fondamenti impaginato

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fondamenti impaginato
Pubblicazioni del Centro Aletti
Il mantello di Elia 1.
VLADIMIR SOLOV’ËV
I FONDAMENTI SPIRITUALI
DELLA VITA
PRESENTAZIONE DI OLIVIER CLÉMENT
traduzione dal russo di Maria Campatelli e Mar’iana Prokopovyã
“È il tempo quando fiorisce il tiglio”
Lipa
INDICE
Presentazione di Olivier Clément ........................................................ 7
I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA
© 1998 Lipa Srl, Roma
Prefazione
.............................................................................. 21
prima edizione: febbraio 1998
prima ristampa: giugno 2008
PRIMA PARTE
L’opera, il cui titolo originale è Duchovnyja osnovy Ïizni, è stata pubblicata in due parti nel 1882-1884,
poi nella edizione delle opere complete di Solov’ëv, uscite in 10 volumi a San Pietroburgo nel 19111914 e riedite a Bruxelles in 12 volumi dal Foyer Oriental Chrétien nel 1966-1970.
La traduzione rispecchia fedelmente il testo russo anche nella sua suddivisione. Sono solo stati
aggiunti tra parentesi, per una maggiore comodità, i riferimenti relativi ai passi scritturistici citati,
qualora non siano stati indicati da Solov’ëv stesso, ed alcune, poche, note esplicative indicate con la
sigla NdT.
Lipa Edizioni
via Paolina, 25
00184 Roma
& 06 4747770
fax 06 485876
Autore: Vladimir S. Solov’ëv
Titolo: I fondamenti spirituali della vita
(titolo originale: Duchovnyja osnovy Ïizni)
Traduzione: Maria Campatelli e Mar’iana Prokopovyã
Collana: Il Mantello di Elia
Formato: 170x240 mm
Pagine: 136
In copertina: M.I. Rupnik, “Kreml’”, 1988, olio su tela, 50 x 70 cm, collezione privata, Roma
Stampato nel giugno 2008 da Graficapuntoprint, Roma
Proprietà letteraria riservata Printed in Italy
codice ISBN 88-86517-34-3
Introduzione
La natura, la morte, il peccato, la legge e la grazia ............................ 27
Capitolo I
La preghiera
.............................................................................. 37
Capitolo II
Il sacrificio e l’elemosina...................................................................... 57
Capitolo III
Il digiuno
.............................................................................. 67
SECONDA PARTE
Capitolo I
Il cristianesimo
.............................................................................. 75
Capitolo II
La Chiesa
.............................................................................. 101
Capitolo III
Lo stato e la società cristiani................................................................ 121
Conclusione
L’immagine di Cristo come verifica della coscienza ............................ 131
Con Vladimir Solov’ëv, per la prima volta, la tradizione spirituale russa elabora
una visione del mondo in cui razionalità occidentale e contemplazione orientale
tentano d’integrarsi. È l’esordio della grande filosofia religiosa russa del XX secolo.
Nikolaj Losskij scrive che d’ora in poi sarà solo “rami e boccioli” scaturiti dal pensiero di Solov’ëv.1 Da parte sua, Hans Urs von Balthasar sostiene che una simile
opera costituisce «la creazione speculativa più universale dell’epoca moderna [...],
incontestabilmente la più profonda giustificazione e la più vasta filosofia di tutto il
cristianesimo dei tempi nuovi».2
Vladimir Solov’ëv nacque a Mosca — l’antica capitale, più profondamente russa
di Pietroburgo — il 16 gennaio 1853. Le radici della sua infanzia affondano nel
meglio della Russia e dell’ortodossia. Suo padre apparteneva a quell’élite discreta,
aperta alla cultura europea che si stava sviluppando a poco a poco; ed era un professore universitario autore di una monumentale storia del suo paese. Suo nonno
paterno era un prete di grande fede; dava da leggere la vita dei santi al bambino
e, quando questi ebbe otto anni, lo condusse nel santuario e lo consacrò al servizio
del Signore. Un anno dopo, deluso dai primi amori ingenui, Vladimir viene sommerso, durante la liturgia, da una visione di “azzurro dorato” al centro della quale
sfolgora un luminoso volto femminile: la Sofia, che diventerà più tardi la Sapienza
divina. A tredici anni, l’impatto con il pensiero occidentale lo getta in un violento
ateismo. Ma dopo cinque anni scopre la grande complessità di questo pensiero
(aveva letto precocemente gli idealisti tedeschi) e sente che Dio lo aveva salvato
dalla tentazione del suicidio: andando così dal nulla (“tutto è nulla”) a Dio (che è
1
Vladimir Solov’ëv et ses héritiers dans la philosophie religieuse russe, «Put’» n. 2, genn. 1926, p. 13.
2
La Gloire et la Croix, Styles II, Paris 1972, p. 169.
7
I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA
“tutto”). Un’immensa sete di conoscere, dove tutto diventa chiaro alla luce divina,
lo spinge quasi contemporaneamente verso la Facoltà di lettere e di scienze e verso
l’Accademia di teologia di Mosca.
Una tesi su La Crisi della filosofia occidentale: contro i positivisti (1874) gli permette di essere inviato in missione al British Museum, dove studia soprattutto la
gnosi e la Cabala. Una brusca ispirazione, quasi fosse un appuntamento, lo proietta in Egitto. Nel deserto, dove è depredato dai beduini, è di nuovo visitato dalla
Sapienza: «E vidi tutto. Tutto non era che un’immagine unica di femminile bellezza». — Londra — il Cairo: una vocazione di universalità si precisa.
Nel 1880 si profila una carriera di insegnante all’università di Mosca, interrotta appena un anno dopo, sia perché Solov’ëv intercede a favore degli assassini di
Alessandro II, opponendosi alla pena capitale, sia perché desidera essere libero per
portare avanti a modo suo le lotte dello spirito, tanto nella Chiesa che nello Stato.
Dopo una fase slavofila, negli anni ‘80 Solov’ëv si dedica all’avvicinamento delle
Chiese. È giunto alla certezza che l’unità mistica della Chiesa universale non è stata
scalfita dalle divisioni della storia. Si interessa agli slavi cattolici, prende le difese
dei polacchi, asfissiati da una politica di russificazione, fa amicizia con l’arcivescovo di Zagabria Strossmayer, pubblica in francese opere di stampo “ecumenico”,
diremmo oggi. Di fronte alla moltiplicazione dei pogrom, spinge la sua impertinenza fino ad esaltare il popolo ebraico: se Dio lo ha scelto per incarnarsi, vuol dire
che aveva bisogno di un’umanità forte, capace di lottare con lui.
