Cinema - Hueber Verlag

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23.02.2007
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Cinema
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La piccola stazione era quasi deserta. Era una piccola stazione di una località della riviera, con palme e piante di agave
vicino alle panchine di legno. All’inizio, oltre il cancello di
ferro battuto, c’era una strada che conduceva all’abitato; in
fondo, una scalinata di pietra scendeva fino alla spiaggia.
Dallo stanzino di vetro con il quadro dei comandi si affacciò il capostazione e camminò sotto la pensilina fino ai binari. Era un ometto grasso con i baffi. Accese una sigaretta e
guardò dubbioso il cielo carico di nuvole. Sporse una mano
oltre la pensilina per sentire se cominciava a piovere, poi fece
dietro-front e infilò le mani in tasca con aria assorta. I due
operai che aspettavano il treno, seduti sulla panchina sotto il
cartello col nome della località, gli fecero un breve saluto e
lui rispose con un cenno della testa. Sull’altra panchina era
seduta una vecchia vestita di nero, con una valigia legata da
uno spago. Il capostazione guardò da una parte e dall’altra
dei binari, il campanello dell’annuncio dei treni cominciò a
suonare e lui rientrò nel suo stanzino.
La donna sbucò dal cancello in quel momento. Aveva un
vestito a pois, delle scarpe allacciate alla caviglia e una giacca
di maglia azzurra. Camminava svelta, come se avesse freddo, e
una massa di capelli biondi le fluttuava sotto il foulard. Portava
in mano una valigetta a sacco e una piccola borsa di paglia.
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Antonio Tabucchi - Racconti italiani: Cinema / I treni che vanno a Madras ISBN 3-19-109540-3 © Hueber Verlag 2007
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Uno degli operai la seguì con lo sguardo e dette un colpo di
gomito al compagno che pareva distratto. La donna guardò per
terra con indifferenza e entrò nella sala d’aspetto chiudendo la
porta dietro di sé. La stanza era deserta. C’era una grossa stufa
di ghisa in un angolo e la donna vi si diresse forse con la speranza che fosse accesa. La toccò delusa e vi depositò sopra il
sacco di paglia. Poi sedette su una panca e ebbe un leggero brivido, prendendosi il viso tra le mani. Restò così a lungo, come
se piangesse. Era bella, con i tratti delicati e le caviglie sottili.
Si tolse il foulard e si ricompose i capelli muovendo la testa. Il
suo sguardo vagò sulle pareti della stanza come se cercasse
qualcosa. C’erano dei cartelli minacciosi con le istruzioni per
la cittadinanza da parte delle forze d’occupazione e bandi con
fotografie. La donna si guardò attorno smarrita, poi prese la
borsa che aveva appoggiato sulla stufa e la depositò ai suoi
piedi, come se volesse proteggerla con le gambe. Si raccolse
nelle spalle e si alzò il colletto della giacca. Le sue mani erano
inquiete e si vedeva che era molto nervosa.
La porta si spalancò e entrò un uomo. Era alto e magro,
portava un impermeabile chiaro stretto con la cintura e un
cappello di feltro abbassato sul viso. La donna scattò in piedi
e dette un piccolo grido che le gorgogliò in gola: “Eddie!”
L’uomo si portò un dito sulle labbra e avanzò verso di lei.
Sorrise e la prese fra le braccia. La donna gli abbandonò la
testa sul petto, abbracciandolo.“Oh Eddie!” mormorò quando si staccò da lui, “Eddie!”
L’uomo la costrinse a sedersi e andò fino alla porta guardando fuori con aria furtiva. Poi sedette accanto a lei e trasse di tasca alcuni fogli piegati. “Li consegnerai direttamente
al maggiore inglese”, disse, “poi ti dirò come.”
La donna li prese e li infilò in seno. Pareva impaurita e
aveva gli occhi pieni di lacrime. “E tu?” chiese.
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Lui fece un gesto di disappunto. In quel momento si sentì
un rumore di un convoglio e un treno merci sfilò nel vetro
della porta. L’uomo si calcò il capello sulla fronte e affondò
il viso in un giornale. “Vai a vedere cosa succede.” La donna
andò alla porta e sbirciò fuori. “È un treno merci, sono saliti i due operai che stavano sulla panchina.
” Ci sono tedeschi?”
“No.”
Si sentì il fischio del capostazione e il treno partì. La donna
ritornò verso l’uomo e gli prese le mani. “E tu?” ripeté.
L’uomo piegò il giornale e lo infilò in tasca. “Non è il
momento di pensare a me,” disse. “Ora spiegami bene il
calendario della compagnia.”
