I VIAGGI DI FINN

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I VIAGGI DI FINN
Alberto Grandi
I VIAGGI DI FINN
PISSING SU FLORA
Non è mica uno scherzo viaggiare nello spazio. Prima di tutto c'è la
questione della lontananza dalla madre Terra. Persino il più esperto
e sgamato dei viaggiatori interstellari finirebbe col provare
nostalgia. Poi, l'universo nasconde mille insidie. Dietro ogni stella
non sai mai cosa t'aspetta. Il sottoscritto, ad esempio, la settimana
scorsa ha rischiato la pelle un paio di volte.
Sentite un po' qua.
Mi trovavo nella galassia di Andromeda a ben 2,5 milioni di anni
luce dalla Via Lattea. Prima di addentrarmi nella zona, a bordo
della mia fidata carretta - un'astronave che, malgrado il suo aspetto
malandato, è capace di compiere accelerazioni quasi luminali avevo scaricato le mappe dal database per verificare che non fosse
territorio di caccia dei filibustieri spaziali oppure presidio dei
temibili kruger. Nessun problema. Tutto sembrava tranquillo ai
limiti della noia, come il cortile di un residence della terza età. La
galassia presentava solo un paio di pianeti abitati: Carius e Refex,
entrambi pacifici.
Carius era abitato da una specie di piante intelligenti che
vivevano grazie a nutrimenti somministrati dal suolo. Refex era
abitato da una specie antichissima, asessuata che non faceva altro
che giocare. I refexiani giocavano alla guerra invece di farla
veramente; giocavano al dottore e all'ammalato senza che nessuno
si ammalasse e dunque ci fosse la necessità di un dottore;
giocavano persino alla morte dato che erano una specie immortale.
Il loro pianeta era come un giardino d'infanzia dove essi, eterni
bambini, non smettevano mai di divertirsi. Ero proprio curioso di
visitarlo, ma dato che le batterie al plasma della mia carretta erano
quasi a secco, sono dovuto atterrare sul primo lungo la rotta,
ovvero Carius.
Non appena varcata l'atmosfera, Carius mi è parso molto simile
alla Terra. Vegetazione rigogliosa. Ampie praterie disseminate di
laghi e bagnate dai fiumi. Qualche oceano a frangersi contro le
spiagge dei due emisferi.
Ecco un posto dove farei volentieri una vacanza, mi sono detto
mentre cominciavo le manovre di atterraggio.
- Siamo sicuri che quanto indicato dalle mappe sia giusto e che
questo sia un pianeta pacifico? -, ho chiesto.
La domanda era rivolta all'intelligenza artificiale della mia
astronave che ho battezzato Lola, in ricordo della mia prima
ragazza, colei che ebbe l'onore di sottrarmi all'arido pianeta della
verginità, proiettandomi nelle mirabolanti costellazioni delle arti
erotiche.
- Ma certo capitano -, ha risposto Lola con la sua voce calda e
suadente. - Le mappe in archivio sono le ultime aggiornate. Carius
è un pianeta tranquillo e gradevole. Vedrai, ti ci troverai bene.
- Che mi dici dell'atmosfera?
- Praticamente identica a quella terrestre. Puoi uscire
dall'astronave senza maschera d'ossigeno.
- E la temperatura?
- Su Carius la temperature variano da una minima di 15 a una
massima di 25 gradi Celsius. Non hai bisogno della tuta tesoro,
puoi uscire esattamente come sei vestito.
Malgrado le informazioni passatemi da Lola, ho indossato la mia
vecchia giacca in pelle di daino venusiano e agganciato alla cintura
una pistola laser, non si sa mai.
Sono uscito dall'astronave e ho raggiunto la capitaneria di porto.
Subito mi ha accolto un doganiere, un essere davvero singolare.
Prendete un uomo come può esserlo il sottoscritto, sostituitegli la
pelle con una corteccia d'albero, i capelli con verdi fronde,
adornate la sua figura con piante rampicanti simili a vestiti e avrete
un tipico abitante di Carius.
