Tesi di laurea: LA CHIESA DELL` ANNUNZIATA NUOVA E IL

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Tesi di laurea: LA CHIESA DELL` ANNUNZIATA NUOVA E IL
Università degli Studi di Palermo
Facoltà di Architettura
Corso di Laurea in Architettura 4/S
A.A. 2012-2013
Tesi di laurea:
LA CHIESA DELL’ ANNUNZIATA NUOVA
E IL CONVENTO DEI DOMENICANI A COLLESANO
Il rilievo per la conoscenza
Relatore:
Tesi di Laurea di:
Prof. Arch. Nunzio Marsiglia
SALVATORE TERMOTTO
Correlatore: Arch. Giuseppe Verde
Alla mia famiglia
INDICE:
INTRODUZIONE:
1
CAPITOLO 1:
GENESI ED EVOLUZIONE STORICO-URBANISTICA DI COLLESANO
1.1
Dalle origini arabo-normanne alla conquista
angioina
1.2
La crisi del Trecento: il Regno aragonese di Sicilia e
i Ventimiglia a Collesano
1.3
1.5
10
La ripresa economica, demografica ed urbanistica
del Quattrocento
1.4
3
13
Espansione urbanistica e nuove istituzioni religiose
nel Cinquecento
21
Edifici civili e religiosi tra il Seicento e il Novecento
25
CAPITOLO 2:
I DOMENICANI IN SICILIA
2.1
Profilo storico: dall’ insediamento alla soppressione
delle corporazioni religiose
30
CAPITOLO 3:
I DOMENICANI A COLLESANO
3.1
Il primitivo insediamento domenicano in Contrada
Gioppo
3.2
36
L’ Insediamento e la presenza dei Padri Predicatori
nel complesso dell’ Annunziata nuova (1553-1866)
39
3.3
La confraternita del Rosario
44
3.4
Il patrimonio storico-artistico
46
CAPITOLO 4:
LA CHIESA DOMENICANA DELL’ ANNUNZIATA NUOVA
4.1
Caratteri generali dell’ architettura domenicana
4.2
Le vicende costruttive del complesso dell’ Annunziata
49
nuova dalle origini al Settecento
52
4.3
La ricostruzione primo-ottocentesca della chiesa
57
4.4
Le vicende costruttive della chiesa del primo
Novecento
62
CAPITOLO 5:
LA TRASFORMAZIONE DEL CONVENTO IN PALAZZO MUNICIPALE
5.1
Da Convento domenicano a Palazzo Municipale:
storia di una fabbrica
69
5.2
L’ ingegnere-architetto Giovanni Salemi Pace
71
5.3
Il progetto di trasformazione del Convento
78
5.4
La pavimentazione dei locali del Palazzo Municipale
93
CAPITOLO 6:
GLI INTERVENTI DEL PRIMO NOVECENTO:
IL PROGETTO DELL’ INGEGNERE LUIGI CASTIGLIA
6.1
L’ ingegnere Luigi Castiglia
6.2
Il progetto: isolamento, drenaggio e decorazione
del prospetto del Palazzo Municipale
96
102
CONCLUSIONI:
111
BIBLIOGRAFIA:
113
ELABORATI GRAFICI:
119
INTRODUZIONE:
A seguito dell’ emanazione della legge sulla soppressione delle
corporazioni religiose del 7 luglio 1866, che permise al nascente Stato
italiano di incamerare un ragguardevole numero di edifici da
destinare ad attività di interesse pubblico, anche a Collesano si
prospetta l’ opportunità di trovare una sede appropriata per lo
svolgimento dell’ attività amministrativa: quello che fino ad allora era
stato il convento dell’ ordine dei Domenicani diventerà il Palazzo
Municipale della comunità. Il complesso, costituito dalla chiesa
dell’ Annunziata Nuova (nota come chiesa di S. Domenico o del
Rosario) e l’ adiacente Palazzo Municipale costituisce, assieme alla
basilica di S. Pietro, l’emergenza architettonica più significativa del
centro madonita. Il complesso, prospiciente sull’ asse viario di
attraversamento principale, è ubicato in posizione centrale e funge
da “cerniera” tra i quattro quartieri storici da un lato e l’espansione
sette-ottocentesca del centro abitato dall’ altro. La trasformazione
ottocentesca da convento a municipio, ma fino agli ultimi decenni
del Novecento anche Caserma dei carabinieri e sede della Pretura
circondariale, testimonia tra l’ altro la volontà di affermare anche
simbolicamente il pensiero liberale del tempo: il passaggio da edificio
religioso a sede del potere civile locale trova espressione visiva nelle
due torrette laterali munite di merli ghibellini. Eppure il Palazzo
Municipale non è mai stato oggetto di studio storico-architettonico,
mentre la chiesa è stata attenzionata soltanto per alcune opere
d’arte in essa custodite (tele documentate dello Zoppo di Gangi e del
pittore locale Giovanni Giacomo Lo Varchi).
La ricerca archivistica e
il rilievo architettonico costituiscono, a tal
proposito, strumenti fondamentali per la lettura della complessità di
un manufatto che ha subìto un radicale cambio della destinazione
d’uso: tale trasformazione, tuttavia, pur producendo variazioni
planimetriche in alcuni suoi ambienti, non ha stravolto l’impianto
1
iniziale dell’edificio; inoltre, dai documenti rinvenuti è stato possibile
accertare che la cinquecentesca chiesa dell’ Annunziata nuova è
stata oggetto di una radicale ricostruzione ai primi dell’ 800: questo
aspetto era stato completamente rimosso dalla memoria collettiva e
storica della comunità. La costruzione del complesso domenicano,
inquadrato nello svolgersi dell’espansione urbanistica di Collesano
anche in relazione all’insediamento degli altri ordini regolari è stata
focalizzata nell’ambito della storia e dell’affermarsi dell’Ordine dei
Padri Predicatori in Sicilia.
2
CAPITOLO 1:
GENESI ED EVOLUZIONE STORICO-URBANISTICA DI COLLESANO*
1.1
Dalle origini arabo-normanne alla conquista angioina
L’ origine e l’ubicazione dell’attuale centro abitato di Collesano
risale all’epoca normanna ed è conseguente alla distruzione,
avvenuta prima del 1140, del centro arabo-normanno collocato sulla
sommità del Monte d’Oro, a circa un chilometro ad ovest dell’attuale
sito1. L’antico centro è noto alle cronache e ai geografi medievali
musulmani come Qal’ ât ’ as Sîrat (Rocca della Strada) e lo stesso sito
viene citato nelle fondamentali opere di Michele Amari sulla
dominazione islamica in Sicilia2. Dopo la conquista normanna
dell’ isola (1060-1091), Qal’ ât ’ as Sîrat assume la denominazione di
Golisanum, come riportano le cronache e la diplomatica normanna
dei conquistatori latini. Rainolfo, feudatario del centro e cognato dello
* Abbreviazioni e misure utilizzate:
Archivi:
ASPa = Archivio di Stato di Palermo
ASPC = Archivio Storico Parrocchiale Collesano
ASCC = Archivio Storico Comunale Collesano
Monete:
Onza = 30 tarì = 600 grani = 3600 denari
Misure di lunghezza:
Canna = 8 palmi = cm. 206
Palmo = cm. 25,8
Oncia = 1/12 di palmo = cm 2,15
Su Collesano nel Medioevo cfr. Giuseppe Tamburello, Collesano nella storia, nelle
cronache, nei documenti, Acireale 1893; Illuminato Peri, I paesi delle Madonie nella
descrizione di Edrisi in “Atti del Convegno Internazionale di Studi Ruggeriani”,
Palermo 1955, pp. 627-660; Rosario Termotto, Collesano dai Normanni ai Ventimiglia
in I Ventimiglia delle Madonie, Atti del I seminario di studio, Geraci Siculo 8/9 agosto
1985, Geraci Siculo 1987 e bibliografia ivi citata.
2 Michele Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, a cura di Carlo Alfonso Nallino,
Catania 1933-1939; idem, Biblioteca arabo-sicula, Palermo 1982 (ristampa
anastatica).
1
3
stesso re Ruggero II, viene coinvolto in una congiura baronale
antimonarchica che si conclude con la totale sconfitta della sua
fazione; questa viene privata dei possedimenti in tutto il Regno di
Sicilia che allora comprendeva pure parte dell’Italia meridionale.
In questo quadro politico l’ antico centro abitato viene raso al suolo e
il nuovo insediamento viene ricostruito attorno al sito tuttora occupato
dal castello, vero fulcro generatore del nuovo borgo. Esso viene
affidato al controllo di Adelicia (a volte citata come Adelasia), nipote
del re Ruggero II, che nei documenti coevi viene appellata col
termine di domina.
Per lungo tempo, in epoca normanna la maggior parte della
popolazione di Collesano rimane di lingua e cultura musulmana,
mentre permangono significative presenze di cultura greco- bizantina,
mai estinta del tutto durante la dominazione araba in alcune zone del
Val Demone. A Collesano i bizantini si raccolgono attorno all’abbazia
basiliana di Santa Maria de pratali grecorum (S. Maria di Pedale) che
ancora nelle collette pontificie del 1308-1310 presenta clero di rito
greco- bizantino. D’altra parte, erano stati proprio di origine
collesanese i santi della chiesa greca Saba, Macario e Cristoforo che
intorno all’ anno Mille si erano dovuti rifugiare in Italia Meridionale. San
Saba è oggi venerato come protettore della cittadina campana di
Oliveto Citra.
Abbazia di S. Maria di Pedale
4
Inizialmente, anche a Collesano, i dominatori normanni costituiscono
la minoranza della popolazione, un piccolo gruppo di classe dirigente
che fa perno sulla chiesa di S. Pietro, dotata dalla domina Adelicia
con un forno e sei villani, tutti musulmani.
Il primo documento noto sulla dominazione normanna a Collesano è
del 1140 e si riferisce alla consacrazione della chiesa sopra
menzionata da parte di Drogone, vescovo di Squillace, che interviene
con il consenso del vescovo di Cefalù Jocelmo3.
La chiesa di S. Pietro sarà sicuro punto di riferimento per la
progressiva latinizzazione del territorio e a tale obiettivo concorrerà il
sostegno della cattedra vescovile di Cefalù; a questa diocesi
Collesano
appartiene
sin
dalla
fondazione
del
1131,
mentre
inizialmente faceva parte della diocesi di Troina e poi di quella di
Messina. La chiesa normanna di S. Pietro non corrisponde all’attuale
chiesa madre, dedicata pure all’apostolo e costruita nei primi
decenni del Cinquecento, ma quasi certamente coincide con
l’attuale chiesa di S. Maria la vecchia; questa, dedicata all’Assunta
come
buona
parte
delle chiese
medievali madonite
(Polizzi,
Castelbuono, Petralia Sottana, Sclafani), mantiene il titolo di chiesa
madre fino al 1543 per poi diventare soltanto chiesa parrocchiale,
titolo che detiene almeno fino a metà Settecento, ma che perderà
successivamente. Recenti lavori di consolidamento hanno riportato
alla luce un portale, databile al XII-XIII secolo che rivela un diverso
orientamento iniziale dell’edificio: infatti, questo, sembra aver subito
una modesta rotazione pur mantenendo la direzione canonica estovest.
Benedetto Passafiume, De Origine Ecclesiae Cephaleditanae Eiusque Urbis et
Dioecesis Brevis Descriptio, Venezia 1645 (Ristampa anastatica Palermo 1991), p. 55.
3
5
Chiesa di S. Maria la Vecchia e il particolare della guglia maiolicata
In questa fase, tuttavia, è possibile notare due fenomeni che
caratterizzano la comunità collesanese: la presenza bizantina è
profondamente radicata tanto che, come appare dalle sottoscrizioni
dei diplomi normanni, le conversioni religiose dei musulmani vanno a
lungo in direzione della chiesa greco- bizantina e non latina;
i musulmani hanno profondamente colonizzato e inciso il territorio nei
circa due secoli di dominio, tanto che tuttora permangono parecchi
toponimi di origine araba, come Cubba (qubbah, specie di volta o
cupoletta per coperchio alle sorgenti d’acqua), Cottonaro (quţún,
luogo destinato alla produzione di cotone) o Favara (fawwāra, getto
d’acqua, sorgente), Galbonogara (nuwwarāh, aia di zucche,
cocomeri)4, Cammisini (vento forte del deserto), Zubbio (zubyah, fossa
profonda per far cadere in trappola gli animali selvatici, dove il
cacciatore si pone in agguato)5, Burgitabus, Burgifuto (burğ, torre,
abitazione in pietra in un giardino)6
Girolamo Caracausi, Arabismi medievali di Sicilia, Palermo 1983, pp. 195-196;
197-198; 224; 306-308.
5 Michele Amari, Storia dei Musulmani cit. vol III, p. 906.
6 Per i toponimi Burgifuto e Burgitabus cfr. Giovan Battista Pellegrini, Onomastica e
toponomastica araba in Italia in G. B. Pellegrini, Illuminato Peri, Studi e documenti
sull’onomastica araba in Italia, Firenze 1962 che chiarisce che la radice burğ indica
una comune origine araba, con significato di torre, accompagnata da un
4
6
Altro edificio religioso che sembrerebbe risalire all’inizio della
dominazione normanna a Collesano (1063) è la chiesa di S. Nicola,
prima matrice, il cui sito oggi non è identificabile. Secondo la
storiografia locale7, i primi abitanti latini di Collesano venuti al seguito
dei Normanni sarebbero di provenienza barese ed avrebbero
introdotto nella comunità il culto di S. Nicola, primo patrono del centro
madonita. Quel che è certo è l’esistenza, fino ad oggi, di una
cinquecentesca statua lignea del santo che veniva condotta in
processione e la permanenza, nell’Archivio Storico Parrocchiale
locale, dei libri dei conti della chiesa stessa: questi datano dalla
seconda metà del Cinquecento ai primi del Settecento quando si
estingue del tutto la confraternita che regge la chiesa, avviata a
rapida distruzione. Inoltre, sarebbe legata ai baresi la denominazione
di Bagherino (Bavarino)8 ovvero il primo quartiere storico, cinto da
mura e sviluppatosi attorno al castello.
L’ edificio più rappresentativo del quartiere citato è certamente
il castello che trova un primo riscontro documentario in un diploma
del 1194, quando, poco prima della transizione dalla dominazione
normanna a quella sveva, esso viene donato da Guglielmo III alla
chiesa di Palermo. Il castello costituisce non solo un baluardo militare,
ma anche il centro amministrativo di riferimento per un territorio
vastissimo che da un lato lambisce il mare con l’attracco di Roccella
(Sahrat ' al Hadîd, la Rupe di ferro, di cui parla il geografo Edrisi) e
dall’altro si incunea profondamente fino alle vette delle Madonie,
determinante non sempre di chiara comprensione, p. 25. E’ il caso dei toponimi
citati. Vedi pure G. Caracausi, Arabismi medievali cit., pp. 134- 136.
7 Rosario Gallo, Il Collesano in oblìo ravvivato alla memoria dei posteri colle notizie
delle sue glorie dal buio dell’antichità estratte alla luce da una geniale applicazione
del sac. D. Rosario Gallo per accrescerne l’amore ne’ cuori de suoi compatrioti,
MDCCXXXVI, ff. 55- 56, manoscritto presso Archivio Storico Parrocchiale di Collesano.
8 Come ipotesi di studio, appare opportuno notare che Michele Amari, pur non
riferendolo a Collesano, riporta il toponimo arabo Bâb al- Haģģârîn come Porta dei
tagliapietre. (Storia dei Musulmani, cit. p. 893). Ed in effetti, ancora oggi nel quartiere
di Bagherino si accede tramite una porta i cui stipiti presentano caratteri manieristici
tardo-cinquecenteschi, ma l’accesso, con altre caratteristiche stilistiche, potrebbe
essere stato ubicato in loco anche secoli prima. Collesano ha pure avuto una
importante tradizione di maestri lapicidi fino a tutto Cinquecento.
7
ricche di pascoli e
boschi, passando per latifondi cerealicoli,
caratterizzati dalla presenza di importanti mulini, come quello di
Fundeca nel territorio dell’odierno comune di Scillato.
Come prassi consolidata, il re Ruggero II affida i punti nevralgici del
proprio dominio a familiari o a esponenti del suo stretto entourage.
Collesano, che non ha ancora il titolo di contea, viene affidato alla
nipote Adelicia, soltanto domina, cui il titolo di contessa che le è stato
riferito potrebbe derivare dal marito Rainaldo Avenel. Adelicia è
certamente ancora in vita nel
1161 e si spegne prima del 1181.
Successivamente Collesano si trova sotto il dominio di Ruggero de
Aquila, conte di Avellino.
Quanto al castello, i pochi studi9 che ad esso si sono riferiti hanno
evidenziato un impianto trapezoidale con corte interna e quattro torri
angolari con merlatura; la porta laterale di accesso presenta un arco
delimitato da una duplice serie continua di laterizi in cotto, posizionati
di taglio. Ciò ha fatto pensare ad una possibile presenza di
maestranze di cultura bizantina nel cantiere iniziale.
I ruderi del castello e la porta laterale d’ accesso
S. Aiello, G. Mauro, Il Castello di Collesano in Castelli dimore cappelle palatine
inediti e riletture di architetture normanne in Sicilia, a cura di Anna Maria Schmidt,
Palermo 2002, p. 43. Per una vasta bibliografia sul castello cfr. Camillo Filangeri ad
vocem Collesano in Castelli medievali di Sicilia Guida agli itinerari castellani
dell’isola, coordinatore Ferdinando Maurici, Palermo 2001, pp. 315-316.
9
8
Dopo varie trasformazioni, fino a diventare un palatium, il castello
comincia ad essere abbandonato in seguito al disastroso terremoto
che nel 1693 sconvolge la Sicilia centro-orientale. Dopo essere
appartenuto alle varie famiglie feudali che si sono succedute nel
dominio di Collesano, oggi, allo stato di rudere, ciò che rimane del
castello è di proprietà comunale.
Con la discesa degli Svevi, Collesano si ritrova in mano a una
delle più potenti famiglie feudali del tempo, segno del peso
riconosciuto al centro nel contesto regionale. Schieratosi con Enrico
VI, Paolo Cicala, già conte di Alife e Caccamo, nel 1203 è investito
dall’imperatore e re di Sicilia anche della contea di Collesano. In
questo periodo Giovanni Cicala, fratello del conte Paolo, sale alla
cattedra vescovile di Cefalù (1195-1216) e in tale qualità riceve dallo
stesso Paolo la baronia di Roccella con il castello marittimo, non
riuscendo, più tardi, ad evitare di entrare in contrapposizione con
l’imperatore Federico II. A Paolo, nella contea di Collesano, succede il
figlio Andrea che la detiene soltanto con il titolo di dominus, mentre
nel 1246, ritrovandosi coinvolto in una congiura antimonarchica,
perde del tutto il dominio e il potere.
La contea di Collesano passa così sotto il diretto controllo del
demanio regio.
In epoca sveva Enrico Ventimiglia detiene la contea di Geraci e
ottiene Collesano dal re Manfredi. Le vicende della conquista
angioina della Sicilia portano alla dispersione delle forze ghibelline e
nel 1269 Enrico Ventimiglia, dichiarato ribelle da Carlo d’Angiò, deve
riparare in Aragona. Collesano, assieme ad altri centri, viene
assegnata alla nuova feudalità di origine francese: prima a Simone di
Monfort e poi
a Giovanni de Bullasio che ne prende possesso nel
1271.
9
1.2
La crisi del Trecento: il Regno aragonese di Sicilia e i Ventimiglia
a Collesano
Con la Guerra del Vespro (1282), dopo lo sbarco a Trapani di re
Pietro d’Aragona, tutte le comunità siciliane vengono chiamate a
supportare lo sforzo dello scontro militare contro gli Angioini. Come gli
altri centri, anche Collesano è chiamata a contribuire in natura,
dovendo versare al collettore regio 100 salme di frumento e
altrettante di orzo, oltre a 50 bovini, 200 ovini e 50 suini. Queste cifre,
confrontate con quelle degli altri centri del comprensorio madonita,
collocano Collesano tra i primi contribuenti del circondario alle spalle
soltanto di Polizzi e di Caltavuturo, nettamente davanti alle Petralie, a
Geraci, a San Mauro, mentre altri centri di minore consistenza
demografica ed
economica
(Pollina, Isnello, Gratteri,
Ypsigro-
Castelbuono, Montemaggiore) non vengono toccati dalla colletta.
Il documento relativo10, oltre a dare una scala di grandezza tra i vari
centri, mostra anche la chiara vocazione cerealicola di Collesano e
l’importanza che in esso assumono il pascolo e il bosco; dal contributo
pecuniario che la comunità dovette versare al collettore regio, gli
storici hanno dedotto che Collesano consistesse in circa 300 fuochi
(nuclei familiari), con una popolazione complessiva stimabile perciò in
circa 1200 persone. Anche queste cifre pongono Collesano ai primi
posti nel comprensorio madonita.
L’esito della guerra del Vespro con la vittoria degli aragonesi sugli
Angioini riporta le Madonie nella sfera di influenza dei Ventimiglia di
Geraci, famiglia feudale al cui dominio sarà sottoposta Collesano
(salvo brevi periodi in cui appartiene ai Siracusia e poi ai Palizzi) per
quasi tutto il Trecento, fino all’instaurarsi della monarchia spagnola.
Franco D’Angelo, Terra e uomini della Sicilia medievale (secoli XI- XIII) in Quaderni
medievali, 6, dicembre 1978, pp. 51-94.
10
10
Nel 1337 anche Collesano entra a far parte della contea di Geraci in
potere di Francesco I Ventimiglia, mentre nel 1354, per “gemmazione”
dalla contea di Geraci, nasce la contea di Collesano affidata a
Francesco II Ventimiglia: questa comprende Collesano, Gratteri,
Caronia, il castello di Monte S. Angelo (Gibilmanna) e il feudo di
Buonvicino (Isnello).
Nel ‘300 le vicende di Collesano si intrecciano con le fortune alterne
della famiglia Ventimiglia raggiungendo l’ apice del potere politico,
militare e territoriale con Antonio Ventimiglia; questi è uno dei quattro
vicari che, di fatto, controllano tutta la politica del regno di Sicilia
raggiungendo un tale potere da esautorare, in determinati periodi,
l’ autorità della stessa monarchia aragonese di Sicilia.
Il Trecento, in Sicilia, si caratterizza come periodo di grande instabilità
politica (lotta tra le fazioni feudali latina e catalana), militare (guerra
contro gli angioini di Napoli che a varie riprese dura circa 90 anni) e
fortissima crisi demografica (la peste nera di metà secolo decima la
popolazione). Tutto ciò non può non avere pesanti influenze anche su
Collesano, tanto che per tutto il secolo non si registra alcuna nuova
fondazione religiosa, segno tangibile di chiara crisi socio- economica.
Sul finire del Trecento, quando la Sicilia è di fatto divisa in quattro zone
di influenza (governo dei Vicari, tra cui il conte di Collesano e Geraci
Antonio Ventimiglia), le galee aragonesi sequestrano l’erede al trono,
Maria, figlia del re di Sicilia Federico il Semplice, che viene data in
sposa a Martino il giovane, nipote del re Pietro d’Aragona. Morto
Martino senza eredi (1409), il regno di Sicilia passa al padre Martino il
vecchio che è anche re d’Aragona. Da questo momento la Sicilia
perde ogni autonomia politica, fino a quando il nuovo re, Ferdinando
di Castiglia, nel 1415 manda nell’isola il primo vicerè, sancendo per
sempre la fine del regno di Sicilia e inserendo l’isola nel quadro
dell’impero spagnolo.
In tale contesto politico-economico l’unico edificio di rilevanza
architettonica che, nel Trecento, viene edificato a Collesano è la torre
11
di guardia, oggi congiunta con la cinquecentesca chiesa madre, che
i caratteri costruttivi avvicinano alla torre campanaria della chiesa
madre di Petralia Soprana, databile pure ai primi del XIV secolo.11
Secondo lo storico collesanese Rosario Gallo, la torre nasce a difesa di
un percorso-itinerario nei pressi di un “lago e folto bosco e passo di
ladri”.
