C_era una volta Parigi.pptx

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C’era una volta Parigi • 
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C’era una volta Parigi… la fantas3ca Parigi della prima metà del secolo XX… La capitale dell’arte e della cultura; la Parigi delle Avanguardie… Le prime due avanguardie sorgono infa= nella capitale francese. Nel 1905, si cos3tuisce il gruppo dei “Fauves”, che rappresenta il primo movimento di ispirazione espressionis3ca. Nel 1907, grazie a Picasso e Braque, sempre a Parigi sorge il movimento del “Cubismo”. Anche il Futurismo, che è un’avanguardia decisamente italiana, parte da Parigi. Qui, infa=, sul quo3diano Le Figaro, Filippo Tommaso Marine= pubblica nel 1909 il «Manifesto del Futurismo». Anche la seconda avanguardia italiana di quegli anni, la Metafisica, in embrione nasce a Parigi, dove Giorgio De Chirico, il massimo rappresentante del movimento, svolse parte della sua a=vità giovanile. L’arte esplode, si sente libera di agire, di sperimentare… cadono le certezze… il Rela3vismo eins3ano inizia ad influenzare il pensiero… nasce la Psicanalisi… l’Esistenzialismo inizia a porre l’accento sul caraZere precario dell’esistenza… le immagini, di conseguenza, traducono sempre più ciò che ha sede nelle coscienze, allontanandosi da una visione naturalisi3ca della realtà. Il mo3vo di questa rivoluzione ar3s3ca c’è: è la nascita della fotografia! Nel corso dell’OZocento, la nascita, prima della fotografia e poi della cinematografia, permeZe la riproduzione della realtà con strumen3 tecnici pressoché perfe=. Ciò toglie alla piZura uno dei suoi scopi ritenu3 specifici: quello di riprodurre in immagini la realtà. Compito che passa di neZo alla fotografia, la quale sempre più va acquisendo una propria dignità ar3s3ca; ci si affranca dal “PiZorialismo” e si va in cerca di una fotografia “pura”, libera da ogni orpello piZorico, volta alla rappresentazione direZa della realtà. Ecco, quindi, che a Parigi ci si può imbaZere nei grandi ar3s3 di genio come Apollinaire e i cubis3 Braque e Picasso, piuZosto che i primi surrealis3, Modigliani e Kandinski, gli americani Gertrude Stein e Hemingway, Man Ray e Cocteau… E tan3 altri… Ma forse era più facile rintracciarli ai tavolini di un bistrot, verso l’alba, che nei loro studi, perché ques3 ar3s3 non avevano solo un talento fuori del comune, erano sopraZuZo anima3 da una travolgente vitalità. Ad aZrarli sulle due rive della Senna era la sete di vita e di libertà, erano il vino e le belle ragazze, le amicizie e il sogno della fama e della gloria, il sapore eccitante delle polemiche e delle rivalità. E’ la strada che parla… è in essa che si può rintracciare il fermento rivoluzionario di inizio secolo! Se dunque l’arte abbandona la sua finalità primaria di rigida rappresentazione della realtà, chi avrà il compito di documentare ciò che la strada parigina vuole comunicare? Ma i fotografi! Non è un caso, quindi, che i maggiori fotografi di inizio secolo operino nella “Ville Lumière”. La Parigi di tu= “Eugène Atget” (Libourne, 12 febbraio 1857 – Parigi, 4 agosto 1927)
•  Un marinaio, aAore, piAore e fotografo che ci ha lasciato in eredità la ciAà degli angolini, dei vicoleG deserH, della strada inondata dalla luce del maGno, riflessa nelle vetrine e dissolta nelle vigneAature, realizzate dal 1897 al 1927 con il suo apparecchio fotografico 18 x 24 a soffieAo e lunghissimi tempi di posa. •  Eugène Atget è in realtà ben altro che il documentatore d’insoliH e piAoreschi angoli della sua ciAà; egli è il primo fotografo a liberarsi totalmente dalle convenzioni del PiZorialismo, per dare alla sua professione una nuova dignità, acquisita solo con i mezzi del suo specifico tecnico. E’ il primo fotografo nell’accezione moderna del termine, oltre che un reporter sociale ante liAeram. Il suo interesse nei confronH della quoHdianeità pose le basi della “Fotografia Umanista” •  Lontano dai cliché della Belle Epoque, lo speAatore potrà, quindi, scoprire le strade di Parigi di ieri, i giardini, la Senna, gli anHchi negozi e i piccoli mesHeri d’ambulanH. Tra il 1897 e il 1927 : Atget fotografa la vecchia Parigi, infaG le sue immagini mostrano la ciAà nelle sue varie sfacceAature: vicoli streG e corHli nel centro storico con i suoi vecchi edifici, alcuni dei quali erano da demolire, palazzi magnifici del periodo prima della rivoluzione francese, ponH e banchine sulle rive della Senna e negozi con le loro vetrine. Ha fotografato scale e deAagli architeAonici delle facciate e preso le immagini degli interni degli appartamenH. Il suo interesse si estese anche ai dintorni di Parigi. Oltre all’architeAura e all’ambiente urbano, ha anche fotografato i venditori ambulanH, piccoli arHgiani, collezionisH, straccivendoli e prosHtute, così come le fiere e le giostre. ConHnuando con i quarHeri periferici e le aree periferiche, rifugio dei più poveri senza fissa dimora. Le caraAerisHche disHnHve della fotografia di Atget sono da rintracciare: -­‐ nell’estenuante presenza del senso di luce causato dalle sue lunghe esposizioni; -­‐ il vuoto