Tesi di laurea: LA CHIESA DELL` ANNUNZIATA NUOVA E IL
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Tesi di laurea: LA CHIESA DELL` ANNUNZIATA NUOVA E IL
Università degli Studi di Palermo Facoltà di Architettura Corso di Laurea in Architettura 4/S A.A. 2012-2013 Tesi di laurea: LA CHIESA DELL’ ANNUNZIATA NUOVA E IL CONVENTO DEI DOMENICANI A COLLESANO Il rilievo per la conoscenza Relatore: Tesi di Laurea di: Prof. Arch. Nunzio Marsiglia SALVATORE TERMOTTO Correlatore: Arch. Giuseppe Verde Alla mia famiglia INDICE: INTRODUZIONE: 1 CAPITOLO 1: GENESI ED EVOLUZIONE STORICO-URBANISTICA DI COLLESANO 1.1 Dalle origini arabo-normanne alla conquista angioina 1.2 La crisi del Trecento: il Regno aragonese di Sicilia e i Ventimiglia a Collesano 1.3 1.5 10 La ripresa economica, demografica ed urbanistica del Quattrocento 1.4 3 13 Espansione urbanistica e nuove istituzioni religiose nel Cinquecento 21 Edifici civili e religiosi tra il Seicento e il Novecento 25 CAPITOLO 2: I DOMENICANI IN SICILIA 2.1 Profilo storico: dall’ insediamento alla soppressione delle corporazioni religiose 30 CAPITOLO 3: I DOMENICANI A COLLESANO 3.1 Il primitivo insediamento domenicano in Contrada Gioppo 3.2 36 L’ Insediamento e la presenza dei Padri Predicatori nel complesso dell’ Annunziata nuova (1553-1866) 39 3.3 La confraternita del Rosario 44 3.4 Il patrimonio storico-artistico 46 CAPITOLO 4: LA CHIESA DOMENICANA DELL’ ANNUNZIATA NUOVA 4.1 Caratteri generali dell’ architettura domenicana 4.2 Le vicende costruttive del complesso dell’ Annunziata 49 nuova dalle origini al Settecento 52 4.3 La ricostruzione primo-ottocentesca della chiesa 57 4.4 Le vicende costruttive della chiesa del primo Novecento 62 CAPITOLO 5: LA TRASFORMAZIONE DEL CONVENTO IN PALAZZO MUNICIPALE 5.1 Da Convento domenicano a Palazzo Municipale: storia di una fabbrica 69 5.2 L’ ingegnere-architetto Giovanni Salemi Pace 71 5.3 Il progetto di trasformazione del Convento 78 5.4 La pavimentazione dei locali del Palazzo Municipale 93 CAPITOLO 6: GLI INTERVENTI DEL PRIMO NOVECENTO: IL PROGETTO DELL’ INGEGNERE LUIGI CASTIGLIA 6.1 L’ ingegnere Luigi Castiglia 6.2 Il progetto: isolamento, drenaggio e decorazione del prospetto del Palazzo Municipale 96 102 CONCLUSIONI: 111 BIBLIOGRAFIA: 113 ELABORATI GRAFICI: 119 INTRODUZIONE: A seguito dell’ emanazione della legge sulla soppressione delle corporazioni religiose del 7 luglio 1866, che permise al nascente Stato italiano di incamerare un ragguardevole numero di edifici da destinare ad attività di interesse pubblico, anche a Collesano si prospetta l’ opportunità di trovare una sede appropriata per lo svolgimento dell’ attività amministrativa: quello che fino ad allora era stato il convento dell’ ordine dei Domenicani diventerà il Palazzo Municipale della comunità. Il complesso, costituito dalla chiesa dell’ Annunziata Nuova (nota come chiesa di S. Domenico o del Rosario) e l’ adiacente Palazzo Municipale costituisce, assieme alla basilica di S. Pietro, l’emergenza architettonica più significativa del centro madonita. Il complesso, prospiciente sull’ asse viario di attraversamento principale, è ubicato in posizione centrale e funge da “cerniera” tra i quattro quartieri storici da un lato e l’espansione sette-ottocentesca del centro abitato dall’ altro. La trasformazione ottocentesca da convento a municipio, ma fino agli ultimi decenni del Novecento anche Caserma dei carabinieri e sede della Pretura circondariale, testimonia tra l’ altro la volontà di affermare anche simbolicamente il pensiero liberale del tempo: il passaggio da edificio religioso a sede del potere civile locale trova espressione visiva nelle due torrette laterali munite di merli ghibellini. Eppure il Palazzo Municipale non è mai stato oggetto di studio storico-architettonico, mentre la chiesa è stata attenzionata soltanto per alcune opere d’arte in essa custodite (tele documentate dello Zoppo di Gangi e del pittore locale Giovanni Giacomo Lo Varchi). La ricerca archivistica e il rilievo architettonico costituiscono, a tal proposito, strumenti fondamentali per la lettura della complessità di un manufatto che ha subìto un radicale cambio della destinazione d’uso: tale trasformazione, tuttavia, pur producendo variazioni planimetriche in alcuni suoi ambienti, non ha stravolto l’impianto 1 iniziale dell’edificio; inoltre, dai documenti rinvenuti è stato possibile accertare che la cinquecentesca chiesa dell’ Annunziata nuova è stata oggetto di una radicale ricostruzione ai primi dell’ 800: questo aspetto era stato completamente rimosso dalla memoria collettiva e storica della comunità. La costruzione del complesso domenicano, inquadrato nello svolgersi dell’espansione urbanistica di Collesano anche in relazione all’insediamento degli altri ordini regolari è stata focalizzata nell’ambito della storia e dell’affermarsi dell’Ordine dei Padri Predicatori in Sicilia. 2 CAPITOLO 1: GENESI ED EVOLUZIONE STORICO-URBANISTICA DI COLLESANO* 1.1 Dalle origini arabo-normanne alla conquista angioina L’ origine e l’ubicazione dell’attuale centro abitato di Collesano risale all’epoca normanna ed è conseguente alla distruzione, avvenuta prima del 1140, del centro arabo-normanno collocato sulla sommità del Monte d’Oro, a circa un chilometro ad ovest dell’attuale sito1. L’antico centro è noto alle cronache e ai geografi medievali musulmani come Qal’ ât ’ as Sîrat (Rocca della Strada) e lo stesso sito viene citato nelle fondamentali opere di Michele Amari sulla dominazione islamica in Sicilia2. Dopo la conquista normanna dell’ isola (1060-1091), Qal’ ât ’ as Sîrat assume la denominazione di Golisanum, come riportano le cronache e la diplomatica normanna dei conquistatori latini. Rainolfo, feudatario del centro e cognato dello * Abbreviazioni e misure utilizzate: Archivi: ASPa = Archivio di Stato di Palermo ASPC = Archivio Storico Parrocchiale Collesano ASCC = Archivio Storico Comunale Collesano Monete: Onza = 30 tarì = 600 grani = 3600 denari Misure di lunghezza: Canna = 8 palmi = cm. 206 Palmo = cm. 25,8 Oncia = 1/12 di palmo = cm 2,15 Su Collesano nel Medioevo cfr. Giuseppe Tamburello, Collesano nella storia, nelle cronache, nei documenti, Acireale 1893; Illuminato Peri, I paesi delle Madonie nella descrizione di Edrisi in “Atti del Convegno Internazionale di Studi Ruggeriani”, Palermo 1955, pp. 627-660; Rosario Termotto, Collesano dai Normanni ai Ventimiglia in I Ventimiglia delle Madonie, Atti del I seminario di studio, Geraci Siculo 8/9 agosto 1985, Geraci Siculo 1987 e bibliografia ivi citata. 2 Michele Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, a cura di Carlo Alfonso Nallino, Catania 1933-1939; idem, Biblioteca arabo-sicula, Palermo 1982 (ristampa anastatica). 1 3 stesso re Ruggero II, viene coinvolto in una congiura baronale antimonarchica che si conclude con la totale sconfitta della sua fazione; questa viene privata dei possedimenti in tutto il Regno di Sicilia che allora comprendeva pure parte dell’Italia meridionale. In questo quadro politico l’ antico centro abitato viene raso al suolo e il nuovo insediamento viene ricostruito attorno al sito tuttora occupato dal castello, vero fulcro generatore del nuovo borgo. Esso viene affidato al controllo di Adelicia (a volte citata come Adelasia), nipote del re Ruggero II, che nei documenti coevi viene appellata col termine di domina. Per lungo tempo, in epoca normanna la maggior parte della popolazione di Collesano rimane di lingua e cultura musulmana, mentre permangono significative presenze di cultura greco- bizantina, mai estinta del tutto durante la dominazione araba in alcune zone del Val Demone. A Collesano i bizantini si raccolgono attorno all’abbazia basiliana di Santa Maria de pratali grecorum (S. Maria di Pedale) che ancora nelle collette pontificie del 1308-1310 presenta clero di rito greco- bizantino. D’altra parte, erano stati proprio di origine collesanese i santi della chiesa greca Saba, Macario e Cristoforo che intorno all’ anno Mille si erano dovuti rifugiare in Italia Meridionale. San Saba è oggi venerato come protettore della cittadina campana di Oliveto Citra. Abbazia di S. Maria di Pedale 4 Inizialmente, anche a Collesano, i dominatori normanni costituiscono la minoranza della popolazione, un piccolo gruppo di classe dirigente che fa perno sulla chiesa di S. Pietro, dotata dalla domina Adelicia con un forno e sei villani, tutti musulmani. Il primo documento noto sulla dominazione normanna a Collesano è del 1140 e si riferisce alla consacrazione della chiesa sopra menzionata da parte di Drogone, vescovo di Squillace, che interviene con il consenso del vescovo di Cefalù Jocelmo3. La chiesa di S. Pietro sarà sicuro punto di riferimento per la progressiva latinizzazione del territorio e a tale obiettivo concorrerà il sostegno della cattedra vescovile di Cefalù; a questa diocesi Collesano appartiene sin dalla fondazione del 1131, mentre inizialmente faceva parte della diocesi di Troina e poi di quella di Messina. La chiesa normanna di S. Pietro non corrisponde all’attuale chiesa madre, dedicata pure all’apostolo e costruita nei primi decenni del Cinquecento, ma quasi certamente coincide con l’attuale chiesa di S. Maria la vecchia; questa, dedicata all’Assunta come buona parte delle chiese medievali madonite (Polizzi, Castelbuono, Petralia Sottana, Sclafani), mantiene il titolo di chiesa madre fino al 1543 per poi diventare soltanto chiesa parrocchiale, titolo che detiene almeno fino a metà Settecento, ma che perderà successivamente. Recenti lavori di consolidamento hanno riportato alla luce un portale, databile al XII-XIII secolo che rivela un diverso orientamento iniziale dell’edificio: infatti, questo, sembra aver subito una modesta rotazione pur mantenendo la direzione canonica estovest. Benedetto Passafiume, De Origine Ecclesiae Cephaleditanae Eiusque Urbis et Dioecesis Brevis Descriptio, Venezia 1645 (Ristampa anastatica Palermo 1991), p. 55. 3 5 Chiesa di S. Maria la Vecchia e il particolare della guglia maiolicata In questa fase, tuttavia, è possibile notare due fenomeni che caratterizzano la comunità collesanese: la presenza bizantina è profondamente radicata tanto che, come appare dalle sottoscrizioni dei diplomi normanni, le conversioni religiose dei musulmani vanno a lungo in direzione della chiesa greco- bizantina e non latina; i musulmani hanno profondamente colonizzato e inciso il territorio nei circa due secoli di dominio, tanto che tuttora permangono parecchi toponimi di origine araba, come Cubba (qubbah, specie di volta o cupoletta per coperchio alle sorgenti d’acqua), Cottonaro (quţún, luogo destinato alla produzione di cotone) o Favara (fawwāra, getto d’acqua, sorgente), Galbonogara (nuwwarāh, aia di zucche, cocomeri)4, Cammisini (vento forte del deserto), Zubbio (zubyah, fossa profonda per far cadere in trappola gli animali selvatici, dove il cacciatore si pone in agguato)5, Burgitabus, Burgifuto (burğ, torre, abitazione in pietra in un giardino)6 Girolamo Caracausi, Arabismi medievali di Sicilia, Palermo 1983, pp. 195-196; 197-198; 224; 306-308. 5 Michele Amari, Storia dei Musulmani cit. vol III, p. 906. 6 Per i toponimi Burgifuto e Burgitabus cfr. Giovan Battista Pellegrini, Onomastica e toponomastica araba in Italia in G. B. Pellegrini, Illuminato Peri, Studi e documenti sull’onomastica araba in Italia, Firenze 1962 che chiarisce che la radice burğ indica una comune origine araba, con significato di torre, accompagnata da un 4 6 Altro edificio religioso che sembrerebbe risalire all’inizio della dominazione normanna a Collesano (1063) è la chiesa di S. Nicola, prima matrice, il cui sito oggi non è identificabile. Secondo la storiografia locale7, i primi abitanti latini di Collesano venuti al seguito dei Normanni sarebbero di provenienza barese ed avrebbero introdotto nella comunità il culto di S. Nicola, primo patrono del centro madonita. Quel che è certo è l’esistenza, fino ad oggi, di una cinquecentesca statua lignea del santo che veniva condotta in processione e la permanenza, nell’Archivio Storico Parrocchiale locale, dei libri dei conti della chiesa stessa: questi datano dalla seconda metà del Cinquecento ai primi del Settecento quando si estingue del tutto la confraternita che regge la chiesa, avviata a rapida distruzione. Inoltre, sarebbe legata ai baresi la denominazione di Bagherino (Bavarino)8 ovvero il primo quartiere storico, cinto da mura e sviluppatosi attorno al castello. L’ edificio più rappresentativo del quartiere citato è certamente il castello che trova un primo riscontro documentario in un diploma del 1194, quando, poco prima della transizione dalla dominazione normanna a quella sveva, esso viene donato da Guglielmo III alla chiesa di Palermo. Il castello costituisce non solo un baluardo militare, ma anche il centro amministrativo di riferimento per un territorio vastissimo che da un lato lambisce il mare con l’attracco di Roccella (Sahrat ' al Hadîd, la Rupe di ferro, di cui parla il geografo Edrisi) e dall’altro si incunea profondamente fino alle vette delle Madonie, determinante non sempre di chiara comprensione, p. 25. E’ il caso dei toponimi citati. Vedi pure G. Caracausi, Arabismi medievali cit., pp. 134- 136. 7 Rosario Gallo, Il Collesano in oblìo ravvivato alla memoria dei posteri colle notizie delle sue glorie dal buio dell’antichità estratte alla luce da una geniale applicazione del sac. D. Rosario Gallo per accrescerne l’amore ne’ cuori de suoi compatrioti, MDCCXXXVI, ff. 55- 56, manoscritto presso Archivio Storico Parrocchiale di Collesano. 8 Come ipotesi di studio, appare opportuno notare che Michele Amari, pur non riferendolo a Collesano, riporta il toponimo arabo Bâb al- Haģģârîn come Porta dei tagliapietre. (Storia dei Musulmani, cit. p. 893). Ed in effetti, ancora oggi nel quartiere di Bagherino si accede tramite una porta i cui stipiti presentano caratteri manieristici tardo-cinquecenteschi, ma l’accesso, con altre caratteristiche stilistiche, potrebbe essere stato ubicato in loco anche secoli prima. Collesano ha pure avuto una importante tradizione di maestri lapicidi fino a tutto Cinquecento. 7 ricche di pascoli e boschi, passando per latifondi cerealicoli, caratterizzati dalla presenza di importanti mulini, come quello di Fundeca nel territorio dell’odierno comune di Scillato. Come prassi consolidata, il re Ruggero II affida i punti nevralgici del proprio dominio a familiari o a esponenti del suo stretto entourage. Collesano, che non ha ancora il titolo di contea, viene affidato alla nipote Adelicia, soltanto domina, cui il titolo di contessa che le è stato riferito potrebbe derivare dal marito Rainaldo Avenel. Adelicia è certamente ancora in vita nel 1161 e si spegne prima del 1181. Successivamente Collesano si trova sotto il dominio di Ruggero de Aquila, conte di Avellino. Quanto al castello, i pochi studi9 che ad esso si sono riferiti hanno evidenziato un impianto trapezoidale con corte interna e quattro torri angolari con merlatura; la porta laterale di accesso presenta un arco delimitato da una duplice serie continua di laterizi in cotto, posizionati di taglio. Ciò ha fatto pensare ad una possibile presenza di maestranze di cultura bizantina nel cantiere iniziale. I ruderi del castello e la porta laterale d’ accesso S. Aiello, G. Mauro, Il Castello di Collesano in Castelli dimore cappelle palatine inediti e riletture di architetture normanne in Sicilia, a cura di Anna Maria Schmidt, Palermo 2002, p. 43. Per una vasta bibliografia sul castello cfr. Camillo Filangeri ad vocem Collesano in Castelli medievali di Sicilia Guida agli itinerari castellani dell’isola, coordinatore Ferdinando Maurici, Palermo 2001, pp. 315-316. 9 8 Dopo varie trasformazioni, fino a diventare un palatium, il castello comincia ad essere abbandonato in seguito al disastroso terremoto che nel 1693 sconvolge la Sicilia centro-orientale. Dopo essere appartenuto alle varie famiglie feudali che si sono succedute nel dominio di Collesano, oggi, allo stato di rudere, ciò che rimane del castello è di proprietà comunale. Con la discesa degli Svevi, Collesano si ritrova in mano a una delle più potenti famiglie feudali del tempo, segno del peso riconosciuto al centro nel contesto regionale. Schieratosi con Enrico VI, Paolo Cicala, già conte di Alife e Caccamo, nel 1203 è investito dall’imperatore e re di Sicilia anche della contea di Collesano. In questo periodo Giovanni Cicala, fratello del conte Paolo, sale alla cattedra vescovile di Cefalù (1195-1216) e in tale qualità riceve dallo stesso Paolo la baronia di Roccella con il castello marittimo, non riuscendo, più tardi, ad evitare di entrare in contrapposizione con l’imperatore Federico II. A Paolo, nella contea di Collesano, succede il figlio Andrea che la detiene soltanto con il titolo di dominus, mentre nel 1246, ritrovandosi coinvolto in una congiura antimonarchica, perde del tutto il dominio e il potere. La contea di Collesano passa così sotto il diretto controllo del demanio regio. In epoca sveva Enrico Ventimiglia detiene la contea di Geraci e ottiene Collesano dal re Manfredi. Le vicende della conquista angioina della Sicilia portano alla dispersione delle forze ghibelline e nel 1269 Enrico Ventimiglia, dichiarato ribelle da Carlo d’Angiò, deve riparare in Aragona. Collesano, assieme ad altri centri, viene assegnata alla nuova feudalità di origine francese: prima a Simone di Monfort e poi a Giovanni de Bullasio che ne prende possesso nel 1271. 9 1.2 La crisi del Trecento: il Regno aragonese di Sicilia e i Ventimiglia a Collesano Con la Guerra del Vespro (1282), dopo lo sbarco a Trapani di re Pietro d’Aragona, tutte le comunità siciliane vengono chiamate a supportare lo sforzo dello scontro militare contro gli Angioini. Come gli altri centri, anche Collesano è chiamata a contribuire in natura, dovendo versare al collettore regio 100 salme di frumento e altrettante di orzo, oltre a 50 bovini, 200 ovini e 50 suini. Queste cifre, confrontate con quelle degli altri centri del comprensorio madonita, collocano Collesano tra i primi contribuenti del circondario alle spalle soltanto di Polizzi e di Caltavuturo, nettamente davanti alle Petralie, a Geraci, a San Mauro, mentre altri centri di minore consistenza demografica ed economica (Pollina, Isnello, Gratteri, Ypsigro- Castelbuono, Montemaggiore) non vengono toccati dalla colletta. Il documento relativo10, oltre a dare una scala di grandezza tra i vari centri, mostra anche la chiara vocazione cerealicola di Collesano e l’importanza che in esso assumono il pascolo e il bosco; dal contributo pecuniario che la comunità dovette versare al collettore regio, gli storici hanno dedotto che Collesano consistesse in circa 300 fuochi (nuclei familiari), con una popolazione complessiva stimabile perciò in circa 1200 persone. Anche queste cifre pongono Collesano ai primi posti nel comprensorio madonita. L’esito della guerra del Vespro con la vittoria degli aragonesi sugli Angioini riporta le Madonie nella sfera di influenza dei Ventimiglia di Geraci, famiglia feudale al cui dominio sarà sottoposta Collesano (salvo brevi periodi in cui appartiene ai Siracusia e poi ai Palizzi) per quasi tutto il Trecento, fino all’instaurarsi della monarchia spagnola. Franco D’Angelo, Terra e uomini della Sicilia medievale (secoli XI- XIII) in Quaderni medievali, 6, dicembre 1978, pp. 51-94. 10 10 Nel 1337 anche Collesano entra a far parte della contea di Geraci in potere di Francesco I Ventimiglia, mentre nel 1354, per “gemmazione” dalla contea di Geraci, nasce la contea di Collesano affidata a Francesco II Ventimiglia: questa comprende Collesano, Gratteri, Caronia, il castello di Monte S. Angelo (Gibilmanna) e il feudo di Buonvicino (Isnello). Nel ‘300 le vicende di Collesano si intrecciano con le fortune alterne della famiglia Ventimiglia raggiungendo l’ apice del potere politico, militare e territoriale con Antonio Ventimiglia; questi è uno dei quattro vicari che, di fatto, controllano tutta la politica del regno di Sicilia raggiungendo un tale potere da esautorare, in determinati periodi, l’ autorità della stessa monarchia aragonese di Sicilia. Il Trecento, in Sicilia, si caratterizza come periodo di grande instabilità politica (lotta tra le fazioni feudali latina e catalana), militare (guerra contro gli angioini di Napoli che a varie riprese dura circa 90 anni) e fortissima crisi demografica (la peste nera di metà secolo decima la popolazione). Tutto ciò non può non avere pesanti influenze anche su Collesano, tanto che per tutto il secolo non si registra alcuna nuova fondazione religiosa, segno tangibile di chiara crisi socio- economica. Sul finire del Trecento, quando la Sicilia è di fatto divisa in quattro zone di influenza (governo dei Vicari, tra cui il conte di Collesano e Geraci Antonio Ventimiglia), le galee aragonesi sequestrano l’erede al trono, Maria, figlia del re di Sicilia Federico il Semplice, che viene data in sposa a Martino il giovane, nipote del re Pietro d’Aragona. Morto Martino senza eredi (1409), il regno di Sicilia passa al padre Martino il vecchio che è anche re d’Aragona. Da questo momento la Sicilia perde ogni autonomia politica, fino a quando il nuovo re, Ferdinando di Castiglia, nel 1415 manda nell’isola il primo vicerè, sancendo per sempre la fine del regno di Sicilia e inserendo l’isola nel quadro dell’impero spagnolo. In tale contesto politico-economico l’unico edificio di rilevanza architettonica che, nel Trecento, viene edificato a Collesano è la torre 11 di guardia, oggi congiunta con la cinquecentesca chiesa madre, che i caratteri costruttivi avvicinano alla torre campanaria della chiesa madre di Petralia Soprana, databile pure ai primi del XIV secolo.11 Secondo lo storico collesanese Rosario Gallo, la torre nasce a difesa di un percorso-itinerario nei pressi di un “lago e folto bosco e passo di ladri”. La torre di guardia C. Filangeri, Dall’agorà al presbiterio Storia di Architetture della Sicilia, Palermo 1988, pp. 79-80. 