Consapevole che i tempi sono tutt’altro che maturi per l’unione delle Chiese, il
13 febbraio 1896 Solov’ëv riceve la comunione da un sacerdote cattolico, egli stesso russo — di nome Nikolaj Tolstoj — che condivide le convinzioni del Nostro sulla
profonda unità dei cristiani. Meno conversione al cattolicesimo, forse, che gesto profetico. «Non solo considero — aveva scritto alcuni anni prima Solov’ëv — ogni unione esterna, ogni conversione individuale inutile alla riunione delle Chiese, ma
addirittura dannosa».3
Negli ultimi anni della sua troppo breve vita, elabora un’etica e un’estetica,
riflette da precursore sul senso dell’amore umano, intraprende la traduzione integrale di Platone, sogna di approfondire lo studio della Bibbia per costruire una
vasta filosofia della storia. Ne I Tre dialoghi, scava il mistero del male; il terzo, il
celebre Racconto sull’Anticristo, predice l’unione, in piena persecuzione, del papa
Pietro II, dello starets Giovanni e del professor Herr Pauli, simboli del cattolicesimo,
dell’ortodossia e del protestantesimo: unione che permette il millennium, cioè la trasfigurazione della terra e della storia.
Nel luglio 1900, sapendosi gravemente malato, Solov’ëv si ritira nella proprietà
dell’amico Pëtr Trubeckoj, nei dintorni di Mosca. Il 30 luglio, in punto di morte,
chiama il sacerdote (ortodosso ovviamente) del villaggio vicino, si confessa e si
comunica. L’indomani si spegne.
3
p. 86.
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PRESENTAZIONE
Il sapere di Vladimir Solov’ëv era enciclopedico. È stato un uomo del rinascimento, un Pico della Mirandola russo, ma aveva in più quell’angoscia che attanaglia la modernità, dopo che essa ha scoperto, nel XVII secolo, il cielo vuoto. Talvolta
esprimeva quest’angoscia con sarcasmi sconcertanti. Basti ricordare l’epitaffio che
compose per sé, nella lettera ad un amico (Opere4 IV, p. 59): «Qui giace Vladimir
Solov’ëv, fu filosofo ed ora è scheletro... Amando alla follia, cadde nell’abisso.
L’anima si perse, del corpo meglio non parlarne. L’anima fu portata via da un diavolo, il corpo lo mangiarono i cani...»
Ma lasciamo da parte questi giochi nichilisti, che hanno pur sempre il loro significato. Solov’ëv aveva una profonda conoscenza delle scienze contemporanee, di
cui integrava le conclusioni nel suo pensiero. «Il filosofo contemporaneo — scriveva
— non dev’essere estraneo alla scienza della natura o perlomeno alle sue ultime
conclusioni» (La bellezza nella natura, Opere VI, pp. 61-74). Tra i pensatori ortodossi moderni è uno dei rarissimi ad essersi fatto veramente carico del tema dell’evoluzione. La sua concezione è l’unica, mi sembra, che permetta di riconciliare la
lettura teologica e la lettura scientifica delle origini del mondo: le forme superiori
dell’essere esisterebbero prima delle forme inferiori, benché appaiano dopo queste
ultime. L’evoluzione produce solamente le condizioni propizie alla loro manifestazione. Si capisce così che l’Adam Kadmon, come dice la mistica ebraica cara a
Solov’ëv, dopo essersi staccato dall’intenzione divina, sembri assente dall’evoluzione per miliardi di anni, fino a che vi si possa iscrivere, non più come racchiudente ma come racchiuso, per ritrovare la sua vera vocazione nella divinoumanità cristiana che lo attira come una calamita. «Tutta la natura aspirava all’uomo, tutta
la storia dell’umanità si dirigeva verso il Dio-Uomo» (Lezioni sulla divinoumanità,
Opere III, p. 153). Qui comincia lo sforzo della filosofia religiosa russa per trasferire nella cultura, nella società, nella storia, l’ascesi di trasfigurazione del monaco
orientale. Solov’ëv conosceva tuttavia abbastanza male la tradizione esicasta e la
teologia delle energie divine. D’altronde, anche in questa tradizione, il cristianesimo si era alquanto disincarnato; era ormai diventato nemico o ignorante dell’éros
e del cosmo la cui insurrezione caratterizza la modernità. Solov’ëv fece quindi
ricorso a ciò che potremmo chiamare l’“Occidente segreto”, quello del platonismo,
della Cabala, dei menestrelli votati al culto della Dama e la cui sensibilità si radica negli antichissimi strati pre-cristiani. Fu così che ebbe l’intuizione come di un
nucleo originario che si era smembrato nel corso della storia in elementi vanamente
affrontati. Nucleo misteriosamente cristico a cui diede il nome di divinoumanità.
Ciò gli permette di integrare in una visione cristiana la grande affermazione
moderna dell’uomo creatore. L’uomo è chiamato alla théôsis, il suo destino non si
spiega che con il motto patristico secondo il quale «Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio», motto diverse volte citato da Solov’ëv, in particolare nei Tre discorsi in memoria di Dostoevskij, III, p. 227. L’uomo appare così come «l’artefice del processo mondiale» (Il significato universale dell’arte, VI, p. 76). Ecco una spiegazione
Lettera all’archimandrita Antonio, cit. da N. Losski, Histoire de la philosophie russe, Paris 1954,
4
Riedite nel 1966-1970 dal Foyer Oriental Chrétien a Bruxelles in 12 voll.
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I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA
ne I fondamenti spirituali della vita, Opere III, pp. 401-402: «Prima del cristianesimo, la natura umana decaduta, il vecchio Adamo, costituiva il fondamento stabile della vita, benché l’elemento divino fosse il principio del movimento e del progresso. Con il cristianesimo, al contrario, è propriamente l’elemento divino che,
ormai incarnato, diviene il fondamento della nostra vita. La novità ricercata è l’umanità conforme a questo elemento divino, capace di unirsi liberamente a lui e di
assimilarlo. Come oggetto ricercato, questa umanità ideale diventa il principio attivo della storia, il principio del movimento e del progresso».
Per questa ragione, prosegue nella stessa opera, un cristianesimo rinnovato non
potrà più essere soltanto un’adorazione passiva di Dio, ma un’opera attiva con Dio
— teurgia — un’azione comune della divinità e dell’umanità in cui l’uomo, certo,
non crea ex nihilo, ma ricrea, trasfigura la materia nello Spirito (I fondamenti spirituali della vita, III, pp. 376-377). Infatti, anche la materia è chiamata alla santificazione, la risurrezione della carne costituisce «lo scopo naturale, necessario e razionale» dell’evoluzione del mondo come Dio l’ha voluta (Lettere pasquali, X, p. 37).
La prospettiva è perciò quella di un’escatologia creatrice. Qui Solov’ëv rifiuta la
benché minima immanenza del progresso, il benché minimo ottimismo umanitario.
E ciò non solo nelle sue ultime opere, come il Racconto dell’Anticristo, ma lungo tutta
la sua riflessione (del resto, nella sua prefazione alla traduzione di Platone, Solov’ëv
parla delle sue delusioni, ma aggiunge: «... senza che sia intervenuto alcun cambiamento sostanziale nelle mie convinzioni», XII, p. 360). Ne Il significato dell’amore
(VII,15) scrive: «Il male è la forza che domina effettivamente il mondo». Ad ogni
aumento del bene corrisponde una crescita del male. Più la natura avanza e si
diversifica, più il male si fa evidente: più nelle piante che nel mondo inorganico, più
negli animali e soprattutto negli animali superiori, quando la polarizzazione sessuale e la morte appaiono insieme. Infine, è nell’uomo che «rivela la sua essenza più
profonda, in quanto male morale» (Il significato universale dell’arte, VI, 78). Sin dai
Tre discorsi alla memoria di Dostoevskij aveva scritto: «Il male e la follia» costituiscono il fondamento «della nostra natura pervertita» (III, p. 210).
