Il regalo più bello sei tu

Transcript

Il regalo più bello sei tu
IL ROMANZO
Laura ha quindici anni e non si è mai innamorata. Fino a quando non incontra
Federico. Laura è timida e impacciata, Federico imprevedibile e indecifrabile, ma
l’atmosfera del Natale che si vive nella casa di montagna dei nonni di Laura è la
chiave per superare ostacoli e delusioni e per capire qualcosa di più sull’amore, a
ogni età.
L’AUTRICE
Marianna Russo è nata nel 1980 a Salerno, avvocato e dottoranda in Diritto del lavoro,
unisce la passione per la giurisprudenza a quella per la scrittura. Nel 2011 ha
pubblicato la raccolta di poesie Come un aquilone al vento e nel 2013 E tutto
accadde... per una cravatta a pois, un romanzo per ragazzi.
Il regalo più bello sei tu
di
Marianna Russo
© 2014 Libromania S.r.l.
Via Giovanni da Verrazzano 15, 28100 Novara (NO)
www.libromania.net
ISBN 978-88-98562-63-3
Prima edizione eBook dicembre 2014
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta,
memorizzata o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo elettronico, meccanico,
in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione
scritta dell’Editore.
Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o
commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere
effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Corso di Porta
Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web
www.clearedi.org
L’Editore dichiara la propria disponibilità a regolarizzare eventuali omissioni o errori
di attribuzione.
Progetto grafico di copertina e realizzazione digitale NetPhilo S.r.l.
Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale e indipendente dalla
volontà dell’autore.
Il regalo più bello sei tu
Ai miei nonni
“Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio”
Eugenio Montale
I
Giovedì 20 dicembre
“Nonna, siamo arrivati!” e il trio scatenato di nipoti si precipitò tra le braccia della
cara signora che aveva spiato il loro arrivo tra le tendine ricamate della finestra.
“Finalmente!”, sospirò la nonna, “È più di mezzora che vi aspetto! A cosa servono
i telefonini, se poi non rispondete mai?”, ma il velato rimprovero lasciò subito il posto
ai baci e agli abbracci, a quelle dolcissime moine che solo le nonne sanno fare.
“Ma come vi siete fatti grandi! Mamma mia! Quasi quasi non vi riconosco più...
Siete diventati ancora più belli di quest’estate!”, e, soffocata da tre paia di braccia,
non riusciva neanche a sentire il coro delle giustificazioni: “Il pullman ha fatto ritardo
perché c’era un traffico incredibile... Il mio cellulare è scarico e il caricabatterie è in
valigia... E comunque non c’era campo perché il tragitto era pieno di gallerie...”
“Quanto ci sei mancata, nonnina!”, disse a nome di tutti Laura, la più grande,
mentre la stringeva in un abbraccio mozzafiato.
“Ma guarda un po’ questa signorina! Come ti sei fatta alta! Mi hai superato...” e il
disappunto lasciava il posto a un sorriso carico di compiacimento.
“Nonna, nonna, ti ho superato già da parecchio tempo, non ricordi? Ad agosto ero
già alta un metro e sessantasette”, rideva la quindicenne, scuotendo i lunghi capelli
neri.
“E a me non pensa nessuno?”, si lamentò un vocione proveniente dalla porta. Era il
nonno, che stava scaricando l’automobile da solo: “Prima tanti baci e abbracci e poi
mi avete dimenticato in un attimo...”
“Ti aiuto io, nonno!”, si offrì con slancio Matteo, un ometto di dieci anni, tutto
orgoglioso di sentirsi utile.
“E bravo il mio giovanotto! Lasciamo quelle tre signore alle loro chiacchiere e
facciamo vedere che ce la caviamo benissimo senza di loro.”
“Sicuro”, rispose il nipote, afferrando un borsone più grosso di lui e trascinandolo
nel soggiorno.
“Dov’è Rambo?”, si informò la piccola Simona, una bimbetta di sette anni,
affezionatissima al cucciolone di san Bernardo che i nonni avevano adottato qualche
anno prima.
“Eccolo qui”, annunciò la nonna, mentre il cane faceva il suo ingresso
scodinzolando, subito circondato da sei mani pronte ad accarezzarlo.
E sarebbero rimasti così per tutta la sera, se non li avesse distolti un profumino
inconfondibile, da far venire l’acquolina in bocca.
“Torta di mele?”, chiese Simonetta annusando l’aria.
“Torta di mele”, confermò Matteo rizzando le orecchie come Rambo.
“Grazie, nonna” e Laura stava già correndo in cucina a verificare (e magari
assaggiare) il loro dolce preferito, “è proprio quello che ci vuole dopo un viaggio.”
“Alt, fermi tutti”, li bloccò prontamente la cuoca, piazzandosi davanti alla porta
della cucina, “Prima si cena e poi si mangia la torta di mele.”
“Ma nonna! Solo un assaggino...”, ulularono all’unisono i nipoti, cercando di
impietosirla. E anche Rambo e nonno sembravano partecipare – forse non tanto
disinteressatamente – al loro tentativo di persuasione.