11 12 1.3 La ripresa economica, demografica ed urbanistica del ‘400 L’ inizio del Quattrocento vede una svolta epocale nella storia della Sicilia che, pur perdendo l’autonomia, si mette alle spalle un lungo periodo di guerre, lotte civili e crisi di ogni genere ed, entrando in un contesto più ampio, beneficia di quello che è stato definito un lungo periodo di “restaurazione e pacifico stato”12. La contea di Collesano, smembrata da quella di Geraci, con l’avvento della monarchia spagnola viene affidata al valenzano Gilberto Centelles, venuto in Sicilia al seguito dei Martini, esponente di rilievo del nuovo ordine, tanto che in seguito sarà vicerè di Sicilia. Gilberto viene vanamente contrastato dal casato Ventimiglia; suo figlio, Antonio Centelles, successivo conte di Collesano fino al 1444, non sottostando ai disegni matrimoniali di re Alfonso, viene dichiarato ribelle e perde definitivamente la contea che viene assegnata a Pietro Cardona, esponente di primo piano della grande feudalità iberica. La nuova situazione politica pone le premesse per una condizione di pace e prosperità di cui beneficia anche Collesano dal punto di vista economico e demografico, con significativi risvolti in quello urbanistico. Dopo la stasi urbanistica e costruttiva del XIV secolo, il Quattrocento si caratterizza a Collesano per la fondazione di importanti istituzioni religiose dalla durata secolare. E’ in questo secolo, anche se in data non conosciuta, che bisogna porre la costruzione della chiesa di S. Sebastiano e Fabiano (oggi nota come chiesa del Collegio), la prima chiesa sorta fuori la porta di Bagherino, che un documento iconografico seicentesco presenta con un orientamento diverso dall’attuale. 12 I. Peri, Restaurazione e pacifico stato in Sicilia 1377-1501, Roma- Bari 1988. 13 Tela: Giuseppe Perdichizzi, Sacra Famiglia, 1688, Collesano, Chiesa di S. Pietro La chiesa, per secoli retta dalla confraternita eponima, è a lungo al centro di importanti avvenimenti civili: da essa, nel giorno festivo del santo (20 gennaio), prendeva il via la sfilata a cavallo della locale Accademia degli Offuscati guidata dal Principe della stessa, secondo i Capitoli confermati nel 1657 dal marchese della Ginestra, governatore degli stati dei Moncada13. La chiesa del Collegio o di S. Sebastiano e Fabiano R. Termotto, L’Accademia degli Offuscati di Collesano in Collesano per gli emigrati, a cura di R. Termotto e A. Asciutto, Castelbuono 1991, pp. 129- 133. 13 14 A corroborare l’ipotesi dell’impianto quattrocentesco della chiesa concorre la datazione della statua di S. Sebastiano, fatta risalire concordemente dalla critica ai primissimi del Cinquecento. Nel Quattrocento sorge nella stessa piazza l’importante chiesa di S. Giovanni Battista, affidata alla confraternita omonima, che finirà per imporre il proprio toponimo a tutta l’area, denominata ancora Piano di S. Giovanni per tutto l’ Ottocento (oggi Piazza Rosario Gallo). Per secoli essa è stata la piazza principale del paese dove a lungo si sono svolte le celebrazioni festive in onore del santo, con rappresentazioni sacre, corse di cavalli e soprattutto la fiera franca. Chiesa di S. Giovanni Battista prima del crollo del marzo 1932 e il capitello con le insegne araldiche dei Cardona Intorno al 1472, la chiesa di S. Giovanni Battista viene ingrandita con l’aggiunta di una seconda navata, per iniziativa di Pietro Cardona che fa scolpire le proprie insegne araldiche in una colonna della chiesa stessa14. 14 R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. ff. 376- 378. 15 Verso sud, serrata tra il Piano di San Giovanni e il Piano di San Giacomo, con il nascente quartiere di S. Francesco in direzione sud-est, nel corso del Quattrocento si sviluppa la contrada Osteri che già nel toponimo lascia intuire la presenza di un palazzo fortificato di cui oggi non è possibile la sicura identificazione, se non riferendosi all’ intero isolato, successivamente frazionato, prospiciente sull’attuale Piazza Osteri. La contrada si caratterizza fino a oggi dalla ripetuta presenza di vicoli e viuzze tortuose che richiamano ancora ricordi dell’urbanistica islamica. Punto di contatto tra la contrada Osteri e il Piano di S. Giacomo è costituito dall’Ospedale, ampio fabbricato, oggi sede dell’Opera Pia Abbate Gioeni, che dal 181315 fino alla seconda metà del secolo scorso ha svolto funzioni sanitarie locali. Nel 1451 a Collesano si insediano i Francescani Conventuali16. Essi sono il primo ordine regolare che nel centro si stabilizza in un convento, oggi del tutto scomparso, che può individuarsi all’incrocio delle attuali via Bagherino e via del Collegio, in un sito che si rivelerà franoso, poco distante dal torrente Mora. Portale del Convento di S. Francesco Vito Maria Amico, Dizionario Topografico della Sicilia, tradotto dal latino e annotato da Gioacchino Di Marzo, Palermo 1855-58, (ristampa Sala Bolognese 1975), p. 341; Giuseppe Tamburello, Collesano nella storia, nelle cronache, nei diplomi con notizie topografiche, Acireale 1893, p. 102. 16 Filippo Cagliola, Almae Siciliensis Provinciae Ordinis Minorum Conventualium S. Francisci … Venezia 1644 (ristampa Palermo 1984), p. 105. 15 16 L’insediamento conventuale costituisce una presenza rilevante, tanto che il secondo quartiere storico di Collesano, dopo Bagherino, sarà denominato S. Francesco, come ancora viene ricordato fino all’inizio del Novecento. Il convento resterà in vita fino all’ emanazione della Bolla papale di Innocenzo X del 1649, resa esecutiva in Sicilia solo nel 1659, che impone la soppressione dei piccoli conventi. Tra i 108 conventi soppressi in Sicilia, 31 dei quali dei Frati Minori Conventuali, figura anche quello di Collesano. Il 9 maggio 1662, i Conventuali rinunciano, con regolare atto notarile, alla loro chiesa e convento di Collesano in favore del locale clero secolare. Da quel momento la chiesa di S. Francesco passa in rettorìa al clero della chiesa madre17. In quegli anni nella chiesa di S. Francesco si insedia la Compagnia dell’Immacolata e ad essa verrà in seguito dedicata la chiesa fino al suo totale crollo di fine Ottocento. Nello stesso quartiere di S. Francesco, presumibilmente all’inizio del Cinquecento, si insedia il monastero benedettino femminile della Concezione che verrà abolito nel 156818, per mancanza di mezzi di sostentamento. Ancora nello stesso quartiere, non lontano dal monastero, sorgeva la chiesa di S. Rocco, affidata alla confraternita eponima, che nel 1767 risulta distrutta19. Si può sottolineare che il toponimo S. Francesco, nel corso del tempo, ha ceduto il posto a quello di Stazzone, utilizzato ancora oggi, perché proprio in quell’area sorgevano le numerose fornaci dei ceramisti collesanesi, attive sin dalla seconda metà del Cinquecento: per secoli hanno fornito non solo materiale da costruzione come mattoni grossi, imbrici, catusi, pantofole, ma anche vasellame d’uso domestico, mattoni maiolicati e vasi d’aromateria che hanno soddisfatto le R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. f. 397; R Termotto, Monachesimo a Collesano: I Frati Minori Conventuali (1451- 1662) in Collesano per gli emigrati, cit. pp. 141- 143. 18 R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. ff. 480- 484; R. Termotto, Le Benedettine della Concezione in Collesano per gli emigrati cit. pp. 153-154; 19 V. M. Amico, Dizionario Topografico, cit., p. 341. 17 17 esigenze locali, diffondendosi in tutto il comprensorio MadonieCefalù- Termini.20 Quartiere S. Francesco- Stazzone in una foto degli inizi del ‘900 Testimonianza del forte sviluppo demografico e urbanistico di Collesano nel corso del Quattrocento, è la fondazione della chiesa di S. Giacomo, affidata alla confraternita eponima. Essa sorge per iniziativa di Pietro Cardona II, conte di Collesano tra il 1471 ed il 1522, in quella che sarà fino a tutto Ottocento la Piazza Grande (oggi Piazza Garibaldi). Le armi dei Cardona erano scolpite sull’architrave della porta principale della chiesa. Con i Cardona prende vigore il culto di S. Giacomo, sostenuto ovunque dalla grande aristocrazia iberica e patrono di tutte le Spagne; S. Giacomo diviene patrono di Collesano, celebrato con una imponente festa religiosa il 25 luglio di ogni anno con solenne processione, corsa dei palii e con una fiera di 15 giorni la cui franchizza viene concessa da Artale Cardona, figlio di Pietro, conte di Collesano e marchese di Padula, che ne stabilisce le modalità con documento del 26 giugno 1530 21. R. Termotto, Per una storia della ceramica di Collesano in Mediterranea ricerche storiche, 5, 2005, pp. 439- 474. 21 R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. ff. 382- 389. 20 18 Nel 1579 la chiesa di S. Giacomo si arricchisce di una guglia maiolicata con laterizi locali, smaltati e colorati, che costituisce la più antica attestazione di simili interventi costruttivi e decorativi in Sicilia, contendendo a quella di S. Giovanni Battista la preminenza nello sky-line di Collesano22. La guglia di S. Giacomo, la cui presenza è testimoniata da antiche fotografie, è andata perduta agli inizi del Novecento; quella di S. Giovanni Battista è stata rimontata nella chiesa di S. Maria la vecchia nel 1935, quando forti movimenti franosi avevano minato alle fondamenta la stabilità della chiesa. La chiesa di S. Giacomo era anche al centro di importanti avvenimenti civili poiché in essa si riunivano i 40 consulenti del Consiglio Civico (10 gentiluomini, 10 mastri, 10 popolani e 10 borgesi) per fissare le mete dei principali prodotti locali che allora erano frumento, orzo, mosto e seta. Il Comune di Collesano (Università) per lungo tempo paga alla chiesa una “tassa” annuale per l’uso delle campane utilizzate per convocare i consulenti. Nella stessa chiesa, nel giorno festivo del santo, veniva sorteggiata la cosiddetta “orfana Lo Squiglio” alla quale veniva assegnato un legato di matrimonio (la dote di 10 onze) istituito a fine Cinquecento dai Lo Squiglio di Collesano che poi prenderanno il titolo di baroni di Carpinello e conti di Galati Mamertino. Ancora alla fine del Settecento gli eredi Lo Squiglio, i Gagliardo di Polizzi, verseranno regolarmente l’importo del legato. Col Settecento, la crisi generale che investe Collesano, come testimoniano anche i dati demografici, tocca pure l’antica confraternita di S. Giacomo, una delle più antiche associazioni laicali jacopee di Sicilia. Essa si estingue dopo circa tre secoli di vita, essendo R. Termotto, Pittori intagliatori lignei e decoratori a Collesano (1570- 1696). Nuove acquisizioni documentarie in Bollettino Società Calatina di Storia Patria e Cultura, 7- 9, 1998- 2000, p. 292. 22 19 esistente nel 1459, quando compare negli elenchi dei collettori apostolici23. Intanto Collesano cambia ancora patronato religioso: da S. Giacomo alla Madonna dei Miracoli, dichiarata nuova patrona l’8 settembre del 1641 24. La Chiesa di S. Giacomo Giuseppe Arlotta, Confraternite di S. Giacomo in Sicilia in Atti del convegno internazionale di studi Santiago e la Sicilia, Messina 2-4 maggio 2003, a cura di G. Arlotta, Perugia 2008, p. 300 24 R. Termotto, Note sul culto di Maria SS. dei Miracoli a Collesano in Collesano per gli emigrati, cit. pp. 127- 128. 23 20 1.4 Espansione urbanistica e nuove istituzioni religiose nel ’500 Tra Quattrocento e Cinquecento Collesano conosce un notevole sviluppo economico, demografico, urbanistico e ciò è deducibile dal sorgere di nuove istituzioni religiose. Già a fine ‘400 viene avvertita l’insufficienza della vecchia matrice di S. Maria Assunta e vengono poste le basi per l’edificazione di una nuova chiesa madre: nel 1484 il vescovo di Cefalù, fra Giovanni Gatto, autorizza il clero di S. Maria Assunta a spostarsi nell’ edificanda nuova matrice. Nel 1513 la costruzione della nuova chiesa madre è già avviata, se il papa Leone X, su istanza del conte Pietro Cardona, concede indulgenza a chi offra una determinata somma (secondo le possibilità economiche) o una giornata di lavoro per la costruzione della chiesa. Nel 1543 il vescovo diocesano, Francesco Aragona, disciplina i rapporti tra la nuova e la vecchia matrice lasciando a quest’ultima il titolo di parrocchia: occorre tenere presente la distanza tra la nuova matrice e numerosi quartieri del paese e l’aumento della popolazione che renderebbe insufficiente una sola chiesa parrocchiale per l’amministrazione dei sacramenti. Tutto trova una prima definizione nel 1548, quando, in data 8 aprile, viene consacrata la nuova matrice sotto titolo di S. Pietro, ma detta anche di S. Maria la nuova per sottolinearne la continuità con la precedente matrice; quest’ultima, da allora in poi, sarà sempre denominata S. Maria la vecchia25. Attorno alla matrice di S. Pietro, nel corso del Cinquecento si svilupperà il terzo quartiere storico di Collesano, detto, appunto, di S. Pietro che si aggiunge ai ricordati quartieri di S. Francesco, di sviluppo quattrocentesco, e a Bagherino di impianto normanno. Per la chiesa madre di Collesano cfr. R. Termotto, Guida alla Chiesa Madre Basilica di S. Pietro, Collesano 2010. 25 21 La basilica di S. Pietro in una cartolina degli anni ‘90 Prima dell’agosto del 1507, viene edificato il monastero femminile benedettino di S. Caterina26 (la Batìa), attorno al quale si svilupperà l’ultimo quartiere storico di Collesano che prende nome dal monastero stesso. Chiesa di S. Caterina prima del crollo del marzo 1976 R. Gallo, Il Collesano in oblìo cit. ff. 484- 492; R. Termotto, Le Benedettine di S. Caterina in Collesano per gli emigrati cit. pp. 155- 157. 26 22 I dati demografici, ora disponibili in serie continua, mostrano in Collesano uno dei centri più sviluppati del comprensorio madonita. I “fuochi”, cioè i nuclei familiari vanno dai 486 del 1505 ai 650 del 1533, per passare agli 838 del 1548 ed attestarsi ai 1450 del 1570, anno nel quale la popolazione risulta di 4496 persone per salire a 4767 nel 1584, mentre la grande ondata di epidemia-carestia del 1591-92 fa scendere a 3760 gli abitanti censiti nel 1593, con grossi vuoti che si colmano già nel censimento del 1607 quando vengono registrati 4725 abitanti.27 Intanto Collesano è passato dal dominio feudale dei Cardona a quello degli Aragona e quindi dei Moncada, attraverso una ben ponderata politica matrimoniale. Nonostante l’ondata di peste del 1555, (tela con la Madonna e i santi Sebastiano e Rocco che intercedono presso il creatore per la salvezza di Collesano, raffigurata nel dipinto), quella del 1575 (statua di S. Rocco, protettore contro la peste e compatrono di Collesano) e la spaventosa carestia-epidemia del 1591-1592 che vede la morte di circa un quarto della popolazione, come dimostrano i registri dei defunti dell’archivio parrocchiale, il Cinquecento è per Collesano il secolo della grande espansione demografica e urbanistica. Si è in presenza di una rapida ricostituzione del tessuto demografico con una popolazione molto giovane e con un alto tasso di natalità che riesce a coprire i vuoti, pur in presenza di un notevole tasso di mortalità infantile. Del resto, non mancano altri segnali che denotano la crescita del centro, a cominciare dalla costruzione del nuovo convento domenicano entro il centro abitato intorno al 1550 (vedi infra) e l’abbandono del vecchio che passerà ai carmelitani intorno al La fonte dei dati demografici è in Rossella Cancila, Fisco, ricchezza comunità nella Sicilia del Cinquecento, Roma 2001, pp. 419-424; per un accurato studio degli aspetti demografici di Collesano cfr. Egidio Panzarella, Il Comune di Collesano, Palermo 1996. 27 23 1585 per poi finire nel 1594 ai cappuccini28 che lo deterranno fino alla soppressione delle corporazioni religiose del 1866. Nello stesso secolo prende corpo un’ istituzione sanitaria e assistenziale che attraverserà per quasi tre secoli la storia di Collesano: l’Ospedale e Monte di Pietà; nella fase iniziale essi si appoggeranno alla confraternita della Misericordia la cui chiesa, nelle adiacenze della matrice di S. Pietro, sorge in quello che localmente è indicato come Piano della Misericordia, nonostante la toponomastica ufficiale lo indichi come Piazza Plebiscito. La confraternita della Misericordia viene fondata nel 1539 per iniziativa del frate cappuccino romano Francesco de Soriano29. L’ospedale è soprattutto un ospitium, luogo di ricovero per malati e pellegrini di passaggio, ma si prende cura a lungo anche dei numerosi trovatelli. Fino all’inizio dell’Ottocento esso troverà sede nel Piano della Misericordia, per poi passare di fronte alla chiesa di S. Giacomo30. Nel Cinquecento si va completando l’espansione dei quattro quartieri storici che vede l’espandersi del centro urbano attorno alla chiesa e al monastero femminile benedettino di S. Caterina. Sui passaggi del convento dai Domenicani ai Carmelitani ed infine ai Cappuccini cfr. R. Gallo Il Collesano in oblìo, cit. f. 401, ff. 413-415. 29 La mia parrocchia, manoscritto del 1952-1953 presso Archivio Storico Parrocchiale di Collesano, f. 58. 30 Sull’ospedale cfr. R. Termotto, L’Ospedale e la Compagnia della Misericordia nel ‘500 in Collesano per gli emigrati, cit. pp.123- 124; sul Monte di Pietà cfr. Idem, Cenni sul Monte di Pietà, ivi pp. 125-126. 28 24 1.5 Edifici civili e religiosi tra il Seicento e il Novecento Importante intervento architettonico del Seicento è la costruzione della chiesa e del convento con chiostro (l’unico rimasto a Collesano) di Santa Maria di Gesù, affidati ai Frati Minori Osservanti Riformati31, che sorge con il sostegno dell’Università di Collesano e della contessa Maria Aragona La Cerda e Cardona, moglie di Francesco Moncada. Il Comune sin dal 1604 delibera l’istituzione del nuovo convento destinando alla fabbrica le entrate di alcune gabelle comunali per un periodo di 12 anni; la contessa preme sul padre Visitatore dei Riformati, ma la nuova fabbrica trova la ferma opposizione dei Cappuccini locali che obiettano “l’inhabilità del Popolo a poter mantenere due Conventi di limosine quotidiane”. Dopo un lungo iter, tutto si conclude favorevolmente nel 1611 con l’emanazione di un Breve Pontificio reso esecutivo in Sicilia il 10 gennaio 1612. Lo stesso Pontefice Paolo V benedice la prima pietra del convento, ancor oggi incastonata nel frontespizio della chiesa. Il Comune, quindi, concede ai Frati Minori il Piano della Contessa nella contrada dei santi Cosimo e Damiano, ove era ubicata una chiesetta eponima, ed un giardino ed un bosco adiacente (oggi occupati da edilizia economica e popolare) con atto del 3 febbraio 1612. La partecipazione alle spese di costruzione del complesso conventuale da parte di singoli devoti è testimoniata dalla presenza delle insegne araldiche delle famiglie interessate nei 12 capitelli delle colonne del chiostro. Il convento e la chiesa di Santa Maria di Gesù sorgono in aperta campagna, nettamente distanziati dal centro abitato, ma in perfetto allineamento col convento domenicano. I due conventi risultano collegati da un’ asse rettilineo ai cui lati è avvenuto il successivo completamento urbano. R. Gallo, Il Collesano in oblìo cit. ff. 469- 480; R. Termotto, I Frati Minori Osservanti Riformati di Santa Maria di Gesù in Collesano per gli emigrati, cit. pp. 158- 160. 31 25 Corso Vittorio Emanuele – Via Roma – Via Cavour in una cartolina del primo ‘900 Dopo la soppressione delle corporazioni religiose del 1866 il convento dei Riformati è stato adibito ai più svariati usi: prima caserma militare, poi macello e carcere mandamentale ed infine magazzini comunali. Solo recentemente il complesso è stato totalmente restaurato e recuperato per fini culturali, costituendo il Polo Culturale di Santa Maria di Gesù, sede della Biblioteca Comunale, dell’Archivio Storico Comunale e di ampi spazi espositivi e di aggregazione socio-culturale. I locali che costituiscono l’attuale convento, che ospita pochi religiosi, sono stati edificati intorno alla fine dell’Ottocento (1892) in adiacenza al lato sud della chiesa, col concorso di devoti collesanesi. Esso è l’unico convento riaperto dopo le leggi di soppressione di metà Ottocento. A metà del secolo scorso si è infine intervenuto con una radicale trasformazione del prospetto della chiesa, finanziato col contributo degli emigrati collesanesi nelle Americhe. 26 Chiesa di S. Maria di Gesù in una foto anteriore al 1950 e allo stato attuale. Altro intervento rilevante del XVII secolo è la costruzione della Casa di Città, sede dell’Universitas, ubicata nel quartiere S. Pietro, nelle vicinanze della chiesa di S. Giacomo. I lavori iniziano intorno al 1666 ed essa rimane sede dell’amministrazione comunale fin dopo la soppressione delle corporazioni religiose e la trasformazione in municipio dell’ex convento di S. Domenico. Alla fine dell’Ottocento la vecchia sede comunale ospita la Biblioteca Popolare Circolante, mentre attiguo ad essa è il carcere mandamentale32. L’ edificio venne totalmente demolito agli inizi del Novecento. Il Settecento si caratterizza per una notevole crisi demografica ed economica, probabilmente generata dal nascere e dallo sviluppo delle vicine “città nuove” di Campofelice di Roccella, Lascari e Cerda che, inevitabilmente, attraevano nuova popolazione anche da Collesano. In questo contesto sono pochi e di scarso rilievo gli episodi architettonici da segnalare. Tra essi va menzionato la costruzione del Collegio di Maria, adiacente la chiesa di S. Sebastiano nel Piano di S. Giovanni. La nuova istituzione si avvale del sostegno del vescovo 32 G. Tamburello, Collesano nella storia, cit., pp.101- 102. 