La torre di guardia
C. Filangeri, Dall’agorà al presbiterio Storia di Architetture della Sicilia, Palermo
1988, pp. 79-80.
11
12
1.3
La ripresa economica, demografica ed urbanistica del ‘400
L’ inizio del Quattrocento vede una svolta epocale nella storia
della Sicilia che, pur perdendo l’autonomia, si mette alle spalle un
lungo periodo di guerre, lotte civili e crisi di ogni genere ed, entrando
in un contesto più ampio, beneficia di quello che è stato definito un
lungo periodo di “restaurazione e pacifico stato”12.
La contea di Collesano, smembrata da quella di Geraci, con
l’avvento della monarchia spagnola viene affidata al valenzano
Gilberto Centelles, venuto in Sicilia al seguito dei Martini, esponente di
rilievo del nuovo ordine, tanto che in seguito sarà vicerè di Sicilia.
Gilberto viene vanamente contrastato dal casato Ventimiglia; suo
figlio, Antonio Centelles, successivo conte di Collesano fino al 1444,
non sottostando ai disegni matrimoniali di re Alfonso, viene dichiarato
ribelle e perde definitivamente la contea che viene assegnata a
Pietro Cardona, esponente di primo piano della grande feudalità
iberica.
La nuova situazione politica pone le premesse per una condizione di
pace e prosperità di cui beneficia anche Collesano dal punto di vista
economico
e
demografico,
con
significativi
risvolti
in
quello
urbanistico.
Dopo la stasi urbanistica e costruttiva del XIV secolo, il Quattrocento si
caratterizza a Collesano per la fondazione di importanti istituzioni
religiose dalla durata secolare.
E’ in questo secolo, anche se in data non conosciuta, che bisogna
porre la costruzione della chiesa di S. Sebastiano e Fabiano (oggi nota
come chiesa del Collegio), la prima chiesa sorta fuori la porta di
Bagherino, che un documento iconografico seicentesco presenta
con un orientamento diverso dall’attuale.
12
I. Peri, Restaurazione e pacifico stato in Sicilia 1377-1501, Roma- Bari 1988.
13
Tela: Giuseppe Perdichizzi, Sacra Famiglia, 1688, Collesano, Chiesa di S. Pietro
La chiesa, per secoli retta dalla confraternita eponima, è a lungo al
centro di importanti avvenimenti civili: da essa, nel giorno festivo del
santo (20 gennaio), prendeva il via la sfilata a cavallo della locale
Accademia degli Offuscati guidata dal Principe della stessa, secondo
i
Capitoli
confermati
nel
1657
dal
marchese
della Ginestra,
governatore degli stati dei Moncada13.
La chiesa del Collegio o di S. Sebastiano e Fabiano
R. Termotto, L’Accademia degli Offuscati di Collesano in Collesano per gli
emigrati, a cura di R. Termotto e A. Asciutto, Castelbuono 1991, pp. 129- 133.
13
14
A corroborare l’ipotesi dell’impianto quattrocentesco della chiesa
concorre la datazione della statua di S. Sebastiano, fatta risalire
concordemente dalla critica ai primissimi del Cinquecento.
Nel Quattrocento sorge nella stessa piazza l’importante chiesa di
S. Giovanni Battista, affidata alla confraternita omonima, che finirà
per imporre il proprio toponimo a tutta l’area, denominata ancora
Piano di S. Giovanni per tutto l’ Ottocento (oggi Piazza Rosario Gallo).
Per secoli essa è stata la piazza principale del paese dove a lungo si
sono
svolte
le
celebrazioni
festive
in
onore
del
santo,
con
rappresentazioni sacre, corse di cavalli e soprattutto la fiera franca.
Chiesa di S. Giovanni Battista prima del crollo del marzo 1932 e
il capitello con le insegne araldiche dei Cardona
Intorno al 1472, la chiesa di S. Giovanni Battista viene ingrandita con
l’aggiunta di una seconda navata, per iniziativa di Pietro Cardona
che fa scolpire le proprie insegne araldiche in una colonna della
chiesa stessa14.
14
R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. ff. 376- 378.
15
Verso sud, serrata tra il Piano di San Giovanni e il Piano di San
Giacomo, con il nascente quartiere di S. Francesco in direzione
sud-est, nel corso del Quattrocento si sviluppa la contrada Osteri che
già nel toponimo lascia intuire la presenza di un palazzo fortificato di
cui oggi non è possibile la sicura identificazione, se non riferendosi
all’ intero isolato, successivamente frazionato, prospiciente sull’attuale
Piazza Osteri. La contrada si caratterizza fino a oggi dalla ripetuta
presenza di vicoli e viuzze tortuose che richiamano ancora ricordi
dell’urbanistica islamica. Punto di contatto tra la contrada Osteri e il
Piano di S. Giacomo è costituito dall’Ospedale, ampio fabbricato,
oggi sede dell’Opera Pia Abbate Gioeni, che dal 181315 fino alla
seconda metà del secolo scorso ha svolto funzioni sanitarie locali.
Nel 1451 a Collesano si insediano i Francescani Conventuali16. Essi sono
il primo ordine regolare che nel centro si stabilizza in un convento,
oggi del tutto scomparso, che può individuarsi all’incrocio delle attuali
via Bagherino e via del Collegio, in un sito che si rivelerà franoso, poco
distante dal torrente Mora.
Portale del Convento di S. Francesco
Vito Maria Amico, Dizionario Topografico della Sicilia, tradotto dal latino e
annotato da Gioacchino Di Marzo, Palermo 1855-58, (ristampa Sala Bolognese
1975), p. 341; Giuseppe Tamburello, Collesano nella storia, nelle cronache, nei
diplomi con notizie topografiche, Acireale 1893, p. 102.
16 Filippo Cagliola, Almae Siciliensis Provinciae Ordinis Minorum Conventualium
S. Francisci … Venezia 1644 (ristampa Palermo 1984), p. 105.
15
16
L’insediamento conventuale costituisce una presenza rilevante, tanto
che il secondo quartiere storico di Collesano, dopo Bagherino, sarà
denominato S. Francesco, come ancora viene ricordato fino all’inizio
del Novecento. Il convento resterà in vita fino all’ emanazione della
Bolla papale di Innocenzo X del 1649, resa esecutiva in Sicilia solo nel
1659, che impone la soppressione dei piccoli conventi. Tra i 108
conventi soppressi in Sicilia, 31 dei quali dei Frati Minori Conventuali,
figura anche quello di Collesano. Il 9 maggio 1662, i Conventuali
rinunciano, con regolare atto notarile, alla loro chiesa e convento di
Collesano in favore del locale clero secolare. Da quel momento la
chiesa di S. Francesco passa in rettorìa al clero della chiesa madre17.
In quegli anni nella chiesa di S. Francesco si insedia la Compagnia
dell’Immacolata e ad essa verrà in seguito dedicata la chiesa fino al
suo totale crollo di fine Ottocento.
Nello stesso quartiere di S. Francesco, presumibilmente all’inizio del
Cinquecento, si insedia il monastero benedettino femminile della
Concezione che verrà abolito nel 156818, per mancanza di mezzi di
sostentamento. Ancora nello stesso quartiere, non lontano dal
monastero, sorgeva la chiesa di S. Rocco, affidata alla confraternita
eponima, che nel 1767 risulta distrutta19.
Si può sottolineare che il toponimo S. Francesco, nel corso del tempo,
ha ceduto il posto a quello di Stazzone, utilizzato ancora oggi, perché
proprio in quell’area sorgevano le numerose fornaci dei ceramisti
collesanesi, attive sin dalla seconda metà del Cinquecento: per secoli
hanno fornito non solo materiale da costruzione come mattoni grossi,
imbrici, catusi, pantofole, ma anche vasellame d’uso domestico,
mattoni maiolicati e vasi d’aromateria che hanno soddisfatto le
R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. f. 397; R Termotto, Monachesimo a Collesano:
I Frati Minori Conventuali (1451- 1662) in Collesano per gli emigrati, cit. pp. 141- 143.
18 R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. ff. 480- 484; R. Termotto, Le Benedettine della
Concezione in Collesano per gli emigrati cit. pp. 153-154;
19 V. M. Amico, Dizionario Topografico, cit., p. 341.
17
17
esigenze locali, diffondendosi in tutto il comprensorio MadonieCefalù- Termini.20
Quartiere S. Francesco- Stazzone in una foto degli inizi del ‘900
Testimonianza del forte sviluppo demografico e urbanistico di
Collesano nel corso del Quattrocento, è la fondazione della chiesa di
S. Giacomo, affidata alla confraternita eponima. Essa sorge per
iniziativa di Pietro Cardona II, conte di Collesano tra il 1471 ed il 1522,
in quella che sarà fino a tutto Ottocento la Piazza Grande (oggi Piazza
Garibaldi). Le armi dei Cardona erano scolpite sull’architrave della
porta principale della chiesa. Con i Cardona prende vigore il culto di
S. Giacomo, sostenuto ovunque dalla grande aristocrazia iberica e
patrono di tutte le Spagne; S. Giacomo diviene patrono di Collesano,
celebrato con una imponente festa religiosa il 25 luglio di ogni anno
con solenne processione, corsa dei palii e con una fiera di 15 giorni la
cui franchizza viene concessa da Artale Cardona, figlio di Pietro,
conte di Collesano e marchese di Padula, che ne stabilisce le
modalità con documento del 26 giugno 1530 21.
R. Termotto, Per una storia della ceramica di Collesano in Mediterranea ricerche
storiche, 5, 2005, pp. 439- 474.
21 R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. ff. 382- 389.
20
18
Nel 1579 la chiesa di S. Giacomo si arricchisce di una guglia
maiolicata con laterizi locali, smaltati e colorati, che costituisce la più
antica attestazione di simili interventi costruttivi e decorativi in Sicilia,
contendendo a quella di S. Giovanni Battista la preminenza nello
sky-line di Collesano22. La guglia di S. Giacomo, la cui presenza è
testimoniata da antiche fotografie, è andata perduta agli inizi del
Novecento; quella di S. Giovanni Battista è stata rimontata nella
chiesa di S. Maria la vecchia nel 1935, quando forti movimenti franosi
avevano minato alle fondamenta la stabilità della chiesa.
La chiesa di S. Giacomo era anche al centro di importanti
avvenimenti civili poiché in essa si riunivano i 40 consulenti del
Consiglio Civico (10 gentiluomini, 10 mastri, 10 popolani e 10 borgesi)
per fissare le mete dei principali prodotti locali che allora erano
frumento, orzo, mosto e seta. Il Comune di Collesano (Università) per
lungo tempo paga alla chiesa una “tassa” annuale per l’uso delle
campane utilizzate per convocare i consulenti. Nella stessa chiesa, nel
giorno festivo del santo, veniva sorteggiata la cosiddetta “orfana Lo
Squiglio” alla quale veniva assegnato un legato di matrimonio (la
dote di 10 onze) istituito a fine Cinquecento dai Lo Squiglio di
Collesano che poi prenderanno il titolo di baroni di Carpinello e conti
di Galati Mamertino. Ancora alla fine del Settecento gli eredi Lo
Squiglio, i Gagliardo di Polizzi, verseranno regolarmente l’importo del
legato.
Col Settecento, la crisi generale che investe Collesano, come
testimoniano
anche
i
dati
demografici,
tocca
pure
l’antica
confraternita di S. Giacomo, una delle più antiche associazioni laicali
jacopee di Sicilia. Essa si estingue dopo circa tre secoli di vita, essendo
R. Termotto, Pittori intagliatori lignei e decoratori a Collesano (1570- 1696). Nuove
acquisizioni documentarie in Bollettino Società Calatina di Storia Patria e Cultura,
7- 9, 1998- 2000, p. 292.
22
19
esistente nel 1459, quando compare negli elenchi dei collettori
apostolici23.
Intanto Collesano cambia ancora patronato religioso: da S. Giacomo
alla Madonna dei Miracoli, dichiarata nuova patrona l’8 settembre
del 1641 24.
La Chiesa di S. Giacomo
Giuseppe Arlotta, Confraternite di S. Giacomo in Sicilia in Atti del convegno
internazionale di studi Santiago e la Sicilia, Messina 2-4 maggio 2003, a cura di
G. Arlotta, Perugia 2008, p. 300
24 R. Termotto, Note sul culto di Maria SS. dei Miracoli a Collesano in Collesano per
gli emigrati, cit. pp. 127- 128.
23
20
1.4
Espansione urbanistica e nuove istituzioni religiose nel ’500
Tra Quattrocento e Cinquecento Collesano conosce un
notevole sviluppo economico, demografico, urbanistico e ciò è
deducibile dal sorgere di nuove istituzioni religiose. Già a fine ‘400
viene avvertita l’insufficienza della vecchia matrice di S. Maria Assunta
e vengono poste le basi per l’edificazione di una nuova chiesa
madre: nel 1484 il vescovo di Cefalù, fra Giovanni Gatto, autorizza il
clero di S. Maria Assunta a spostarsi nell’ edificanda nuova matrice.
Nel 1513 la costruzione della nuova chiesa madre è già avviata, se il
papa Leone X, su istanza del conte Pietro Cardona, concede
indulgenza a chi offra una determinata somma (secondo le possibilità
economiche) o una giornata di lavoro per la costruzione della chiesa.
Nel 1543 il vescovo diocesano, Francesco Aragona, disciplina i
rapporti tra la nuova e la vecchia matrice lasciando a quest’ultima il
titolo di parrocchia: occorre tenere presente la distanza tra la nuova
matrice e numerosi quartieri del paese e l’aumento della popolazione
che renderebbe insufficiente una sola chiesa parrocchiale per
l’amministrazione dei sacramenti. Tutto trova una prima definizione nel
1548, quando, in data 8 aprile, viene consacrata la nuova matrice
sotto titolo di S. Pietro, ma detta anche di S. Maria la nuova per
sottolinearne la continuità con la precedente matrice; quest’ultima,
da allora in poi, sarà sempre denominata S. Maria la vecchia25.
Attorno alla matrice di S. Pietro, nel corso del Cinquecento si
svilupperà il terzo quartiere storico di Collesano, detto, appunto, di
S. Pietro che si aggiunge ai ricordati quartieri di S. Francesco, di
sviluppo quattrocentesco, e a Bagherino di impianto normanno.
Per la chiesa madre di Collesano cfr. R. Termotto, Guida alla Chiesa Madre
Basilica di S. Pietro, Collesano 2010.
25
21
La basilica di S. Pietro in una cartolina degli anni ‘90
Prima dell’agosto del 1507, viene edificato il monastero femminile
benedettino di S. Caterina26 (la Batìa), attorno al quale si svilupperà
l’ultimo quartiere storico di Collesano che prende nome dal
monastero stesso.
Chiesa di S. Caterina prima del crollo del marzo 1976
R. Gallo, Il Collesano in oblìo cit. ff. 484- 492; R. Termotto, Le Benedettine di
S. Caterina in Collesano per gli emigrati cit. pp. 155- 157.
26
22
I dati demografici, ora disponibili in serie continua, mostrano in
Collesano uno dei centri più sviluppati del comprensorio madonita. I
“fuochi”, cioè i nuclei familiari vanno dai 486 del 1505 ai 650 del 1533,
per passare agli 838 del 1548 ed attestarsi ai 1450 del 1570, anno nel
quale la popolazione risulta di 4496 persone per salire a 4767 nel 1584,
mentre la grande ondata di epidemia-carestia del 1591-92 fa
scendere a 3760 gli abitanti censiti nel 1593, con grossi vuoti che si
colmano già nel censimento del 1607 quando vengono registrati 4725
abitanti.27
Intanto Collesano è passato dal dominio feudale dei Cardona a
quello degli Aragona e quindi dei Moncada, attraverso una ben
ponderata politica matrimoniale.
Nonostante l’ondata di peste del 1555, (tela con la Madonna e i santi
Sebastiano e Rocco che intercedono presso il creatore per la salvezza
di Collesano, raffigurata nel dipinto), quella del 1575 (statua di
S. Rocco, protettore contro la peste e compatrono di Collesano) e la
spaventosa carestia-epidemia del 1591-1592 che vede la morte di
circa un quarto della popolazione, come dimostrano i registri dei
defunti dell’archivio parrocchiale, il Cinquecento è per Collesano il
secolo della grande espansione demografica e urbanistica. Si è in
presenza di una rapida ricostituzione del tessuto demografico con una
popolazione molto giovane e con un alto tasso di natalità che riesce
a coprire i vuoti, pur in presenza di un notevole tasso di mortalità
infantile. Del resto, non mancano altri segnali che denotano la
crescita del centro, a cominciare dalla costruzione del nuovo
convento domenicano entro il centro abitato intorno al 1550 (vedi
infra) e l’abbandono del vecchio che passerà ai carmelitani intorno al
La fonte dei dati demografici è in Rossella Cancila, Fisco, ricchezza comunità nella
Sicilia del Cinquecento, Roma 2001, pp. 419-424; per un accurato studio degli
aspetti demografici di Collesano cfr. Egidio Panzarella, Il Comune di Collesano,
Palermo 1996.
27
23
1585 per poi finire nel 1594 ai cappuccini28 che lo deterranno fino alla
soppressione delle corporazioni religiose del 1866.
Nello stesso secolo prende corpo un’ istituzione sanitaria e
assistenziale che attraverserà per quasi tre secoli la storia di Collesano:
l’Ospedale e Monte di Pietà; nella fase iniziale essi si appoggeranno
alla confraternita della Misericordia la cui chiesa, nelle adiacenze
della matrice di S. Pietro, sorge in quello che localmente è indicato
come Piano della Misericordia, nonostante la toponomastica ufficiale
lo indichi come Piazza Plebiscito. La confraternita della Misericordia
viene fondata nel 1539 per iniziativa del frate cappuccino romano
Francesco de Soriano29. L’ospedale è soprattutto un ospitium, luogo di
ricovero per malati e pellegrini di passaggio, ma si prende cura a
lungo anche dei numerosi trovatelli. Fino all’inizio dell’Ottocento esso
troverà sede nel Piano della Misericordia, per poi passare di fronte alla
chiesa di S. Giacomo30.
Nel Cinquecento si va completando l’espansione dei quattro
quartieri storici che vede l’espandersi del centro urbano attorno alla
chiesa e al monastero femminile benedettino di S. Caterina.
Sui passaggi del convento dai Domenicani ai Carmelitani ed infine ai Cappuccini
cfr. R. Gallo Il Collesano in oblìo, cit. f. 401, ff. 413-415.
29 La mia parrocchia, manoscritto del 1952-1953 presso Archivio Storico Parrocchiale
di Collesano, f. 58.
30 Sull’ospedale cfr. R. Termotto, L’Ospedale e la Compagnia della Misericordia nel
‘500 in Collesano per gli emigrati, cit. pp.123- 124; sul Monte di Pietà cfr. Idem, Cenni
sul Monte di Pietà, ivi pp. 125-126.
28
24
1.5
Edifici civili e religiosi tra il Seicento e il Novecento
Importante
intervento
architettonico
del
Seicento
è
la
costruzione della chiesa e del convento con chiostro (l’unico rimasto
a Collesano) di Santa Maria di Gesù, affidati ai Frati Minori Osservanti
Riformati31, che sorge con il sostegno dell’Università di Collesano e
della contessa Maria Aragona La Cerda e Cardona, moglie di
Francesco Moncada.
Il Comune sin dal 1604 delibera l’istituzione del nuovo convento
destinando alla fabbrica le entrate di alcune gabelle comunali per un
periodo di 12 anni; la contessa preme sul padre Visitatore dei
Riformati, ma la nuova fabbrica trova la ferma opposizione dei
Cappuccini locali che obiettano “l’inhabilità del Popolo a poter
mantenere due Conventi di limosine quotidiane”. Dopo un lungo iter,
tutto si conclude favorevolmente nel 1611 con l’emanazione di un
Breve Pontificio reso esecutivo in Sicilia il 10 gennaio 1612. Lo stesso
Pontefice Paolo V benedice la prima pietra del convento, ancor oggi
incastonata nel frontespizio della chiesa. Il Comune, quindi, concede
ai Frati Minori il Piano della Contessa nella contrada dei santi Cosimo e
Damiano, ove era ubicata una chiesetta eponima, ed un giardino ed
un bosco adiacente (oggi occupati da edilizia economica e
popolare) con atto del 3 febbraio 1612. La partecipazione alle spese
di costruzione del complesso conventuale da parte di singoli devoti è
testimoniata dalla presenza delle insegne araldiche delle famiglie
interessate nei 12 capitelli delle colonne del chiostro.
Il convento e la chiesa di Santa Maria di Gesù sorgono in aperta
campagna, nettamente distanziati dal centro abitato, ma in perfetto
allineamento col convento domenicano. I due conventi risultano
collegati da un’ asse rettilineo ai cui lati è avvenuto il successivo
completamento urbano.
R. Gallo, Il Collesano in oblìo cit. ff. 469- 480; R. Termotto, I Frati Minori Osservanti
Riformati di Santa Maria di Gesù in Collesano per gli emigrati, cit. pp. 158- 160.
31
25
Corso Vittorio Emanuele – Via Roma – Via Cavour
in una cartolina del primo ‘900
Dopo la soppressione delle corporazioni religiose del 1866 il
convento dei Riformati è stato adibito ai più svariati usi: prima
caserma militare, poi macello e carcere mandamentale ed infine
magazzini comunali. Solo recentemente il
complesso è stato
totalmente restaurato e recuperato per fini culturali, costituendo il
Polo Culturale di Santa Maria di Gesù, sede della Biblioteca
Comunale, dell’Archivio Storico Comunale e di ampi spazi espositivi e
di aggregazione socio-culturale.
I locali che costituiscono l’attuale convento, che ospita pochi religiosi,
sono stati edificati intorno alla fine dell’Ottocento (1892) in adiacenza
al lato sud della chiesa, col concorso di devoti collesanesi. Esso è
l’unico convento riaperto dopo le leggi di soppressione di metà
Ottocento. A metà del secolo scorso si è infine intervenuto con una
radicale trasformazione del prospetto della chiesa, finanziato col
contributo degli emigrati collesanesi nelle Americhe.
26
Chiesa di S. Maria di Gesù in una foto anteriore al 1950 e allo stato attuale.
Altro intervento rilevante del XVII secolo è la costruzione della Casa di
Città, sede dell’Universitas, ubicata nel quartiere S. Pietro, nelle
vicinanze della chiesa di S. Giacomo. I lavori iniziano intorno al 1666
ed essa rimane sede dell’amministrazione comunale fin dopo la
soppressione delle corporazioni religiose e la trasformazione in
municipio dell’ex convento di S. Domenico. Alla fine dell’Ottocento la
vecchia sede comunale ospita la Biblioteca Popolare Circolante,
mentre attiguo ad essa è il carcere mandamentale32. L’ edificio
venne totalmente demolito agli inizi del Novecento.
Il Settecento si caratterizza per una notevole crisi demografica ed
economica, probabilmente generata dal nascere e dallo sviluppo
delle vicine “città nuove” di Campofelice di Roccella, Lascari e Cerda
che, inevitabilmente, attraevano nuova popolazione anche da
Collesano. In questo contesto sono pochi e di scarso rilievo gli episodi
architettonici da segnalare. Tra essi va menzionato la costruzione del
Collegio di Maria, adiacente la chiesa di S. Sebastiano nel Piano di
S. Giovanni. La nuova istituzione si avvale del sostegno del vescovo
32
G. Tamburello, Collesano nella storia, cit., pp.101- 102.
27
diocesano Domenico Valguarnera e dell’impegno finanziario di vari
devoti, tra cui l’arciprete Rosario Gallo. Istituito nel 1738, dopo la
costruzione del nuovo edificio su lotti acquistati, il collegio viene
inaugurato nel novembre del 1742 con l’arrivo di sei suore da Marineo.
A lungo esso darà opportunità di istruzione alle giovani locali, anche
con scuola di musica e ricamo33. Oggi il Collegio è affidato alle Figlie
della Croce.
