Relatore: Prof. Guido Bartalini Nicola Lo Conte matr. 30898
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Relatore: Prof. Guido Bartalini Nicola Lo Conte matr. 30898
Relatore: Prof. Guido Bartalini Nicola Lo Conte matr. 30898 ASPETTI GIURIDICI ED ECONOMICI DEL CONTRATTO DI LEASING RIASSUNTO Il contratto di leasing è nato come istituto terriero negli Stati Uniti. Nel secondo dopoguerra ha assunto la connotazione tecnica di finanziamento alle imprese e si è diffuso in gran parte del resto del mondo e, agli inizi degli anni '60, anche in Italia. Solo dieci anni più tardi però si è sancita la validità di questo strumento di finanziamento indiretto, degli investimenti produttivi delle imprese, che, pur restando contratto atipico, consente l'organizzazione dei fattori produttivi da parte di un imprenditore che, altrimenti, in mancanza di tutti i mezzi liquidi per acquistare i beni strumentali, non potrebbe iniziare l'esercizio della sua impresa. In questi ultimi anni, nel nostro Paese, il contratto in esame ha avuto una forte crescita: dai 27 bilioni di euro di fatturato leasing del 2000, si è arrivati ai 34,2 bilioni di euro nel 2004, passando per il boom del 2002 in cui si sono registrati quasi 38 bilioni di fatturato. A trainare la crescita del mercato italiano del leasing è stato soprattutto il settore immobiliare, in cui l'Italia è stata leader in Europa dal 1999 al 2002, e che tutt'oggi rimane il settore più importante. I fattori determinanti tale successo sono essenzialmente due: il fatto che il leasing è stato utilizzato anche dal segmento delle piccole e medie imprese, che maggiormente avvertono l'esigenza di reperire forme supplementari e integrative di finanziamento per gli investimenti, nel quadro di una sempre più approfondita valutazione sull’opportunità di correlare al meglio la durata dell’indebitamento con l’utilità ripetuta dalle risorse finanziate; inoltre, cresce sempre più il numero di imprenditori che ha la necessità di “tenere il passo” sia con iniziative nuove che con strutture tecnico-produttive meglio consolidate. Un altro fattore che spinge un soggetto a ricorrere a questo contratto è contraddistinto dai costi 1 effettivi del leasing rispetto ad altre forme di finanziamento e i vantaggi finanziari e fiscali che caratterizzano questa operazione, come la rateazione e totale finanziamento dell’IVA, canoni periodici deducibili fiscalmente e ammortamento del bene in tempi minori rispetto al periodo normale. Premettendo che, da tempo, non si nutrono seri dubbi sulla validità del contratto di locazione finanziaria, ritenuto dalla totalità degli interpreti, già dal 1972, meritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322 cod. civ., l'accento si sposta sulla nozione di leasing. In quest'ambito, pur in assenza di disciplina, non mancano disposizioni legislative che ne regolamentano alcuni aspetti. Sono presenti, altresì, numerose definizioni, curate in massima parte dalle camere di commercio, delle quali, a parere dei migliori interpreti, la più completa risulta essere quella del Comitato accertamento usi della Camera di Commercio di Milano, secondo cui il leasing può essere definito come "il contratto con il quale un soggetto, detto locatore, si obbliga a mettere a disposizione di un altro soggetto, detto locatario o conduttore, per un dato tempo, un bene mobile verso un corrispettivo a scadenze periodiche, determinato in relazione al valore del bene, alla durata del contratto e ad altri elementi; detto bene è acquistato o fatto costruire dal locatore su scelta ed indicazione del conduttore con facoltà per quest'ultimo di acquisirne la proprietà, alla scadenza del periodo del contratto, dietro versamento di un importo prestabilito". Il leasing può essere di due tipi: operativo o finanziario (detto anche locazione finanziaria in senso proprio). I principali connotati del primo sono: l'oggetto del contratto rappresentato da un bene fungibile e standardizzato; la breve durata del contratto stesso; la possibilità di recesso con un minimo preavviso e l'esclusione dell'esercizio del diritto di riscatto. In caso di rinnovo del rapporto contrattuale, poi, il bene passa in godimento ad un altro conduttore, soddisfacendo così l'esigenza di riparto del costo del bene oggetto del contratto tra una pluralità di clienti. Inoltre l'operazione di leasing operativo rientra nello schema dei contratti bilaterali, infatti le 2 parti sono costituite dal fornitore del bene e l'utilizzatore, e non è un contratto atipico, essendo riconducibile allo schema della locazione, dell'affitto o del noleggio. Il leasing finanziario ha una struttura contrattuale più complessa: consiste in un'operazione di finanziamento a medio-lungo termine, composta da due distinti contratti coi quali una società di leasing concede ad un'impresa il godimento di un bene, da essa precedentemente acquistato secondo le sue indicazioni, in cambio del pagamento di un canone periodico proporzionale alla vita economica dello stesso bene, e con l'attribuzione alla scadenza della facoltà di diventarne proprietaria mediante l'esercizio del diritto di opzione. il contratto di leasing finanziario presenta diverse caratteristiche: prima di tutto è posto in essere da intermediari finanziari, non solo bancari; il bene oggetto del contratto, strumentale all'esercizio dell'attività dell'utilizzatore, che può essere un bene mobile a rapida obsolescenza o un bene immobile o, più in generale, un bene di consumo, è scelto dall'utilizzatore, e così lo è anche il fornitore. A fronte di questa scelta, l'utilizzatore assume tutti i rischi collegati alla disponibilità del bene (compreso quello di perimento), l'ordinaria e la straordinaria manutenzione. Inoltre, l'utilizzatore è un'impresa o un lavoratore autonomo, oppure un ente pubblico. Infine, la durata del contratto di leasing finanziario, a differenza di quella del leasing operativo, variabile da uno a tre anni, copre l'intera vita tecnico economica del bene, almeno per i beni mobili; sicché, alla scadenza del contratto, l'utilizzatore lo rinnova, a canoni di gran lunga inferiori a quelli iniziali, oppure acquista il bene esercitando il relativo diritto di opzione, contrattualmente previsto, ad un prezzo molto basso, nel caso di beni mobili, o ad un prezzo, invece, più elevato nel caso di beni immobili, data la più lenta obsolescenza di tali beni e l'incremento del loro valore per il semplice decorso del tempo. Il leasing finanziario, inoltre, comprende operazioni eterogenee (leasing mobiliare, leasing immobiliare, leasing pubblico, lease-back, leasing convenzionato, leasing diretto, leasing addossé, subleasing, e leasing internazionale), e si presta quindi ad essere ordinato in svariati sottotipi. 3 Il leasing finanziario a sua volta si divide in leasing di godimento e leasing traslativo. Nel primo, l'utilizzazione del bene da parte del concessionario, dietro versamento dei canoni previsti, si inquadra, secondo la volontà delle parti, in una funzione di finanziamento a scopo di godimento del bene per la durata del contratto, conforme alla potenzialità economica del bene stesso, cosicché i canoni costituiscono esclusivamente il corrispettivo di tale godimento. Nel leasing traslativo, invece, le parti, al momento della formazione del contratto, prevedono che il bene, avuto riguardo alla sua natura, all'uso programmato e alla durata del rapporto, sia destinato a conservare, alla scadenza contrattuale, un valore residuo particolarmente apprezzabile per l'utilizzatore, in quanto notevolmente superiore al prezzo di opzione; sicché, il trasferimento del bene all'utilizzatore non costituisce, come nel leasing di godimento, un'eventualità del tutto marginale ed accessoria, ma rientra nella funzione assegnata al contratto dalle parti. Le somme corrisposte a titolo di canone dall'utilizzatore nel leasing traslativo assumono la funzione di anticipo del corrispettivo in vista del futuro acquisto del bene: l'utilizzatore, non avendo le somme necessarie all'acquisto immediato di determinati beni, li fa acquistare al concedente conseguendone il possesso in cambio di un corrispettivo periodico. Nel leasing di godimento, invece, il bene viene concesso all'utilizzatore dietro la corresponsione di un canone che costituisce la semplice remunerazione per l'utilizzazione e non per il futuro acquisto del bene. Quindi si può affermare che ricorre la figura del leasing di godimento, pattuito con funzione di finanziamento, rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto e dietro canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell'uso dei beni stessi. Ricorre invece il leasing traslativo quando la pattuizione si riferisca a beni atti a conservare a quella scadenza un valore residuo superiore all'importo convenuto per l'opzione e dietro canoni che scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto. 4 I soggetti che prendono parte all'operazione di leasing sono, generalmente, tre: il concedente (lessor), che acquista il bene scelto dall'utilizzatore e ne conserva la proprietà fino alla fine del contratto; l'utilizzatore (lessee), che sceglie il bene e ne ha la disponibilità; il fornitore, che vende il bene al concedente. Attraverso una sequenza di atti, poi, prende forma l'operazione di leasing vera e propria. Il futuro utilizzatore individua il bene che soddisfa le sue esigenze e contatta il fornitore, concordando con questo le condizioni alle quali dovrà avvenire l'acquisto del bene da parte del concedente. Successivamente, l'utilizzatore si rivolge a una società di leasing (il concedente) per sottoscrivere e concludere il contratto di locazione finanziaria, che avrà come oggetto il bene scelto dall'utilizzatore stesso. Infine, il concedente acquisterà il bene presso il fornitore, il quale provvederà a consegnarlo all'utilizzatore secondo le modalità e nel rispetto dei tempi indicati dal concedente e concordati con l'utilizzatore. Il bene oggetto del contratto di leasing può essere un bene mobile, e in questo caso la durata del rapporto è sostanzialmente pari alla vita tecnico-economica dello stesso e il canone è commisurato al prezzo di acquisto del bene sopportato dal concedente, oppure può essere un bene immobile. Il successo del leasing finanziario è dovuto ai diversi