Relazione SLOW FOOT
Transcript
Relazione SLOW FOOT
L’essenziale è invisibile agli occhi. Le tangenziali sono soluzioni che permettono a certuni di sfrecciare molto rapidamente da un punto A a un punto B, mentre certi altri sfrecciano molto rapidamente dal punto B al punto A. La gente che abita nel punto C, a metà strada tra A e B, spesso si chiede cosa ci sia di così importante nel punto A da indurre tanta gente a correrci spostandosi da B, e cosa ci sia di così importante in B da indurre tanta gente a correrci spostandosi da A. Così, la gente del punto C finisce per augurarsi che tutti quei corridori si decidano una buona volta a scegliere una dannata dimora definitiva. Douglas Adams Start Indice 6 9 Introduzione 10 Capitolo uno Ambiti e limiti della tesi 1.1 - Le impostazioni, gli intenti, le sospensioni… ; 1.2 - elementi di una area metropolitana peculiare ; 1.2.1- L’area metropolitana che ha al centro un territorio extra-urbano; 1.2.1- La storia delle pianificazioni comprensoriali ; 1.3- Le premesse ad un sistema di mobilita’ a passo lento; 1.3.1- Crisi economica e crisi ecologica: … e se fossimo noi l’Orso Polare? ; 1.3.2- La mobilità inquinante e le sue dirette conseguenze nella nostra vita ; 26 Capitolo due Quadro conoscitivo degli aspetti naturali 2.1- Inquadramento: la struttura del territorio ; 2.1.1 – Quali sono i limiti? ; 2.2 – Il quadro geomorfologico: la struttura geologica e la sua evoluzione ; 2.3 – La conformazione orografica e costiera ; 2.4– Il sistema delle acque ; 2.5 – Le associazioni vegetali nel sistema ambientale della costa ; 2.5.1 La situazione climatica ; 2.5.2 Le comunità vegetali delle colline livornesi ; 2.5.3 Le comunità vegetali del Monte Pisano ; 2.5.4 Le comunità vegetali della costa ; 2.5.5 Gli ambienti palustri tra gli spiragli delle aree bonificate. 40 Capitolo TRE Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 3.1- Dalle origini all’unita’ d’italia ; 3.1.1- Dal territorio-città alla città-territorio: l’origine del sistema territoriale tra le epoche etrusca e romana ; 3.1.2 - La regressione della città e la trasformazione del territorio: dalla caduta dell’Impero Romano agli albori della Repubblica Pisana ; 3.1.3 – La rinascita del porto e la conquista del Mediterraneo: la Repubblica Pisana ; 3.1.4 – Da centro del mediterraneo a margine di un dominio, il declino della repubblica pisana. ; 3.1.5 – La riorganizzazione economica e sociale: il governo dei Medici ; 3.1.6 – Tra riforma e conservazione: la gestione territoriale dei Lorena ; 3.2 - La storia recente dalle vicende post-unitarie a oggi ; 3.2.1 - Un territorio condiviso, delle strategie divergenti ; 3.2.2 - Tra sventramenti e nuovi limiti cittadini: la definizione di nuovi assetti urbani ; 3.2.3 - Tra le due guerre: interessi nazionali e speculazioni locali ; 3.2.4 - La costruzione delle stazioni balneari del litorale pisano ; 3.2.5 - La questione dei trasporti tra Pisa e Livorno ; 3.2.6 - Il dopoguerra: ricostruzione e progetto della nuova città ; 3.2.7 - Gli anni Sessanta: la prima generazione di piani tra aspettative e illusioni ; 3.2.8 - La seconda generazione di piani: “Dalla Quantità alla Qualità” era solo uno slogan? ; 3.2.9 - La nascita del Parco Regionale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli ; 3.2.10 - Dal P.R.G. al Piano Strutturale: uno sviluppo equilibrato tra qualità e quantità. 88 Capitolo quattro Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici 4.1 - Vocazioni territoriali: aree produttive e aree verdi ; 4.1.1 - La potenzialità della piattaforma logistica costiera di Livorno ; 4.1.2 - Riqualificazione e espansione dell’area cantieristica di “porta a mare” a Pisa ; 4.1.3 - Il parco urbano di “porta a mare” ; 4.1.4 - l’area produttiva di Ospedaletto; 4.2 - Studi e progetti sulla mobilita’ ; 4.2.1 - La valorizzazione dell’aeroporto galilei di Pisa ; 4.2.2 - La nuova connessione aeroporto-stazione ; 4.2.3 - Parcheggio scambiatore di via di Goletta ; 4.2.4 - Il nuovo sistema della mobilità costiera ; 4.2.5 - Funzioni integrate tra sistema ambientale e sistema della mobilità ; 4.2.6 - viali-parco (le ramblas verdi) ; 4.3 - Nuovi ricettori turistici ; 4.3.1 - Il porto turistico di Marina di Pisa ; 4.3.2 - Riconversione a porto turistico delle banchine dei cantieri Orlando a Livorno. 4.4 - Il territorio percepito e percorso attraverso la nostra esperienza ; 4.4.1 - La preparazione del bagaglio culturale da portare nel nostro viaggio ; 4.4.2 - Percorso 1: Canale dei Navicelli – S. Piero a Grado – Tenuta di Tombolo ; 4.4.3 - Percorso 2: Il Canale dei Navicelli fino alla confluenza con il Canale Scolmatore ; 4.4.4 Percorso 3: Da Stagno alla piana di Suese ; 4.4.5 - Percorso 4: Da Ospedaletto a Coltano e ritorno . 112 Capitolo cinque Il nostro progetto: tra verifica e sperimentazione 5.1 - Che cosa e’ lo slow foot ; 5.2 - Come organizzare il sistema di percorsi a passo lento ; 5.2.1 - Gli obbiettivi del progetto ; 5.2.2 - Le strategia d’intervento (Dove fare, come fare) ; 5.2.3 - Le tre fasi del cronoprogramma (lo scacco all’automobile in tre mosse) e la costruzione graduale della trama di percorsi (tirando i fili della mobilità a passo lento) ; 5.2.3 - Il progetto sul territorio (la carta relazionale) e il progetto a scala urbana (la verifica dei nodi) ; 5.2.4 - Una possibile conclusione ; 122 Bibliografia 126 Ringraziamenti Introduzione 9 Questa tesi non riguarda l’intero, complesso sistema di mobilità dell’area metropolitana; non ne affronta la totale estensione, ma solo una porzione significativa; non ha la pretesa di sviluppare e pianificare tutti gli elementi del territorio, ma riguarda un insieme di problemi collegati: una catena di fenomeni che secondo i nostri studi sono da valutarsi nel loro effetto coordinato e complessivo in quanto, sebbene di entità e caratteristiche molto differenti, secondo noi hanno una stessa origine, e forse possono essere risolti, anche solo parzialmente, attraverso un sistema relazionato di soluzioni. Quando abbiamo iniziato ad osservare il territorio tra Pisa e Livorno ci siamo accorti dell’enorme ricchezza di luoghi che possedeva: essi però erano al margine degli sviluppi urbani, compromessi da attività che per scelta o forzatamente erano state espulse dagli ambiti urbani. Così ci è sembrato che questi luoghi, ricchi di storia e di natura, non fossero solo stati espulsi fisicamente, ma anche posti al margine della memoria delle comunità, lasciati al loro lento deperimento. Poi abbiamo constatato le caratteristiche di un area metropolitana con un tessuto urbano molto frammentato, e abbiamo capito che l’elemento che rendeva così saldi i rapporti tra le città non era da rintracciarsi in un tessuto urbano, ma nello sviluppo enorme di interconnessioni infrastrutturali. Un’indagine sulla storia di questo territorio ha rivelato la profonda ed intima identità di un luogo, sempre adoperato per costruire relazioni e comunicazioni locali ma soprattutto “globali”: si pensi al porto della Repubblica Marinara, che commerciava con tutto il Mediterraneo, e all’odierno aeroporto, portale di ingresso in Toscana per molti viaggiatori di tutto il mondo. Quindi da una parte abbiamo individuato la rilevanza strategica di questo territorio all’interno della compagine metropolitana, dall’altra abbiamo osservato il patrimonio di luoghi emarginati che lo componevano. Tra le due questioni si collocava la rete infrastrutturale che lo attraversava in una posizione tale da ritagliarsi un ruolo esclusivo, separato, rispetto al resto del territorio. Ma il problema dell’abbandono di questi luoghi, il problema della percezione comune di questi luoghi, il problema della riqualificazione ambientale e di fruizione del territorio, potevano essere inquadrati quali fenomeni concatenati che avevano origine, secondo noi, nella modalità di vivere e percorrere questo territorio. Così, per definire il nostro obbiettivo generale, ci siamo posti una domanda: è possibile risolvere i problemi di percezione delle qualità di questo territorio, al margine delle zone urbanizzate e allo stesso tempo al centro di un’area metropolitana, attraverso la ricostruzione e la gestione di un sistema di mobilità alternativa? Certo, la domanda posta in questi termini può sembrare riduttiva di un problema più complesso, ed avrebbe bisogno, certamente, di approfondimenti di vario genere. Tuttavia, andando alla sintesi della questione, questa ci permette di concentrare le nostre idee verso uno schema, sul quale poi andremo ad aggiungere vari elementi di complessità fino a fare del progetto un’esperienza dalla quale trarre alcune chiavi interpretative del metodo da noi adottato. Capitolo uno Ambiti e limiti della tesi 10 1.1- LE IMPOSTAZIONI, GLI INTENTI, LE SOSPENSIONI… Per poter definire gli obbiettivi di questa tesi è necessario premettere che il tema qui affrontato è stato lungamente elaborato nelle sue forme. Tuttavia l’impostazione, gli intenti e gli obbiettivi che ci hanno mosso durante l’elaborazione di questo lavoro sono rimasti identici. Questo non perché essi fossero sin dall’inizio considerati degli assiomi, ma perché la ricerca e gli approfondimenti hanno confermato sempre la validità delle nostre ipotesi. Forse abbiamo subìto l’effetto di reciproca influenza tra la nostra capacità percettiva e ciò che studiavamo - quello che nella Filosofia della Scienza viene chiamato “Principio di Indeterminazione di Heisenberg”, ovvero la forma di dipendenza reciproca tra il soggetto osservatore e l’oggetto osservato - alterando inevitabilmente il risultato. D’altra parte l’indeterminazione della nostra ricerca è sempre stata una caratteristica accettata, forse ricercata, per opporsi al determinismo che affligge ancora oggi la disciplina urbanistica e pianificatoria, convinti che la realtà, come afferma il sociologo George Simmel, è una “rete di relazioni di influenza reciproca tra una pluralità di elementi”; e così il senso di un territorio, essendo somma dei significati che la comunità che lo abita gli assegna, non può essere colto in maniera sistemica ma deve essere analizzato nella sua complessità intera di elementi fisici e metafisici. Partiamo dall’impostazione della tesi. Nel 2009, nell’affrontare il nostro ultimo esame di progettazione - il Laboratorio di Sintesi in Pianificazione Territoriale, tenuto dal Prof. Giorgio Pizziolo - ci fu chiesto di lavorare sul territorio del Par- co