“Non se ne parla proprio. Andate a disfare la valigia, lavatevi le mani e poi di
corsa a tavola.”
Quando la nonna diceva “no” era inutile discutere e quindi tutti tornarono ai propri
posti, a testa bassa.
“Però una fetta di torta ci voleva proprio dopo questo pesantissimo lavoro...”, si
lamentava Matteo, scuotendo il braccio indolenzito.
“Pesantissimo lavoro? Ma hai portato solo una borsetta!”, lo rimbeccò la sorella
maggiore, legittima proprietaria della borsa in questione.
“Una borsetta? Ma se ci hai messo dentro un armadio intero!”, rispose
prontamente il fratellino, aggiungendo un “e ho solo dieci anni, io”, che significava
esonero totale da qualunque lavoro domestico.
“Hai dieci anni quando ti pare...”, continuò Laura, decisa a vincere a ogni costo la
disputa dialettica.
“Ma basta, voi due!”, fece appena in tempo ad interromperli la nonna, “Siete qui
da nemmeno dieci minuti e già litigate: che direbbero mamma e papà?”
I due ragazzi abbassarono lo sguardo: colpiti e affondati.
“A proposito di mamma e papà”, si intromise a quel punto il nonno, “ma non
dovevate chiamarli appena arrivati?”
“È vero!”, esclamarono in coro, precipitandosi al telefono contemporaneamente.
Povera cornetta in quell’intreccio di mani, strattonata da una parte e dall’altra:
“Chiamo io!”, “No, da’ a me, che sono la più grande!”, “Io, io...”
“Ho capito: è sempre la stessa storia con voi. Crescete solo in altezza... ma in realtà
siete sempre dei bambini”, sospirò la nonna, “Su, date a me, visto che non riuscite
neanche a telefonare senza litigare”, e compose il numero del cellulare della figlia,
che conosceva a memoria, visto che non passava neanche un giorno senza almeno un
paio di telefonate. Nell’ultimo periodo, poi...
Il nonno, seduto comodamente in poltrona, si godeva la scenetta: erano così belle
le visite dei nipoti! Il loro chiasso riempiva il silenzio di quel tranquillo paesino di
montagna e dava un senso alla loro casa così bella e grande, al crepitare allegro del
caminetto acceso, alla torta di mele che impregnava del suo profumo ogni angolo.
Il Natale non sarebbe stato Natale senza di loro, si sorprese a pensare. E
quest’anno, poi, la visita dei nipoti era stata anche anticipata di qualche giorno: invece
di aspettare le vacanze scolastiche e le ferie dei genitori, erano arrivati addirittura in
pullman, da soli, all’improvviso. Non gli era ancora chiara la ragione di questo
graditissimo fuori-programma perché, a ogni sua domanda al riguardo, il volto della
moglie si oscurava come il cielo prima di un temporale improvviso. E perciò aveva
rinunciato ad indagare oltre: i temporali in montagna possono essere molto pericolosi!
Comunque, due giorni di scuola in meno e di vacanza in più non avrebbero certo
fatto male ai suoi nipoti. E poi la vigilia di Natale li avrebbero raggiunti la figlia con il
marito e la bella famigliola si sarebbe ricomposta.
“Pronto, Annarita?”, iniziò la nonna, pressata da sei mani tese, imploranti la
cornetta, “Sì, sì, sono arrivati sani e salvi. Tutto bene. No, non preoccuparti, tesoro,
stanno facendo i bravi...”, e lanciò un’occhiata significativa ai nipoti.
“Allora te li passo subito, eccoli qui”, concluse la nonna, aggiungendo a bassa
voce: “In ordine di età, dalla più piccola alla più grande”.
“Mamma!”, esclamò Simonetta, quasi mangiando la cornetta, “Mamma, quando
vieni? Mi manchi già tanto! Sì, mammina, ti voglio tanto bene e voglio che vieni
presto anche tu dai nonni.”
Matteo, intanto, sbuffava e mugugnava “quante smancerie inutili”, mentre la
sorellina, imperterrita, continuava a sbaciucchiare la cornetta e a ripetere: “Ciao
mammina, ti mando tanti baci. Questo è per te e questo è per papà e questo è per tutti
e due...”
“Avanti il prossimo”: la nonna dovette adottare maniere forti per sottrarle la
cornetta ed evitare che passasse tutta la serata a baciare il telefono.
“Finalmente!”, sospirò Matteo, afferrando il ricevitore, che strofinò ben bene sulla
maglietta prima di accostare all’orecchio, visto che era tutto lucido della saliva della
piccola di casa.
“Ciao mamma! Sei ancora al lavoro? Qui tutto bene. Siamo arrivati poco fa. Eh sì,
il pullman ha fatto un po’ di ritardo, c’era un traffico bestiale. Certo che stiamo
facendo i bravi... abbastanza”, aggiunse guardando la nonna che a stento si tratteneva
dal ridere.