Tuttavia il male «vince, ma non convince» (Il significato universale dell’arte, VI,
p. 78). «L’uomo, inghiottito in questa vita meschina e perversa, deve, per correggerla,
trovare un punto d’appoggio fuori di essa» (I fondamenti spirituali della vita, III, p.
301). Cristo è questo punto d’appoggio. In lui possiamo «rigenerare e santificare la
nostra vita, unendola alla vita divina» (ibid.). Questa speranza, questo compito, non
scompaiono nell’ultimo periodo della vita di Solov’ëv, ma assumono un carattere più
conflittuale, più escatologico anche: tuttavia l’escatologia del nostro filosofo non è
evasione nel celeste, ma esigenza di lottare per trasformare la terra; è il grande mito
del millennium sul quale si compie e si apre il Racconto dell’Anticristo. Ne La Giustificazione del bene, altra opera dell’ultimo periodo, leggiamo: «L’uomo è caro a Dio
non come strumento passivo della sua volontà... ma come alleato e collaboratore
volontario alla sua opera cosmica. Questa partecipazione dell’uomo entra direttamente nello scopo perseguito dall’attività di Dio nel mondo» (VIII, p. 202).
Il pensiero di Solov’ëv non ha smesso di essere ossessionato dal tema di un’unità
diversa che esprimesse nel creato la pulsione d’amore della Trinità. Egli fa della
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PRESENTAZIONE
divinoumanità che l’incarnazione doveva realizzare in pienezza il principio stesso della creazione. L’Assoluto è al tempo stesso (se è lecito usare qui il verbo essere)
il Nulla apofatico e la Pienezza che contiene tutto. Si polarizza ponendo il mondo
come il suo Altro, nel movimento stesso dell’alterità che contiene in sé. Nonostante
l’emergere del caos attraverso la libertà umana, la Sofia, la Sapienza non smette di
attirare l’universo verso la “tuttunità”.
La preoccupazione di Solov’ëv è stata quindi di precisare la relazione tra Dio e
il cosmo e tra Dio e la storia. «Il cristianesimo non è solo regola di vita individuale,
ma motore dell’avvenire dell’umanità». Questo sforzo di illuminare con l’esperienza mistica (per nulla adogmatica d’altronde) la razionalità occidentale trova la
sua segreta origine nella tradizione esicasta, che predicava l’unificazione dell’intelligenza e del “cuore”, quest’ultimo inteso nel senso biblico di centro più centrale
in cui l’uomo si raccoglie e si supera allo stesso tempo. Monachós, monaco, significa “unificato”. Così l’estrema soggettività, spesso idolatrica, dell’idealismo tedesco
esplode in una trans-soggettività che suppone la relazione, e la relazione nell’incarnazione della trascendenza. La stessa ispirazione anima la grande tradizione
patristica che vedeva nel Lógos sia il Verbo, il Dabar biblico e la Ragione divina,
nell’ottica greca.
Questa esigenza di unità Vladimir Solov’ëv volle iscriverla nella storia.
Dapprima, per alcuni anni d’altronde (ma tutto è breve, in questa vita breve e
intensa), egli riprese il “mito russo” come era stato celebrato dagli slavofili e da
Dostoevskij del Diario di uno scrittore (ma non nei suoi grandi romanzi). Nell’oriente non cristiano il divino assorbe l’umano, nell’occidente razionalista e secolarizzato l’uomo pretende di divinizzarsi con le proprie forze. Solo il “mondo slavo”
e più precisamente la Russia possono rivelare all’oriente e all’occidente la pienezza
della divinoumanità.
A partire circa dal 1883 circa, Solov’ëv universalizza la sua visione. «Ama tutti
i popoli come il tuo», dice. Egli comincia a sviluppare l’ideale — fin troppo istituzionale, è vero — di una libera teocrazia dove si unirebbero il carisma sacerdotale del papa, quello regale dell’imperatore di Russia e quello profetico della Riforma
— e del filosofo ispirato, forse se stesso! Conduce allora, con molto coraggio e in una
solitudine crescente, una dura lotta contro il nazionalismo russo e a favore dell’unione delle Chiese.
A partire dagli anni 1890 circa, abbandona la speranza di una realizzazione
rapida della “tuttunità”. «L’avvenire prossimo — scrive — ci prepara prove tali
quali la storia non ha ancora mai conosciuto». Il male «non è [...] un’imperfezione
che sparisce con l’estendersi del bene, è una forza che agisce e domina il mondo...».
Il pensiero di Solov’ëv diventa allora ad un tempo più “laico” e più escatologico.
La cristianità, dice, caratterizzata da una stretta insegna clericale, soffocò la
libertà di coscienza e finì per vessare le capacità creatrici dell’uomo. «La falsità fondamentale di questa via — scrive — si appoggia sulla miscredenza latente che ne è
l’origine [...]. Supporre che, per essere realizzata, la verità di Cristo — cioè quella
dell’amore eterno e della bontà assoluta — abbia bisogno di mezzi di costrizione
[...] estranei e persino contrari a questa verità, significa riconoscere che essa è impo-
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I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA
tente, che il male è più forte del bene, significa non credere al bene, non credere in
Dio...» (Lezioni sulla divinoumanità, III, p. 161).
Le capacità creatrici dell’uomo, invece, poterono svilupparsi liberamente dal
rinascimento in poi con l’autonomia della razionalità e quella delle grandi elaborazioni artistiche. Lo Spirito soffia dove vuole, il vero, il bene, il bello possono essere promossi dai non credenti, nonostante le paure o le reticenze dei cristiani. Ma
tali potenti esplorazioni o creazioni hanno fatto esplodere la cultura e questa
rischia oggi di esaurirsi per ignoranza delle sue risorse spirituali. «Si finisce col concludere — scrive Solov’ëv — che la natura animale dell’uomo e il meccanismo reificato del mondo costituiscono la vera essenza di tutto e che la più grande soddisfazione possibile dei bisogni materiali, la migliore conoscenza possibile dei fatti
empirici rappresenti tutto lo scopo della vita e della conoscenza...» (Lezioni sulla
divinoumanità, III, p. 164).
Non è comunque con la costrizione — d’altronde impossibile — ma piuttosto
andando fino in fondo alla sua ricerca che la coscienza moderna può adesso aprirsi al cristianesimo. Se noi almeno sapessimo umilmente proporre un cristianesimo
della trasfigurazione e della risurrezione, nel modo in cui l’oriente cristiano, incapace finora di una vera creazione culturale, lo ha preservato come un germoglio
per lungo tempo sterile ma che oggi deve svegliare e dinamizzare il fondamento
comune di tutte le confessioni cristiane... Un cristianesimo della divinoumanità,
dove potrebbero prendere posto, senza confondersi, tutte le elaborazioni dell’umanesimo moderno e tutte le sapienze degli orienti.