Non appena il doganiere mi è venuto incontro, una frase che non
avevo pensato mi ha attraversato la mente.
“Benvenuto”.
- Chi ha parlato? -, ho domandato.
- Io -, ha risposto il doganiere. - Qui su Carius non
comunichiamo parlando, ma col pensiero. Anche lei, per
comunicare, non è necessario che apra bocca, può farlo
semplicemente pensando.
- Davvero? -, ho domandato.
- Certo, perché non fa una prova?
Ho serrato le labbra e pensato a una frase. “Il vostro è un gran bel
pianeta”.
“Grazie”, ha risposto per via telepatica il doganiere.
“Funziona!”, ho pensato io.
“Certo che funziona!”, ha pensato il doganiere. “Qual buon vento
l'ha sospinta sulla nostra rotta?”.
“Devo fare rifornimento alle batterie. Sono quasi scariche”.
"Che tipo di propellente usa?".
"Plasma puro".
“Allora, per rifornirla, ci vorrà un po' di tempo”.
“Perché?”.
“Siamo senza plasma, al momento. Un nuovo carico arriverà
stasera”.
“E quindi, le mie batterie quando saranno pronte?”.
“Non prima di domani mattina. Potrebbe approfittarne per
visitare il nostro pianeta. Ovviamente, la notte può passarla nella
sua astronave, parcheggiata nell'hangar. Avrò cura di collegare io
stesso le batterie ai blocchi di rifornimento, non appena saranno
pronti”.
Quella del doganiere mi è sembrata l'unica soluzione possibile.
Così sono salito a bordo dell'astronave per atterrare dove mi era
stato indicato. Mentre manovravo in plancia, ho posto al computer
di bordo alcune domande.
- Senti un po', Lola...
- Che c'è tesoro?
- Riguardo a 'sto fatto che su Carius si comunica per via
telepatica...
- Sì, che vuoi sapere?
- Se mi trovassi davanti a un cariusiano che non mi va a genio e
mi capitasse di pensare "che idiota 'sto qui", lui leggerebbe quello
che ho appena pensato?
- Purtroppo sì. Su Carius chiunque può leggere i pensieri altrui.
La specie locale considera la libera lettura del pensiero una delle
più belle prove di fiducia di tutto l'universo.
- Io la considero una palese violazione della privacy.
- Vedi capitano, il fatto è che su Carius tutti sono buoni e ben
disposti verso il prossimo. La specie dominante vive in perfetta
armonia col proprio pianeta che fornisce alle sue radici il
nutrimento per crescere, ciò fa sì che nel suo animo non alberghino
il male, l'ozio, il sospetto, insomma, tutti quegli elementi che da
sempre minano il quieto vivere sulla Terra
- Ma io sono un terrestre! -, ho sbottato. - Fa parte della mia
natura essere malvagio, ozioso e sospettoso. Non posso farne a
meno. Come potrò ambientarmi su questo pianeta?
- Cerca di comportarti bene -, mi ha consigliato Lola. - Non
metterti in situazioni che potrebbero portare a un contrasto con i
locali. Passa una serata tranquilla e, se proprio ti capitasse di
detestare un abitante di Carius, cerca di pensare cose brutte di lui
tenendoti a una distanza di almeno dieci metri.
- Perché, a quella distanza loro non sono capaci di leggere nel
pensiero?
- Non secondo le mie informazioni. La lettura telepatica può
avvenire solo quando le due parti della conversazione sono a
distanza ravvicinata, altrimenti i pensieri dell'uno si disperdono e
arrivano al cervello dell'altro in un sussurro indecifrabile.
- Bene. Uscirò, farò due passi, visiterò un po' il pianeta e, nel
frattempo, cercherò di pensare cose belle e innocenti.
- Bravo ragazzone, e non fare tardi!
Dunque, sono uscito dall'astronave. Ho chiesto al doganiere se
sapeva indicarmi un posto dove passare qualche ora in tranquillità.
Lui mi ha risposto ovviamente per via telepatica.