di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli. In questo ambito constatammo le difficoltà con cui l’Ente Parco affrontava quotidianamente gli abusi che si compiono nelle aree marginali del territorio, aree che subiscono la vicinanza di grandi centri urbani e di attività spesso molto inquinanti o incongrue rispetto ai caratteri naturali del parco. D’altra parte la percezione del patrimonio naturale da parte della popolazione è molto scarso, e questo ha determinato una serie di fenomeni di trasgressione delle regole nell’uso del territorio. Il nostro obbiettivo era quindi quello di individuare delle possibili forme di relazione tra le aree urbane e il parco, più rispettose del patrimonio naturale, e al contempo più calibrate sulle necessità di spazi verdi attrezzati per le aree urbane. Nel nostro caso scegliemmo di occuparci dei confini meridionali del parco, ovvero di quel territorio compreso tra Pisa e Livorno, tra la pianura bonificata attorno alla tenuta di Coltano e le spiagge di Marina di Pisa, Tirrenia e Calambrone. Osservando questo territorio e la sua situazione contestuale, ci accorgemmo che pur essendo poco urbanizzato era attraversato da un numero non indifferente di infrastrutture, ed intuimmo che l’uso di queste infrastrutture era legato al fenomeno di interdipendenza tra i centri urbani dell’area, in particolare tra Pisa, Livorno e Collesalvetti: un’area metropolitana peculiare. Questa definizione ci sembrò calzante dato che l’area metropolitana era tale non perché esistevano saldature urbane - anzi l’area si presentava con evidenti discontinuità urbanistiche - ma grazie all’esistenza di un grande spazio di relazioni e comunicazioni interposto tra le città; questo spazio oltre ad avere ca- ratteristiche rurali e naturali tutelate dell’Ente Parco, accoglie anche funzioni espulse dalle città: si veda l’esempio della base militare, delle discariche, dei campi Rom, dell’interporto, delle zone produttive, del porto e dell’aeroporto. Quindi l’impostazione del nostro lavoro subì una modifica integrale, in quanto stava nascendo in noi la consapevolezza di un problema diverso da quello proposto dall’analisi iniziale; avevamo individuato una catena di fenomeni negativi che avevano la stessa origine e che forse potevano essere risolti con un’unica operazione. Tale catena era costituita dai problemi legati alla scarsa percezione delle risorse del territorio, dall’abbandono dei luoghi che lo costituivano, dalla difficile convivenza tra ambienti naturali e urbani; così ipotizzammo che la catena di problemi fosse legata al modalità con cui i soggetti, frequentatori abituali od occasionali, si relazionavano con il territorio. Osservammo che le più frequenti relazioni tra i soggetti e il territorio avvenivano nel momento dell’attraversamento, durante il viaggio lungo le autostrade, le ferrovie o addirittura l’aereo o la nave: questo comportava che il territorio nell’immagine comune era visto come un vuoto tra una città e l’altra. Tale paesaggio “intermedio” ,1 attraversato a grande velocità, spazio di conquista delle periferie, assume quindi un ruolo marginale ed affascinante all’interno dell’area metropolitana, come afferma Pepe Barbieri nel suo libro “Metropoli Piccole”: “Nelle metropoli piccole la maggior rarefazione dell’artificio (il tessuto urbano) rispetto alla natura (ciò che è extraurbano - interurbano) sembra ammettere la possibilità di una concezione di dispositivi spaziali fondati sulla dialettica tra costruito e vuoti, tra continuo e discontinuo, in una sorta di sincope tra diversi materiali e temi di progetto. Si tratta di temi che non si proiettano istantaneamente sul territorio, attraverso una definita prefigurazione, ma si definiscono come parti strategiche della trasformazione: coaguli da cui possono svilupparsi più storie e nuovi racconti di questi 1 Questa è una definizione data ai vuoti urbani della città di Torino dal gruppo di Architetti e ricercatori, Isola, Giammarco, Rigamonti, Bazzanella paesaggi.” 2 Tuttavia la fragilità di questo territorio è tanto maggiore quanto più esso viene banalizzato, degradato, semplificato al solo ruolo di corridoio connettivo. Ma come si può tornare a percepire i valori del territorio, preservandolo dal degrado e dalla dissoluzione? La nostra risposta riguarda la modalità con cui si percorre il territorio. Abbiamo ipotizzato che tornando ad avere la possibilità di percorrere il territorio con mezzi e modalità forse più lente ma qualitativamente migliori venga aumentata la percezione dei valori migliorando anche la 2 Pepe Barbieri, Metropoli Piccole, 2003, Meltemi editore, Roma, p.49 Elaborato grafico tratto da: Regione Toscana, Giunta Regionale, Giuseppe De Luca (a cura di) Piano di Indirizzo Territoriale, le regole e le strategie, 2003, Edizioni Giunta Regionale, Firenze. 11 Ambiti e limiti della tesi 12 qualità delle relazioni tra i soggetti e i luoghi attraversati. Questo implica l’obbiettivo di concepire un nuovo modo di percorrere e vivere il territorio. Fu chiaro sin dall’inizio che per perseguire tale obbiettivo era necessario analizzare la percorribilità esistente e potenziale del territorio; il nostro intento era quello di verificare che esistessero le condizioni per poter creare una rete di percorsi che connettessero gli elementi di qualità e i luoghi del territorio, e al contempo permettessero di attraversare il territorio da Nord verso Sud, da Est verso Ovest. Abbiamo così constatato che esisteva una griglia di percorsi - nati durante la bonifica e la seguente colonizzazione del territorio, ed oggi sottoutilizzati un patrimonio di strade e percorsi di campagna che collideva con il sistema di viabilità stradale, autostradale e ferroviaria. Inoltre la presenza di canali navigabili e di infrastrutture dismesse, come il tracciato della tramvia PisaTirrenia-Livorno, costituivano un’occasione da sfruttare per riorganizzare la mobilità leggera con economicità, garantendo una multimodalità di percorrenza e quindi una calibrazione più sostenibile delle distanze da compiere. Quindi esisteva la possibilità di riorganizzare il patrimonio di infrastrutture a lenta percorrenza, determinando delle nuove modalità di percorrere e vivere il territorio tra Pisa e Livorno e costruire una rete di relazioni più forte tra i soggetti e i luoghi attraversati: lo Slow Foot. I nostri obbiettivi si possono così distinguere in due gruppi: il primo riguarda la comprensione del territorio e dei suoi sistemi di percorrenza, il secondo riguarda l’organizzazione di una maglia di percorsi per migliorare la qualità della percezione del territorio e del tempo trascorso per muoversi al suo interno. Durante l’elaborazione della tesi abbiamo affrontato molti temi diversi: dall’urbanistica all’architettura, dal tema sociale al quello economico, dalla storia del territorio alla tecniche di mobilità morbida, dalla sostenibilità allo sviluppo del territorio. Il nostro approccio all’interdisciplinarietà del problema ci ha indotto a determinare - pur fermandoci là dove le nostre competenze venivano meno - un limite molto lieve e variabile al nostro campo di ricerca. Così la tesi spesso giunge alla definizione di alcuni aspetti lasciandone altri sfumati, più eterei, sino alla sospensione artificiosa di alcuni di essi, consci del nostro limite culturale: abbiamo, per dirlo in altre parole, inserito dei “punti di sospensione”. D’altra parte operazioni di tale complessità, nella loro possibile successiva verifica nella realtà dei fatti, sono possibili solo attraverso una forte sinergia con altri soggetti: tecnici, esperti, amministrazioni, cittadini, utenti occasionali, ecc., che possano colmare le tante lacune culturali. 1.2- ELEMENTI DI UNA AREA METROPOLITANA PECULIARE 1.2.1- L’area metropolitana che ha al centro un territorio extra-urbano Come accennato in precedenza, il territorio tra Pisa, Livorno e Collesalvetti è interessato da processi di sviluppo socio-economici enormi; si pensi solo al significato della localizzazione nell’arco di circa venti chilometri di una struttura aeroportuale e di una portuale di rilevanza nazionale, la presenza di un Autostrada, e di una superstrada, di tracciati ferroviari molto importanti nonché la presenza di canali navigabili di estrema rilevanza logistica. Il territorio che abbiamo osservato si può descrivere come un enorme contenitore di funzioni a carattere metropolitano: escludendo l’utenza proveniente da aree dell’ambito nazionale e regionale (che convergono in questa zona per usufruire dei servizi di mobilità forniti dal porto e dall’aeroporto), si osserva la presenza di una grande varietà di utenti locali (residenti nei comuni della conurbazione Pisa-Cascina-Pontedera-Ponsacco e nel corridoio metropolitano di Livorno-Collesalvetti) che utilizza le infrastrutture ed i servizi di quest’area. In altri termini se per varie ragioni (tra cui la capacità dell’Ente Parco di preservare gli ambiti naturali e rurali del territorio dall’urbanizzazione, la presenza di una base militare molto estesa, la lontananza dai servizi delle città, ecc.) il territorio tra Pisa e Livorno non è stato urbanizzato, incorrendo in una saldatura fisica delle propaggini urbane lungo questa direzione (esistono altri esempi di aree metropolitane policentriche come la Parma-Reggio Emilia-Modena- Bologna) questo non significa che tale territorio non rivesta un ruolo strategico in termini metropolitani. Esso è a tutti gli effetti una grande struttura connettiva. Così il senso di elevare ad area metropolitana3 un comprensorio multiforme e policentrico è intimamente collegato all’enorme quantità di relazioni che intercorrono tra queste città, non solo in termini di pendolarismo o di scambio di materie e beni commerciali, ma soprattutto per le strette forme d’interdipendenza che si sono istituite tra le attività economiche, culturali e sociali del comprensorio. Quanto detto può essere constatato in vari modi, basta ad esempio osservare la ripartizione di grandi opere infrastrutturali sui territori comunali, che poi vengono messe a sistema integrandosi tra loro (si pensi al triangolo intermodale: Porto di Livorno-interporto di Guasticce-Aeroporto di Pisa), oppure si possono osservare i fenomeni di localizzazione ai margini cittadini, in direzioni reciprocamente affini, di attività produttive o terziarie a rilevanza territoriale, la distribuzione della popolazione residente dei fenomeni