vantaggi, sia di natura economica, sia finanziaria, sia fiscale, che consente di realizzare. Anche se indirettamente, infatti, la locazione finanziaria attua una forma di finanziamento dell'utilizzatore che può disporre di un bene indispensabile per la sua attività senza necessariamente dover reperire i capitali occorrenti. Di conseguenza, il lessee può rispondere velocemente alle sempre diverse innovazioni tecnologiche che richiedono grosse immobilizzazioni di capitale. Inoltre il leasing permette di finanziare l'intero valore del bene; non intacca la capacità di credito dell'azienda utilizzatrice; permette il frazionamento dell'IVA nei canoni periodici su tutta la durata della locazione finanziaria, senza dover imputarla tutta in una volta al momento della cessione. Per quel che riguarda i vantaggi fiscali, i canoni di leasing sono deducibili, sia per 5 la quota capitale che per la quota interessi, in presenza di beni strumentali all'attività svolta; ed inoltre è possibile anticipare la deduzione fiscale (soprattutto per il leasing immobiliare), poiché l'ammortamento del bene avviene in un numero di anni inferiore rispetto alla normativa civilistico-fiscale. Rispetto poi alle forme tradizionali di finanziamento, come il mutuo bancario, il leasing consente all'impresa l'accesso al finanziamento in tempi rapidi e con modalità semplici; garantisce il finanziamento del costo del bene per intero (compresa l'IVA); permette di personalizzare e di strutturare il contratto in relazione alle proprie necessità. Rispetto invece al noleggio nel leasing è l'utilizzatore stesso a scegliere il bene e il fornitore del bene stesso; il leasing consente di poter usufruire di eventuali sconti sul prezzo del bene, in quanto il fornitore viene pagato senza dilazioni dalla società finanziaria; infine il leasing consente, al termine e alle condizioni stabilite nel contratto, di acquisire la proprietà del bene. L'operazione di leasing realizza uno schema economico trilaterale, perché i tre soggetti realizzano le proprie utilità grazie al fatto che le singole fattispecie fanno parte di un'operazione unitaria che ne rappresenta il presupposto e la condizione di fatto. Dal punto di vista giuridico, invece, la maggior parte della dottrina esclude la presenza di un vincolo trilaterale e propende per una tesi binegoziale, secondo cui l'operazione sia costituita da due contratti: un contratto di compravendita e un contratto di leasing. Questo perché è difficile individuare una causa negoziale unitaria, uno scopo comune alle tre parti, nell'intera operazione, e inoltre perché non risulta essenziale il consenso del fornitore per il perfezionamento del contratto. Infatti non si può escludere l'eventualità che il concedente dia in locazione un bene di cui ha già la proprietà perché ritornatogli da una precedente operazione di leasing. Inoltre sussiste un collegamento negoziale tra i due contratti che costituiscono l'operazione di locazione finanziaria. Infatti ricorrono più cause distinte ma fra loro funzionalmente connesse, di modo che la validità e l'efficacia di ciascuno di tali negozi 6 influenzano la validità e l'efficacia degli altri. In particolare si tratta di un collegamento negoziale unilaterale, perché le vicende patologiche della vendita possono ripercuotersi sul leasing, ma non viceversa. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 854/2000, ha invece affermato, per la prima volta, il carattere strutturalmente unitario dell'operazione di leasing. Il procedimento di formazione del contratto trilaterale si perfezionerebbe se e quando il finanziatore aderisca all'accordo iniziale tra fornitore e futuro utilizzatore, accettando le condizioni stabilite dalle altre due parti ed aggiungendovi le proprie: il contratto trilaterale verrebbe così ad essere stipulato consesualmente, e i due contratti di compravendita e di leasing degraderebbero al rango di mera documentazione di un contratto già concluso. La tesi dell'unità strutturale focalizza l'attenzione sul procedimento di formazione del contratto plurilaterale. Il rapporto venditore-utilizzatore rappresenterebbe la "frazione iniziale" di tale contratto, aperto all'adesione del concedente e sospensivamente condizionato ad essa; tale rapporto sarebbe già "accordo" e non semplice trattativa. La vendita, soprattutto, ma anche il leasing vengono quindi a considerarsi come atti esecutivi del contratto già concluso, non come semplice documentazione dello stesso. Il contratto trilaterale, quindi, sembrerebbe preferibilmente da qualificare come contratto-quadro, con conseguente esecuzione del programma negoziale complessivo in esso racchiuso affidata a contratti, espressione di unità funzionale, strutturalmente autonomi. Inoltre, il contratto che generalmente viene qualificato come contratto di locazione finanziaria è semplicemente il documento finale predisposto dal concedente che enuncia formalmente le condizioni, già concordate consensualmente, della sua adesione all'accordo concluso dalle altre due parti, e regola i rapporti con ciascuna di esse, direttamente o mediante rinvio recettizio ad atti posti in essere in precedenza (accordo tra fornitore ed utilizzatore), o da porre in essere in adempimento dell'accordo iniziale tra fornitore ed utilizzatore. Ma questo documento regola i rapporti tra concedente ed utilizzatore, da un 7 lato, e tra concedente e fornitore dall'altro, il che palesa un contenuto negoziale e non una semplice documentazione. La linearità della tesi che ruota intorno all'unità strutturale dell'intera operazione di leasing non convince appieno. La possibile qualificazione "dell'accordo" iniziale venditoreutilizzatore nei termini di un contratto-quadro e la sua relazione con il leasing e la vendita (quali negozi esecutivi) richiamano alla mente la tesi del collegamento negoziale, come scenario alternativo preferibile rispetto a quella che considera il leasing come contratto plurilaterale. Ma è sulla qualificazione giuridica del contratto che la mancanza di una disciplina organica della materia accende la disputa giurisprudenziale e dottrinale. La funzione assolta dal leasing risulta comunque meritevole di tutela salvo, che, in singoli casi, non si riveli la violazione di norme inderogabili. In questo modo, nell'analisi degli interessi perseguiti con il contratto atipico si adotta un criterio meramente formale e non si riesce ad incidere sul piano della disciplina del rapporto, che rimane quasi esclusivamente dettata dalle condizioni generali di contratto. I giudici di legittimità rimangono ancora legati all'idea che possa individuarsi un "paradigma tipico" di locazione finanziaria, caratterizzato da una causa di finanziamento, rispetto al quale sarebbe possibile individuare, con successive approssimazioni, diversi sottotipi (leasing traslativo - leasing di godimento) a seconda delle vicende traslative che ricorrono di volta in volta. A fronte delle posizioni della Corte di Cassazione, rimane confermata quella precisa osservazione della dottrina secondo cui i giudici tendono a regolare questi rapporti come contratti di finanziamento, affini ai contratti tipici di credito, quando si tratta di distribuire i rischi derivanti dall’inesatta esecuzione o dall'inadempimento della vendita, mentre propongono soluzioni differenziate, più vicine alla disciplina di rapporti di scambio come la locazione o la vendita rateale, quando si tratta di valutare le conseguenze 8 dell'inadempimento della locazione finanziaria nell'ambito della "relazione bilatere" tra il concedente e l'utilizzatore. L'individuazione della natura giuridica del contratto di leasing e della sua eventuale riconducibilità ad un particolare contratto previsto e disciplinato dalla legge diventa essenziale per decidere se il rapporto che ne deriva possa essere assoggettato alle norme che lo disciplinano. I giudici di merito, infatti, oscillano in modo più marcato tra il generico riconoscimento di una funzione economica di finanziamento e garanzia, assolta dai contratti in esame, e la riconduzione della locazione finanziaria ad una posizione intermedia tra la vendita e la locazione. Le deroghe rispetto alla disciplina di altri contratti tipici affini, prevalentemente il mutuo, la locazione e la vendita con patto di riservato dominio, vengono dunque giustificate o sanzionate a seconda del diverso tenore della disciplina dei contratti a cui si fa riferimento. Nonostante la giurisprudenza abbia affermato la liceità del contratto di leasing in quanto realizza, in linea di principio, interessi meritevoli di tutela, attualmente è pressoché pacifico considerare che il leasing sia un contratto atipico che non può inquadrarsi in alcuno degli schemi nominati in precedenza. Il contratto di leasing è frutto dell'autonomia privata che modella di continuo i tipi contrattuali, sfruttando al massimo la loro elasticità, perfino stravolgendo, in alcuni casi, la loro funzione tipica. Questo continuo lavorare intorno al tipo, finisce inevitabilmente per condurre alla nascita di schemi contrattuali sempre meno tipizzati legalmente e sempre più ancorati alla tipicità sociale, alla tipicità cioè frutto delle esigenze dei privati operatori economici. In pratica, i privati possono inserire in uno schema tipico una serie di varianti atte a garantire il perseguimento dei propri interessi. Poiché però tali interessi sono comuni a tutti coloro i quali operano nella realtà economica, finisce per essere utilizzato da altri fino al raggiungimento di una propria tipicità, pur al di fuori di ogni previsione normativa. Infatti il leasing è lo schema socialmente tipico più utilizzato. 