pdf - Gabriele Brucceri

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GABRIELE BRUCCERI
di Laura Luppi
Volti liquefatti, lineamenti distorti e assopiti cifrano l’immagine di una comunicazione
virtuale pervenuta attraverso una web-cam, simbolo dell’innovazione tecnologica di una
contemporaneità che, ereditando la tracotanza prometeica, cerca di superare i confini
spazio-temporali che la realtà crudelmente impone. Come l’antico mito greco insegna, il
presuntuoso tentativo di ottenere la perfezione, il raggiungimento ultimo del benessere
individuale e collettivo, allegoricamente rappresentato dapprima dal fuoco degli Dei
nelle sue valenze sia culturali che materiali, e successivamente dai progressi scientifici
qui evocati, condanna l’uomo alla punizione divina per l’oltraggio commesso. Dall’aquila
che divora le interiora del giovane eroe si giunge così all’altrettanto lancinante tortura
dell’impossibilità di raggiungere la serenità di una pacifica intesa, che si traduce nelle
tele di Gabriele Brucceri in una letterale quanto metaforica “Perdita di Connessione”. Il
disturbo visivo prodotto sullo schermo di un computer dai difetti di una connessione mal
riuscita e le graffianti sonorità di una traccia che si infrange in tonalità acute (“Glitch”)
generano una sensazione di intrepida ansia che, nel percorso libero dell’evoluzione emotiva, converge in uno stato di incontrollabile “Isteria”. Un’impalpabile confluenza di
percezioni equidistanti, prodotte dal sovrapporsi di differenti sensi, intrecciano il tessuto di opere come “Sinestesia”, dal greco synáisthēsis «percezione simultanea», in cui
la frammentazione del tempo modifica una forma, la «de-forma», la annulla e allo stesso
tempo la fissa in un’immagine di a-temporale piacere. La dimensione del sogno, dunque,
della sospensione della realtà che lascia irrompere liberamente l’affluenza e l’incongruenza di desideri, impulsi ed emozioni irrazionali quanto mentali, necessita uno stadio
di dormiveglia indotto, di soporifera anestesia, di atarassico assopimento della coscienza
che prende le sembianze di un’atassica “Narcolettica”. Svelare l’essenza di un momento
onirico si rivela un anagramma di difficile soluzione quanto l’interesse che da sempre
muove un artista verso la rappresentazione di sé, verso l’auto-prodursi e il reinventarsi
attraverso la propria genialità. A proposito del ritratto in pittura Jean-Luc Nancy scrive:
“Il soggetto del ritratto è il soggetto che è soggetto in quanto è a sé (presente
a sé), ed è a sé solo in quanto è colui che ritorna a sé dal di fuori della tela al
di dentro e dal di dentro al di fuori, dal momento che la più piccola superficie di
tela dipinta non è altro che l’interfaccia o l’incrocio di questo essere-a-sé”, e se
ogni autoritratto è anzitutto un ritratto “lo è prima di tutto nella misura in cui com-
pie il tratto dell’auto: il rapporto con sé”. In “Autoritratto III” Brucceri riscopre il suo
«tratto dell’auto» in uno sguardo che si disperde in lontananza e che si concede solo attraverso il filtro di lenti ottiche, in lineamenti che si dissolvono in una liquidità immateriale e soffocante quanto il formato prescelto. Il prolungamento orizzontale dell’immagine e la deformazione che ne consegue sono frutto delle ultime ricerche dell’artista, che
spinge la sua immaginazione oltre i confini dell’alchimia, oltre la superficie visibile della
carne, per riprodurre la frammentazione molecolare del tessuto epidermico. In opere
come “Fluido Sottocutaneo” i tratti di un volto subiscono violenza, vengono disciolti in
una deturpazione materica ottenuta grazie all’interagire di tecniche accademiche, tra
cui l’olio e l’acquarello, stese con libere pennellate su una base plotterata. Le ricerche
sperimentali di David Hockney influenzano l’arte di Gabriele Brucceri nell’ideazione di
un’immagine che, nonostante la sua scomposizione, non rinunci all’unicità dell’oggetto
raffigurato. Del tutto autonoma è la scelta di toni chiari e ombre brune che addolciscono
l’effetto di una sconcertante metamorfosi, ponendo in questione il rapporto del soggetto
con la sua identità, con la superficie di un’apparenza che funge da involucro di un «io»
da preservare e custodire, per “tenderlo a sé, fuori di sé” (Nancy). Corposità acquitrinose, destrutturazioni organiche e sguardi disincantati riflettono l’instabilità dei moderni rapporti sociali, che si instaurano attraverso le maschere che i nuovi strumenti di comunicazione permettono di indossare. L’illusione di una lontananza impercettibile e di
una vicinanza realistica, ma solo virtuale, preannuncia la necessità di interloquire in
modo ponderato e razionale con le potenzialità di tecnologie sempre più avanzate. Dal
punto di vista formale, infine, Brucceri dimostra che il loro utilizzo, dalla fotografia digitale alla progettazione grafica, se concepito nei termini di un equilibrio funzionale al
fine artistico, non annulla, bensì innalza e fortifica la pittura tradizionale, concedendole
ancora la possibilità di percorrere infinite strade.