“Ma sì, è tutto sotto controllo, stai tranquilla. Ciao ma’. Ora ti passo Laura, ma fate
presto che è ora di cena e sto morendo di fame. E nonna ha anche preparato la torta
di mele!”
“Ma vedi tu che...” e Laura stava per mollargli uno scappellotto, ma preferì
utilizzare la mano per prendere la cornetta e rintanarsi in un angolino per parlare con
la mamma in maniera un po’ più riservata. Cosa molto difficile in una stanza con
quattro paia di occhi e orecchie concentratissimi su di lei. Ma perché i nonni non
avevano il cordless?! Così sarebbe potuta andare a parlare in un’altra camera, magari
al piano di sopra.
Erano passate solo poche ore da quando si erano salutate al capolinea degli autobus
extra-urbani della stazione di Roma Tiburtina, ma aveva una sensazione così strana
che non le permetteva di godersi serenamente questa inaspettata vacanza dai nonni.
Era come se i suoi genitori le avessero voluto nascondere qualcosa e aveva un triste
presentimento che le faceva venire un groppo in gola e le lacrime agli occhi.
“Noi stiamo benissimo, mamma. E lì come va, tutto bene? A che ora finisci il
turno? E papà? Sì, noi stiamo per cenare. Certo che aiuterò la nonna, non
preoccuparti, mamma! Sì, un bacione a te e a papà. Ci sentiamo domani, allora. Ciao
mamma”, e a malincuore lasciò il telefono.
“Era ora!”, esclamò il nonno, “Pensavo che volessi rimanere al telefono fino a
domani mattina.”
“Scusa, nonno, ma...” e corse a dare un bel bacione al vecchietto in poltrona.
“Ora va meglio”, annuì il nonno, “mi sentivo un po’ trascurato.”
Non l’avesse mai detto!
L’orda dei tre nipoti gli si buttò tra le braccia e sulle ginocchia in una confusione di
“ma che dici, nonno!”, “non è vero”, “noi ti vogliamo tanto bene”.
E il nonno accarezzava quelle testoline brune con un sorriso di beatitudine: così
doveva essere il paradiso, un abbraccio infinito. Una full-immersion di amore, altro
che nuvolette e angeli dai boccoli d’oro!
“Mi dispiace dover interrompere questa scenetta da libro Cuore”, si intromise la
nonna con finta severità, anche se in realtà si stava sciogliendo dalla tenerezza, “ma
sarebbe meglio andare a disfare i bagagli se non vogliamo cenare a mezzanotte.”
Il nonno, seppure a malincuore, le diede ragione: “In effetti, si sta facendo tardi. É
meglio sistemare le vostre cose prima di cena”, e si sciolse dai dolci tentacoli che lo
avvinghiavano.
“Prima il dovere e poi il piacere”, sentenziò Matteo, alzandosi per primo
dall’affollata poltrona.
“E va bene...”, lo seguì Laura senza troppa convinzione.
“Ma devo proprio?”, insistette Simonetta: non le andava di disfare i bagagli da sola.
Era la prima volta che partiva senza la mamma!
“Su, amoruccio di nonna, ti aiuto io a disfare la valigia, vieni con me” e le tese la
mano con un bel sorriso incoraggiante, che sortì l’effetto desiderato.
“Eccoci!”, e la piccola, seguita dal fedele Rambo, era già sul primo gradino della
scala che portava al piano-notte della grande casa dei nonni.
“Allora, ragazzi, Laura e Simona dormiranno nella camera a destra”, esordì la
nonna con voce da guida turistica.
“Nella camera di mamma da ragazza: che bello!”, trillò la più piccola, battendo le
mani per la contentezza. Finora, nelle vacanze dai nonni, aveva sempre dormito nella
stanza degli ospiti con mamma e papà: questo era un segno che stava diventando
grande!
“E Matteo, invece, andrà nella cameretta di zio Gianni da ragazzo”, continuò la
nonna.
“E perché io devo andare nella stanza più piccola?”, brontolò il diretto interessato.
“Forse perché tu sei uno e noi siamo due?”, lo rimbeccò prontamente Laura.
“Non c’è problema, Matteo: se vuoi dormire tu con Simona, vai con lei nella
camera grande e Laura dormirà nella stanza di zio Gianni”, la nonna aveva sempre
una soluzione per tutto. Ecco perché il nonno l’aveva soprannominata l’“ingegnera”.
“Non sia mai! Voglio dormire da solo: sono un uomo, io”, fu la risposta decisa di
Matteo, tra le generali risate delle “donne”.
“Va bene, visto che abbiamo deciso la disposizione delle stanze per le prossime
due settimane, potete anche sistemare le vostre cose negli armadi, così liberiamo la
casa dalle valigie disseminate ovunque”, sospirò lanciando uno sguardo alle scale
invase da trolley , borsoni e zainetti dai colori sgargianti.