«Dopo che il principio umano si è pienamente individualizzato ed ha riconosciuto grazie a questo stesso fatto la sua impotenza, forse entrerà in libera coniugazione con il fondamento divino del cristianesimo [...] e genererà così l’umanità spirituale» (Lezioni sulla divinoumanità, III, p. 168). «In effetti, perché i princípi inferiori si sottomettano liberamente al principio superiore, bisogna che siano indipendenti» (ibid., pp. 165-166).
E questo magnifico apologo:
«La Verità incarnata dice all’oriente: la divinità perfetta che cerchi non puoi trovarla se non nella sua unione con l’umanità reale; e i magi dell’oriente vengono a
venerare il Dio-Uomo appena nato. Cristo dice all’occidente: l’uomo che cerchi non
potrebbe essere uomo solamente, l’uomo perfetto non è che la manifestazione del
Dio perfetto; e la padrona dell’occidente, Roma, nella persona di Ponzio Pilato,
afferma solennemente questa verità dicendo di Cristo: Ecco l’uomo» (La grande controversia e la politica cristiana, IV, pp. 26-27).
Così Solov’ëv rifiuta di sottomettere alla religione o di assorbire in essa tanto l’arte che la filosofia. Sin dal 1881-1883, commentando Dostoevskij che aveva detto: «più
l’arte sarà libera nel suo proprio sviluppo, più sarà utile agli interessi umani...»,
Solov’ëv ha collocato l’arte ideale opponendola nello stesso tempo a quella delle epoche che la confondevano con la religione come a quella che si è radicalmente separata da essa. Un’arte nuova, “libera”, che sviscera l’umano e il cosmico fino alle loro
ultime profondità. E conclude: «Dopo essersi isolata e separata dalla religione, l’arte
deve stringere con essa un legame nuovo e libero. Artisti e poeti devono [...] non esse-
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PRESENTAZIONE
re dominati da un’idea religiosa, ma loro stessi [...] operare coscientemente le proprie
incarnazioni terrestri. L’arte dell’avvenire, dopo lunghe prove, si volgerà spontaneamente verso la religione e sarà fortemente allontanata dall’arte primitiva che non si
era ancora distinta da essa» (Tre discorsi alla memoria di Dostoevskij, III, p. 190).
Solo questo fondamento “unitotale”, rispettoso dei peculiari campi della cultura
«affinché non si escludano a vicenda, ma al contrario si pongano reciprocamente
l’un l’altro», solo questo fondamento può aprire loro «uno spazio infinito», conclude
Solov’ëv ne Il significato universale dell’arte (VI, pp. 79-80).
Tre temi mi sembrano compiere e superare spiritualmente le grandi aspettative
della modernità, proporre una post-modernità creatrice:
— la demistificazione del politico e l’assoluto della persona;
— la riabilitazione del femminile e dell’amore umano;
— la via della bellezza.
Rinunciando ai suoi sogni teocratici, assumendo d’altra parte la moderazione
e il senso d’equilibrio della saggezza politica anglosassone, d’origine protestante tra
l’altro, Vladimir Solov’ëv ha vigorosamente sottolineato soprattutto ne La Giustificazione del bene che il ruolo dello Stato non è di trasformare la società in paradiso,
ma di evitare che diventi un inferno. Il dovere principale dello Stato sarà quindi la
compassione e l’assicurare, con la maggior sicurezza possibile e il più possibile, le
condizioni esterne richieste perché l’uomo possa vivere dignitosamente e perfezionarsi. Infatti, ciascun uomo, scrive Solov’ëv, è «una persona che, indipendentemente dalla sua utilità sociale, ha un valore assoluto e un diritto non meno assoluto all’esistenza e allo sviluppo libero delle sue forze creatrici». La persona trascende infatti tutti i condizionamenti con il pudore, la compassione e la pietas, la venerazione (tre dimensioni che si identificano con le tre forme possibili dell’amore,
aequalis, descendens ed ascendens, dice il nostro autore nell’articolo Ljubov,
Amore dell’Enciclopedia Brockhaus-Efron, X, pp. 236-238). Che lezione per noi! Il
dovere dei cristiani e degli umanisti “aperti”, in una società in cui tutto diventa utilitarismo, non sarebbe forse di strappare l’uomo all’idolatria della specie, di renderlo sensibile a ogni sofferenza, infine e soprattutto di dargli il senso della gratuità,
d’insegnargli ad amare e ad ammirare?
Altra anticipazione di un fenomeno che avrebbe avuto un ruolo di spicco nel
nostro secolo: l’emancipazione della donna, la sua piena affermazione personale.
In questa prospettiva, Solov’ëv raccomanda un incontro rinnovato dell’uomo e della
donna, in una piena reciprocità. Comunione di due esseri nella loro più alta verità, comunione che racchiude un’immensa forza di trasfigurazione: esattamente
ciò che dirà, una ventina d’anni più tardi, Teilhard de Chardin, il cui poema
L’Eterno Femminino, sembra far eco a Il significato dell’amore di Solov’ëv. Quest’ultimo rifiuta ugualmente sia il moralismo tradizionale che sottomette la donna
all’uomo e vede nella procreazione la finalità fondamentale dell’amore, sia l’esasperazione sessuale che, per reazione, cominciava ad invadere la cultura occiden-
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I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA
tale. Nel vero amore, dice Solov’ëv, l’istinto sessuale non è più il gioco cieco della
specie, ma la restaurazione dell’immagine di Dio nell’uomo.
Se l’immagine di Dio è uomo-e-donna, è comprensibile che Solov’ëv, risalendo
dall’immagine all’archetipo, abbia tentato di pensare il femminile in Dio. È la complessa dottrina della Sofia, della Sapienza, che posso qui solo evocare. La Sofia sembra da un lato l’onnipresenza di Dio, le sue viscere di misericordia, il suo volto rivolto al mondo, e dall’altro la segreta trasparenza delle cose, che s’incontrano in
una femminilità raggiante d’intelligenza, di tenerezza e di castità, dove si trasfigurano la storia e la materia. La “sofianicità” degli esseri e delle cose, così fortemente
presente nelle religioni arcaiche, si compie in Cristo, nel quale il Lógos si unisce alla
Sofia. E continua a realizzarsi. È il nostro compito nella Chiesa segretamente indivisa, della quale il cuore è la Vergine Madre. In lei l’“anima del mondo”, liberandosi dal caos, si fa pienamente ricettacolo dell’assoluto. Pensare il femminile in Dio
è compito impossibile sul piano della speculazione — e Solov’ëv si è un po’ inceppato —, ma la poesia del nostro autore lo ha saputo meglio suggerire:
«Tutto quello che fa la bellezza dell’Afrodite terrena
la gioia delle case, dei boschi e dei mari
la bellezza celeste lo saprà assumere...» (XII pp. 71-73).
Con le sue opere (1899: La bellezza della natura; 1890: Il significato universale
dell’arte; 1894: Il primo passo verso un’estetica positiva), Solov’ëv ha definito una
vera via della bellezza.