di pendolarismo, ed infine constatare che le amministrazioni in tempi e modalità diverse hanno spesso previsto sviluppi condivisi, sotto varie forme di pianificazione settoriale. La peculiarità di questa forma di area metropolitana sta nell’assenza di fenomeni urbani convenzionali. I centri urbani non hanno saldature rilevanti: sono apprezzabili la forte disomogeneità urbana e la forte frammentazione edilizia che determinano una struttura del territorio a macchia, nella quale trovano posto ampi spazi che preservano una configurazione di tipo rurale e naturale, ma soprattutto l’insieme di strutture e infrastrutture presenti nel territorio extra urbano che rappresentano il vero baricentro dall’area metropolitana. La struttura di quest’area quindi può essere assimilata ad un anello, nel quale gli elementi periferici sono costituiti da una massa urbana diversamente densa, mentre al centro vi è un grande 3 In Italia la legge che istituisce le città metropolitane quali enti amministrativi autonomi è la L. n.142 del 8/06/1990, che prevede la possibilità di formare tale ente solo “nelle aree metropolitane in cui sono compresi i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria”. spazio extra-urbano, luogo delle relazioni tra le parti esterne. Questo centro acquista ancora più rilevanza, in termini di strategie di sviluppo dell’area metropolitana, se si accenna alla grande varietà di ecosistemi naturali presenti, nonché al patrimonio di forme rurali architettoniche e territoriali che permangono a memoria del passato sfruttamento agricolo di quest’area. L’insieme di questi elementi, di queste forme di costruzione del paesaggio, potrebbe, se preservato e valorizzato, rappresentare il fulcro per la costruzione di un’ identità territoriale condivisa e ben riconoscibile. 1.2.1- La storia delle pianificazioni comprensoriali Oggi le operazioni necessarie per lo sviluppo delle infrastrutture sono state attuate o programmate nella parziale assenza di un quadro complessivo delle trasformazioni, e senza il supporto programmatico di un piano coordinatore inter-comunale. Comunque non può essere negato un forte interessamento delle amministrazioni comunali, provinciali e regionale. In tempi e modalità diverse le amministrazioni hanno lavorato allo sviluppo di scelte comprensoriali e alla formazione di piani d’indirizzo sovra-comunali, per gestire e risolvere medesimi problemi a carattere territoriale, e dare indirizzi di sviluppo chiari ed armonici alla crescita urbanistica. Tuttavia l’interruzione delle procedure prima dell’approvazione ha reso questi tentativi fallimentari, lasciando al buon criterio dei singoli pianificatori e amministrazioni comunali scelte a carattere comprensoriale. La prospettiva di coinvolgere più realtà comunali nella programmazione di uno sviluppo metropolitano, prese forma durante gli anni Sessanta. Infatti, sebbene già in epoca fascista fossero state realizzate diverse opere a carattere comprensoriale( la bonifica della pianura, il potenziamento delle ferrovie tra Pisa e Livorno, lo sviluppo del sistema integrato di trasporto, stivaggio e commercio, della merce dal porto di Livorno ai mercati di Pisa), un dibattito attorno alla adozione di accordi economici e di sviluppo urbanistico programmatici tra le diverse amministrazioni prese piede solo durante le conferenze economiche 13 Ambiti e limiti della tesi degli anni Sessanta. La ragione che inizialmente spinse le amministrazioni di Pisa, Livorno, e alcuni comuni vicini tra cui Pontedera, fu: 14 “la necessità di una precisa e rigorosa azione di coordinamento dei vari P.R.G., tale da delineare un piano urbanistico di livello comprensoriale, nel quale dovranno trovare posto per prima importanza, le scelte di zone per lo sviluppo industriale, salvaguardando il paesaggio, con la possibilità di sviluppo del turismo e con le esigenze di riqualificazione dell’agricoltura.”4 La conferenza più rilevante dal punto di vista programmatico, svoltasi a Livorno nel 19685 nacque per dare risposta a quattro questioni problematiche e molto complesse: risolvere i “problemi posti dalla pianificazione in ordine alle esigenze di sviluppo economico e civile con particolare riferimento al porto di Livorno ed alla localizzazione delle industrie; (la questione dell’) insediamento di alcune infrastrutture di primaria importanza (superstrada Firenze-Pisa-Livorno, completamento della E1-A12, aeroporto civile di Pisa); (dotare il comprensorio) di un sistema di servizi e di attrezzature di base; (rispondere) alla necessità di confrontare scelte che venivano a porsi in relazione a quanto andava esprimendosi con le soluzioni previste dai vari piani regolatori che contrastavano spesso tra di loro, richiedendo una rigorosa verifica in sede attuativa.” 6 Per risolvere tali problemi era stata commissionata ad un gruppo di tecnici guidati da Edoardo Detti la redazione di un programma di lineamenti per un piano urbanistico comprensoriale “con riferimento particolare agli insedia4 Conferenza Economica del comprensorio Pisa – Pontedera – Livorno Atti ufficiali, 1968, Benvenuti & Cavaciocchio editori, Livorno, Vol. 2, p.158 5 Conferenza Economica del comprensorio Pisa-Pontedera-LIvorno 6 Dino Raugi (Sindaco di Livorno) in Conferenza Economica del comprensorio Pisa – Pontedera – Livorno Atti ufficiali, 1968, Benvenuti & Cavaciocchio editori, Livorno, Vol. 2, p.3 menti produttivi”.7 I lineamenti che vennero presentati alla conferenza, e contenevano una serie di indirizzi programmatici per lo sviluppo delle aree produttive nel comprensorio, ma anche per la preservazione del patrimonio di ambienti naturali e paesaggistici, oltre che per il miglioramento dell’assetto infrastrutturale dell’area. Detti scrive che “nonostante l’apparente eterogeneità delle direttrici e delle conurbazioni, di fatto il sistema ha in sé, e nei suoi caratteri di diversità, tutte le condizioni di complementarità (produttive, culturali, infrastrutturali, commerciali e di ambiente) per la formazione di un sistema di tipo metropolitano.” 8 Per poter dare forma alle scelte compiute nei lineamenti, il territorio venne suddiviso in sette zone tipologiche, definite “Aree funzionalmente omogenee”: grandi parchi costieri e collinari, aree agricole d’importanza primaria, aree di consistenza urbana, sistemi infrastrutturali regionali e metropolitani, grandi attrezzature comprensoriali, direttrici di localizzazione industriale, settori di riserva.”9 Le proposte più rilevanti furono relative al sistema infrastrutturale, alle attrezzature comprensoriali e alla localizzazione delle aree produttive. Detti propose per le prime un riassetto delle linee ferroviarie, potenziando la tratta Pisa-Collesalvetti-Cecina per il trasporto e la logistica di merci, prevedendo la realizzazione di un braccio ferroviario per prolungare il tracciato Livorno-Collesalvetti sino a Pontedera, per il collegamento diretto tra il Porto di Livorno e l’entroterra. Inoltre si propone la possibilità di utilizzare la rete ferroviaria interna e il tracciato abbandonato della Pisa-Tirrenia-Livorno per i trasporti pubblici metropolitani. Per quanto riguarda le attrezzature a carattere culturale, commerciale e tecnologico, i lineamenti propongono l’individuazione di una cintura continua di sevizi con la duplice funzione di completamento del 7 Conferenza Economica del comprensorio Pisa – Pontedera – Livorno Atti ufficiali, Op. cit., Vol 1 8 Edoardo Detti in: Conferenza Economica del comprensorio Pisa – Pontedera – Livorno Atti ufficiali, Op. cit., Vol 1, p.398 9 Edoardo Detti in: Conferenza Economica del comprensorio Pisa – Pontedera – Livorno Atti ufficiali, Op. cit., Vol 1, pp.398, 399 sistema urbano Pisa-Collesalvetti e di integrazione del centro servizi posto nell’area di Cisanello dal P.R.G. di Pisa. Viene definita anche la possibilità di localizzare, in funzione delle soluzioni stradali e ferroviarie, un’area con funzioni logistiche e di deposito per lo sviluppo del sistema di trasporto con containers, chiamato “porto terrestre”, previsto tra Livorno e Collesalvetti, che rappresenta la prima versione dell’interporto di Guasticce. Questa scelta venne compiuta per riorganizzare il porto di Livorno “senza investire altre aree costiere ma trasferendo in località più idonee le attività estranee a tale destinazione.”10 Per quanto riguarda la previsione per l’assetto industriale, i lineamenti prevedevano due tipologie d’intervento, il controllo qualitativo e quantitativo delle previsioni nei P.R.G. comunali e l’indicazione di due assi per l’ampliamento delle aree industriali, uno tra Livorno e Guasticce per localizzare tipologie industriali di grande dimensione e di rilevanza nazionale, e uno tra Pisa e Pontedera dove localizzare attività produttive di minori dimensioni e rilevanza locale. All’inizio degli anni Settanta venne commissionato dalla Provincia di Livorno uno studio che approfondiva alcuni temi della stagione programmatica del decennio precedente. In particolare nel 1973 venne pubblicato lo studio per un piano territoriale di coordinamento per la provincia di Livorno redatto da un gruppo di ricercatori della Facoltà di Architettura di Firenze guidato da Edoardo Detti. Il lavoro del gruppo aveva al centro dello studio la regolamentazione, la tutela e lo sviluppo del territorio “non urbano” della provincia, con l’obbiettivo di riequilibrare l’assetto urbanistico con una gestione più accorta delle risorse naturali e di proporre degli indirizzi di sviluppo delle città che rispettassero appunto i valori paesistico-territoriali limitrofi. Interessante in questo studio è la riproposizione di alcuni temi dei lineamenti 10 Edoardo Detti in: Conferenza Economica del comprensorio Pisa – Pontedera – Livorno Atti ufficiali, Op. cit., Vol 1, p. 401 per il piano comprensoriale del 1968, con l’approfondimento per la localizzazione di aree residenziali, terziarie e produttive per lo sviluppo urbanistico di Livorno. Il gruppo di ricercatori propone l’istituzione di una grande regione protetta, nella quale si potevano preservare i caratteri rurali e naturali esistenti. A questo proposito l’intero territorio delle colline Livornesi, dalla costa non urbanizzata ai suoi crinali, veniva suddiviso in tre tipologie di aree: la prima, una corona che comprendeva tutta la fascia pede-collinare, veniva tutelata nei suoi aspetti storico-rurali, qualificandola quale “parco agricolo”; la