L’Ottocento post-unitario vede la qualificazione urbana del centro
abitato34 con vari interventi progettuali di affermati professionisti,
come l’ing. Emanuele Filiberto che nel 1870 progetta il basolato del
corso principale per circa 600 m di lunghezza e larghezza media di 6,
completato secondo altro progetto dell’ing. Giandalia.
Nel 1876, su progetto dell’ing. Diliberto D’Anna, vengono realizzate la
Fontana Due Cannoli e la Fontana Quattro Cannoli. Al citato
Emanuele Filiberto si deve anche il progetto di miglioramento e
ampliamento dell’Ospedale Civico collaudato nel 1884.
All’ingegnere-architetto Giovanni Salemi Pace, di cui si riferirà
largamente in seguito, si deve invece la progettazione nel 1878 del
cimitero comunale ubicato in quella che era stata la silva dei
Cappuccini fino alla legge sulla soppressione delle corporazioni
religiose. In quegli stessi anni venivano iniziati i lavori per le strada
provinciale di collegamento con Campofelice di Roccella da un lato
e con Castelbuono dall’altro.
I momenti salienti del completamento urbanistico del centro,
avvenuto nel corso del Novecento, sono costituiti dal sorgere del
quartiere delle Case Popolari negli anni ’50, in prossimità del convento
dei Frati Minori, dal disordinato sviluppo del quartiere denominato
La mia parrocchia, cit. ff. 66-72.
Sulla qualificazione ottocentesca cfr. Giuseppe Tamburello, Collesano nella storia,
cit.
33
34
28
localmente “Macallè” e quello che ha portato al completamento del
quartiere Cicci, in zona sud-ovest, solo recentemente urbanizzato.
Nonostante la presenza di “frequentissime cave di diaspro e di
porfido, talché di queste pietre veggonsi da ogni parte lastricate le
vie”35, come riporta Vito Maria Amico a metà Settecento, nel corso
degli anni ’60 e ’70 del Novecento quasi tutto il manto stradale viene
rimosso per essere asfaltato. Solo in tempi recenti si è in parte
provveduto a un opportuno ripristino con materiali della tradizione
locale.
Episodio architettonico rilevante è quello operato da Giuseppe
Spatrisano, uno dei protagonisti dell’ architettura siciliana del
Novecento, che nel 1954 viene incaricato dall’ Assessorato regionale
per l’ Igiene e la Sanità di redigere il progetto di un poliambulatorio
sito in viale Florio; l’ edificio, nel corso degli anni, ha cambiato
destinazione d’uso36.
Gli ultimi decenni del Novecento si caratterizzano per un costante
decremento demografico, che ha comportato un progressivo
abbandono del centro storico, cui si cerca di porre rimedio con
l’ approvazione di nuovi strumenti urbanistici.
V. M. Amico, Dizionario Topografico, cit., p. 339.
Vincenza Balistreri a cura di, Giuseppe Spatrisano Architetto (1899-1985), con scritti
di Raimondo Piazza e Agnese Sinagra, Palermo 2001, p.187.
35
36
29
CAPITOLO 2 :
I DOMENICANI IN SICILIA
2.1
Profilo storico: dall’ insediamento alla soppressione delle
corporazioni religiose
L’ Ordine dei Domenicani, nell’ Italia meridionale, vede la
propria affermazione durante la dominazione sveva. Nel 1217 la bolla
papale di Onorio III definisce i Domenicani “Frati Predicatori”. Fino a
quel momento gli unici ad avere il diritto alla cattedra, cioè a
predicare, erano i vescovi; ora anche i Domenicani vengono innalzati
allo
stesso
livello.
Accanto
alla
povertà
evangelica
e
alla
predicazione, il fondamento della loro regola diviene lo studio(libri
sunt arma nostrae militiae), pertanto lettori e studenti sono esentati da
ogni altro impegno.
Con il Capitolo di Bologna del 1220, i domenicani diventano un
ordine mendicante, caratterizzato da povertà assoluta che vive delle
elemosine questuate; tuttavia, ben presto, l’ordine abbandona
questa rigida regola e già all’inizio del Trecento i domenicani di
Palermo accettano beni immobili, terreni, legati, lasciti e denari. Fino
al Settecento i domenicani non tengono conto della povertà
individuale, anzi, le alte cariche tenute da molti frati all’interno della
Chiesa e della società (Inquisizione), la ricerca di privilegi, le dispense
fanno sì che gli stessi possano disporre liberamente di ogni bene.
Le varie disposizioni pontificie sulla povertà individuale, confermate
dal Concilio di Trento (1545-1563) vengono largamente disattese37.
L’ arrivo dei Domenicani in Sicilia non è puntualmente documentato,
ma il loro primo insediamento è quello di Messina collocato intorno al
1221, anno della morte del loro fondatore, lo spagnolo Domenico
Per una visione generale della presenza domenicana in Sicilia cfr. Matteo Angelo
Coniglione, La Provincia Domenicana di Sicilia. Notizie storiche documentate,
Catania 1937; Salvatore Cucinotta, Popolo e Clero in Sicilia nella dialettica Socio–
religiosa fra Cinque-Seicento, Messina 1986, in particolare pp. 360- 365.
37
30
Guzman, avvenuta a Bologna dopo lunghi anni di predicazione in
Francia contro l’eresia catara. Pochi anni dopo, nel 1234, Domenico
verrà elevato agli onori degli altari.
All’insediamento messinese seguiranno di lì a poco quelli di Piazza
Armerina, Augusta, Palermo, Catania e Trapani: questa successione
cronologica è confermata dal domenicano e inquisitore francese
Bernardo Gui (1261/62 – 1331) che nel 1304 redige un catalogo di tutti
i conventi domenicani allora esistenti38.
I primi conventi domenicani, secondo la tradizione degli ordini
mendicanti, sono ubicati lontano dai centri abitati. Durante la prima
metà del XIII secolo, in età federiciana, la loro presenza in Sicilia è
quasi irrilevante, anche perché sono governati da un Provinciale
residente a Roma che deve rendere conto a una curia papale
profondamente ostile all’Imperatore Federico II, anche re di Sicilia. Le
forti tensioni politiche e gli scontri papato–impero non possono non
avere influenze sull’ organizzazione della vita religiosa in Sicilia.
Successivamente,
in
altro
contesto
politico
generale,
saranno
domenicani i vescovi di Messina e Palermo.
Le vicende seguite al Vespro (1282) e la lunga guerra che ne segue
tra Angioini ed Aragonesi non facilita l’ organizzazione conventuale.
Con bolla di Celestino V del 1 settembre 1294, Clara Ordinis Fratrum
Praedicatorum Religio, la Provincia Romana viene separata dalla
Provincia Regni Siciliae:
quest’ ultima comprende sia
l’ Italia
meridionale, sottoposta politicamente agli Angioini che la Sicilia,
sottoposta agli antagonisti Aragonesi39.
I domenicani siciliani ottengono la loro completa autonomia solo nel
1378, quando il Capitolo Generale di Carcassonne istituisce la
Provincia domenicana di Trinacria (Sicilia). Solo ora i Domenicani di
Sicilia possono programmare nuove iniziative di apostolato e di cultura
Maurizio Randazzo, I Domenicani a Palermo. Storia dell’ insediamento in Marco
Rosario Nobile [e altri] La Chiesa di San Domenico a Palermo. Quattro secoli di
vicende costruttive, Palermo 2012, pp.11-15
39 Ibidem, p. 13.
38
31
con una dislocazione territoriale che diventa man mano più articolata
e più ricca di risorse patrimoniali. Poco dopo, il Provinciale fra Simone
del Pozzo viene nominato dal papa vescovo di Catania ed i
domenicani partecipano sempre più al dibattito culturale del tempo.
Lo Scisma d’Occidente coinvolge anche l’ ordine domenicano, al
punto che nel 1390 in Sicilia vengono tenuti due Capitoli contrapposti
con la nomina di due diversi provinciali.
Il XV secolo è il periodo dello splendore e del potere
domenicano in Sicilia con il controllo dell’Inquisizione e la carica di
confessori e cappellani di corte, nominati dal re. Fino all’epoca di
Ferdinando II, i domenicani sono oggetto di privilegi, donativi,
pensioni, ricoprendo anche cariche come quelle di giudici e
commissari della Crociata, commissari dell’Inquisizione e della Sacra
Congregazione dell’Indice40. Nei primi decenni del XV secolo la
subordinazione dell’ordine domenicano alla monarchia aragonese
sconvolge la vita regolare e conventuale: quasi per reazione, su
iniziativa di pochi frati dotati di grande sensibilità religiosa, si dà avvio,
con la fondazione del convento di S. Cita a Palermo (1428), al
movimento di Osservanza che si estende ad altri conventi domenicani
di Sicilia (Siracusa, Catania, Trapani, Polizzi etc). Una serie di
circostanze, però, condannano il tentativo riformatore dell’Osservanza
al pieno fallimento: nel 1496 il re Ferdinando II invia nell’isola quattro
Visitatori regi, tra i quali Rinaldo Montoro, poi vescovo di Cefalù;
l’abolizione della questua che era stata autorizzata dal papa Sisto IV;
le numerose concessioni di privilegi ai frati da parte dei Maestri
generali, con gravi discriminazioni spesso all’interno dello stesso
convento; denari da spendere ad arbitrio individuale, uso di rendite
familiari, amministrazione di proprie terre, subordinazione a principi e
baroni. Da ciò ne derivano una serie di esposti, liti, libelli,
contrapposizioni tra gli stessi frati di singoli conventi.
40
S. Cucinotta, Popolo e Clero, cit. pp. 360-365.
32
Nel 1503 anche in Sicilia viene estesa l’Inquisizione di Spagna e
quindi mal volentieri i domenicani lasciano il potere e i privilegi che
provengono loro dal controllo dell’Inquisizione Romana, vigente fino
allora nell’isola. Alla fine, la Riforma viene imposta dall’alto con la
visita, per la prima volta in Sicilia, dei Maestri Generali e dei Visitatori,
uno dei quali è padre Antonino Mattoncini della cui visita del 1587
disponiamo degli atti che costituiscono una radiografia dei conventi
di allora41. La situazione trovata dal Mattoncini è grave: nei conventi
più importanti molti godono di esenzioni di ogni tipo, esercitano
pressioni e raccomandazioni, amministrano proprietà e possiedono
molto denaro; nei piccoli conventi, invece, regna la miseria con
chiese deficitarie perfino di paramenti sacri; l’intervento di padre
Mattoncini prevede la revoca di privilegi ed esenzioni, il trasferimento
di rendite e beni personali in proprietà del convento, il divieto di
amministrare beni di parenti, il riesame di tutti i frati che hanno titoli
culturali con la riprovazione di parecchi esaminati e conseguente
abbandono e fuga di alcuni di essi.
Le linee della Riforma dell’ordine riguardano la formazione dei
novizi, l’organizzazione di ogni convento con un priore, un lettore e un
predicatore, l’invio a Roma dei frati più capaci per valorizzarne
l’attitudine allo studio. L’obiettivo è quello di riformare profondamente
l’ordine in Sicilia e riprendere un cammino secondo le esigenze della
modernità:
tuttavia,
non
mancano
altri
inconvenienti
come
l’eccessivo numero di frati titolati, fino ad arrivare ai cosiddetti Maestri
bollati, cioè titolati non per scienza, ma per bolla pontificia42.
Molte
delle
disposizioni
riformatrici,
tuttavia,
svaniscono
per
interferenze romane, intrusioni politiche dei re di Spagna e per il
Sulla Visita Mattoncini cfr. Stefano Lorenzo Forte, Visita Apostolica e Capitoli di
Sicilia 1587-88 in Archivum Fratrum Praedicatorum, volumen XLIV, 1974 ed inoltre
S. Cucinotta, Popolo e Clero cit. pp. 361-362 e M. A. Coniglione La Provincia
Domenicana cit.
42 S. Cucinotta, Popolo e Clero cit. pp. 362-363.
41
33
difficile rapporto monarchia-papato aggravato dalla formazione di
opposte fazioni (spagnola e francese).
La situazione dei conventi domenicani in Sicilia appare più
chiara grazie al censimento ordinato nel 1613 dal Maestro Generale
Agostino Secchi, che riporta i dati riguardanti il numero dei conventi e
i relativi introiti43.
Carta dei conventi e delle case domenicane esistenti nel 1613
Intorno alla metà del Seicento, i domenicani di S. Cita a
Palermo
intendono
lanciare
l’esperimento
di
un
collegio
di
predicatori, ma questo tentativo non avrà seguito.
A tal proposito Cucinotta sottolinea come “ I Domenicani non si erano
accorti che era finita ormai la predicazione aristocratica e che un
nuovo tipo, popolare e comprensibile a tutti era stato portato dai
Cappuccini anche nei villaggi, mettendo in crisi un certo tipo di
predicazione domenicana”44. I domenicani avevano, però, dato
S. L. Forte, La Provincia Domenicana di Sicilia nel censimento generale del 1613 in
Archivum Fratrum Praedicatorum, volumen XLV, 1975.
44 S. Cucinotta, Popolo e Clero cit. p. 363
43
34
corso
ad
attività
molto
importanti,
come la
diffusione
della
Congregazione del Rosario, le missioni popolari, l’istituzione di scuole
artium per alunni secolari nei loro conventi45.
Dall’esame
incrociato
dei
dati
disponibili
(censimento
Secchi,
Manoscritto Montalto46, Annali del convento di S. Domenico di
Palermo dovuti a Lorenzo Olivier e recentemente pubblicati47) si può
concludere, con il Cucinotta,
che nel 1650 vi sono in Sicilia 66
conventi domenicani, esclusi i tre di Malta che dipendono dal
provinciale di Palermo. E’ importante sottolineare che di essi soltanto
34 sono i conventi formati, aventi cioè almeno 12 religiosi, 29 sono i
vicariati perché non raggiungono tale numero e 3 sono i luoghi, dei
quali non è ancora terminata la costruzione con la loro comunità
religiosa che dipende da un altro convento già formalmente
costituito. Il passaggio giuridico da un tipo all’altro di denominazione è
posto in relazione alla disponibilità di dotazione e di rendite
immobiliari, dall’importanza e dall’estensione del centro abitato che li
ospita, dalle condizioni e capacità ricettiva del convento ed infine
dalla disponibilità dei frati a formare una comunità di almeno 12
religiosi.
Con la legge n° 3036 del 7 luglio 1866 relativa alla soppressione degli
ordini religiosi e alla confisca dei loro beni, anche l’ordine dei
domenicani viene soppresso e i beni incamerati dallo Stato; segue
l’ iniziale diaspora dei frati, mentre la loro riorganizzazione in ordine
religioso si mette in moto alcuni decenni dopo con la riapertura di
alcuni dei vecchi conventi. Attualmente i conventi domenicani di
Sicilia fanno parte della Provincia religiosa dell’Italia meridionale.
Sul ruolo dei Domenicani per la diffusione delle confraternite del Rosario cfr. M. A.
Coniglione, La Provincia Domenicana, cit., p. 361.
46 Giacinto Montalto, Notizie biografiche di Domenicani siciliani vissuti prima del
1639, trascrizione di Antonino Barilaro, a cura di M. Randazzo, Palermo 2008.
47 Lorenzo Olivier, Annali del real convento di S. Domenico di Palermo, edizione della
fonte manoscritta, introduzione e indici a cura di M. Randazzo, Palermo 2006.
45
35
CAPITOLO 3 :
I DOMENICANI A COLLESANO
3.1 Il primitivo insediamento domenicano in Contrada Gioppo
Lo storico locale Rosario Gallo, che era stato prima notaio e poi
arciprete, nel suo manoscritto48 del 1736 (documento N° 1), fa risalire il
primo insediamento domenicano intorno al 1450 nel “loco” di
contrada Gioppo, presso la chiesetta dell’Annunziata, ad ovest del
centro abitato.
Chiesa dell’ Annunziata vecchia
Lo storico citato, contrariamente a quanto fa abitualmente, in questa
circostanza non indica la fonte documentaria della sua affermazione,
ma lascia dei puntini di sospensione nel suo manoscritto che,
evidentemente, contava di completare.
48
Rosario Gallo, Il Collesano in oblìo, ms. cit.
36
E’ probabile che i primi Domenicani siano venuti a Collesano
dal vicino “loco” di Isnello49 i cui ruderi sono ancora visibili nella vallata
appena dopo la località Mongerrati, confusi con quelli dell’antica
Chiesa di S. Leonardo già appartenuta agli Agostiniani di S. Giorgio di
Gratteri in epoca normanna.
Secondo quanto riferisce Rosario Gallo, i Padri Predicatori
rimasero stanziali in contrada Gioppo solo per poco tempo,
abbandonando una prima volta
il loro “loco” per “l’ inclemenza
dell’aere”: è molto probabile che l’area dello Gioppo fosse malarica
se si fa riferimento al significato del toponimo Gioppo (Giuoppu in
siciliano, Jope in spagnolo, Jop in catalano) che indica “un insetto
che sta nell’umido”50; in effetti la località di ubicazione del convento si
trova nella zona in cui le acque del torrente Mora confluiscono in
quelle del
torrente
Roccella generando condizioni ambientali
insalubri. Ad aggravare questa situazione potrebbe anche aver
concorso l’ attività di macerazione del lino, come testimonia il
toponimo “Fiume di lino” col quale viene indicato quel tratto del
torrente Roccella.
Lo storico citato si rifà certamente a documenti consultati
quando afferma che i domenicani, ad istanza del conte di Collesano
Pietro Cardona II, tornarono nel 1501 nello stesso “loco” con il
consenso del vescovo di Cefalù, il domenicano Rinaldo Montoro
(1497-1511): “come appare per concessione in pergamena data in
Cefalù sotto li 20 aprile 1501, sedente Papa Martino, per la quale il
detto Vescovo li concede lo loco seu Convento sotto titolo della
santa Annunciata: aliquantulum distans ab Oppido qui alias fuit
preditto Ordini concessus et postea incuria fratrum derelictus”.
Tuttavia, occorre sottolineare come a partire dalla compilazione
del Manoscritto Montalto del 1639, tutti gli storici che hanno riferito
Carmelo Virga, Notizie storiche e topografiche d’Isnello e del suo territorio,
Palermo 1887, ristampa Palermo 1990, p. 63
50 Giuseppe Gioeni, Saggio di etimologie siciliane, Palermo 1885 (ristampa
anastatica Sala Bolognese 1984) ad vocem.
49
37
sulla data di insediamento del primitivo convento domenicano sito in
contrada Gioppo hanno indicato l’anno 1520 (R. Pirri, V. M. Amico,
M. A. Coniglione, S. L. Lo Forti, S. Cucinotta)51.
Lo stesso Manoscritto Montalto, nella parte relativa alla relazione
sul convento di Collesano, compilata sulla base di una comunicazione
del domenicano collesanese fra Vincenzo Lo Squiglio del 1637,
testualmente si esprime in questi termini: “questo convento fu fondato
dalla contessa Sosanna di Collisano alli 1510 / il Primo frate che lo
cominciò a fabbricare fu il Padre fra Vincenzo lo schiavo”, dandoci
così per la prima volta il nome del fondatore.
L’apparente contrasto tra le posizioni del Gallo e quelle degli
altri storici si può ragionevolmente comporre stabilendo al 1501 la
concessione vescovile e al 1520 l’effettivo insediamento dei Padri
Predicatori
Domenicani,
dopo
un
probabile
risanamento
e
riadattamento dei locali conventuali che intorno al 1510 vide
protagonista fra Vincenzo Lo Schiavo.
Rocco Pirri, Sicilia Sacra Disquisitionibus et Notitiis Illustrata, Palermo 1733 p. 836;
V. M. Amico, Dizionario Topografico cit; M. A. Coniglione, La Provincia domenicana
cit. p. 364 ; S. L. Forte, La Provincia Domenicana cit. p. 262 ; S. Cucinotta, Popolo e
Clero cit. , p. 443.
51
38
3.2 L’ insediamento e la presenza dei Padri Predicatori nel convento
dell’ Annunziata nuova (1553-1866)
Intorno alla metà del Cinquecento avviene il definitivo
abbandono da parte dei Domenicani del loro “locus” di contrada
Gioppo per il trasferimento nel convento dell’Annunziata nuova, fatto
costruire dalla contessa Susanna Gonzaga, vedova di Pietro
Cardona II. Secondo la scansione temporale illustrata da Rosario
Gallo, la contessa Susanna Gonzaga, prima del 1547, fa costruire una
nuova chiesa dedicata all’Annunziata nel sito ove era già in rovina un
precedente edificio religioso di cui ancora nel 1736 erano visibili resti
di mura che “fanno recinto a detta nuova Chiesa”. Il sito prescelto è
ubicato all’estrema periferia sud del centro abitato di allora, nel
quartiere di S. Pietro. Successivamente, con Breve di papa Paolo III del
10 agosto 1547, Susanna Gonzaga ottiene di poter scegliere i
sacerdoti, secolari o regolari, cui affidare la chiesa. In successione, il
breve papale viene esecutoriato (per effetto dell’Apostolica Legazia)
nel Regno di Sicilia e firmato dal vicerè Fernando de Vega in data 27
giugno 1550 ed infine controfirmato dal vescovo di Cefalù Francesco
d’Aragona il 6 marzo 1551.
Finita la chiesa, che molto probabilmente non venne edificata
secondo canoni propri di ordini regolari, la contessa di Collesano “per
special devozione professata all’ordine di S. Domenico, vedendo che
in detto antico luogo l’aere era a quelli PP. Domenicani molto nocivo,
fabbricò il presente Convento congiunto con detta chiesa nuova
e… fece che li detti PP. lasciassero quel luogo e li concesse detta
Chiesa nuova e convento da essa edificati, il che seguì poco prima
dell’anno 1560”. Il cronista collesanese deduce questa data dal fatto
che in data 5 giugno 1560 il vicario del convento, fra Vincenzo
Saladino, agli atti del notaio Sebastiano Tortoreti, roga un contratto
per
la
locazione
di
una
casa
di
proprietà
del
convento
dell’Annunziata nuova, mentre negli anni precedenti aveva attivato
39
contratti
per conto del primo convento di località Gioppo, ormai
abbandonato.
Tuttavia, è possibile precisare la cronologia costruttiva in modo più
dettagliato (vedi infra).
Primo Vicario del convento dell’Annunziata Nuova fu il citato fra
Vincenzo Saladino “nostro paesano e poi fondatore del convento di
S. Domenico di Castelbuono, come lo dimostra il suo ritratto in quella
sacrestia”52. Così si esprime lo storico collesanese Gallo, mentre dal
Cucinotta si apprende che il convento castelbuonese viene fondato,
sotto titolo del Rosario, il 25 aprile 1583 col concorso del marchese
Giovanni Ventimiglia e dotato di terreni e rendite anche da sua
moglie53. Non potendo officiare entrambe le chiese e lasciare
incustodita quella di contrada Gioppo, ora detta dell’Annunziata
vecchia, ove si manifestano fatti prodigiosi che la religiosità popolare
accoglie come miracoli di Maria Santissima, i Padri Domenicani
rinunciano al loro primitivo convento con giardino e chiesa in favore
dell’Università di Collesano (Comune) per la somma di 72 onze; ciò
avviene con atto notarile presso il notaio Giacomo Lanza del 26
maggio 1571, poi ratificato dal Padre provinciale dell’ordine fra Giulio
Trabona in data 10 agosto dello stesso anno.
I PP. Domenicani
decidono di rinunciare anche “col motivo
delle grandi elemosine per questa Università prestite e prestande così
per la fabbrica di detto loro nuovo convento, come per vitto e sussidio
dei Frati, come l’avevano sempre ricevuto e sperimentato inclinata a
beneficio di detto nuovo Convento”.
Il convento e la chiesa dell’Annunziata vecchia saranno poi
affidati dall’Università di Collesano all’ Ordine dei Carmelitani, che li
deterranno sotto titolo di Maria SS. dei Miracoli dal 1585 al 1594 circa,
quando si trasferiscono in S. Maria dell’ Itria a Palermo.