Nell’immanenza grigia e mortale di questo mondo, la bellezza è rottura, è il sorgere di un altrove o piuttosto simbolo della sua incarnazione. La bellezza è «materia illuminata o luce materializzata» (La bellezza nella natura, VI, p. 40). Il diamante nell’ordine materiale, lo sguardo nell’ordine propriamente umano, sono
espressioni di questa bellezza “teurgica”. L’arte dà segni, anticipazioni, della trasfigurazione ultima. Rende l’uomo sensibile, sconvolgendo il suo essere, al Dio
vivente che unifica e diversifica nello stesso tempo. L’amore rivela la bellezza segreta dell’altro, la chiamata e l’immagine di Dio. Al limite, la bellezza «che suscita ogni
comunione», per citare Dionigi l’Areopagita, la bellezza dove si uniscono il divino
e l’umano, il cielo e la terra, è il volto di Dio nell’uomo, cioè Cristo, nel quale possiamo intuire il volto dell’altro in Dio.
Vladimir Solov’ëv sembra aver così previsto la situazione attuale, dove molti non
avvertono più il mistero se non attraverso la bellezza. Nel suo Discorso di Stoccolma
SolÏenicyn fa notare che, dai tre rami dell’albero dell’essere — il Buono, il Vero e
il Bello — i due primi sono stati assorbiti da una modernità questa volta riduttiva.
Rimane solo il ramo della Bellezza e ad essa tocca ormai di assumere e far fruttificare tutta la linfa del tronco. Come non essere colpito, da un po’ di anni, dalla folla
che abbandona le Chiese ma si affretta ad andare alle grandi esposizioni, come se
aspettassero dalla bellezza la giustificazione della vita, la rivelazione del senso.
Scoprire l’esigenza di creazione dell’umanesimo moderno per integrarlo — e
quindi salvarlo — in un divino-umanesimo;
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PRESENTAZIONE
sottolineare la necessità della modernità come intelligenza critica, sete di libero
esame, libera creatività;
porre nella società secolarizzata, come un parametro irriducibile, il carattere
assoluto della persona;
riabilitare la femminilità divina, cosmica e personale per un incontro rinnovato dell’uomo e della donna;
risuscitare il cristianesimo in un’esplosione di bellezza.
In verità, Solov’ëv è veramente il teologo (o il filosofo religioso) di una modernità
che egli trasforma in post-modernità e bisogna saper ascoltare, attraverso e al di là
della sua opera, il canto immenso e puro della Sapienza.
I fondamenti spirituali della vita
I fondamenti spirituali della vita sono stati pubblicati in due tempi — comprendono infatti due parti, chiaramente distinte —, la prima dnl 1882, la seconda nel
1884. Questo testo spoglio, asciutto, si situa così tra la fase ancora “slavofila” di
Solov’ëv e la fase in cui si preoccuperà soprattutto dell’unione delle Chiese e sognerà
una simbiosi teocratica dell’Impero (russo) e del papato. I Fondamenti non recano
traccia né della dialettica dell’occidente e dell’oriente in un primo tempo sviluppata dal nostro autore, né della sua futura adesione — del resto articolata — ad un
ministero petrino del vescovo di Roma. Non vi si troverà nemmeno traccia della
sofiologia, benché vi si avvertano già le intuizioni da cui sboccerà. Questa opera,
sempre molto vicina ai grandi testi evangelici che si impegna a commentare, presenta dunque nella sua purezza una notevole sintesi teologica e spirituale di perenne attualità.
La prefazione pone i fondamenti di una collaborazione divinoumana: l’uomo,
radicato nella preghiera, nell’aiuto agli altri, nello sforzo di dominare la sua natura, deve conformarsi interiormente a Cristo, sempre presente nella sua Chiesa e far
irradiare lo Spirito di Cristo nella cultura, nella società, nella vita cosmica, per preparare l’evento del Regno, l’unione del cielo e della terra.
La prima parte, pubblicata come trattato autonomo nel 1882, commenta i tre
atteggiamenti fondamentali formulati dal libro di Tobia (12,8) che definiscono in
maniera classica l’esistenza cristiana: la preghiera, l’elemosina, il digiuno.
Solov’ëv esordisce ricordando la tragica situazione dell’uomo sottomesso alla
natura decaduta. La sua vita è inseparabile dalla morte: deve uccidere per mangiare e ogni generazione è spinta al nulla dalla seguente — qui si riaffaccia il pensiero di Nikolaj Fëdorov, il carismatico bibliotecario che denunciava la nostra
“necrolatria” e voleva far convergere tutte le forze dell’umanità nella rivivificazione dei morti.
Con grande pertinenza scientifica, Solov’ëv descrive l’entropia universale, la
coscienza umana che si ribella contro questa fatalità di omicidio e suicidio. In una
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I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA
analisi molto paolina, esalta e condanna allo stesso tempo la legge che strappa l’uomo ai suoi impulsi contraddittori e omicidi, ma lo lascia senza soccorso, lo abbandona al vuoto e alla finitudine. Solo la grazia conferita può strappare il male alla
radice. Non rimane allora che la lotta interiore per accogliere questa forza divina.
Segue una lunghissima disquisizione che occupa i tre quinti del trattato e costituisce un bellissimo commento al Padre Nostro. Le tre prime domande dicono l’essenziale: implorano che Dio sia tutto in tutti. Le domande seguenti pongono i mezzi
e le condizioni che ci si impongono se vogliamo collaborare a questo evento.
La prima opera è la preghiera, senza la quale la fede resterebbe morta. Ci apre alla
fonte del Bene, definito come pienezza dell’essere. Conformandoci al Nome divino,
vale a dire alla presenza divina pienamente rivelata in Cristo, permettiamo che il
Regno si formi in noi. Nel tentativo di compiere la volontà divina, permettiamo alla
grazia divina di unire la terra e il cielo. A tal fine dobbiamo dominare la nostra natura decaduta, ottenere il perdono dei nostri peccati, rafforzarci davanti ai pericoli che
ci minacciano. La domanda del pane nello stesso tempo “sovrasostanziale” e “quotidiano” santifica la nostra vita materiale, ne fa un’eucaristia. Unendoci a Colui in cui
tutti sono uniti, siamo liberati dalla separazione, dal peso della passata iniquità; perdonati, perdoniamo, in una specie di “sovrabbondanza”, come dice adesso Ricoeur.
Il male, ormai estirpato dal fondo del nostro essere, non agisce che dall’esterno, tramite la tentazione, conosciuta solamente dagli uomini spirituali. Nella tentazione, il
male prende l’aspetto del bene. La purezza prevale sulla tentazione della sensualità,
allorché la licenza prende la maschera della libertà. L’umiltà prevale sull’orgoglio,
tentazione dei falsi maestri. La pazienza evita la volontà di potenza che vorrebbe
costringere gli uomini al bene. L’implorazione “liberarci dal male” mostra che non
scambiamo per termine l’inizio in noi della vita spirituale. È invece un germoglio che
va preservato e fatto crescere. Ma dobbiamo anche sapere che qualsiasi richiesta fatta
con fede racchiude in sé l’inizio della sua attuazione.
Il seguente capitolo, più breve, tratta del sacrificio e dell’elemosina.