seconda e la terza, collocate principalmente sulla parte superiore delle colline, erano destinate a costituire delle aree parco, il “parco territoriale” per il turismo itinerante, e le aree protette “parco forestale” ovvero aree da tutelare in toto nella loro fitocenosi forestale. Un altro elemento d’interesse era l’organizzazione dell’area di pianura di Guasticce, dove accanto alla rete infrastrutturale, composta dal tracciato ferroviario Livorno-Collesalvetti, dalla superstrada Fi-PI-LI e da un’arteria urbana di collegamento, si innestavano le nuove aree produttive per l’industria pesante, e in una zona collegata direttamente alla ferrovia e alla superstrada, venivano collocati i servizi logistici. Intanto, nel 1970 venivano svolte le prime elezioni politiche per la formazione dei Consigli Regionali, determinando la nascita istituzionale dell’ente regionale quale organo legislativo, che veniva dotato di uno statuto. L’ istituzionalizzazione a lungo attesa concesse all’Ente Regionale alcuni poteri legislativi, prima statali, dando la possibilità all’ente regionale di rivestire un ruolo di coordinatore delle iniziative provinciali, comunali e comprensoriali. Questo ruolo, tuttavia, in Toscana tardò ad entrare in funzione almeno sino al 1977, quando venne approvato il Dpr. 616/1977, che attuava il primo trasferimento organico di funzioni dallo Stato alle Regioni. La questione della pianificazione territoriale e la suddivisione di competenze in questo ambito era lontana dall’essere definita. Il Dpr. 616/’77 consente alle Regioni di redigere piani pluriennali di spesa. 15 Ambiti e limiti della tesi 16 Questo strumento rappresenta il primo elemento di programmazione vera e propria; pur non essendo ancora un programma, esso contiene indicazioni politiche molto forti. Il ruolo che la Regione Toscana intendeva attribuire all’interno del sistema degli strumenti decisionali era legato alla capacità di diventare un quadro di riferimento, di fornire indicazioni strategiche generali,di individuare un primo nucleo di strumenti: i comprensori, le conferenze di programmazione, i progetti di area o di settore, attraverso i quali realizzare le scelte generali contenute nel programma con il concorso delle altre amministrazioni. Nasce così il “Quadro di Riferimento Territoriale”, una parte del Piano Regionale di Sviluppo che individua il luogo in cui trovano composizione gli obbiettivi e gli strumenti dello sviluppo economico e quelli della pianificazione territoriale, individuando negli ambiti comprensoriali e nelle associazioni comunali la dimensione adeguata per la gestione di tali programmi di sviluppo. Tutto ciò portò ad un rilancio della pianificazione sovra comunale, che aveva conosciuto, durante gli anni Settanta, un periodo di forte stagnazione: le iniziative locali venivano così guidate da strumenti d’indirizzo ma anche di vincolo, che trovavano attuazione attraverso i Piani Territoriali di Coordinamento e i Piani Paesaggistici. Altra questione è quella dell’impegno nella tutela ambientale, che è parte integrante degli obbiettivi di sviluppo della Regione. Dal 1977, con il Dpr. n. 616, veniva stabilito tra l’altro il trasferimento alle Regioni delle competenze relative alla protezione della natura, alle riserve e parchi naturali. I parchi nazionali e le riserve naturali di importanza nazionale rimasero di competenza dello Stato, così come la protezione del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico. Tuttavia veniva dato avvio ad una stagione di grande mobilitazione per la tutela delle risorse ambientali della regione. La Toscana, assieme al Piemonte e alla Lombardia, fu una delle prime regioni a presentare dei disegni di legge in materia di tutela ambientale. Già nel 1975 era stato istituito il primo Parco Regionale, che preservava una porzione della Maremma. Nel 1979 venne istituito il Parco Regionale Migliarino San Rossore Massaciuccoli, con cui venne messa sotto tutela una grande fetta di territorio costiero che si estende dalla Versilia a Livorno. Pur trattando la storia del parco in un paragrafo a parte, in questo contesto bisogna dire che all’istituzione del parco seguì una stagione di pianificazione territoriale locale molto intensa. Un gruppo di esperti coordinato da Prof. Pier Luigi Cervellati fu chiamato a redigere un piano territoriale di coordinamento, “il Piano del Parco” che aveva l’obbiettivo di stabilire non solo gli elementi di tutela del territorio, ma anche, ed è riconoscibile qui l’approccio di Cervellati, di includere un contenuto d’indirizzi propositivi verso la costruzione di un territorio non urbano, di qualità paesaggistica e naturale elevata. Data l’estensione dell’area, più di ventitremila ettari, e il complesso quadro di amministrazioni coinvolte, cinque comuni e due province, il piano si proponeva anche quale strumento per l’organizzazione del territorio intercomunale. Senza pretendere il ruolo di piano comprensoriale, esso difatti definiva i valori e gli indirizzi di alcuni frammenti di territorio all’interno dei confini del parco, ma anche tra le città, come nel caso del territorio delle Tenute di Tombolo e Coltano, comprese tra Pisa e Livorno. Negli anni Ottanta vengono sviluppati alcuni processi di pianificazione territoriale grazie alla rete di normative e strumenti che la Regione Toscana aveva predisposto. E’ il momento della sperimentazione e delle verifiche. Nell’ambito di questa fase si inseriscono alcune esperienze molto interessanti. Nel 1984 la Giunta regionale promuove un’iniziativa volta a predisporre direttive e orientamenti per il coordinamento sovra-comunale degli strumenti di pianificazione dell’area Livorno – Pisa. Tale iniziativa porta, nel 1986, alla costituzione di un gruppo tecnico11 appositamente incaricato di redigere una 11 Il gruppo è coordinato da Manlio Summer, vi partecipano: prof. Luigi Airaldi, prof. Marco Massa, ing. Pietro Marini, ing. Giovanni Rossi, arch. Francesco D’Angelo, arch. Giovanni Maffei Cardellini, ing. Sergio Paglialunga. serie di documenti da presentare alla “Conferenza d’area” , svoltasi nel 1988, per il coordinamento degli interventi di pianificazione territoriale. La decisione di avviare questa conferenza “… nasce dall’insieme di scelte concorrenti tendenti ad assegnare all’area i caratteri di nodo infrastrutturale del sistema insediativo regionale, seppure essa non presenta caratteristiche di sviluppo urbano omogeneo. ”12 Tra il 1988 e il 1990 viene redatto un documento molto importante, che ad oggi si può individuare come il più completo studio dei processi di trasformazione metropolitana dell’area, e come strumento per la definizione di criteri ed indirizzi per lo sviluppo sostenibile di tali processi. Si tratta dei Lineamenti dello Schema Strutturale per l’area Livorno-Pisa. I “lineamenti” rappresentano gli elementi essenziali dello Schema che sono stati elaborati dalla Regione e dalle Province di Pisa e Livorno e dovranno essere verificati assieme ai comuni dell’area coinvolta. L’obbiettivo guida per la definizione di questo strumento fu quello di adeguare il processo di pianificazione, e quindi i margini di sviluppo, alla salvaguardia, alla valorizzazione e al recupero del sistema ambientale. In questo senso venne ritenuto necessario un approccio non solo basato su vincoli e limitazioni d’uso del territorio, ma anche su regole e criteri per la gestione e la conservazione delle risorse. Da questo primo obbiettivo ne derivarono tre a carattere generale, che erano riferiti: “alla tutela, alla utilizzazione e alla riqualificazione delle risorse ambientali; alla riqualificazione e allo sviluppo degli insediamenti; alla definizione del sistema di infrastrutture di interesse nazionale e regionale e, comunque, sovracomuinale.” 13 12 Conferenza per il coordinamento degli interventi di pianificazione territoriale nell’area Pisa-Livorno in, G. De Luca, La pianificazione regionale in Toscana: 1984-1990, «Quaderni di Urbanistica Informazioni», n. 10, 1991, p. 49 13 Regione Toscana, Province di Livorno e di Pisa, Lineamenti dello Schema Strutturale per l’area Livorno – Pisa, Tirrenia 01/03/1990 Quindi il territorio fu articolato in tre “comparti strutturali”: il sistema ambientale complessivo, il sistema insediativo, il sistema delle infrastrutture e delle strutture di trasporto. Attraverso questa articolazione fu possibile osservare il confronto tra i tre sistemi strutturali, ma anche valutare l’effetto diretto della pianificazione urbanistica sul sistema ambientale, determinare nuove aree rispetto alle quali finalizzare le direttive dello Schema Strutturale e delineare tali direttive soprattutto nei contenuti generali. In altre parole i lineamenti furono concepiti per delineare le condizioni generali di compatibilità tra ambiente e sviluppo urbanistico del territorio. Ciò vale in particolar modo per i comparti strutturali relativi all’ambiente e agli insediamenti. Per il primo i lineamenti assunsero l’ambiente quale strumento ordinatore del governo del territorio, dividendo il territorio stesso in sistemi ambientali caratterizzati da fattori di omogeneità. Per ognuno di essi vennero individuate le emergenze naturali ed antropiche, ed indicati gli interventi edilizi ed infrastrutturali ammissibili, nonché le leggi regionali e le procedure urbanistiche da adottare per adeguare gli strumenti urbanistici comunali. Per i sistemi insediativi furono constatate due caratteristiche strutturali: una relativa stabilità delle forme insediative, ed una forte discontinuità del tessuto urbanistico. In particolare, la caratteristica della discontinuità venne ritenuta fortemente caratterizzante in questo ambito di costa toscana (difatti la presenza di due città capoluogo a pochi chilometri di distanza, di un centro industriale importante come Pontedera, di centri minori molto dinamici come Cascina, farebbe pensare ad un unico tessuto urbano, quando invece, nella realtà dei fatti, questi elementi dell’area metropolitana non si sono mai saldati del tutto). Tale discontinuità rendeva possibile integrare ed organizzare i rapporti tra ambiente urbano ed ambiente extraurbano, identificare con chiarezza i sistemi urbani e la loro organizzazione interna , rendere continui i sistemi ambientali extraurbani. Per quanto riguarda il sistema infrastrutturale, i lineamenti lasciano aperte 17 Ambiti e limiti della tesi 18 molte questioni, rimandando ad