9 La locazione finanziaria si colloca nella categoria dei contratti di finanziamento, ossia quei contratti nei quali l'apporto dei mezzi finanziari in favore di un soggetto è realizzato in funzione del raggiungimento di una certa finalità. Anche se il leasing presenta affinità con alcune figure, le differenze contrattuali sono profonde. Rispetto alla locazione c'è da rilevare che il concedente non si assume l'obbligo di mantenere il bene (art. 1575 cod. civ.) né quello di garantirne il pacifico godimento. Inoltre, sul concedente non grava la garanzia per vizi, mentre il rischio del perimento grava sull'utilizzatore. Altro aspetto da tenere presente è che il lessor acquista il bene da concedere in leasing su precisa indicazione dell'utilizzatore, nel rispetto delle sue esigenze. Nell'operazione di locazione finanziaria si deve tenere distinto l'aspetto che attiene al godimento del bene, al quale è completamente estranea la società di leasing, da quello finanziario, nel quale il concedente sopporta il relativo rischio di insolvenza dell'utilizzatore. Sebbene ci sia una sostanziale identità economica tra leasing e vendita con riserva della proprietà, data dalla corrispondenza dell'importo dei canoni e del prezzo d'opzione al valore capitale del bene e dalla possibilità per l'utilizzatore di acquistare il bene ricevuto in godimento al termine del rapporto, sussistono evidenti differenze dal punto di vista giuridico-formale. La differenza principale sta nel fatto che nel leasing l'acquisto del diritto di proprietà non avviene automaticamente, al momento del pagamento dell'ultima rata, ma solo nel momento in cui l'utilizzatore, con apposita manifestazione di volontà, esercita il suo diritto di opzione sull'acquisto del bene. Inoltre le rate della vendita con riserva di proprietà sono determinate a prescindere dal valore di mercato che il bene ha in un determinato momento a differenza del leasing (avente ad oggetto beni a rapida obsolescenza) nel quale il pagamento dei canoni risulta condizionato dalla perdita di valore del bene. Infine, la ratio che sottende ai due contratti è da sempre ritenuta diversa: nella vendita con riserva della proprietà si tende al collocamento dei beni sul mercato tant'è che il debitore è anche, nella 10 generalità dei casi, il produttore dei beni; nella locazione finanziaria, invece, si tende al finanziamento delle attività produttive, e il concedente è soltanto un intermediario finanziario che acquista e concede in godimento qualunque tipo di bene gli sia richiesto. La locazione finanziaria, sebbene contratto con causa di finanziamento, non può nemmeno essere ricondotta al contratto di mutuo. Innanzitutto si ricorda che nel mutuo il mutuatario diviene proprietario dei beni ricevuti e deve restituire beni della stessa specie e qualità; nel leasing, invece, i beni, scelti specificamente dal lessee, restano di proprietà del lessor per tutta la durata del rapporto e solo eventualmente potranno trasferirsi in proprietà dell'utilizzatore, altrimenti verranno restituiti al concedente. Inoltre, la funzione oggettiva del contratto, la sua causa giuridica, non è quella, propria del mutuo, di attribuire il godimento temporaneo di una somma di denaro, ma è la concessione in uso di un bene mobile o immobile, per un periodo determinato e verso un determinato corrispettivo. Per quel che riguarda i rapporti tra le parti nel contratto di leasing, facendo riferimento alle norme sul contratto in generale e tenendo presente le clausole disposte dalle parti, il concedente ha l'obbligo di concludere il contratto di compravendita con il fornitore per l'acquisto del bene scelto dall'utilizzatore. Inoltre il lessor assume l'impegno di far consegnare il bene al lessee, da parte del fornitore, nelle modalità e nei tempi concordati nel contratto. Non si assume però il rischio della mancata consegna da parte del fornitore. Infine, il concedente, come nella locazione ordinaria, ha l'obbligo di garantire l'utilizzatore da molestie di diritto dei terzi, ex art. 1585 cod. civ. Diverse invece sono gli obblighi posti a carico dell'utilizzatore. Innanzitutto il lessee è tenuto a pagare i "precanoni", che costituiscono canoni anticipati, e che possono assumere il carattere di un vero e proprio deposito cauzionale, nonché tutte le spese accessorie (tributi, assicurazioni, ecc.) inerenti l'acquisto del bene da parte della società concedente. Inoltre, l'utilizzatore ha il diritto di ricevere il bene consegnato dal fornitore per conto del 11 concedente e l’obbligo di redigere il relativo verbale di consegna, segnalando eventuali inadempimenti del fornitore, nonché l'obbligo di pagare i canoni periodici per tutta la durata del contratto alle scadenze previste. Infine, il lessee è tenuto ad avere cura del bene, ad usarlo e conservarlo in modo ragionevole e a restituirlo, nello stato in cui gli è stato consegnato, alla scadenza fissata dal contratto in caso di mancato rinnovo del contratto di locazione finanziaria o di mancato acquisto del bene. Per quel che riguarda il fornitore, nel contratto di leasing viene generalmente apposto il cosiddetto patto di riacquisto, tra questi e il concedente, secondo cui il fornitore si impegna al riacquisto del bene venduto al lessor nell'ipotesi di risoluzione del contratto di leasing. Tale pattuizione ha causa di garanzia: il fornitore si assume il rischio dell'inadempimento del contratto di leasing da parte dell'utilizzatore; inoltre il patto ha la funzione di preservare il fornitore dall'indiscriminata diffusione dei suoi prodotti, consentendogli di rientrare in possesso dei beni venduti per poi provvedere direttamente alla nuova immissione sul mercato. Le condizioni generali dei contratti di locazione finanziaria non consentono di evidenziare in maniera univoca nessi di corrispettività tra le diverse prestazioni che sono stabilite a carico delle parti. Occorre un intervento dell'interprete per determinare il contenuto sostanziale delle clausole contrattuali che individuano le prestazioni a carico del concedente, prendendo le mosse dalla formulazione letterale delle condizioni generali di contratto, ma considerando anche la pluralità dei rapporti contrattuali intercorrenti nelle operazioni di leasing. I contratti di leasing contengono numerose previsioni in base alle quali grava sull'utilizzatore qualunque rischio connesso all'acquisizione, ai vizi, alla perdita, e, più in generale, all'utilizzazione del bene. Queste clausole, malgrado siano formulate con termini diversi, si presentano sufficientemente omogenee, tanto nella contrattazione uniforme che 12 nei contratti conclusi senza il ricorso a condizioni generali, e costituiscono un tratto caratterizzante del rapporto di locazione finanziaria nei vari tipi di leasing. Nel caso di mancata consegna del bene da parte del fornitore, prima del 1998 era pacifico ritenere che, in base a tali clausole di inversione del rischio, l'utilizzatore fosse comunque obbligato a pagare i canoni previsti fino alla scadenza del contratto al concedente o, al più, una somma di denaro commisurata all'ammontare degli stessi. Questo perché il concedente si assume solo il compito strumentale di permettere il godimento del bene, acquistandolo da un fornitore ed invitandolo a consegnarlo all'utilizzatore. Il lessor, pertanto, non assume l'obbligo di consegna, né rimane tenuto alla garanzia per vizi ed evizione, anche perché la qualità e la stessa scelta del fornitore sono appannaggio del lessee. La Suprema Corte con la sentenza 7916/98 sostiene che, dato il collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, se il contratto di compravendita prevede che il fornitore consegni la cosa direttamente all'utilizzatore, ed il contratto di leasing prevede, a sua volta, che l'utilizzatore la riceva, il lessor che resta obbligato al pagamento del prezzo, nell'adempiere, deve fare in modo di salvaguardare l'interesse del lessee all'esatto adempimento, mentre questi è, dal suo canto, gravato, nei confronti del concedente, dell'onere di comportarsi, rispetto al momento della consegna, in modo diligente, sì che non ne risulti sacrificato l'interesse che anche il concedente ha all'esatto adempimento da parte del fornitore. Non può quindi essere convenzionalmente previsto il trasferimento sull'utilizzatore del rischio della mancata consegna della cosa da parte del fornitore. Il rischio del modo in cui la consegna della cosa è compiuta dal fornitore stesso al cliente va posto a carico del concedente o eventualmente ripartito tra concedente e utilizzatore, se ambedue abbiano concorso a dare causa al danno che ne è risultato. Quindi, dato che la clausola del contratto di leasing che stabilisca che non possa essere invocata alcuna responsabilità del concedente per la mancata consegna del bene da parte del fornitore non realizza interessi meritevoli di tutela, il rischio per il mancato adempimento del fornitore 13 può essere evitato con un'altra clausola che subordini il pagamento del prezzo dal parte del lessor alla sottoscrizione da parte del lessee del verbale di consegna. Per quel che riguarda le clausole di esonero da responsabilità del concedente per i vizi del bene concesso in leasing, in alcuni formulari è espressamente prevista la deroga dell'art. 1579 cod. civ., che, in tema di locazione, stabilisce l'inefficacia del patto con cui si esclude o si limita la responsabilità del locatore per i vizi della cosa, qualora siano da quest'ultimo "in mala fede taciuti", oppure se sono "tali da rendere impossibile il godimento della cosa". E' prevista, inoltre, la deroga dell'art. 1580 cod. civ., che legittima la risoluzione del contratto qualora i vizi della cosa o di parte notevole di essa espongano a "serio pericolo la salute" del conduttore o dei suoi familiari o dipendenti. Secondo una parte della dottrina, può apparire giustificata una clausola di totale esonero del concedente dalla garanzia per i vizi, purché l'utilizzatore sia effettivamente messo in condizioni di tutelare i propri interessi nei confronti del fornitore. Per un'altra corrente di pensiero, invece, le clausole in questione rinvengono il limite generale dettato dall'art. 1229 cod. civ. secondo cui "è nullo qualsiasi patto che esclude o limita preventivamente la responsabilità del debitore (il concedente) per dolo o colpa grave". Solo interpretando le condizioni generali di contratto, in applicazione degli artt. 1366 e 1370 cod. civ., in modo da ritenere l'esistenza, accanto all'esonero del concedente dalla garanzia, di una stipulazione tra il fornitore e il concedente a favore dell'utilizzatore e di un mandato conferito dal concedente all'utilizzatore, l'assetto di interessi delineato dall'intero complesso di clausole riguardanti i vizi della cosa potrà risultare equilibrato. Secondo la giurisprudenza nel caso in cui l'utilizzatore abbia scelto direttamente il fornitore, abbia contrattato con lo stesso le condizioni