Con una carrellata sulla storia delle religioni e delle culture, Solov’ëv dà un’idea
molto chiara di come gli uomini siano passati dal sacrificio cruento, a volte suicida,
con il quale l’uomo nutre i suoi dei, all’interiorizzazione, alla contemplazione che
può liberare l’individuo ma non cambia la vita sociale; poi, con la Bibbia e il cristianesimo, alla sostituzione del sacrificio arcaico con la misericordia. La grande
affermazione divina riportata da Osea (6,6), «Voglio la misericordia, non il sacrificio», scandisce l’evolversi del nostro autore. Ormai è Dio che, in Cristo, nel suo continuo sacrificio, si offre alla nostra indigenza, ci nutre del suo corpo e del suo sangue.
Nelle società antiche, l’uomo, al pari dei suoi dei, pratica la violenza: regnano
la guerra e la schiavitù. Poi subentra la legge, che pone dei limiti allo scontro degli
individui e delle forze sociali. Adesso occorre vivificare la nozione di giustizia con
quella di misericordia. L’elemosina, nel senso di condivisione volontaria che la
parola aveva in origine nel cristianesimo, è una concreta espressione della comunione: l’uomo agisce alla maniera di Dio.
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PRESENTAZIONE
A questo proposito Solov’ëv respinge — con una attualità sorprendente — un
socialismo di violenza e un liberalismo economico che calpesta i deboli e gli esclusi.
Lo Stato, traendo ispirazione dai valori cristiani, deve prender cura di coloro che non
possono lavorare ed evitare agli altri un lavoro al di là delle loro forze o loro nocivo.
Il terzo capitolo, anch’esso breve, ma estremamente intenso e attuale, è dedicato al digiuno. È un capitolo che chiameremmo oggi “ecologico”.
Il digiuno è certo in primo luogo spirituale e intellettuale — astinenza dalla
volontà di potenza e dalla vanagloria: «non alimentare il tuo amor proprio» —
come pure digiuno di speculazioni vuote: «Sottometti l’attività della tua intelligenza
alle esigenze morali». Ma è soprattutto un atteggiamento di rispetto e di spiritualizzazione verso la terra. Il digiuno attenua, limita la nostra attitudine di consumazione cieca e omicida, purifica e rigenera il nostro corpo preparandoci alla trasfigurazione del corpo universale.
La seconda parte, pubblicata nel 1884, costituisce anch’essa un trattato autonomo, un ampio affresco del cristianesimo. Nell’ultimo capitolo, si affaccia l’ideale di Stato cristiano, ideale che Solov’ëv svilupperà negli anni seguenti, che sono
stati chiamati talvolta il suo periodo “teocratico”. Ma qui l’accenno è discreto, quasi
marginale.
Il primo capitolo s’intitola giustamente Il cristianesimo. È essenzialmente un bellissimo commento del Prologo di san Giovanni.
Come l’apostolo, Solov’ëv non fa una teologia del peccato originale, ma constata
che «il mondo giace nel male». Si tratta del mutuo divorarsi universale. San Massimo
il Confessore diceva che gli uomini decaduti sono come serpenti che si divorano gli
uni gli altri. Anche la Buona Novella è stata parzialmente mascherata dal cristianesimo storico, resta sempre “nuova”, sempre da annunciare e da vivere.
Tuttavia, attraverso l’entropia e il caos, una forza invisibile unifica il mondo e gli
dà un senso: è il Lógos, il verbo di Dio e «nulla di quello che è stato fatto è stato fatto
senza di lui». Agisce tanto nella gravitazione universale che nell’istinto genetico.
Ma ciò che nella natura è unione impersonale, cieca, diventa cosciente nell’uomo, benché in principio sotto forma di idea, l’intuizione «che in Lui era la vita», «la
luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta». L’uomo si dibatte tra
l’intuizione del senso e le pulsioni oscure, assassine. Una nuova carrellata sulla storia delle religioni — e questa volta essenzialmente di Israele — mostra l’ascesa verso
la persona e la fede, preparazione evangelica attraverso il pieno, mentre il vuoto e
il taedium vitae che si diffondevano nell’impero romano costituivano una preparazione tramite il vuoto...
Il Senso universale, il Lógos, si rivela pienamente attraverso l’incarnazione. Dio
è amore, cioè Persona assoluta che chiama l’uomo ad un’esistenza altrettanto personale. Anticipando le ricerche teologiche contemporanee, Solov’ëv descrive il primo
Adamo come un’esistenza corporativa, collettiva, che sintetizza tutta l’umanità naturale. Così pure Cristo, ultimo Adamo, è allo stesso tempo pienamente personale e
quindi pienamente universale. In mezzo alla storia annienta lo spirito del peso,
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I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA
della separazione e offre la sua vita e il suo Spirito agli uomini perché alla fine dei
tempi il male scompaia dalla creazione (la prospettiva è quella di Gregorio di Nissa
nel suo trattato Quando il Figlio avrà tutto sottomesso...).
L’incarnazione è attesa, preparata da tutto il divenire del cosmo e dell’umanità;
è il compimento di teofanie reali, ma incomplete. Tutta la natura tendeva verso
l’uomo, tutta la storia verso il Dio-uomo. Solov’ëv anticipa qui il meglio di Teilhard
de Chardin.
Il modo dell’incarnazione si fonda sul carattere “mediatore” dell’uomo che, tramite il suo stesso essere, è chiamato ad unire il terrestre e il celeste: è la visione patristica dell’uomo méthorion, “frontiera” potenzialmente cristica.
Con il VI Concilio Ecumenico e tutta l’opera di Massimo il Confessore, Solov’ëv
mostra che la volontà di Cristo è la sua volontà umana e che l’adesione di questa
volontà a quella del Padre, nel Getsemani e al Golgota, conferisce al principio
umano la sua vocazione di mediatore tra Dio e la natura: il luogo in cui si realizza questa vocazione (di “creatore creato”, dirà Berdjaev) è adesso il corpo spirituale
del Risorto. «E noi abbiamo visto la sua gloria...»
Mentre l’esistenza decaduta si identifica con la morte, la vera vita si identifica
con la risurrezione. La “nuova religione” (si parlerà in Russia, all’inizio del XX secolo, di “nuova coscienza religiosa”) indica un’«attività in Dio e con lui», una teurgia volta a trasfigurare l’umanità e il cosmo.
Strada facendo, Solov’ëv ci fornisce una stupenda analisi delle tentazioni superate da Gesù nel deserto, analisi diventata in seguito un classico nel pensiero cristiano russo.
In un ultimo paragrafo, il nostro autore abbandona il suo commento del
Prologo per un breve esame dell’“essenza dei sacramenti cristiani”. In Cristo, Dio
non si nutre più dell’uomo, sarà lui ad offrirsi in cibo. Dobbiamo infondere questa
forza in tutti gli aspetti dell’esistenza, estendere alla cultura e alla natura questa
divinoumanità, tendere alla materializzazione dello Spirito e alla spiritualizzazione della materia.
Nel secondo capitolo, Solov’ëv riflette sul mistero della Chiesa.
La Chiesa è il Corpo di Cristo animato dallo Spirito Santo. Il suo capo, Cristo, e
il suo cuore, la Théotokos, sono fuori della portata del peccato. La verità precisata
dai concili non dipende dall’intelligenza individuale e soggettiva, i sacramenti sono
un seme di incorruttibilità. Dopo Chomjakov, Solov’ëv sottolinea che la Chiesa non
è soltanto un’assemblea in cui tutti i membri, individualmente, sono peccatori, ma
quello che li raduna è l’amore, cioè lo Spirito di Cristo.