27 diocesano Domenico Valguarnera e dell’impegno finanziario di vari devoti, tra cui l’arciprete Rosario Gallo. Istituito nel 1738, dopo la costruzione del nuovo edificio su lotti acquistati, il collegio viene inaugurato nel novembre del 1742 con l’arrivo di sei suore da Marineo. A lungo esso darà opportunità di istruzione alle giovani locali, anche con scuola di musica e ricamo33. Oggi il Collegio è affidato alle Figlie della Croce. L’Ottocento post-unitario vede la qualificazione urbana del centro abitato34 con vari interventi progettuali di affermati professionisti, come l’ing. Emanuele Filiberto che nel 1870 progetta il basolato del corso principale per circa 600 m di lunghezza e larghezza media di 6, completato secondo altro progetto dell’ing. Giandalia. Nel 1876, su progetto dell’ing. Diliberto D’Anna, vengono realizzate la Fontana Due Cannoli e la Fontana Quattro Cannoli. Al citato Emanuele Filiberto si deve anche il progetto di miglioramento e ampliamento dell’Ospedale Civico collaudato nel 1884. All’ingegnere-architetto Giovanni Salemi Pace, di cui si riferirà largamente in seguito, si deve invece la progettazione nel 1878 del cimitero comunale ubicato in quella che era stata la silva dei Cappuccini fino alla legge sulla soppressione delle corporazioni religiose. In quegli stessi anni venivano iniziati i lavori per le strada provinciale di collegamento con Campofelice di Roccella da un lato e con Castelbuono dall’altro. I momenti salienti del completamento urbanistico del centro, avvenuto nel corso del Novecento, sono costituiti dal sorgere del quartiere delle Case Popolari negli anni ’50, in prossimità del convento dei Frati Minori, dal disordinato sviluppo del quartiere denominato La mia parrocchia, cit. ff. 66-72. Sulla qualificazione ottocentesca cfr. Giuseppe Tamburello, Collesano nella storia, cit. 33 34 28 localmente “Macallè” e quello che ha portato al completamento del quartiere Cicci, in zona sud-ovest, solo recentemente urbanizzato. Nonostante la presenza di “frequentissime cave di diaspro e di porfido, talché di queste pietre veggonsi da ogni parte lastricate le vie”35, come riporta Vito Maria Amico a metà Settecento, nel corso degli anni ’60 e ’70 del Novecento quasi tutto il manto stradale viene rimosso per essere asfaltato. Solo in tempi recenti si è in parte provveduto a un opportuno ripristino con materiali della tradizione locale. Episodio architettonico rilevante è quello operato da Giuseppe Spatrisano, uno dei protagonisti dell’ architettura siciliana del Novecento, che nel 1954 viene incaricato dall’ Assessorato regionale per l’ Igiene e la Sanità di redigere il progetto di un poliambulatorio sito in viale Florio; l’ edificio, nel corso degli anni, ha cambiato destinazione d’uso36. Gli ultimi decenni del Novecento si caratterizzano per un costante decremento demografico, che ha comportato un progressivo abbandono del centro storico, cui si cerca di porre rimedio con l’ approvazione di nuovi strumenti urbanistici. V. M. Amico, Dizionario Topografico, cit., p. 339. Vincenza Balistreri a cura di, Giuseppe Spatrisano Architetto (1899-1985), con scritti di Raimondo Piazza e Agnese Sinagra, Palermo 2001, p.187. 35 36 29 CAPITOLO 2 : I DOMENICANI IN SICILIA 2.1 Profilo storico: dall’ insediamento alla soppressione delle corporazioni religiose L’ Ordine dei Domenicani, nell’ Italia meridionale, vede la propria affermazione durante la dominazione sveva. Nel 1217 la bolla papale di Onorio III definisce i Domenicani “Frati Predicatori”. Fino a quel momento gli unici ad avere il diritto alla cattedra, cioè a predicare, erano i vescovi; ora anche i Domenicani vengono innalzati allo stesso livello. Accanto alla povertà evangelica e alla predicazione, il fondamento della loro regola diviene lo studio(libri sunt arma nostrae militiae), pertanto lettori e studenti sono esentati da ogni altro impegno. Con il Capitolo di Bologna del 1220, i domenicani diventano un ordine mendicante, caratterizzato da povertà assoluta che vive delle elemosine questuate; tuttavia, ben presto, l’ordine abbandona questa rigida regola e già all’inizio del Trecento i domenicani di Palermo accettano beni immobili, terreni, legati, lasciti e denari. Fino al Settecento i domenicani non tengono conto della povertà individuale, anzi, le alte cariche tenute da molti frati all’interno della Chiesa e della società (Inquisizione), la ricerca di privilegi, le dispense fanno sì che gli stessi possano disporre liberamente di ogni bene. Le varie disposizioni pontificie sulla povertà individuale, confermate dal Concilio di Trento (1545-1563) vengono largamente disattese37. L’ arrivo dei Domenicani in Sicilia non è puntualmente documentato, ma il loro primo insediamento è quello di Messina collocato intorno al 1221, anno della morte del loro fondatore, lo spagnolo Domenico Per una visione generale della presenza domenicana in Sicilia cfr. Matteo Angelo Coniglione, La Provincia Domenicana di Sicilia. Notizie storiche documentate, Catania 1937; Salvatore Cucinotta, Popolo e Clero in Sicilia nella dialettica Socio– religiosa fra Cinque-Seicento, Messina 1986, in particolare pp. 360- 365. 37 30 Guzman, avvenuta a Bologna dopo lunghi anni di predicazione in Francia contro l’eresia catara. Pochi anni dopo, nel 1234, Domenico verrà elevato agli onori degli altari. All’insediamento messinese seguiranno di lì a poco quelli di Piazza Armerina, Augusta, Palermo, Catania e Trapani: questa successione cronologica è confermata dal domenicano e inquisitore francese Bernardo Gui (1261/62 – 1331) che nel 1304 redige un catalogo di tutti i conventi domenicani allora esistenti38. I primi conventi domenicani, secondo la tradizione degli ordini mendicanti, sono ubicati lontano dai centri abitati. Durante la prima metà del XIII secolo, in età federiciana, la loro presenza in Sicilia è quasi irrilevante, anche perché sono governati da un Provinciale residente a Roma che deve rendere conto a una curia papale profondamente ostile all’Imperatore Federico II, anche re di Sicilia. Le forti tensioni politiche e gli scontri papato–impero non possono non avere influenze sull’ organizzazione della vita religiosa in Sicilia. Successivamente, in altro contesto politico generale, saranno domenicani i vescovi di Messina e Palermo. Le vicende seguite al Vespro (1282) e la lunga guerra che ne segue tra Angioini ed Aragonesi non facilita l’ organizzazione conventuale. Con bolla di Celestino V del 1 settembre 1294, Clara Ordinis Fratrum Praedicatorum Religio, la Provincia Romana viene separata dalla Provincia Regni Siciliae: quest’ ultima comprende sia l’ Italia meridionale, sottoposta politicamente agli Angioini che la Sicilia, sottoposta agli antagonisti Aragonesi39. I domenicani siciliani ottengono la loro completa autonomia solo nel 1378, quando il Capitolo Generale di Carcassonne istituisce la Provincia domenicana di Trinacria (Sicilia). Solo ora i Domenicani di Sicilia possono programmare nuove iniziative di apostolato e di cultura Maurizio Randazzo, I Domenicani a Palermo. Storia dell’ insediamento in Marco Rosario Nobile [e altri] La Chiesa di San Domenico a Palermo. Quattro secoli di vicende costruttive, Palermo 2012, pp.11-15 39 Ibidem, p. 13. 38 31 con una dislocazione territoriale che diventa man mano più articolata e più ricca di risorse patrimoniali. Poco dopo, il Provinciale fra Simone del Pozzo viene nominato dal papa vescovo di Catania ed i domenicani partecipano sempre più al dibattito culturale del tempo. Lo Scisma d’Occidente coinvolge anche l’ ordine domenicano, al punto che nel 1390 in Sicilia vengono tenuti due Capitoli contrapposti con la nomina di due diversi provinciali. Il XV secolo è il periodo dello splendore e del potere domenicano in Sicilia con il controllo dell’Inquisizione e la carica di confessori e cappellani di corte, nominati dal re. Fino all’epoca di Ferdinando II, i domenicani sono oggetto di privilegi, donativi, pensioni, ricoprendo anche cariche come quelle di giudici e commissari della Crociata, commissari dell’Inquisizione e della Sacra Congregazione dell’Indice40. Nei primi decenni del XV secolo la subordinazione dell’ordine domenicano alla monarchia aragonese sconvolge la vita regolare e conventuale: quasi per reazione, su iniziativa di pochi frati dotati di grande sensibilità religiosa, si dà avvio, con la fondazione del convento di S. Cita a Palermo (1428), al movimento di Osservanza che si estende ad altri conventi domenicani di Sicilia (Siracusa, Catania, Trapani, Polizzi etc). Una serie di circostanze, però, condannano il tentativo riformatore dell’Osservanza al pieno fallimento: nel 1496 il re Ferdinando II invia nell’isola quattro Visitatori regi, tra i quali Rinaldo Montoro, poi vescovo di Cefalù; l’abolizione della questua che era stata autorizzata dal papa Sisto IV; le numerose concessioni di privilegi ai frati da parte dei Maestri generali, con gravi discriminazioni spesso all’interno dello stesso convento; denari da spendere ad arbitrio individuale, uso di rendite familiari, amministrazione di proprie terre, subordinazione a principi e baroni. Da ciò ne derivano una serie di esposti, liti, libelli, contrapposizioni tra gli stessi frati di singoli conventi. 40 S. Cucinotta, Popolo e Clero, cit. pp. 360-365. 32 Nel 1503 anche in Sicilia viene estesa l’Inquisizione di Spagna e quindi mal volentieri i domenicani lasciano il potere e i privilegi che provengono loro dal controllo dell’Inquisizione Romana, vigente fino allora nell’isola. Alla fine, la Riforma viene imposta dall’alto con la visita, per la prima volta in Sicilia, dei Maestri Generali e dei Visitatori, uno dei quali è padre Antonino Mattoncini della cui visita del 1587 disponiamo degli atti che costituiscono una radiografia dei conventi di allora41. La situazione trovata dal Mattoncini è grave: nei conventi più importanti molti godono di esenzioni di ogni tipo, esercitano pressioni e raccomandazioni, amministrano proprietà e possiedono molto denaro; nei piccoli conventi, invece, regna la miseria con chiese deficitarie perfino di paramenti sacri; l’intervento di padre Mattoncini prevede la revoca di privilegi ed esenzioni, il trasferimento di rendite e beni personali in proprietà del convento, il divieto di amministrare beni di parenti, il riesame di tutti i frati che hanno titoli culturali con la riprovazione di parecchi esaminati e conseguente abbandono e fuga di alcuni di essi. Le linee della Riforma dell’ordine riguardano la formazione dei novizi, l’organizzazione di ogni convento con un priore, un lettore e un predicatore, l’invio a Roma dei frati più capaci per valorizzarne l’attitudine allo studio. L’obiettivo è quello di riformare profondamente l’ordine in Sicilia e riprendere un cammino secondo le esigenze della modernità: tuttavia, non mancano altri inconvenienti come l’eccessivo numero di frati titolati, fino ad arrivare ai cosiddetti Maestri bollati, cioè titolati non per scienza, ma per bolla pontificia42. Molte delle disposizioni riformatrici, tuttavia, svaniscono per interferenze romane, intrusioni politiche dei re di Spagna e per il Sulla Visita Mattoncini cfr. Stefano Lorenzo Forte, Visita Apostolica e Capitoli di Sicilia 1587-88 in Archivum Fratrum Praedicatorum, volumen XLIV, 1974 ed inoltre S. Cucinotta, Popolo e Clero cit. pp. 361-362 e M. A. Coniglione La Provincia Domenicana cit. 42 S. Cucinotta, Popolo e Clero cit. pp. 362-363. 41 33 difficile rapporto monarchia-papato aggravato dalla formazione di opposte fazioni (spagnola e francese). La situazione dei conventi domenicani in Sicilia appare più chiara grazie al censimento ordinato nel 1613 dal Maestro Generale Agostino Secchi, che riporta i dati riguardanti il numero dei conventi e i relativi introiti43. Carta dei conventi e delle case domenicane esistenti nel 1613 Intorno alla metà del Seicento, i domenicani di S. Cita a Palermo intendono lanciare l’esperimento di un collegio di predicatori, ma questo tentativo non avrà seguito. A tal proposito Cucinotta sottolinea come “ I Domenicani non si erano accorti che era finita ormai la predicazione aristocratica e che un nuovo tipo, popolare e comprensibile a tutti era stato portato dai Cappuccini anche nei villaggi, mettendo in crisi un certo tipo di predicazione domenicana”44. I domenicani avevano, però, dato S. L. Forte, La Provincia Domenicana di Sicilia nel censimento generale del 1613 in Archivum Fratrum Praedicatorum, volumen XLV, 1975. 44 S. Cucinotta, Popolo e Clero cit. p. 363 43 34 corso ad attività molto importanti, come la diffusione della Congregazione del Rosario, le missioni popolari, l’istituzione di scuole artium per alunni secolari nei loro conventi45. Dall’esame incrociato dei dati disponibili (censimento Secchi, Manoscritto Montalto46, Annali del convento di S. Domenico di Palermo dovuti a Lorenzo Olivier e recentemente pubblicati47) si può concludere, con il Cucinotta, che nel 1650 vi sono in Sicilia 66 conventi domenicani, esclusi i tre di Malta che dipendono dal provinciale di Palermo. E’ importante sottolineare che di essi soltanto 34 sono i conventi formati, aventi cioè almeno 12 religiosi, 29 sono i vicariati perché non raggiungono tale numero e 3 sono i luoghi, dei quali non è ancora terminata la costruzione con la loro comunità religiosa che dipende da un altro convento già formalmente costituito. Il passaggio giuridico da un tipo all’altro di denominazione è posto in relazione alla disponibilità di dotazione e di rendite immobiliari, dall’importanza e dall’estensione del centro abitato che li ospita, dalle condizioni e capacità ricettiva del convento ed infine dalla disponibilità dei frati a formare una comunità di almeno 12 religiosi. Con la legge n° 3036 del 7 luglio 1866 relativa alla soppressione degli ordini religiosi e alla confisca dei loro beni, anche l’ordine dei domenicani viene soppresso e i beni incamerati dallo Stato; segue l’ iniziale diaspora dei frati, mentre la loro riorganizzazione in ordine religioso si mette in moto alcuni decenni dopo con la riapertura di alcuni dei vecchi conventi. Attualmente i conventi domenicani di Sicilia fanno parte della Provincia religiosa dell’Italia meridionale. Sul ruolo dei Domenicani per la diffusione delle confraternite del Rosario cfr. M. A. Coniglione, La Provincia Domenicana, cit., p. 361. 46 Giacinto Montalto, Notizie biografiche di Domenicani siciliani vissuti prima del 1639, trascrizione di Antonino Barilaro, a cura di M. Randazzo, Palermo 2008. 47 Lorenzo Olivier, Annali del real convento di S. Domenico di Palermo, edizione della fonte manoscritta, introduzione e indici a cura di M. Randazzo, Palermo 2006. 45 35 CAPITOLO 3 : I DOMENICANI A COLLESANO 3.1 Il primitivo insediamento domenicano in Contrada Gioppo Lo storico locale Rosario Gallo, che era stato prima notaio e poi arciprete, nel suo manoscritto48 del 1736 (documento N° 1), fa risalire il primo insediamento domenicano intorno al 1450 nel “loco” di contrada Gioppo, presso la chiesetta dell’Annunziata, ad ovest del centro abitato. Chiesa dell’ Annunziata vecchia Lo storico citato, contrariamente a quanto fa abitualmente, in questa circostanza non indica la fonte documentaria della sua affermazione, ma lascia dei puntini di sospensione nel suo manoscritto che, evidentemente, contava di completare. 48 Rosario Gallo, Il Collesano in oblìo, ms. cit. 36 E’ probabile che i primi Domenicani siano venuti a Collesano dal vicino “loco” di Isnello49 i cui ruderi sono ancora visibili nella vallata appena dopo la località Mongerrati, confusi con quelli dell’antica Chiesa di S. Leonardo già appartenuta agli Agostiniani di S. Giorgio di Gratteri in epoca normanna. Secondo quanto riferisce Rosario Gallo, i Padri Predicatori rimasero stanziali in contrada Gioppo solo per poco tempo, abbandonando una prima volta il loro “loco” per “l’ inclemenza dell’aere”: è molto probabile che l’area dello Gioppo fosse malarica se si fa riferimento al significato del toponimo Gioppo (Giuoppu in siciliano, Jope in spagnolo, Jop in catalano) che indica “un insetto che sta nell’umido”50; in effetti la località di ubicazione del convento si trova nella zona in cui le acque del torrente Mora confluiscono in quelle del torrente Roccella generando condizioni ambientali insalubri. Ad aggravare questa situazione potrebbe anche aver concorso l’ attività di macerazione del lino, come testimonia il toponimo “Fiume di lino” col quale viene indicato quel tratto del torrente Roccella. Lo storico citato si rifà certamente a documenti consultati quando afferma che i domenicani, ad istanza del conte di Collesano Pietro Cardona II, tornarono nel 1501 nello stesso “loco” con il consenso del vescovo di Cefalù, il domenicano Rinaldo Montoro (1497-1511): “come appare per concessione in pergamena data in Cefalù sotto li 20 aprile 1501, sedente Papa Martino, per la quale il detto Vescovo li concede lo loco seu Convento sotto titolo della santa Annunciata: aliquantulum distans ab Oppido qui alias fuit preditto Ordini concessus et postea incuria fratrum derelictus”. Tuttavia, occorre sottolineare come a partire dalla compilazione del Manoscritto Montalto del 1639, tutti gli storici che hanno riferito Carmelo Virga, Notizie storiche e topografiche d’Isnello e del suo territorio, Palermo 1887, ristampa Palermo 1990, p. 63 50 Giuseppe Gioeni, Saggio di etimologie siciliane, Palermo 1885 (ristampa anastatica Sala Bolognese 1984) ad vocem. 49 37 sulla data di insediamento del primitivo convento domenicano sito in contrada Gioppo hanno indicato l’anno 1520 (R. Pirri, V. M. Amico, M. A. Coniglione, S. L. Lo Forti, S. Cucinotta)51. Lo stesso Manoscritto Montalto, nella parte relativa alla relazione sul convento di Collesano, compilata sulla base di una comunicazione del domenicano collesanese fra Vincenzo Lo Squiglio del 1637, testualmente si esprime in questi termini: “questo convento fu fondato dalla contessa Sosanna di Collisano alli 1510 / il Primo frate che lo cominciò a fabbricare fu il Padre fra Vincenzo lo schiavo”, dandoci così per la prima volta il nome del fondatore. L’apparente contrasto tra le posizioni del Gallo e quelle degli altri storici si può ragionevolmente comporre stabilendo al 1501 la concessione vescovile e al 1520 l’effettivo insediamento dei Padri Predicatori Domenicani, dopo un probabile risanamento e riadattamento dei locali conventuali che intorno al 1510 vide protagonista fra Vincenzo Lo Schiavo. Rocco Pirri, Sicilia Sacra Disquisitionibus et Notitiis Illustrata, Palermo 1733 p. 836; V. M. Amico, Dizionario Topografico cit; M. A. Coniglione, La Provincia domenicana cit. p. 364 ; S. L. Forte, La Provincia Domenicana cit. p. 262 ; S. Cucinotta, Popolo e Clero cit. , p. 443. 51 38 3.2 L’ insediamento e la presenza dei Padri Predicatori nel convento dell’ Annunziata nuova (1553-1866) Intorno alla metà del Cinquecento avviene il definitivo abbandono da parte dei Domenicani del loro “locus” di contrada Gioppo per il trasferimento nel convento dell’Annunziata nuova, fatto costruire dalla contessa Susanna Gonzaga, vedova di Pietro Cardona II. Secondo la scansione temporale illustrata da Rosario Gallo, la contessa Susanna Gonzaga, prima del 1547, fa costruire una nuova chiesa dedicata all’Annunziata nel sito ove era già in rovina un precedente edificio religioso di cui ancora nel 1736 erano visibili resti di mura che “fanno recinto a detta nuova Chiesa”. Il sito prescelto è ubicato all’estrema periferia sud del centro abitato di allora, nel quartiere di S. Pietro. Successivamente, con Breve di papa Paolo III del 10 agosto 1547, Susanna Gonzaga ottiene di poter scegliere i sacerdoti, secolari o regolari, cui affidare la chiesa. In successione, il breve papale viene esecutoriato (per effetto dell’Apostolica Legazia) nel Regno di Sicilia e firmato dal vicerè Fernando de Vega in data 27 giugno 1550 ed infine controfirmato dal vescovo di Cefalù Francesco d’Aragona il 6 marzo 1551. Finita la chiesa, che molto probabilmente non venne edificata secondo canoni propri di ordini regolari, la contessa di Collesano “per special devozione professata all’ordine di S. Domenico, vedendo che in detto antico luogo l’aere era a quelli PP. Domenicani molto nocivo, fabbricò il presente Convento congiunto con detta chiesa nuova e… fece che li detti PP. lasciassero quel luogo e li concesse detta Chiesa nuova e convento da essa edificati, il che seguì poco prima dell’anno 1560”. Il cronista collesanese deduce questa data dal fatto che in data 5 giugno 1560 il vicario del convento, fra Vincenzo Saladino, agli atti del notaio Sebastiano Tortoreti, roga un contratto per la locazione di una casa di proprietà del convento dell’Annunziata nuova, mentre negli anni precedenti aveva attivato 39 contratti per conto del primo convento di località Gioppo, ormai abbandonato. Tuttavia, è possibile precisare la cronologia costruttiva in modo più dettagliato (vedi infra). Primo Vicario del convento dell’Annunziata Nuova fu il citato fra Vincenzo Saladino “nostro paesano e poi fondatore del convento di S. Domenico di Castelbuono, come lo dimostra il suo ritratto in quella sacrestia”52. Così si esprime lo storico collesanese Gallo, mentre dal Cucinotta si apprende che il convento castelbuonese viene fondato, sotto titolo del Rosario, il 25 aprile 1583 col concorso del marchese Giovanni Ventimiglia e dotato di terreni e rendite anche da sua moglie53. Non potendo officiare entrambe le chiese e lasciare incustodita quella di contrada Gioppo, ora detta dell’Annunziata vecchia, ove si manifestano fatti prodigiosi che la religiosità popolare accoglie come miracoli di Maria Santissima, i Padri Domenicani rinunciano al loro primitivo convento con giardino e chiesa in favore dell’Università di Collesano (Comune) per la somma di 72 onze; ciò avviene con atto notarile presso il notaio Giacomo Lanza del 26 maggio 1571, poi ratificato dal Padre provinciale dell’ordine fra Giulio Trabona in data 10 agosto dello stesso anno. I PP. Domenicani decidono di rinunciare anche “col motivo delle grandi elemosine per questa Università prestite e prestande così per la fabbrica di detto loro nuovo convento, come per vitto e sussidio dei Frati, come l’avevano sempre ricevuto e sperimentato inclinata a beneficio di detto nuovo Convento”. Il convento e la chiesa dell’Annunziata vecchia saranno poi affidati dall’Università di Collesano all’ Ordine dei Carmelitani, che li deterranno sotto titolo di Maria SS. dei Miracoli dal 1585 al 1594 circa, quando si trasferiscono in S. Maria dell’ Itria a Palermo. 