1. Introduzione. Philadelphia nera
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1. Introduzione. Philadelphia nera
Lee Morgan - Tom Perchard Odoya Casa editrice 1. Introduzione. Philadelphia nera Estratto dal sito: www.odoya.it Madison Street La gente del posto, con i suoi lavori sottopagati, non fa girare molti soldi nel distretto di Tioga, a North Philadelphia, e l’amministrazione cittadina sembra non darsi molto da fare per rimediare: gli edifici sono decrepiti, le mattonelle sono rotte e ricoperte di erbacce, i marciapiedi si sgretolano. Ma il sabato pomeriggio in giro c’è un sacco di gente con le borse della spesa. Ci sono negozi di ogni genere. C’è traffico e parecchio movimento. Su Allegheny Avenue, l’arteria principale, ci imbattiamo in un senzatetto che spinge un carrello pieno di materiale elettrico. La Madison è dietro l’angolo, dice. Fino a poco fa il cielo era grigio e piovoso, ma da quando ci siamo messi in cerca della strada la luce è diventata strana, quasi sulfurea. Voltato l’angolo, costeggiamo un terreno recintato pieno di macchinari industriali. All’improvviso siamo in un altro mondo. «Ecco la Madison» dice un uomo dal portico di casa sua. Indica un punto oltre la strada, e il nostro sguardo si ferma su una strada lunga un isolato, chiusa in fondo dagli alberi, percorsa su un lato da una fabbrica, e da una manciata di case a due piani sull’altro. Ci sono i pali del telegrafo e due lampioni accesi da poco, che ronzano mentre il loro cuore arancione si riscalda. Pioviggina di nuovo. Se non fosse per due o tre macchine parcheggiate, la strada sarebbe deserta. Un cane abbaia da qualche parte in lontananza, ma questo resta comunque il posto più tranquillo in cui sia mai stato a Philadelphia. La fabbrica sembra dismessa. Le finestre sono sbarrate. I muri sono dipinti di rosso scuro. L’asfalto è crepato e pieno di Odoya Casa editrice Lee Morgan - Tom Perchard Estratto dal sito: www.odoya.it buche. Più tardi, Don Wilson, che è cresciuto nella strada accanto, mi dirà che la strada era di mattoni rossi. Una volta, la Madison aveva i ciottoli. Molte strade non erano nient’altro che una distesa di ciottoli. Non ci sono orizzonti: la fabbrica si staglia sulla strada da un lato, e gli alberi la chiudono sul fondo. Niente traffico, vita o negozi. Si avverte un’intensa sensazione di claustrofobia. Spady e io siamo attratti dalla fine della strada; gli dico che secondo me, sul prato di fronte a noi, prima sorgeva lo stabile di Lee. Restiamo immobili, sconsolati. L’uomo sotto al portico ci osserva dall’estremità opposta della via, con lui adesso ci sono altre persone. Alcuni uomini della mia età o più giovani sono sbucati da una traversa che si affaccia sulla Madison, e ci guardano. Uno è vestito di nero, con un cappello da baseball rosso. Un altro indossa un giaccone bianco. Raymond Darryl Cox, il nipote di Morgan, racconta che d’estate all’incrocio sostava un carretto dei gelati, e dietro l’angolo c’erano le botteghe dei barbieri. Era un isolato davvero grazioso. L’uomo sotto al portico non ha mai sentito parlare di Lee Morgan. Lo stesso vale per due giovani donne che stanno scendendo da una macchina, e nell’isolato non conoscono nessuna persona anziana che potrebbe saperne qualcosa. Davanti al fazzoletto d’erba, ci imbattiamo in un signore di mezza età e Spady lo coinvolge. L’uomo non mi guarda nemmeno. Non ha mai sentito nominare Lee, ma dice che lo stabile è stato demolito solo di recente. Spady e io parliamo di Lee e fantastichiamo su com’era il quartiere allora. Lo intuisco prima ancora di girarmi e vederlo: l’uomo in nero sta venendo proprio verso di noi. Spady si sta rivolgendo a chiunque per un motivo preciso. Sappiamo che in questa strada non molto tempo fa hanno ammazzato un ragazzo; devono sapere che noi forestieri, un bianco e un nero, non siamo qui per indagare sull’omicidio. È il classico luogo isolato in cui portare qualcuno se vuoi sbarazzartene, osserva Spady. Chiunque avesse il sentore di guai, rientrerebbe in casa e tirerebbe le tende. «Salve signore, come andiamo?» chiede Spady all’uomo in nero mentre si avvicina. L’uomo ci squadra e ci oltrepassa senza proferire parola. Quella lunga occhiata è l’avvertimento ufficiale che siamo sospetti. Dal momento che le regole sono queste, siamo obbligati – sfidati – a non