Tuttavia, l’elemento umano della Chiesa è lontano dall’essere ancora perfetto.
Per questa ragione il corpo ecclesiale di Cristo è allo stesso tempo glorioso (per il sangue eucaristico e i doni dello Spirito) e simile al corpo di Gesù durante la sua vita
terrena, che fu una lunga passione. Gli atti degli ecclesiastici, sebbene compiuti in
nome della Chiesa, non hanno che un valore relativo. È il consensus patrum, l’unità “catholica” sempre ripristinata che permettere di discernere l’errore e la verità.
Così i Padri dei concili hanno agito a nome della Chiesa nella sua totalità. Cristo,
come via, è testimoniato dalla successione apostolica, la cui santità proviene non
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PRESENTAZIONE
dagli individui che la compongono, ma dal puro rigore della sua forma cattolica.
Cristo, come verità, si esprime attraverso i dogmi dei concili. Come vita è presente
nei sacramenti attraverso i quali gli elementi si trasfigurano, sacramenti presentati da Solov’ëv con sobrietà. Nella storia della Chiesa lo Spirito (la sua azione nel
corpo di Cristo suscita la vera Tradizione) agisce secondo la situazione storica e per
rispondere alle domande e alle intuizioni di ogni epoca. Ma non c’è interruzione,
e qualsiasi novità conferma e sviluppa ciò che esisteva prima.
La Chiesa è fondamentalmente comunione. Chiunque volesse autodeificarsi è
un anticristo.
Siamo incessantemente chiamati prima a colmare, per quanto possibile, il divario tra il divino e l’umano nella Chiesa; poi a lavorare alla deificazione dell’umanità. Dio si è rivelato tramite l’incarnazione. Aspetta adesso che ci riveliamo in Lui
nello Spirito e nella libertà. «Se è per l’azione della potenza divina che copre con la
sua ombra la madre umana che si realizza l’incarnazione della divinità, è per la
fecondazione della madre divina (la Chiesa), per l’azione del principio umano che
si deve operare la libera deificazione dell’umanità».
Nell’ultimo capitolo, Solov’ëv tratta Lo stato e la società secondo Cristo. Dice che
in realtà il perfezionamento personale non può essere separato dal miglioramento
dei rapporti sociali.
Lo Stato cristiano sognato da Solov’ëv sarebbe caratterizzato dall’unione dei
tratti orientali e occidentali: nell’oriente cristiano, la vita spirituale ha la precedenza, gli uomini non s’interessano dello Stato, si sottopongono passivamente alla sua
tirannia. Qui si riaffacciano le concezioni slavofile. Nell’occidente cristiano, invece, le forze politiche si affermano, lo Stato si limita a fare da arbitro al loro equilibrio, ma l’essenziale va spesso perso. In occidente, la Chiesa tende ad entrare in
concorrenza con lo Stato, ad incarnarsi nelle sue stesse forme. In oriente, lo Stato
mette mano all’amministrazione superiore della Chiesa, col rischio di strumentalizzarla.
Il superamento e la sintesi potrebbero attuarsi, secondo Solov’ëv, in una libera
teocrazia: il potere civile e il potere spirituale sono indipendenti l’uno dall’altro, ma
il primo accetta di organizzare la sua azione secondo i valori testimoniati dal secondo. Lo Stato sarà quindi spinto ad impegnarsi nel riavvicinamento pacifico dei
popoli (tema che sarà ripreso da Nicola II nel suscitare la formazione della Corte
internazionale di giustizia a L’Aja) ed anche ad organizzare i rapporti sociali secondo l’ideale cristiano. Nel campo della giustizia, per esempio, va abolita la pena di
morte per assicurare al criminale la possibilità di pentirsi e di rigenerarsi.
La Chiesa e il cristianesimo costituiranno il limite superiore dello Stato, al disopra del quale collocheranno lo scopo della vita, liberando così da qualsiasi tipo di
idolatria le forze vive della società.
In essa, poi, va introdotto il principio cristiano di solidarietà morale, di fraternità
autentica (vediamo che Solov’ëv tenta di dare un senso cristiano al motto della
Repubblica francese, sprigionandone l’implicito senso cristiano). Alle classi dirigenti e
intermedie incombe dunque un’immensa responsabilità, ma Solov’ëv si limita a deplorare le loro mancanze e tace quanto alla loro designazione e al loro funzionamento.
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I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA
Questo testo è quindi profondamente radicato nella grande Tradizione della
Chiesa. Una Chiesa della quale quest’opera espone e giustifica brillantemente la
struttura, la verità e la vita sacramentale, senza nasconderne le tentazioni e i peccati; equilibrio piuttosto raro oggi, allorché la tendenza è di svuotare o di “ideologizzare” il mistero. Il cristianesimo di Solov’ëv è un cristianesimo aperto, come dice
Vladimir Pore‰, un grande dissidente e libero filosofo religioso russo di oggi. Solov’ëv
usa sia le conoscenze scientifiche della sua epoca, per reperirvi la traccia del Senso,
sia la storia delle religioni in cui scopre tanto il “cannibalismo” (come doveva farlo
René Girard) quanto le molteplici teofanie (allo stesso modo di Mircea Eliade).
Sottolinea soprattutto il bisogno di superare tanto il ritualismo magico che la contemplazione astorica, per fare della Chiesa il germoglio di una divinoumanità dove
il genio creatore dell’uomo — e lo abbiamo sottolineato, dell’uomo moderno —
possa liberamente svilupparsi nella prospettiva di una trasfigurazione della terra,
della società e della cultura. Nella sua concezione di Stato cristiano, resta prigioniero dei sogni del passato e sviluppa una delle tante concezioni “olistiche” che non
hanno smesso di reagire, ma invano, alle dissociazioni della modernità. Solo più
tardi capirà che oggi il cristianesimo può solamente essere un fermento, ad un
tempo segno di contraddizione e profezia di un’unità libera e diversa. Salutiamo e
ringraziamo colui che diceva di se stesso:
«... fino a metà della notte ho vagato, temerario,
sempre più lontano verso rive attese,
verso le cime, sotto nuove stelle,
dove, arso da fiamme vittoriose,
mi aspetta l’altare sacro».
Olivier Clément
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PREFAZIONE
La ragione e la coscienza accusano la nostra ordinaria vita mortale per
la sua malvagità e inconsistenza, tanto da esigerne la riforma; ma l’uomo,
ingolfato in questa cattiva esistenza, per correggerla deve trovare un
sostegno esterno. Il credente trova questo appoggio nella religione: è proprio dell’elemento religioso rigenerare e santificare la nostra vita e unirla
alla vita divina. Ciò è anzitutto opera di Dio, ma non può compiersi senza
di noi: la nostra vita non può essere rigenerata senza la nostra cooperazione. La religione è un atto divinoumano, un atto che deve compiersi
anche da parte nostra. Ma in ogni cosa è necessario prima far propri certi
metodi e atti fondamentali, senza i quali non è possibile procedere oltre. E
anche per la religione è assolutamente necessario formarsi certe nozioni
fondamentali. Esse non sono scelte da noi casualmente o arbitrariamente,
ma sono determinate da ciò che forma l’essenza stessa del fenomeno religioso.
