formalmente sono “dipendenti”, come, ad esempio, i “top manager”.
Al fine di individuare i fattori che hanno determinato variazioni, e molto spesso crescita,
della diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza Piketty stima l’andamento delle
due variabili r e g nel lungo periodo. La figura 6 riporta i dati relativi al periodo 1000-2100
con riferimento al mondo nel suo complesso (Piketty, 2014a, p.546). Si possono
individuare tre distinti periodi. In un primo periodo, tra il 1000 ed il 1820, il rendimento del
capitale a livello mondiale si è mantenuto tra il 4,5% ed il 5%, mentre il saggio di crescita
dell’economia si è attestato ad un livello molto più basso tra lo zero e l’1,5%. Solamente a
partire dal 1820 r ha cominciato a diminuire arrivando ad un minimo pari all’1% nel 1913. A
partire da questo momento, il saggio g ha iniziato a crescere rapidamente raggiungendo
un valore pari a circa il 2%. Il terzo periodo (1970-2100) è stato contrassegnato da valori di
r crescenti e sempre superiori al saggio di crescita g. Dunque, se si eccettua periodo
1920-1970, la diseguaglianza fondamentale r>g, che costituisce la “contraddizione
fondamentale del capitalismo” sembra avere solide basi empiriche. “Available micro-level
evidence on wealth dynamics confirm that the high gap between r and g is one of the
central reasons why wealth concentration was so high during the 18th-19th centuries and
up until World War 1 (Piketty, 2015, p.7).
Figura 6
Per Piketty il periodo 1920-1970 costituisce una vera e propria “anomalia”. Questo
periodo, per sottolinearne l’eccezionalità, è stato definito “età dell'oro”. Questa fase è
terminata con il 1970.
Si è, dunque entrati, nuovamente, in una fase storica in cui la trasmissione ereditaria è più
efficace del lavoro nel produrre ricchezza. “During the 20th century, it is a very unusual
combination events which transformed the relation” between r and g “(large capital shocks
during 1914-1945 period, including destructions, nationalization, inflation, taxation; high
growth during reconstruction period and demographic transition”) (Piketty, 2015, p. 7).
Piketty poi, formula la previsione che, se si estrapolano i trend storici fino al 2200, la
distanza tra r e g sia destinata ad ampliarsi. Per ottenere questo risultato Piketty ha
raggruppa i due sotto periodi 2012-50 e 2050-2100 in un’unica media ed ipotizza “che i
tassi della seconda metà del XXI secolo si mantengano per tutto il XXII, il che non è affatto
sicuro”. Si presuppone, poi che “nessuna reazione politica di rilievo giungerà ad alterare,
nei prossimi due secoli, il corso del capitalismo e della globalizzazione finanziaria” (Piketty,
2014a, p. 548). Quest’ultima è naturalmente un’ipotesi molto forte e di difficile
realizzazione. “In the future, several forces might push toward a higher r-g gap (particularly
the slowdown of population growth, and rising global competition to attract capital) and
higher wealth inequality. But ultimately which forces prevail is relatively uncertain. In
particular, this depends on the institutions and policies that will be adopted” (Piketty, 2015,
p.7).
Durante il ventennio 1950-1970 una crescita sostenuta nei paesi europei è stata favorita
da alcune precise circostanze come la necessità di ricostruire la capacità produttiva
distrutta dalla guerra. Non solo aumentava l’occupazione insieme alla crescita del prodotto
nazionale, ma si andava consolidando la cosiddetta classe “media” costituita da operai ed
impiegati grazie ad una organizzazione del lavoro di tipo fordista. Il rapido processo di
industrializzazione, insieme a politiche fiscali e di spesa pubblica progressive, hanno
favorito la formazione della classe “media”, e, nello stesso tempo, il consolidamento della
democrazia ed una elevata crescita in tutti gli Stati occidentali. In questo periodo si è
verificata, in tutti i paesi europei ed anche negli Stati Uniti, una riduzione della
diseguaglianza. La spiegazione risiede nell’operare congiunto di due guerre, che hanno
provocato la distruzione del capitale fisico, e di una crisi economica senza precedenti,
quella del 1929, che ha drasticamente ridotto, se non annullato, il valore di patrimoni
accumulati nei secoli precedenti. Si è così “spezzata” l’interazione tra accumulazione e
rendimento del capitale che si era verificata nel precedente lungo periodo.