della fornitura e abbia ricevuto il bene o i beni oggetto del contratto (sottoscrivendo il verbale di consegna), la società concedente rimane esonerata da ogni responsabilità per i vizi della cosa, per i difetti di funzionamento o idoneità o mancanza di qualità della stessa, anche se sopravvenuti. Di conseguenza, restano attribuite all'utilizzatore le azioni di garanzia derivanti dalla 14 compravendita, nell'esercizio delle quali l'utilizzatore agisce nei confronti del fornitore facendo valere in nome proprio la garanzia che gli spetta in base ad una precisa previsione contrattuale dipendente dallo schema tipico della locazione finanziaria. Stilando il contratto di leasing il concedente generalmente inserisce anche la clausola che trasferisce sull'utilizzatore il rischio della perdita, intesa come smarrimento, furto, distruzione, perimento, del bene concesso in leasing. Quando si verifica uno di questi casi, il lessee è tenuto a pagare comunque i canoni previsti fino alla scadenza contrattuale. Tale clausola, addossando all'utilizzatore ogni rischio per il deterioramento o la perdita dei beni oggetto del contratto anche se dovuti a causa a lui non imputabile, è finalizzata a realizzare un contenimento del rischio dell'impresa e si limita a regolare la responsabilità per la perdita del bene secondo quanto previsto dalla legge. Non può quindi essere considerata vessatoria, anche perché l'assunzione dei rischi relativi al godimento del bene da parte del soggetto interessato allo stesso è un elemento caratteristico del contratto di leasing. Sull'utilizzatore, soprattutto in caso di leasing automobilistico, grava inoltre la responsabilità per i danni arrecati ai terzi dal bene oggetto del leasing. Prima dell'entrata in vigore del nuovo codice della strada si contrapponevano due correnti di pensiero: la prima sosteneva che l'utilizzatore, avendo la disponibilità del bene, era responsabile per i danni causati a terzi; la seconda invece considerava responsabile in solido con il conducente il concedente proprietario, che però poteva agire in rivalsa nei confronti dell'utilizzatore. Il nuovo codice della strada ha risolto la questione stabilendo che il lessee è solidalmente responsabile con il conducente dei danni provocati a terzi dalla circolazione del veicolo sulla base del terzo comma dell'art. 2054 cod. civ. Anche nel caso in cui sia un edificio ad arrecare danni a terzi, il concedente proprietario può liberarsi della relativa responsabilità pattuendone l'esonero in contratto. Per quel che riguarda la risoluzione del contratto di leasing, la giurisprudenza più recente ritiene fondamentale la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo. La 15 risoluzione, per inadempimento dell'utilizzatore, del contratto di leasing di godimento, in cui i beni non sono idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto e i canoni configurano esclusivamente il corrispettivo dell'uso dei beni stessi, comporta la restituzione del bene al concedente, che non dovrà restituire i canoni ricevuti, nonché il risarcimento del danno subito dal concedente stesso. In caso di leasing traslativo, pattuito con riferimento a beni idonei a conservare alla scadenza del contratto un valore residuo superiore all'importo convenuto per l'acquisto e dietro canoni che scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto, la risoluzione, soggetta alle norme dell'art. 1526 cod. civ., comporta, da un lato, che l'utilizzatore restituisca il bene al concedente e versi un compenso per l'uso del bene stesso, e, dall'altro, che il lessor restituisca tutti i canoni ricevuti. Indipendentemente dalla distinzione delle due fattispecie di leasing, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore, il concedente non può richiedere il pagamento dei canoni non ancora scaduti (salvo che non venga pattuito espressamente, e ferma restando la possibilità di un'equa riduzione stabilita dal giudice, ex art. 1384 cod. civ.), ma ha sempre il diritto di ottenere la restituzione del bene o, se ciò fosse impossibile, l'equivalente monetario dello stesso, salvo il risarcimento del danno. I contratti di locazione finanziaria contengono inoltre diverse clausole risolutive espresse. Tale tipologia di clausole può esplicare i suoi effetti solo se le parti abbiano previsto la risoluzione del contratto per effetto dell'inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate. Nel caso del leasing, il carattere di corrispettività del contratto, e la previsione del diritto di opzione, nell'ambito del collegamento contrattuale, non consente di valutare l'inadempimento dell'utilizzatore con gli stessi criteri che si adottano per i contratti di credito, perché l'interesse del finanziatore al recupero ed alla remunerazione delle somme impiegate nell'operazione concorre con l'interesse dell'utilizzatore all'esercizio del diritto di opzione. 16 In ogni caso la clausola risolutiva espressa può essere sottoposta al controllo del giudice sia quando viene riferita genericamente all'inadempimento di ogni obbligazione derivante dal contratto di locazione finanziaria a carico dell'utilizzatore e si configura quindi come clausola di stile, sia quando si riferisce ad una determinata obbligazione ma viene formulata in modo tanto generico da non prevedere le precise modalità di attuazione della prestazione a cui è tenuto il debitore, sia quando non si verifica un inadempimento totale, ma soltanto parziale, della prestazione dovuta dall'utilizzatore. Sebbene possano essere previste clausole risolutive espresse, nei contratti di locazione finanziaria è possibile ipotizzare interventi di controllo sulla gravità dell'inadempimento dell'utilizzatore. Al riguardo è controversa l'applicazione al contratto di leasing dell'art. 1525 cod. civ. che, in tema di vendita rateale, stabilisce che il mancato pagamento di una sola rata, che non superi l'ottava parte del valore del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto. La prevalente dottrina e giurisprudenza, date le differenze tra i due negozi, la diversa qualità delle parti e consci del carattere eccezionale della norma, escludono la sua applicazione analogica con riguardo al contratto di leasing. Nonostante questo, tenendo presente la ratio dell'art. 1525 cod. civ., si potrebbe prospettare una soluzione diversa. Infatti tale norma viene posta per tutelare un soggetto in una situazione di inferiorità economica, situazione che si può verificare anche nel contratto di leasing quando si verifichino da parte dell'utilizzatore inadempimenti di lieve entità rispetto allo svolgimento dell'intera operazione. La stessa esigenza di tutelare l'utilizzatore ricorre peraltro anche nel caso di beni a rapida obsolescenza, dove, per realizzare la funzione di garanzia, il prezzo dell'opzione risulta sempre inferiore al pur ridotto valore residuo del bene. L'esigenza di tutela del lessee deriva dall'applicazione del principio generale di equità a cui corrisponde il principio che vieta l'ingiustificato arricchimento, che può verificarsi se il mancato pagamento di un solo canone conduca alla risoluzione del contratto e le parti abbiano pattuito il pagamento dei canoni non ancora scaduti al verificarsi di tale ipotesi. In questo caso infatti il concedente 17 adempiente può esigere immediatamente corrispettivi che il debitore avrebbe potuto pagare con una determinata dilazione temporale. Inoltre, la perdita definitiva del diritto di opzione da parte dell'utilizzatore, come conseguenza della risoluzione della locazione finanziaria, finirebbe per consentire alla società concedente un vantaggio patrimoniale di gran lunga superiore alla regolare esecuzione del contratto, sommandosi all'obbligo di immediata restituzione del bene. Nei contratti di leasing, dunque, l'art. 1525 cod. civ. potrebbe avere una portata più ampia di quanto la collocazione della norma sembrerebbe consentire. Altra clausola di largo utilizzo nel contratto di leasing è quella secondo cui, nel caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore, questi è tenuto a corrispondere tutte le somme dovute e non pagate fino alla data della risoluzione, nonché a titolo di risarcimento danni una somma pari alla sommatoria di tutti i canoni successivi attualizzati al tasso di sconto in vigore alla data di sottoscrizione del contratto. Tale clausola, che ha natura di clausola penale, è ammissibile, e per coloro che considerano il contratto di leasing un contratto di locazione e coloro che lo reputano un contratto con causa di finanziamento è addirittura superflua. Coloro che aderiscono all'impostazione del leasing come vendita con riserva di proprietà, invece, sono favorevoli all'applicazione dell'art. 1526 cod. civ. secondo cui l'utilizzatore ha diritto alla restituzione dei canoni pagati salvo il pagamento di una somma per l'uso del bene, che può essere ridotta dal giudice se viene reputata troppo eccessiva (ex art. 1384 cod. civ.). Anche la Suprema Corte ha ribadito il potere del giudice di ridurre sia l'indennità convenuta in caso di risoluzione del contratto, per l'inadempimento del compratore, sia la penale determinata nell'ammontare dei canoni ancora da pagare. La valutazione del giudice andrà condotta sul piano dell'equilibrio delle prestazioni con riferimento al margine di guadagno che il concedente si riprometteva di trarre dall'esecuzione del contratto, per evitare un suo ingiustificato arricchimento. E' valida anche la clausola con la quale il concedente, in caso di risoluzione del contratto per inadempimento dell'utilizzatore, si riserva, oltre alla possibilità di ottenere la restituzione del bene e 18 trattenere i canoni scaduti, il diritto al pagamento dei canoni non ancora scaduti e del prezzo d'opzione. Anche in questo caso, vale quanto detto per le clausole di ritenzione dei canoni scaduti: all'utilizzatore va riconosciuta la possibilità di rivolgersi al giudice per conseguire una riduzione ad equità. E' evidente, infatti, l'ingiustificato arricchimento che il concedente potrebbe conseguire dalla restituzione del bene e dal pagamento di tutti i canoni. Tra le varie tipologie di leasing venutesi a creare nella prassi commerciale, a testimonianza del crescente interesse che l'istituto ha prodotto nel tessuto economicoproduttivo mondiale, è