52 53 R. Gallo, Il Collesano in oblìo cit. S. Cucinotta, Popolo e Clero cit., p. 444. 40 Con atto del 12 luglio 1594 presso il notaio Giovanni Nicolò Collisano54, l’ Universitas , affiderà convento e chiesa dell’Annunziata vecchia ai Cappuccini che vi si stabiliscono, dopo consistenti lavori, nel 1603, detenendoli fino alla soppressione delle corporazioni religiose del 1866. Tornando ai domenicani, si rileva che nell’Ordo conventuum et locorum Provinciae Trinacriae del 1586, Collesano compare come locus, cioè come comunità conventuale di pochi frati, mentre nel 1587, secondo i riscontri del Visitatore Apostolico Padre Antonino Mattoncini, il locus di Collesano beneficia di una rendita temporale pari a onze 78.16.10, ciò che lo pone al secondo posto dopo il “luogo” di Enna 55. Il convento può ospitare regolarmente otto frati, anche se in quel momento ve ne sono sei; delle risorse disponibili, 30 onze vengono applicate alla definizione dell’ edificio56. Secondo il censimento generale ordinato dal Padre Maestro generale fra Serafino Secchi, all’inizio del 1613 il convento domenicano di Collesano beneficia di una rendita temporale di 70 onze e di una spirituale di 15, mentre vi possono abitare comodamente 6 frati. In nota al documento di visita riportato, l’ autore (S. L. Forte, 1975) aggiunge che il convento era stato fondato una prima volta fuori l’ abitato nel 1520, data accettata da quasi tutti gli storici con l’ eccezione di chi la poneva al 1510, e dentro l’ abitato nel 1553, data che, alla luce della documentazione nota, può essere assunta come quella dell’ effettiva attivazione del convento57. Già con i Cardona, ma poi anche con i successivi conti di Collesano, i Padri Predicatori, come gli altri ordini religiosi, possono contare sull’elemosina di 10 salme annuali di frumento che vengono regolarmente corrisposte dalla Deputazione degli Stati dei Moncada R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. ff. 413-415. M. A. Coniglione, La provincia domenicana, cit., p. 368. 56 S. L. Forte, La Provincia domenicana di Sicilia nel censimento generale del 1613 in Archivum Fratrum Praedicatorum, volumen XLVI, 1975, p. 262. 57 Anche V. M. Amico, Dizionario Topografico, cit., pone la rifondazione del convento dentro l’abitato al 1553. 54 55 41 senza alcun ritardo. A metà del ‘600 il convento domenicano registra oltre duecento onze di entrata (per 175 introiti temporali, il resto spirituali) che risultano dimezzate circa un secolo dopo. Nel 1665, poiché la Chiesa conventuale di S. Francesco minacciava di crollare, su disposizione del duca Luigi Moncada, il mausoleo marmoreo dei conti di Collesano venne trasportato in una cappella della Chiesa dell’ Annunziata nuova: esso contiene le spoglie di Antonio Ventimiglia, della moglie Elvira Moncada e della figlia Costanza (moglie di Giliberto Centelles) oltre che di Pietro Cardona I; il mausoleo è sostenuto da tre leoni o arpie e vi sono incisi in lettere gallicane degli epitaffi58. Il mausoleo marmoreo dei conti di Collesano Nel periodo in cui scrive il cronista collesanese R. Gallo, il Convento di S. Domenico mantiene sei religiosi (tre o quattro sacerdoti e due frati conversi) e per alcuni anni vi si riscontra anche lo studio di filosofia con Cfr. documento n°1. Sul mausoleo cfr. anche Giuseppe Fazio, Committenza ventimigliana a Collesano: il mausoleo di Elvira Moncada e Antonio Ventimiglia e una proposta per il gruppo dei Dolenti della chiesa del Collegio in Alla corte dei Ventimiglia Storia e committenza artistica, Atti del convegno di studi (Geraci Siculo, Ganci, 27-28 giugno 2009), a cura di Giuseppe Antista, Geraci Siculo 2009, pp. 130139. 58 42 un Lettore (professore) e due o tre studenti e quello di teologia con due Lettori e altrettanti studenti. La presenza domenicana a Collesano procede ininterrotta dal 1520 fino alla legge sulla soppressione delle corporazioni religiose del 7 luglio 1866 che porta al trasferimento dei beni mobili ed immobili allo stato ed allo scioglimento delle comunità religiose conventuali. In quel momento sono presenti in convento tre religiosi, due padri e un fratello, sotto la presidenza del Priore fra Bernardo Sarrica59. Il 29 maggio 1869 si procede, poi, da parte del ricevitore demaniale di Cefalù alla consegna dell’ex convento di S. Domenico al sindaco del Comune di Collesano Michele Sarrica che si impegna a tenere aperta al culto la chiesa e a trasformare il fabbricato in Uffici Pubblici e in scuole (documento n° 4). Con il censimento dei domenicani in Sicilia nel 1873 si riscontra rettore della chiesa di S. Domenico padre Benedetto Schicchi, già domenicano, nominato dal Municipio con un assegno annuo di Lire 100, che viveva con i parenti e celebrava in chiesa coadiuvato da padre Tommaso De Maria, già lettore domenicano. Entrambi i religiosi vestivano da preti e disponevano soltanto della sacrestia, dato che il convento era passato tutto in mano all’ Amministrazione Comunale 60. La presenza domenicana a Collesano si estingue con la morte degli ultimi religiosi del luogo: padre Bernardo Sarrica nel 1873 e Tommaso De Maria nel 191161. Entrambi appartenevano a famiglie eminenti del luogo. Antonino Barilaro, Conventi Domenicani di Sicilia soppressi nel 1886 in Eco di S. Domenico Periodico dei Domenicani di Sicilia e Calabria, LIII, 1, gennaio-febbraio 1985, p. 6. 60 Idem, Conventi dei Domenicani in Sicilia nel 1873, Eco di S. Domenico cit. LIV, 3, maggio-giugno 1986, p. 109. 61 Idem, Conventi Domenicani di Sicilia soppressi, cit., Ibidem, LIII, 1, gennaiofebbraio 1985, p. 6. 59 43 3.3 La confraternita del Rosario Con la presenza dei Domenicani, anche a Collesano, si avvia l’istituzione di una confraternita del Rosario, tentata una prima volta già il 30 maggio 1574, quando viene rogato il relativo atto notarile presso il notaio Sebastiano Tortoreti62. Non si conoscono i motivi per cui l’atto non produce effetti pratici e bisogna risalire al 2 giugno del 1601 per riscontrare l’effettiva istituzione a Collesano della Confraternita di Maria SS. del Rosario; a questa data il vicario domenicano fra Pietro Sinceri dà ai confratelli il primo statuto, approvato lo stesso giorno dal vescovo diocesano Emanuele Quero Turillo, dopo l’assenso del Padre Provinciale Domenicano fra Giuseppe Gigante che era stato acquisito pochi giorni prima63. Pochi mesi dopo, il vicario del convento di Collesano concede a Vincenzo Di Francesca, Angelo Cellino e Ambrogio Ciaulino, rispettivamente Governatore e Congiunti della confraternita del Rosario, un “casalino” e un magazzino collaterale alla chiesa, al fine di edificare la cappella e l’oratorio. La confraternita, che viene messa alle dipendenze dei domenicani, dovrà versare al convento la somma di onze 1.18 l’anno per diritto enfiteutico, come appare per atto del 25 luglio 1601 del notaio Andreotta Brancato64. All’inizio del ‘700, la confraternita attraversa un momento di crisi, ma viene riorganizzata per cura dell’arciprete don Rosario Gallo che interviene anche a sue spese per la manutenzione dell’oratorio. La confraternita conquista un prestigio sempre più crescente nel contesto sociale tanto che, per cura della stessa, veniva solennizzata ogni anno con grandissima devozione la festa del Rosario; a tal R. Gallo, Il Collesano in oblìo, cit. Statuto-Regolamento della confraternita di Maria SS. del Rosario in Collesano, Cefalù 1928, pp. 3-4 64 Ibidem, p. 4 62 63 44 proposito è possibile ricordare che, con decreto del 10 aprile 1725, il pontefice Benedetto XIII consente alla processione del Rosario di raggiungere qualsiasi strada del centro abitato, anche di altre parrocchie. La confraternita, attiva fino ai nostri giorni, secondo statuti rinnovati nel tempo, mantiene la sede nel ricordato oratorio. 45 3.4 Il patrimonio storico-artistico Alla presenza dell’ordine domenicano e a quella della citata confraternita si deve la committenza del ricco patrimonio storico-artistico che ancora oggi caratterizza la chiesa dell’Annunziata nuova, oggi nota come chiesa di S. Domenico o del Rosario. Già nel 1587 i domenicani avevano provveduto a trasportare nella nuova sede il gruppo marmoreo dell’Annunciazione, prelevandolo dalla cappella di patronato della famiglia Schimmenti nella chiesa dell’Annunziata vecchia. Ciò aveva dato origine ad un contenzioso tra gli Schimmenti e i domenicani che si compose, dietro intervento del Visitatore Generale e Delegato Apostolico fra Paolo Spica, con la concessione ai primi di alcuni posti di sepoltura nella chiesa dell’Annunziata nuova. Il gruppo marmoreo è collocato in un altare laterale della chiesa stessa65. Il gruppo marmoreo dell’ Annunciazione 65 R. Gallo, Il Collesano in oblio, cit. f. 402. 46 Alla commissione dei confratelli del Rosario si deve, invece, la fattura della tela con la Madonna del Rosario e i santi Domenico, Vincenzo, Agata e Maria Maddalena richiesta nel giugno del 1623 al famoso pittore Gaspare Bazzano, detto lo Zoppo di Gangi, l’artista più retribuito nella Palermo del tempo66. I rettori della confraternita (mastri Gregorio Traina, Giuseppe La Motta e Pietro Dolce) versano subito quattro onze di acconto e si obbligano a versare le rimanenti trenta a rate. La tela, ancor oggi, decora la parete di fondo del presbiterio. Gaspare Bazzano(Lo Zoppo di Gangi), Madonna del Rosario e santi, 1623 Alla presenza domenicana si deve la tela con La Circoncisione eseguita nel 1634 dal pittore collesanese Giovanni Giacomo Lo Varchi su commissione del vicario fra Vincenzo Speciale ed oggi è collocata in una cappella laterale. Allo stesso Lo Varchi è attribuibile la tela con “L’Immacolata” proveniente dalla chiesa di S. Francesco; il pittore R. Termotto, Pittori, intagliatori lignei e decoratori a Collesano (1570-1696). Nuove acquisizioni documentarie in Bollettino Società Calatina di Storia Patria e cultura, 7-9, 1998-2000 pp. 241-243. 66 47 collesanese è autore degli affreschi con Storie di S. Domenico che predica agli Albigesi: essi decoravano la volta della navata, ma sono andati completamente perduti a seguito dei dissesti statici del 171767. Sempre alla confraternita è dovuta La Madonna del Rosario con S. Domenico, gruppo scultoreo in legno eseguito nel 1649 dal famoso scultore e argentiere palermitano Giancola Viviano68. Giancola Viviano, S. Domenico e la Madonna del Rosario, 1649 Legate alla presenza domenicana sono ancora un barocco Crocifisso in legno e una statua lignea di S. Vincenzo di autori ignoti, mentre provengono da chiese chiuse al culto altre tele non legate a committenza domenicana come il S. Antonio, precedentemente collocato nella chiesa dei Cappuccini e trasportata nella nuova sede nel 192969. Per le opere un tempo certamente in chiesa e oggi da considerarsi perdute si rinvia al documento n° 4 R. Gallo, Il Collesano in oblio, cit. f. 410. Giovanni Mendola, Tra legni e metalli. L’ attività documentata di Giancola Viviano in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, a cura di Maria Concetta Di Natale, Milano 2001, p. 653. 69 ASCC, Registro di delibere. 67 68 48 CAPITOLO 4: LA CHIESA DOMENICANA DELL’ ANNUNZIATA NUOVA 4.1 Caratteri generali dell’ architettura domenicana70 : L’ esistenza o meno di specifici stilemi architettonici legati ai Domenicani è oggetto di dibattito tra gli studiosi: nonostante i Padri Predicatori non abbiano elaborato un rigoroso “modello” architettonico rispondente a precise istanze estetiche, è possibile sottolineare la presenza di costanti funzionali che definiscono una tipologia delle chiese domenicane. La maggior parte delle chiese e dei complessi conventuali degli ordini Mendicanti, tra cui figurano i Padri Predicatori, non segue norme legate ad una specifica legislazione, ma fu per lo più occasionale e fortuita. Il messaggio comune degli ordini mendicanti, in particolare francescani e domenicani, è quello di annunciare il Vangelo nella povertà. I primi si proponevano di annunciarlo attraverso la semplicità e la testimonianza personale, i secondi attraverso lo studio e la predicazione. In opposizione alla tradizione monastica che fa perno sul carattere stanziale della comunità religiosa, la predicazione itinerante costituisce il fulcro degli ordini Mendicanti; questa diversa impostazione determina delle ripercussioni anche nella concezione del convento e della chiesa annessa. L’ abbazia costituiva una sorta di microcosmo per cui l’ attività monastica si rivolgeva prettamente all’ interno del monastero stesso: coltivazione della terra, manutenzione degli stabili, allevamento del bestiame, copiatura dei codici e così via. Il convento differisce radicalmente dal monastero: di dimensioni più modeste, si tratta di un organismo architettonico non più isolato dalla 70 Valerio Ferrua, Alle origini dell’ architettura domenicana in Una chiesa, la sua storia Momenti storici e sviluppo artistico della Chiesa di San Domenico a Chieri, Chieri 1-3-5 ottobre 1990, Alba 1991, pp. 7-22. 49 comunità esterna, ma da collocare vicino le grandi vie di comunicazione facilitando la predicazione dei frati. Per quanto concerne la tipologia dei conventi domenicani è possibile individuare alcuni locali quasi sempre ricorrenti: l’ ecclesia (per lo più denominata “capella” o “oratorium”), il claustrum e il capitulum (sala capitolare), il dormitorium e la bibliotheca. Questi locali pur essendo già presenti in molti casi nella tradizione monastica, vengono, con i Mendicanti, ripresi ed articolati in funzione dinamica ed apostolica. Mentre i monaci si insediavano in un sito dopo accurati sopralluoghi, seguendo norme scrupolose sull’ orientamento, collocazione, distribuzione dei locali e portando al seguito personale in grado di eseguire i lavori, l’ insediamento dei Mendicanti è connesso al successo della predicazione itinerante. Il convento, più che un “tipo” costruttivo, rappresentava innanzitutto un vero e proprio luogo di convergenza, riunione, incontro: per i Domenicani, la loro era una domus praedicationis e quindi orientata alla specifica missione dei religiosi. Inoltre, emerge una differenza anche nell’ impostazione della cella: quella monastica era concepita in funzione del riposo dal lavoro manuale e, secondariamente, come luogo di solitudine; la cella conventuale, pur nel rispetto della severa legislazione che le voleva piccole e modeste (parvas et humiles), doveva favorire lo studio. A tal proposito nella prima legislazione domenicana si fa riferimento al discus, una sorta di tavolino portatile sul quale era possibile appoggiare i libri e prendere appunti durante la lezione del Lettore conventuale. Nella legislazione dei Domenicani si presta scarsa attenzione alla definizione tipologica della chiesa: all’ inizio deve riuscire a contenere soltanto i membri della comunità o poco più. Il clero secolare, almeno nella fase iniziale di evoluzione dell’ ordine, invita i Domenicani a predicare nelle proprie parrocchie o nelle cattedrali e se queste non fossero riuscite a contenere la massa dei fedeli si sarebbe ricorso alla piazza, improvvisando un pulpito o un broletto. 50 Le chiese devono essere mediocres et humiles : sono banditi sfarzo e grandiosità. La legislazione domenicana richiede nei limiti del possibile la centralità: nel tessuto urbano, quindi, gli edifici religiosi si dovevano inserire in prossimità delle grandi vie di comunicazione e dei punti vitali della comunità. Inoltre, sono precisate alcune misure: per gli edifici conventuali, di un piano, non si doveva eccedere i 4,50 metri, mentre per le chiese l’ altezza della copertura non doveva oltrepassare gli undici metri. Alla fine del ‘200 da una concezione ristretta e legata all’ ambito diocesano, i Padri Predicatori maturano la consapevolezza di una vocazione universale, di una maggiore autonomia dalla gerarchia vescovile e, grazie a donazioni sempre più consistenti, costruiscono conventi e chiese più legate alle proprie esigenze. Con il trascorrere degli anni le comunità domenicane risultano più sensibili alle istanze estetiche: in ogni caso si esclude il ricorso a materiale pregiato, ricorrendo a quello più usuale e di poco costo come il cotto e la pietra locale di facile lavorazione. 51 4.2 Le vicende costruttive del complesso dell’Annunziata nuova dalle origini al Settecento La chiesa dell’ Annunziata nuova, oggi nota col nome di S. Domenico o del Rosario, presenta un’ unica navata che si conclude con un presbiterio poligonale. La navata, sormontata da una volta a botte lunettata, è affiancata da otto cappelle: sul lato destro si riscontrano la Cappella di S. Rita, la Cappella della Circoncisione, la Cappella di S. Vincenzo Ferreri e quella dell’ Annunciazione; sul lato sinistro la Cappella di S. Antonio, la Cappella del SS. Crocifisso, la Cappella di S. Lucia e quella dell’ Immacolata. Interno della Chiesa dell’ Annunziata Nuova In realtà fino a tutto il Settecento le cappelle erano cinque: tre dal lato del Vangelo (a destra) ovvero quella di S. Domenico di Soriano, S. Tommaso d’ Aquino e quella di Santa Rosa con altri santi domenicani; dal lato dell’ Epistola (a sinistra) si riscontravano le cappelle del SS. Crocifisso e di S. Vincenzo Ferreri. 52 I riscontri documentari, per il periodo preso in esame, risultano frammentari e relativi a singoli episodi costruttivi; ciò non consente una chiara visione complessiva dell’ iter seguito nella fabbrica della chiesa. Il 1 settembre 1552 l’ intagliatore in legno Antonio Mangio di Collesano si obbliga con la contessa Susanna Gonzaga a realizzare il soffitto ligneo e le porte della chiesa 71. Si deduce da ciò che a quella data il perimetro murario della chiesa è già stato definito. Il 16 novembre 1558, sotto il vicariato di fra Giovanni di Calabria, viene custodito in loco depositi della chiesa il cadavere di Antoniuccio Catanese di Caronia, morto da poco, che gli eredi avrebbero ritirato dopo aver corrisposto “lo jus depositi” 72. A quella data, quindi, chiesa e convento dell’ Annunziata Nuova dovrebbero aver raggiunto la piena funzionalità. Il 30 maggio 1572 fra Vincenzo Saladino, vicario del convento domenicano, dichiara di aver ricevuto, su disposizione dei giurati locali, sei onze dai fratelli Sala, appaltatori della gabella della farina: questa somma era destinata alla riparazione del tetto della chiesa “pro elemosina pro expensis fabrice tecti ditte ecclesie”73. Il 16 maggio 1598 l’ intagliatore lapideo collesanese mastro Giuseppe Badamo si obbliga col vicario del convento, fra Pietro Sinceri, a intagliare secondo disegno quattro basi di pietra proveniente dalla cava di contrada Li Voni da consegnare entro venti giorni. Il trasporto della pietra è posto a carico del vicario. Il prezzo concordato tra i due è pari a due tarì a palmo (circa cm 26) con anticipo di 18 tarì ed il resto in corso d’opera74. Il 26 maggio 1598 lo stesso Badamo si obbliga col priore del convento a realizzare due architravi con pietra proveniente dalla stessa cava (pirrera); in particolare il primo architrave, di nove palmi, doveva presentare un intaglio simile a quello dei piedritti della porta della chiesa; un secondo, di sei palmi, ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Antonio De Maria, volume 9577, c. 6r. ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Sebastiano Tortoreti, volume 6293, c. 306r. 73 Idem, volume 6300, c. 30r-v. 74 R. Termotto, Una famiglia di intagliatori lapidei a Collesano: i Badamo (1571-1625) in Paleokastro Rivista trimestrali di studi siciliani, NS III, 4, Dicembre 2012-Aprile 2013, pp. 43-48. 71 72 53 era destinato alla porta del convento. Il prezzo concordato è pari a onze 1.10 con acconto di 24 tarì e il resto da saldare a lavoro ultimato.75 Il 26 giugno 1599 Epifanio Sammarco e Giovanni Sciarrino, scalpellini della città di Polizzi, si obbligano col vicario fra Pietro Sinceri a realizzare circa venti pezzi (“peccios”) di pietra intagliata in tre riquadri, secondo il disegno conservato dal vicario stesso. Il prezzo concordato ammontava a tre tarì a palmo con anticipo di tre onze e il resto da saldare in corso d’ opera (“smarrando li petri a la pirrera et intagliando solvendo”). Il trasporto del materiale, con buoi, fino a un idoneo luogo di carico nei pressi della cava, avveniva a spesa dei mastri; da lì al convento sarebbe stato a carico del vicario che doveva mettere a disposizione delle maestranze anche letto e materassi. Tra i testimoni della stipula dell’ atto vi era anche l’ intagliatore ligneo Giuseppe Mangio76. Il 14 dicembre 1604 i maestri fabbricieri castelbuonesi Antonio Gambaro e Dionisio Pace si obbligano col vicario fra Pietro Scarano a realizzare “lo campanaro con li dammusi” secondo le misure che indicherà il vicario. Il prezzo dei lavori concordato, compreso di ponteggio, è pari a otto tarì a canna (m 2,06) con un acconto di quattro onze e il resto da saldare in corso d’ opera. La misura dei lavori sarà effettuata da esperti incaricati dalle parti. Il convento dovrà pure fornire una stanza per l’ alloggio dei maestri fabbricieri. L’ espressione utilizzata nell’ atto potrebbe rinviare sia alla realizzazione dell’ intero campanile, sia al semplice vano di alloggio delle campane77. Un atto del 13 aprile 1607 documenta che gli stessi maestri castelbuonesi si impegnano a restituire al vicario fra Pietro Scarano 3.15 onze poiché debitori di tale somma nel conto finale dei lavori realizzati relativi al dormitorio del convento78. Ibidem. ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Leonardo Di Lorenzo, volume 6322, c. 594r-v. 77 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Giuseppe Gullo, volume 6397, c. 268r-v. 78 Idem, volume 6399, cc. 570v-571r. 75 76 54 Il 7 marzo 1630 quindici confratelli del Rosario si obbligano a raccogliere e versare delle somme, che variano tra i 6 tarì e 1.6 onze ciascuno, al depositario della Confraternita per la realizzazione dell’ Oratorio nel magazzino della Compagnia, posto dietro la cappella del SS. mo Rosario. La somma preventivata con la prima raccolta assomma a 8.23 onze79. Il 20 giugno 1631 il Priore del convento fra Tommaso da Collesano dichiara di aver ricevuto dal tesoriere dell’ Universitas (Comune) la somma di tre onze per sussidio dei lavori in corso nella chiesa e per la costruzione della volta80. Nel 1717 dei movimenti franosi, provocati dalla presenza di un terreno friabile, determinarono un notevole smottamento, secondo quanto riporta Rosario Gallo81. La configurazione strutturale della chiesa era stata ulteriormente indebolita dall’ esecuzione di alcune aperture realizzate nella stessa fabbrica. Questi fenomeni comportarono il progressivo manifestarsi di lesioni nella volta della navata, che raggiunge un tale degrado da pervenire al parziale crollo della volta stessa. A seguito di tali eventi, i Domenicani, guidati dal Padre Lettore fra Tommaso Maria Tamburello, si prodigarono per concretizzare le necessarie soluzioni tecnico-costruttive affidandosi a un famoso architetto e matematico del tempo: si tratta del domenicano Tommaso Maria Napoli82. ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Antonio Cangiamilla, volume 2470, c. 187r-v. ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Pietro Tortoreti, volume 6445, c. 776r. 81 R. Gallo, Il Collesano in oblio, cit. 82 Per Tommaso Maria Napoli cfr. Maurizio Vitella, ad vocem Napoli Tommaso Maria in Luigi Sarullo, Dizionario degli Artisti Siciliani. Architettura. Volume I, a cura di Maria Clara Ruggieri Tricoli, Palermo 1993 e bibliografia ivi citata. 79 80 Matematico e architetto, Tommaso Maria Napoli nasce a Palermo nel 1655 o nel 1659. Si dedica giovanissimo alla vita religiosa diventando domenicano nel 1675. Compie gli studi nel convento domenicano di Palermo. Dopo un lungo impegno in qualità di ingegnere militare in Ungheria ed in Dalmazia (Ragusa), torna a Palermo e si dedica allo studio della matematica, come testimonia il suo trattato pubblicato a Roma nel 1688 Utriusque architecturae compendium in duos libros divisum. Tra la fine del Seicento ed il primo decennio del Settecento si occupa di progettare due residenze nobiliari nel territorio di Bagheria: villa Valguarnera, iniziata nel 1713 e, con la collaborazione di Agatino Daidone, villa Palagonia, 55 Questi decide di adottare contemporaneamente due soluzioni per diminuire le tensioni agenti sul terreno: da un lato ridurre il carico, abbassando l’ altezza della copertura e realizzando un tetto piano al posto della volta e al tempo stesso rafforzare la struttura realizzando sin dalle fondamenta il nuovo arco maggiore. I lavori di consolidamento furono realizzati grazie al contributo dell’ Universitas che vi destina per tre anni le entrate della gabella dell’ ufficio del Mastro di Piazza che ha il compito di vigilanza sui mercati, fiere, merci, generi alimentari ecc. Nel 1720 venne realizzata la volta (dammuso) della Cappella del SS. mo Rosario, accresciuto e modificato nella forma l’ Oratorio omonimo oltre alla realizzazione della volta di copertura. Nella Cappella del SS. mo Rosario, nel 1722, venne sepolto il Marchese di Sciortino Ignazio Moncada (fratello del duca Luigi)83. Nel 1769 il convento di S. Domenico si arricchisce della seconda elevazione84. Lo stesso anno i locali del convento vengono pavimentati con mattoni stagnati prodotti dal ceramista collesanese Antonino Barbera sotto la direzione di maestri napoletani85 probabilmente iniziata nel 1715. L’ ideazione di quest’ultima è tutta protesa verso la valorizzazione degli spazi esterni. Nel 1711 viene nominato ingegnere militare del Senato palermitano. Nel 1723 pubblica a Palermo un altro libro dal titolo: Breve ristretto dell’ Architettura Militare e fortificazione offensiva e difensiva, estratta dai matematici più insigni. E’ il primo artefice a Palermo di una sistemazione di spazi esterni urbani di marca prettamente barocca: sua infatti è la sistemazione di piazza San Domenico, già piazza imperiale e il disegno dell’ “artificioso basamento” su cui si innalza la statua dell’ Immacolata Concezione. Per avere il permesso di procedere alle necessarie demolizioni per la creazione della piazza, si reca personalmente a Vienna, dall’ imperatore Carlo VI ed ottenuto il placet e creato lo slargo, si procede, con solenne cerimonia, alla posa della prima pietra della colonna monumentale centrale, di fronte la facciata della chiesa di S. Domenico l’ 8 dicembre 1724. A causa della morte del Napoli i lavori saranno poi proseguiti da Giovan Biagio Amico che eresse tale colonna nel 1726 modificando in parte il progetto di Tommaso Maria Napoli. Sempre per la chiesa di S. Domenico, fornisce il disegno del campanile destro che ha però vicissitudini assai complesse. Tommaso Maria Napoli muore a Palermo il 12 giugno 1725 . R. Gallo, Il Collesano in oblio… , cit. f. 406 Gioacchino Di Marzo, Annotazioni a V. M. Amico, Dizionario topografico cit. 85 A. Di Bernardo (A.D.B.), Affonda le radici nei secoli l’ arte della ceramica a Collesano in “Sicilia del popolo”, 8 luglio 1954, ripubblicato in R. Termotto-A. Asciutto (a cura di) Collesano per gli emigrati, Castelbuono 1991, pp. 221-223. 83 84 56 4.3 La ricostruzione primo-ottocentesca della Chiesa dell’ Annunziata nuova Agli inizi del 1802, a causa dei gravi dissesti statici che minacciano di far collassare la struttura chiesastica, i Domenicani pervengono alla decisione di demolire la stessa e ricostruirla ex novo. Tale compito viene affidato dai Padri Predicatori a mastro Nicolò Dispenza e mastro Antonino Sgarlata di Termini Imerese. I lavori sono conclusi nel giro di due anni, tanto che la nuova chiesa dell’ Annunziata viene riconsacrata il 20 novembre 1804 dal Priore fra Giovanni Tommaso Tortoreti in presenza degli altri Padri Predicatori (Padre Lettore fra Domenico di Bernardo, Rev. frate Ludovico Russo, Padre Lettore fra Pio Santino, Padre fra Egidio Asciutto), del clero e del popolo collesanese86 (documento n° 2). Preliminarmente, in data 25 febbraio 1802, i mastri Giuseppe e Nicolò Longo di Termini si obbligano col procuratore del convento fra Egidio Asciutto a intagliare, a partire dal 15 marzo, tutta la “pietra grossa rotta atta anche a cantonere e fabbrica” per la costruzione della nuova chiesa. Il prezzo concordato è fissato in 5.10 tarì per ogni canna (circa cm 206) , con acconto di 4 onze e il resto da saldare in corso d’ opera87. Successivamente, i mastri Nicolò Dispenza ed Antonino Sgarlata, in data 17 dicembre 1802, assumono impegno contrattuale per demolire interamente la fabbrica della chiesa, a partire dalla copertura, lasciando in opera soltanto i pilastri in buono stato88; qualora dei pilastri non presentassero idonee caratteristiche strutturali dovevano essere rifatti magistralmente, e “se in trabocco riformarli e portarli a piombo” (documento n° 3). ASPa, sezione Gancia, Fondo Corporazioni Religiose Soppresse, Convento S. Domenico – Collesano, Registro di Atti e Giuliana sec. XVII-XIX, registro 89, foglio 1. 87 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Giuseppe Gallo Tedaldi, volume 6908, cc. 355r-356r. 88 ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Vincenzo Gallo Tedaldi, volume 6909 carte 437r - 447v, Collesano 17 dicembre 1802. 86 57 Le condizioni contrattuali previste risultano piuttosto articolate: I pilastri dovranno essere eseguiti in modo da poter innestare su di essi le volte delle cappelle laterali da realizzare in mattoni disposti a due fogli, gesso e “ciaramite”. Gli archi generatori delle volte sono realizzati con mattoni “pantofoli”, i contro archi (“sardoni”) in laterizio o con lapidei del Monte d’ Oro; inoltre, l’ altezza delle cappelle dovrà essere “di due quadri fino al centro dell’ arco”. Il cornicione, che corre tutto attorno la chiesa, dovrà essere realizzato con laterizi e proporzionato all’ altezza della stessa secondo le regole della buona architettura. Al di sopra del cornicione e precisamente “a palmi uno e oncie sei” (circa cm 39) si dovranno realizzare le finestre della chiesa secondo le seguenti dimensioni: sei palmi di larghezza (circa cm 155) e cinque di altezza (circa cm 129). Le murature della fabbrica saranno in pietra e calce della larghezza di tre palmi (circa cm 77) ed altezza conforme al disegno. E’ prevista la demolizione dell’ arco maggiore che scandisce il presbiterio e la realizzazione di uno nuovo avente maggiore altezza e larghezza; il nuovo arco, dovrà essere realizzato ad una distanza di due palmi per lato (circa 52 cm) dai pilastri che sorreggono l’ esistente, aumentando l’ altezza degli stessi pilastri di un palmo (circa cm 25,8). L’ arco maggiore, il cui estradosso sarà tangente al cornicione, dovrà essere realizzato a tutto sesto e qualora ciò non fosse possibile il centro della curva si troverà un palmo sotto il centro del piano d’ imposta dell’ arco. Le fondamenta del presbiterio dovranno essere profonde otto palmi (circa cm 206) e larghe quattro (circa cm 103), mentre alla quota dei due scalini, la muratura dello stesso presbiterio, sarà larga palmi tre (circa 77 cm) e alta quanto la navata. Al di sopra dei pilastri delle cappelle si realizzeranno quattro archi per l’ intera larghezza della chiesa. Nella costruzione dell’ arco vengono 58 impiegati prima laterizi, lapidei e calce fino a un terzo dell’ altezza e poi mattoni e gesso. Gli archi presentano le seguenti dimensioni: “larghi palmi due e oncie dieci (circa cm 73) e grossi palmi uno e oncie sei” (circa cm 39). I pilastri che sorreggono gli archi saranno larghi palmi tre (circa cm 77). I maestri si obbligano a realizzare l’ altare maggiore dopo aver ribassato il piano di calpestio del presbiterio fino alla quota dei due scalini di accesso. Inoltre, si dovranno ricostruire gli altari delle cappelle laterali. Per i sopra archi (“sardoni”) delle finestre che si realizzeranno lungo la navata, nel presbiterio e sopra la porta maggiore saranno utilizzati laterizi o lapidei per meglio consolidare la fabbrica. Prima dell’ intervento, nella parte mediana della navata era presente un gradino che determinava, quindi, due differenti quote di calpestio. Il progetto prevede di eliminare il dislivello esistente riempiendo il tratto iniziale della navata in modo da ottenere un’ unica quota di calpestio, dalla porta di ingresso sino allo scalino di accesso al presbiterio. Inoltre si prevede la ricollocazione delle sepolture lapidee esistenti rispettando la nuova quota di calpestio. L’ altare maggiore, con scalino alla Romana, collocato su indicazione del Priore del convento, sarà realizzato utilizzando cornucopie e predella con relative decorazioni lapidee dell’ altare esistente. Gli altari delle otto cappelle laterali, con predella e scalino modellato alla Romana, saranno addossati alle pareti di fondo; l’ accesso alle cappelle avverrà tramite uno scalino in pietra. Tra gli interventi previsti vi è il trasferimento del mausoleo marmoreo dei conti di Collesano, precedentemente collocato in una cappella dal lato dell’ Epistola (lato sinistro) vicino l’ altare maggiore, nel luogo designato dal Priore. Si dovranno inoltre collocare, a discrezione del Priore, le acquasantiere, e disporre catene di ferro per rinforzare gli arconi della navata da innalzare. 59 La volta della navata dovrà essere realizzata in mattoni disposti a due foglie e gesso; la volta a crociera del coretto, impostata su grossi pilastri, sarà realizzata in mattoni disposti a tre fogli e gesso. E’ prevista l’ apertura di una porta di comunicazione tra il coretto e il convento e la realizzazione nello stesso coretto di un inginocchiatoio. La pavimentazione della navata, delle cappelle laterali, del coretto, del presbiterio e della predella dell’ altare maggiore, sarà realizzata con l’ impiego di mattoni rossi “palmarizi” messi in opera con calce. E’ previsto l’ impiego di stucco fino, conformemente ad un disegno firmato dalle parti, per la definizione delle pareti interne dell’ intero edificio, dopo adeguata preparazione. Dai lati del piano d’ imposta dell’ arco maggiore deve dipartire una decorazione in stucco con festine e ghirlanda, mentre in ogni angolo del presbiterio si devono inserire due pilastrini a libro. Nella parete centrale si deve realizzare un incavo per la collocazione della pala d’ altare di Maria SS. del Rosario. Al centro della volta del presbiterio si dovrà realizzare un semicircolo di stucco “scorniciato” che sia tangente ai pilastrini d’ angolo; le finestre dello stesso presbiterio saranno sormontate da lunette in stucco conformemente ad un ulteriore disegno. Per quanto riguarda la copertura dell’ intero edificio saranno utilizzate travi in legno, disposte alla distanza di palmi due e oncie sei (circa cm 65) una dall’ altra; sopra le travi saranno collocati i “sirratizzi” (correntini ovvero lunghi travetti di legno)e quindi le successive tegole. In copertura è prevista la realizzazione del colmo con calce impastata a sabbia e “rossa” (terracotta in polvere impermeabilizzante) oltre alla realizzazione dei necessari embrici opportunamente collocati per il deflusso delle acque. Si prevede di aumentare lo spessore della parete di fondo del presbiterio di ulteriori due palmi (circa cm 52). I materiali da costruzione (calce, sabbia, pietra, balate, pantofoli, mattoni, legnami) saranno forniti dal convento stesso, mentre i lavori 60 saranno eseguiti con l’ assistenza del sovrintendente mastro Vincenzo Lo Cascio che dovrà essere pagato a parte dai maestri termitani. Il contratto prevede che al termine dei lavori l’opera sarà soggetta a revisione di uno o più periti scelti dalle parti ed in caso di parere discorde sarà chiamato un terzo perito nominato dalla corte giuratoria. Le opere si sarebbero dovute eseguire conformemente a un disegno (non rintracciabile) firmato sia dal Priore che dai mastri 89. Il 18 aprile 1804 il maestro Nunzio Vetri di Castelbuono, abitante a Collesano, stipula un contratto col Priore fra Giovanni Tommaso Tortoreti col quale si obbliga a fornire i mattoni e le tegole necessarie alla realizzazione degli archi, delle volte e delle cappelle della nuova chiesa. I mattoni dovranno rispettare un “modulo” standard consegnato dai Domenicani, mentre le tegole dovranno avere uno spessore non inferiore a un’ oncia (circa cm 2,15). Il materiale dovrà essere consegnato entro luglio e in caso di mancata fornitura è prevista una penale pecuniaria. Il prezzo stabilito è pari a 4 tarì per ogni centinaio di mattoni e 18 tarì per ogni migliaio di tegole; l’ anticipo previsto è di 4 onze ed il resto da saldare “soccorrendo consegnando”.Con lo stesso atto, mastro Vincenzo Sireci si obbliga col convento a fornire tutta la quantità di sabbia necessaria a “fabricare, arrizzare e intonacare”. La sabbia da impiegare per l’ intonaco dovrà essere crivellata, soggetta a revisione del capo maestro che dovrà verificare la corrispondenza con il campione (“mostra”) detenuto dal Priore. Il costo del materiale è fissato in tarì 1.13 a salma (una salma è composta da tre carichi) con un acconto di 10 onze90. ASPa, sezione Termini Imerese, Notaio Vincenzo Gallo Tedaldi, volume 6909, cc. 437r-447v. 90 Idem, volume 6908, cc. 500r-501v. 89 61 4.4 Le vicende costruttive del primo Novecento. Dopo la radicale ricostruzione primo-ottocentesca della chiesa non sono stati riscontrati dati documentari riferibili a interventi edilizi sulla stessa sino agli inizi del Novecento, pur essendo in presenza di una serie continua di documenti, successivi alla legge sulla soppressione delle corporazioni religiose del 1866, riguardante il complesso conventuale. Nel primo decennio del Novecento si riscontrano piccoli interventi di manutenzione, riguardante la riparazione di una porzione della copertura, o di consolidamento. Il 31 dicembre 1907 viene stipulata una scrittura privata tra il Sindaco Rodolfo De Maria e il capomastro Stefano Dolce che si obbliga, per una somma di £. 87,70, a “rientrare nel muro della facciata della chiesa di S. Domenico la chiave della catena sporgente fuori la superficie del muro suddetto”91. Con delibera del 5 maggio 1912 il Consiglio Comunale di Collesano autorizza a completare il progetto relativo al restauro della chiesa di S. Domenico che necessitava di interventi urgenti: da una sommaria perizia eseguita dall’ ingegnere Sciarrino era possibile riscontrare una copertura in cattivo stato, la mancanza di grondaie adeguate oltre alla presenza di muri laterali pericolanti. Al progetto doveva essere allegato il piano finanziario oltre al preventivo per il posizionamento di un orologio da torre. In prima istanza, il commissario prefettizio aveva stanziato in bilancio una somma pari a £ 1000, ma questo stanziamento si riferiva soltanto al collocamento dei materiali decorativi che la Congregazione di Carità, in occasione della demolizione della Chiesa dello Stellario, aveva ceduto al Comune92. Con delibera del 4 giugno 1912, il Consiglio Comunale approva il capitolato speciale relativo all’ appalto dei lavori di restauro della 91 92 ASCC, Amministrazione, Numero 193, Categoria I, Classe 11, fascicolo 1; ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, busta n° 19 62 chiesa per l’ ammontare di £ 6700. In occasione di questa seduta, il consigliere avv. Dispenza, precedentemente sindaco del Comune, riferisce di aver affidato all’ ingegnere palermitano Vincenzo Alagna l’ incarico di un progetto per la realizzazione di una torre, accanto la facciata della chiesa, per la collocazione di un orologio. Nella somma suddetta, tuttavia, non è computato il restauro della facciata e la realizzazione dell’ incavo per il posizionamento dell’ orologio stesso; è altresì confermato l’ incarico di cui sopra all’ ingegnere Sciarrino93. Quasi certamente non si è dato corso all’ attuazione della delibera di cui sopra, visto che l’Amministrazione Comunale dovrà provvedere alle stesse problematiche con interventi parziali meno onerosi. Nel 1915 il Comune incarica il perito Pietro Dispenza Dolce di elaborare un progetto di riparazione della chiesa di S. Domenico che prevede la realizzazione del nuovo manto di copertura e le riparazioni delle lesioni della volta della navata. La previsione di spesa ammonta a £ 944,38. Da un carteggio del 17 giugno 1915, tra la Prefettura e il Comune, si evince che il muro di prospetto della chiesa risulta lesionato e fuori asse poiché sprovvisto di fondamenta adeguate; lo stesso muro, inoltre, viene danneggiato anche dalle acque pluviali che non hanno un libero deflusso per l’avvenuto abbassamento del piazzale. Le condizioni in cui si trova tale muro rappresentano, in realtà, la causa principale delle lesioni della volta che in parte grava su di esso94. Il 10 febbraio 1924 il Consiglio Comunale delibera una seconda volta sui lavori di restauro della chiesa di S. Domenico approvando il progetto e il relativo capitolato d’ appalto, con opportune modifiche, redatto dal capomastro Santi Peri Dispenza in data 29 dicembre 1923. L’ importo a base d’ asta dell’ appalto ammontava nel contratto a £. 9739,95. All’ appaltatore si sarebbe corrisposto un acconto di £ 3000 dietro lavoro regolarmente eseguito ed il resto sarebbe stato pagato 93 94 Ibidem. ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, Busta n° 19. 63 a collaudo e conto finale dei lavori: questo sarebbe stato compilato entro due mesi dalla completa ultimazione dei lavori regolarmente accertata. L’ appaltatore si obbliga a pagare l’ assistente dei lavori in ragione del 3% sull’ ammontare lordo dell’ importo, mentre il 2% sullo stesso e l’ 1% sulla relazione preventiva saranno pagati dal Comune. Il termine assegnato per l’ esecuzione dell’ opera è di un mese a partire dalla consegna dei lavori, mentre è di due mesi per quelli realizzati in economia per conto del Comune. Per ciascuna categoria di lavoro, secondo le specifiche modalità operative, sono previste: - Scavo di terra per la realizzazione del drenaggio fino ad una profondità di circa 50 cm al di sotto del pavimento della chiesa, con le necessarie sbadacchiature, trasporto e spandimento della terra. - Muratura per il muro del drenaggio da realizzare con pietra calcarea proveniente dalle cave delle contrade Pantano, Torretta, Passo di Vacche, opportunamente modellata e collocata in opera con la necessaria quantità di malta semidraulica. La muratura siffatta è computata in £ 120 al metro cubo. - Fondo del drenaggio colmato con uno spessore di 15 centimetri di calcestruzzo idraulico. Nella composizione del calcestruzzo il rapporto tra malta idraulica e brecciame di calcare è di uno ad uno e settanta. Il calcestruzzo idraulico è computato in £ 22,00 ogni metro quadrato. - Intonaco in malta idraulica, a due strati liscio a cazzuola con rinzaffato, da applicare nel drenaggio sul muro della chiesa, precedentemente a contatto con la terra, computato in lire 8,50 ogni metro quadrato. 64 - Malte semidrauliche, idrauliche e cementizie. La calce idraulica sarà proveniente dalla fornaci di Lascari, la calce grassa dalle vicine fornaci di Collesano, la sabbia dalle cave di contrada Rascata, c.da Cammisini e dalle cave della contrada Rina del territorio di Isnello secondo le prescrizioni dell’ assistente incaricato. La malta semidraulica sarà dosata in volume di una parte di calce idraulica, una parte di calce grassa e quattro parti di sabbia; la malta idraulica sarà dosata in volume di una parte di calce idraulica ed una parte e mezza di sabbia; la malta cementizia sarà confezionata secondo le proporzioni definite dal Regio decreto del 10 gennaio 1907 (prima normativa tecnica italiana sulle costruzioni): kg 300 di cemento Portland, mc 0,400 di sabbia asciutta e non compressa e mc 0,800 di ghiaietto e pietrisco le cui dimensioni non potranno superare i due centimetri. - Calcestruzzo cementizio per la copertura del suolo del drenaggio, compresa l’ impalcatura di legname per il sostegno dello stesso, computato in £. 