52
53
R. Gallo, Il Collesano in oblìo cit.
S. Cucinotta, Popolo e Clero cit., p. 444.
40
Con atto del 12 luglio 1594 presso il notaio Giovanni Nicolò
Collisano54, l’ Universitas , affiderà convento e chiesa dell’Annunziata
vecchia ai Cappuccini che vi si stabiliscono, dopo consistenti lavori,
nel 1603, detenendoli fino alla soppressione delle corporazioni religiose
del 1866.
Tornando ai domenicani, si rileva che nell’Ordo conventuum et
locorum
Provinciae Trinacriae del 1586, Collesano compare come
locus, cioè come comunità conventuale di pochi frati, mentre nel
1587, secondo i riscontri del Visitatore Apostolico Padre Antonino
Mattoncini, il locus di Collesano beneficia di una rendita temporale
pari a onze 78.16.10, ciò che lo pone al secondo posto dopo il “luogo”
di Enna
55.
Il convento può ospitare regolarmente otto frati, anche se
in quel momento ve ne sono sei; delle risorse disponibili, 30 onze
vengono applicate alla definizione dell’ edificio56. Secondo il
censimento generale ordinato dal Padre Maestro generale fra
Serafino Secchi, all’inizio del 1613 il convento domenicano di
Collesano beneficia di una rendita temporale di 70 onze e di una
spirituale di 15, mentre vi possono abitare comodamente 6 frati. In
nota al documento di visita riportato, l’ autore (S. L. Forte, 1975)
aggiunge che il convento era stato fondato una prima volta fuori
l’ abitato nel 1520, data accettata da quasi tutti gli storici con
l’ eccezione di chi la poneva al 1510, e dentro l’ abitato nel 1553,
data che, alla luce della documentazione nota, può essere assunta
come quella dell’ effettiva attivazione del convento57.
Già con i Cardona, ma poi anche con i successivi conti di Collesano, i
Padri Predicatori, come gli altri ordini religiosi, possono contare
sull’elemosina di 10 salme annuali di frumento che vengono
regolarmente corrisposte dalla Deputazione degli Stati dei Moncada
R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. ff. 413-415.
M. A. Coniglione, La provincia domenicana, cit., p. 368.
56 S. L. Forte, La Provincia domenicana di Sicilia nel censimento generale del 1613 in
Archivum Fratrum Praedicatorum, volumen XLVI, 1975, p. 262.
57 Anche V. M. Amico, Dizionario Topografico, cit., pone la rifondazione del
convento dentro l’abitato al 1553.
54
55
41
senza alcun ritardo. A metà del ‘600 il convento domenicano registra
oltre duecento onze di entrata (per 175 introiti temporali, il resto
spirituali) che risultano dimezzate circa un secolo dopo. Nel 1665,
poiché la Chiesa conventuale di S. Francesco minacciava di crollare,
su disposizione del duca Luigi Moncada, il mausoleo marmoreo dei
conti di Collesano venne trasportato in una cappella della Chiesa
dell’ Annunziata nuova: esso contiene le spoglie di Antonio
Ventimiglia, della moglie Elvira Moncada e della figlia Costanza
(moglie di Giliberto Centelles) oltre che di Pietro Cardona I; il
mausoleo è sostenuto da tre leoni o arpie e vi sono incisi in lettere
gallicane degli epitaffi58.
Il mausoleo marmoreo dei conti di Collesano
Nel periodo in cui scrive il cronista collesanese R. Gallo, il Convento di
S. Domenico mantiene sei religiosi (tre o quattro sacerdoti e due frati
conversi) e per alcuni anni vi si riscontra anche lo studio di filosofia con
Cfr. documento n°1. Sul mausoleo cfr. anche Giuseppe Fazio, Committenza
ventimigliana a Collesano: il mausoleo di Elvira Moncada e Antonio Ventimiglia e
una proposta per il gruppo dei Dolenti della chiesa del Collegio in Alla corte dei
Ventimiglia Storia e committenza artistica, Atti del convegno di studi (Geraci Siculo,
Ganci, 27-28 giugno 2009), a cura di Giuseppe Antista, Geraci Siculo 2009, pp. 130139.
58
42
un Lettore (professore) e due o tre studenti e quello di teologia con
due Lettori e altrettanti studenti.
La presenza domenicana a Collesano procede ininterrotta dal 1520
fino alla legge sulla soppressione delle corporazioni religiose del
7
luglio 1866 che porta al trasferimento dei beni mobili ed immobili allo
stato ed allo scioglimento delle comunità religiose conventuali.
In quel momento sono presenti in convento tre religiosi, due padri e un
fratello, sotto la presidenza del Priore fra Bernardo Sarrica59.
Il 29 maggio 1869 si procede, poi, da parte del ricevitore
demaniale di Cefalù alla consegna dell’ex convento di S. Domenico
al sindaco del Comune di Collesano Michele Sarrica che si impegna a
tenere aperta al culto la chiesa e a trasformare il fabbricato in Uffici
Pubblici e in scuole (documento n° 4).
Con il censimento dei domenicani in Sicilia nel 1873 si riscontra
rettore della chiesa di S. Domenico padre Benedetto Schicchi, già
domenicano, nominato dal Municipio con un assegno annuo di
Lire 100, che viveva con i parenti e celebrava in chiesa coadiuvato
da padre Tommaso De Maria, già lettore domenicano. Entrambi i
religiosi vestivano da preti e disponevano soltanto della sacrestia,
dato che il convento era passato tutto in mano all’ Amministrazione
Comunale
60.
La presenza domenicana a Collesano si estingue con la
morte degli ultimi religiosi del luogo: padre Bernardo Sarrica nel 1873 e
Tommaso De Maria nel 191161. Entrambi appartenevano a famiglie
eminenti del luogo.
Antonino Barilaro, Conventi Domenicani di Sicilia soppressi nel 1886 in Eco di
S. Domenico Periodico dei Domenicani di Sicilia e Calabria, LIII, 1, gennaio-febbraio
1985, p. 6.
60 Idem, Conventi dei Domenicani in Sicilia nel 1873, Eco di S. Domenico cit. LIV, 3,
maggio-giugno 1986, p. 109.
61 Idem, Conventi Domenicani di Sicilia soppressi, cit., Ibidem,
LIII, 1, gennaiofebbraio 1985, p. 6.
59
43
3.3 La confraternita del Rosario
Con la presenza dei Domenicani, anche a Collesano, si avvia
l’istituzione di una confraternita del Rosario, tentata una prima volta
già il 30 maggio 1574, quando viene rogato il relativo atto notarile
presso il notaio Sebastiano Tortoreti62.
Non si conoscono i motivi per cui l’atto non produce effetti pratici e
bisogna risalire al 2 giugno del 1601 per riscontrare l’effettiva istituzione
a Collesano della Confraternita di Maria SS. del Rosario; a questa data
il vicario domenicano fra Pietro Sinceri dà ai confratelli il primo statuto,
approvato lo stesso giorno dal vescovo diocesano Emanuele Quero
Turillo, dopo l’assenso del Padre Provinciale Domenicano fra Giuseppe
Gigante che era stato acquisito pochi giorni prima63.
Pochi mesi dopo, il vicario del convento di Collesano concede
a Vincenzo Di Francesca, Angelo Cellino e Ambrogio Ciaulino,
rispettivamente Governatore e Congiunti della confraternita del
Rosario, un “casalino” e un magazzino collaterale alla chiesa, al fine di
edificare la cappella e l’oratorio.
La confraternita, che viene messa alle dipendenze dei domenicani,
dovrà versare al convento la somma di onze 1.18 l’anno per diritto
enfiteutico, come appare per atto del 25 luglio 1601 del notaio
Andreotta Brancato64.
All’inizio del ‘700, la confraternita attraversa un momento di crisi,
ma viene riorganizzata per cura dell’arciprete don Rosario Gallo che
interviene anche a sue spese per la manutenzione dell’oratorio.
La confraternita conquista un prestigio sempre più crescente nel
contesto sociale tanto che, per cura della stessa, veniva solennizzata
ogni anno con grandissima devozione la festa del Rosario; a tal
R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit.
Statuto-Regolamento della confraternita di Maria SS. del Rosario in Collesano,
Cefalù 1928, pp. 3-4
64 Ibidem, p. 4
62
63
44
proposito è possibile ricordare che, con decreto del 10 aprile 1725, il
pontefice Benedetto XIII consente alla processione del Rosario di
raggiungere qualsiasi strada del centro abitato, anche di altre
parrocchie.
La confraternita, attiva fino ai nostri giorni, secondo statuti rinnovati nel
tempo, mantiene la sede nel ricordato oratorio.
45
3.4
Il patrimonio storico-artistico
Alla presenza dell’ordine domenicano e a quella della citata
confraternita
si
deve
la
committenza
del
ricco
patrimonio
storico-artistico che ancora oggi caratterizza la chiesa dell’Annunziata
nuova, oggi nota come chiesa di S. Domenico o del Rosario.
Già nel 1587 i domenicani avevano provveduto a trasportare nella
nuova sede il gruppo marmoreo dell’Annunciazione, prelevandolo
dalla cappella di patronato della famiglia Schimmenti nella chiesa
dell’Annunziata vecchia. Ciò aveva dato origine ad un contenzioso
tra gli Schimmenti e i domenicani che si compose, dietro intervento
del Visitatore Generale e Delegato Apostolico fra Paolo Spica, con la
concessione ai primi di alcuni posti di sepoltura nella chiesa
dell’Annunziata nuova. Il gruppo marmoreo è collocato in un altare
laterale della chiesa stessa65.
Il gruppo marmoreo dell’ Annunciazione
65
R. Gallo, Il Collesano in oblio, cit. f. 402.
46
Alla commissione dei confratelli del Rosario si deve, invece, la fattura
della tela con la Madonna del Rosario e i santi Domenico, Vincenzo,
Agata e Maria Maddalena richiesta nel giugno del 1623 al famoso
pittore Gaspare Bazzano, detto lo Zoppo di Gangi, l’artista più
retribuito nella Palermo del tempo66. I rettori della confraternita (mastri
Gregorio Traina, Giuseppe La Motta e Pietro Dolce) versano subito
quattro onze di acconto e si obbligano a versare le rimanenti trenta a
rate. La tela, ancor oggi, decora la parete di fondo del presbiterio.
Gaspare Bazzano(Lo Zoppo di Gangi), Madonna del Rosario e santi, 1623
Alla presenza domenicana si deve la tela con La Circoncisione
eseguita nel 1634 dal pittore collesanese Giovanni Giacomo Lo Varchi
su commissione del vicario fra Vincenzo Speciale ed oggi è collocata
in una cappella laterale. Allo stesso Lo Varchi è attribuibile la tela con
“L’Immacolata” proveniente dalla chiesa di S. Francesco; il pittore
R. Termotto, Pittori, intagliatori lignei e decoratori a Collesano (1570-1696). Nuove
acquisizioni documentarie in Bollettino Società Calatina di Storia Patria e cultura, 7-9,
1998-2000 pp. 241-243.
66
47
collesanese è autore degli affreschi con Storie di S. Domenico che
predica agli Albigesi: essi decoravano la volta della navata, ma sono
andati completamente perduti a seguito dei dissesti statici del 171767.
Sempre alla confraternita è dovuta La Madonna del Rosario con S.
Domenico, gruppo scultoreo in legno eseguito nel 1649 dal famoso
scultore e argentiere palermitano Giancola Viviano68.
Giancola Viviano, S. Domenico e la Madonna del Rosario, 1649
Legate alla presenza domenicana sono ancora un barocco Crocifisso
in legno e una statua lignea di S. Vincenzo di autori ignoti, mentre
provengono da chiese chiuse al culto altre tele non legate a
committenza domenicana come il S. Antonio, precedentemente
collocato nella chiesa dei Cappuccini e trasportata nella nuova sede
nel 192969.
Per le opere un tempo certamente in chiesa e oggi da considerarsi
perdute si rinvia al documento n° 4
R. Gallo, Il Collesano in oblio, cit. f. 410.
Giovanni Mendola, Tra legni e metalli. L’ attività documentata di Giancola Viviano
in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, a cura di Maria
Concetta Di Natale, Milano 2001, p. 653.
69 ASCC, Registro di delibere.
67
68
48
CAPITOLO 4:
LA CHIESA DOMENICANA DELL’ ANNUNZIATA NUOVA
4.1
Caratteri generali dell’ architettura domenicana70 :
L’ esistenza o meno di specifici stilemi architettonici legati ai
Domenicani è oggetto di dibattito tra gli studiosi: nonostante i Padri
Predicatori
non
abbiano
elaborato
un
rigoroso
“modello”
architettonico rispondente a precise istanze estetiche, è possibile
sottolineare la presenza di costanti funzionali che definiscono una
tipologia delle chiese domenicane.
La maggior parte delle chiese e dei complessi conventuali degli ordini
Mendicanti, tra cui figurano i Padri Predicatori, non segue norme
legate ad una specifica legislazione, ma fu per lo più occasionale e
fortuita. Il messaggio comune degli ordini mendicanti, in particolare
francescani e domenicani, è quello di annunciare il Vangelo nella
povertà. I primi si proponevano di annunciarlo attraverso la semplicità
e la testimonianza personale, i secondi attraverso lo studio e la
predicazione. In opposizione alla tradizione monastica che fa perno
sul carattere stanziale della comunità religiosa, la predicazione
itinerante costituisce il fulcro degli ordini Mendicanti; questa diversa
impostazione determina delle ripercussioni anche nella concezione
del convento e della chiesa annessa.
L’ abbazia costituiva una sorta di microcosmo per cui l’ attività
monastica si rivolgeva prettamente all’ interno del monastero stesso:
coltivazione della terra, manutenzione degli stabili, allevamento del
bestiame, copiatura dei codici e così via.
Il convento differisce radicalmente dal monastero: di dimensioni più
modeste, si tratta di un organismo architettonico non più isolato dalla
70
Valerio Ferrua, Alle origini dell’ architettura domenicana in Una chiesa, la sua
storia Momenti storici e sviluppo artistico della Chiesa di San Domenico a Chieri,
Chieri 1-3-5 ottobre 1990, Alba 1991, pp. 7-22.
49
comunità esterna,
ma da collocare vicino le grandi vie di
comunicazione facilitando la predicazione dei frati.
Per quanto concerne la tipologia dei conventi domenicani è possibile
individuare alcuni locali quasi sempre ricorrenti: l’ ecclesia (per lo più
denominata “capella” o “oratorium”), il claustrum e il capitulum (sala
capitolare), il dormitorium e la bibliotheca. Questi locali pur essendo
già presenti in molti casi nella tradizione monastica, vengono, con i
Mendicanti, ripresi ed articolati in funzione dinamica ed apostolica.
Mentre i monaci si insediavano in un sito dopo accurati sopralluoghi,
seguendo
norme
scrupolose
sull’
orientamento,
collocazione,
distribuzione dei locali e portando al seguito personale in grado di
eseguire i lavori, l’ insediamento dei Mendicanti è connesso al
successo della predicazione itinerante. Il convento, più che un “tipo”
costruttivo, rappresentava innanzitutto un vero e proprio luogo di
convergenza, riunione, incontro: per i Domenicani, la loro era una
domus praedicationis e quindi orientata alla specifica missione dei
religiosi. Inoltre, emerge una differenza anche nell’ impostazione della
cella: quella monastica era concepita in funzione del riposo dal
lavoro manuale e, secondariamente, come luogo di solitudine; la
cella conventuale, pur nel rispetto della severa legislazione che le
voleva piccole e modeste (parvas et humiles), doveva favorire lo
studio. A tal proposito nella prima legislazione domenicana si fa
riferimento al discus, una sorta di tavolino portatile sul quale era
possibile appoggiare i libri e prendere appunti durante la lezione del
Lettore conventuale.
Nella legislazione dei Domenicani si presta scarsa attenzione alla
definizione tipologica della chiesa: all’ inizio deve riuscire a contenere
soltanto
i membri della comunità o poco più. Il clero secolare,
almeno nella fase iniziale di evoluzione dell’ ordine,
invita i
Domenicani a predicare nelle proprie parrocchie o nelle cattedrali e
se queste non fossero riuscite a contenere la massa dei fedeli si
sarebbe ricorso alla piazza, improvvisando un pulpito o un broletto.
50
Le chiese devono essere mediocres et humiles : sono banditi sfarzo e
grandiosità. La legislazione domenicana richiede nei limiti del possibile
la centralità: nel tessuto urbano, quindi, gli edifici religiosi si dovevano
inserire in prossimità delle grandi vie di comunicazione e dei punti vitali
della comunità. Inoltre, sono precisate alcune misure: per gli edifici
conventuali, di un piano, non si doveva eccedere i 4,50 metri, mentre
per le chiese l’ altezza della copertura non doveva oltrepassare gli
undici metri. Alla fine del ‘200 da una concezione ristretta e legata
all’ ambito diocesano, i Padri Predicatori maturano la consapevolezza
di una vocazione universale, di una maggiore autonomia dalla
gerarchia vescovile e, grazie a donazioni sempre più consistenti,
costruiscono conventi e chiese più legate alle proprie esigenze. Con il
trascorrere degli anni le comunità domenicane risultano più sensibili
alle istanze estetiche: in ogni caso si esclude il ricorso a materiale
pregiato, ricorrendo a quello più usuale e di poco costo come il cotto
e la pietra locale di facile lavorazione.
51
4.2
Le vicende costruttive del complesso dell’Annunziata nuova
dalle origini al Settecento
La chiesa dell’ Annunziata nuova, oggi nota col nome di
S. Domenico o del Rosario, presenta un’ unica navata che si conclude
con un presbiterio poligonale.
La navata, sormontata da una volta a botte lunettata, è affiancata
da otto cappelle: sul lato destro si riscontrano la Cappella di S. Rita, la
Cappella della Circoncisione, la Cappella di S. Vincenzo Ferreri e
quella dell’ Annunciazione; sul lato sinistro la Cappella di S. Antonio, la
Cappella del SS. Crocifisso, la Cappella di S. Lucia e quella
dell’ Immacolata.
Interno della Chiesa dell’ Annunziata Nuova
In realtà fino a tutto il Settecento le cappelle erano cinque: tre dal
lato del Vangelo (a destra) ovvero quella di S. Domenico di Soriano,
S. Tommaso d’ Aquino e quella di Santa Rosa con altri santi
domenicani; dal lato dell’ Epistola (a sinistra) si riscontravano le
cappelle del SS. Crocifisso e di S. Vincenzo Ferreri.
52
I riscontri documentari, per il periodo preso in esame, risultano
frammentari e relativi a singoli episodi costruttivi; ciò non consente
una chiara visione complessiva dell’ iter seguito nella fabbrica della
chiesa. Il 1 settembre 1552 l’ intagliatore in legno Antonio Mangio di
Collesano si obbliga con la contessa Susanna Gonzaga a realizzare il
soffitto ligneo e le porte della chiesa
71.
Si deduce da ciò che a quella
data il perimetro murario della chiesa è già stato definito.
Il 16 novembre 1558, sotto il vicariato di fra Giovanni di Calabria, viene
custodito in loco depositi della chiesa il cadavere di Antoniuccio
Catanese di Caronia, morto da poco, che gli eredi avrebbero ritirato
dopo aver corrisposto “lo jus depositi”
72.
A quella data, quindi, chiesa
e convento dell’ Annunziata Nuova dovrebbero aver raggiunto la
piena funzionalità. Il 30 maggio 1572 fra Vincenzo Saladino, vicario del
convento domenicano, dichiara di aver ricevuto, su disposizione dei
giurati locali, sei onze dai fratelli Sala, appaltatori della gabella della
farina: questa somma era destinata alla riparazione del tetto della
chiesa “pro elemosina pro expensis fabrice tecti ditte ecclesie”73.
Il 16 maggio 1598 l’ intagliatore lapideo collesanese mastro Giuseppe
Badamo si obbliga col vicario del convento, fra Pietro Sinceri, a
intagliare secondo disegno quattro basi di pietra proveniente dalla
cava di contrada Li Voni da consegnare entro venti giorni. Il trasporto
della pietra è posto a carico del vicario. Il prezzo concordato tra i due
è pari a due tarì a palmo (circa cm 26) con anticipo di 18 tarì ed il
resto in corso d’opera74. Il 26 maggio 1598 lo stesso Badamo si obbliga
col priore del convento a realizzare due architravi con pietra
proveniente dalla stessa cava (pirrera); in particolare il primo
architrave, di nove palmi, doveva presentare un intaglio simile a
quello dei piedritti della porta della chiesa; un secondo, di sei palmi,
ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Antonio De Maria, volume 9577, c. 6r.
ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Sebastiano Tortoreti, volume 6293, c. 306r.
73 Idem, volume 6300, c. 30r-v.
74
R. Termotto, Una famiglia di intagliatori lapidei a Collesano: i Badamo (1571-1625)
in Paleokastro Rivista trimestrali di studi siciliani, NS III, 4, Dicembre 2012-Aprile 2013,
pp. 43-48.
71
72
53
era destinato alla porta del convento. Il prezzo concordato è pari a
onze 1.10 con acconto di 24 tarì e il resto da saldare a lavoro
ultimato.75 Il 26 giugno 1599 Epifanio Sammarco e Giovanni Sciarrino,
scalpellini della città di Polizzi, si obbligano col vicario fra Pietro Sinceri
a realizzare circa venti pezzi (“peccios”) di pietra intagliata in tre
riquadri, secondo il disegno conservato dal vicario stesso. Il prezzo
concordato ammontava a tre tarì a palmo con anticipo di tre onze e
il resto da saldare in corso d’ opera (“smarrando li petri a la pirrera et
intagliando solvendo”). Il trasporto del materiale, con buoi, fino a un
idoneo luogo di carico nei pressi della cava, avveniva a spesa dei
mastri; da lì al convento sarebbe stato a carico del vicario che
doveva mettere a disposizione delle maestranze anche letto e
materassi. Tra i testimoni della stipula dell’ atto vi era anche
l’ intagliatore ligneo Giuseppe Mangio76. Il 14 dicembre 1604 i maestri
fabbricieri castelbuonesi Antonio Gambaro e Dionisio Pace si
obbligano col vicario fra Pietro Scarano a realizzare “lo campanaro
con li dammusi” secondo le misure che indicherà il vicario. Il prezzo
dei lavori concordato, compreso di ponteggio, è pari a otto tarì a
canna (m 2,06) con un acconto di quattro onze e il resto da saldare
in corso d’ opera. La misura dei lavori sarà effettuata da esperti
incaricati dalle parti. Il convento dovrà pure fornire una stanza per l’
alloggio dei maestri fabbricieri. L’ espressione utilizzata nell’ atto
potrebbe rinviare sia alla realizzazione dell’ intero campanile, sia al
semplice vano di alloggio delle campane77.
Un atto del 13 aprile 1607 documenta che gli stessi maestri
castelbuonesi si impegnano a restituire al vicario fra Pietro Scarano
3.15 onze poiché debitori di tale somma nel conto finale dei lavori
realizzati relativi al dormitorio del convento78.
Ibidem.
ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Leonardo Di Lorenzo, volume 6322, c. 594r-v.
77 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Giuseppe Gullo, volume 6397, c. 268r-v.
78 Idem, volume 6399, cc. 570v-571r.
75
76
54
Il 7 marzo 1630 quindici confratelli del Rosario si obbligano a
raccogliere e versare delle somme, che variano tra i 6 tarì e 1.6 onze
ciascuno, al depositario della Confraternita per la realizzazione
dell’ Oratorio nel magazzino della Compagnia, posto dietro la
cappella del SS. mo Rosario. La somma preventivata con la prima
raccolta assomma a 8.23 onze79.
Il 20 giugno 1631 il Priore del convento fra Tommaso da
Collesano dichiara di aver ricevuto dal tesoriere dell’ Universitas
(Comune) la somma di tre onze per sussidio dei lavori in corso nella
chiesa e per la costruzione della volta80.
Nel 1717 dei movimenti franosi, provocati dalla presenza di un
terreno friabile, determinarono un notevole smottamento, secondo
quanto riporta Rosario Gallo81. La configurazione strutturale della
chiesa era stata ulteriormente indebolita dall’ esecuzione di alcune
aperture
realizzate
nella
stessa
fabbrica.