una successiva verifica delle condizioni della rete. Tuttavia vennero stabiliti degli obbiettivi generali che potessero fungere da indirizzi. In particolare vennero evidenziate alcune necessità, tra cui: realizzare un trasporto pubblico integrato nell’area, lo studio di fattibilità e la successiva realizzazione di una bretella che raccordasse la FI.PI.LI. con la Darsena di Pisa, un nuovo raccordo a Nord-Ovest di Pisa per l’A12 e l’ammodernamento dell’Aurelia, la riattivazione della linea tranviaria Pisa – Tirrenia – Livorno, la definizione di una serie di interventi sulle idrovie dell’area, ed una verifica delle condizioni di fattibilità tecnica dell’interporto di Guasticce. Il lavoro della commissione tecnica venne presentato durante la conferenza d’area del 1990. Il passo successivo sarebbe stato la trasmissione e l’adozione, da parte del Consiglio regionale, dello schema strutturale, quale atto del quadro regionale di coordinamento territoriale. Tuttavia il procedimento subì una consistente frenata a causa di alcune divergenze politiche, e lo schema venne accantonato. Successivamente,in maniera separata venne dato avvio ad altri atti programmatici come “Il coordinamento degli strumenti urbanistici dell’area pisana”. Con questo strumento la provincia di Pisa, soggetto incaricato di predisporre gli atti relativi al coordinamento degli strumenti urbanistici dei comuni dell’area pisana (Pisa, Calci, Cascina, San Giuliano Terme, Vecchiano, Vicopisano), intendeva dotarsi di un quadro di riferimento per gli sviluppi urbanistici seguendo gli indirizzi dei lineamenti dello schema strutturale. Per questo motivo fu costituito un gruppo di lavoro che aveva quali consulenti tecnico - scientifici, il prof. arch. Luigi Airaldi (proveniente dall’esperienza dei lineamenti), e il prof. arch. Giovanni Astengo (autore del preliminare di P.R.G. di Pisa). A causa della scomparsa di entrambi nell’arco di un anno, nel 1991 vennero designati a sostituire il coordinamento il prof. arch. Leonardo Benevolo, l’arch. Vezio De Lucia e il prof. arch. Bruno Gabrielli. Le elaborazioni furono ultimate e consegnate nel settembre del 1992, ma non conseguirono alcuna efficacia, anche e soprattutto perché la dimensione sovracomunale dell’attività di pianificazione era ormai generalmente identificata con la pianificazione territoriale provinciale, la cui costruzione era stata ormai avviata con la Legge 142 del 1990, che stabiliva la possibilità per le amministrazioni provinciali di dotarsi di un Piano Territoriale di Coordinamento della provincia. Nella 1991 la provincia di Pisa decise di avviare la redazione di un piano territoriale provinciale. Il lavoro si articolò in tre fasi sequenziali e interconnesse: l’elaborazione di una metodologia generale corredata da un programma operativo di massima, che venne approvato dal Consiglio provinciale nel 1992; la redazione del progetto preliminare, approvato nel 1994; la stesura definitiva del piano conclusa nel 1995. La sopraggiunta L.R. 5/95 e l’imposizione da parte della Regione di un sostanziale adeguamento al nuovo assetto normativo in materia di governo del territorio, vanificarono gli sforzi compiuti sino ad allora. Previsioni fondanti di questo primo piano erano la tutela dell’identità culturale e fisica del territorio e la previsione di possibili indirizzi di sviluppo. La difesa del patrimonio paesaggistico e la difesa del suolo venivano affidati, conseguentemente all’individuazione dei caratteri da considerare invarianti del territorio, alla definizione di una strategia per la gestione, la conservazione e il conseguente sviluppo del territorio. L’individuazione delle trasformazioni compatibili era invece legata alla redazione di una serie d’indirizzi programmatici; in particolare, il piano individua nella “… continuità edilizia da Pisa a Pontedera (…) (un asse nel quale si presentavano) tutti i difetti delle conurbazioni spontanee ma anche tutte le potenzialità di un sistema lineare e ben infrastrutturato (…) il luogo privilegiato dei nuovi interventi e del riuso delle aree dismesse.”14 Successivamente al 1995 il piano fu rielaborato ed adeguato al nuovo assetto normativo. L’adeguamento non riguardò tanto i contenuti d’indirizzo, quanto piuttosto la parte di prescrizioni immediatamente prevalenti sugli strumenti di pianificazione sottordinati, competenza che la L.R. 5/’95 non attribuita in 14 Vezio De Lucia, in Filippo Ciccone e Giovanni Soda (a cura di), Il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Pisa, 2001, Pacini Editore, Ospedaletto (Pi) toto al P.T.C.P.. Dopo l’approvazione nel 1998, il piano è rimasto operativo, anche se è stato più volte aggiornato. Infatti la modifica alla Legge 5/’95 attraverso la L.R. 1/2005 e i processi di sviluppo urbanistici condotti dalla programmazione dei Piani Strutturali di alcuni comuni della Provincia, avevano reso necessaria l’elaborazione di nuove strategie d’indirizzo. Con i suoi adeguamenti, il P.T.C.P ‘98 è ancora oggi il piano territoriale di coordinamento vigente. Per quanto riguarda la Provincia di Livorno, venne definito un programma di lavori che consentisse la redazione di un piano provinciale già dal 1992. La definizione dello strumento di coordinamento si inseriva nel solco delle esperienze passate di pianificazione d’area vasta e tuttavia rappresentava il primo piano a scala provinciale. Per l’impostazione di tale piano fu fondamentale l’apporto degli studi svolti durante le conferenze per l’area Pisa-Livorno. L’obbiettivo generale dell’amministrazione provinciale è quello di : “porre le basi di un nuovo ciclo di sviluppo che sia essenzialmente caratterizzato dalla sostenibilità, avvii una riconversione ecologica dell’economia, per quanto è possibile su scala locale, individui e incoraggi l’innovazione in tutti i campi per innescare nuove attività trainanti capaci di generare nuova occupazione.” 15 Il significato alla base delle scelte del piano quindi è da individuarsi nel connubio tra sviluppo economico e preservazione ambientale, il piano si presenta per ciò quale piano d’indirizzi e di strategie ma anche quale piano dell’identità e dell’integrazione territoriale. Questo ne determina, da una parte, il carattere previsionale che sviluppa degli indirizzi per la costruzione di un rapporto più armonico tra aree urbane e naturali, dall’altra punta ad individuare le caratteristiche peculiari di ogni territorio, rafforzando l’identità specifiche ed integrando il patrimonio in un 15 http://www.provincia.livorno.it, PTC 1998, La strategia sistema complesso. Giunto all’approvazione nel 1998 il P.T.C. della provincia di Livorno è stato rinnovato nel 2009 con nuovi indirizzi strategici di cui non si riportano per ragioni di brevità i contenuti. Analizzando quando detto sino ad ora, possiamo tirare alcune conclusioni. Se le ragioni economiche hanno motivato, negli anni Sessanta, lo sviluppo di strategie comuni per l’area Pisa-Livorno, successivamente la Regione, attraverso le normative in materia di governo del territorio e tutela ambientale, ha promosso la redazione di strumenti volti al coordinamento territoriale. Tuttavia è innegabile che, dopo l’introduzione nel quadro normativo del P.T.C.P. e della L.R. 5/’95, il processo di coordinamento intercomunale ed interprovinciale tra le amministrazioni del comprensorio metropolitano è andato estinguendosi. L’assenza di un piano per l’area è anche e soprattutto la dimostrazione che gli strumenti di pianificazione e programmazione territoriale hanno sempre fallito in questo ambito, non tanto e non solo a causa delle impostazioni culturali, ma soprattutto, a nostro avviso, per l’incapacità di cogliere e gestire le diverse dimensioni di un territorio metropolitano. Il piano territoriale, come abbiamo visto, nasce come strumento regolatore dello sviluppo urbano in rapporto alla capacità di gestire, preservare e valorizzare l’ambiente, ma questo inevitabilmente implica un approccio sistemico all’analisi del territorio, alla formulazione e alla verifica delle criticità, ed infine alla definizione di indirizzi. Quindi un organismo complesso viene studiato per parti, con la pretesa di poter risolvere la maggior parte dei problemi, dallo sviluppo urbanistico, alla mobilità, alla gestione ambientale, senza una visione complessiva, se non nella redazione degli elaborati grafici. Tuttavia anche la scelta di intervenire settorialmente sembra destinata a fallire, perché implica un’approssimazione troppo grande delle relazioni che intercorrono tra le parti dell’area metropolitana. Le nostre deduzioni quindi si muovono verso la definizione di strumenti complessi che, inseriti in un quadro più ampio di coordinamento strategico, una 19 Ambiti e limiti della tesi 20 conferenza d’area metropolitana, ad esempio, che definisca i problemi e gli obbiettivi, risolvano specifici gruppi di problemi affini, attraverso un piano di valorizzazione e di gestione delle risorse. L’esperienza progettuale di questa tesi è appunto da inquadrare all’interno degli strumenti urbanistici ad una scala intermedia tra i piani d’indirizzo territoriale e quelli di pianificazione comunale. Infatti il nostro progetto si relaziona ai Piani territoriali di Coordinamento e ai Piani Strutturali, senza però essere un approfondimento o una banalizzazione dei loro contenuti. Noi proponiamo la formazione di uno strumento operativo per la gestione e la risoluzione di alcune problematiche del territorio, ma anche uno strumento d’indirizzo strategico per lo sviluppo delle risorse locali. Ma procediamo per passi brevi. Il paragrafo successivo è stato scritto per una presentazione al Dottorato di Ricerca in Pianificazione Urbanistica e Territoriale della Facoltà di Architettura di Firenze. Sebbene sia stato ideato in un periodo nel quale ancora le questioni poste dalla tesi erano poco sviluppate, il tema trattato si rivelò fortemente connesso a quello della tesi. Difatti in quell’occasione riflettemmo sul rapporto tra crisi economica e crisi ecologica quali fenomeni connessi, ma anche su come la mobilità privata, svolta attraverso l’uso dei mezzi molto inquinanti, fosse parte di un problema più ampio che riguardava la qualità dell’ambiente in cui si svolge la nostra vita, la qualità stessa del tempo che noi trascorriamo in movimento, la percezione sdoppiata (tra quando siamo guidatori, e quindi soggetti attivi del problema, e quando, da cittadini, il problema lo subiamo) che abbiamo rispetto all’uso dell’automobile. 