“Potrebbe recarsi nei quartieri del porto spaziale, sono pieni di
locali interessanti dove suonano musica e servono bevande”.
“Perfetto, grazie, credo che farò così”.
Ho camminato per una stradina che serpeggiava tra il verde.
Quando incrociavo un cariusiano, cercavo di tenermi il più lontano
possibile da lui. Ad un certo punto ho intravisto quella che a me è
sembrato un'esemplare femminile. Una specie di donna-albero
rivestita di una corteccia lucida e sinuosa, adorna di piante
rampicanti che le coprivano a malapena le parti intime e con una
lussureggiante cascata verde che le incorniciava il volto. Una
creatura tanto bizzarra quanto sensuale.
“Però, che bel pezzo di quercia!”, ho pensato.
Immediatamente è rimbalzata nella mia scatola cranica una frase
che non mi apparteneva: “Come ha detto, scusi?”.
Era stata la cariusiana a parlare, o meglio, pensare, dopo aver
captato il flusso dei miei pensieri.
“Niente, niente, scusi”, ho subito risposto, velocizzando il passo.
Per gli anelli di Saturno! Quel soggiorno forzato cominciava a
starmi stretto! Possibile che gli abitanti di quel pianeta non
sapessero cos'era il male? Possibile che uno di loro - un albero
maschio - imbattendosi in un gran bel pezzo d'albero femmina
come quella da me appena incrociata, non venisse colto da libido,
formulando, di conseguenza, pensieri un tantino sconvenienti?
Per avere le idee più chiare, ho chiesto delucidazioni a Lola,
connettendomi in remoto all'astronave tramite una spilla della
giacca.
- Lola, mi senti?
- Certo che ti sento, capitano, mio capitano; qualche problema?
- Volevo avere ulteriori ragguagli sulla specie locale.
- Che genere di ragguagli?
- Da quanto ho potuto constatare, in questi primi minuti passati
su Carius, la specie è divisa in due sessi, proprio come quella
terrestre, maschi e femmine, lo confermi?
- Hai constatato bene. Su Carius i generi sono due, distinguibili
l'uno dall'altro da tratti analoghi a quelli che differiscono i maschi
dalle femmine terrestri.
- Cioè fianchi più pronunciati e seno più o meno generoso per
quello che riguarda le femmine e niente seno e un rametto in più
tra le gambe per quello che riguarda i maschi?
- Esatto. Le femmine cariusiane presentano una linea più
curviforme del tronco, una corteccia più morbida a ricoprire gli
organi interni, e una maggior lucentezza della chioma fronzuta,
oltre che tratti del viso tipicamente femminili.
- Queste analogie tra terrestri e cariusiani significano forse che
anche qui su Carius i due generi praticano quella piacevole e
ricreativa attività detta comunemente sesso?
- Mi dispiace freddare i tuoi bollenti entusiasmi, capitano, ma
purtroppo non è così. I cariusiani nascono da semi gettati al suolo
dal vento, esattamente come avviene per le piante sulla Terra. In
loro il sesso non ha necessità biologica di sussistere e quindi non è
praticato nemmeno a scopo... ricreativo, come dici tu. Per farla
breve, non credo proprio che una cariusiana apprezzerebbe se tu ti
strusciassi contro la sua corteccia.
- Ho capito. Beh, grazie dell'informazione, passo e chiudo.
Niente sesso. Niente cattivi pensieri. Carius era il più innocente e
noioso dei pianeti. Già stavo sbadigliando.
Passo dopo passo ho raggiunto i vicoli del porto spaziale. I
palazzi che li delimitavano erano simili a grossi alberi nei cui
incavi si aprivano locali dove i cariusiani bevevano e parlavano,
sempre in silenzio data la loro comunicazione di tipo telepatico.
L'unico suono che sfiorava la quiete assoluta, quando taceva la
musica, era il frusciare delle loro chiome; un frusciare gentile,
come di foglie smosse da una leggera brezza e non certo uno
stormire di rami strapazzati dalla tempesta.