“Subito!” e iniziò il parapiglia generale dei “questo è mio”, “no, no, è mio”, “dove
hai messo le mie scarpe da pioggia?”, “di chi è questa sciarpa?”, “che fine ha fatto la
mia bambola?”
Il nonno tornò al piano inferiore ridacchiando: non ci riusciva proprio ad
arrabbiarsi, questa confusione era così bella, piena di vita.
Simonetta fu la prima a finire di “sistemare”: rovesciò tutto il contenuto della
valigia sul letto, recuperò la sua preziosa bambola dai lunghi capelli biondi e corse giù
per le scale seguita da Rambo. “Nonno, eccomi! Ho già finito, sono veloce, io.”
Laura sospirò: non bastavano tutti i suoi maglioni da piegare e riporre nei vari
cassetti, doveva mettere a posto anche i vestitini della sorellina. Neanche la nonna
riuscì a trattenere una smorfia di disappunto: ci sarebbe voluta almeno mezzora per
riordinare tutto e la cena era al piano inferiore che attendeva di essere messa a punto
per sfamare ben cinque bocche.
“Nonna, non preoccuparti, ci penso io”, sorrise la ragazza con fare rassicurante,
“vai pure a preparare la cena. Appena ho finito scendo e ti aiuto ad apparecchiare la
tavola.”
“Va bene, tesoro, allora vado”, le rispose grata la nonna: non avrebbe proprio
saputo dove mettere le mani tra tante magliettine, gonnelline, collant di tutti i colori
dell’arcobaleno... Ai suoi tempi le bambine avevano giusto un paio di alternative per i
giorni feriali e l’abito della domenica: la sua nipotina, invece, aveva un guardaroba
degno di una principessa!
E poi a Laura faceva piacere restare un po’ da sola, appropriarsi di quella camera
così graziosa, tutta di legno, con le tendine rosa alla finestra e le pareti tappezzate di
quadretti con paesaggi innevati e prati sconfinati trapuntati di fiori variopinti. C’erano
gli stessi mobili che aveva usato la sua mamma e le sembrava quasi di sentire il suo
profumo e di vederla lì, alla sua età. Chissà quante volte la mamma aveva sognato tra
quelle pareti in attesa del principe azzurro, proprio come faceva lei!
Qualche anno prima, curiosando nei cassetti della piccola scrivania in noce, Laura
aveva scoperto un nome inciso nel legno con la punta di una penna: Giulio. Era il
nome del suo papà. E aveva provato una profonda tenerezza per quell’amore che
durava da oltre venti anni.
Sapeva che i suoi genitori si erano conosciuti a Roma, all’università, in un
laboratorio della facoltà di Medicina, e da allora erano stati inseparabili nella vita e
nel lavoro. Nessuno dei due le aveva mai raccontato come fosse stato il loro primo
incontro, in che modo fosse scoccata la scintilla, quando si fossero scambiati il primo
bacio e avessero capito di voler stare insieme per tutta la vita. Certo, sono cose
imbarazzanti da condividere con una figlia, ma le avrebbe fatto davvero piacere
conoscere qualcosa di più sulla loro storia d’amore. I suoi genitori, però, erano molto
riservati e, poi, i loro ritmi di lavoro in ospedale erano così intensi che lasciavano
molto poco tempo per le chiacchiere e i ricordi. In compenso, la nonna amava tanto
chiacchierare e, nelle sue mille storie di vita vissuta, le aveva raccontato qualche
aneddoto carino sui suoi genitori da giovani, alcune delle follie d’amore del papà per
poter vedere la mamma, le sorprese che le aveva fatto in un’epoca in cui non
esistevano telefonini e i fidanzamenti erano molto meno liberi di oggi.
Alla nonna era sempre piaciuto quel giovanotto con grandi occhi azzurri e un libro
come compagno inseparabile: “un ragazzo veramente studioso e responsabile, il più
bravo del corso di Medicina”, ripeteva compiaciuta. Era proprio affezionata al
genero fin da quando era soltanto il fidanzato della figlia: le era sempre piaciuta la
sua educazione, la sua solarità tipicamente campana, i solidi valori familiari,
l’attaccamento alla mamma, che era rimasta vedova quando lui era poco più di un
bambino e aveva poi raggiunto il marito in cielo pochi anni dopo il matrimonio del
figlio. E da allora Giulio si era legato ancor di più ai suoceri e aveva approfittato di
ogni vacanza per portare tutta la famiglia a Poggio Bustone, per respirare l’aria di
famiglia. “I nonni fanno tanto bene ai bambini”, ripeteva spesso.
“E la mamma, com’era la mamma?”, chiedeva immancabilmente Laura con gli
occhioni spalancati. E la nonna le mostrava orgogliosa le fotografie nascoste in uno
scatolone blu sull’armadio: le tirava fuori una a una, con delicatezza, come pietre
preziose, e le descriveva nei minimi particolari.
“Questa è la mamma nel giorno della Prima Comunione, insieme a zio Gianni:
com’erano belli nei loro abitini bianchi, dei veri angioletti! E questa è la tua mamma
quando aveva più o meno la tua età: eravamo in gita al mare e guarda com’era
contenta. E qui invece eravamo...”