L’andamento della concentrazione della ricchezza in Europa e negli Stati Uniti, tra il 1810
ed il 2010, viene stimato da Piketty al fine di verificarne la coerenza con il divario che
caratterizza l’andamento di r e g nei diversi sottoperiodi appena individuati. La
concentrazione della ricchezza è misurata dalla quota del “decile e percentile superiore
nella composizione del patrimonio complessivo” (figura 7). Sia in Europa che negli Stati
Uniti il valore massimo dell’indice viene raggiunto nel 1910 (Piketty, 2004a, p.538). A
partire da quell’anno l’indice inizia a diminuire e raggiunge un minimo per gli Stati Uniti nel
1940 per l’Europa nel 1970. Negli Stati Uniti il valore dell’indice si mantiene costante tra il
1910 ed il 1970. A partire dal 1970 l’indice inizia ad aumentare. In Europa si mantiene
sempre al di sotto del valore osservato negli Stati Uniti. Nel periodo precedente, invece, e
cioè tra il 1810 ed il 1970 la quota di ricchezza del 10% più ricco in Europa era sempre
stata superiore a quella degli Stati Uniti. Nel periodo compreso tra 1910 ed il 1970 si
verifica, dunque una diminuzione del livello di concentrazione della ricchezza. Questa
fase, in larga misura, coincide con l’ “età dell’oro”, cioè quando si è verificata, a livello
mondiale una inversione della relazione tra r e g, e cioè la diseguaglianza si è invertita
(g>r).
Figura 7
La crescita della diseguaglianza è stata più moderata di quanto fosse avvenuto nel XIX
secolo. In Europa, nel primo periodo, la quota di ricchezza posseduta dal decile superiore
era pari a valori compresi tra l’80% (nel 1810) ed il 90% (1910). Si configurava così,
secondo la definizione di Piketty, era una vera e propria “società patrimoniale” (Piketty,
2014a, p. 539). Negli Stati Uniti i valori oscillavano tra il 58% (nel 1810) ed l’80% nel 1910.
Oggi la concentrazione della ricchezza è ancora molto elevata, ma certamente meno
accentuata di quanto fosse accaduto nel XIX secolo. Nel periodo 1970-2010 negli Stati
Uniti la quota di ricchezza posseduta dal decile superiore variava tra il 65% ed il 70%.
Le tendenze della diseguaglianza nella distribuzione del reddito sono riconducibili, almeno
in parte, al processo di accumulazione della ricchezza. Piketty documenta la dinamica
della diseguaglianza nella distribuzione personale dei redditi, utilizzando come misura
della concentrazione dei redditi la quota di redito percepita dall’ultimo decile di
popolazione (figura 8). L’andamento di questa quota negli USA è stata crescente con
valori compresi tra il 40% nel 1920 ed il 50% nel 1930 (Piketty, 2014, p.48). Essa ha
mantenuto una certa stabilità attorno al 45% negli anni compresi tra il 1930 ed il 1940, ha
subito una drastica diminuzione all’inizio degli anni 40, ed ha mantenuto, ancora, una certa
stabilità, ad un livello abbastanza basso, attorno al 35% durante l’età dell’oro (1942-1970).