Dunque sono entrato in uno di questi locali. Ho occupato un
tavolino abbastanza lontano perché io potessi pensare in tutta
tranquillità. Quando il cameriere mi ha chiesto cosa volevo bere,
ho polarizzato i miei pensieri unicamente sulla risposta da
fornirgli.
"Un whisky terrestre, se ne avete".
"Certo che ne abbiamo, signore", ha risposto telepaticamente il
cameriere fronzuto, e poco dopo è tornato con la mia ordinazione.
Per un po' sono rimasto lì a bere in tutta tranquillità, sprofondato
nelle mie considerazioni sul pianeta che avevo appena raggiunto.
Considerazioni che non erano del tutto positive, a dire la verità. Per
Plutone, è impossibile vivere così, mi sono detto, senza peccare,
senza sbagliare nemmeno pensando. Ok, la Terra sarà anche
l'immondezzaio che tutti conoscono, la sua civiltà sarà pure passata
attraverso 10 guerre protoniche, ma almeno siamo vivi, noi
terrestri, possiamo dire di pulsare con ogni cellula del nostro
organismo, di dibatterci nell'eterno dilemma del Bene e del Male;
siamo esseri segnati dal dramma di trovarci perennemente a un
bivio, di voler aspirare al bene e, allo stesso tempo, non poter fare
a meno di contemplare l'oscura giungla del peccato e sentirne
l'irresistibile richiamo. Qui, in questa specie di parco naturale
sottovuoto, che gusto c'è mai a vivere?
Ero immerso in questi pensieri quando una parola che le mie
sinapsi non avevano elaborato è comparsa clandestina nel mio
cervello. E questa parola era: "Salve".
Chi aveva parlato?
Mi sono voltato: alle mie spalle c'era un vecchio cariusiano. O
almeno a me è sembrato vecchio. La sua corteccia era assai
vissuta, segnata da nervature, a tratti superficiali a tratti profonde, e
incavi che si aprivano come buchi neri.
"Le dispiace se mi siedo accanto a lei?", ha domandato quel tipo;
senza che avessi tempo di pensare una risposta, lo ha fatto, si è
alzato dal suo posto per piazzarsi davanti al sottoscritto.
Subito sono precipitato in una sorta di conflitto interiore. Non
volevo pensare niente per il timore di pensare sbagliato.
Il cairusiano ha sorriso. "Non si sforzi di pensare cose edificanti.
Mi chiamo Alberus. Sono professore in Civiltà Terrestre
all'Università Intergalattica di Mendes, la capitale di questo
pianeta. So come funzionate voi terrestri. So che il pensiero, in voi,
è qualcosa che a tratti prescinde le vostre intenzioni. Se anche
pensasse cose deplorevoli sul sottoscritto, non mi offenderei".
"Dice sul serio?", ho pensato.
"Certo", ha risposto il professore. "Possiamo comunicare
parlando, anziché pensando, se la cosa la fa sentire più a suo agio".
- Grazie. Questo mi aiuterebbe a non pensare in continuazione di
non pensare...
Il professore ha sorriso. - Perfetto -, ha detto con la sua voce
profonda e sommessa come il sussurro di una quercia carezzata dal
vento. - Allora parliamo. Mi dica, cosa ci fa un terrestre su Carius?
Andromeda è una galassia solcata raramente dalle vostre navi.
- Trasporto cibo in scatola per cani destinato alle colonie terrestri
-, ho risposto. - Sono diretto su Europa 6, oltre Andromeda.
- Capisco, e come mai ha scelto di atterrare su Carius?
- Le batterie della mia astronave: scariche, altrimenti avrei
proseguito per Reflex.
- Già. Carius è un pianeta che si sostiene da solo, alieno ai
commerci della galassia. Se qualcuno ci viene a trovare è perché ci
è costretto. Siamo un popolo tanto pacifico quanto solitario. Isolato
e ignorato da tutti gli altri.
- Me ne sono accorto.
Il professore ha preso a lisciarsi la lunga barba silvestre. Aveva
un'aria da savio accademico. Mi sono chiesto perché mai avesse