330 ogni metro cubo. - Calcestruzzo cementizio per la copertura del muro del drenaggio computato in £ 300 ogni metro cubo. - Muratura di mattoni pantofoli disposti in piano con malta semidraulica per il tompagnamento di una finestra è computato in £. 38 al metro quadrato. - Fornitura e messa in opera di gronde di lamiera di forma semicircolare del diametro interno di cm15, computato in £ 14 ogni metro lineare. - Fornitura e messa in opera di travi d’ abete grezzo della sezione di cm 14 x 16 da impiegarsi come arcarecci computata in £ 10 ogni metro lineare. - Pulitura dei tetti “scomponendo totalmente i coperchi spazzando i corridoi” computata in £ 1,00 ogni metro quadrato. 65 - Fornitura e messa in opera di tegole a dettaglio delle fornaci di Campofelice di Roccella computata in £ 0,70 cadauna. I Prezzi elementari, salari e noli per ogni ora di lavoro sono i seguenti: - operaio terraiolo per lavori di fondazione per ogni ora di lavoro £ 2,00 - Muratore di prima classe per ogni ora di lavoro £ 2,25 - Muratore di seconda classe per ogni ora di lavoro £ 2,00 - Manovale grande per ogni ora di lavoro £ 1,75 - Manovale medio per ogni ora di lavoro £ 1,50 - Ragazzo per ogni ora di lavoro £ 1,00 - Mulo bardato con conducente per ogni ora di lavoro £ 3,20 - Carro ordinario con cavallo e conducente per ogni ora di lavoro £ 4,00 - Scalpellino per ogni ora di lavoro £ 3,50 Il costo dei materiali a piè d’ opera è il seguente: - Calce grassa ogni mc £ 150,00 - Sabbia delle cave di Rascata o delle cave di Cammisini o delle cave di Isnello ogni mc £ 48,00 - Calce idraulica ogni quintale £ 15,00 - Cemento Portland ogni quintale £ 39,00 - Pietra calcare delle cave di contrada Pantano o delle cave di c.da Torretta ogni mc £ 26,00. - Pietrisco di calcare rotto a martello per il calcestruzzo idraulico ogni mc £ 36,00. - Pietrisco di calcare per il calcestruzzo cementizio delle cave di Isnello ogni mc £ 36,00. - Sabbia della spiaggia di Campofelice di Roccella ogni mc £ 86,00. 66 - Gesso ogni quintale £ 24,00 - Acqua per ogni ettolitro £ 3,00 Con delibera del 19 agosto 1925 il Consiglio Comunale incarica l’ Ingegnere Filippo Sciarrino di redigere un progetto di restauro della chiesa di S. Domenico e la revisione degli atti inerenti. Il 18 maggio 1926 la Giunta Comunale delibera di erogare la somma di £. 2000 per il rifacimento della pavimentazione della chiesa: questa somma si aggiungeva alle oblazioni raccolte a tale scopo da un comitato presieduto dal sacerdote e Rettore della chiesa Tommaso Li Pira. L’ andamento dei lavori sarà controllato dall’ assessore ingegnere Francesco Tamburello con l’ assistenza dell’ assessore supplente capomastro Pietro Dispenza95. Nella seduta del 5 dicembre 1926 la Giunta comunale ricorda come i lavori di restauro della chiesa di S. Domenico costituiscono ormai un annoso problema che si trascina da tempo e a cui non venne dato seguito nemmeno quando si provvide al restauro della facciata del Palazzo Municipale annesso alla chiesa negli anni 1907-1910. Nel corso dei lavori di rifacimento del pavimento si ebbero degli imprevisti che determinarono un aumento della previsione di spesa: ad esempio lo scarico del bagno del piano superiore del Palazzo municipale si trovava dietro l’ altare di S. Vincenzo, fermandosi sotto il piano di calpestio della chiesa, dove si trovavano le antiche sepolture. Si diede corso quindi alla rimozione degli scarichi e del bagno sopracitato. Il comitato, precedentemente ricordato, dovette rifare, quindi, ex novo la cappella di S. Vincenzo e si dovettero ripulire e ricolmare le sepolture. In questo frangente era stato sistemato il tetto della chiesa ed era stata ripulita interamente la volta della navata. Inoltre, erano in 95 ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, Busta n° 40. 67 corso le rappezzature dell’ intonaco e delle decorazioni dei muri perimetrali e delle diverse cappelle96. In data 13 dicembre 1926 il Consiglio comunale delibera di corrispondere al Comitato il contributo di £ 3000 per il consolidamento statico del prospetto della chiesa di S. Domenico, al rifacimento dell’ intonaco e a provvedere alla decorazione del frontone della chiesa con l’ apposizione della trabeazione seicentesca in pietra viva, proveniente dalla chiesa dello Stellario già demolita. La sorveglianza tecnica e artistica è riconfermata all’ assessore ingegnere Francesco Tamburello e al capomastro Pietro Dispenza97. Dalle delibere municipali è possibile notare come gli interventi che si sono succeduti nel primo quarto del Novecento siano stati parziali e non abbiano avuto un carattere unitario mentre negli anni successivi si è dato corso a semplici interventi di manutenzione ordinaria. La Chiesa dell’ Annunziata Nuova e l’ adiacente Oratorio del Rosario 96 97 ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, Busta n° 40. Ibidem. 68 Capitolo 5 : LA TRASFORMAZIONE DEL CONVENTO IN PALAZZO MUNICIPALE 5.1 Da Convento di S. Domenico a Palazzo Municipale: storia di una fabbrica Il Palazzo Municipale di Collesano, già convento dei Domenicani, sorge nel baricentro del tessuto urbano: prospetta anteriormente sull’ asse viario principale (Corso Vittorio Emanuele) e nella parte retrostante su quello che era l’ Orto di San Domenico. Su tale area alla fine degli anni ‘60 è stata edificata una scuola dell’ infanzia che attualmente non è più utilizzata, versando in pessime condizioni strutturali. A seguito dell’ emanazione della legge sulla soppressione degli ordini religiosi del 7 luglio 1866 anche a Collesano si prospetta l’ opportunità di trovare una sede appropriata per lo svolgimento dell’ attività amministrativa: a tal proposito viene individuato l’ ex Convento dei Domenicani. Il 29 maggio 1869 l’ Amministrazione del Fondo per il culto rappresentata da Gaetano Maria De Blasi, ricevitore del Demanio e delle tasse per gli affari del circondario di Cefalù, cede e consegna al sindaco di Collesano Michele Sarrica il fabbricato dell’ ex Convento di S. Domenico e la chiesa annessa (Documento N° 4). Secondo la descrizione fornita dal De Blasi, al Convento si accedeva da Corso Vittorio Emanuele tramite una gradinata esterna (questa permette tuttora l’ accesso alla Chiesa di S. Domenico) e lo stesso risultava composto da due elevazioni (De Blasi parla di piano terra e piano superiore perché riferiti alla quota di calpestio della chiesa di S. Domenico); da questa descrizione (e dal progetto dell’ ingegnere Giovanni Salemi-Pace di cui si riferirà in seguito) si deduce che 69 l’ attuale piano terra non esistesse o meglio costituisse un terrapieno sul quale si ergevano i due piani soprastanti. L’ attuale primo piano, alla data citata, era composto da dieci stanze, alcune in buono stato e altre inabitabili, disposte lungo un corridoio dal quale si accedeva ad un cortile esterno. Al secondo piano, invece, si riscontravano dodici stanze disposte lungo un altro corridoio: alcune di esse prospettavano su Corso Vittorio Emanuele, altre sull’ orto sopracitato. Al secondo piano si accedeva tramite una scalinata interna. Con questo verbale il Sindaco si obbligava a convertire la destinazione d’ uso del fabbricato ceduto e realizzare al suo interno scuole e/o uffici pubblici; da questa cessione sono esclusi i mobili, gli oggetti d’ arte, libri e simili. L’ elenco di questi beni è visibile nell’ allegato al documento n° 4. L’ Amministrazione si obbliga a tenere aperta al culto la chiesa ed in essa le funzioni liturgiche saranno officiate da religiosi che dovranno vestire l’abito da prete secolare. Il cambiamento della destinazione d’ uso comportava dei consistenti lavori di trasformazione e adattamento che saranno affidati all’ ingegnere-architetto Giovanni Salemi Pace. 70 5.2 L’ ingegnere-architetto Giovanni Salemi Pace L’ architetto Giovanni Salemi Pace, nell’ ambiente professionale palermitano di fine Ottocento, rappresenta senz’ altro una personalità di notevole spessore, soprattutto in ambito accademico e culturale. Nasce a Montemaggiore Belsito il 7 ottobre 1842. Conduce gli studi secondari a Palermo. Nel 1860 fu volontario garibaldino nel 1° Battaglione Bersaglieri Rosolino Pilo, da cui fu congedato il 16 gennaio 1861 con il grado di sergente. Ripresi gli studi, il 9 giugno 1866 ottenne dalla Reale Università di Palermo il titolo di Dottore in Scienze Matematiche ed il Diploma di libera pratica come IngegnereArchitetto. A Palermo, infatti, non era stata ancora istituita la Scuola d’ applicazione per gli Ingegneri ed Architetti ed il curriculum, che avviava al conferimento del titolo conseguito dal Salemi-Pace, comprendeva complessivamente undici cattedre. Pochi mesi dopo la laurea vince, tramite concorso, una borsa di studio per perfezionarsi presso l’ Istituto tecnico superiore di Milano, fondato e diretto dall’ illustre professor Brioschi. Alla fine dell’ anno scolastico 1866-1867 fece ritorno a Palermo dove fu nominato assistente alle varie scuole di disegno e agli esercizi pratici d’ Ingegneria. In gioventù manifesta un notevole interesse verso gli studi storici (medievali e classici) e tale inclinazione è testimoniata dalla 71 pubblicazione di alcuni saggi tra i quali è possibile ricordare Monumenti arabo-normanni nei dintorni di Palermo, edito nel 1866, e Solunto, ossia le rovine di una antica città sul monte Catalfano del 1872. Ben presto, tuttavia, i suoi interessi si volgono alla sfera tecnologica e scientifica tanto da essere tra i soci fondatori del Circolo Matematico di Palermo, costituito nel 1884 su iniziativa di Giovan Battista Guccia; di tale Circolo fanno parte matematici di spicco quali Giuseppe Albeggiani, ex rettore dell’ Università di Palermo, Francesco Caldarera e Alfredo Capelli, ma la maggior parte dei soci fondatori erano ingegneri. Tra questi, si riscontrano Michele Capitò, Giuseppe Damiani Almeyda, Carlo Pintacuda e qualche altro nome meno noto come Rosario Alagna; tra i primi iscritti figurano Ernesto Armò e Francesco Cavallari. Ben presto, tuttavia, molti di essi si distaccano dal circolo stesso: nel 1884 Damiani Almeyda e Salemi Pace, l’ anno seguente Ernesto Armò. La famiglia Basile, invece, mantiene saldi i suoi legami con l’ ambiente radicale, ma internazionale del Circolo. Nella convinzione che gli ingegneri coscienti della propria formazione scientifica siano i veri protagonisti della nuova architettura, si acuisce l’ allontanamento dalla figura professionale dell’ architetto. SalemiPace intende conseguire una approfondita competenza nel settore tecnologico e a tal proposito si specializza con una seconda laurea a Milano nel 1886. In quello stesso anno redige il progetto di acquedotto pubblicato in Disegno e proposte per condurre a Palermo le acque di Favara e Ciaculli. In questo periodo il crescente interesse l’ ambito tecnico-scientifico è confermato da per numerose pubblicazioni in materia, tra le quali una lunga serie di saggi e studi sulla resistenza e le caratteristiche meccaniche dei materiali; particolarmente aggiornate appaiono, inoltre, i suoi interventi sulle strutture metalliche. Nel campo più specifico delle costruzioni, l’ attenzione sempre più pronunciata alle innovazioni tecniche è sintomatica della volontà di 72 potenziare l’ industrializzazione siciliana, in particolare l’ industria pesante già attiva con numerose fonderie ed industrie meccaniche con armatori navali da non trascurare. Oltre i Florio si ricordano: i Barbaro, i Corvaja, i Tagliavia, i Trafiletti. Nel 1890 Salemi-Pace viene incaricato dell’ organizzazione della Galleria del lavoro in occasione dell’ Esposizione Nazionale (18911892), in cui compare una sezione sull’ impiego dei metalli nelle costruzioni. Dalle pubblicazioni dell’ ingegnere, traspare, tra l’ altro, la preoccupazione di rendere credibili dal punto di vista statico le nuove costruzioni metalliche. Scrive il Salemi-Pace: “Nel breve periodo di circa mezzo secolo le costruzioni metalliche hanno avuto uno sviluppo considerevole. Vi sono taluni che in essi hanno tuttavia poca fiducia, o per lo meno ne limitano la vita. I costruttori più fiduciosi si preoccupano del pari grado della stabilità che alle stesse ordinariamente si crede di assegnare…” Una volta istituita la Reale Scuola d’ Applicazione per gli Ingegneri ed Architetti fu chiamato, per incarico, all’ insegnamento della Topografia, che poi nel 1876 fu detta cattedra di Geometria pratica e nel 1914 si mutò in cattedra di Topografia e Geodesia, che tenne fino al 1917. Nella stessa Scuola di Applicazione fu libero insegnante di idraulica e di costruzioni fluviali e dopo il 1872 venne incaricato di insegnare costruzioni civili, stradali ed idrauliche, cattedra che, nel 1880 fu detta Costruzioni civili ed idrauliche e poi, nel 1882, cattedra di Meccanica applicata alle costruzioni. Di quest’ ultima cattedra, nel 1886, fu promosso professore straordinario, ed ordinario nel 1903. Nel 1909 alla morte del professore Michele Capitò, gli fu affidata la Direzione della Scuola di Applicazione portando a compimento l’ opera iniziata e già avviata dal suo predecessore, cioè l’ istituzione della sezione di Ingegneria industriale (cfr. Michele Capitò, Memoriale per la scuola di applicazione, Lo Statuto, Palermo 1900; Per una scuola industriale in Sicilia, Lo Statuto, Palermo 1902; Scopi della sezione 73 industriale da istituirsi, Montaina, Palermo 1905). A tale opera partecipò finanziariamente la Cassa di Risparmio di Palermo. Le vicende culturali di Salemi-Pace appaiono notevolmente influenzate dalla personalità di Giovan Battista Filippo Basile, del quale fu commilitone nell’ esercito garibaldino. Di Basile resta uno dei più profondi interpreti e in occasione della sua morte avvenuta nel 1892 la commemorazione viene affidata allo stesso Salemi Pace (G. B. Filippo Basile. Gli Allievi, Palermo 1892, pp. 5-10). Salemi-Pace gode di grande autorevolezza a Palermo rivestendo la carica di Presidente del Collegio degli Ingegneri ed Architetti tra il 1897-1900 e il 1905-1906. Nel 1917, raggiunti i limiti di età regolamentari, lasciò la cattedra ed a coronamento dell’ impegno profuso nella didattica, il 10 novembre dello stesso anno fu nominato Professore Emerito. Infine, fu confermato dal Ministero, sine die, Direttore della Scuola d’ Applicazione e vi rimase fino al 1926 quando, dopo 17 anni di intenso lavoro all’ età di 84 anni, rassegnò le proprie dimissioni da quella carica. La considerazione del Salemi Pace era tale che venne chiamato a far parte del Consiglio Superiore di Pubblica Istruzione e decorato, al termine della Direzione della Scuola d’ Applicazione, della suprema onorificenza di Cavaliere di G. Croce della Corona d’ Italia. Salemi Pace si spegne a Palermo il 5 febbraio 1930. Incarichi affidati a Salemi Pace: Al prof. Salemi Pace furono affidati svariati e delicati incarichi diversi dall’ insegnamento; così tornato da Milano, fu assunto dal Compartimento di Palermo per l’ applicazione dell’ imposta sul macinato; nel 1873 fece parte del Consiglio Direttivo della Scuola Superiore G. Turrisi Colonna; nel 1885 fu membro della Commissione per la consegna del materiale della rete sicula; dal 1887 al 1890 fu Vice Direttore del Nuovo Catasto; nel 1892, durante l’ Esposizione 74 generale nazionale di Palermo, fu Commissario ordinatore della Sezione industrie estrattive e meccaniche; nel 1902 fu membro della Commissione ordinatrice dell’ Esposizione agricola regionale di Palermo; nel 1905 fu Presidente della Commissione per la valutazione e riconsegna dei materiali di esercizio e di approvvigionamento della rete Adriatica; nel 1909 fu Consigliere del Comune di Palermo. Inoltre fu socio della Società di Scienze Naturali ed Economiche, Socio della Reale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Palermo, della Società di Storia Patria, della Sezione Siciliana dell’ Associazione Elettrica Italiana. Inoltre fu uno dei 27 sottoscrittori del primo Statuto di fondazione (2 marzo 1884) del Circolo Matematico di Palermo, divenuto poi, Società Internazionale di Matematica. Fu anche socio del Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Palermo sin dalla sua fondazione e vi occupò successivamente le cariche di Consigliere, di Direttore della Redazione degli Atti, di Vice Presidente e poi di Presidente, una prima volta dal 1887 al 1900 ed una seconda volta dal 1905 al 1911. Nel luglio 1925 in occasione dell’ ultima assemblea del vecchio Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Palermo, all’ unanimità, viene acclamato Presidente Onorario. Interventi progettuali a Collesano: Con delibera del Consiglio Comunale di Collesano del 28 agosto 1878 viene affidato all’ ingegnere Giovanni Salemi Pace l’ incarico di progettare il nuovo Cimitero da ubicarsi nella parte suburbana dell’ abitato in cui si trovava la “silva” dell’ abolito convento dei Padri Cappuccini. Lo storico locale Giuseppe Tamburello a tal proposito riferisce che il Cimitero “tuttoché ancora sia incompleto, per la severità della costruzione e per i modesti loculi o sepolcreti di famiglie che lo circuiscono presenta quel tono di severità, qual si addice a simili locali”. 75 Il 13 aprile 1880 l’ Amministrazione Comunale approva il progetto dell’ Ingegnere-architetto Giovanni Salemi-Pace per il restauro e l’ adattamento dell’ ex convento di S. Domenico ad uffici municipali, sede della pretura mandamentale, della conciliazione con l’ archivio notarile, della caserma dei carabinieri, dell’ ufficio postale e di quello del telegrafo. Pubblicazioni: Monumenti arabo-normanni dei dintorni di Palermo,Palermo 1866; Solunto, ossia le rovine di un’ antica Città sul monte Catalano, in “Nuovi Annali di Costruzioni, Arti e Industrie”, genn.-febbr. 1872, pp. 1-13 e 9-14; Sull’ equilibrio delle volte simmetriche, in “A.C.I.A.” 1879; Sulla determinazione degli sforzi molecolari ammissibili nelle costruzioni metalliche, in “A.C.I.A.”, febbr. 1880, pp. 7-44; Determinazione sperimentale delle costanti specifiche delle pietre da costruzione, in “A.C.I.A”, 1880, pp. 99-144; e Palermo 1881; Sull’ equilibrio delle volte simmetriche, Palermo 1884; Disegno e proposte per condurre a Palermo le acque di Favara e Ciaculli, Palermo 1886; Relazione sui metodi da prescegliersi per la formazione del catasto geometrico particellare del regno, in “A.C.I.A”, 1886, pp. 25-30; Rapporto del prof. Salemi Pace alla Giunta Municipale di Palermo sulla misura delle acque di Renda, Palermo 1887; G.B.F. in A.G.B.F. Basile, gli allievi, Palermo 1892, pp. 5-10; Di taluni saggi sulla resistenza della pietra alla compressione, in “A.C.I.A”, 1894, f. 2, pp. 13-21; I marmi della Sicilia illustrati, in “A.C.I.A” , suppl. 1896; Sul piano di rottura di un terrapieno, in “A.C.I.A” genn. – apr. 1896, pp. 149-183; Esperienze sui materiali da costruzione, in “A.C.I.A” , 1898, pp. 87-93; 76 Resistenza delle pietre alla compressione sotto l’ influenza di sostanze elastiche tra le superfici compresse, in “A.C.I.A” , 1901, pp. 60-96; Prove alla trazione e alla compressione di malte diverse, in “A.C.I.A” , 1905; Il problema delle acque in Sicilia, Palermo 1918. Fonti: Archivio Storico Comunale di Collesano, Amministrazione, Num. 192, Cat. I, Classe 11, fascicolo 1. Tamburello Giuseppe, Collesano nella storia, nelle cronache, nei diplomi con notizie topografiche, Acireale 1893. Albeggiani Michele Luigi, Commemorazione del Prof. Giovanni SalemiPace in Giornale di Scienze naturali ed Economiche di Palermo, XXXVI, 1931. Confederazione fascista dei professionisti e degli artisti: Dizionario dei siciliani illustri, Palermo 1939 XVIII. Fatta Giovanni – Ruggieri Tricoli M. Clara, Palermo nell’ “Età del Ferro” architettura-tecnica-rinnovamento, Palermo 1983. Salamone Livia, ad vocem Salemi Pace Giovanni in Luigi Sarullo, Dizionario degli Artisti Siciliani. Architettura. Volume I, a cura di Maria Clara Ruggieri Tricoli, Palermo 1993. 77 5.3 Il Progetto di trasformazione del Convento98 Il 30 marzo 1880 Salemi-Pace presenta all’ Amministrazione Comunale il progetto di trasformazione dell’ ex Convento di S. Domenico. Il successivo 13 aprile l’ Amministrazione Comunale approva il progetto che prevede il restauro e l’ adattamento dell’ ex Convento ad uffici municipali, sede della Pretura mandamentale, della conciliazione con l’ archivio notarile, della caserma dei carabinieri, dell’ ufficio postale e di quello del telegrafo99. In particolare si prevede di collocare: - A piano terra l’ Ufficio Postale e l’ Ufficio Telegrafico. - A primo piano la stazione dei Reali Carabinieri e la Delegazione di pubblica Sicurezza, tenendo presente per la Caserma dei Carabinieri le prescrizioni dell’ art. 447 del Regolamento in materia, secondo le quali essa doveva contenere, in ragione della forza fissata per la Stazione, i seguenti corpi: - Camera con attiguo Ufficio per il comandante la Stazione - Camera ogni due carabinieri ed una camera di riserva per gli uomini di passaggio - Cucina - Camera di disciplina e Camera di detenzione - Cortile con pozzo o fontana - Latrina - Scuderia - Selleria - Locale per provvista di foraggi sufficienti almeno per un mese ASCC, Amministrazione, Numero 192, Categoria I, Classe 11, fascicolo 1; ove non diversamente indicato, per tutto ciò che è inerente il progetto e i lavori di trasformazione del convento si faccia riferimento alla stessa indicazione archivistica. 99 G. Tamburello, Collesano nella storia cit, Acireale 1893, p. 98. 