nella maggior parte delle sue strade; -­‐ le figure sfocate dovute alla sua tecnica an3quata, compresi i lunghi tempi di esposizione i quali richiedevano che molte delle sue immagini fossero effeAuate nelle prime ore del maGno prima dell’arrivo dei pedoni e del traffico. La Parigi libera “Robert Doisneau” (GenHlly, 14 aprile 1912 – Montrouge, 1° aprile 1994) •  E' considerato il rappresentante più famoso della cosiddeAa "fotografia umanista". •  Nasce in un sobborgo di Parigi, ciò segnerà profondamente la sua esteHca e il suo modo di guardare le cose. Inizia come incisore, seAore che abbandona presto per orientarsi verso la fotografia. Negli anni trenta sceglie dunque definiHvamente che quella sarà la sua strada. Lo sforzo maggiore è quello di donare dignità e valore alla fotografia, occupandosi in primo luogo di soggeG che non interessavano a nessuno e che non avevano nessun valore commerciale. •  Robert Doisneau, che ama paragonarsi a Atget, percorre fotograficamente le periferie di Parigi per “impossessarsi dei tesori che i suoi contemporanei trasmeAono inconsciamente”. E’ una Parigi umanista e generosa ma anche sublime che si rivela nella nudità del quoHdiano; nessuno meglio di lui si avvicina e fissa nell’istante della fotografia gli uomini nella loro verità quoHdiana, qualche volta reinventata. Il soggeZo predileZo delle sue fotografie in bianco e nero, sono i parigini: le donne, gli uomini, i bambini, gli innamoraH, gli animali e il loro modo di vivere questa ciAà senza tempo. La Parigi di Doisneau è allegra, gaia, esprime una forte voglia di vivere. La Parigi di noZe “Brassaï” Con la sua Voigtländer, Brassai ha registrato gli umori noAurni e le luci arHficiali dei lampioni creando dei veri e propri quadri nei quali la noAe più che mostrare le inquietudini dell’animo umano suggerisce un mondo che si è liberato della ragione diurna. Le sue fotografie non aggiungono nulla a ciò che i suoi occhi vedono, non rifleZono giudizi di valore,nè romanzano le vite dei protagonisH, sono semplicemente la documentazione direZa di un tesHmone interessato alla soAocultura e alla vita “segreta” di Parigi. • 
Una ciAà illuminata, dove già da molH anni i lampioni non erano più una novità, dove cominciava a risuonare nei vivaci e ambigui locali noAurni qualche nota jazz, migrata da oltreoceano nella terza classe di una nave arrugginita. Una ciAà dove parHvano deboli i primi segnali televisivi e venivano addiriAura installaH i semafori. Brassai, pioniere della fotografia noAurna, ci ha lasciato una tesHmonianza unica di queste strade della noAe parigina, ed era difficile, all’epoca, spiegare a qualcuno che usciva di noAe per fare delle foto… Figuriamoci riuscire a farlo diventare un lavoro e un’arte. All’inizio fu infaG viGma di diverse disavventure come scippi, aggressioni e più volte, per scappare, mandò in mille pezzi la macchina fotografica, ma piano piano imparò a muoversi disinvolto e sicuro, tra le vie secondarie e oscure della Belle Paris, come uno di quei signoroG usciH dal balleAo, o quel ladruncolo o quel pappone che andava fotografando dopo il tramonto. La noAe di Parigi era tuA’altro che dormiente, animata da prosHtute, clochard, amanH etero ed omo, operai al lavoro, forze dell’ordine e gangster, ed i suoi occhi stranieri avevano faAo un paAo con quesH noAambuli: inquadrarli tu= nell’eternità. Grazie ad un vagare senza meta per la ciAà, Brassai, ha costruito un vero e proprio studio sociale popolato di creature che popolano la noAe e solo di noAe assumono connotaH umani. Immagini spietate, dure, concentrate sul soggeZo senza perdersi in inuHli fronzoli; un occhio indagatore che punta driAo al nocciolo della quesHone. •  Non possedendo apparecchiature sofisHcate, la sua tecnica di ripresa è alquanto primiHva. Monta l’apparecchio a lastra (una VoigtländerBergheil 6x9) su un treppiede, apre la tendina e quando è pronto fa scaAare un flash a lampadina. È l’inventore della “posa Boyard”, calcolata secondo il tempo impiegato per fumare una sigareAa. Se le immagini che oGene non rispecchiano la luce reale, poco gli importa perché i risultaH che oGene sono sicuramente più vicini al suo modo di vedere le cose, un modo molto direAo e privo di pietà. Sostanzialmente egli non vuole caAurare il movimento, bensì l’essenza. •  Nonostante le frequentazioni surrealiste, Brassai mantenne sempre una certa distanza criHca dal movimento e dai suoi automaHsmi. Distanza che si conferma nelle sue foto, dove due sono gli elemenH principali e intrinsechi che si occupano di creare delle visioni del reale nel reale, come degli spazi rubaH, dei riflessi, delle duplicazioni: •  1) la luce noZurna ar3ficiale, libera o distorta dalla nebbia, una specie di occhio di bue che cade sulla scena realizzandola, senza inventare nulla; •  2) gli specchi, con il loro inquadrare fisso e inopportuno l’esistente; •  Il soggeAo deve restare la realtà e il genio al massimo deve avere la pazienza di caAurarla e ritagliarla, aspeAando i lunghi tempi di esposizione in noAurna, mai riplasmarla o esasperarla. Un vero e proprio realismo poe3co.