Questi
fenomeni
comportarono il progressivo manifestarsi di lesioni nella volta della
navata, che raggiunge un tale degrado da pervenire al parziale
crollo della volta stessa. A seguito di tali eventi, i Domenicani, guidati
dal Padre Lettore fra Tommaso Maria Tamburello, si prodigarono per
concretizzare le necessarie soluzioni tecnico-costruttive affidandosi a
un famoso architetto e matematico del tempo: si tratta del
domenicano Tommaso Maria Napoli82.
ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Antonio Cangiamilla, volume 2470, c. 187r-v.
ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Pietro Tortoreti, volume 6445, c. 776r.
81 R. Gallo, Il Collesano in oblio, cit.
82 Per Tommaso Maria Napoli cfr. Maurizio Vitella, ad vocem Napoli Tommaso Maria
in Luigi Sarullo, Dizionario degli Artisti Siciliani. Architettura. Volume I, a cura di Maria
Clara Ruggieri Tricoli, Palermo 1993 e bibliografia ivi citata.
79
80
Matematico e architetto, Tommaso Maria Napoli nasce a Palermo nel 1655
o nel 1659. Si dedica giovanissimo alla vita religiosa diventando domenicano nel
1675. Compie gli studi nel convento domenicano di Palermo. Dopo un lungo
impegno in qualità di ingegnere militare in Ungheria ed in Dalmazia (Ragusa), torna
a Palermo e si dedica allo studio della matematica, come testimonia il suo trattato
pubblicato a Roma nel 1688 Utriusque architecturae compendium in duos libros
divisum. Tra la fine del Seicento ed il primo decennio del Settecento si occupa di
progettare due residenze nobiliari nel territorio di Bagheria: villa Valguarnera, iniziata
nel 1713 e, con la collaborazione di Agatino Daidone, villa Palagonia,
55
Questi decide di adottare contemporaneamente due soluzioni per
diminuire le tensioni agenti sul terreno: da un lato ridurre il carico,
abbassando l’ altezza della copertura e realizzando un tetto piano al
posto della volta e al tempo stesso rafforzare la struttura realizzando
sin dalle fondamenta il nuovo arco maggiore.
I lavori di consolidamento furono realizzati grazie al contributo
dell’ Universitas che vi destina per tre anni le entrate della gabella
dell’ ufficio del Mastro di Piazza che ha il compito di vigilanza sui
mercati, fiere, merci, generi alimentari ecc.
Nel 1720 venne realizzata la volta (dammuso) della Cappella del SS.
mo Rosario, accresciuto e modificato nella forma l’ Oratorio omonimo
oltre alla realizzazione della volta di copertura.
Nella Cappella del SS. mo Rosario, nel 1722, venne sepolto il Marchese
di Sciortino Ignazio Moncada (fratello del duca Luigi)83.
Nel 1769 il convento di S. Domenico si arricchisce della seconda
elevazione84. Lo
stesso anno
i locali del
convento
vengono
pavimentati con mattoni stagnati prodotti dal ceramista collesanese
Antonino Barbera sotto la direzione di maestri napoletani85
probabilmente iniziata nel 1715. L’ ideazione di quest’ultima è tutta protesa verso la
valorizzazione degli spazi esterni. Nel 1711 viene nominato ingegnere militare del
Senato palermitano. Nel 1723 pubblica a Palermo un altro libro dal titolo: Breve
ristretto dell’ Architettura Militare e fortificazione offensiva e difensiva, estratta dai
matematici più insigni. E’ il primo artefice a Palermo di una sistemazione di spazi
esterni urbani di marca prettamente barocca: sua infatti è la sistemazione di piazza
San Domenico, già piazza imperiale e il disegno dell’ “artificioso basamento” su cui
si innalza la statua dell’ Immacolata Concezione. Per avere il permesso di procedere
alle necessarie demolizioni per la creazione della piazza, si reca personalmente a
Vienna, dall’ imperatore Carlo VI ed ottenuto il placet e creato lo slargo, si procede,
con solenne cerimonia, alla posa della prima pietra della colonna monumentale
centrale, di fronte la facciata della chiesa di S. Domenico l’ 8 dicembre 1724. A
causa della morte del Napoli i lavori saranno poi proseguiti da Giovan Biagio Amico
che eresse tale colonna nel 1726 modificando in parte il progetto di Tommaso Maria
Napoli. Sempre per la chiesa di S. Domenico, fornisce il disegno del campanile
destro che ha però vicissitudini assai complesse. Tommaso Maria Napoli muore a
Palermo il 12 giugno 1725 .
R. Gallo, Il Collesano in oblio… , cit. f. 406
Gioacchino Di Marzo, Annotazioni a V. M. Amico, Dizionario topografico cit.
85 A. Di Bernardo (A.D.B.), Affonda le radici nei secoli l’ arte della ceramica a
Collesano in “Sicilia del popolo”, 8 luglio 1954, ripubblicato in R. Termotto-A. Asciutto
(a cura di) Collesano per gli emigrati, Castelbuono 1991, pp. 221-223.
83
84
56
4.3
La
ricostruzione
primo-ottocentesca
della
Chiesa
dell’ Annunziata nuova
Agli inizi del 1802, a causa dei gravi dissesti statici che
minacciano di far collassare la struttura chiesastica, i Domenicani
pervengono alla decisione di demolire la stessa e ricostruirla ex novo.
Tale compito viene affidato dai Padri Predicatori a mastro Nicolò
Dispenza e mastro Antonino Sgarlata di Termini Imerese.
I lavori sono conclusi nel giro di due anni, tanto che la nuova chiesa
dell’ Annunziata viene riconsacrata il 20 novembre 1804 dal Priore fra
Giovanni Tommaso Tortoreti in presenza degli altri Padri Predicatori
(Padre Lettore fra Domenico di Bernardo, Rev. frate Ludovico Russo,
Padre Lettore fra Pio Santino, Padre fra Egidio Asciutto), del clero e del
popolo collesanese86 (documento n° 2).
Preliminarmente, in data 25 febbraio 1802, i mastri Giuseppe e
Nicolò Longo di Termini si obbligano col procuratore del convento fra
Egidio Asciutto a intagliare, a partire dal 15 marzo, tutta la “pietra
grossa rotta atta anche a cantonere e fabbrica” per la costruzione
della nuova chiesa. Il prezzo concordato è fissato in 5.10 tarì per ogni
canna (circa cm 206) , con acconto di 4 onze e il resto da saldare in
corso d’ opera87. Successivamente, i mastri Nicolò Dispenza ed
Antonino Sgarlata, in data 17 dicembre 1802, assumono impegno
contrattuale per demolire interamente la fabbrica della chiesa, a
partire dalla copertura, lasciando in opera soltanto i pilastri in buono
stato88; qualora dei pilastri non presentassero idonee caratteristiche
strutturali dovevano essere rifatti magistralmente, e “se in trabocco
riformarli e portarli a piombo” (documento n° 3).
ASPa, sezione Gancia, Fondo Corporazioni Religiose Soppresse, Convento
S. Domenico – Collesano, Registro di Atti e Giuliana sec. XVII-XIX, registro 89, foglio 1.
87 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Giuseppe Gallo Tedaldi, volume 6908, cc.
355r-356r.
88 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Vincenzo Gallo Tedaldi, volume 6909 carte
437r - 447v, Collesano 17 dicembre 1802.
86
57
Le condizioni contrattuali previste risultano piuttosto articolate:
I pilastri dovranno essere eseguiti in modo da poter innestare su di essi
le volte delle cappelle laterali da realizzare in mattoni disposti a due
fogli, gesso e “ciaramite”. Gli archi generatori delle volte sono
realizzati con mattoni “pantofoli”, i contro archi (“sardoni”) in laterizio
o con lapidei del Monte d’ Oro; inoltre, l’ altezza delle cappelle dovrà
essere “di due quadri fino al centro dell’ arco”.
Il cornicione, che corre tutto attorno la chiesa, dovrà essere realizzato
con laterizi e proporzionato all’ altezza della stessa secondo le regole
della buona architettura.
Al di sopra del cornicione e precisamente “a palmi uno e oncie sei”
(circa cm 39) si dovranno realizzare le finestre della chiesa secondo le
seguenti dimensioni: sei palmi di larghezza (circa cm 155) e cinque di
altezza (circa cm 129).
Le murature della fabbrica saranno in pietra e calce della larghezza di
tre palmi (circa cm 77) ed altezza conforme al disegno.
E’ prevista la demolizione dell’ arco maggiore che scandisce il
presbiterio e la realizzazione di uno nuovo avente maggiore altezza e
larghezza; il nuovo arco, dovrà essere realizzato ad una distanza di
due palmi per lato (circa 52 cm) dai pilastri che sorreggono
l’ esistente, aumentando l’ altezza degli stessi pilastri di un palmo
(circa cm 25,8). L’ arco maggiore, il cui estradosso sarà tangente al
cornicione, dovrà essere realizzato a tutto sesto e qualora ciò non
fosse possibile il centro della curva si troverà un palmo sotto il centro
del piano d’ imposta dell’ arco.
Le fondamenta del presbiterio dovranno essere profonde otto palmi
(circa cm 206) e larghe quattro (circa cm 103), mentre alla quota dei
due scalini, la muratura dello stesso presbiterio, sarà larga palmi tre
(circa 77 cm) e alta quanto la navata.
Al di sopra dei pilastri delle cappelle si realizzeranno quattro archi per
l’ intera larghezza della chiesa. Nella costruzione dell’ arco vengono
58
impiegati prima laterizi, lapidei e calce fino a un terzo dell’ altezza e
poi mattoni e gesso. Gli archi presentano le seguenti dimensioni:
“larghi palmi due e oncie dieci (circa cm 73) e grossi palmi uno e
oncie sei” (circa cm 39). I pilastri che sorreggono gli archi saranno
larghi palmi tre (circa cm 77).
I maestri si obbligano a realizzare l’ altare maggiore dopo aver
ribassato il piano di calpestio del presbiterio fino alla quota dei due
scalini di accesso. Inoltre, si dovranno ricostruire gli altari delle
cappelle laterali.
Per i sopra archi (“sardoni”) delle finestre che si realizzeranno lungo la
navata, nel presbiterio e sopra la porta maggiore saranno utilizzati
laterizi o lapidei per meglio consolidare la fabbrica.
Prima dell’ intervento, nella parte mediana della navata era presente
un gradino che determinava, quindi, due differenti quote di calpestio.
Il progetto prevede di eliminare il dislivello esistente riempiendo il tratto
iniziale della navata in modo da ottenere un’ unica quota di
calpestio, dalla porta di ingresso sino allo scalino di accesso al
presbiterio. Inoltre si prevede la ricollocazione delle sepolture lapidee
esistenti rispettando la nuova quota di calpestio.
L’ altare maggiore, con scalino alla Romana, collocato su indicazione
del Priore del convento, sarà realizzato utilizzando cornucopie e
predella con relative decorazioni lapidee dell’ altare esistente. Gli
altari delle otto cappelle laterali, con predella e scalino modellato alla
Romana, saranno addossati alle pareti di fondo; l’ accesso alle
cappelle avverrà tramite uno scalino in pietra.
Tra gli interventi previsti vi è il trasferimento del mausoleo marmoreo
dei conti di Collesano, precedentemente collocato in una cappella
dal lato dell’ Epistola (lato sinistro) vicino l’ altare maggiore, nel luogo
designato dal Priore.
Si
dovranno
inoltre
collocare,
a
discrezione
del
Priore,
le
acquasantiere, e disporre catene di ferro per rinforzare gli arconi della
navata da innalzare.
59
La volta della navata dovrà essere realizzata in mattoni disposti a due
foglie e gesso; la volta a crociera del coretto, impostata su grossi
pilastri, sarà realizzata in mattoni disposti a tre fogli e gesso. E’ prevista
l’ apertura di una porta di comunicazione tra il coretto e il convento e
la realizzazione nello stesso coretto di un inginocchiatoio.
La pavimentazione della navata, delle cappelle laterali, del coretto,
del presbiterio e della predella dell’ altare maggiore, sarà realizzata
con l’ impiego di mattoni rossi “palmarizi” messi in opera con calce.
E’ previsto l’ impiego di stucco fino, conformemente ad un disegno
firmato dalle parti, per la definizione delle pareti interne dell’ intero
edificio, dopo adeguata preparazione.
Dai lati del piano d’ imposta dell’ arco maggiore deve dipartire una
decorazione in stucco con festine e ghirlanda, mentre in ogni angolo
del presbiterio si devono inserire due pilastrini a libro. Nella parete
centrale si deve realizzare un incavo per la collocazione della pala
d’ altare di Maria SS. del Rosario. Al centro della volta del presbiterio si
dovrà realizzare un semicircolo di stucco “scorniciato” che sia
tangente ai pilastrini d’ angolo; le finestre dello stesso presbiterio
saranno sormontate da lunette in stucco conformemente ad un
ulteriore disegno.
Per quanto riguarda la copertura dell’ intero edificio saranno utilizzate
travi in legno, disposte alla distanza di palmi due e oncie sei (circa cm
65) una dall’ altra; sopra le travi saranno collocati i “sirratizzi”
(correntini ovvero lunghi travetti di legno)e quindi le successive tegole.
In copertura è prevista la realizzazione del colmo con calce impastata
a sabbia e “rossa” (terracotta in polvere impermeabilizzante) oltre alla
realizzazione dei necessari embrici opportunamente collocati per il
deflusso delle acque. Si prevede di aumentare lo spessore della
parete di fondo del presbiterio di ulteriori due palmi (circa cm 52).
I materiali da costruzione (calce, sabbia, pietra, balate, pantofoli,
mattoni, legnami) saranno forniti dal convento stesso, mentre i lavori
60
saranno eseguiti con l’ assistenza del sovrintendente mastro Vincenzo
Lo Cascio che dovrà essere pagato a parte dai maestri termitani.
Il contratto prevede che al termine dei lavori l’opera sarà soggetta a
revisione di uno o più periti scelti dalle parti ed in caso di parere
discorde sarà chiamato un terzo perito nominato dalla corte
giuratoria. Le opere si sarebbero dovute eseguire conformemente a
un disegno (non rintracciabile) firmato sia dal Priore che dai mastri 89.
Il 18 aprile 1804 il maestro Nunzio Vetri di Castelbuono, abitante a
Collesano, stipula un contratto col Priore fra Giovanni Tommaso
Tortoreti col quale si obbliga a fornire i mattoni e le tegole necessarie
alla realizzazione degli archi, delle volte e delle cappelle della nuova
chiesa.
I
mattoni
dovranno
rispettare
un
“modulo”
standard
consegnato dai Domenicani, mentre le tegole dovranno avere uno
spessore non inferiore a un’ oncia (circa cm 2,15). Il materiale dovrà
essere consegnato entro luglio e in caso di mancata fornitura è
prevista una penale pecuniaria. Il prezzo stabilito è pari a 4 tarì per
ogni centinaio di mattoni e 18 tarì per ogni migliaio di tegole;
l’ anticipo previsto è di 4 onze ed il resto da saldare “soccorrendo
consegnando”.Con lo stesso atto, mastro Vincenzo Sireci si obbliga
col convento a fornire tutta la quantità di sabbia necessaria a
“fabricare, arrizzare e intonacare”. La sabbia da impiegare per l’
intonaco dovrà essere crivellata, soggetta a revisione del capo
maestro che dovrà verificare la corrispondenza con il campione
(“mostra”) detenuto dal Priore. Il costo del materiale è fissato in tarì
1.13 a salma (una salma è composta da tre carichi) con un acconto
di 10 onze90.
ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Vincenzo Gallo Tedaldi, volume 6909, cc.
437r-447v.
90 Idem, volume 6908, cc. 500r-501v.
89
61
4.4 Le vicende costruttive del primo Novecento.
Dopo la radicale ricostruzione primo-ottocentesca della chiesa
non sono stati riscontrati dati documentari riferibili a interventi edilizi
sulla stessa sino agli inizi del Novecento, pur essendo in presenza di
una serie continua di documenti, successivi alla legge sulla
soppressione delle corporazioni religiose del 1866, riguardante il
complesso conventuale.
Nel primo decennio del Novecento si riscontrano piccoli interventi di
manutenzione, riguardante la riparazione di una porzione della
copertura, o di consolidamento.
Il 31 dicembre 1907 viene stipulata una scrittura privata tra il Sindaco
Rodolfo De Maria e il capomastro Stefano Dolce che si obbliga, per
una somma di £. 87,70, a “rientrare nel muro della facciata della
chiesa di S. Domenico la chiave della catena sporgente fuori la
superficie del muro suddetto”91.
Con delibera del 5 maggio 1912 il Consiglio Comunale di Collesano
autorizza a completare il progetto relativo al restauro della chiesa di
S. Domenico che necessitava di interventi urgenti: da una sommaria
perizia eseguita dall’ ingegnere Sciarrino era possibile riscontrare una
copertura in cattivo stato, la mancanza di grondaie adeguate oltre
alla presenza di muri laterali pericolanti. Al progetto doveva essere
allegato il piano finanziario oltre al preventivo per il posizionamento di
un orologio da torre. In prima istanza, il commissario prefettizio aveva
stanziato in bilancio una somma pari a £ 1000, ma questo
stanziamento si riferiva soltanto al collocamento dei materiali
decorativi che la Congregazione di Carità, in occasione della
demolizione della Chiesa dello Stellario, aveva ceduto al Comune92.
Con delibera del 4 giugno 1912, il Consiglio Comunale approva il
capitolato speciale relativo all’ appalto dei lavori di restauro della
91
92
ASCC, Amministrazione, Numero 193, Categoria I, Classe 11, fascicolo 1;
ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, busta n° 19
62
chiesa per l’ ammontare di £ 6700. In occasione di questa seduta, il
consigliere avv. Dispenza, precedentemente sindaco del Comune,
riferisce di aver affidato all’ ingegnere palermitano Vincenzo Alagna
l’ incarico di un progetto per la realizzazione di una torre, accanto la
facciata della chiesa, per la collocazione di un orologio. Nella somma
suddetta, tuttavia, non è computato il restauro della facciata e la
realizzazione dell’ incavo per il posizionamento dell’ orologio stesso; è
altresì confermato l’ incarico di cui sopra all’ ingegnere Sciarrino93.
Quasi certamente non si è dato corso all’ attuazione della delibera di
cui sopra, visto che l’Amministrazione Comunale dovrà provvedere
alle stesse problematiche con interventi parziali meno onerosi.
Nel 1915 il Comune incarica il perito Pietro Dispenza Dolce di
elaborare un progetto di riparazione della chiesa di S. Domenico che
prevede la realizzazione del nuovo manto di copertura e le riparazioni
delle lesioni della volta della navata. La previsione di spesa ammonta
a £ 944,38. Da un carteggio del 17 giugno 1915, tra la Prefettura e il
Comune, si evince che il muro di prospetto della chiesa risulta
lesionato e fuori asse poiché sprovvisto di fondamenta adeguate; lo
stesso muro, inoltre, viene danneggiato anche dalle acque pluviali
che non hanno un libero deflusso per l’avvenuto abbassamento del
piazzale. Le condizioni in cui si trova tale muro rappresentano, in
realtà, la causa principale delle lesioni della volta che in parte grava
su di esso94.
Il 10 febbraio 1924 il Consiglio Comunale delibera una seconda volta
sui lavori di restauro della chiesa di S. Domenico approvando il
progetto e il relativo capitolato d’ appalto, con opportune modifiche,
redatto dal capomastro Santi Peri Dispenza in data 29 dicembre 1923.
L’ importo a base d’ asta dell’ appalto ammontava nel contratto a
£. 9739,95. All’ appaltatore si sarebbe corrisposto un acconto di £ 3000
dietro lavoro regolarmente eseguito ed il resto sarebbe stato pagato
93
94
Ibidem.
ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, Busta n° 19.
63
a collaudo e conto finale dei lavori: questo sarebbe stato compilato
entro due mesi dalla completa ultimazione dei lavori regolarmente
accertata.
L’ appaltatore si obbliga a pagare l’ assistente dei lavori in ragione del
3% sull’ ammontare lordo dell’ importo, mentre il 2% sullo stesso e
l’ 1% sulla relazione preventiva saranno pagati dal Comune.
Il termine assegnato per l’ esecuzione dell’ opera è di un mese a
partire dalla consegna dei lavori, mentre è di due mesi per quelli
realizzati in economia per conto del Comune.
Per ciascuna
categoria di lavoro, secondo le specifiche modalità
operative, sono previste:
-
Scavo di terra per la realizzazione del drenaggio fino ad una
profondità di circa 50 cm al di sotto del pavimento della chiesa,
con le necessarie sbadacchiature, trasporto e spandimento
della terra.
-
Muratura per il muro del drenaggio da realizzare con pietra
calcarea proveniente dalle cave delle contrade Pantano,
Torretta, Passo di Vacche, opportunamente modellata e
collocata in opera con la necessaria quantità di malta
semidraulica. La muratura siffatta è computata in £ 120 al metro
cubo.
-
Fondo del drenaggio colmato con uno spessore di 15 centimetri
di calcestruzzo idraulico. Nella composizione del calcestruzzo il
rapporto tra malta idraulica e brecciame di calcare è di uno ad
uno e settanta. Il calcestruzzo idraulico è computato in £ 22,00
ogni metro quadrato.
-
Intonaco in malta idraulica, a due strati liscio a cazzuola con
rinzaffato, da applicare nel drenaggio sul muro della chiesa,
precedentemente a contatto con la terra, computato in lire
8,50 ogni metro quadrato.
64
-
Malte semidrauliche, idrauliche e cementizie. La calce idraulica
sarà proveniente dalla fornaci di Lascari, la calce grassa dalle
vicine fornaci di Collesano, la sabbia dalle cave di contrada
Rascata, c.da Cammisini e dalle cave della contrada Rina del
territorio di Isnello secondo le prescrizioni dell’ assistente
incaricato. La malta semidraulica sarà dosata in volume di una
parte di calce idraulica, una parte di calce grassa e quattro
parti di sabbia; la malta idraulica sarà dosata in volume di una
parte di calce idraulica ed una parte e mezza di sabbia; la
malta cementizia sarà confezionata secondo le
proporzioni
definite dal Regio decreto del 10 gennaio 1907 (prima
normativa tecnica italiana sulle costruzioni): kg 300 di cemento
Portland, mc 0,400 di sabbia asciutta e non compressa e
mc 0,800 di ghiaietto e pietrisco le cui dimensioni non potranno
superare i due centimetri.
-
Calcestruzzo cementizio per la copertura del suolo del
drenaggio, compresa l’ impalcatura di legname per il sostegno
dello stesso, computato in £. 330 ogni metro cubo.
-
Calcestruzzo cementizio per la copertura del muro del
drenaggio computato in £ 300 ogni metro cubo.
-
Muratura di mattoni pantofoli disposti in piano con malta
semidraulica
per
il
tompagnamento
di
una
finestra
è
computato in £. 38 al metro quadrato.
-
Fornitura e messa in opera di gronde di lamiera di forma
semicircolare del diametro interno di cm15, computato in £ 14
ogni metro lineare.
-
Fornitura e messa in opera di travi d’ abete grezzo della sezione
di cm 14 x 16 da impiegarsi come arcarecci computata in £ 10
ogni metro lineare.
-
Pulitura
dei
tetti
“scomponendo
totalmente
i
coperchi
spazzando i corridoi” computata in £ 1,00 ogni metro quadrato.
65
-
Fornitura e messa in opera di tegole a dettaglio delle fornaci di
Campofelice di Roccella computata in £ 0,70 cadauna.