98 78 - Luogo di deposito per il concime La Delegazione di pubblica Sicurezza doveva contenere non solo l’Ufficio del Delegato ma possibilmente pure il suo alloggio. - A secondo piano la Pretura, l’abitazione del Pretore e soprattutto la Casa Comunale costituita dai seguenti corpi: - Sala per gli uscieri - Sala di aspetto - Due stanze per gli applicati - Camera del Segretario - Archivio - Gabinetto del Sindaco - Sala per le riunioni del Consiglio - Due stanze con camerino per alloggio di persone ufficiali - Camerino di toletta - Bagno Salemi Pace sottolinea che a primo piano la disposizione dei corpi di fabbrica è tale da poter aggiungere, secondo i casi, altri corpi alla caserma dei Carabinieri, sottraendoli alla Delegazione già largamente dotata degli spazi necessari all’ espletamento della funzione. Rispetto alle prescrizione del suddetto Regolamento, Salemi Pace aggiunge nella Caserma una sala per la mensa dei Carabinieri di Stazione. L’ ingegnere specifica che, tenendo presente questa destinazione, la sala di disciplina si potrebbe ricavare da una porzione della Scuderia o dietro la Selleria, mentre quella di detenzione potrebbe essere allocata nel sottoscala, nella parte del cortile riservato ai soli carabinieri. I servizi, sia per gli impiegati comunali che per quelli della Pretura, si sarebbero potuti ricavare nel sottoscala. 79 Dal preventivo di spesa annesso al progetto si prevedeva la seguente ripartizione: Per il piano terreno £. 8.116,79 Per il corpo della scala £. 3.991,55 Per il primo piano £. 12.535,36 Per il secondo piano £. 21.115,72 Totale parziale £. 45.759,42 Per il prospetto £. 5.000,00 Per imprevisti £. 4.240,58 Totale £. 55.000,00 A questa spesa era possibile provvedere poco alla volta in anni diversi. Salemi-Pace suggeriva che la sistemazione completa del primo piano a Caserma dei Carabinieri e Delegazione di Pubblica Sicurezza si sarebbe potuta rimandare in un secondo momento così come la realizzazione del prospetto. La somma strettamente necessaria per la realizzazione dell’ Ufficio Postale, dell’ Ufficio Telegrafico, della Pretura e della Casa Comunale si sarebbe potuta ridurre a £. 37464,54 che si ottiene togliendo dalla somma totale di £. 55000 la spesa dei lavori per la sistemazione del primo piano e la decorazione del prospetto di £. 17535,36. L’ Amministrazione si obbliga a pagare £. 30000 in corso ed in proporzione dell’ avanzamento dell’ opera e la quota rimanente in tre rate annuali con l’ interesse del 5% a contare dalla data della relazione finale delle opere compiute. 80 Alla relazione di progetto è allegato anche il computo metrico estimativo riportato nel documento n° 5 da cui si evincono gli interventi eseguiti per ciascuna categoria di lavoro. In sintesi il progetto prevedeva: La realizzazione dei vani del pianterreno ricavati interamente nel preesistente terrapieno. Piano Terra: - Scavo di controfossi per la fondazione dei muri di prospetto, dei muri interni paralleli e perpendicolari al prospetto per una profondità di 1,00 metro. - Scavo di terra per la realizzazione del piano dell’ androne e delle stanze attigue. - Scavo di terra per la realizzazione della fondazione della scala interna. - Muratura realizzata in pietrame calcareo compatto e malta idraulica e/o comune eseguita ad opera d’ incastro. - Piedritti, archi e piattabande delle finestre da realizzare in muratura di mattoni. - Nel vano dell’ androne mattonato con lastre di calcare compatto e sottostrato di calcestruzzo di 10 cm. - Nei vani del piano terra mattonato con mattoni quadrelli stagnati con sottostrato di malta idraulica e ghiaia dello spessore di 8 cm. - Volta a botte nell’ androne realizzata con centine di legno, stuoiato di canne schiacciate ed intonaco a tre strati. - Soffitti piani con fasce di tavole in coltello, assito di canne schiacciate ed intonaco a tre strati nei vani del pianterreno. - Nel vano esterno all’ ingresso principale imposta di castagno. - Infissi di castagno con oscuri di tavola veneta nelle quattro finestre esterne 81 - Imposta a due mezzini di tavola veneta con riquadri ambo i lati nei tre vani di comunicazione tra i tre corpi in prospetto. - Imposta ad unica mezzina con riquadri di mezze costane in un solo lato negli altri vani di comunicazione. Corpo della scala: - fondazione e muratura in pietrame calcareo compatto e malta idraulica. - Volta di mattoni a tre strati per le due ultime fughe di scala. - Pedate e alzate della scala in lastre di calcare. - Volta con centine di pioppo, canne schiacciate ed intonaco - Copertura con travi , tavolato e tegole. Primo piano: - Tompagnamento e costruzione di muri in pietrame calcareo compatto. - Piedritti, archi di finestre e risarcimenti vari in muratura di mattoni ad opera d’ incastro. - Mattonati con mattoni stagnati e sottostrato in cementi vagliati in: - sala d’ ingresso - sala per la mensa dei carabinieri di stazione - sale destinate alla delegazione - Lastricati con lastre quadrate di calcareo compatto con sottostrato di calcestruzzo spessore 10 cm: - scuderia dei carabinieri e corpi annessi - Volte in centine di legno tessuto di canne schiacciate e tre strati di intonaco: - sala per la mensa dei carabinieri 82 - sale di alloggio per i carabinieri - sale destinate alla delegazione - Imposte esterne di castagno lavorate ambo i lati ed oscuri di tavola veneta per le tredici finestre del prospetto principale. - Imposte interne di tavola veneta ornate a cassettoni ambo i lati nei vani di comunicazione Secondo piano: - Demolizione di muri, tramezzi e vecchie volte. - Rimozione dei tetti composti di travi, tessuto di canne e tegole. - Demolizione della scala esistente. - Murature e tompagnamento in pietrame calcareo compatto. - Sopraelevazione media dei muri perimetrali di 55 cm. - Piedritti, archi, piattabande delle finestre in muratura di mattoni. - Ricostruzione di solai composti di travi di castagno e tavolato : - archivio della pretura - Gabinetto del pretore - Sala delle udienze del pretore - Uffici della pretura - Cucina dell’ abitazione del Pretore - Sala da pranzo nell’ abitazione del Pretore - Stanza a dormire e gabinetto annesso - Sala del Consiglio comunale - Corpo dell’ antica scala - Gabinetto sotto la torre - Terrazzo soprastante. - Ricostruzione dei tetti composti di travi, listonato, intonaco idraulico e tegole sul fabbricato principale e sui fabbricati posteriori, sporgenti nel giardino. 83 - Volte e soffitti con centine di legno, tessuto di canne schiacciate e tre strati di intonaco: - Archivio della Pretura - Gabinetto del Pretore - Sala delle udienze del Pretore - Uffici della pretura - Sala da pranzo del Pretore - Stanza da letto - Gabinetto laterale - Archivio Municipale - Ufficio municipale - Gabinetto del Sindaco - Sala del Consiglio - Sale laterali - Mattonato con mattoni stagnati e sottostrato cementizio: - Pretura - Abitazione del Pretore - Corridoio - Uffici Comunali Facciata: - Intonaco della facciata da eseguirsi a grandi bugne sporgenti la superficie. - Modanature della cornice. - Merli delle torri. - Bugne di calcare compatto attorno il vano d’ entrata e zoccolo in lastre lavorate di calcare compatto. Il 4 ottobre 1881 Salemi-Pace consegna i lavori al capomastro Stefano Bontà di Palermo prescrivendogli al contempo le disposizioni 84 di cantiere: lo stesso Bontà è accompagnato dal maestro Vincenzo Di Cristofaro che, in qualità di capo operaio, attenderà ai lavori prescritti. Salemi Pace consegna a Bontà gli elaborati grafici necessari all’ esecuzione del cantiere, sottoscritti dallo stesso ingegnere e dal Sindaco Giacinto Palmeri; gli stessi disegni, riconosciuti conformi a quelli generali di progetto, saranno sottoscritti anche da Bontà. Nella fattispecie si tratta di: 1° Pianta del piano terreno in scala 1:100 2° Pianta del primo piano in scala 1:100 3° Pianta del secondo piano in scala 1:100 4° Schema del prospetto in scala 1:100 L’ ingegnere-architetto prescrive che i lavori siano iniziati contemporaneamente in tre punti ovvero: - nei punti estremi del prospetto, iniziando dal riparare le fondazioni che sfiorano quasi il livello del marciapiede. - nella parte posteriore dell’ ala destra del fabbricato, adiacente il giardino, in modo da risarcire o rifare in parte i muri perimetrali ed interni; si prevedeva, inoltre, di iniziare i lavori rifacendo e ampliando le rispettive fondazioni. Nelle opere di cui sopra, le murature saranno eseguite: - in fondazione, in pietrame calcareo compatto e malta di calce, pozzolana e sabbia; - fuori terra, in pietrame calcareo compatto e malta di calce e sabbia, mentre stipiti, piedritti ed archi in mattoni di buona qualità con malta idraulica o comune secondo le circostanze. In questa circostanza, Salemi-Pace presenta l’ ingegnere Giuseppe Ottaviano, incaricato di assistere i lavori per l’ esecuzione delle opere 85 a perfetta regola d’ arte, secondo le prescrizioni speciali impartite nella condotta dei lavori e di effettuare altresì le misure e le valutazioni corrispondenti. Contestualmente Stefano Bontà rilascia ricevuta delle quattro tavole di disegno relative al progetto. Il verbale è sottoscritto da Vincenzo Di Cristoforo, Stefano Bontà, dall’ ingegnere Giuseppe Ottaviano e dall’ ingegnere Giovanni Salemi Pace. Il 5 novembre 1881, in presenza del notaio Francesco Benigno De Giorgio, viene stipulato il contratto d’ appalto tra l’ Amministrazione Comunale, rappresentata dai componenti della Giunta e dal sindaco Giacinto Palmeri e la ditta aggiudicataria dell’ appalto ovvero Stefano Bontà di Palermo (Documento n° 6). Questi si impegnava a trasformare il fabbricato del soppresso Convento di S. Domenico a Palazzo Municipale ed altri pubblici uffici per la somma definitiva di £. 46468,75. A tal proposito è possibile ricordare come l’ asta del primo incanto tenutasi il 20 aprile 1881 era stata aggiudicata in prima istanza al capomastro Felice Appiani per la somma di £. 48974. Il 4 maggio dello stesso anno Stefano Bontà fa pervenire alla Giunta Comunale un’ offerta di ribasso pari al ventesimo del prezzo offerto precedentemente per una somma corrispondente a £. 46525,30. Il 30 maggio si tiene la seconda e definitiva asta a partire dalla somma suddetta. Per aggiudicarsi i lavori il capomastro Stefano Bontà dovrà offrire un’ ulteriore riduzione pari a dieci centesimi ogni cento lire oltre al ventesimo per raggiungere la cifra precedentemente esposta di £. 46468,75. Al contratto d’ appalto erano allegati i seguenti documenti (gli elaborati grafici non sono più reperibili): 1) Pianta geometrica del pianterreno 2) Pianta del secondo piano 86 3) Pianta del prospetto 4) Copia conforme a firma del Segretario Comunale Enrico Di Lorenzo della stima preventiva dei lavori 5) Copia della relazione 6) Copia della tariffa generale dei prezzi 7) Copia del Capitolato d’ oneri 8) Copia dei verbali di aggiudicazione definitiva L’ appaltatore Stefano Bontà si impegna ad eseguire le opere di trasformazione dell’ ex Convento di S. Domenico e sue dipendenze a Palazzo Municipale e pubblici uffici di Pretura, Delegazione di Pubblica Sicurezza, Caserma dei Carabinieri e le opere necessarie a condurre il lavoro a regola d’ arte nel periodo di diciotto mesi dalla consegna dei lavori. Il 5 febbraio 1882 l’ Amministrazione Comunale e l’ appaltatore Stefano Bontà, con l’ intervento del Direttore dei Lavori ingegnere Salemi Pace, si trovano nella condizione di dover stipulare una transazione sull’ uso dei mattoni pantofoloni utilizzati nella muratura. I termini della transazione erano stati approvati dal Consiglio Comunale in data 29 gennaio. L’ articolo 32 della tariffa generale dei prezzi precedentemente stipulata, prevedeva che la muratura in mattoni pantofoloni delle migliori fornaci del paese, come quelle di Bovitello, posta in opera con malta di calce, sabbia e pozzolana fosse pagata 108 lire il metro cubo. La stipula della transazione pone nuove condizioni : 1° La muratura in mattoni e malta semidraulica, eseguita con mattoni di contrada Bovitello sino al 31 gennaio 1882 per un totale di 38 metri cubi, fosse pagata computandosi la spesa del trasporto dalla contrada a piè d’ opera in lire 12 a metro cubo, precedentemente non contemplata nell’ analisi dei prezzi. 87 2° Per evitare la sospensione dei lavori, si prevede di autorizzare l’ impresa a ritirare durante la stagione invernale almeno 10000 mattoni, provenienti da qualsiasi sito purchè di buona qualità, compensando alla stessa impresa lire 300 per le spese di trasporto a piè d’ opera del materiale suddetto. 3° Per la rimanente muratura da eseguirsi in mattoni resta fermo il prezzo dell’ articolo 32, per cui l’ impresa si impegna a far venire a Collesano abili fornaciari in modo da eseguire in loco il materiale necessario all’ esecuzione della muratura ovvero a servirsi a suo rischio di mattoni provenienti da qualsiasi altro sito, purchè siano accettati dalla direzione dei lavori. L’ 8 aprile 1882 Salemi-Pace presenta una perizia suppletiva relativa ai lavori concernenti il Palazzo Municipale riguardante la sistemazione del terrapieno e della scalinata di accesso alla chiesa di S. Domenico nonché la decorazione del prospetto della chiesa stessa per un importo totale dei lavori pari a £. 10800 (documento n° 7). I lavori previsti erano i seguenti: - Demolizione del muro di sostegno e delle scalinate allora esistenti. - Rimozione e trasporto in deposito dei conci di calcare compatto dei gradini e del basolato. - Sottomurazione ad opera d’ incastro sotto la torre presso la chiesa di S. Domenico e nella zona del muro di prospetto del Palazzo Municipale sostenuta dal terrapieno suddetto. - Costruzione del nuovo muro di sostegno lungo il fronte della chiesa e realizzazione del paramento murario con bugnato rustico in conci di calcare compatto. - Costruzione del nuovo muro a valle della nuova scalinata e realizzazione del paramento murario come sopra. 88 - Costruzione del muro a monte della scalinata suddetta. - Costruzione del muro posto a sinistra del “fosso canale” della via laterale. - Coronamento dei muri sopracitati con conci di calcare compatto martellinati. - Realizzazione di 15 gradini in calcare compatto. - Realizzazione del lastricato nel tavoliere dinanzi la chiesa di S. Domenico. Scalinata di accesso alla chiesa e muro di sostegno bugnato in una cartolina degli anni ’60 del Novecento La decorazione del prospetto della chiesa prevedeva: - Realizzazione della muratura ad incastro dei piedritti della nuova porta e del semicircolo per la finestra soprastante. - Realizzazione della cornice della chiesa e della piccola torre - Decorazione della porta principale e delle finestre, compresa la realizzazione di tre colonnette di marmo. 89 Progetto del prospetto della Chiesa dell’ Annunziata Nuova dell’ ingegnere Giovanni Salemi-Pace. Elaborato grafico alla Scala 1: 50 90 Particolari del progetto del prospetto della Chiesa dell’ Annunziata Nuova dell’ ingegnere Giovanni Salemi-Pace 91 Il 5 gennaio 1884 Salemi- Pace presenta la relazione finale della misura dei lavori eseguiti dalla ditta Stefano Bontà relativi all’ androne, alla scala e agli uffici del secondo piano del Palazzo Municipale. Il 3 gennaio1885 lo stesso presenta il dettaglio estimativo delle opere eseguite dal capomastro collesanese Felice Appiani relative al completamento della Stazione dei Carabinieri posta al primo piano del Palazzo Municipale. Il 29 marzo 1885 viene redatta una scrittura privata tra la Giunta municipale di Collesano e il capomastro collesanese Antonino Dolce: questi fornisce la stima dettagliata delle opere eseguite relative al completamento della Sala di Musica e dell’ abitazione del Direttore posti nell’ ala sinistra del primo piano del Palazzo Municipale. L’ importo totale dei lavori ammontava a £. 2082,24. I lavori eseguiti comprendevano: - Scrostamento di vecchio intonaco delle pareti di varie stanze - Ripieni di pietrame con malta ordinaria per regolarizzare la superficie dei muri - Tamponamenti con pantofole in piano e malta di gesso - Murature di laterizi - Realizzazione di volte con centine di tavola di pioppo a due foglie unite con chiodi da intavolare poste a distanza di cm 50 le une dalle altre, listonate a graticola con legno di abete, tessuto di canne schiacciate ed anello di ferro, compreso l’ incastro dei peduzzi delle centine realizzato nella muratura di pietrame (due stanze di musica) - Rinzaffato, arriccio e traversato della volta e tonachino a mezzo stucco - Mattonato del pavimento con mattoni delle fornaci di Collesano 92 5.4 La pavimentazione dei locali del Palazzo Municipale Nel 1769 il convento domenicano di Collesano si arricchisce della seconda elevazione e nella circostanza lo stesso edificio, o parte di esso, viene pavimentato con mattoni che secondo la storiografia locale escono, sotto la direzione di maestranze napoletane, dalle fornaci del ceramista collesanese Antonino Barbera.100 Oltre un secolo dopo, la trasformazione dell’ex convento domenicano in Palazzo Municipale e uffici pubblici comporta una nuova pavimentazione. Sulla pavimentazione con mattoni stagnati dei locali del nuovo Palazzo Municipale la documentazione reperita presso l’archivio storico comunale ha restituito un documento preparatorio che, pur mancando dei nomi dei fornaciai impegnati, consente di seguire l’iter predisposto dall’Amministrazione comunale e di acquisire notizie rilevanti sulla pavimentazione che verrà poi eseguita. Si tratta di una bozza di scrittura privata, datata ottobre 1882 senza l’indicazione del giorno, da stipularsi tra il Comune, nella persona dell’assessore anziano Stefano Palmeri, e i fornaciai ancora da individuare. Viene premesso che, dovendosi ammattonare tutte le stanze destinate ad uffici, l’Amministrazione comunale era venuta nella determinazione di promuovere nel paese una fabbrica di mattoni smaltati al fine di far rinascere un’attività che un tempo aveva conseguito ottimi risultati ed in atto era quasi del tutto scomparsa.101 Ciò oltre al consistente risparmio relativo alle spese di trasporto per i lavori da eseguirsi nel Palazzo Municipale, in confronto Antonino Di Bernardo, (A. D. B.), Affonda le radici nei secoli l’arte della ceramica a Collesano in Sicilia del popolo, 8 luglio 1954, ripubblicato in R. Termotto- A. Asciutto, Collesano per gli emigrati, Castelbuono 1991, pp. 221-223. 101 In effetti mattoni stagnati e dipinti erano usciti dalle fornaci collesanesi almeno a partire dal 1648 (chiesa di S. Filippo di Sclafani) per arrivare fino ai primi decenni dell’Ottocento con forniture non solo per chiese e abitazioni nobiliari di Collesano, ma anche per centri madoniti e del comprensorio, come Polizzi, Petralia Sottana, Gangi, Montemaggiore, Cefalù etc. Cfr. Rosario Termotto, Per una storia della ceramica di Collesano in Mediterranea ricerche storiche, 5, 2005, pp. 441-474. 100 93 all’opzione del ritiro dei mattoni da Palermo o da altro centro. Pertanto era stato fatto venire a Collesano un maestro disegnatore e fornaciaio e, grazie alla collaborazione con un ceramista locale col quale si era costituita una società, si erano fatti molteplici tentativi per produrre mattoni stagnati, ottenendo ottimi campioni di buona condizione e qualità. Si propone, quindi, ai maestri ceramisti una larga fabbricazione di mattoni stagnati con promessa di acquisto da parte del Comune di non poca quantità, tale da assicurare il lavoro per tutto il prossimo inverno. Si prospetta anche la possibilità di altre facilitazioni. Nei particolari l’articolato della scrittura privata prevedeva: 1. La fabbricazione a Collesano e la consegna di 14.000 mattoni stagnati a vari disegni, al prezzo di lire 12 al centinaio, con pagamento in corso d’ opera dietro certificazione del direttore dei lavori attestante la buona qualità. 2. 12 I mattoni saranno divisi, quanto al disegno dello smalto, in distinte partite, delle quali 10 di mille cadauna. L’ Amministrazione Comunale si riserva, tramite il direttore dei lavori, di intervenire su altri particolareggiati dettagli al fine di conseguire la corrispondenza degli ambienti del palazzo comunale col numero di mattoni di uno stesso disegno. 3. Per la consegna, i fornaciai si obbligano a cominciare dal 1 marzo 1883 e continuare per 5 mesi al ritmo di 2800 mattoni al mese. 4. Tutti i mattoni devono essere fabbricati esclusivamente con argilla della contrada Bovitello di Collesano, ed essere ben squadrati e ben cotti. Lo stagno dovrà essere ben fuso, senza bolle. 5. Il sindaco si riserva il diritto di scegliere il disegno dello smalto ed anche di indicarlo particolarmente per le due partite 94 di 2000 unità. Alcune partite di mattoni dovranno essere smaltate ad unico colore, senza disegno. 6. A titolo di incoraggiamento e come anticipo il Comune eroga £. 500 che saranno scontate per metà a giugno e per metà a luglio 1883. 7. Il comune si riserva, dopo la consegna dei 14000 mattoni, la facoltà di poterne ordinare altri 10000 allo stesso prezzo e alle stesse condizioni, erogando un altro anticipo di £. 500. La storiografia locale conferma che nel 1883 la pavimentazione del palazzo comunale di fatto avvenne con “mattoni stagnati fabbricati in “loco””; ma quella fu l’ultima produzione, giacché in seguito “l’industria scomparve e scomparvero anche le forme e gli stampi per la riproduzione dei disegni.” Si può sottolineare che i mattoni erano ancora in sito fino al 1951 quando uno studioso locale scrive che “restano i pavimenti del Palazzo Municipale…che per 70 anni hanno resistito all’attrito di migliaia di persone con tutte le qualità di calzature più o meno ferrate”.102 Antonino Di Bernardo (A. D. B.), Carica di secoli a Collesano illanguidisce l’industria dei figuli in Sicilia del popolo, 19 luglio 1951, ripubblicato in R. Termotto- A. Asciutto (a cura di), Collesano per gli emigrati, cit., pp. 218-220. 