“Domani saremo a Nizza, tre giorni di spettacolo. Sabato
e domenica Marsiglia, e poi Montpellier e Narbonne, un
giorno ciascuna: tutta la costa.” “Sarà a Marsiglia, domenica,” disse l’uomo. “Dopo lo spettacolo riceverai gli ammiratori in camerino. Falli entrare uno per volta. Molti ti porteranno fiori, ci saranno senz’altro delle spie tedesche, ma
anche alcuni dei nostri. Ad ogni modo tu leggi sempre i
biglietti in presenza del visitatore, perché non posso immaginare come si presenterà colui al quale devi consegnare le
informazioni.”
La donna lo seguiva con attenzione. L’uomo fece una piccola pausa e accese una sigaretta.“In un biglietto ci sarà scritto: fleurs pour une fleur. Consegna i documenti all’uomo che
ti porterà quei fiori, il maggiore è lui.”
Il campanello sotto la pensilina ricominciò a trillare e la
donna guardò il suo orologio.“Il treno sarà qui a minuti e…
Eddie, ti prego…”
L’uomo non la lasciò finire. “Parlami piuttosto dello spettacolo, domenica cercherò di immaginarlo.”
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“Sono tutte le ragazze della compagnia,” rispose lei senza
entusiasmo,“ognuna imita un’attrice di oggi o del passato, lo
spettacolo è questo.”
”E il titolo?” chiese lui con un sorriso.
“Cinemà Cinemà.”
“Mi sembra un bel titolo.”
“È un disastro,” disse lei convinta, “le coreografie le ha
fatte Saverio, figurati, e io ballo con un vestito nel quale
inciampo, faccio Francesca Bertini.”
“Attenzione,” scherzò lui, “le grandi tragiche non possono cadere.”
La donna si prese nuovamente il volto fra le mani e cominciò a piangere. Era più bella che mai, con le guance rigate di
lacrime.“Vieni via, Eddie, ti prego, vieni via,” mormorò.
L’uomo le asciugò le lacrime con dolcezza ma la sua voce
si indurì, come se dovesse vincere un grande desiderio.
“Smettila Elsa,” disse, “cerca di capire la situazione.” Poi
assunse un tono leggermente scherzoso. “Come credi che
potrei passare, vestito da ballerina con una parrucca bionda?”
Il campanello della pensilina smise di trillare. Si cominciò
a sentire il rumore del treno in lontananza. L’uomo si alzò e
infilò le mani in tasca. “Ti accompagno al marciapiede.”
La donna scosse la testa fermamente. “Non voglio, è pericoloso.”
“Ti accompagno ugualmente.”
“Ti prego.”
“Un’ultima cosa,” disse lui muovendosi, “so che il maggiore è un uomo galante, non gli fare troppi sorrisi.”
La donna lo guardò supplicante.“Oh, Eddie!” esclamò con
tono struggente offrendogli la bocca.
Lui restò interdetto un attimo, come se fosse imbarazzato,
come se non avesse il coraggio di baciarla. Poi le dette un
bacio quasi paterno su una guancia.
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“Stop!” gridò il ciak. “Interruzione!”
“Non così!” tuonò la voce del regista nel megafono,
“Bisogna rifare l’ultimo pezzo!”
Era un giovane barbuto con una lunga sciarpa al collo.
Scese dal seggiolino mobile accanto alla machina da presa e
andò loro incontro. “Non così,” sbuffò con disappunto, “ci
vuole un bacio appassionato, all’antica, come nel primo
film.” Cinse dimostrativamente l’attrice con il braccio sinistro, obbligandola a flettersi all’indietro. “Si pieghi su di lei e
la baci con passione,” disse all’attore. E poi gridò rivolto a
tutti: “Pausa!”
2
Il caffè della piccola stazione era invaso dalle troupe che si
accalcava verso il banco. Lei restò sulla porta leggermente perplessa sul da farsi, mentre lui scomparve fra la gente. Dopo un
po’ riapparve con due caffelatte in precario equilibrio e le fece
un cenno con la testa indicando fuori. Sul retro della casupola del caffè c’era un cortiletto roccioso, coperto da una pergola di vite, che serviva anche come ripostiglio del bar. C’erano
delle casse di bibite vuote e vecchie sedie sbilenche. Si accomodarono su quelle usandone una come tavolino.
“Siamo arrivati alla fine,” disse lui.
“Si è impuntato a girare l’ultima scena per ultima,” rispose lei, “non ho capito perché.”
Lui scosse il capo. “È moderno,” disse calcando sull’aggettivo,” sembra uscito dai Cahiers du Cinéma. Stai attenta, il
cappuccino è bollente.”
“Non lo capisco ugualmente,” disse lei.
“In America sono differenti?”
“Credo di sì,” disse lei con sicurezza,” meno presuntuosi,
meno…. Intellettuali.”
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