Il compito della religione è la riforma della nostra vita corrotta. Infatti
noi viviamo usualmente senza Dio, senza un sentimento per l’umanità,
nella schiavitù della natura inferiore. Ci ribelliamo a Dio, ci allontaniamo
dal prossimo, ci sottomettiamo alla carne. Per una vera vita, quale dovrebbe essere, sarebbe necessario vivere in un modo del tutto diverso: spontanea sottomissione a Dio, reciproca unità d’animi (solidarietà) e dominio
sulla natura. L’inizio di questa nuova vita è vicino a noi e non presenta difficoltà. Il principio della libera sottomissione o consenso a Dio è la preghiera; quello dell’unità d’animi è la beneficenza, il principio del dominio
sulla natura consiste nell’emancipazione dalla sua pressione mediante l’astensione dai bassi desideri e dalle passioni. Pertanto, per riformare la
nostra vita è necessario pregare Dio, aiutarci l’un l’altro e mettere un freno
ai nostri desideri sensuali. La preghiera, l’elemosina e il digiuno — ecco le
tre azioni in cui consiste ogni religiosità personale, cioè particolare.
Ma l’uomo non vive della sua sola vita individuale, bensì anche di
quella comune. Egli vive nel mondo. Vivendo nel mondo, egli deve vivere
in pace. Ma come vivere in pace quando nel mondo regna la discordia,
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I FONDAMENTI SPIRITUALI DELLA VITA
quando tutto il mondo giace nel male? Anzitutto non bisogna credere in
questo male, come se fosse qualcosa di immutabile. Al contrario, il male è
falso e mutevole. Non è in esso il senso del mondo. Il senso del mondo è
la pace, la concordia, l’unità d’animo di tutti. Questo è il bene più alto, l’unione di tutti in una sola volontà che si estende a tutto, tutti solidali ad un
comune proposito. Questo è il bene più alto, ed in esso è riposta tutta la
verità del mondo. Nella discordia e nella divisione non può esservi la
verità. Soltanto in una comune unione, libera o involontaria, il mondo può
reggersi, mantenersi ed esistere. Dov’è l’essere, dov’è creatura al mondo
che possa sussistere nel suo isolamento? E se niente può esistere isolato,
ciò significa che lo stato di isolamento è un assurdo, che non è vero, che la
verità si trova proprio nel contrario, vale a dire nell’unione pacifica ed universale. Quest’unione, in un modo o in un altro, volontariamente o no, è
riconosciuta da tutti coloro che cercano la verità. Interrogate un naturalista ed egli vi risponderà che la verità dell’universo consiste nell’unità del
meccanismo universale. Chiedete ad un filosofo forte nell’astrazione:
anch’egli vi risponderà che la verità del mondo poggia sull’unità del nesso
logico che abbraccia tutto l’universo. La piena verità del mondo è nella
sua unità viva, come un corpo spiritualizzato e teoforo. In questo consiste
la verità del mondo e insieme la sua bellezza. Quando la varietà dei fenomeni sensibili si amalgama nell’unità, allora noi percepiamo quest’armonia visibile come bellezza (kovsmo", cioè mondo, armonia, bellezza).
E così, nel più alto significato di mondo (nel senso di pace)1 si congiunge tutto ciò che noi cerchiamo: il bene, il vero e il bello. Ora, non è
possibile che il significato universale del mondo esista solo nel nostro pensiero. L’unità, quest’unità che tutto sostiene e collega nell’universo, non
può essere soltanto un’idea astratta. Essa è la forza viva e personale di Dio
la cui essenza unificatrice si rivela nella persona divinoumana di Cristo,
nel quale abita corporalmente tutta la pienezza della divinità. Senza
Cristo, Dio non ci appare come una realtà vivente. Verso Cristo gravita
tutta la nostra religiosità individuale, e in Cristo si basa ogni religiosità
comune e universale.
Dio non ha per noi realtà se non nel Dio-Uomo Cristo. Ma Cristo non
potrebbe essere reale se fosse solo un ricordo storico: è necessario che Egli
si riveli a noi non solo nel passato, ma anche nel presente; e questa sua
rivelazione presente deve mantenersi prescindendo dalla nostra limitatezza personale. Questa realtà del Cristo e della sua vita, indipendentemente
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PREFAZIONE
dai nostri limiti, ci è data nella Chiesa. Coloro che pensano di possedere
personalmente e senza intermediari la piena e definitiva rivelazione di
Cristo, certamente non sono pronti a ricevere una tale rivelazione, e scambiano per Cristo i fantasmi della loro immaginazione. Noi dobbiamo cercare la pienezza di Cristo, non nella nostra sfera personale, ma nella sua
propria sfera universale, cioè nella Chiesa.
La Chiesa, in se stessa, nella sua vera essenza, si presenta come la realtà
divina di Cristo sulla terra. Ma nella persona di Cristo, la divinità ha unito
a sé il principio puramente umano e quello naturale. L’unione di questi tre
princípi, che si è realizzata individualmente nella persona dell’uomo spirituale Gesù Cristo, deve ugualmente realizzarsi collettivamente nell’umanità da lui spiritualizzata. L’elemento libero puramente umano della vita
sociale, che noi incontriamo nello Stato, e l’elemento naturale di questa
vita che incontriamo nel popolo e nella terra, devono intimamente collegarsi o armonizzarsi con l’elemento divino, il quale ci è offerto particolarmente dalla Chiesa. Essa deve santificare e, mediante lo stato cristiano,
trasformare tutta la vita naturale e terrena (o territoriale) del popolo e
della società.
Anche la nostra religione personale trova in questo compimento della
religione sociale la sua pienezza. La preghiera personale deve determinarsi e completarsi nella teurgia ecclesiale; l’elemosina personale deve trovar sostegno nelle istituzioni dello stato cristiano e per loro tramite legarsi alla beneficenza sociale; è infine soltanto l’organizzazione cristiana della
vita materiale (economica) che può darci i mezzi per correggere essenzialmente le nostre relazioni con la natura terrena ed esercitare un’influenza
benefica su ogni creatura, che finora geme e soffre per colpa nostra. Nella
misura in cui per l’ingiustizia della nostra volontà partecipiamo al male
della realtà che ci circonda, allo stesso modo il nostro emendamento
migliora la medesima realtà. Ma in ogni caso è in nostro potere compiere,
con l’aiuto di Dio, il dovere di coscienza in tutta la nostra attività interna
ed esterna, privata e sociale.
Così, la religione personale e sociale, nella loro più intima e reciproca
relazione, si rivolgono a tutti gli uomini con i seguenti precetti: Prega il
Signore, aiuta gli uomini, frena la tua natura, conformati interiormente al DioUomo vivente, Cristo. Confessa la sua presenza reale nella Chiesa e proponiti lo
scopo di far penetrare il suo Spirito in tutti i campi della vita umana e naturale,
affinché per mezzo nostro si colleghino tutte le catene divinoumane della creazione e il cielo si unisca alla terra.
Gioco di parole sulla omonimia di mir come mondo e mir come pace, armonia [NdT].
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