I Prezzi elementari, salari e noli per ogni ora di lavoro sono i seguenti:
-
operaio terraiolo per lavori di fondazione per ogni ora di lavoro
£ 2,00
-
Muratore di prima classe per ogni ora di lavoro £ 2,25
-
Muratore di seconda classe per ogni ora di lavoro £ 2,00
-
Manovale grande per ogni ora di lavoro £ 1,75
-
Manovale medio per ogni ora di lavoro £ 1,50
-
Ragazzo per ogni ora di lavoro £ 1,00
-
Mulo bardato con conducente per ogni ora di lavoro £ 3,20
-
Carro ordinario con cavallo e conducente per ogni ora di
lavoro £ 4,00
-
Scalpellino per ogni ora di lavoro £ 3,50
Il costo dei materiali a piè d’ opera è il seguente:
-
Calce grassa ogni mc £ 150,00
-
Sabbia delle cave di Rascata o delle cave di Cammisini o delle
cave di Isnello ogni mc £ 48,00
-
Calce idraulica ogni quintale £ 15,00
-
Cemento Portland ogni quintale £ 39,00
-
Pietra calcare delle cave di contrada Pantano o delle cave di
c.da Torretta ogni mc £ 26,00.
-
Pietrisco di calcare rotto a martello per il calcestruzzo idraulico
ogni mc £ 36,00.
-
Pietrisco di calcare per il calcestruzzo cementizio delle cave di
Isnello ogni mc £ 36,00.
-
Sabbia della spiaggia di Campofelice di Roccella ogni
mc £ 86,00.
66
-
Gesso ogni quintale £ 24,00
-
Acqua per ogni ettolitro £ 3,00
Con delibera del 19 agosto 1925 il Consiglio Comunale incarica
l’ Ingegnere Filippo Sciarrino di redigere un progetto di restauro della
chiesa di S. Domenico e la revisione degli atti inerenti.
Il 18 maggio 1926 la Giunta Comunale delibera di erogare la somma
di £. 2000 per il rifacimento della pavimentazione della chiesa: questa
somma si aggiungeva alle oblazioni raccolte a tale scopo
da un
comitato presieduto dal sacerdote e Rettore della chiesa Tommaso Li
Pira. L’ andamento dei lavori sarà controllato dall’ assessore
ingegnere Francesco Tamburello con l’ assistenza dell’ assessore
supplente capomastro Pietro Dispenza95.
Nella seduta del 5 dicembre 1926 la Giunta comunale ricorda come i
lavori di restauro della chiesa di S. Domenico costituiscono ormai un
annoso problema che si trascina da tempo e a cui non venne dato
seguito nemmeno quando si provvide al restauro della facciata del
Palazzo Municipale annesso alla chiesa negli anni 1907-1910. Nel corso
dei lavori di rifacimento del pavimento si ebbero degli imprevisti che
determinarono un aumento della previsione di spesa: ad esempio lo
scarico del bagno del piano superiore del Palazzo municipale si
trovava dietro l’ altare di S. Vincenzo, fermandosi sotto il piano di
calpestio della chiesa, dove si trovavano le antiche sepolture. Si diede
corso quindi alla rimozione degli scarichi e del bagno sopracitato. Il
comitato, precedentemente ricordato, dovette rifare, quindi, ex novo
la cappella di S. Vincenzo e si dovettero ripulire e ricolmare le
sepolture. In questo frangente era stato sistemato il tetto della chiesa
ed era stata ripulita interamente la volta della navata. Inoltre, erano in
95
ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, Busta n° 40.
67
corso le rappezzature dell’ intonaco e delle decorazioni dei muri
perimetrali e delle diverse cappelle96.
In data 13 dicembre 1926 il Consiglio comunale delibera di
corrispondere al Comitato il contributo di £ 3000 per il consolidamento
statico del prospetto della chiesa di S. Domenico, al rifacimento
dell’ intonaco e a provvedere alla decorazione del frontone della
chiesa con l’ apposizione della trabeazione seicentesca in pietra viva,
proveniente dalla chiesa dello Stellario già demolita. La sorveglianza
tecnica e artistica è riconfermata all’ assessore ingegnere Francesco
Tamburello e al capomastro Pietro Dispenza97.
Dalle delibere municipali è possibile notare come gli interventi che si
sono succeduti nel primo quarto del Novecento siano stati parziali e
non abbiano avuto un carattere unitario mentre negli anni successivi
si è dato corso a semplici interventi di manutenzione ordinaria.
La Chiesa dell’ Annunziata Nuova e l’ adiacente Oratorio del Rosario
96
97
ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, Busta n° 40.
Ibidem.
68
Capitolo 5 :
LA TRASFORMAZIONE DEL CONVENTO IN PALAZZO MUNICIPALE
5.1 Da Convento di S. Domenico a Palazzo Municipale:
storia di una fabbrica
Il Palazzo Municipale di Collesano, già convento dei Domenicani,
sorge nel baricentro del tessuto urbano: prospetta anteriormente
sull’ asse viario principale (Corso Vittorio Emanuele) e nella parte
retrostante su quello che era l’ Orto di San Domenico. Su tale area alla
fine degli anni ‘60 è stata edificata una scuola dell’ infanzia che
attualmente non è più utilizzata, versando in pessime condizioni
strutturali.
A seguito dell’ emanazione della legge sulla soppressione degli
ordini religiosi del 7 luglio 1866 anche a Collesano si prospetta
l’ opportunità di trovare una sede appropriata per lo svolgimento
dell’ attività amministrativa: a tal proposito viene individuato l’ ex
Convento dei Domenicani.
Il 29 maggio 1869 l’ Amministrazione del Fondo per il culto
rappresentata da Gaetano Maria De Blasi, ricevitore del Demanio e
delle tasse per gli affari del circondario di Cefalù, cede e consegna al
sindaco di Collesano Michele Sarrica il fabbricato dell’ ex Convento di
S. Domenico e la chiesa annessa (Documento N° 4). Secondo la
descrizione fornita dal De Blasi, al Convento si accedeva da Corso
Vittorio Emanuele tramite una gradinata esterna (questa permette
tuttora l’ accesso alla Chiesa di S. Domenico) e lo stesso risultava
composto da due elevazioni (De Blasi parla di piano terra e piano
superiore perché riferiti alla quota di calpestio della chiesa di
S. Domenico); da questa descrizione (e dal progetto dell’ ingegnere
Giovanni Salemi-Pace di cui si riferirà in seguito) si deduce che
69
l’ attuale piano terra non esistesse o meglio costituisse un terrapieno
sul quale si ergevano i due piani soprastanti.
L’ attuale primo piano, alla data citata, era composto da dieci
stanze, alcune in buono stato e altre inabitabili, disposte lungo un
corridoio dal quale si accedeva ad un cortile esterno.
Al secondo piano, invece, si riscontravano dodici stanze disposte
lungo un altro corridoio: alcune di esse prospettavano su Corso
Vittorio Emanuele, altre sull’ orto sopracitato. Al secondo piano si
accedeva tramite una scalinata interna.
Con questo verbale il Sindaco si obbligava a convertire la
destinazione d’ uso del fabbricato ceduto e realizzare al suo interno
scuole e/o uffici pubblici; da questa cessione sono esclusi i mobili, gli
oggetti d’ arte, libri e simili. L’ elenco di questi beni è visibile
nell’ allegato al documento n° 4. L’ Amministrazione si obbliga a
tenere aperta al culto la chiesa ed in essa
le funzioni liturgiche
saranno officiate da religiosi che dovranno vestire l’abito da prete
secolare.
Il cambiamento della destinazione d’ uso comportava dei consistenti
lavori
di
trasformazione
e
adattamento
che
saranno
affidati
all’ ingegnere-architetto Giovanni Salemi Pace.
70
5.2 L’ ingegnere-architetto Giovanni Salemi Pace
L’ architetto Giovanni Salemi Pace, nell’ ambiente professionale
palermitano di fine Ottocento, rappresenta senz’ altro una personalità
di notevole spessore, soprattutto in ambito accademico e culturale.
Nasce a Montemaggiore Belsito il 7 ottobre 1842. Conduce gli studi
secondari a Palermo. Nel 1860 fu volontario garibaldino nel
1° Battaglione Bersaglieri Rosolino Pilo, da cui fu congedato il 16
gennaio 1861 con il grado di sergente. Ripresi gli studi, il 9 giugno 1866
ottenne dalla Reale Università di Palermo il titolo di Dottore in Scienze
Matematiche ed il Diploma di libera pratica come IngegnereArchitetto. A Palermo, infatti, non era stata ancora istituita la Scuola
d’ applicazione per gli Ingegneri ed Architetti ed il curriculum, che
avviava al conferimento del titolo conseguito dal Salemi-Pace,
comprendeva complessivamente undici cattedre. Pochi mesi dopo la
laurea vince, tramite concorso, una borsa di studio per perfezionarsi
presso l’ Istituto tecnico superiore di Milano, fondato e diretto
dall’ illustre professor Brioschi. Alla fine dell’ anno scolastico 1866-1867
fece ritorno a Palermo dove fu nominato assistente alle varie scuole di
disegno e agli esercizi pratici d’ Ingegneria.
In gioventù manifesta un notevole interesse verso gli studi storici
(medievali e classici) e tale inclinazione è testimoniata dalla
71
pubblicazione di alcuni saggi tra i quali è possibile ricordare
Monumenti arabo-normanni nei dintorni di Palermo, edito nel 1866, e
Solunto, ossia le rovine di una antica città sul monte Catalfano del
1872. Ben presto, tuttavia, i suoi interessi si volgono alla sfera
tecnologica e scientifica tanto da essere tra i
soci fondatori del
Circolo Matematico di Palermo, costituito nel 1884 su iniziativa di
Giovan Battista Guccia; di tale Circolo fanno parte matematici di
spicco quali Giuseppe Albeggiani, ex rettore dell’ Università di
Palermo, Francesco Caldarera e Alfredo Capelli, ma la maggior parte
dei soci fondatori erano ingegneri. Tra questi, si riscontrano Michele
Capitò, Giuseppe Damiani Almeyda, Carlo Pintacuda e qualche altro
nome meno noto come Rosario Alagna; tra i primi iscritti figurano
Ernesto Armò e Francesco Cavallari. Ben presto, tuttavia, molti di essi si
distaccano dal circolo stesso: nel 1884 Damiani Almeyda e Salemi
Pace, l’ anno seguente Ernesto Armò. La famiglia Basile, invece,
mantiene saldi i suoi legami con l’ ambiente radicale, ma
internazionale del Circolo.
Nella convinzione che gli ingegneri coscienti della propria formazione
scientifica siano i veri protagonisti della nuova architettura, si acuisce
l’ allontanamento dalla figura professionale dell’ architetto. SalemiPace intende conseguire una approfondita competenza nel settore
tecnologico e a tal proposito si specializza con una seconda laurea a
Milano nel 1886. In quello stesso anno redige il progetto di acquedotto
pubblicato in Disegno e proposte per condurre a Palermo le acque di
Favara e Ciaculli. In questo periodo il crescente interesse
l’
ambito
tecnico-scientifico
è
confermato
da
per
numerose
pubblicazioni in materia, tra le quali una lunga serie di saggi e studi
sulla resistenza e le caratteristiche meccaniche dei materiali;
particolarmente aggiornate appaiono, inoltre, i suoi interventi sulle
strutture metalliche.
Nel campo più specifico delle costruzioni, l’ attenzione sempre più
pronunciata alle innovazioni tecniche è sintomatica della volontà di
72
potenziare l’ industrializzazione siciliana, in particolare l’ industria
pesante già attiva con numerose fonderie ed industrie meccaniche
con armatori navali da non trascurare. Oltre i Florio si ricordano: i
Barbaro, i Corvaja, i Tagliavia, i Trafiletti.
Nel 1890 Salemi-Pace viene incaricato dell’ organizzazione della
Galleria del lavoro in occasione dell’ Esposizione Nazionale (18911892), in cui compare una sezione sull’ impiego dei metalli nelle
costruzioni. Dalle pubblicazioni dell’ ingegnere, traspare, tra l’ altro, la
preoccupazione di rendere credibili dal punto di vista statico le nuove
costruzioni metalliche. Scrive il Salemi-Pace: “Nel breve periodo di
circa mezzo secolo le costruzioni metalliche hanno avuto uno sviluppo
considerevole. Vi sono taluni che in essi hanno tuttavia poca fiducia, o
per lo meno ne limitano la vita. I costruttori più fiduciosi si
preoccupano
del
pari
grado
della
stabilità
che
alle
stesse
ordinariamente si crede di assegnare…”
Una volta istituita la Reale Scuola d’ Applicazione per gli Ingegneri ed
Architetti
fu
chiamato,
per
incarico,
all’
insegnamento
della
Topografia, che poi nel 1876 fu detta cattedra di Geometria pratica e
nel 1914 si mutò in cattedra di Topografia e Geodesia, che tenne fino
al 1917. Nella stessa Scuola di Applicazione fu libero insegnante di
idraulica e di costruzioni fluviali e dopo il 1872 venne incaricato di
insegnare costruzioni civili, stradali ed idrauliche, cattedra che, nel
1880 fu detta Costruzioni civili ed idrauliche e poi, nel 1882, cattedra di
Meccanica applicata alle costruzioni. Di quest’ ultima cattedra, nel
1886, fu promosso professore straordinario, ed ordinario nel 1903. Nel
1909 alla morte del professore Michele Capitò, gli fu affidata la
Direzione della Scuola di Applicazione portando a compimento
l’ opera iniziata e già avviata dal suo predecessore, cioè l’ istituzione
della sezione di Ingegneria industriale (cfr. Michele Capitò, Memoriale
per la scuola di applicazione, Lo Statuto, Palermo 1900; Per una scuola
industriale in Sicilia, Lo Statuto, Palermo 1902; Scopi della sezione
73
industriale da istituirsi, Montaina, Palermo 1905). A tale opera
partecipò finanziariamente la Cassa di Risparmio di Palermo.
Le
vicende
culturali
di
Salemi-Pace
appaiono
notevolmente
influenzate dalla personalità di Giovan Battista Filippo Basile, del quale
fu commilitone nell’ esercito garibaldino. Di Basile resta uno dei più
profondi interpreti e in occasione della sua morte avvenuta nel 1892 la
commemorazione viene affidata allo stesso Salemi Pace (G. B. Filippo
Basile. Gli Allievi, Palermo 1892, pp. 5-10).
Salemi-Pace gode di grande autorevolezza a Palermo rivestendo la
carica di Presidente del Collegio degli Ingegneri ed Architetti tra il
1897-1900 e il 1905-1906.
Nel 1917, raggiunti i limiti di età regolamentari, lasciò la cattedra ed a
coronamento dell’ impegno profuso nella didattica, il 10 novembre
dello stesso anno fu nominato Professore Emerito. Infine, fu confermato
dal Ministero, sine die, Direttore della Scuola d’ Applicazione e vi
rimase fino al 1926 quando, dopo 17 anni di intenso lavoro all’ età di
84 anni, rassegnò le proprie dimissioni da quella carica. La
considerazione del Salemi Pace era tale che venne chiamato a far
parte del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione e decorato, al
termine della Direzione della Scuola d’ Applicazione, della suprema
onorificenza di Cavaliere di G. Croce della Corona d’ Italia. Salemi
Pace si spegne a Palermo il 5 febbraio 1930.
Incarichi affidati a Salemi Pace:
Al prof. Salemi Pace furono affidati svariati e delicati incarichi diversi
dall’
insegnamento;
così
tornato
da
Milano,
fu
assunto
dal
Compartimento di Palermo per l’ applicazione dell’ imposta sul
macinato; nel 1873 fece parte del Consiglio Direttivo della Scuola
Superiore G. Turrisi Colonna; nel 1885 fu membro della Commissione
per la consegna del materiale della rete sicula; dal 1887 al 1890 fu
Vice Direttore del Nuovo Catasto; nel 1892, durante l’ Esposizione
74
generale nazionale di Palermo, fu Commissario ordinatore della
Sezione industrie estrattive e meccaniche; nel 1902 fu membro della
Commissione ordinatrice dell’ Esposizione agricola regionale di
Palermo; nel 1905 fu Presidente della Commissione per la valutazione
e riconsegna dei materiali di esercizio e di approvvigionamento della
rete Adriatica; nel 1909 fu Consigliere del Comune di Palermo. Inoltre
fu socio della Società di Scienze Naturali ed Economiche, Socio della
Reale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo, della Società
di Storia Patria, della Sezione Siciliana dell’ Associazione Elettrica
Italiana. Inoltre fu uno dei 27 sottoscrittori del primo Statuto di
fondazione (2 marzo 1884) del Circolo Matematico di Palermo,
divenuto poi, Società Internazionale di Matematica. Fu anche socio
del Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Palermo sin dalla sua
fondazione e vi occupò successivamente le cariche di Consigliere, di
Direttore della Redazione degli Atti, di Vice Presidente e poi di
Presidente, una prima volta dal 1887 al 1900 ed una seconda volta dal
1905 al 1911. Nel luglio 1925 in occasione dell’ ultima assemblea del
vecchio
Collegio
degli
Ingegneri
ed
Architetti
di
Palermo,
all’ unanimità, viene acclamato Presidente Onorario.
Interventi progettuali a Collesano:
Con delibera del Consiglio Comunale di Collesano del 28 agosto 1878
viene affidato all’ ingegnere Giovanni Salemi Pace l’ incarico di
progettare il nuovo Cimitero da ubicarsi nella parte suburbana
dell’ abitato in cui si trovava la “silva” dell’ abolito convento dei Padri
Cappuccini. Lo storico locale Giuseppe Tamburello a tal proposito
riferisce che il Cimitero “tuttoché ancora sia incompleto, per la
severità della costruzione e per i modesti loculi o sepolcreti di famiglie
che lo circuiscono presenta quel tono di severità, qual si addice a
simili locali”.
75
Il 13 aprile 1880 l’ Amministrazione Comunale approva il progetto
dell’ Ingegnere-architetto Giovanni Salemi-Pace per il restauro e
l’ adattamento dell’ ex convento di S. Domenico ad uffici municipali,
sede della pretura mandamentale, della conciliazione con l’ archivio
notarile, della caserma dei carabinieri, dell’ ufficio postale e di quello
del telegrafo.
Pubblicazioni:
Monumenti arabo-normanni dei dintorni di Palermo,Palermo 1866;
Solunto, ossia le rovine di un’ antica Città sul monte Catalano, in
“Nuovi Annali di Costruzioni, Arti e Industrie”, genn.-febbr. 1872, pp.
1-13 e 9-14;
Sull’ equilibrio delle volte simmetriche, in “A.C.I.A.” 1879;
Sulla determinazione degli sforzi molecolari ammissibili nelle costruzioni
metalliche, in “A.C.I.A.”, febbr. 1880, pp. 7-44;
Determinazione sperimentale delle costanti specifiche delle pietre da
costruzione, in “A.C.I.A”, 1880, pp. 99-144; e Palermo 1881;
Sull’ equilibrio delle volte simmetriche, Palermo 1884;
Disegno e proposte per condurre a Palermo le acque di Favara e
Ciaculli, Palermo 1886;
Relazione sui metodi da prescegliersi per la formazione del catasto
geometrico particellare del regno, in “A.C.I.A”, 1886, pp. 25-30;
Rapporto del prof. Salemi Pace alla Giunta Municipale di Palermo
sulla misura delle acque di Renda, Palermo 1887;
G.B.F. in A.G.B.F. Basile, gli allievi, Palermo 1892, pp. 5-10;
Di taluni saggi sulla resistenza della pietra alla compressione, in
“A.C.I.A”, 1894, f. 2, pp. 13-21;
I marmi della Sicilia illustrati, in “A.C.I.A” , suppl. 1896;
Sul piano di rottura di un terrapieno, in “A.C.I.A” genn. – apr. 1896, pp.
149-183;
Esperienze sui materiali da costruzione, in “A.C.I.A” , 1898, pp. 87-93;
76
Resistenza delle pietre alla compressione sotto l’ influenza di sostanze
elastiche tra le superfici compresse, in “A.C.I.A” , 1901, pp. 60-96;
Prove alla trazione e alla compressione di malte diverse, in “A.C.I.A” ,
1905;
Il problema delle acque in Sicilia, Palermo 1918.
Fonti:
Archivio Storico Comunale di Collesano, Amministrazione, Num. 192,
Cat. I, Classe 11, fascicolo 1.
Tamburello Giuseppe, Collesano nella storia, nelle cronache, nei
diplomi con notizie topografiche, Acireale 1893.
Albeggiani Michele Luigi, Commemorazione del Prof. Giovanni SalemiPace in Giornale di Scienze naturali ed Economiche di Palermo, XXXVI,
1931.
Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti: Dizionario dei
siciliani illustri, Palermo 1939 XVIII.
Fatta Giovanni – Ruggieri Tricoli M. Clara, Palermo nell’ “Età del Ferro”
architettura-tecnica-rinnovamento, Palermo 1983.
Salamone Livia, ad vocem Salemi Pace Giovanni
in Luigi Sarullo,
Dizionario degli Artisti Siciliani. Architettura. Volume I, a cura di Maria
Clara Ruggieri Tricoli, Palermo 1993.
77
5.3
Il Progetto di trasformazione del Convento98
Il 30 marzo 1880 Salemi-Pace presenta all’ Amministrazione
Comunale il progetto di trasformazione dell’ ex Convento di
S. Domenico. Il successivo 13 aprile
l’ Amministrazione Comunale
approva il progetto che prevede il restauro e l’ adattamento dell’ ex
Convento ad uffici municipali, sede della Pretura mandamentale,
della conciliazione con l’ archivio notarile, della caserma dei
carabinieri, dell’ ufficio postale e di quello del telegrafo99.
In particolare si prevede di collocare:
- A piano terra l’ Ufficio Postale e l’ Ufficio Telegrafico.
- A primo piano la stazione dei Reali Carabinieri e la Delegazione di
pubblica Sicurezza, tenendo presente per la Caserma dei Carabinieri
le prescrizioni dell’ art. 447 del Regolamento in materia, secondo le
quali essa doveva contenere, in ragione della forza fissata per la
Stazione, i seguenti corpi:
- Camera con attiguo Ufficio per il comandante la Stazione
- Camera ogni due carabinieri ed una camera di riserva per gli uomini
di passaggio
- Cucina
- Camera di disciplina e Camera di detenzione
- Cortile con pozzo o fontana
- Latrina
- Scuderia
- Selleria
- Locale per provvista di foraggi sufficienti almeno per un mese
ASCC, Amministrazione, Numero 192, Categoria I, Classe 11, fascicolo 1; ove non
diversamente indicato, per tutto ciò che è inerente il progetto e i lavori di
trasformazione del convento si faccia riferimento alla stessa indicazione archivistica.
99
G. Tamburello, Collesano nella storia cit, Acireale 1893, p. 98.
98
78
- Luogo di deposito per il concime
La Delegazione di pubblica Sicurezza doveva contenere non solo
l’Ufficio del Delegato ma possibilmente pure il suo alloggio.
- A secondo piano la Pretura, l’abitazione del Pretore e soprattutto la
Casa Comunale costituita dai seguenti corpi:
- Sala per gli uscieri
- Sala di aspetto
- Due stanze per gli applicati
- Camera del Segretario
- Archivio
- Gabinetto del Sindaco
- Sala per le riunioni del Consiglio
- Due stanze con camerino per alloggio di persone ufficiali
- Camerino di toletta
- Bagno
Salemi Pace sottolinea che a primo piano la disposizione dei corpi di
fabbrica è tale da poter aggiungere, secondo i casi, altri corpi alla
caserma
dei
Carabinieri,
sottraendoli
alla
Delegazione
già
largamente dotata degli spazi necessari all’ espletamento della
funzione. Rispetto alle prescrizione del suddetto Regolamento, Salemi
Pace aggiunge nella Caserma una sala per la mensa dei Carabinieri
di Stazione. L’ ingegnere specifica che, tenendo presente questa
destinazione, la sala di disciplina si potrebbe ricavare da una porzione
della Scuderia o dietro la Selleria, mentre quella di detenzione
potrebbe essere allocata nel sottoscala, nella parte del cortile
riservato ai soli carabinieri.
I servizi, sia per gli impiegati comunali che per quelli della Pretura, si
sarebbero potuti ricavare nel sottoscala.