102 95 CAPITOLO 6: Gli interventi del primo Novecento: il progetto dell’ ing. Luigi Castiglia 6.1 L’ ingegnere Luigi Castiglia Nasce a Palermo da Andrea e Rosaria Avellone il 13 settembre 1843. Nel 1880 pubblica le Considerazioni generali sulla canalizzazione sotterranea della città di Palermo e progetto per condurre le acque immonde fuori il bacino della Cala. Nella seconda metà dell’ 800, infatti, la situazione igienico-sanitaria all' interno del centro storico di Palermo si configurava in tutta la sua gravità: la maggior parte della popolazione abitava i cosiddetti "catoi", una sorta di monolocali con cortile, solitamente privi di pavimentazione. La proposta di un risanamento igienico che interessasse la città nel suo complesso fu rilanciata nel 1881 dall’ amministrazione Turrisi, ma solo la preoccupazione che l’ epidemia di colera presente a Napoli nel 1884 si propagasse anche a Palermo convinse gli amministratori e l’opinione pubblica della indifferibilità della soluzione del problema igienico; si affermava, dunque, la necessità di sventrare i quartieri più densamente popolati, demolire edifici nei vecchi rioni e sistemarli igienicamente; provvedere alla costruzione di nuovi rioni, coordinando il piano di risanamento e quello di ampliamento, realizzare un razionale sistema di fognatura generale della città e, infine, assicurare alla popolazione acqua potabile in quantità sufficiente. In qualità di ingegnere comunale, il 25 novembre 1884 Luigi Castiglia è incaricato della redazione del progetto di risanamento della città di Palermo che viene presentato nel giro di un mese. Poco dopo, nel 1885, riceve l’ incarico del progetto generale della fognatura, anche a seguito delle pressioni esercitate dal Collegio degli Ingegneri ed Architetti ove il progetto di Castiglia, in opposizione a quello di Tommaso Di Chiara e Giuseppe Ricca, è particolarmente sostenuto 96 da Francesco Enrico De Simone: questi, nel 1880, aveva presentato al Collegio il rapporto Sulla fognatura della città di Palermo dove si dichiara favorevole alla “dispersione” dei liquami proposta dal Castiglia contro “ l’ utilizzazione ” sostenuta dal Di Chiara. Le condizioni igienico-sanitarie della città erano talmente precarie che, nel 1885, l'amministrazione comunale bandisce un concorso per un nuovo piano regolatore che riuscisse a bonificare il centro storico. I due piani in concorso erano quelli dell'ingegnere Luigi Castiglia, che risultò perdente, e quello dell'ingegnere Felice Giarrusso che venne scelto. Così la città adotta ufficialmente il Piano regolatore di risanamento, che in parte si ricollegava al progetto Grandioso del 1860. A tal proposito è opportuno ricordare come in seguito agli attacchi al sistema bastionato da parte dei borboni e lo stato di degrado di molte abitazioni del centro, il pretore Giulio Benso, duca della Verdura, promosse un concorso per la presentazione di un progetto di pianificazione della città. Il 25 settembre 1860 un gruppo di architetti e ingegneri, tra i quali figura Giovan Battista Filippo Basile, presentò due progetti: uno "Economico", uno "Grandioso" ed alcuni elementi di quello "Medio", poiché non si conoscevano le somme a disposizione del comune. Il primo, "Economico", prevedeva soprattutto miglioramenti alla maglia viaria del centro e la creazione di nuove strade nella zona nord, la lottizzazione dei terreni presso la via Libertà, l'edificazione di bagni pubblici e di due teatri. Quello "Grandioso" si concentrava soprattutto sulla viabilità interna prevedendo un reticolato composto da altri quattro assi perpendicolari fra loro che, intersecando le vie Maqueda e Cassaro, dividevano la città in sedici quadranti rettangolari. Queste strade, dalla larghezza prevista intorno ai 20 metri, avrebbero avuto la funzione di aprire la stretta e disordinata maglia viaria antica permettendo il passaggio dell'aria e della luce, rendendo più salubri i vari rioni. Per dislocare la popolazione dalle zone interessate dai lavori, si vennero a creare 97 nuovi quartieri posti soprattutto in riva al mare, come nei pressi delle borgate di Romagnolo nella zona sud e dell'Acquasanta alle falde del monte Pellegrino. Delle quattro grandi strade previste vennero realizzate soltanto l'attuale via Mongitore, che taglia il quartiere dell'Albergheria parallelamente al Cassaro, e la via Roma. Alla fine nessuno di questi progetti venne realizzato, ma le proposte presentate influenzeranno considerevolmente la successiva pianificazione cittadina. In seguito, infatti, un primo tentativo di realizzare un piano regolatore per la città venne redatto nel 1866 da parte dell'Ufficio tecnico comunale: si trattava del Piano generale di bonifica e ampliamento che riprende alcuni elementi del piano precedente. Il nuovo progetto del 1866 favoriva uno sviluppo disomogeneo proponendo la lottizzazione e i piani ad opera di privati. È anche grazie alla grande crescita demografica che nella zona Ovest della città vengono identificati due nuovi mandamenti in prossimità delle antiche residenze normanne: Cuba e Zisa. La città viene anche dotata di importanti infrastrutture come il prolungamento del Molo Nord per difendersi dalle frequenti inondazioni e la prima circonvallazione ferroviaria che congiunge la zona portuale con la stazione centrale. Nel corso del 1885, oltre alla realizzazione di opere di sistemazione stradale e sottostradale, si procedette alla demolizione di tratti di bastioni, mura di cortina che chiudevano il vecchio centro e all’ adduzione dell’ acqua Tortorici in città. Nel 1886 l’ amministrazione Verdura chiese un mutuo di 30 milioni di lire, che fu accordato con legge del luglio 1887: doveva servire ad estinguere i mutui preesistenti e a finanziare il piano regolatore di risanamento e ampliamento redatto nel 1886 dall’ ingegnere Giarrusso (Lire 19.600.000) e il piano di fognatura generale redatto dall’ ingegnere Castiglia (Lire 6.000.000). La nuova epidemia di colera del 1887 convinse però l’ amministrazione dell’ opportunità di eseguire lavori parziali, in attesa che si definissero nuovi progetti di risanamento e di fognatura. Furono 98 perciò prelevate per l’ esecuzione alcune parti del vecchio piano Giarrusso per la bonifica dei rioni Conceria, Giliberti, Pozzo e Pozzillo, Porticatello, Kalsa, Albergheria, e si diede inizio alle espropriazioni saltuarie di immobili da demolire. Nel 1892 Luigi Castiglia pubblica un interessante saggio “Sul risanamento delle acque potabili di Palermo”, problema del quale si era già occupato operativamente compilando, poco prima del 1884, il progetto della diga attraverso la valle del Paradiso e monte di Boccadifalco (Carlo Pintacuda, Sul modo di accrescere le acque potabili di Palermo, Palermo 1884, p. 4). Nel 1899 pubblica un saggio “Sulla trasformazione dei pavimenti stradali”, ove propone di sostituire la pavimentazione in terra battuta delle strade esterne della città di Palermo. Secondo quanto riporta Silvia Pennisi in Le scuole a Palermo, in qualità di ingegnere comunale si occupa anche di edilizia scolastica: “L’edificio scolastico Montevergini fu costruito in più fasi, i primi «due bracci» nel 1884 e nel 1885, l’ultimo braccio nel 1887, su progetto dell’ing. comunale Luigi Castiglia e impresa esecutrice Luigi Maniscalco Mustica. Su progetto dello stesso ing. Castiglia, ma con impresa esecutrice Lo Bianco, venne realizzata nel 1901 la scuola di piazza XIII Vittime, oggi non più esistente, che contava 38 aule della capacità complessiva di 2208 allievi”. Nel 1902, inoltre, Luigi Castiglia è il progettista della cappella Tagliavia al cimitero dei Rotoli (“Atti del Collegio degli Ingegneri ed Architetti di Palermo Liberi Esercenti” [A.C.I.A.L.E.], gennaio-giugno 1902). Gli viene attribuita (Salvo Di Matteo, Iconografia storica della provincia di Palermo, Palermo 1992, p. 382) una Pianta della città di Palermo allegata alle guide di Rosario Salvo di Pietraganzilli (1886) e di Enrico Onufrio (1886). Nel 1906 Luigi Castiglia, succedendo all’ ingegnere Giarrusso, viene nominato Capo dell’ Ufficio dei Lavori pubblici del Comune di 99 Palermo occupandosi della realizzazione dei nuovi tronchi della via Roma, in fase di realizzazione. Interventi a Collesano: Nel 1904 l’ ingegnere Luigi Castiglia è incaricato dal Comune di Collesano, in qualità di consulente, di effettuare dei saggi per verificare le cause della scarsità di acqua potabile nel centro abitato (Delibera Giunta Municipale del 28 giugno 1904). Il 29 ottobre 1906 l’ ingegnere Castiglia consegna al Comune di Collesano il progetto per drenaggio, isolamento del prospetto posteriore e restauro della facciata principale del Palazzo Municipale. La direzione di tali lavori, tuttavia, sarà affidata all’ ingegnere Eliodoro Drago. Pubblicazioni: Considerazioni generali sulla canalizzazione sotterranea della città di Palermo e progetto per condurre le acque immonde fuori il bacino della Cala, Palermo 1880; Progetto di bonifica per la città di Palermo, in Relazione sul bonificamento della città presentata alla giunta comunale dagli assessori Paternostro e Scichilone, Palermo 1885; Sul risanamento delle acque potabili di Palermo, Palermo 1892; Sulla trasformazione dei pavimenti stradali, Palermo 1899; Fonti: Archivio Storico Comunale di Collesano, Amministrazione, Num. 193, Cat. I, Classe 11, fascicolo 1. 100 Cancila Orazio, Palermo, Bari 1988. Salamone Livia, ad vocem Castiglia Luigi in Luigi Sarullo, Dizionario degli Artisti Siciliani. Architettura. Volume I, a cura di Maria Clara Ruggieri Tricoli, Palermo 1993. Pennisi Silvia, Le scuole a Palermo. Tipologie e tecnologie delle realizzazioni dal 1860 al 1940, Roma 2001. Chirco Adriana – Di Liberto Mario, Via Roma. La “Strada Nuova” del Novecento, Palermo 2008. 101 6.2 Il progetto dell’ ing. Luigi Castiglia: isolamento, drenaggio e decorazione del prospetto del Palazzo Municipale103 Agli inizi del ‘900 i lavori previsti dalla relazione di progetto dell’ ingegnere Giovanni Salemi- Pace non furono completati del tutto anche a causa dei gravi sacrifici economici cui dovette far fronte l’ Amministrazione Comunale sino ad allora. Nella fattispecie non erano stati completati il prospetto anteriore e posteriore e inoltre era stato lasciato addossato a quest’ ultimo una parte del terrapieno che costituisce giardino annesso al Palazzo. Per ovviare a tali problemi l’ Amministrazione Comunale incarica l’ ingegnere Luigi Castiglia di redigere un progetto per l’ isolamento e restauro del Palazzo Comunale che sarà presentato il 29 ottobre 1906 oltre all’ estimativo della spesa per rivestimento e decorazione dei prospetti del Palazzo Comunale per £. 6740,00 da concludersi entro sei mesi dalla redazione del verbale di consegna dei lavori. Nella relazione di progetto l’ ingegnere Castiglia sottolinea principalmente due aspetti: 1° Le murature di pietrame dei prospetti, lasciate sprovviste di ogni rivestimento o intonaco, si sono deteriorate per effetto delle gelate e per l’ assorbimento dell’ umidità. 2° Il terrapieno, addossato al prospetto posteriore, che si insinua e sostiene le prime due rampe di scale dello scalone principale ha notevolmente danneggiato le murature, tanto del prospetto posteriore che di quelle costituenti il corpo della scala e corpi limitrofi; specialmente si rileva il danno arrecato alle prime due rampe di scala dove le lastre dei gradini sono tutte rotte e spostate in conseguenza del rigonfiamento prodotto dall’ umidità del sottostante terrapieno. ASCC, Amministrazione, Numero 193, Categoria I, Classe 11, fascicolo 1; si rinvia alla stessa indicazione archivistica per tutti gli aspetti progettuali ed esecutivi elaborati dall’ ing. Luigi Castiglia. 103 102 Volendo porre riparo a questa situazione, l’ ingegnere Luigi Castiglia propone di provvedere tanto a rivestire d’ intonaco i due prospetti dell’ edificio, quanto ad isolare l’ edificio stesso dal terrapieno del giardino retrostante e di quello sottostante la scala. Il progetto di decorazione del prospetto, dell’ ammontare di lire 6740, prevede: a) Il rivestimento con intonaco a tonachino di cemento artistico colorato – sistema speciale – che si presta sia a rendere impermeabile la superficie delle fabbriche, quanto a decorare sobriamente il prospetto principale dell’ edificio; b) Il rivestimento con intonaco ordinario liscio, colorato a buon fresco, del prospetto posteriore. Per un esame più dettagliato dei lavori di restauro dei prospetti si rinvia al relativo computo metrico estimativo (documento n° 8). Progetto del prospetto del Palazzo municipale dell’ ingegnere Luigi Castiglia datato 29 ottobre 1906 L’ elaborato riporta la seguente dicitura: Scala 0,015 per metro 103 Particolare del prospetto del Palazzo Municipale. L’ elaborato grafico riporta la seguente dicitura: Municipio di Collesano – Progetto per decorare e garantire il prospetto anteriore del Palazzo Comunale – particolare della decorazione alla scala 1:25. 104 Particolare della decorazione del secondo piano del palazzo Municipale Particolare della decorazione del primo piano del palazzo Municipale Particolare della decorazione del portale di accesso al palazzo Municipale 105 Il progetto di isolamento, dell’ ammontare di £. 5290, prevede: a) La costruzione di un solido muro di sostegno che allontani sufficientemente il terrapieno del giardino dalle fabbriche del palazzo, nel lato posteriore. b) Lo sgombro delle terre ammassate negli spazi laterali al corpo avanzato del grande scalone ed il rivestimento del nuovo suolo con una platea di protezione in calcestruzzo idraulico. c) Lo sgombro delle terre sottostanti alle prime due rampe di scale e posa in opera delle nuove lastre delle pedate dei gradini, che in massima parte sono rotti e spostati. d) Il completamento della fognatura che, dopo aver attraversato l’ edificio sotto la scala, si collega alla rete fognaria di Corso Vittorio Emanuele. Per un esame più dettagliato dei lavori di isolamento del lato posteriore del Palazzo Municipale si rinvia al computo metrico estimativo (documento n° 9). Progetto di isolamento del lato posteriore del Palazzo Municipale – Planimetria del muro di sostegno – L’ elaborato grafico presenta la seguente dicitura: Scala 0,01 per metro 106 Progetto di isolamento del lato posteriore del Palazzo Municipale - Profilo trasversale del muro di sostegno del terrapieno. L’ elaborato presenta la seguente dicitura: Scala 0,02 per metro I lavori di drenaggio del Palazzo Comunale, la cui ultimazione era prevista in quattro mesi, saranno realizzati dall’ impresa Dolce. Le gare d’ appalto relative ai due progetti si svolgono mediante due distinte aste. Il 5 novembre 1906 viene pubblicato l’ avviso di gara relativo L’ al rivestimento appaltatore ha l’ dei onere prospetti di anteriore pagare i diritti e posteriore. architettonici all’ Ingegnere Direttore dei lavori in ragione del 4% dell’ ammontare lordo dei lavori e il 2% sul medesimo importo al Direttore del Comune. Il vincitore dell’ appalto non può concorrere a quello dei lavori relativi al drenaggio dello stesso Palazzo Comunale. Il 14 novembre 1906 si svolge il primo incanto con il metodo delle candele vergini che vede l’ aggiudicazione provvisoria del lavori alla ditta Stefano Dolce con il ribasso del 3% sull’ ammontare lordo dell’ appalto. Il secondo e definitivo incanto si svolge il 10 dicembre 1906 con la presentazione delle offerte delle ditte Giovanni Ribaudo e Antonino Dolce. Dopo tredici candele, i lavori vengono aggiudicati 107 per un importo pari a £. 5958,16 a Giovanni Ribaudo che offre un ribasso dell’ 11,60 % sull’ ammontare dei lavori di £. 6740. Il 10 febbraio 1907 viene stipulato il contratto d’ appalto relativo al prospetto Municipale tra il Comune e la ditta Ribaudo. Il 9 giugno 1907 la Giunta Comunale nomina direttore dei lavori l’ ingegnere Eliodoro Drago con studio a Palermo in via Ingam 14. Lo stesso consegna i lavori di restauro all’ impresa Giovanni Ribaudo il 1 luglio 1907. Con lettera datata 30 ottobre 1907 il Direttore dei lavori ing. Eliodoro Drago a seguito della mancata osservanza di taluni accorgimenti e direttive di cantiere, invita l’ appaltatore Giovanni Ribaudo ad attenersi scrupolosamente alle seguenti indicazioni: 1) Eseguire con schegge di tufo di pietra forte e malta il rimbottonamento dell’ attuale facciata riempiendo tutti i buchi e interstizi della fabbrica, avendo speciale cura di pulire e di bagnare sufficientemente la superficie del muro per evitare lo screpolamento dell’ intonaco. 2) La malta da adoperare per il rinzaffo sarà costituita di dieci parti in volume di calce per ogni 18 parti di sabbia di Isnello che sarà vagliata, in modo da separare i grossi granelli dalla parte più fine da adoperarsi nell’ ultimo strato di tonachino e cemento. 3) La malta di cemento sarà dosata in modo da contenere un volume di sabbia triplo del volume di cemento: sarà applicata sul rinzaffo, dopo averlo bagnato sufficientemente, comprimendolo con fracasso di legno; 4) Il colore dell’ intonaco deve sempre risultare conforme a quello già eseguito nella cornice, escludendo per la colorazione l’ uso di sostanze organiche come i colori di anilina. 5) La malta che si adopera deve essere sempre fresca, mai rimpastata. 108 6) Si deve evitare che avvenga essiccazione della malta per rapida evaporazione dell’ acqua prima della presa e si raccomanda perciò di mantenere un certo grado di umidità nell’ intonaco per qualche giorno, sia ricoprendolo per proteggerlo dal sole sia bagnandolo frequentemente con acqua. 7) I nuclei per ossatura delle cornici debbono essere bene assicurati alle esistenti fabbriche, e poiché queste sono di pietra calcare compatta e risulta difficile incastrarvi i nuclei, si potrà far uso di arpioni solidamente curati fra pietra e pietra e di filo di ferro intrecciato agli stessi arpioni per trattenere i nuclei medesimi che dovranno essere murati con buona e sufficiente malta. Il 28 dicembre 1907 il Direttore dei lavori Eliodoro Drago comunica all’ appaltatore di non accettare i lavori sino ad allora eseguiti poiché ritenuti non conformi al campione stabilito: ad esso corrispondeva soltanto la cornice di coronamento. Nel febbraio 1908 ulteriori divergenze sorgono in merito al colore dell’ intonaco parzialmente rifatto dall’ appaltatore: Ribaudo, infatti, utilizza nell’ intonaco quantità di cemento differenti da quelle previste. In questo contesto segue l’ interruzione del cantiere che sarà ripreso il 20 ottobre 1909 , data della riconsegna dei lavori a Giovanni Ribaudo. Nel frattempo la divergenza tra il Direttore dei lavori e l’ appaltatore si ricompone per l’ intervento del Prefetto: l’ intonaco già eseguito, pattuito per £ 4,80 al mq, sarà liquidato a £ 4,30 mentre la parte restante di intonaco sarà liquidata al prezzo di £ 4,80 al mq fermo restando il ribasso d’ asta. Dopo la riconsegna, i lavori dovevano concludersi entro tre mesi ovvero il 20 gennaio 1910: questa data verrà effettivamente rispettata anche se il verbale di ultimazione dei lavori data 22 febbraio 1910. Infine, il conto finale dei lavori sarà accettato con riserva dall’ appaltatore il 27 aprile dello stesso anno (documento n° 10). 109 Il Palazzo Municipale dopo l’ intervento dell’ ingegnere Castiglia in una foto databile tra il 1910 e il 1927 Il Palazzo Municipale in una cartolina degli anni ‘80 110 CONCLUSIONI: Il Palazzo Municipale, a seguito degli interventi progettuali già citati, ha progressivamente accentuato il suo valore di identità civile della comunità locale: quella che a lungo con i domenicani era stata la Sala del Capitolo, dove i frati si riunivano al suono della campanella per deliberare sui fatti salienti della loro comunità religiosa, è diventata la sede delle adunanze del Consiglio Comunale. Inoltre, una delle sale più rappresentative del Palazzo, prospiciente il Corso principale del centro, è diventata recentemente la Sala dei Sindaci, custode della locale memoria amministrativa. Il significato “civico” del manufatto era già stato rafforzato negli anni Venti del Novecento: con delibera del 10 febbraio 1924 il Consiglio Comunale, in ricordo dei Caduti del primo conflitto mondiale, autorizza la realizzazione del Parco della Rimembranza nel piazzale del Municipio e di murare una targa nel relativo prospetto104. Il monumento ai caduti, opera degli scultori Francesco Sorgi e Turillo Sindone, che ha fornito delle decorazioni tra le quali un bozzetto artistico della battaglia del Piave, venne inaugurato nel maggio 1930 105. La recente ubicazione del Museo della Targa Florio in un’ala dell’ edificio municipale (inaugurato nel giugno 2004) accentua la valenza collettiva di un avvenimento sportivo, una vera kermesse, che per decenni ha coinvolto l’intera cittadinanza: l’ allestimento museografico, curato dall’ architetto Marcello Panzanella, permette di ripercorrere idealmente con l’ ausilio di immagini inedite, documenti e cimeli (caschi, tute, guanti, parti di auto) la lunga storia di questa famosa corsa automobilistica ideata da Vincenzo Florio agli albori del secolo scorso. Tutto ciò ha fatto sì che il Palazzo Municipale sia stato sempre al centro dell’attenzione delle Amministrazioni che si ASPa, sezione Gancia, Fondo Sottoprefettura di Cefalù, busta n° 40. Antonino Cicero, Quel milite che sparava… in aria in Espero Rivista del Comprensorio Termini-Cefalù-Madonie, VI, 65-66-67, Agosto-Ottobre 2012, p. 10 104 105 111 sono succedute nei decenni. Negli aspetti strutturali il conventopalazzo ha saputo resistere all’usura dei secoli e dopo l’ intervento di Salemi-Pace le trasformazioni planimetriche interne sono state modeste. Il risultato è che oggi Collesano dispone di una prestigiosa sede municipale, tra le più significative dell’intero comprensorio. Tuttavia, va rilevata l’ esigenza di operare celermente un restauro conservativo (varie volte annunziato e non ancora realizzato) dei prospetti anteriore e posteriore che versano in condizioni di degrado con vaste aree distaccate o deteriorate oltre a intervenire sull’area di pertinenza dell’edificio per ridare il giusto lustro e prestigio a uno degli edifici più rappresentativi della comunità collesanese. 112 BIBLIOGRAFIA: Fonti archivistiche: Archivio Storico Comunale Collesano. Archivio Storico Parrocchiale di Collesano. Archivio di Stato di Palermo, sezione di Termini Imerese, Fondo Notai Defunti. 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