1.3- LE PREMESSE AD UN SISTEMA DI MOBILITA’ A PASSO LENTO 1.3.1- Crisi economica e crisi ecologica: … e se fossimo noi l’Orso Polare? Thomas L. Friedman - editorialista di politica estera del New York Times, nonché affermato scrittore - si chiede nel suo ultimo saggio ( dal titolo “Caldo, piatto e affollato”) “perché Citibank, le banche Islandesi e le piattaforme di ghiaccio dell’Antartide si sono sciolte contemporaneamente”16 , un’ arguta osservazione che mette in relazione i sintomi del collasso economico ed i segni del collasso ecologico. L’obbiettivo di Friedman è quello di mettere in evidenza come eventi apparentemente separati siano frutto dello stesso sistema, approccio, attitudine, ovvero la completa mancanza di prospettiva e di programmaticità che rende la nostra esistenza sulla Terra sempre più insostenibile per l’ecosistema. La crisi economica che stiamo vivendo ha scosso le basi politiche ed economiche del mondo, un terremoto che ha lasciato numerosi segni del suo passaggio e che continua a tre anni dalle prime scosse a farsi sentire. Tutto è iniziato, a voler semplificare una questione ben più complessa, quando gli istituti bancari americani hanno aumentato vertiginosamente la stipula di mutui subprime (mutui sulla prima casa concessi a persone con reddito basso o incerto). Le famiglie statunitensi accendono mutui per quasi l’intero importo della spesa, anche nel caso in cui si preveda di non poterne pagare le rate anno dopo anno, cercando di rifinanziare il debito per quella parte che non si è riusciti a pagare. Se il valore della casa cresce, chi ha contratto un mutuo che non può più sostenere, ad esempio per l’aumento del tasso variabile, può sempre rivenderla coprendo il debito. Come sostiene Alessandro Roncaglia nel suo libro “Economisti che sbagliano. Le radici culturali della crisi.”: Gli stessi istituti di credito avevano fatto questi ragionamenti, e ne avevano concluso che era possibile offrire mutui [...] subprime […]. Sarebbe bastato che il prezzo delle case salisse più rapidamente del debito, e tutti sarebbero vissuti felici e contenti. Ad esempio, con il valore della casa che sale da 100 a 200, anche se il debito verso le banche sale da 100 a 150, il patrimonio di chi ha comprato la casa cresce anche al netto 16 T. L. Friedman; Caldo, piatto e affollato “Hot, Flat and Crowded”; Milano, Arnoldo Mondadori Editore; 2009; p. 7 del debito e le banche possono registrare nei loro bilanci, accanto alle entrate per gli interessi del mutuo, un giro d’affari in espansione17 Una buona percentuale dei mutui immobiliari però era stata concessa con un tasso di interesse variabile, e quando tra il 2006 e il 2007 i tassi si sono alzati, le rate dei mutui sono aumentate mettendo in difficoltà un numero crescente di mutuatari. Il tasso di morosità dei mutui è cresciuto soprattutto per la larga presenza di mutui subprime a forte rischio di insolvenza, il numero di nuovi mutui si è ridotto drasticamente ed il mercato immobiliare è entrato in crisi facendo scendere i prezzi delle case. “Se il valore della casa scende, o se diventa difficile trovare qualcuno che rifinanzi la parte di mutuo che non si riesce a pagare, arrivano i guai. Chi aveva contratto un mutuo troppo alto si trova in difficoltà.” 18 Questo sistema speculativo, che si fondava sulla facile concessione di mutui, era favorito da un clima politico fiducioso19 e dalla disponibilità di enormi liquidità monetarie. Questo enorme eccesso di liquidità è stato causato dagli investimenti, sul mercato americano, di speculatori asiatici e di esportatori di petrolio mediorientali; queste speculazioni avevano abbassato drasticamente gli interessi legati ai titoli di stato nazionali, favorendo la ricerca di nuovi mezzi di profitto più lucrosi, mezzi che l’ingegneria finanziaria statunitense determinò con sbalorditiva rapidità. Aiutati dalla liberalizzazione dei mercati, gli istituti finanziari 17 A. Roncaglia, Economisti che sbagliano. Le radici culturali della crisi, RomaBari, Editori Laterza, 2010, p.18 A. Roncaglia, op. cit., p.19 18 A. Roncaglia, op. cit., p.19 19 “Questi sviluppi erano stati resi possibili dalla liberalizzazione delle attività finanziarie portata a compimento dal Gramm-Leach-Bliley Act del 1999 e sostenuti per anni dal presidente della Federal Reserve Bank, Alan Greenspan” A. Roncaglia, op. cit., p. 26 avevano sviluppato, come afferma Roncaglia, “tecniche di bundling o «impacchettamento»: cioè avevano messo assieme vari mutui trattandoli come un unico attivo. Avevano poi trasferito questi pacchetti di mutui a società appositamente costituite (le cosiddette SIV, Special Investment Vehicles) e tenute fuori dal proprio bilancio.” Queste società si indebitavano emettendo prestiti obbligazionari, dove il pacchetto, cioè il bond - anche noto come MBS (Mortgage-Backed Securities, cioè titoli garantiti da ipoteche) o più in generale CDO (Collateralized Debt Obligation) - era costituito dai mutui precedentemente trasferiti dall’istituto finanziario con il quale erano stati contrati a grandi compagnie come Citybank, Merrill Lynch, oppure Fannie Mae e Freddie Mac, cioè “istituti a partecipazione statale creati per lavorare con gli intermediari e i banchieri dei mutui primari, per assicurare loro i fondi da prestare agli acquirenti delle case ad un tasso sostenibile.” 20 I gestori di titoli di tutto il mondo hanno comprato i CDO, “essi rendevano meglio del tasso medio delle obbligazioni del Tesoro, cosa che permetteva alle banche e ai titolari dei fondi di rimpinguare il proprio bilancio con strumenti finanziari che sembravano sicuri” .21 I titoli avevano un mercato molto esteso anche perché le agenzie di certificazione avevano considerato relativamente moderato il rischio ad essi legato .22 Per rendere più sicuri i CDO essi venivano suddivisi in tranches: una parte del bond veniva accompagnato dal diritto di rimborso e pagamento delle cedole prioritarie (era soggetta a questa convenzione la parte valutata con minor rischio, cioè quella costituita da mutui affidabili; essa veniva assorbita soprattutto da gestori di fondi con obbligo di comportamento cauto), mentre le altre parti avevano via via un 20 T. L. Friedman, op. cit., p.17 21 T. L. Friedman, op. cit., p.18 22 Il rischio era considerato modesto sulla base della tesi che “mentre per il singolo mutuo l’incertezza è notevole, per un ampio gruppo di mutui vale la legge dei grandi numeri: solo alcuni non andranno a buon fine e la loro quota sarà modesta, come risulta dall’esperienza del passato.” A. Roncaglia, op. cit., p.20 21 Ambiti e limiti della tesi diritto di rimborso subordinato (queste tranches erano costituite dai mutui più rischiosi che permettevano di ottenere rendimenti più elevati, e per questo venivano assorbiti dalle stesse banche o da fondi più speculativi, come gli Hedge Founds ). Come afferma ancora Thomas L. Friedman, nell’opera precedentemente citata: 22 “Mentre un numero sempre maggiore entrava in gioco, i margini di profitto, un tempo ampi, hanno cominciato a ridursi. Perché le banche ottenessero lo stesso tipo di ritorno, dovevano inserire in un CDO un pacchetto sempre più ingente di prestiti, creando in sostanza delle bombe più grosse.” 23 Su questa base si erano poi sviluppate coperture assicurative, in particolare i contratti di assicurazione sul rischio di mancato, rimborso dei mutui i cosiddetti CDS (Credit Default Swaps). La AIG (American International Group) si rivelò l’immagine-simbolo di questo tipo di innovazione finanziaria-assicurativa: dopo il 2000 il colosso assicurativo americano aveva virato dal suo settore principale, cioè quello di fornire assicurazioni sugli immobili e sulla vita, verso il settore delle assicurazioni finanziarie, emettendo un numero enorme di CDS. Quando milioni di persone si trovarono in difficoltà nel pagare le rate dei loro mutui subprime, l’AIG dovette fornire ai clienti, che avevano acquistato i CDS assicurando le tranche più rischiose dei loro CDO, un rimborso assicurativo enorme che non possedeva. La crisi è quindi da imputare non tanto a comportamenti illeciti, bensì a quello che è stato fatto in piena luce ed è stato permesso dalla società e dai suoi rappresentanti politici. La completa mancanza di prospettive a lungo termine, comportamento tipico dell’investitore finanziario, ha portato a sottovalutare largamente i rischi: con un approccio riduttivo si considerava la possibilità che una parte non rilevante 23 T. L. Friedman, op. cit., p.23 delle speculazioni sui subprime sarebbe fallita sottovalutando la reazione a catena che questo fallimento ha comportato. Il clima di sfiducia generalizzato dei mercati ha rallentato gli acquisti e quindi anche l’economia reale. Invece di comprendere le possibili conseguenze sistemiche, cioè legate ad una progressione geometrica degli eventi, si è valutato il loro effetto puntuale, sottovalutando molto le conseguenze delle scelte politiche ed economiche attuate. Quando si guarda allo stato del nostro ecosistema, al surriscaldamento globale, o all’inquinamento delle risorse naturali, si possono individuare gli stessi difetti di prospettiva e di sottovalutazione del rischio. Così si scopre che mentre i primi nodi della crisi economica giungevano al pettine, durante l’estate del 2007, si registrava la regressione dei ghiacci artici più grande mai osservata da quando si effettuano rilevazioni satellitari (1979) .24 Questa riduzione sembra causata dal surriscaldamento globale indotto dall’incremento anomalo di gas serra nell’atmosfera, ed è aggravata dalla riduzione del fenomeno di riflessione della luce e quindi dal calore della calotta glaciale, mentre l’acqua che ne prende il posto assorbe i raggi riscaldandosi ulteriormente. Come avviene spesso in natura, e come abbiamo visto anche in economia, si osserva una correlazione degli effetti ed un incremento o una regressione esponenziale: diversi fenomeni non si sommano aritmeticamente, ma si raf- 24 Secondo lo statunitense NSDIC (Centro Dati Nazionale della Neve e dei Ghiacci), durante l’estate 2007, l’estensione del mare ghiacciato artico è scesa ai livelli più bassi da quando sono cominciati i rilevamenti satellitari nel 1979. Tenendo in considerazione le misurazioni da aereo effettuate durante gli anni cinquanta, la quantità della riduzione può essere stimata nell’ordine