Poi, ovviamente, arrivava Simonetta o Matteo oppure il nonno o una telefonata per
interrompere quel viaggio nel tempo e richiamarle alla realtà e alle tante cose da
fare in una casa grande abitata da una famiglia numerosa.
Laura era un po’ come la nonna, sognatrice e nostalgica, e sarebbe stata ore e ore
a fantasticare su quelle fotografie, alcune in bianco e nero, altre dai colori ormai
sbiaditi.
E avrebbe tanto voluto aprire il cuore con la facilità della nonna, condividere
quelle emozioni che le facevano vibrare le corde dell’anima, ma qualcosa la
bloccava: forse la timidezza, la paura di non essere compresa dalle amiche, quel velo
di tristezza che vedeva negli occhi della sua mamma e che si respirava in casa da un
po’ di tempo... A volte le sembrava veramente di scoppiare: aveva il Big Bang nel
cuore e, allora, scriveva e scriveva sul suo diario. Pensieri, poesie, disegni, pagine
fitte fitte di sogni e speranze, di viaggi meravigliosi fatti senza essersi mai mossa da
casa.
Le bastava avere un foglio bianco davanti e... magia! Aveva una storia da
raccontare, un’emozione da scolpire con l’inchiostro e le ore passavano senza quasi
accorgersene.
“Ma ti sei addormentata?”, la voce del fratellino la riportò alla realtà.
“Che vuoi, tu? Sempre ad impicciarti dei fatti miei!”, si risentì lei, come se Matteo
avesse potuto leggerle nel pensiero.
“Scusami tanto, ma a me non importa un fico secco di quante paia di pantaloni stai
mettendo nell’armadio. È nonna che mi ha chiesto di vedere che fine hai fatto e se
deve apparecchiare lei la tavola, visto che la cena è pronta da un pezzo e tu sei
ancora nella tua stanza”, e Matteo se ne andò borbottando.
Rassicurata, Laura si guardò allo specchio e sorrise: i pensieri non sono trasparenti,
meno male! E scese di corsa le scale: “Eccomi, sto arrivando”.
La sorellina proruppe in un “finalmente”, che la fece intenerire: la bimbetta era
davanti al camino con il coloratissimo calendario d’Avvento che la nonna le
confezionava con le sue mani tutti gli anni. Era un vero e proprio rito per la piccola di
casa, che non procedeva all’apertura della casella del giorno se non era presente tutta
la famiglia.
“Oggi è 20 dicembre, mancano cinque giorni a Natale” e la manina di Simonetta
era già pronta a scoperchiare la finestrella corrispondente per appropriarsi del
regalino nascosto: caramella, spilla, adesivo, gommina colorata... Non importava il
contenuto: era la sorpresa che le faceva brillare gli occhi.
“Aspetta, aspetta, cosa si fa prima di aprire?”, le ricordava sempre la nonna, “Un
canto a Gesù Bambino, perché a Natale arriva Lui, mica Babbo Natale”, e allora
iniziava lo stonatissimo tentativo di “Tu scendi dalle stelle”, in cui ciascuno dava il
proprio contributo come meglio poteva: Simonetta seria seria con le mani giunte
come una statuina di cera, Matteo con il suo playback spudorato, nonno mugulando
perché non riusciva mai a ricordare le parole, nonna e Laura cantando e sorridendo
per la dolcezza di quello spettacolo.
E il canto finiva sempre con un applauso: Simonetta per l’emozione saltellava con
il cartellone tra le mani e poi... zac! Ecco che la casella defenestrata dava alla luce
un bel torroncino al cioccolato.
“Buono! È il mio preferito” e la manina era già pronta a scartocciare il lucido
involucro.
“Ferma, ferma, signorina”, la nonna aveva la prontezza di un vigile all’incrocio,
“ora si cena e poi si mangiano tutti i dolciumi che vuoi, sempre che ti rimanga spazio
nel pancino, visto che ho preparato le polpette in brodo che ti piacciono tanto, il purè
di patate e la focaccia. Oltre alla torta di mele, naturalmente.”
“Mmmmh” fu la risposta generale di chi si leccava già i baffi, Rambo compreso,
che, accucciato sotto la tavola, aspettava qualche manina generosa pronta a passargli
di nascosto qualche polpettina, certamente più appetitosa dei croccantini e del pastone
che lo aspettavano nella sua scodella.
E un’oretta dopo erano tutti soddisfatti e sprofondati sui divani color nocciola. Tutti
meno una: la nonna che sfaccendava in cucina tra lo sciacquettìo di piatti e stoviglie
nel lavello, ma con la porta aperta per poter ascoltare tutte le chiacchiere e le risate
che invadevano il soggiorno.
“Com’è bello vivere in un paesino sperduto tra le montagne!”, dichiarò
all’improvviso Matteo, illuminato dalle fiamme del caminetto.