presente il sale and lease back o leasing di ritorno, qualificato generalmente come una variante di leasing: qui il proprietario di un bene che ha bisogno di liquidi, cede il bene stesso ad una società di finanziamento, la quale a sua volta lo concede in leasing all'ex proprietario. Dal punto di vista prettamente economico, le operazioni di sale and lease back rispondono all'esigenza di autofinanziamento dell'utilizzatore. In tal modo quest'ultimo ricava liquidità tramite il rapido smobilizzo dell'investimento effettuato per l'acquisto di un bene strumentale, pur continuando ad utilizzarlo. Il lease-back è un'operazione bilaterale nella quale il concedente ottiene la proprietà del bene, che generalmente è un immobile, per un periodo di tempo corrispondente alla durata del rapporto di locazione finanziaria, e questa viene fissata non in vista di esigenze di utilizzazione del bene o della sua obsolescenza, ma in base all'entità e alla durata del finanziamento concesso; l'ammontare complessivo dei canoni, in ogni caso, risulta stabilito in base al prezzo versato all'utilizzatore alienante. Si osserva infine un forte divario tra il valore finale del bene ed il prezzo stabilito per l'esercizio dell'opzione d'acquisto, e il riacquisto della proprietà da parte dell'utilizzatore costituisce la fase finale del regolare svolgimento dell'operazione. La qualificazione del contratto di lease-back, essendo una fattispecie atipica, è al centro di un vivace dibattito: l'orientamento della dottrina maggioritaria qualifica l'istituto in oggetto come combinazione di più negozi, vendita e leasing, mentre un altro indirizzo della dottrina, invece, ravvisa una struttura unitaria. 19 Secondo la prima tesi, i due contratti che fanno parte dell'operazione di lease-back sono collegati perché una parte cede il bene in quanto abbia la possibilità di usufruirne ancora, in veste diversa, mentre l'altra parte ne decide l'acquisto in funzione della concessione in uso che può farne. In particolare si distingue un interesse immediato, realizzato dai negozi impiegati, e un interesse finale perseguito dall'insieme dei contratti funzionalmente collegati. In quest'ottica, inoltre, una parte della dottrina sostiene che ci sia un collegamento bilaterale, per cui nullità, annullabilità, risoluzione della vendita travolgono il lease-back dal momento che l'utilizzatore ridiventa nuovamente proprietario, e viceversa. Altri autori, invece, intravedono un collegamento unilaterale, in cui la vendita è voluta dalle parti non per il suo effetto tipico di scambio, ma per conseguire la stipula del leasing e garantire il pagamento del canone, per cui le vicende del negozio strumentale (vendita) influiscono su quello finale e non viceversa. Un ulteriore orientamento esclude ogni forma di collegamento negoziale ed evidenzia la reciproca autonomia a cui sono ispirate le discipline dei due contratti. Secondo tale orientamento non è ipotizzabile che la risoluzione del lease-back per inadempimento dell'utilizzatore si possa riflettere sulla vendita, perché in tal modo l'utilizzatore tornerebbe ad essere proprietario del bene e il concedente si troverebbe nella condizione di perdere ogni diritto sulla cosa e di dover recuperare la somma versata come corrispettivo della vendita presso un partner già resosi inadempiente nella restituzione di una quota dello stesso prezzo. A tal punto difficilmente il lessor sarà disposto a prestare quel consenso, implicito o esplicito, che è requisito essenziale per poter configurare una qualsiasi ipotesi di collegamento negoziale tra le due figure. L'orientamento che considera il lease-back un fenomeno negoziale unitario avente una propria identità causale, ravvisa nella vendita una fase puramente sintomatica del lease-back tale da non consentire una scissione dell'operazione in più fasi. La Suprema Corte con la sentenza n. 10805/95 ha risolto il problema della qualificazione di tale contratto ravvisandovi un contratto atipico, con struttura giuridica unitaria a formazione progressiva, 20 che non può essere frammentato in alcun modo, per non snaturare la sua essenza sociogiuridica. Il lease-back, inserendosi nell'ambito delle strategie finanziarie d'impresa, costituisce una particolare forma di autofinanziamento, consentendo all'utilizzatore di "monetizzare", in tempi brevi, capitali immobilizzati, sfruttando il valore di scambio degli strumenti dell'impresa e, al contempo, conservandone l'utilizzo. La causa di tale contratto è lo scopo di finanziamento, in quanto l'imprenditore vende il bene alla società di leasing e lo riprende in uso proprio per ottenere un'ulteriore consistenza di liquidità da utilizzare per la sua impresa. Si può perciò ritenere che in questo strumento negoziale la funzione economica di finanziamento assurga a causa giuridica del contratto, connotando il lease-back come contratto di finanziamento. In termini di qualificazione giuridica, si potrebbe ricondurre il lease-back alla vendita con patto di riscatto, per le sue apparenti affinità. Nei due negozi infatti si ha un doppio trasferimento di proprietà ed un patto con il quale la società di leasing concede all'utilizzatore/venditore il diritto di riacquistare il bene alienato. Tuttavia si differenziano per diversi aspetti. Per prima cosa la vendita con patto di riscatto viene qualificata come contratto a scopo di garanzia, mentre nella locazione di ritorno la vendita ha scopo di leasing; inoltre l'opzione di riacquisto nel lease-back può essere esercitata solo alla scadenza, mentre il riscatto, essendo un diritto potestativo, può essere esercitato in qualunque momento, entro il termine legale massimo. Nella vendita con patto di riscatto, poi, l'acquirente ha interesse all'acquisto della proprietà e il venditore al trasferimento della stessa, mentre nel lease-back il concedente diviene proprietario di un bene che non sceglie ma viene indicato dall'utilizzatore ed inoltre il lessor non ottiene la disponibilità del bene che continua ad essere utilizzato dal lessee. Ancora, nella vendita con patto di riscatto tutti i rischi inerenti al bene sono a carico dell'acquirente, mentre nel lease-back il concedente assume semplicemente il ruolo di intermediario finanziario. Infine, il riscatto deve essere esercitato entro un breve termine (due anni per i beni mobili, cinque anni per gli immobili) e 21 comporta la restituzione del prezzo pagato oltre a rimborsi per spese sostenute, mentre il lease-back ha una durata sicuramente superiore ed inoltre la somma dei canoni e del prezzo di opzione e maggiore del prezzo di acquisto. La locazione di ritorno non può essere nemmeno ricondotta alla vendita con patto di retrovendita, nella quale il compratore viene obbligato alla stipulazione di una nuova compravendita avente il medesimo oggetto, che faccia riacquistare al venditore la proprietà della cosa venduta. Nel lease-back non c'è una pretesa cui sta a fronte l'obbligo dall'altra parte di rivendere, ma un diritto di opzione, ed è sufficiente il suo esercizio per perfezionare la vendita. La dottrina prevalente riconduce il lease-back al contratto di leasing finanziario traslativo: anche se manca il carattere trilatere dell'operazione, lo sdoppiamento funzionale dell'utilizzatore/venditore induce a considerare giuridicamente l'operazione come trilaterale. Inoltre in entrambi i contratti, il bene è acquistato dal concedente al preciso scopo di darlo in leasing; la proprietà e l'utilizzo del bene non interessa al concedente; sia nella locazione finanziaria che nel lease-back un bene viene messo a disposizione verso il corrispettivo di canoni periodici determinati con gli stessi criteri; infine, ambedue i contratti prevedono un'opzione finale di acquisto e assolvono ad una causa di finanziamento. Non mancano, però, elementi di differenziazione. Nel lease-back muta l'oggetto del finanziamento: non più la disponibilità del bene, bensì l'ottenimento di denaro. Inoltre la struttura di tale contratto produce l'effetto di rendere inapplicabili le clausole di esonero da responsabilità del concedente e di cessione all'utilizzatore delle azioni spettanti alla società di leasing nei confronti del fornitore. Il lease-back viene quindi ricondotto al leasing traslativo, in cui i canoni comprendono anche una quota del prezzo che l'utilizzatore corrisponde ai fini dell'acquisto della proprietà del bene e il prezzo di opzione è nettamente inferiore al valore residuo del bene. Di conseguenza in caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore 22 si applicherà in via analogica il disposto dell'art. 1526 in tema di vendita con riserva di proprietà. La figura del lease-back ha suscitato notevoli perplessità in quanto se la somma di denaro qualificata come prezzo della vendita costituisse la concessione di un finanziamento da restituire tramite pagamento di canoni periodici, consentendo al debitore, in seguito all'adempimento di tale obbligo, di riacquistare con l'esercizio dell'opzione la proprietà del bene provvisoriamente trasferita al creditore, il negozio non sarebbe altro che un mutuo assistito da una garanzia reale atipica e quindi un contratto in frode alla legge perché contrastante con il divieto del patto commissorio di cui all'art. 2744 cod. civ. Tale norma esclude che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Si è in presenza di un patto commissorio se esiste un'obbligazione principale da adempiere entro un termine prefissato, se esiste un rapporto (accessorio) di garanzia, se viene aggiunto al negozio di garanzia, contestualmente o anche successivamente, un patto, in forza del quale si trasferisca la proprietà del bene suddetto in caso di mancato adempimento dell'obbligazione principale alla scadenza del termine. La finalità del divieto del patto commissorio consiste nell'esigenza di tutelare il debitore da illecite coercizioni del creditore/concedente che, sfruttando le condizioni di difficoltà economica del venditore/utilizzatore, riesca ad acquistare la proprietà di un bene per un'operazione che è economicamente di tipo finanziario assistito da garanzia, e nell'esigenza di evitare una sproporzione fra l'importo del debito e il valore del bene oggetto dell'accordata garanzia. Vengono mosse però delle obiezioni in quanto la nullità stabilita