del 50%. Anche una comparazione delle condizioni alla fine dell’Agosto 2005 e 2007 mostra una chiara riduzione in entrambi i casi dell’estensione e della concentrazione ghiaccio marino. Tratto dal sito http://www.telespazio.com forzano reciprocamente. Nella primavera del 2009, quando ormai la crisi economica mondiale aveva colpito interi sistemi nazionali (si veda la crisi Islandese, dove il sistema è giunto al tracollo a causa di una politica finanziaria ultra-liberista), si osservava il distaccamento di un’enorme barriera di ghiaccio - la piattaforma Wilkins, alta 20 metri slm e con una superficie di circa 15500 kmq - dalla penisola occidentale dell’Antartide. Calotte di ghiaccio simili si sono disintegrate sempre più spesso negli ultimi cinquanta anni; queste piattaforme, che in alcuni casi persistevano nello stesso posto da più di 10000 anni, si sono disintegrate a causa del surriscaldamento globale. Questa perdita incolmabile aggrava decisamente le condizioni del nostro ecosistema; lo scioglimento del ghiaccio libera nell’atmosfera ulteriori gas serra in esso intrappolati; la riduzione della calotta aumenta l’assorbimento di calore da parte dei mari; l’aumento dell’evaporazione causa un aumento delle precipitazioni torrenziali là dove sono già presenti alti tassi di piovosità; viceversa si riducono le precipitazioni dove vi sono tassi più bassi. Questi ed altri effetti rendono più fragile ed instabile il mondo in cui viviamo, e l’ecosistema ha difficoltà nel sostenere le nostre attuali pretese. Se lo scioglimento dei ghiacci polari mette a serio repentaglio la sopravvivenza di alcune specie animali come l’orso polare, ho il sospetto che presto, se non saremo in grado di cambiare il nostro agire quotidiano, pesando meno in termini di consumo sulla nostro ecosistema, ci ritroveremo anche noi in un’ isola artificiale che galleggia in mezzo al nulla, senza possibilità alcuna di sopravvivere in un mondo diventato a noi ostile. La Terra è stata da sempre soggetta a cambiamenti climatici anche notevolmente rapidi. Questi cambiamenti sono indotti dal mutamento dell’orbita terrestre, da eruzioni vulcaniche che rilasciano nell’atmosfera una notevole quantità di ceneri che fungono da ombrello e schermano la Terra dalle radiazioni solari, o da massicci rilasci naturali di gas serra provenienti dal sottosuolo (come il metano, che assorbe molto più calore dell’anidride carbonica causando un periodo di surriscaldamento globale). Tuttavia nella storia recente della Terra, diciamo negli ultimi trecentocinquanta anni, il cambiamento climatico causato dal surriscaldamento dell’atmosfera è direttamente imputabile alle nostre attività. Attraverso la combustione di carbonfossile e idrocarburi, la coltivazione intensiva di cereali, l’allevamento di bestiame e la deforestazioni del nostro patrimonio boschivo, abbiamo agito attivamente sulla quantità di gas serra presenti nell’atmosfera. Da quanto si legge nel rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite del 2007 si può constatare, dai rilevamenti svolti sui ghiacci dell’Antartide, che negli ultimi diecimila anni, fino alla metà del XVIII secolo (avvento della Rivoluzione Industriale), la quantità di biossido di carbonio CO2 - il gas serra più presente nell’atmosfera - era circa di 280 ppm. Oggi questa quantità si attesta intorno ai 380 ppm. L’unico fenomeno che può spiegare una differenza tanto cospicua in un periodo così breve è l’emissione di carbonio dovuta all’uso industriale dei combustibili fossili. Come scrive Thomas L. Friedman: Si può […] affermare che le principali funzioni per le quali l’uomo chiede e usa energia sono la luce, il calore, il lavoro meccanico, la forza motrice e l’elettricità, sfruttata, quest’ultima, sia per generare ciascuna delle altre quattro, sia in campi assolutamente peculiari […]. A partire dalla rivoluzione industriale tutte queste funzioni dell’energia sono state alimentate in primo luogo, anche se non esclusivamente, da combustibili fossili che emettono biossido di carbonio.25 Ma l’uso di combustibili fossili è legato anche alla modalità più diffusa con cui ci muoviamo sulla superficie terreste, e ciò con l’automobile. 25 T. L. Friedman, op. cit., p. 93 23 Ambiti e limiti della tesi 1.3.2- La mobilità inquinante e le sue dirette conseguenze nella nostra vita 24 Nei primi anni del XX secolo si generò una nuova rivoluzione nel campo dei trasporti: fu inventato il motore a combustione interna ed esso venne impiegato successivamente per la propulsione di auto e camion. Questo progresso tecnologico cambiò decisamente lo stile di vita e l’economia delle società più industrializzate dell’epoca. L’automobile alimentata a benzina fu inventata in Germania alla fine del XIX secolo, mentre la moderna produzione in serie, e l’introduzione della catena di montaggio industriale, si devono ad Henry Ford. La rapida diffusione della macchina ha determinato una decisiva trasformazione del commercio, rendendo il greggio incredibilmente prezioso, in quanto fondamentale per l’alimentazione dei mezzi. Con l’automobile le distanze si accorciavano e la possibilità di spostarsi con facilità da un luogo all’altro in breve tempo contribuì, assieme alla delocalizzazione delle industrie nelle fasce periferiche della città, al cosiddetto fenomeno della sub-urbanizzazione. Prima le industrie, poi le abitazioni e quindi tutte le altre funzioni si spostarono dal centro alla periferia ponendosi ad una distanza sempre più grande l’una dalle altre. Questo fenomeno andò sviluppandosi, generando il sistema infrastrutturale delle autostrade, un sistema completamente incernierato sullo spostamento di merci e persone attraverso gli automezzi privati, con conseguente consumo di suolo e reciproco allontanamento delle attività umane. Oggi le automobili hanno una voce rilevante tra le fonti che, attraverso la combustione di idrocarburi, emettono nell’atmosfera biossido di carbonio quale scarto della combustione: possiamo infatti far attestare il contributo del mezzo di trasporto privato sul 20% del totale dell’inquinamento da biossidi prodotto dalle attività umane. Questo vuol dire che ogni giorno attraverso le nostre richieste di mobilità - con automezzi - di merci e persone contribuiamo per un quinto al totale inquinamento prodotto. La questione è resa ancora più grave se si pensa che le altre componenti dell’inquinamento sono generalmente molto più percepite dalla popolazione quali fattori negativi, mentre nell’uso del mezzo privato subiamo una forte divergenza di percezione del problema: da quando rivestiamo il ruolo di soggetti attivi nel traffico, da guidatori che non si accorgono dei problemi causati dal loro mezzo, o nel momento in cui diventiamo soggetti passivi, e quindi subiamo l’effetto dell’inquinamento e ci indigniamo per tale problema, Questo fattore può spiegare almeno in parte perché, a fronte di un problema riconosciuto dalla popolazione, il numero di macchine presenti nelle strade aumenta invece di diminuire. Ma guardando alla questione della mobilità nel nostro paese, si può osservare che in Italia l’automobile ha accompagnato nel secondo Dopoguerra la ripresa economica e successivamente il boom degli anni Sessanta. L’industria dell’auto e il suo indotto nel nostro paese sono stati così rilevanti da non poter distinguere quale sia effettivamente il suo contributo all’industrializzazione e alla crescita di ricchezza del paese. Tuttavia oggi abbiamo ormai oltre 60 auto ogni 100 abitanti contro una media europea di 46 su 100: questo ci rende il paese con il più alto tasso di motorizzazione del mondo, escludendo gli Stati Uniti. La grande quantità di auto che ogni giorno si riversa nelle strade delle nostre città ha reso, con il tempo, molto ridotta la flessibilità dell’automobile: la nostra capacità di spostamento è più complessa e condizionata. Come sostiene Riccardo Ciuti in “Ripensare la mobilità urbana”: Ciò che si poteva fare venti anni fa, adesso non si può più fare. Spostarsi in città con l’auto privata oggi non è più possibile per la insufficienza degli spazi di circolazione e di sosta rispetto alla domanda. Questa è l’amara verità che ogni automobilista deve accettare. La crescita del numero di veicoli in circolazione ha abbassato fortemente la velocità media (che va intesa come media tra zero, nelle code, e velocità spesso superiori ai limiti) aumentando l’inquinamento e quindi la crisi di vivibilità delle città. Non si tratta di esprimere volontà avverse all’auto, magari ideologicamente precostituite, ma di fare una semplice constatazione di fatto: le macchine non c’entrano più, ne è immaginabile una trasformazione della città così radicale da ridare spazi adeguati alle macchine, nemmeno a lungo termine. Di qui la necessità di ripensare il modello di mobilità urbana.26 Volendo speculare sui costi economici ed ecologici del veicolo privato in Italia, si scopre che oggi esso pesa enormemente nell’economia di una famiglia: l’ISTAT ci dice che la famiglia italiana ha mediamente un reddito disponibile di 2800 Euro al mese. Ne spende 650 per la casa, 450 per mangiare, e 800 per l’automobile (l’auto è già molto costosa in sede d’acquisto, aggiungiamo poi il costo di tasse di circolazione e assicurazione - spese fisse sostenute a prescindere dall’utilizzo del mezzo – ma soprattutto carburante, spesa direttamente proporzionale all’utilizzo del mezzo). Queste spese familiari, a livello nazionale, generano un flusso economico di circa 200 miliardi di Euro all’anno, e questa enorme quantità di denaro produce in Italia una voce d’entrata allo Stato che si aggira intorno ai 40 miliardi di Euro tra Iva e Accise. Lo Stato trasferisce ogni anno per la gestione dei trasporti pubblici 6 miliardi di Euro che, sommati alle spese dei cittadini per il costo del biglietto, determinano un giro di affari di circa 20 miliardi. I numeri non tornano: il rapporto tra la spesa complessiva per il mezzo privato e quella per il mezzo pubblico è di dieci a uno, uno squilibrio che costa all’ambiente oltre 130 milioni di tonnellate di CO2 all’anno; occorre aggiungere che nel nostro paese il settore dei trasporti è quello che “sfora” di più quanto a riduzione di emissioni gas serra. 