“È bello sì, ma vacci piano, ragazzino”, intervenne subito il nonno, montanaro doc,
“che ti credi di essere Heidi? Poggio Bustone non è per niente sperduto tra le
montagne, è un paese di tutto rispetto. Rieti è a portata di mano in qualche minuto di
automobile e, poi, questo paese ha dato i natali a...”
“Lucio Battisti, uno dei più grandi cantautori italiani”, risposero in coro i nipoti, che
si divertivano da morire a pungolarlo nel suo punto debole.
Anche la nonna rideva: eh sì, il marito non avrebbe lasciato quell’angolo di mondo
per nessuna ragione! Lì era nato, cresciuto, invecchiato e lì voleva morire. Per lei era
diverso: amava tanto quel paese e quella casa, ma il suo amore più grande erano i
figli. E ormai Gianni era a Milano per lavoro e Annarita era a Roma con la sua
famiglia e solo Dio sapeva quanto le sarebbe piaciuto fare la spola tra queste città per
dare una mano ai figli, che, anche se adulti e vaccinati, avevano ancora tanto bisogno
di lei. Ma come lo si smuoveva l’uomo delle nevi che aveva sposato quarantaquattro
anni fa?
“Sì, sì, fate gli spiritosi, ma mio fratello Mario, buonanima, che ha girato tutta
l’Italia perché faceva il militare di carriera, diceva sempre che non c’era un posto più
bello di questo”, e il nonno avrebbe continuato per ore la sua strenua difesa, se Laura
non avesse cercato di cambiare argomento toccando l’altro tallone d’Achille.
“Nonno, domani andiamo a comprare l’albero di Natale?”
“Certo. Ho già avvistato in un vivaio l’albero più bello e folto del paese. Così dopo
le feste lo piantiamo in giardino accanto agli altri e presto avremo una vera e propria
foresta di abeti.”
“Che bello!”, e Simonetta saltò dalla poltrona, “E possiamo mettere le luci colorate
anche agli alberi del giardino?”
“Le ho già comprate, ma aspettavo i miei aiutanti per sistemarle”, anche al nonno
brillavano gli occhi per l’entusiasmo: era un cultore dell’albero di Natale, lui.
“E com’è questo abete, nonno? È più grande di quello dello scorso anno?”, si inserì
Matteo. L’argomento “albero di Natale” non lasciava indifferente proprio nessuno.
“Molto più grande. Quando lo vedrete resterete a bocca aperta: l’ho prenotato da
un mese.”
“Confermo”, disse la nonna, “è stato un amore a prima vista e non c’è stato verso
di fargli cambiare idea e di dirottarlo, almeno quest’anno, su un bell’albero sintetico,
che non mi lasci aghi verdi ovunque: inizio ad avere una certa età e stare sempre a
spazzare non è proprio un toccasana per la mia schiena!”
“Ma nonna! Che dici? Tu sei la nonna più giovane e bella del mondo” e la
piccolina di casa le si strusciava addosso come una gattina che fa le fusa.
“E poi non saranno certo due aghi a farti stancare” e il nonno indicò il bazar in cui
si era trasformato il soggiorno dopo appena qualche ora dall’arrivo dei nipoti:
giocattoli e giornaletti disseminati ovunque.
“Avete già preso possesso della casa”, constatò la nonna e, scovando un peluche
sotto la tavola, chiese: “E cosa ci fa questo per terra?”
“Ma nonna! Quello è Rex: è lì apposta per fare compagnia a Rambo”, rispose
Simonetta, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
E il cagnolone (quello vero) sembrava confermare, scodinzolando attorno alla
padroncina del cuore.
“Ma guarda un po’!”, rideva Laura, “Rambo non ti vede da quattro mesi e ti sta
sempre incollato come se fosse la tua ombra! Com’è che vi trovate così bene
insieme?”
Matteo, che era sempre stato un po’ geloso dello speciale legame canino, rispose
prontamente: “Be’, è ovvio. Sono della stessa specie, no?!”, e tornò ai suoi fumetti,
fingendo un totale disinteresse per la sorellina e per il cane.
Simonetta non se la prese per nulla: tutta seria si spalmò sul suo cucciolone, quasi a
proteggerlo, dicendogli sottovoce di lasciarli perdere perché non capivano proprio
niente.
Il nonno dalla sua poltrona, con il giornale ormai letto e riletto sulle ginocchia,
sembrava il guardiano del faro e volgeva lo sguardo sui suoi nipoti, ora sull’uno ora
sull’altra, sorridendo sotto i baffi.
Laura nel giro di pochi mesi era sbocciata come una rosa e forse lei stessa non se
ne era ancora accorta: non più bambina, ancora non una donna, stava attraversando il
limbo dell’adolescenza, così difficile e delicato.
Matteo era ancora un bambinone: dieci anni non sono tanti anche se sai tutto di
play station e di Internet, se conosci a memoria la formazione della tua squadra e tutti
i gol del tuo campione preferito.