dall'art. 2744 cod. civ. risulta eccessiva rispetto all'esigenza di protezione del debitore. Secondo un'altra tesi la ratio del divieto del patto commissorio sarebbe da ravvisarsi nella tutela della par condicio creditorum. Con questa si impedisce che il creditore, per effetto di un accordo contrattuale, possa procurarsi una prelazione atipica che gli permetta, in caso di inadempimento, di divenire automaticamente proprietario del bene costituito in garanzia, 23 sottraendolo alla comune garanzia di tutti i creditori. Anche qui non mancano critiche, le quali sostengono che per gli atti pregiudizievoli ai creditori si debba ricorrere all'azione revocatoria che non comporta la nullità dell'intero negozio. Un'altra parte della dottrina individua la ratio del divieto nella necessità, di carattere generale, dell'ordinamento di impedire il "pregiudizio sociale" che l'intera comunità risentirebbe se l'accordo commissorio si diffondesse. Da ciò si desume che non esiste un'unica finalità del patto commissorio, ma resta necessario tutelare sia il debitore sia i creditori. E' nullo sia il patto commissorio relativo a pegno, ipoteca e anticresi sia quello relativo ad un privilegio convenzionale o stipulato dopo il sorgere di un privilegio speciale ex lege. La sanzione della nullità colpisce non solo il patto anteriore alla costituzione dell'ipoteca o del pegno, ma anche il patto posteriore al sorgere della garanzia e rafforzativo della stessa. Viene considerato nullo, inoltre, anche il cosiddetto patto commissorio autonomo, ossia quella convenzione, che, pur essendo svincolata da una precedente o contestuale costituzione di pegno o ipoteca, realizza l'effetto vietato dalla norma. Stessa sorte viene stabilita anche per il patto commissorio obbligatorio, nel quale l'inadempimento del debitore non dà luogo automaticamente al trasferimento definitivo del bene in capo al creditore, ma obbliga il debitore ad effettuare quel trasferimento. Il divieto del patto commissorio, poi, trova applicazione anche con riferimento al negozio con il quale un terzo, e non il debitore, trasferisce, o promette di trasferire, al creditore un proprio bene a garanzia dell'adempimento dell'obbligazione. Per quel che riguarda gli effetti del patto commissorio, una corrente dottrinale considera come non apposta la clausola contenente il patto commissorio. Secondo la corrente più seguita, invece, è necessario indagare se le parti avrebbero o meno costituito la garanzia senza il patto commissorio. Se si prova quest'ultima intenzione, la nullità si estende all'intero negozio di garanzia e il creditore rientra nelle file dei chirografari. Nel caso contrario 24 quest'ultimo, per soddisfarsi, può procedere all'espropriazione della cosa secondo le regole normali, avvalendosi del proprio diritto di prelazione. Sulla liceità del contratto di sale and lease back si sono riscontrate in dottrina profonde perplessità dovute, per lo più, alla sua apparente riconducibilità ad un contratto di mutuo assistito da una garanzia reale atipica, e in generale alle alienazioni in garanzia. In questo caso, il negozio avrebbe una causa illecita, perché la proprietà della cosa verrebbe trasferita al concedente al solo scopo di garantire il debito contratto. La maggior parte della dottrina, però, non considera il lease-back come un'alienazione in garanzia e si schiera a favore della validità in astratto dello stesso. Questo perché nell'operazione di lease-back non sussiste un credito preesistente da garantire tra l'utilizzatore/venditore e il concedente/compratore; inoltre nel contratto di sale and lease-back la vendita si pone come necessario presupposto dell'operazione di leasing e non come "accessorio" a scopo di garanzia e il contratto di vendita non risulta condizionato all'adempimento di una precedente obbligazione; ancora, l'originaria vendita non si risolve automaticamente, dopo il pagamento dei canoni, ma occorre esercitare il diritto d'opzione per riacquistare la proprietà del bene ed infine il patto d'opzione, connotato tipico della locazione finanziaria, è soltanto eventuale. Ciò non toglie però che il lease-back possa essere utilizzato dalle parti per eludere le norme imperative. Per evitare questo occorre perciò accertare la sussistenza o meno di alterazioni rispetto al normotipo contrattuale del lease-back tali da falsare la natura dell'operazione. Secondo la dottrina, il modo per evitare che il lease-back rischi di violare l'art. 2744 cod. civ. sembra essere quello del patto marciano, idoneo a fungere da elemento di salvataggio anche di operazioni sospette di essere affette da un intento di garanzia. Tale patto prevede il riacquisto del bene da effettuarsi al momento del ritrasferimento stesso, conciliando la funzione di garanzia propria dello schema negoziale con l'esigenza di scongiurare un intollerabile squilibrio tra le prestazioni contrattuali. 25 Si sono registrati atteggiamenti oscillanti riguardo la validità del lease-back anche in giurisprudenza, la quale, cercando di tutelare il contraente debole, spesso in passato ha sancito la nullità di tale negozio, considerato in frode alla legge. Questo perché nel leaseback c'è collegamento di negozi veri e reali in sé leciti, ma la funzione di finanziamento è affiancata da una preminente ed indiscutibile funzione di garanzia, che è ricavabile dall'assetto complessivo del rapporto giuridico. Questa tesi, prescindendo da qualsiasi valutazione del caso concreto e senza considerare la peculiarità del contratto in esame, è stata confutata da quella, condivisa dalla maggior parte delle giurisprudenza, che è propensa a riconoscere dei margini di liceità al contratto di lease-back. Infatti in tale contratto manca una garanzia in senso tecnico e l'effettivo trasferimento della proprietà ha immediata efficacia senza essere subordinato ad un futuro inadempimento. Occorre però verificare che nel contratto stabilito dalle parti non siano presenti anomalie rispetto al normotipo contrattuale del sale and lease back. La Corte di Cassazione con la sentenza 10805/95 ha finalmente sancito la validità del contratto in esame e ha accolto la tesi secondo cui si tratta di un contratto socialmente tipico, che, in linea di principio, è lecito, essendo la vendita del bene a scopo di leasing e non a scopo di garanzia. Comunque, il giudice deve verificare in ogni singolo caso se le concrete operazioni poste in essere dalle parti rispettino il modello astratto di lease-back, oppure vengano piegate allo scopo di dare vita ad alienazioni in garanzia. Anche le decisioni più recenti del Supremo Collegio, e in particolare la sentenza n. 13580 del 2004, ribadiscono che il contratto di sale and lease back non è di per sé illecito perché non dissimula sempre l'esistenza di un patto commissorio vietato dalla legge e, peraltro, risponde ad esigenze economico-finanziarie dalla legge stessa ritenute meritevoli di tutela. Tale contratto è nullo per violazione del divieto del patto commissorio soltanto nel caso in cui, per le concrete circostanze di fatto, correttamente e perciò insindacabilmente ritenute esistenti dal giudice del merito, si riscontrino anomalie nella fattispecie concreta, idonee a snaturare la funzione socialmente tipica e a rivelarne lo scopo di garanzia. Sono 26 diversi gli elementi rivelatori della finalità elusiva del divieto di legge delle operazioni di lease-back. In particolare: la mancanza di uno degli elementi soggettivi tipici dell'operazione; la carenza o depotenziamento dell'immediato fine di liquidità; il fatto che il bene locato non sia strumentale all'esercizio dell'attività d'impresa e di consistente valore; la mancanza di interesse dell'utilizzatore a usare il bene dedotto nel contratto; l'apposizione di clausole che lascino nella disponibilità materiale della società concedente il bene dedotto in contratto; l'esistenza di una situazione credito-debitoria preesistente o contestuale alla vendita del bene; la breve durata del contratto; le difficoltà economiche dell'impresa venditrice e la sproporzione tra le prestazioni corrispettive, che sussiste quando non vi sia omogeneità tra i criteri di determinazione del prezzo di vendita, dei canoni e del prezzo di opzione. Inoltre, il rapporto tra le parti viene alterato anche con clausole che, ad esempio, riducono la parte di corrispettivo che viene effettivamente versato al venditore, trattengono temporaneamente una parte del prezzo della vendita spettante all'imprenditore o servono a gestire la fase patologica del rapporto. Il contratto di lease-back consente di poter usufruire di notevoli vantaggi economici e fiscali. Oltre a rispondere all'esigenza di incrementare il capitale circolante attraverso lo smobilizzo (temporaneo) di una parte del capitale fisso senza però perdere la materiale disponibilità del bene precedentemente alienato, l'operazione giuridica di lease-back consente anche vantaggi di natura fiscale: la possibilità di ottenere un finanziamento pari al valore complessivo del bene, poiché la somma percepita dal venditore/utilizzatore è costituita dall'intero prezzo di vendita; e la possibilità per l'utilizzatore di dedurre i canoni di leasing dal reddito rispettando il principio di inerenza, se però la durata del contratto di leasing non è inferiore a otto anni per i beni immobili e metà del normale periodo di ammortamento per i beni mobili. Per quel che riguarda il concedente, l'art. 102, comma 7, del TUIR prevede che la società di leasing effettui l'ammortamento (non anticipato) dei beni in leasing, e precisa inoltre che il lessor determina le quote d'ammortamento in base al 27 relativo piano di ammortamento finanziario. Inoltre, l'IVA relativa a canoni leasing conseguenti alla stipula di un contratto di sale and lease back, può essere portata in detrazione, ex art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, dall'utilizzatore/venditore in quanto gli è stata addebitata dal concedente/acquirente, purché avvenga la consegna del bene al lessee. Per quel che riguarda le imposte sui redditi, quando si verifica la cessione del bene al concedente, in capo al cedente si rileva una plusvalenza imponibile (che può essere imputata in un unico esercizio o imputata nell'esercizio e nei successivi quattro esercizi) o una minusvalenza