Jan Massys - Cultura in Liguria

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Jan Massys - Cultura in Liguria
Jan Massys - La carità
Autore: Jan Massys
Materia e tecnica: Olio su tavola
Dimensioni: cm 126 X 93
Collocazione: Genova, Galleria di Palazzo Bianco
Inv. P. B. 285
Scheda a cura di Clario Di Fabio
In ottimo stato di conservazione, in quanto restaurata da G. Nicola del laboratorio di Aramengo d'Asti, in occasione della
mostra Odone di Savoia, Genova, Palazzo Ducale, 1996-97
Documentata a Genova già tra la fine del Cinquecento e i primi anni del Seicento, apparteneva a
Gerolamo Balbi (morto nel 1627); è stata, infatti, riconosciuta nella Carità con quattro figure,
genericamente attribuzione alla maniera fiamenga, segnata al n.28 dell'inventario postumo della sua
collezione, conservato dalla vedova Geronima, (Odone 1997, p. 200). Gerolamo Balbi, di aristocrazia
recente in quanto il padre Nicolò era stato ascritto solo nel 1528 tra le casate dalle quali erano eletti gli
uomini del governo della Repubblica, aveva un ingente patrimonio prodotto dal commercio e dalla
lavorazione della seta.
È documentato ad Anversa, dove fu console della nazione genovese nel 1585 e nel 1591 e risulta
definitivamente rientrato a Genova nel 1595; si suppone possa avere raggiunto il fratello Bartolomeo,
che è presente ad Anversa dal 1565, dove sposa una fiamminga e vi muore improvvisamente nel 1593
(Boccardo in Boccardo, Di Fabio 1997, pp. 152-159).
La tavola fu in palazzo Balbi di via Canneto il curto, e, dopo l'estinzione di questo ramo dei Balbi, passò
per via ereditaria nel palazzo della marchesa Torriglia vedova Zoagli, in strada Carlo Felice (Alizeri
1846, p. 659). Si trova, quindi, nella quadreria che, tra il 1861 ed il 1865, il principe Odone di Savoia,
figlio di Vittorio Emanuele II, aveva raccolto nel suo appartamento privato di Palazzo Reale, e che poi
pervenne al Comune di Genova nel 1866, dopo la sua prematura morte.
Nei documenti relativi a questo lascito è attribuita a scuola tedesca (Odone 1996, p. 200), come pure nel
catalogo della Mostra d'arte antica (Poggi, Cervetto, Villa 1892, p.167) e nel primo inventario della
Galleria di Palazzo Bianco (1893-96, n. 12). Jacobsen (1896, p.112), interpretando erroneamente il
soggetto come Cristo seduto, con tre bimbi fra le braccia, rimane incerto nel considerarla opera italiana
oppure di un fiammingo imitatore di Correggio e Parmigianino.
Si deve a Suida (1906, p. 169) la corretta attribuzione a Jan Massys, sulla quale da allora la critica
concorda; di questo artista è stato ipotizzato un soggiorno a Genova, durante il periodo in cui fu bandito
per eresia da Anversa, dal 1544 al 1555 (Marcenaro 1949, p. 247-250; Hoogewerff 1961, pp. 192-193;
Buijnsters-Smets 1995, pp. 144-155; Cavelli Traverso 1997, pp. 103-104).
Di lui rimane, infatti, una visione di Genova nello sfondo della tela, datata 1561, Flora o Venere
(Stoccolma, Museo Reale) che presenta una situazione urbanistica intorno al 1550. La raffigurazione
realistica del paesaggio urbano inserito in un panorama talmente preciso con il porto pieno di galee, di
vascelli e sullo sfondo il promontorio di Portofino, ha fatto supporre una conoscenza diretta della città.
La Carità potrebbe essere stata realizzata in questo periodo, è stata, infatti, avvicinata come ambito
cronologico alla Madonna con il bambino, firmata e datata 1552, che il Comune di Genova acquistò nel
1950; un'altra tavola con lo stesso soggetto, ma con alcune varianti è apparsa sul mercato antiquario
parigino nel 1920 e nel 1994. Buijnsters-Smets (1995, pp. 181-183) la considera una rivisitazione della
Madonna dell'Impanata di Raffaello (Firenze, Palazzo Pitti) e della Carità di Andrea del Sarto (1518,
Parigi, Musée du Louvre).
Una donna, in veste verde, manto rosso-aranciato che avvolge parte della figura, velo bianco che copre
e fascia tutto il petto, accoglie al seno tre bambini nudi. Uno dorme coricato nel suo grembo, uno,
eretto, le abbraccia la testa ed accarezza i riccioli del terzo fanciullo; quest'ultimo si poggia con un
ginocchio alla donna e con il piede destro ad un tronco di colonna scanalata, sulla cui sommità è posto
un vaso di metallo dal quale esce una fiamma. Un colonnato di marmo con le stesse colonne è posto
alle spalle della Carità e divide la visione del paesaggio di fondo: a destra montagne lontane e un fiume
che solca la pianura, a sinistra una città sovrastata da un castello in vetta alla montagna.
Numerosi sono i rimandi simbolici alla virtù teologale della Carità, intesa come amor dei et amor proximi
(Matteo, XXII, 37-40). La fiamma di fuoco indica che la Carità mai si stanca di operare; i tre fanciulli
dimostrano che, sebbene sia una sola virtù, ha triplice potenza, perchè senza il suo intervento nulla
possono Fede e Speranza, le altre virtù teologali delle quali è maggiore ( I, Corinzi, XIII, 13).
Quest'opera si colloca in un importante periodo artistico di Massys, il quale superata la formazione
gravitante intorno al padre, presso la cui bottega svolse l'apprendistato, si apre agli stimoli del
manierismo italiano, che con interventi diversi aveva portato a Genova Perin del Vaga e a
Fontainebleu Francesco Primaticcio: le due sedi ipotizzate come suoi possibili soggiorni durante l'esilio
ricordato.
La Carità è un omaggio alla Maniera italiana, anche se la sensualità delle forme è contenuta dal
geometrismo della composizione e dei volumi plastici. I corpi nudi dal freddo erotismo, la figurazione
pensata come immobile nel rilievo rivitalizzata dalla luce e dall'atmosfera naturali la dicono prossima alla
produzione matura dell'artista, nella quale è ben evidente l'influenza dello stile manierista con le sue le
eleganti proporzioni, le figure in torsione, la fredda espressione e il decorativismo.
La nozione del bello ideale non penetra in questa poetica, in quanto le formule classiciste sono
sottoposte allo studio analitico di effetti grafici e luministici, come se si trattassero di immagini di natura.
Non a caso Philippot (1970, p. 189) vi aveva visto un "manierismo a freddo" ed una "goffaggine",
generati dalla difficoltà di capire la "sintassi italiana, che gli rimane estranea e poco lo interessa".
Massys fu un esponente importante del manierismo maturo fiammingo che riuscì a superare la
propria impasse culturale, attingendo al classicismo dell'arte italiana, un classicismo che non era solo
copia dall'antico, ma anche Leonardo, Raffaello, Michelangelo, ed era vissuto come una deviazione
quasi esotica in una dimensione del tutto estranea al corso della storia culturale locale. Questo
classicismo, che non poteva figurarsi come ritorno alle fonti della cultura fiamminga, condannava questi
artisti a scavalcare la dimensione rinascimentale e a porsi senz'altro quali manieristi, nella particolare
forma di un manierismo romanista e classicheggiante.