E che dire di quell’adorabile monella di Simonetta? Sette anni di vivacità e
dolcezza, era la “cocca” della famiglia e sapeva approfittarsene con una furbizia
degna di un adulto.
Era proprio fortunato ad avere tre nipoti così e, anche se gli dispiaceva non poterli
vedere tutti i giorni a causa della distanza e degli impegni di lavoro di figlia e genero,
sapeva che stavano crescendo in una famiglia sana e forte e questo lo consolava.
“Ragazzi, ma ancora non siete stanchi a quest’ora?”, la nonna ruppe l’idillio,
indicando significativamente l’orologio a pendolo che segnava le dieci e mezza.
In effetti, la piccola di casa si era già appisolata, abbracciata al suo amico peloso,
con la testolina su un cuscino rosa antico e i piedini arrotolati nel tappeto.
E anche Matteo, che fingeva di continuare a leggere il suo giornaletto colorato, a
stento riusciva a tenere gli occhi aperti e già da un po’ combatteva contro il sonno, ma
non poteva certo fare la figura del bambino: era quasi un uomo, lui.
E perciò cercò di recalcitrare un pochino: “Ma nonna! A casa vado a dormire
dopo le undici”.
“Ma oggi hai affrontato un lungo viaggio in pullman ed è normale essere più
stanchi del solito”, disse la nonna con fare conciliante: sapeva esattamente come
prendere quel furbetto assonnato.
“E va bene, solo stasera, però”, e, dopo due baci veloci ai nonni, era già sotto le
coperte a sognare la sua squadra del cuore.
Anche Laura stava leggendo, accucciata sulla poltrona con un bel plaid sulle
gambe, e non aveva proprio voglia di andare a letto, ma, mentre stava per protestare,
si rese conto che i nonni avevano le palpebre calanti e non vedevano l’ora di
coricarsi. E allora, sebbene a malincuore, infilò il segnalibro pieno di cuoricini a
pagina 27 del suo romanzo e augurò anche lei la buona notte.
Si avvicinò alla sorellina e cercò di sollevarla dolcemente: “Simo, sveglia! Così
soffochi Rambo. Poverino! Vedi che anche lui ha sonno e vuole andare a dormire?”
“Ho sonno, tanto sonno...”, mormorava la piccola senza nemmeno aprire gli
occhioni, azzurri come quelli del papà.
“Qui c’è bisogno di un uomo”, si fece avanti il nonno, che prese in braccio la
nipotina e la portò al piano di sopra, preceduto dalla nonna, già pronta con il
pigiamino rosa tra le mani.
“Buona notte, tesoro della nonna, fai tanti sogni belli” e le stampò un bel bacio sulla
guanciotta.
E davvero stava facendo dei sogni bellissimi, pensò Laura entrando nella stanza
qualche minuto dopo, visto che Simonetta sorrideva come un angioletto, stringendo al
cuore il peluche di Rex.
“Buona notte”, le sussurrò all’orecchio, rimboccandole delicatamente il piumone.
“Eh sì, ora sono proprio sola”, si disse indossando il pigiama, caldo e avvolgente
come una nuvoletta, e ciabattando silenziosamente per non svegliare la sorellina.
Era tutto pronto per dormire, ma mancava la cosa principale: il sonno!
Si sentiva così bene che si sarebbe messa a saltellare per la stanza, perché ormai
tutta la stanchezza della giornata e del viaggio si era magicamente dileguata insieme
alle preoccupazioni che la tormentavano da un po’ di tempo. Quei silenzi così pesanti,
quel nervosismo della sua mamma, le improvvise assenze del papà... sembrava tutto
così distante, come se in quella splendida casa di montagna nulla le potesse fare del
male, come se non potesse accadere nulla di brutto.
Si sentiva protetta, al sicuro.
“Si risolverà tutto”, si ripeteva: era quasi Natale e a Natale i desideri si avverano e
regna ovunque la pace e la gioia.
Estrasse dalla borsa a tracolla il suo prezioso diario, apparentemente un qualunque
quaderno dalla copertina blu, anonima, scolastica, ben poco invitante per quel
ficcanaso di Matteo... ma in realtà dentro c’era il suo piccolo mondo fatto di sogni e di
emozioni.
Lo aprì alla prima pagina bianca e si sedette alla scrivania di noce, proprio sotto la
finestra da cui filtrava una tenue luce.
Scostò le tendine rosa e lasciò lo sguardo libero di volare dai gerani rossi sul
davanzale alle cime innevate delle montagne all’orizzonte, dal chiarore pallido della
luna al buio della stradicciola.
“Quante stelle in cielo! E da qui si vedono proprio bene, forse perché non ci sono
tutte le luci della città”, e cominciò a contarle, “Una, due, tre, cinque... ma quella l’ho
già contata o no? Ricominciamo, è meglio. Stavolta parto da destra e starò più
attenta.” Ed era talmente presa da questo gioco infantile da non accorgersi della
presenza di un’altra luce oltre quella della luna e del lampione in fondo alla strada.
Una luce che diventava sempre più intensa mano mano che si avvicinava.