79
Dal preventivo di spesa annesso al progetto si prevedeva la seguente
ripartizione:
Per il piano terreno
£. 8.116,79
Per il corpo della scala
£. 3.991,55
Per il primo piano
£. 12.535,36
Per il secondo piano
£. 21.115,72
Totale parziale
£. 45.759,42
Per il prospetto
£. 5.000,00
Per imprevisti
£. 4.240,58
Totale
£. 55.000,00
A questa spesa era possibile provvedere poco alla volta in anni
diversi. Salemi-Pace suggeriva che la sistemazione completa del
primo piano a Caserma dei Carabinieri e Delegazione di Pubblica
Sicurezza si sarebbe potuta rimandare in un secondo momento così
come la realizzazione del prospetto.
La somma strettamente necessaria per la realizzazione dell’ Ufficio
Postale, dell’ Ufficio Telegrafico, della Pretura e della Casa Comunale
si sarebbe potuta ridurre a £. 37464,54 che si ottiene togliendo dalla
somma totale di £. 55000 la spesa dei lavori per la sistemazione del
primo piano e la decorazione del prospetto di £. 17535,36.
L’ Amministrazione si obbliga a pagare
£. 30000 in corso ed in
proporzione dell’ avanzamento dell’ opera e la quota rimanente in tre
rate annuali con l’ interesse del 5%
a contare dalla data della
relazione finale delle opere compiute.
80
Alla relazione di progetto è allegato anche il computo metrico
estimativo riportato nel documento n° 5 da cui si evincono
gli
interventi eseguiti per ciascuna categoria di lavoro.
In sintesi il progetto prevedeva:
La realizzazione dei vani del pianterreno ricavati interamente nel
preesistente terrapieno.
Piano Terra:
- Scavo di controfossi per la fondazione dei muri di prospetto, dei muri
interni paralleli e perpendicolari al prospetto per una profondità di
1,00 metro.
- Scavo di terra per la realizzazione del piano dell’ androne e delle
stanze attigue.
- Scavo di terra per la realizzazione della fondazione della scala
interna.
- Muratura realizzata in pietrame calcareo compatto e malta idraulica
e/o comune eseguita ad opera d’ incastro.
- Piedritti, archi e piattabande delle finestre da realizzare in muratura
di mattoni.
- Nel vano dell’ androne mattonato con lastre di calcare compatto e
sottostrato di calcestruzzo di 10 cm.
- Nei vani del piano terra mattonato con mattoni quadrelli stagnati
con sottostrato di malta idraulica e ghiaia dello spessore di 8 cm.
- Volta a botte nell’ androne realizzata con centine di legno, stuoiato
di canne schiacciate ed intonaco a tre strati.
- Soffitti piani con fasce di tavole in coltello, assito di canne
schiacciate ed intonaco a tre strati nei vani del pianterreno.
- Nel vano esterno all’ ingresso principale imposta di castagno.
- Infissi di castagno con oscuri di tavola veneta nelle quattro finestre
esterne
81
- Imposta a due mezzini di tavola veneta con riquadri ambo i lati nei
tre vani di comunicazione tra i tre corpi in prospetto.
- Imposta ad unica mezzina con riquadri di mezze costane in un solo
lato negli altri vani di comunicazione.
Corpo della scala:
- fondazione e muratura in pietrame calcareo compatto e malta
idraulica.
- Volta di mattoni a tre strati per le due ultime fughe di scala.
- Pedate e alzate della scala in lastre di calcare.
- Volta con centine di pioppo, canne schiacciate ed intonaco
- Copertura con travi , tavolato e tegole.
Primo piano:
- Tompagnamento e costruzione di muri in pietrame calcareo
compatto.
- Piedritti, archi di finestre e risarcimenti vari in muratura di mattoni ad
opera d’ incastro.
- Mattonati con mattoni stagnati e sottostrato in cementi vagliati in:
-
sala d’ ingresso
-
sala per la mensa dei carabinieri di stazione
-
sale destinate alla delegazione
- Lastricati con lastre quadrate di calcareo compatto con sottostrato
di calcestruzzo spessore 10 cm:
-
scuderia dei carabinieri e corpi annessi
- Volte in centine di legno tessuto di canne schiacciate e tre strati di
intonaco:
-
sala per la mensa dei carabinieri
82
-
sale di alloggio per i carabinieri
-
sale destinate alla delegazione
- Imposte esterne di castagno lavorate ambo i lati ed oscuri di tavola
veneta per le tredici finestre del prospetto principale.
- Imposte interne di tavola veneta ornate a cassettoni ambo i lati nei
vani di comunicazione
Secondo piano:
- Demolizione di muri, tramezzi e vecchie volte.
- Rimozione dei tetti composti di travi, tessuto di canne e tegole.
- Demolizione della scala esistente.
- Murature e tompagnamento in pietrame calcareo compatto.
- Sopraelevazione media dei muri perimetrali di 55 cm.
- Piedritti, archi, piattabande delle finestre in muratura di mattoni.
- Ricostruzione di solai composti di travi di castagno e tavolato :
-
archivio della pretura
-
Gabinetto del pretore
-
Sala delle udienze del pretore
-
Uffici della pretura
-
Cucina dell’ abitazione del Pretore
-
Sala da pranzo nell’ abitazione del Pretore
-
Stanza a dormire e gabinetto annesso
-
Sala del Consiglio comunale
-
Corpo dell’ antica scala
-
Gabinetto sotto la torre
-
Terrazzo soprastante.
- Ricostruzione dei tetti composti di travi, listonato, intonaco idraulico e
tegole sul fabbricato principale e sui fabbricati posteriori, sporgenti nel
giardino.
83
- Volte e soffitti con centine di legno, tessuto di canne schiacciate e
tre strati di intonaco:
-
Archivio della Pretura
-
Gabinetto del Pretore
-
Sala delle udienze del Pretore
-
Uffici della pretura
-
Sala da pranzo del Pretore
-
Stanza da letto
-
Gabinetto laterale
-
Archivio Municipale
-
Ufficio municipale
-
Gabinetto del Sindaco
-
Sala del Consiglio
-
Sale laterali
- Mattonato con mattoni stagnati e sottostrato cementizio:
-
Pretura
-
Abitazione del Pretore
-
Corridoio
-
Uffici Comunali
Facciata:
- Intonaco della facciata da eseguirsi a grandi bugne sporgenti la
superficie.
- Modanature della cornice.
- Merli delle torri.
- Bugne di calcare compatto attorno il vano d’ entrata e zoccolo in
lastre lavorate di calcare compatto.
Il 4 ottobre 1881 Salemi-Pace consegna i lavori al capomastro
Stefano Bontà di Palermo prescrivendogli al contempo le disposizioni
84
di cantiere: lo stesso Bontà è accompagnato dal maestro Vincenzo Di
Cristofaro che, in qualità di capo operaio, attenderà ai lavori prescritti.
Salemi Pace consegna a Bontà gli elaborati grafici necessari
all’ esecuzione del cantiere, sottoscritti dallo stesso ingegnere e dal
Sindaco Giacinto Palmeri; gli stessi disegni, riconosciuti conformi a
quelli generali di progetto, saranno sottoscritti anche da Bontà.
Nella fattispecie si tratta di:
1° Pianta del piano terreno in scala 1:100
2° Pianta del primo piano in scala 1:100
3° Pianta del secondo piano in scala 1:100
4° Schema del prospetto in scala 1:100
L’
ingegnere-architetto
prescrive
che
i
lavori
siano
iniziati
contemporaneamente in tre punti ovvero:
- nei punti estremi del prospetto, iniziando dal riparare le fondazioni
che sfiorano quasi il livello del marciapiede.
- nella parte posteriore dell’ ala destra del fabbricato, adiacente il
giardino, in modo da risarcire o rifare in parte i muri perimetrali ed
interni; si prevedeva, inoltre, di iniziare i lavori rifacendo e ampliando
le rispettive fondazioni.
Nelle opere di cui sopra, le murature saranno eseguite:
-
in fondazione, in pietrame calcareo compatto e malta di calce,
pozzolana e sabbia;
-
fuori terra, in pietrame calcareo compatto e malta di calce e
sabbia, mentre stipiti, piedritti ed archi in mattoni di buona
qualità con malta idraulica o comune secondo le circostanze.
In questa circostanza, Salemi-Pace presenta l’ ingegnere Giuseppe
Ottaviano, incaricato di assistere i lavori per l’ esecuzione delle opere
85
a perfetta regola d’ arte, secondo le prescrizioni speciali impartite
nella condotta dei lavori e di effettuare altresì le misure e le valutazioni
corrispondenti. Contestualmente Stefano Bontà rilascia ricevuta delle
quattro tavole di disegno relative al progetto.
Il verbale è sottoscritto da Vincenzo Di Cristoforo, Stefano Bontà,
dall’ ingegnere Giuseppe Ottaviano e dall’ ingegnere Giovanni
Salemi Pace.
Il 5 novembre 1881, in presenza del notaio Francesco Benigno De
Giorgio, viene stipulato il contratto d’ appalto tra l’ Amministrazione
Comunale, rappresentata dai componenti della Giunta e dal sindaco
Giacinto Palmeri e la ditta aggiudicataria dell’ appalto ovvero
Stefano Bontà di Palermo (Documento n° 6). Questi si impegnava a
trasformare il fabbricato del soppresso Convento di S. Domenico a
Palazzo Municipale ed altri pubblici uffici per la somma definitiva di
£. 46468,75. A tal proposito è possibile ricordare come l’ asta del primo
incanto tenutasi il 20 aprile 1881 era stata aggiudicata in prima istanza
al capomastro Felice Appiani per la somma di £. 48974. Il 4 maggio
dello stesso anno Stefano Bontà fa pervenire alla Giunta Comunale
un’
offerta
di
ribasso
pari
al
ventesimo
del
prezzo
offerto
precedentemente per una somma corrispondente a £. 46525,30. Il 30
maggio si tiene la seconda e definitiva asta a partire dalla somma
suddetta. Per aggiudicarsi i lavori il capomastro Stefano Bontà dovrà
offrire un’ ulteriore riduzione pari a dieci centesimi ogni cento lire oltre
al ventesimo per raggiungere la cifra precedentemente esposta di
£. 46468,75.
Al contratto d’ appalto erano allegati i seguenti documenti (gli
elaborati grafici non sono più reperibili):
1)
Pianta geometrica del pianterreno
2)
Pianta del secondo piano
86
3)
Pianta del prospetto
4)
Copia conforme a firma del Segretario Comunale Enrico
Di Lorenzo della stima preventiva dei lavori
5)
Copia della relazione
6)
Copia della tariffa generale dei prezzi
7)
Copia del Capitolato d’ oneri
8)
Copia dei verbali di aggiudicazione definitiva
L’ appaltatore Stefano Bontà si impegna ad eseguire le opere di
trasformazione dell’ ex Convento di S. Domenico e sue dipendenze a
Palazzo Municipale e pubblici uffici di Pretura, Delegazione di
Pubblica Sicurezza, Caserma dei Carabinieri e le opere necessarie a
condurre il lavoro a regola d’ arte nel periodo di diciotto mesi dalla
consegna dei lavori.
Il 5 febbraio 1882 l’ Amministrazione Comunale e l’ appaltatore
Stefano Bontà, con l’ intervento del Direttore dei Lavori ingegnere
Salemi Pace, si trovano nella condizione di dover stipulare una
transazione sull’ uso dei mattoni pantofoloni utilizzati nella muratura.
I termini della transazione erano stati approvati dal Consiglio
Comunale in data 29 gennaio.
L’ articolo 32 della tariffa generale dei prezzi precedentemente
stipulata, prevedeva che la muratura in mattoni pantofoloni delle
migliori fornaci del paese, come quelle di Bovitello, posta in opera con
malta di calce, sabbia e pozzolana fosse pagata 108 lire il metro
cubo.
La stipula della transazione pone nuove condizioni :
1° La muratura in mattoni e malta semidraulica, eseguita con
mattoni di contrada Bovitello sino al 31 gennaio 1882 per un
totale di 38 metri cubi, fosse pagata computandosi la spesa del
trasporto dalla contrada a piè d’ opera in lire 12 a metro cubo,
precedentemente non contemplata nell’ analisi dei prezzi.
87
2° Per evitare la sospensione dei lavori, si prevede di autorizzare
l’ impresa a ritirare durante la stagione invernale almeno 10000
mattoni, provenienti da qualsiasi sito purchè di buona qualità,
compensando alla stessa impresa lire 300 per le spese di
trasporto a piè d’ opera del materiale suddetto.
3° Per la rimanente muratura da eseguirsi in mattoni resta fermo
il prezzo dell’ articolo 32, per cui l’ impresa si impegna a far
venire a Collesano abili fornaciari in modo da eseguire in loco il
materiale necessario all’ esecuzione della muratura ovvero a
servirsi a suo rischio di mattoni provenienti da qualsiasi altro sito,
purchè siano accettati dalla direzione dei lavori.
L’ 8 aprile 1882 Salemi-Pace presenta una perizia suppletiva relativa ai
lavori concernenti il Palazzo Municipale riguardante la sistemazione
del
terrapieno
e
della
scalinata
di
accesso
alla
chiesa
di
S. Domenico nonché la decorazione del prospetto della chiesa stessa
per un importo totale dei lavori pari a £. 10800 (documento n° 7).
I lavori previsti erano i seguenti:
-
Demolizione del muro di sostegno e delle scalinate allora
esistenti.
-
Rimozione e trasporto in deposito dei conci di calcare
compatto dei gradini e del basolato.
-
Sottomurazione ad opera d’ incastro sotto la torre presso la
chiesa di S. Domenico e nella zona del muro di prospetto del
Palazzo Municipale sostenuta dal terrapieno suddetto.
-
Costruzione del nuovo muro di sostegno lungo il fronte della
chiesa e realizzazione del paramento murario con bugnato
rustico in conci di calcare compatto.
-
Costruzione del nuovo muro a valle della nuova scalinata e
realizzazione del paramento murario come sopra.
88
-
Costruzione del muro a monte della scalinata suddetta.
-
Costruzione del muro posto a sinistra del “fosso canale” della via
laterale.
-
Coronamento dei muri sopracitati con conci di calcare
compatto martellinati.
-
Realizzazione di 15 gradini in calcare compatto.
-
Realizzazione del lastricato nel tavoliere dinanzi la chiesa di
S. Domenico.
Scalinata di accesso alla chiesa e muro di sostegno bugnato
in una cartolina degli anni ’60 del Novecento
La decorazione del prospetto della chiesa prevedeva:
-
Realizzazione della muratura ad incastro dei piedritti della
nuova porta e del semicircolo per la finestra soprastante.
-
Realizzazione della cornice della chiesa e della piccola torre
-
Decorazione della porta principale e delle finestre, compresa la
realizzazione di tre colonnette di marmo.
89
Progetto del prospetto della Chiesa dell’ Annunziata Nuova
dell’ ingegnere Giovanni Salemi-Pace. Elaborato grafico alla Scala 1: 50
90
Particolari del progetto del prospetto della Chiesa dell’ Annunziata Nuova
dell’ ingegnere Giovanni Salemi-Pace
91
Il 5 gennaio 1884 Salemi- Pace presenta la relazione finale della misura
dei lavori eseguiti dalla ditta Stefano Bontà relativi all’ androne, alla
scala e agli uffici del secondo piano del Palazzo Municipale.
Il 3 gennaio1885 lo stesso presenta il dettaglio estimativo delle opere
eseguite dal capomastro collesanese Felice Appiani relative al
completamento della Stazione dei Carabinieri posta al primo piano
del Palazzo Municipale.
Il 29 marzo 1885 viene redatta una scrittura privata tra la Giunta
municipale di Collesano e il capomastro collesanese Antonino Dolce:
questi fornisce la stima dettagliata delle opere eseguite relative al
completamento della Sala di Musica e dell’ abitazione del Direttore
posti nell’ ala sinistra del primo piano del Palazzo Municipale.
L’ importo totale dei lavori ammontava a £. 2082,24.
I lavori eseguiti comprendevano:
-
Scrostamento di vecchio intonaco delle pareti di varie stanze
-
Ripieni di pietrame con malta ordinaria per regolarizzare la
superficie dei muri
-
Tamponamenti con pantofole in piano e malta di gesso
-
Murature di laterizi
-
Realizzazione di volte con centine di tavola di pioppo a due
foglie unite con chiodi da intavolare poste a distanza di cm 50
le une dalle altre, listonate a graticola con legno di abete,
tessuto di canne schiacciate ed anello di ferro, compreso
l’ incastro dei peduzzi delle centine realizzato nella muratura di
pietrame (due stanze di musica)
-
Rinzaffato, arriccio e traversato della volta e tonachino a mezzo
stucco
-
Mattonato del pavimento con mattoni delle fornaci di
Collesano
92
5.4 La pavimentazione dei locali del Palazzo Municipale
Nel 1769 il convento domenicano di Collesano si arricchisce della
seconda elevazione e nella circostanza lo stesso edificio, o parte di
esso, viene pavimentato con mattoni che secondo la storiografia
locale escono, sotto la direzione di maestranze napoletane, dalle
fornaci del ceramista collesanese Antonino Barbera.100
Oltre un secolo dopo, la trasformazione dell’ex convento domenicano
in Palazzo Municipale e uffici pubblici comporta una nuova
pavimentazione.
Sulla pavimentazione con mattoni stagnati dei locali del nuovo
Palazzo Municipale la documentazione reperita presso l’archivio
storico comunale ha restituito un documento preparatorio che, pur
mancando dei nomi dei fornaciai impegnati, consente di seguire l’iter
predisposto dall’Amministrazione comunale e di acquisire notizie
rilevanti sulla pavimentazione che verrà poi eseguita.
Si tratta di una bozza di scrittura privata, datata ottobre 1882 senza
l’indicazione del giorno, da stipularsi tra il Comune, nella persona
dell’assessore anziano Stefano Palmeri, e i fornaciai ancora da
individuare. Viene premesso che, dovendosi ammattonare tutte le
stanze destinate ad uffici, l’Amministrazione comunale era venuta
nella determinazione di promuovere nel paese una fabbrica di
mattoni smaltati al fine di far rinascere un’attività che un tempo
aveva conseguito ottimi risultati ed in atto era quasi del tutto
scomparsa.101 Ciò oltre al consistente risparmio relativo alle spese di
trasporto per i lavori da eseguirsi nel Palazzo Municipale, in confronto
Antonino Di Bernardo, (A. D. B.), Affonda le radici nei secoli l’arte della ceramica
a Collesano in
Sicilia del popolo, 8 luglio 1954, ripubblicato in R. Termotto- A.
Asciutto, Collesano per gli emigrati, Castelbuono 1991, pp. 221-223.
101 In effetti mattoni stagnati e dipinti erano usciti dalle fornaci collesanesi almeno a
partire dal 1648 (chiesa di S. Filippo di Sclafani) per arrivare fino ai primi decenni
dell’Ottocento con forniture non solo per chiese e abitazioni nobiliari di Collesano,
ma anche per centri madoniti e del comprensorio, come Polizzi, Petralia Sottana,
Gangi, Montemaggiore, Cefalù etc. Cfr. Rosario Termotto, Per una storia della
ceramica di Collesano in Mediterranea ricerche storiche, 5, 2005, pp. 441-474.
100
93
all’opzione del ritiro dei mattoni da Palermo o da altro centro.
Pertanto era stato fatto venire a Collesano un maestro disegnatore e
fornaciaio e, grazie alla collaborazione con un ceramista locale col
quale si era costituita una società, si erano fatti molteplici tentativi per
produrre mattoni stagnati, ottenendo
ottimi campioni di buona
condizione e qualità. Si propone, quindi, ai maestri ceramisti una larga
fabbricazione di mattoni stagnati con promessa di acquisto da parte
del Comune di non poca quantità, tale da assicurare il lavoro per
tutto il prossimo inverno. Si prospetta anche la possibilità di altre
facilitazioni.
Nei particolari l’articolato della scrittura privata prevedeva:
1.
La fabbricazione a Collesano e la consegna di 14.000
mattoni stagnati a vari disegni, al prezzo di lire 12 al centinaio,
con pagamento in corso d’ opera dietro certificazione del
direttore dei lavori attestante la buona qualità.
2.
12
I mattoni saranno divisi, quanto al disegno dello smalto, in
distinte
partite,
delle
quali
10
di
mille
cadauna.
L’ Amministrazione Comunale si riserva, tramite il direttore dei
lavori, di intervenire su altri particolareggiati dettagli al fine di
conseguire la corrispondenza degli ambienti del palazzo
comunale col numero di mattoni di uno stesso disegno.
3.
Per la consegna, i fornaciai si obbligano a cominciare dal
1 marzo 1883 e continuare per 5 mesi al ritmo di 2800 mattoni al
mese.
4.
Tutti i mattoni devono essere fabbricati esclusivamente
con argilla della contrada Bovitello di Collesano, ed essere ben
squadrati e ben cotti. Lo stagno dovrà essere ben fuso, senza
bolle.
5.
Il sindaco si riserva il diritto di scegliere il disegno dello
smalto ed anche di indicarlo particolarmente per le due partite
94
di 2000 unità. Alcune partite di mattoni dovranno essere
smaltate ad unico colore, senza disegno.
6.
A titolo di incoraggiamento e come anticipo il Comune
eroga £. 500 che saranno scontate per metà a giugno e per
metà a luglio 1883.
7.
Il comune si riserva, dopo la consegna dei 14000 mattoni,
la facoltà di poterne ordinare altri 10000 allo stesso prezzo e alle
stesse condizioni, erogando un altro anticipo di £. 500.
La storiografia locale conferma che nel 1883 la pavimentazione del
palazzo comunale di fatto avvenne con “mattoni stagnati fabbricati
in “loco””; ma quella fu l’ultima produzione, giacché in seguito
“l’industria scomparve e scomparvero anche le forme e gli stampi per
la riproduzione dei disegni.” Si può sottolineare che i mattoni erano
ancora in sito fino al 1951 quando uno studioso locale scrive che
“restano i pavimenti del Palazzo Municipale…che per 70 anni hanno
resistito all’attrito di migliaia di persone con tutte le qualità di calzature
più o meno ferrate”.102
Antonino Di Bernardo (A. D. B.), Carica di secoli a Collesano illanguidisce
l’industria dei figuli in Sicilia del popolo, 19 luglio 1951, ripubblicato in R. Termotto- A.
Asciutto (a cura di), Collesano per gli emigrati, cit., pp. 218-220.
102
95
CAPITOLO 6:
Gli interventi del primo Novecento: il progetto dell’ ing. Luigi Castiglia
6.1 L’ ingegnere Luigi Castiglia
Nasce a Palermo da Andrea e Rosaria Avellone il 13 settembre 1843.
Nel 1880 pubblica le Considerazioni generali sulla canalizzazione
sotterranea della città di Palermo e progetto per condurre le acque
immonde fuori il bacino della Cala.
Nella seconda metà dell’ 800, infatti, la situazione igienico-sanitaria
all' interno del centro storico di Palermo si configurava in tutta la sua
gravità: la maggior parte della popolazione abitava i cosiddetti
"catoi", una sorta di monolocali con cortile, solitamente privi di
pavimentazione. La proposta di un risanamento igienico che
interessasse la città nel suo complesso fu rilanciata nel 1881 dall’
amministrazione Turrisi, ma solo la preoccupazione che l’ epidemia di
colera presente a Napoli nel 1884 si propagasse anche a Palermo
convinse gli amministratori e l’opinione pubblica della indifferibilità
della soluzione del problema igienico; si affermava, dunque, la
necessità di sventrare i quartieri più densamente popolati, demolire
edifici nei vecchi rioni e sistemarli igienicamente; provvedere alla
costruzione di nuovi rioni, coordinando il piano di risanamento e quello
di ampliamento, realizzare un razionale sistema di fognatura generale
della città e, infine, assicurare alla popolazione acqua potabile in
quantità sufficiente.