tornare sui nostri passi, invece di riconoscere che c’è un problema e andarcene. Un minuto dopo, vedo con la coda dell’oc- Lee Morgan - Tom Perchard Odoya Casa editrice Usavamo quella piccola alcova, dove le strade si incontrano, per giocare a palla. Con un gessetto disegnavamo e scrivevamo sulla strada. Segnavamo la nostra piccola casa base, e loro lanciavano la palla dal lato della strada opposto alla fabbrica, e noi la sbattevamo contro il muro. Ed era così che calcolavamo le diverse marcature nel gioco, che non si doveva correre alle basi, bastava colpire la palla. Non c’era abbastanza spazio per correre. Un altro uomo fa lo stesso pochi minuti dopo. E altri ancora li raggiungono all’angolo. Contando anche quelli sotto al portico sull’altra estremità della strada, ora siamo sorvegliati da una decina di persone. Facciamo per andarcene. Una coppia di anziani in macchina rallenta e si ferma; scendono e iniziano a scaricare i pacchi della spesa. Spady torna indietro e prova a parlare con l’uomo, che lo scruta con sguardo glaciale e dice: «Non so niente di niente». Ce ne andiamo di nuovo, questa volta sull’altro lato della strada. Quando oltrepassiamo la casa all’angolo, notiamo un vecchio sotto al portico, appoggiato alle stampelle. I giovani si appostano all’angolo, perché l’angolo è di passaggio, permette la fuga e apre molteplici possibilità. Ma il vecchio, essendo un invalido, è bloccato, inchiodato, non può muoversi né fuggire. Se i giovani possono contare sul passaggio e sulla possibilità di movimento, mi chiedo se il vecchio riesca a malapena ad accettare la sua condizione. Usciti dalla via, ogni presentimento è collassato in tristezza, la consapevolezza delle difficoltà che incombono lascia il posto alla consapevolezza di aver fatto un danno. Riuscivo a percepire una presenza, ma non vedevo altro che assenze e sparizioni: la successione monca di edifici e terreni deserti, uomini che scompaiono sull’altro lato della via, la strada che si dissolve tra gli alberi. Qualcuno mi aveva detto di non prendermi la briga di andare alla vecchia casa di Morgan, perché lì non c’era niente. Ma non è vero che non c’era niente sulla Madison. Era l’esatto contrario: ciò che c’era di più significativo era silenzioso o oscuro. Un inglese bianco di vent’anni non può passeggiare del tutto rilassato Estratto dal sito: www.odoya.it chio che l’uomo in nero è ricomparso all’angolo di una traversa che dà sulla Madison. Ha fatto il giro dell’isolato solo per darci una bella occhiata, e ora è di nuovo lì, seminascosto all’incrocio. Don Wilson racconta: Odoya Casa editrice Lee Morgan - Tom Perchard Estratto dal sito: www.odoya.it nella nera North Philadelphia, consapevole di essere sottoposto a un esame severo, consapevole che lì i forestieri bianchi significano guai: sono la polizia, gli esattori, i tossici. Sapevo che la mia presenza fisica in qualche modo non era vista di buon occhio e, avendo cominciato a scrivere una storia su quella comunità, sapevo anche che stavo commettendo quella che qualcuno (anche se certamente non tutti) avrebbe considerato un’intrusione intellettuale. La gente del posto che ho incrociato in strada sapeva come il proprio quartiere, a partire dal 1950, avesse accusato il colpo del declino industriale della città, e delle perdite inferte al paese dalle guerre contro potenze straniere e contro le droghe, dalla condiscendenza verso la povertà cronica e dal razzismo istituzionale; se quelle persone avessero saputo cosa stavo facendo, probabilmente si sarebbero sentite minacciate e, scuotendo la testa, avrebbero pensato tra loro che, dopo aver perso tante altre cose, ora stavano perdendo il possesso di un’altra memoria nera. Mi hanno sottoposto la questione e mi è stata a cuore da subito, ma credevo anche che la storia afroamericana avesse talmente pochi convertiti alla sua causa che avrei potuto affrontare il coro da solo. Inoltre, nessuno aveva ancora indagato a fondo sul ruolo di Lee Morgan all’interno di questa storia, anche se sembrava particolarmente interessante: non solo Lee Morgan fu un musicista dal talento raro, ma gli avvenimenti e le vicende del suo percorso umano e professionale furono strettamente interconnessi con quelli del grande movimento per i diritti civili degli anni Cinquanta, Sessanta e dei primi anni Settanta. continua...