Successivamente la quota dell’ultimo decile è nuovamente cresciuta fino a raggiungere un
livello piuttosto elevato, attorno al 50%, nel 2010. Nel periodo compreso tra il 1910 ed il
1940 si osserva una sorta di curva ad U rovesciato corrispondente ad una crescita della
diseguaglianza fino ad un massimo raggiunto attorno agli anni 30 ed una successiva
caduta fino al 1940. Dopo un lungo periodo di stabilità la diseguaglianza ha ricominciato a
crescere sistematicamente a partire dagli anni 70. Come sottolinea Brandolini (2014, p. 1)
Kuznets già nei primi anni cinquanta aveva rimarcato “nel suo monumentale studio sulla
distribuzione dei redditi negli Stati Uniti (Shares of Upper Income Groups in Income and
Savings, 1953), che mai nelle statistiche si era registrata una caduta della quota del
reddito dei più ricchi paragonabile, per “dimensione e persistenza”, a quella che aveva
documentato per il periodo tra il 1929 e il 1946. Era un risultato di formidabile portata. Per
Kuznets, rappresentava un’evidenza decisiva per giustificare la sua ipotesi che nel lungo
periodo la disuguaglianza dei redditi segua un profilo a “U rovesciata” e tenda quindi a
diminuire man mano che lo sviluppo economico procede verso stadi più maturi, dopo
essere aumentata nella prima fase dell’industrializzazione”.
Figura 8
Figura 9
Un profilo analogo a quello osservato per gli Stati Uniti caratterizza la dinamica della
diseguaglianza in Europa (figura 9). Negli Stati Uniti, tuttavia, nel periodo compreso tra il
1970 ed il 2010 la quota di reddito posseduta dal decile più ricco è cresciuta più
velocemente rispetto a quanto avvenuto in Europa (Piketty, 2014a, p. 497). Il divario tra le
due curve si è progressivamente allargato. Negli Stati Uniti si è passati da un valore della
quota di reddito posseduto dal 10% più ricco pari a circa il 34% nel 1970 ad uno molto più
elevato pari al 48% nel 2010. In Europa invece l’indice di concentrazione ha assunto un
valore pari al 35% nel 2010 rispetto ad un valore pari al 30% nel 1970.
Come sottolinea Piketty (2015, p.3) nell’ultimo periodo la diversa dinamica della
concentrazione della ricchezza in Europa rispetto agli Stati Uniti, non è sufficiente a
spiegare la progressiva divergenza nei livelli di concentrazione dei redditi. Un fattore di
diseguaglianza nella distribuzione dei redditi, che non dipende dalla relazione tra r e g, è
costituito dalla crescita dei redditi da lavoro molto elevati e cioè i “top labor incomes”. Si
deve a questi aumenti la crescita della quota di reddito percepita dal decile (10%) ovvero
dal percentile (1%) più ricco. Questi redditi corrispondono ad una quota significativa del
reddito nazionale e del totale delle entrate fiscali anche se sono percepiti da una
percentuale molto ridotta della popolazione (Piketty, Saez, Stantcheva, 2014).. Sia il tasso
di crescita del reddito nazionale che l’indice di concentrazione assumono di conseguenza
valori differenti a seconda che i redditi più elevati siano esclusi dalle stime o vi siano
compresi.
All’interno dei “top labor incomes” si collocano i “managers”, che hanno progressivamente
acquisito il potere di fissare le proprie remunerazioni sulla base della posizione di potere,
spesso indipendente dall’effettivo contributo fornito alla produzione dell’azienda. Si sta,
dunque, consolidando un nuovo modello basato anche su di un’elevata diseguaglianza
all’interno dei redditi da lavoro e non solo sulla diseguaglianza esistente all’interno dei
redditi da capitale. Quest’ultima rimane comunque elevata e dipende non solo dalla
distribuzione del capitale, ma anche dalle norme sulla successione ereditaria e dalla
tassazione del capitale. Non si devono trascurare poi gli effetti della crescita dell’economia
finanziaria e l’accresciuta mobilità dei capitali. Anche le modifiche nella “governance” delle
società e la crescita delle “stock options” hanno prodotto una crescita dei rendimenti del
capitale. Negli Stati Uniti, ad esempio, il reddito disponibile dell’1% più ricco della
popolazione è cresciuto con una velocità ben superiore a quella di qualsiasi altro gruppo.