In qualità di ingegnere comunale, il 25 novembre 1884 Luigi Castiglia è
incaricato della redazione del progetto di risanamento della città di
Palermo che viene presentato nel giro di un mese. Poco dopo, nel
1885, riceve l’ incarico del progetto generale della fognatura, anche
a seguito delle pressioni esercitate dal Collegio degli Ingegneri ed
Architetti ove il progetto di Castiglia, in opposizione a quello di
Tommaso Di Chiara e Giuseppe Ricca, è particolarmente sostenuto
96
da Francesco Enrico De Simone: questi, nel 1880, aveva presentato al
Collegio il rapporto Sulla fognatura della città di Palermo dove si
dichiara favorevole alla “dispersione” dei liquami proposta dal
Castiglia contro “ l’ utilizzazione ” sostenuta dal Di Chiara.
Le condizioni igienico-sanitarie della città erano talmente precarie
che, nel 1885, l'amministrazione comunale bandisce un concorso per
un nuovo piano regolatore che riuscisse a bonificare il centro storico. I
due piani in concorso erano quelli dell'ingegnere Luigi Castiglia, che
risultò perdente, e quello dell'ingegnere Felice Giarrusso che venne
scelto. Così la città adotta ufficialmente il Piano regolatore di
risanamento, che in parte si ricollegava al progetto Grandioso del
1860.
A tal proposito è opportuno ricordare come in seguito agli attacchi al
sistema bastionato da parte dei borboni e
lo stato di degrado di
molte abitazioni del centro, il pretore Giulio Benso, duca della
Verdura, promosse un concorso per la presentazione di un progetto di
pianificazione della città. Il 25 settembre 1860 un gruppo di architetti e
ingegneri, tra i quali figura Giovan Battista Filippo Basile, presentò due
progetti: uno "Economico", uno "Grandioso" ed alcuni elementi di
quello "Medio", poiché non si conoscevano le somme a disposizione
del
comune.
Il
primo,
"Economico",
prevedeva
soprattutto
miglioramenti alla maglia viaria del centro e la creazione di nuove
strade nella zona nord, la lottizzazione dei terreni presso la via Libertà,
l'edificazione di bagni pubblici e di due teatri. Quello "Grandioso" si
concentrava soprattutto
sulla viabilità interna
prevedendo un
reticolato composto da altri quattro assi perpendicolari fra loro che,
intersecando le vie Maqueda e Cassaro, dividevano la città in sedici
quadranti rettangolari. Queste strade, dalla larghezza prevista intorno
ai 20 metri, avrebbero avuto la funzione di aprire la stretta e
disordinata maglia viaria antica permettendo il passaggio dell'aria e
della luce, rendendo più salubri i vari rioni. Per dislocare la
popolazione dalle zone interessate dai lavori, si vennero a creare
97
nuovi quartieri posti soprattutto in riva al mare, come nei pressi delle
borgate di Romagnolo nella zona sud e dell'Acquasanta alle falde del
monte Pellegrino. Delle quattro grandi strade previste vennero
realizzate soltanto l'attuale via Mongitore, che taglia il quartiere
dell'Albergheria parallelamente al Cassaro, e la via Roma. Alla fine
nessuno di questi progetti venne realizzato, ma le proposte presentate
influenzeranno
considerevolmente
la
successiva
pianificazione
cittadina.
In seguito, infatti, un primo tentativo di realizzare un piano regolatore
per la città venne redatto nel 1866 da parte dell'Ufficio tecnico
comunale: si trattava del Piano generale di bonifica e ampliamento
che riprende alcuni elementi del piano precedente. Il nuovo progetto
del 1866 favoriva uno sviluppo disomogeneo proponendo la
lottizzazione e i piani ad opera di privati. È anche grazie alla grande
crescita demografica che nella zona Ovest della città vengono
identificati due nuovi mandamenti in prossimità delle antiche
residenze normanne: Cuba e Zisa. La città viene anche dotata di
importanti infrastrutture come il prolungamento del Molo Nord per
difendersi dalle frequenti inondazioni e la prima circonvallazione
ferroviaria che congiunge la zona portuale con la stazione centrale.
Nel corso del 1885, oltre alla realizzazione di opere di sistemazione
stradale e sottostradale, si procedette alla demolizione di tratti di
bastioni, mura di cortina che chiudevano il vecchio centro e all’
adduzione dell’ acqua Tortorici in città. Nel 1886 l’ amministrazione
Verdura chiese un mutuo di 30 milioni di lire, che fu accordato con
legge del luglio 1887: doveva servire ad estinguere i mutui preesistenti
e a finanziare il piano regolatore di risanamento e ampliamento
redatto nel 1886 dall’ ingegnere Giarrusso (Lire 19.600.000) e il piano di
fognatura generale redatto dall’ ingegnere Castiglia (Lire 6.000.000).
La
nuova
epidemia
di
colera
del
1887
convinse
però
l’
amministrazione dell’ opportunità di eseguire lavori parziali, in attesa
che si definissero nuovi progetti di risanamento e di fognatura. Furono
98
perciò prelevate per l’ esecuzione alcune parti del vecchio piano
Giarrusso per la bonifica dei rioni Conceria, Giliberti, Pozzo e Pozzillo,
Porticatello, Kalsa, Albergheria, e si diede inizio alle espropriazioni
saltuarie di immobili da demolire.
Nel 1892 Luigi Castiglia pubblica un interessante saggio “Sul
risanamento delle acque potabili di Palermo”, problema del quale si
era già occupato operativamente compilando, poco prima del 1884,
il progetto della diga attraverso la valle del Paradiso e monte di
Boccadifalco (Carlo Pintacuda, Sul modo di accrescere le acque
potabili di Palermo, Palermo 1884, p. 4). Nel 1899 pubblica un saggio
“Sulla trasformazione dei pavimenti stradali”, ove propone di sostituire
la pavimentazione in terra battuta delle strade esterne della città di
Palermo.
Secondo quanto riporta Silvia Pennisi in Le scuole a Palermo, in qualità
di ingegnere comunale si occupa anche di edilizia scolastica:
“L’edificio scolastico Montevergini fu costruito in più fasi, i primi «due
bracci» nel 1884 e nel 1885, l’ultimo braccio nel 1887, su progetto
dell’ing.
comunale
Luigi
Castiglia
e
impresa
esecutrice
Luigi
Maniscalco Mustica. Su progetto dello stesso ing. Castiglia, ma con
impresa esecutrice Lo Bianco, venne realizzata nel 1901 la scuola di
piazza XIII Vittime, oggi non più esistente, che contava 38 aule della
capacità complessiva di 2208 allievi”.
Nel 1902, inoltre, Luigi Castiglia è il progettista della cappella Tagliavia
al cimitero dei Rotoli (“Atti del Collegio degli Ingegneri ed Architetti di
Palermo Liberi Esercenti” [A.C.I.A.L.E.], gennaio-giugno 1902). Gli viene
attribuita (Salvo Di Matteo, Iconografia storica della provincia di
Palermo, Palermo 1992, p. 382) una Pianta della città di Palermo
allegata alle guide di Rosario Salvo di Pietraganzilli (1886) e di Enrico
Onufrio (1886).
Nel 1906 Luigi Castiglia, succedendo all’ ingegnere Giarrusso, viene
nominato Capo dell’ Ufficio dei Lavori pubblici del Comune di
99
Palermo occupandosi della realizzazione dei nuovi tronchi della via
Roma, in fase di realizzazione.
Interventi a Collesano:
Nel 1904 l’ ingegnere Luigi Castiglia è incaricato dal Comune di
Collesano, in qualità di consulente, di effettuare dei saggi per
verificare le cause della scarsità di acqua potabile nel centro abitato
(Delibera Giunta Municipale del 28 giugno 1904).
Il 29 ottobre 1906 l’ ingegnere Castiglia consegna al Comune di
Collesano il progetto per drenaggio, isolamento del prospetto
posteriore e restauro della facciata principale del Palazzo Municipale.
La direzione di tali lavori, tuttavia, sarà affidata all’ ingegnere Eliodoro
Drago.
Pubblicazioni:
Considerazioni generali sulla canalizzazione sotterranea della città di
Palermo e progetto per condurre le acque immonde fuori il bacino
della Cala, Palermo 1880;
Progetto di bonifica per la città di Palermo, in Relazione sul
bonificamento della città presentata alla giunta comunale dagli
assessori Paternostro e Scichilone, Palermo 1885;
Sul risanamento delle acque potabili di Palermo, Palermo 1892;
Sulla trasformazione dei pavimenti stradali, Palermo 1899;
Fonti:
Archivio Storico Comunale di Collesano, Amministrazione, Num. 193,
Cat. I, Classe 11, fascicolo 1.
100
Cancila Orazio, Palermo, Bari 1988.
Salamone Livia, ad vocem Castiglia Luigi in
Luigi Sarullo, Dizionario
degli Artisti Siciliani. Architettura. Volume I, a cura di Maria Clara
Ruggieri Tricoli, Palermo 1993.
Pennisi Silvia, Le scuole a Palermo. Tipologie e tecnologie delle
realizzazioni dal 1860 al 1940, Roma 2001.
Chirco Adriana – Di Liberto Mario, Via Roma. La “Strada Nuova” del
Novecento, Palermo 2008.
101
6.2 Il progetto dell’ ing. Luigi Castiglia: isolamento, drenaggio
e decorazione del prospetto del Palazzo Municipale103
Agli inizi del ‘900 i lavori previsti dalla relazione di progetto
dell’ ingegnere Giovanni Salemi- Pace non furono completati del tutto
anche a causa dei gravi sacrifici economici cui dovette far fronte
l’ Amministrazione Comunale sino ad allora. Nella fattispecie non
erano stati completati il prospetto anteriore e posteriore e inoltre era
stato lasciato addossato a quest’ ultimo una parte del terrapieno che
costituisce giardino annesso al Palazzo. Per ovviare a tali problemi
l’ Amministrazione Comunale incarica l’ ingegnere Luigi Castiglia di
redigere un progetto per l’ isolamento e restauro del Palazzo
Comunale che sarà presentato il 29 ottobre 1906 oltre all’ estimativo
della spesa per rivestimento e decorazione dei prospetti del Palazzo
Comunale per £. 6740,00 da concludersi entro sei mesi dalla redazione
del verbale di consegna dei lavori.
Nella
relazione
di
progetto
l’
ingegnere
Castiglia
sottolinea
principalmente due aspetti:
1° Le murature di pietrame dei prospetti, lasciate sprovviste di ogni
rivestimento o intonaco, si sono deteriorate per effetto delle gelate e
per l’ assorbimento dell’ umidità.
2° Il terrapieno, addossato al prospetto posteriore, che si insinua e
sostiene le prime due rampe di scale dello scalone principale ha
notevolmente
danneggiato
le
murature,
tanto
del
prospetto
posteriore che di quelle costituenti il corpo della scala e corpi limitrofi;
specialmente si rileva il danno arrecato alle prime due rampe di scala
dove le lastre dei gradini sono tutte rotte e spostate in conseguenza
del rigonfiamento prodotto dall’ umidità del sottostante terrapieno.
ASCC, Amministrazione, Numero 193, Categoria I, Classe 11, fascicolo 1; si rinvia
alla stessa indicazione archivistica per tutti gli aspetti progettuali ed esecutivi
elaborati dall’ ing. Luigi Castiglia.
103
102
Volendo porre riparo a questa situazione, l’ ingegnere Luigi Castiglia
propone di provvedere tanto a rivestire d’ intonaco i due prospetti
dell’ edificio, quanto ad isolare l’ edificio stesso dal terrapieno del
giardino retrostante e di quello sottostante la scala.
Il progetto di decorazione del prospetto, dell’ ammontare di lire 6740,
prevede:
a)
Il rivestimento con intonaco a tonachino di cemento
artistico colorato – sistema speciale – che si presta sia a rendere
impermeabile la superficie delle fabbriche, quanto a decorare
sobriamente il prospetto principale dell’ edificio;
b)
Il rivestimento con intonaco ordinario liscio, colorato a
buon fresco, del prospetto posteriore.
Per un esame più dettagliato dei lavori di restauro dei prospetti si rinvia
al relativo computo metrico estimativo (documento n° 8).
Progetto del prospetto del Palazzo municipale dell’ ingegnere Luigi Castiglia datato 29 ottobre 1906
L’ elaborato riporta la seguente dicitura: Scala 0,015 per metro
103
Particolare del prospetto del Palazzo Municipale. L’ elaborato grafico riporta la seguente dicitura:
Municipio di Collesano – Progetto per decorare e garantire il prospetto anteriore del Palazzo Comunale –
particolare della decorazione alla scala 1:25.
104
Particolare della decorazione del secondo piano del palazzo Municipale
Particolare della decorazione del primo piano del palazzo Municipale
Particolare della decorazione del portale di accesso al palazzo Municipale
105
Il progetto di isolamento, dell’ ammontare di £. 5290, prevede:
a)
La costruzione di un solido muro di sostegno che allontani
sufficientemente il terrapieno del giardino dalle fabbriche del
palazzo, nel lato posteriore.
b)
Lo sgombro delle terre ammassate negli spazi laterali al
corpo avanzato del grande scalone ed il rivestimento del nuovo
suolo con una platea di protezione in calcestruzzo idraulico.
c)
Lo sgombro delle terre sottostanti alle prime due rampe di
scale e posa in opera
delle nuove
lastre delle pedate dei
gradini, che in massima parte sono rotti e spostati.
d)
Il completamento della fognatura che, dopo aver
attraversato l’ edificio sotto la scala, si collega alla rete fognaria
di Corso Vittorio Emanuele.
Per un esame più dettagliato dei lavori di isolamento del lato
posteriore del Palazzo Municipale si rinvia al computo metrico
estimativo (documento n° 9).
Progetto di isolamento del lato posteriore del Palazzo Municipale – Planimetria del muro di sostegno –
L’ elaborato grafico presenta la seguente dicitura: Scala 0,01 per metro
106
Progetto di isolamento del lato posteriore del Palazzo Municipale - Profilo trasversale del muro di sostegno
del terrapieno. L’ elaborato presenta la seguente dicitura: Scala 0,02 per metro
I lavori di drenaggio del Palazzo Comunale, la cui ultimazione era
prevista in quattro mesi,
saranno realizzati dall’ impresa Dolce. Le
gare d’ appalto relative ai due progetti si svolgono mediante due
distinte aste. Il 5 novembre 1906 viene pubblicato l’ avviso di gara
relativo
L’
al
rivestimento
appaltatore
ha
l’
dei
onere
prospetti
di
anteriore
pagare
i
diritti
e
posteriore.
architettonici
all’ Ingegnere Direttore dei lavori in ragione del 4% dell’ ammontare
lordo dei lavori e il 2% sul medesimo importo al Direttore del Comune.
Il vincitore dell’ appalto non può concorrere a quello dei lavori relativi
al drenaggio dello stesso Palazzo Comunale.
Il 14 novembre 1906 si svolge il primo incanto con il metodo delle
candele vergini che vede l’ aggiudicazione provvisoria del lavori alla
ditta Stefano Dolce con il ribasso del 3% sull’ ammontare lordo dell’
appalto. Il secondo e definitivo incanto si svolge il 10 dicembre 1906
con la presentazione delle offerte delle ditte Giovanni Ribaudo e
Antonino Dolce. Dopo tredici candele, i lavori vengono aggiudicati
107
per un importo pari a £. 5958,16 a Giovanni Ribaudo che offre un
ribasso dell’ 11,60 % sull’ ammontare dei lavori di £. 6740.
Il 10 febbraio 1907 viene stipulato il contratto d’ appalto relativo al
prospetto Municipale tra il Comune e la ditta Ribaudo.
Il 9 giugno 1907 la Giunta Comunale nomina direttore dei lavori
l’ ingegnere Eliodoro Drago con studio a Palermo in via Ingam 14. Lo
stesso consegna i lavori di restauro all’ impresa Giovanni Ribaudo il 1
luglio 1907.
Con lettera datata 30 ottobre 1907 il Direttore dei lavori ing. Eliodoro
Drago a seguito della mancata osservanza di taluni accorgimenti e
direttive di cantiere, invita l’ appaltatore Giovanni Ribaudo ad
attenersi scrupolosamente alle seguenti indicazioni:
1)
Eseguire con schegge di tufo di pietra forte e malta il
rimbottonamento dell’ attuale facciata riempiendo tutti i buchi
e interstizi della fabbrica, avendo speciale cura di pulire e di
bagnare sufficientemente la superficie del muro per evitare lo
screpolamento dell’ intonaco.
2)
La malta da adoperare per il rinzaffo sarà costituita di
dieci parti in volume di calce per ogni 18 parti di sabbia di
Isnello che sarà vagliata, in modo da separare i grossi granelli
dalla parte più fine da adoperarsi nell’ ultimo strato di
tonachino e cemento.
3)
La malta di cemento sarà dosata in modo da contenere
un volume di sabbia triplo del volume di cemento: sarà
applicata sul rinzaffo, dopo averlo bagnato sufficientemente,
comprimendolo con fracasso di legno;
4)
Il colore dell’ intonaco deve sempre risultare conforme a
quello
già
eseguito
nella
cornice,
escludendo
per
la
colorazione l’ uso di sostanze organiche come i colori di anilina.
5)
La malta che si adopera deve essere sempre fresca, mai
rimpastata.
108
6)
Si deve evitare che avvenga essiccazione della malta per
rapida evaporazione dell’ acqua prima della presa e si
raccomanda perciò di mantenere un certo grado di umidità
nell’ intonaco per qualche giorno, sia ricoprendolo per
proteggerlo dal sole sia bagnandolo frequentemente con
acqua.
7)
I nuclei per ossatura delle cornici debbono essere bene
assicurati alle esistenti fabbriche, e poiché queste sono di pietra
calcare compatta e risulta difficile incastrarvi i nuclei, si potrà
far uso di arpioni solidamente curati fra pietra e pietra e di filo di
ferro intrecciato agli stessi arpioni per trattenere i nuclei
medesimi che dovranno essere murati con buona e sufficiente
malta.
Il 28 dicembre 1907 il Direttore dei lavori Eliodoro Drago comunica
all’ appaltatore di non accettare i lavori sino ad allora eseguiti poiché
ritenuti non conformi al campione stabilito: ad esso corrispondeva
soltanto la cornice di coronamento.
Nel febbraio 1908 ulteriori divergenze sorgono in merito al colore
dell’ intonaco parzialmente rifatto dall’ appaltatore: Ribaudo, infatti,
utilizza nell’ intonaco quantità di cemento differenti da quelle previste.
In questo contesto segue l’ interruzione del cantiere che sarà ripreso il
20 ottobre 1909 , data della riconsegna dei lavori a Giovanni Ribaudo.
Nel frattempo la divergenza tra il Direttore dei lavori e l’ appaltatore si
ricompone per l’ intervento del Prefetto: l’ intonaco già eseguito,
pattuito per £ 4,80 al mq, sarà liquidato a £ 4,30 mentre la parte
restante di intonaco sarà liquidata al prezzo di £ 4,80 al mq fermo
restando il ribasso d’ asta. Dopo la riconsegna, i lavori dovevano
concludersi entro tre mesi ovvero il 20 gennaio 1910: questa data
verrà effettivamente rispettata anche se il verbale di ultimazione dei
lavori data
22 febbraio 1910. Infine, il conto finale dei lavori sarà
accettato con riserva dall’ appaltatore il 27 aprile dello stesso anno
(documento n° 10).
109
Il Palazzo Municipale dopo l’ intervento dell’ ingegnere Castiglia
in una foto databile tra il 1910 e il 1927
Il Palazzo Municipale in una cartolina degli anni ‘80
110
CONCLUSIONI:
Il Palazzo Municipale, a seguito degli interventi progettuali già citati,
ha progressivamente accentuato il suo valore di identità civile della
comunità locale: quella che a lungo con i domenicani era stata la
Sala del Capitolo, dove i frati si riunivano al suono della campanella
per deliberare sui fatti salienti della loro comunità religiosa, è
diventata la sede delle adunanze del Consiglio Comunale. Inoltre,
una delle sale più rappresentative del Palazzo, prospiciente il Corso
principale del centro, è diventata recentemente la Sala dei Sindaci,
custode della locale memoria amministrativa. Il significato “civico”
del manufatto era già stato rafforzato negli anni Venti del Novecento:
con delibera del 10 febbraio 1924 il Consiglio Comunale, in ricordo dei
Caduti del primo conflitto mondiale, autorizza la realizzazione del
Parco della Rimembranza nel piazzale del Municipio e di murare una
targa nel relativo prospetto104. Il monumento ai caduti, opera degli
scultori Francesco Sorgi e Turillo Sindone, che ha fornito delle
decorazioni tra le quali un bozzetto artistico della battaglia del Piave,
venne inaugurato nel maggio 1930 105.
La
recente ubicazione del Museo della Targa Florio in un’ala
dell’ edificio municipale (inaugurato nel giugno 2004) accentua la
valenza collettiva di un avvenimento sportivo, una vera kermesse, che
per decenni ha coinvolto l’intera cittadinanza: l’ allestimento
museografico, curato dall’ architetto Marcello Panzanella, permette
di ripercorrere idealmente con l’ ausilio di immagini inedite,
documenti e cimeli (caschi, tute, guanti, parti di auto) la lunga storia
di questa famosa corsa automobilistica ideata da Vincenzo Florio agli
albori del secolo scorso. Tutto ciò ha fatto sì che il Palazzo Municipale
sia stato sempre al centro dell’attenzione delle Amministrazioni che si
ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, busta n° 40.
Antonino Cicero, Quel milite che sparava… in aria in Espero Rivista del
Comprensorio Termini-Cefalù-Madonie, VI, 65-66-67, Agosto-Ottobre 2012, p. 10
104
105
111
sono succedute nei decenni. Negli aspetti strutturali il conventopalazzo ha saputo resistere all’usura dei secoli e dopo l’ intervento di
Salemi-Pace le trasformazioni planimetriche interne sono state
modeste. Il risultato è che oggi Collesano dispone di una prestigiosa
sede municipale, tra le più significative dell’intero comprensorio.
Tuttavia, va rilevata l’ esigenza di operare celermente un restauro
conservativo (varie volte annunziato e non ancora realizzato) dei
prospetti anteriore e posteriore che versano in condizioni di degrado
con vaste aree distaccate o deteriorate oltre a intervenire sull’area di
pertinenza dell’edificio per ridare il giusto lustro e prestigio a uno degli
edifici più rappresentativi della comunità collesanese.
112
BIBLIOGRAFIA:
Fonti archivistiche:
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Archivio Storico Parrocchiale di Collesano.
Archivio di Stato di Palermo, sezione di Termini Imerese, Fondo Notai
Defunti.
Archivio di Stato di Palermo, sezione Gancia, Fondo Corporazioni
religiose soppresse.
Archivio di Stato di Palermo, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di
Cefalù.
Biblioteca Comunale di Palermo, Fondo Di Benedetto.
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colle notizie delle sue glorie dal buio dell’antichità estratte alla luce da
una geniale applicazione del sac. D. Rosario Gallo per accrescerne
l’amore ne’ cuori de suoi compatrioti MDCCXXXVI, manoscritto anno
1736, Archivio Storico Parrocchiale Collesano.
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volume primo, Biblioteca Comunale Palermo.
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1953, Archivio Storico Parrocchiale Collesano.
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Dizionario degli artisti siciliani, Volume I Architettura, a cura di Maria
Antonietta Spadaro, Palermo 1993.
117
Ringraziamenti:
Innanzitutto desidero esprimere un doveroso ringraziamento al
Professore Nunzio Marsiglia e l’ architetto Giuseppe Verde per la guida
e i preziosi consigli necessari alla stesura della presente tesi di laurea.
Per la cortese disponibilità intendo inoltre ringraziare il Sindaco di
Collesano Giovan Battista Meli, il Capo dell’ Ufficio Tecnico Comunale
ing. Liborio Panzeca, il geometra comunale Mimmo Signorello,
il sig. Calogero Ciacomarra dell’ Assessorato Comunale alla Cultura,
l’ arch. Franco Cuccia, il Rettore della Chiesa dell’ Annunziata Nuova
Don Vincenzo Corsello.
Per la gentile concessione di alcune fotografie Filippo Gullo e il sig.
Vincenzo Anselmo.
Per il sostegno morale, la pazienza e l’ incoraggiamento costante non
cesserò mai di ringraziare la mia famiglia.
118