Era una motocicletta, cosa non consueta in quel luogo così tranquillo, e Laura
sobbalzò al rombo della frenata.
“E che ci fa qui una moto? Di chi sarà?” e schiacciò il naso contro i vetri della
finestra per guardare bene questa novità.
Nel buio della notte riuscì appena a distinguere una sagoma che stava alzando la
saracinesca del garage, con conseguente cigolio.
“Oh, finalmente qualcuno è venuto ad abitare nel villino accanto!”, pensò,
ricordando che l’estate scorsa c’erano dei lavori in corso e un via vai di operai, un
vero avvenimento in quell’oasi di pace.
“Chissà chi è ci è venuto ad abitare! I nonni non hanno detto proprio niente, forse
ancora non hanno stretto amicizia... boh! Speriamo che ci sia qualche ragazza della
mia età”, e, curiosa, allungò di nuovo lo sguardo sull’ombra che ora non era più
un’ombra, visto che era illuminata dal lampione.
Era un ragazzo.
Si sfilò il casco, rosso come la moto, e richiuse la saracinesca del garage,
cercando di fare meno rumore possibile.
“Ora entrerà in casa”, si disse Laura, spiando i suoi movimenti, “È tardi e i suoi lo
staranno aspettando in piedi, come fanno mamma e papà quando esco il sabato
sera”, e lo sguardo corse su per le pareti del villino alla ricerca di una finestra
illuminata, di un trepido occhio nell’oscurità.
Era tutto buio. Strano, forse erano già tutti a letto.
“Vabbe’, si vede che è grande e per questo i genitori non lo aspettano svegli. E poi
è un ragazzo...”, e scrollò il capo sconsolata, impotente di fronte all’evidente mentalità
maschilista, purtroppo ancora troppo diffusa.
Intanto il misterioso ragazzo era ancora nel cortile, incurante del freddo pungente.
Si era seduto sul muretto di mattoni, proprio dove tante volte Laura aveva giocato
con i fratellini, e la luce del lampione lo illuminava in pieno.
Poteva distinguere distintamente i capelli bruni, il jeans, il giubbotto di pelle, la
sigaretta accesa tra le mani, la testa rivolta al cielo, forse per guardare la luna, forse
per contare anche lui le stelle.
Senza neppure accorgersene, Laura aveva scostato entrambe le tendine e fissava
spudoratamente il nuovo vicino, seguendone ogni gesto.
Come mai non entra? Che abbia dimenticato le chiavi? No, non è possibile: in tal
caso avrebbe bussato, anche a rischio di svegliare tutti. Mica può stare al freddo e al
gelo tutta la notte! Così si ammalerà di sicuro.
“Se stessi io là fuori a quest’ora mi giocherei di sicuro tutte le vacanze! Un bel
febbrone a quaranta non me lo toglierebbe nessuno.”
All’improvviso, come se avesse avvertito di non essere completamente solo, il
giovanotto si voltò verso la finestra di Laura, forse cercando quello sguardo che lo
stava accarezzando già da dieci minuti.
Non fece in tempo a nascondersi dietro le tendine: Laura rimase così, immobile e
trasognata, con il suo diario tra le mani e il naso schiacciato contro il vetro.
I loro sguardi si erano incontrati, ne era sicura: aveva sentito come una scossa.
E con un sorriso si staccò dal vetro e lasciò ricadere le tendine al loro posto.
Poi la penna corse veloce sulla pagina bianca del diario, lasciando dei segni neri:
“È bastato un tuo sguardo solo,
il bagliore veloce dei tuoi occhi castani,
e di colpo il mio cuore ha preso il volo
e ho scoperto che i miei sogni non sono vani.
Se un solo attimo ti può bastare
per donarmi questa gioia infinita,
cosa mi potresti donare
se trascorressimo insieme tutta la vita?”
Erano rime nate così, da sole, spontaneamente.
E non sapeva neppure se gli occhi del giovanotto fossero davvero castani: potevano
benissimo essere verdi, azzurri, neri... da quella distanza sarebbe stato impossibile
vedere un dettaglio del genere. In fondo, ciò che conta per un poeta è l’emozione. E
quella l’aveva provata veramente.
Chiuse il diario e lo nascose al suo posto.
Era ora di andare a dormire: si sdraiò nel suo letto, sommersa da un mare di
coperte.
Era al calduccio, eppure le sembrava di tremare: quel brivido non voleva proprio
lasciarla.
“È l’effetto dell’ispirazione. Sempre così quando mi viene una poesia”, si ripeteva
senza riuscire a convincersi.
E intanto, sotto la luna, un bel ragazzo bruno continuava a osservare quella finestra
dalle tendine rosa.
“Eppure ho visto qualcuno che mi stava guardando” e non si decideva ad andare
via.
“Be’”, concluse lanciando un ultimo sguardo, “ci rivedremo, piccola vedetta, puoi
scommetterci” e, sorridendo senza sapere perché, entrò in casa e chiuse la porta alle
sue spalle.