In parallelo all’arricchimento progressivo dell’ultimo decile e dell’ultimo percentile della
distribuzione si è verificato non solo un impoverimento del decile inferiore, ma anche della
“classe media”. Un livello di diseguaglianza così elevato, che colpisce anche la classe
media può diventare un fattore di freno per la crescita, poichè si tradurrà in minori
opportunità per le prossime generazioni. Il “capitalismo patrimoniale” americano potrebbe
diventare sempre meno sostenibile, in assenza di interventi redistributivi efficaci.
Una importante lezione che, secondo Piketty, deriva dall’esperienza storica da lui
documentata è che non sia necessaria una elevata diseguaglianza, come quella che si era
verificata nell’800, per favorire la crescita. Nel periodo 1930-70 una crescita sostenuta è
stata accompagnata anche dalla riduzione della diseguaglianza. Al contrario, proprio tassi
di crescita dell’economia bassi, negli ultimi 30 anni, sono stati accompagnati da un
aumento della diseguaglianza. La conclusione non può che essere molto pessimistica. Il
recente aumento delle diseguaglianze, che tra le altre cose ha portato alla crisi del 2007,
non è un’anomalia, ma un ritorno alla norma. Europa e Giappone sono i due esempi
esaminati da Piketty per comprendere come abbia potuto progressivamente crearsi una
società “patrimoniale”, dove bassa natalità e bassa crescita economica rendono prevalenti
le ricchezze accumulate, quasi mai reinvestite in modo efficiente e produttivo. All’interno
dei paesi europei l’Italia, dove gran parte del capitale è costituito da ricchezza immobiliare,
rappresenta uno dei casi più significativi a questo proposito. Questa caratteristica, insieme
all’invecchiamento della popolazione, spiega gran parte del calo della produttività
dell’ultimo decennio. La tendenza verso una sempre maggiore concentrazione dei
patrimoni, evidenziata a più riprese dalla Banca d’Italia, sarebbe dunque un fenomeno
strutturale legato alla bassa crescita del nostro Paese.
5. Le politiche di riduzione della diseguaglianza.
La diseguaglianza, secondo Piketty, non è il risultato di forze economiche ineluttabili,
bensì anche il prodotto delle politiche. “Esistono strumenti in grado di far sì che la
democrazia e l’interesse generale riprendano il controllo del capitalismo e degli interessi
privati, senza peraltro fare ricorso a misure protezionistiche e nazionalistiche” (Piketty,
2014a, p.12). Negli Stati Uniti, ad esempio, molte delle cause dell’elevata diseguaglianza
sono strutturali. I divari nei livelli d’istruzione e di competenze professionali tra i diversi
gruppi di popolazione sono il risultato dell’operare del libero mercato in un’economia
capitalistica avanzata. Storicamente un meccanismo molto importante per la riduzione
delle diseguaglianze è stato la diffusione di conoscenze, di competenze e l'istruzione.
Questa è stata la forza più potente per ridurre le disparità tra i paesi. Questo meccanismo
può funzionare anche all'interno dei paesi, se sono caratterizzati da istituzioni educative e
sociali sufficientemente avanzate ed inclusive che permettano ad ampi segmenti della
popolazione di accedere alle competenze ed a lavori adeguati. L’istruzione, tuttavia, anche
se risulta di importanza fondamentale, da sola può non essere sufficiente per ridurre la
diseguaglianza e favorire la mobilità sociale. Nello stesso tempo politiche volte a rendere
più efficace l’azione redistributiva dello Stato, non sono certamente sufficienti a ridurre la
diseguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile.
Per evitare che i gruppi che dispongono dei redditi e della ricchezza più elevati siano i soli
ad acquisire posizioni di rilievo nella società, è necessario introdurre una pluralità di
interventi, alternativi ed eterogenei perchè eterogenea è la composizione del patrimonio.
Non è sufficiente e il ricorso alla tassazione sui patrimoni, ma occorre riformare il sistema
fiscale adottando una tassazione progressiva non solo del reddito ma anche dei diversi tipi
di ricchezza. Sarebbe necessario introdurre una imposta progressiva sui patrimoni, sulle
successioni, uniformare la tassazione dei capitali a livello mondiale od almeno europeo.