deducibile, mentre l'impresa di leasing cessionaria potrà dedurre le quote di ammortamento del costo fiscalmente riconosciuto del bene. Quando il bene viene concesso in leasing, l'impresa riscuote i canoni di locazione (componenti positivi di reddito) e l'impresa utilizzatrice corrisponde i canoni di leasing ed è legittimata ad iscriverli al passivo del conto economico (in quanto componenti negativi di reddito deducibili). Infine, se alla scadenza del contratto il bene viene riscattato, il relativo prezzo può essere ammortizzato ai sensi dell'art. 102, comma 7, del TUIR. Nell'ultimo decennio la maggiore cooperazione economica tra gli Stati e lo sviluppo di operazioni finanziarie internazionali hanno contribuito ad accrescere l'utilizzo del leasing internazionale, chiamato anche cross border leasing. Tale fattispecie riguarda i casi in cui: il fornitore e il concedente sono conterranei mentre l'utilizzatore appartiene a un Paese diverso; il fornitore e l'utilizzatore appartengono al medesimo Stato mentre il concedente è di un differente Paese; tutti e tre i soggetti operano in tre diversi ordinamenti nazionali. La complessità dell'operazione viene accentuata dall'operare su due o più mercati: oltre al fatto che i diritti nazionali hanno dato risposte fra loro molto differenziate all'emersione del leasing nella prassi commerciale, soprattutto fra paesi di common law e di civil law, si riscontrano difficoltà tipicamente legate all'attività di finanziamento internazionale e altre dovute al diverso trattamento fiscale e normativo del leasing nei vari paesi. L'Unidroit con la Convenzione di Ottawa del 1988 ha cercato di eliminare queste difficoltà attraverso 28 l'uniformazione dei diritti nazionali in tema di leasing. L'obiettivo che si è proposto Unidroit è stato di predisporre un quadro giuridico organico e proprio dell'operazione di leasing finanziario che superasse sul piano internazionale il livello di incertezza degli ordinamenti nazionali che ricorrono agli schemi contrattuali classici. Questo per stimolare gli operatori a varcare i propri confini nazionali e per diffondere il leasing, come tecnica di finanziamento, a livello internazionale. Per fare ciò, la Convenzione detta una regolamentazione sostanziale uniforme del leasing finanziario, con riguardo solo ai beni mobili non di consumo, solo per le questioni più importanti, tralasciando quegli aspetti propri di ciascun ordinamento per i quali non si è stato in grado di raggiungere soluzioni di compromesso. Per tutti questi aspetti si rinvia alla legge applicabile in base al diritto internazionale privato. La Convenzione, dopo aver definito il leasing finanziario come un'operazione economica complessa di natura trilaterale nella quale una parte (il concedente) stipula un contratto di fornitura, sulla base delle indicazioni di un'altra parte (l'utilizzatore), con un terzo soggetto (il fornitore), ne elenca il procedimento: l'utilizzatore sceglie il bene ed il relativo fornitore; il concedente acquista il bene in funzione del contratto di leasing, circostanza nota al fornitore; i canoni fissati nel contratto di leasing sono calcolati in modo da tenere conto in particolare dell'ammortamento dell'intero costo del bene. La disciplina convenzionale, quindi, è applicabile solo quando al fornitore è nota la destinazione del bene, inoltre la definizione convenzionale del leasing finanziario riconosce esplicitamente il collegamento necessario tra i due contratti di cui si compone l'operazione. Per assicurare, poi, la più ampia diffusione del cross border leasing, la Convenzione trova applicazione a prescindere dalla circostanza che l'utilizzatore abbia, o meno, l'opzione di acquistare il bene o di tenerlo in leasing per un periodo ulteriore (elemento essenziale del contratto nell'area di civl law). Tale Convenzione non si applica a tutti i tipi di leasing: sono esclusi sia il leasing operativo, caratterizzato da una struttura bilaterale in cui manca un legame tra la durata del contratto e il periodo di ammortamento del bene, sia il lease-back, che difetta della natura trilatere e che 29 spesso viene utilizzato nel settore immobiliare, sia il leasing al consumo, che oltre ad avere scarsa incidenza a livello internazionale ha ad oggetto beni non strumentali destinati ad uso personale, familiare o domestico. Rientra, invece, nella sfera d'applicazione della convenzione il subleasing, cioè il contratto, molto frequente a livello transnazionale, con il quale l'utilizzatore concede a sua volta in leasing il bene ad un altro soggetto. Si è di fronte ad un contratto di leasing internazionale solo se il concedente e l'utilizzatore abbiano le loro sedi d'affari in Stati diversi, e sempre che questi Stati e quello in cui ha sede il fornitore siano Stati contraenti. Per sede d'affari si intende il territorio dello Stato dove l'impresa ha una vera e propria stabile organizzazione, cioè in cui esercita tutta o parte rilevante della sua attività. Per ciò che riguarda la derogabilità delle disposizioni della convenzione, l'applicazione della convenzione stessa può essere esclusa solo con il consenso di ciascuna delle parti del contratto di fornitura e di ciascuna delle parti del contratto di leasing. Nel caso in cui l'applicazione della convenzione non sia stata esclusa, le parti, nei loro rapporti reciproci, possono derogare o modificare gli effetti delle disposizioni della convenzione, eccetto quanto previsto dall'art. 8, paragrafo 3 (relativo alla garanzia di pacifico godimento) e dagli artt. 13, paragrafo 3 lettera b, e 13, paragrafo 4 (relativi alle clausole penali e alla decadenza dal beneficio del termine). E' quindi necessario che le parti si siano rese conto dell'applicabilità della convenzione e ciò nonostante abbiano insistito nel fare riferimento unicamente all disciplina interna di uno Stato. Per quel che riguarda il rapporto tra le parti, nel leasing internazionale, il concedente deve garantire il pacifico godimento del bene da eventuali molestie di diritto dei terzi ed è inoltre responsabile per l'eventuale inadempimento, totale o parziale, del fornitore. Infatti, in base all'art. 12, se il bene non viene consegnato o viene consegnato in ritardo o non è conforme al contratto di fornitura, l'utilizzatore ha il diritto, nei confronti del concedente, di rifiutare il bene o di risolvere il contratto di leasing, mentre il concedente ha il diritto di rimediare al suo inadempimento all'obbligo di consegnare il bene in conformità del contratto 30 di fornitura. L'utilizzatore ha, poi, il diritto di trattenere i canoni dovuti in base al contratto di leasing fino a che il concedente non rimedi all’inadempimento dell'obbligo di consegnare il bene in conformità al contratto di fornitura o fino a quando non perda il diritto di rifiutare il bene. Il lessee, inoltre, esercitando l'azione di risoluzione del contratto di leasing, può ottenere il rimborso di tutti i canoni pagati e delle altre somme anticipate, dedotta una somma corrispondente ai benefici che ha potuto ragionevolmente trarre dal bene. Il lessor è invece esonerato da ogni responsabilità per danni arrecati dal bene nei confronti dell'utilizzatore, a meno che siano dovuti alla sua mancanza di capacità di giudizio, ed è esonerato anche da ogni responsabilità nei confronti dei terzi per morte e danni a persone e a cose causati dal bene. Il concedente, infine, è tenuto a rispettare i suoi obblighi anche nel caso in cui ceda tutti o parte dei suoi diritti sul bene. Quando si verifica l'inadempimento dell'utilizzatore l'art. 13 dispone che il concedente può percepire i canoni scaduti e non pagati, gli interessi di mora e i danni. In caso di inadempienza sostanziale, il lessee, dopo aver offerto all'utilizzatore un'effettiva possibilità di rimediare a tale inadempienza, può anche esigere il pagamento dei canoni non ancora scaduti, se così hanno deciso le parti, oppure può risolvere il contratto. Successivamente potrà recuperare il bene e ottenere un risarcimento del danno tale da porre il concedente nella situazione in cui si sarebbe trovato se l'utilizzatore avesse adempiuto. A ciò va aggiunto, ovviamente, che quando il concedente ha risolto il contratto non può far valere una clausola del contratto che prevede il pagamento anticipato dei canoni non ancora scaduti, ma il valore di tali canoni potrà essere utilizzato per il calcolo dei danni risarcibili. Inoltre il lessor stesso non può percepire il risarcimento del danno se non ha adottato tutte le misure necessarie per limitare il danno subito. Infine, nel contratto di leasing può essere apposta una clausola penale, ma tale pattuizione sarà considerata valida tra le parti a meno che essa non comporti un risarcimento eccessivo in rapporto ai danni previsti. 31 In tema di contabilizzazione del leasing, a causa delle carenze normative dell'ordinamento italiano, i principi contabili integrano la disciplina legale di bilancio interpretando in chiave tecnica le norme fornendo specifici elementi che consentono di meglio definirne il contenuto e integrando le stesse mediante l'esplicitazione di criteri, metodi e procedure per alcune specifiche fattispecie previste o meno dal legislatore. Tra questi, i principi contabili internazionali (IAS) hanno rappresentato un modello di riferimento anche nella stesura delle direttive comunitarie. A prescindere dalla maggiore o minore conciliabilità di taluni principi derivanti dall'esperienza contabile internazionale con gli orientamenti della giurisprudenza nazionale, il trattamento contabile del leasing è da sempre al centro di discussioni a livello internazionale, sia sul quesito se il bene concesso in locazione finanziaria debba o meno essere iscritto nell'attivo dello Stato Patrimoniale del soggetto utilizzatore sia sul corretto metodo di iscrizione, nel passivo dello Stato Patrimoniale, del totale degli impegni da corrispondere sotto forma di canoni. Al riguardo una corrente di pensiero conferisce maggior rilievo all'aspetto civilistico-fiscale dell'operazione, mentre un'altra trova applicazione nello IAS 17, il quale prevede che l'utilizzatore del bene contabilizzi il contratto di leasing nel proprio Stato Patrimoniale e lo ammortizzi al pari di un bene di proprietà. Mentre nel leasing operativo, che può essere assimilato al noleggio, l'utilizzatore deve imputare a Conto Economico i costi relativi ai canoni periodici corrisposti all'azienda produttrice per tutta la durata del contratto, senza poter acquistare la proprietà del bene al termine del contratto, la rappresentazione nel bilancio ordinario di esercizio dei beni condotti in dipendenza di un contratto di leasing finanziario, invece, ha tradizionalmente visto la contrapposizione tra il metodo cosiddetto patrimoniale e il metodo finanziario. Le imprese utilizzatrici redigono il bilancio secondo gli schemi ex artt. 2424 e 2425 cod. civ. e le imprese di leasing redigono il bilancio secondo gli schemi previsti dal D.Lgs. 87/1992. 