Una imposta progressiva sul patrimonio su scala globale, fondata sullo scambio
automatico delle informazioni bancarie, è suggerita da Piketty non solo come una "utile
utopia", ma invece come una proposta su cui riflettere e discutere. Potrebbe essere lo
strumento per invertire la disuguaglianza r > g e dunque ridurre il saggio di crescita del
capitale patrimoniale ed il peso del capitale ereditato.
Le imposte sul capitale, sia in forma di imposte sui terreni o sulle eredità sono state tra le
prime, in passato, ad essere state introdotte. Estendere questo tipo di tassazione a tutti i
tipi di capitale sembra a Piketty una misura del tutto corretta. Non si deve trascurare, poi, il
fatto che i requisiti tecnici per tale imposta (che in una forma rudimentale esiste nella
maggior parte delle economie avanzate) non sono molto complicati. La proprietà
immobiliare è già tassata in tutti i paesi industrializzati. Il valore di mercato dei diversi
strumenti finanziari, e l’identità dei proprietari, potrebbe facilmente essere accertata. Non
si può ignorare, tuttavia che la “fattibilità politica”, nel contesto internazionale attuale, è
bassa. L'applicazione di tale imposta in singoli paesi può facilmente favorire il deflusso di
capitali verso l’estero. La collaborazione internazionale appare un requisito indispensabile.
E’ molto improbabile, tuttavia, che questa cooperazione sia offerta da quei paesi che
attualmente beneficiano maggiormente della “opacità” delle transazioni finanziarie e che si
offrono come “paradisi fiscali” per i ricchi. Alcune economie emergenti potrebbero non
essere disposte a sottoscrivere un eventuale accordo. Secondo Piketty, tuttavia, una
proposta di cooperazione più ristretta, che coinvolga solo paesi membri dell'OCSE (o tra la
UE e gli Stati Uniti) è fattibile (Piketty, 2015).
La recente (2010) normativa contenuta nel “Foreign Account Tax Compliance Act”
(FATCA) può essere considerata come un primo passo che negli Stati Uniti, potrebbe
portare alla tassazione regionale del capitale. Il FATCA è una legge federale che richiede
ai cittadini degli Stati Uniti, compresi quelli che vivono all’estero, di segnalare i propri conti
finanziari detenuti al di fuori degli Stati Uniti. Impone, poi, agli istituti finanziari esteri di
segnalare all’ “Internal Revenue Service” (IRS) i nominativi dei loro clienti statunitensi. Il
Congresso ha approvato il FATCA per rendere più difficile ai contribuenti statunitensi
nascondere le attività detenute in conti “offshore” e in società fantasma. E questo al fine di
recuperare entrate fiscali federali. Il FATCA costituisce una parte delle misure introdotte
negli Stati Uniti come incentivi per stimolare l’assunzione di nuovi lavoratoei da parte delle
imprese.
La teoria della tassazione ottimale dei capitali era stata sviluppata da Piketty in un
precedente lavoro pubblicato con Emmanuel Saez (Piketty, Saez, 2013). In base al
modello sviluppato in quel lavoro, e tenendo conto del fatto che la diseguaglianza nella
distribuzione dei redditi dipende, contemporaneamente, dai redditi da capitale e da lavoro
“the optimal tax policy is also two-dimensional: it involves a progressive tax on labor
income and a progressive tax on inherited wealth. Specifically, we show that the long-run
optimal tax rates on labor income and inheritance depend on the distributional parameters,
the social welfare function, and the elasticities of labor earnings and capital bequests with
respect to tax rates.... For realistic empirical values, we find that the optimal inheritance tax
rate might be as high as 50-60%, or even higher for top bequests, in line with historical
experience.” (Piketty, 2015, p.7).
Più complicata è la stima della tassa annuale ottimale sul patrimonio e sui redditi da
capitale. E’ impossibile prevedere il saggio futuro di rendimento delle attività possedute, e
dunque il valore attuale delle stesse (Piketty, 2015, p.8). In ogni caso Piketty avanza una
proposta ovvero “a simple rule-of-thumb... one should adapt the tax rates to the observed
speed at which the different wealth groups are rising over time... if one aims to stabilize the
level of wealth concentration, then one might need to apply top wealth tax rates as large
as 5% per year, and possibly higher” (Piketty, 2015, p. 8; Piketty, 2014a, p. 672; Saez,
Zucman, 2014)). Sottolinea con forza come siano necessarie, soprattutto, la trasparenza e
buone rilevazioni statistiche al fine di monitorare in maniera più efficace di quanto oggi
avvenga la dinamica del reddito e della ricchezza dei diversi gruppi sociali. Solamente in
questo modo sarà possibile adattare le politiche sociali ed i livelli di tassazione alle
condizioni reali di un paese.
6. Osservazioni conclusive.
Secondo Piketty la diseguaglianza è destinata a crescere, almeno nei paesi
industrializzati, poichè difficilmente questi paesi potrano sperimentare in futuro tassi di
crescita elevati. Si tornerà ad un capitalismo patrimoniale. Una diseguaglianza crescente
finirà con il costituire un freno invece che uno stimolo alla crescita. Verrà compromessa la
sostenibilità di un modello di capitalismo basato sull’accumulazione della ricchezza per
pochi. Si verificherà, come è gia avvenuto, una riduzione della “classe media”. Di
conseguenza diminuirà la partecipazione al processo di formazione del capitale umano da
parte di una quota significativa della popolazione e si ridurrà la mobilità sociale che
dovrebbe essere un elemento caratterizzante delle moderne democrazie. Storicamente un
meccanismo molto importante per la riduzione delle diseguaglianze è stato la diffusione di
conoscenze, di competenze e l'istruzione. Questa è stata la forza più potente per ridurre le
disparità tra ed all’interno dei diversi paesi. L’istruzione, tuttavia, anche se risulta di
importanza fondamentale, da sola può non essere sufficiente per ridurre la diseguaglianza
e favorire la mobilità sociale.
Per evitare che i gruppi che dispongono dei redditi e della ricchezza più elevati siano i soli
ad acquisire posizioni di rilievo nella società, è necessario introdurre una pluralità di
interventi, alternativi ed eterogenei perchè eterogenea è la composizione del patrimonio.
Non è sufficiente e il ricorso alla tassazione sui patrimoni, ma occorre riformare il sistema
fiscale adottando una tassazione progressiva non solo del reddito ma anche dei diversi tipi
di ricchezza. Sarebbe necessario introdurre una imposta progressiva sui patrimoni, sulle
successioni, uniformare la tassazione dei capitali a livello mondiale od almeno europeo.
Una imposta progressiva sul patrimonio su scala globale, fondata sullo scambio
automatico delle informazioni bancarie, è suggerita da Piketty non solo come una "utile
utopia", ma invece come una proposta su cui riflettere e discutere. E’ ben consapevole,
tuttavia che la “fattibilità politica”, nel contesto internazionale attuale, è bassa. Per il
momento sarebbe desiderabile, comunque, e probabilmente fattibile, introdurre una
imposta sui trasferimenti ereditari ed una imposta progressiva sul patrimonio, a livello
nazionale.
Riferimenti
- Alvaredo F., Atkinson A., Piketty T., Saez E. (2014), The Top World Incomes Database,
at http://topincomes.parisschoolofeconomics.eu/
-Atkinson A., Piketty T., Saez E. (2011), Top Incomes in the Long Run of History, Journal
of Economic Literature, 49(1), 2011, pp. 3–71.
-Brandolini A. (2014), Piketty e i dati, “Menabò di Etica ed Economia”, 20 settembre,
http://www.eticaeconomia
- Franzini M. (2014), La contraddizione fondamentale del capitalismo, “Menabò di Etica ed
Economia”, 20 settembre, http://www.eticaeconomia
-Giles C. (2014), Piketty findings undercut by errors, “Financial Times”, may 2014.
http://www.ft.com/intl/cms/s/2/e1f343ca-e281-11e3-89fd00144feabdc0.html#axzz3P0S4pQBY
-Lucas R.(2004), The Industrial Revolution: Past and Future, Federal Reserve Bank of
Minneapolis, may.