32 Il criterio di rilevazione contabile del leasing finanziario attualmente utilizzato in Italia è quello patrimoniale. In bilancio, vengono rilevati nel sistema contabile principale i canoni di leasing di competenza dell'esercizio e nel sistema contabile supplementare dei conti d'ordine, i residui canoni a scadere. Con tale metodo, il concedente deve contabilizzare nello Stato Patrimoniale i beni concessi in locazione tra le immobilizzazioni materiali, deve procedere all'ammortamento dei beni stessi e iscrivere tra i ricavi di Conto Economico i canoni periodici corrisposti dall'utilizzatore. L'utilizzatore invece non iscrive il bene oggetto del contratto tra le immobilizzazioni né procede al calcolo dell'ammortamento, ma deve contabilizzare i canoni passivi pagati alla società concedente nel Conto Economico tra i "costi per il godimento dei beni di terzi" in funzione della loro competenza economica e, all'atto della stipulazione del contratto, deve iscrivere tra i conti d'ordine il totale dei canoni di leasing residui ancora da versare oltre al prezzo di riscatto del bene, secondo quanto disposto dal principio contabile nazionale n. 12. Al momento del pagamento del canone periodico, poi, l'utilizzatore imputa a Conto Economico l'importo corrisposto alla società di leasing e, contemporaneamente, deve stornare una parte dell'impegno iscritto tra i conti d'ordine nel momento della stipulazione del contratto per un importo pari al canone pagato. Una volta acquistata la proprietà del bene al termine del contratto, il lessee deve iscrivere il bene stesso nell'attivo dello Stato Patrimoniale per un importo pari al valore di riscatto. Il metodo finanziario, previsto dal principio contabile IAS 17, che privilegia la sostanza del contratto rispetto alla sua forma e implica una rilevazione contabile maggiormente aderente al contenuto economico dell'operazione, impone per l'utilizzatore l'iscrizione tra le attività dello Stato Patrimoniale del valore dell'immobilizzazione condotta in leasing e, tra le passività, l'iscrizione del debito verso la società di leasing, pari al valore attuale dei canoni contrattualmente previsti e del prezzo di riscatto. Lo IAS 17 afferma l'imprescindibile necessità di correlare i benefici derivanti dall'utilizzazione del bene concesso in godimento al lessee con l'obbligazione giuridica del pagamento dei canoni. Per tale motivo, l'eventuale 33 non inclusione nello Stato Patrimoniale dell'utilizzatore delle operazioni di leasing finanziario porterebbe ad una sottostima sia delle risorse economiche sia degli oneri finanziari da corrispondere. Un elemento di incertezza di tale principio contabile è costituito dalla "ragionevole certezza" che il lessee eserciti l'opzione di riscatto, elemento assai difficilmente accertabile all'inizio della durata del contratto. I beni in regime di locazione finanziaria devono essere iscritti nell'attivo dello Stato Patrimoniale dell'utilizzatore alla voce "Immobilizzazioni materiali" a partire dal momento della stipulazione del contratto, mentre il debito verso la società di leasing dovrà essere iscritto nel "Passivo e netto", per un importo pari al valore attuale dei canoni a scadere e del valore di riscatto. Nello Stato Patrimoniale dovrà inoltre essere data indicazione dei debiti scadenti entro e oltre l'esercizio successivo, mentre nella Nota Integrativa dovrà essere data indicazione dei debiti di durata superiore a cinque anni. L'adozione del metodo finanziario comporta la scissione nel Conto Economico dell'utilizzatore del canone periodico di leasing tra la quota interessi e la quota a riduzione del debito residuo nei confronti della società concedente in base al tasso d'interesse implicito desumibile dal contratto di leasing e secondo il piano d'ammortamento del finanziamento attenuto, e comporta inoltre la rilevazione delle quote di ammortamento sul valore dei beni acquisiti in leasing, commisurate alla residua possibilità di utilizzo dei beni stessi. Con il metodo finanziario, a differenza del metodo patrimoniale, l'utilizzatore, all'atto della stipulazione del contratto di leasing, iscrive il bene nell'attivo di Stato Patrimoniale. Successivamente, nel momento del pagamento del canone periodico, il lessee registra la diminuzione del debito nei confronti della società di leasing per un importo pari alla quota capitale inclusa nel canone e, in sede di chiusura dell'esercizio, l'utilizzatore rileva le quote di ammortamento del bene in leasing. La scelta tra le due modalità di rilevazione deve essere funzionale al miglior conseguimento della periodica determinazione sotto l'aspetto qualiquantitativo del reddito attribuibile al periodo amministrativo che dà nome all'esercizio e del 34 connesso capitale di funzionamento al termine dell'esercizio stesso. Per fare questo occorre pervenire ad una corretta correlazione tra i ricavi e i costi di competenza dell'esercizio da attuarsi nel Conto Economico che, in relazione a tale tipologia contrattuale, implica di interpretare correttamente le grandezze che tipicamente vengono a rappresentarlo. Il metodo finanziario sembrerebbe quello da preferirsi qualora sia ravvisabile, sulla scorta di elementi contrattuali significativi, l'appartenenza economica del bene strumentale in capo all'utilizzatore, poiché tale metodo consente di rappresentare in modo più corretto la situazione della società sotto il profilo patrimoniale, finanziario ed economico. La preferenza che è stata data al metodo patrimoniale riguarda, in primo luogo, la circostanza che i beni, fino al momento del loro riscatto, non sono di proprietà dell'impresa, sebbene gli stessi siano nella piena disponibilità e che, pertanto, non possano essere indicati tra i beni sui quali i creditori sociali possono rivalersi per il soddisfacimento delle obbligazioni assunte dall'utilizzatore. Ciò non toglie che comunque questi beni possano essere iscritti nello Stato Patrimoniale in quanto l'impresa, che ha deciso di riscattare il bene al termine del contratto, ne ha la disponibilità definitiva e quindi il bene stesso sarebbe giuridicamente non sottraibile senza il consenso dell'impresa utilizzatrice. Ma la scelta del metodo patrimoniale, nel nostro paese, è legata essenzialmente a motivi di ordine tributario, tenuto conto dell'art. 67, comma 8, e, soprattutto, dell'art. 75 del T.U.I.R. che richiede, al fine della deduzione dei componenti negativi di reddito, la loro imputazione a Conto Economico. Il decreto legislativo n. 6 del 17 gennaio 2003 che ha introdotto la riforma del diritto societario ha mantenuto il metodo patrimoniale per la rappresentazione del leasing in bilancio. Ciò nonostante, con il nuovo punto 22) dell'art. 2427 cod. civ., si impone alle imprese utilizzatrici dei beni in leasing l'indicazione, in un apposito prospetto della Nota Integrativa, di tutte le informazioni complementari necessarie per l'adozione del metodo finanziario nonché l'effettuazione dei conteggi caratterizzanti tale metodo, al fine di permettere la valutazione dell'impatto sui valori di bilancio del diverso criterio di 35 contabilizzazione e per rendere più agevole l'interpretazione della situazione finanziaria dell'impresa locataria. Quindi, a partire dal 30 settembre 2004, il soggetto concedente deve specificare nell'attivo dello Stato Patrimoniale quali fra le immobilizzazioni sono concesse in leasing, separandoli dai beni di proprietà, mentre il soggetto utilizzatore deve contabilizzare periodicamente, come costi d'esercizio, i canoni di locazione contrattualmente dovuti, senza rilevare tra le attività i beni oggetto di leasing. Di conseguenza il lessee rileva nel Conto Economico (voce B.8 per godimento di beni di terzi) sia i canoni pagati per i leasing operativi, sia quelli per i leasing finanziari e descrive in un apposito prospetto della Nota Integrativa gli effetti che sarebbero derivati dall'applicazione del metodo finanziario. La Nota Integrativa svolge una funzione esplicativa con riferimento alla relazione tra i flussi delle entrate e delle uscite finanziarie dell'impresa che presumibilmente potranno manifestarsi durante un periodo di tempo futuro più o meno lungo. Questo tipo di informazione finanziaria, già poco desumibile dallo Stato Patrimoniale e dal Conto Economico, in presenza del metodo patrimoniale sarebbe pressoché nulla, essendo limitata all'indicazione dei residui canoni di leasing da pagare all'interno dei conti d'ordine. Secondo il D.Lgs n. 6 del 17 gennaio 2003, in Nota Integrativa dovranno essere indicati: il valore attuale delle rate, relative a canoni non ancora scaduti, determinato utilizzando un tasso di interesse pari all'onere finanziario effettivo inerente i singoli contratti; l'onere finanziario effettivo attribuibile ai singoli contratti e riferibile all'esercizio; il valore complessivo al quale i beni in leasing sarebbero stati iscritti alla data di chiusura dell'esercizio qualora fossero stati considerati immobilizzazioni; gli ammortamenti, le rettifiche e le riprese di valore inerenti all'esercizio. Al fine di redigere questo prospetto, inoltre, l'utilizzatore deve essere in possesso sia del piano di ammortamento del mutuo, con l'indicazione della quota capitale e della quota interessi relativa ad ogni esercizio, sia del piano d'ammortamento del costo originario del bene in leasing finanziario. 36 Anche se ciò comporta un aggravio di tempo e di costi amministrativi, le informazioni contenute in Nota Integrativa permettono di dare una rappresentazione più esaustiva degli effetti che il contratto di leasing produce sulle voci di bilancio. 37