- Keynes, J. M. (1939), Relative Movements in Real Wages and Output, “The Economic
Journal”, vol.49 (143), pp. 34-51.
- Krugman P. (2014), Why We’re in a New Gilded Age, “The New York Review of Books”,
8 May, p.1. http://www.nybooks.com/articles/archives/2014/may/08/thomas-piketty-newgilded-age/
-Kuznets S. (1953), Shares of Upper Income Groups in Income and Savings, National
Bureau of Economic Research, NewYork.
-Kuznets S. (1955), Economic Growth and Income Inequality, “American Economic
Review”, vol. 45, pp. 1-28. - Mankiw G. (2015), “Yes, r>g. And so what?”, American
Economic Review, May (forthcoming)
- Milanovic (2014), The return of “patrimonial capitalism”: review of Thomas Piketty’s
Capital in the 21st century, “Journal of economic literature”, June 2014, forthcoming at
https://www.gc.cuny.edu/CUNY_GC/media/CUNY-Graduate
Center/PDF/Centers/LIS/Milanovic/papers/2014/Piketty_book3.pdf -Piketty T. (2014a), Il
Capitale nel XXI secolo, Bompiani/R.C.S. libri S.p.A.,Milano (traduzione della versione
franceseLe Capital au XXI siècle , Editions de Seuil, Paris, 2013; la traduzione inglese
Capital in the Twenty-First Century, Cambridge, MA.: Belknap Press/, Harvard University
Press, è del 2014).
- Piketty T. (2014b), Allegato tecnico al “Le Capital au XXI siècle”,disponibile su:
st
http://piketty.pse.ens.fr/capital21c - Piketty T. (2015), “About Capital in the 21 Century”,
American Economic Review, May (forthcoming).
- Piketty T., Saez E. (2007), Income and Wage Inequality in the USA, in Atkinson A. B. e
T. Piketty (eds), Top Incomes over the Twentieth Century, Oxford University Press,
Oxford, 2007, pp.141-226.
- Piketty T., Saez (2013), A Theory of Optimal Inheritance Taxation, “Econometrica”, vol.81
(5), p.1851-1886
- Piketty T., Saez E., Stantcheva S. (2014), Optimal Taxation of Top Labor Incomes : A
Tale of Three Elasticities, “American Economic Journal: Economic Policy”, vol.6 (1), p.230271
- Piketty T., Zucman G. (2015), “Wealth and Inheritance in the Long Run”, in: Atkinson A.,
Bourguignon F., eds., vol 2, Handbook of Income Distribution, , Elsevier.
- Saez ., Zucman G. (2014), Wealth Inequality in the United States since 1913, National
Bureau of Economic Research n. 201625, NewYork.
- Sen A.K. (2002), Globalizzazione e libertà, Arnoldo Mondatori Editore S.p.A., Milano.
- Solow R.M. (2014), Thomas Piketty is right, Capital in the Twenty-First Century' by
Thomas
Piketty,
reviewed,
“New
Republic”,
April
22,
2014,
http://www.newrepublic.com/article/117429/ .
- Stiglitz (2012), The Price of Inequality, “Project Syndicate, may, at http://www.projectsyndicate.org/print/the-price-of-inequality
-Stiglitz J. (2014a), In defense of capitalism, BillMoyers.com ,August 2014
http://billmoyers.com/2014/08/22/joseph-stiglitz-in-defense-of-capitalism/ -Stiglitz
J.
(2014b), Democracy in the twenty-first century, “Project Syndicat”, december 2014
http://www.project-syndicate.org/commentary/joseph-e--stiglitz-blames-rising-inequalityon-an- ersatz-form-of-capitalism-that-benefits-only-the-rich