26 R. Ciuti, Ripensare la mobilità urbana, Pontedera, Bandecchi&Vivaldi Editori, 2004, pp. 12, 13 Questa sconsiderata gestione della mobilità implica l’obbligo di acquistare crediti di emissioni di CO2 sul mercato internazionale per una cifra tra gli 8 e i 12 miliardi di Euro, oltre al pagamento di una penale più o meno simile a Bruxelles per non aver rispettato gli impegni comunitari. Questi costi ricadono sulla nostra comunità e, come spesso accade, anche sul nostro ecosistema: si privatizzano i guadagni e si socializzano le perdite. Non è l’automobile in sé il problema - essa ha reso la nostra vita qualitativamente e quantitativamente migliore - il problema è legato all’eccesso di mezzi che circolano, favorito da politiche nazionali e industriali sconsiderate. Oggi il mercato dell’auto è saturo ed il modello produttivo è in crisi: occorre ripensarlo. Innanzitutto, per essere sostenibile, non può più essere monoline, ma deve integrare la produzione all’interno di un sistema che riprogetta anche il modo di spostarsi. “Che ci sia, nel modello di consumo dominante, un evidente elemento di irrazionalità se non di follia è semplicemente testimoniato dal fatto che si comprano auto la cui velocità massima possibile è di norma doppia dei limiti ordinari di velocità vigenti nelle strade extra urbane, autostrade escluse. Più in generale si può affermare che si usa l’auto più del necessario, perché la si possiede. I costi fissi dell’auto (acquisto, manutenzione, assicurazione, bollo, ecc.) sono tali che solo usandola il costo riportato al chilometro scende.” 27 Quindi, per rendere più sostenibile economicamente ed ecologicamente il nostro spostamento, si deve ripensare il modello di mobilità, cioè il modello di consumo dello spostamento, che sino ad ora ha dominato. Se non vogliamo che la situazione peggiori dobbiamo passare da un sistema “quantitativo” nel quale l’obbiettivo principale è spostarsi velocemente attraverso il mezzo privato, che è comunque un’ illusione, ad un sistema “qualitativo” in cui lo spostarsi acquista valore rendendo il tempo impiegato migliore e il mezzo usato più sostenibile. Ovvero dal “Fast Foot” allo “Slow Foot”. 27 R. Ciuti, op. cit., p. 12 25 Capitolo due Quadro conoscitivo degli aspetti naturali 26 2.1- INQUADRAMENTO: LA STRUTTURA DEL TERRITORIO Quando abbiamo iniziato a confrontarci con il territorio tra Pisa e Livorno ci siamo accorti che esso geograficamente non aveva nome, o meglio era definito con molti nomi. Questo perché fa parte di molti sistemi naturali, tra cui i più importanti sono: la foce dell’Arno e del Serchio, e quindi la parte terminale della pianura che li accompagna al mare; il Monte Pisano, che è a tutti gli effetti una propaggine del complesso tettonico delle Apuane; le Colline Livornesi, con la loro ossatura geologica, eterogenea e profondamente scavata dai torrenti; infine l’ecosistema costiero, che con le proprie dinamiche naturali è luogo di profonde e rapidissime evoluzioni geomorfologiche. Tra fiumi, monte, colline e costa trova definizione così un pezzo di territorio molto fertile, facile da conquistare da parte dell’uomo, che qui ha radicalmente mutato le caratteristiche naturali pregresse. Tuttavia l’identità naturale di questo territorio, per quanto addomesticato, torna sempre alla superficie dei luoghi: essa è la matrice, e come tale riesce ad affiorare là dove la forza dominatrice delle attività antropiche diminuisce. In questi spiragli di natura, fori nel tessuto artificiale con cui l’uomo ha organizzato il territorio, si possono osservare le dinamiche originali della matrice naturale, anche sebbene esse siano, in una visione più ampia, comunque influenzate dagli effetti globali del forte carico urbanistico che si pone ai loro margini. 2.1.1 – QUALI SONO I LIMITI? Per poter meglio comprendere le dinamiche naturali che coinvolgono il territorio tra le due città, ci siamo dati quale primo obbiettivo la definizione deii limiti dell’area geografica. Questo implica, per forza di cose, lo svincolare la ricerca dai limiti amministrativi: spesso essi sono posti su elementi territoriali che, al contrario, sono al centro di un sistema geomorfologico (si pensi ai confini comunali posti sui corsi fluviali che sono al centro invece del loro bacino idrografico). Con una certa approssimazione abbiamo scelto un limite superiore all’altezza del Fiume Serchio, non comprendendolo in toto ma solo nel suo sistema idrico di riva sinistra, e del Monte Pisano con le sue pendici di levante; a ovest il confine naturale di questo territorio è costituito dal Mar Ligure: la linea di costa si sviluppa con una leggera inclinazione da Nord-Ovest a Sud-Est con un andamento interrotto solo dalla foce dei fiumi che modificano costantemente l’andamento delle spiagge, assieme alle correnti marine; a Sud i limiti sono il sistema delle Colline Livornesi nella loro parte più settentrionale, il cui crinale funge da spartiacque tra il Tora e il Fine, ed i torrenti che dalle pendici di levante solcano le colline e sfociano a mare dopo essersi scavate il loro letto nella costa rocciosa Livornese; a partire dal limite orientale della valle del Tora alla pedemontana meridionale del Monte Pisano è stato posto il limite a Est. Quest’ultimo, che è di fatto solo un limite convenzionale (non essendovi presenti elementi naturali di confine in direzione trasversale all’Arno), è il margine più flebile, costituito da canali e bassi rilievi collinari che sono a tutti gli effetti in continuità con il sistema vallivo del fiume Arno, ma che abbiamo adottato quali elementi di discrimine e al contempo rappresentativi dell’ambiente planiziario dell’entroterra Pisano-Livornese. La fascia territoriale che abbiamo osservato comprende numerose e differenti attività antropiche che coesistono, con gradi diversi di tolleranza, in un complesso susseguirsi e compenetrarsi di ecosistemi. Per poter descrivere questo complesso sistema di luoghi naturali e antropici dei quali è difficile cogliere l’interezza delle relazioni, è necessario definire la genesi morfologica dalla quale trae origine la diversità, ma anche la strutturata maglia dell’idrografia e quindi i diversi ambienti vegetali. 2.2 – IL QUADRO GEOMORFOLOGICO: LA STRUTTURA GEOLOGICA E LA SUA EVOLUZIONE Si deve necessariamente premettere che il tratto di territorio costiero analizzato, così come in genere tutta la costa toscana, ha una storia evolutiva molto strutturata, e di fatto ciò che vediamo oggi è il risultato di lunghi processi geologici . Si può affermare che lo scenario geomorfologico della Toscana costiera sia il risultato della sovrapposizione tettonica di tre componenti tettoniche: 1- La serie Toscana metamorfica 2- La serie Toscana non metamorfica o falda Toscana 3- Le coltri Liguri o sub-Liguri (Liguridi) Esse sono frutto di processi sedimentari protrattisi dal Paleozoico alla fine dell’Oligocene in bacini di sedimentazione prossimi l’uno all’altro in un’area grosso modo riferibile all’attuale Mar Ligure. I bacini delle Liguridi avevano una posizione più occidentale mentre le serie toscane si collocavano ad oriente. Con il parossismo orogenetico, che formò prima le Alpi e poi l’arco Appenninico, ebbe inizio un lento e costante accavallamento delle tre componenti tettoniche: le Liguridi si accavallarono alla falda Toscana e assieme si sovrapposero alla serie Toscana metamorfica, così definita a causa del metamorfismo che contraddistingue le sue rocce. La serie Toscana metamorfica è considerata autoctona, mentre la Falda Toscana così come le Liguridi sono considerate placche alloctone. Le tre componenti di questa architettura tettonica non giacciono come piastre intere sovrapposte, al contrario gli sforzi compressivi le hanno piegate, contorte, laminate e impilate, mentre gli sforzi distensivi le hanno fratturate e hanno dislocato i loro spezzoni ad altezze diverse. Si può immaginare il lembo di pianura costiera tra la Versilia e la bassa Val d’Arno abbracciato nell’interno da una sequenza arcuata di affioramenti in cui vengono alla luce gli strati più profondi della struttura crostale, cioè la serie Toscana metamorfica. Questi affioramenti sono la porzione più settentrionale della così detta “Dorsale medio-toscana”. A questi affioramenti - tra i quali troviamo le Apuane, il monte Pisano e il Cornocchio - si affiancano gli affioramenti di Liguridi e della falda toscana. Le 27 Quadro conoscitivo degli aspetti naturali 28 Liguridi si estendono, oltre che sull’Appennino Ligure, ai margini del nucleo Apuano, formando i monti livornesi. Per cogliere la complessità con cui si alternano le tre componenti tipologiche si deve accennare alla dinamica che le ha coinvolte nel progressivo spostamento rotatorio dell’arco appenninico, in un evento che ha determinato sulle placche sovrapposte numerose azioni compressive seguite da azioni distensive. Attraverso gli sforzi compressivi, le formazioni sedimentarie furono deformate, piegate e accavallate, e alle spalle del fronte compressivo avanzante procedono gli sforzi distensivi, un po’ come la cresta segue il cavo dell’onda: nella mole già deformata e sollevata dalla spinta orogenetica si aprirono delle fratture lungo le quali le formazioni rocciose, ora scisse, potevano scorrere verticalmente e dare origine a fosse o pilastri. Nel Mio-Pliocene, in corrispondenza della Toscana centrale, si estendeva un ampio golfo marino cosparso di isole, corrispondenti agli attuali principali rilievi della dorsale Medio-Toscana. In questo lungo periodo di trasgressione marina si formarono sul fondo del mare Pliocenico grandi accumuli di sedimenti, e questo processo fu favorito da un lenta ma costante tendenza regressiva del mare causata dall’innalzamento dei fondali. Tale innalzamento si ritiene causato dai sommovimenti del mantello, volti ad equilibrare il maggior peso dell’arco appenninico. Questo processo, chiamato epirogenesi, si distribuì in maniera discontinua e sollevò alcune porzioni del fondale più di altre: si pensi alla cosiddetta soglia di Monteriggioni che saldò gli affioramenti pliocenici creando un grande bacino, indirizzando il ritiro del mare dai varchi a Nord-Ovest e a Sud-Est e influenzando tutta la successiva formazione della rete idrografica dei bacini dell’Arno e dell’Ombrone. La regressione pliocenica è da immaginarsi come una fase nella quale si ha un gigantesco spostamento di materiale dalle aree abbandonate alle aree ancora dominate dal mare. Quando il ritiro si approssima alla zona costiera odierna questo processo si traduce in un accumulo di depositi nei due principali golfi tirrenici (Pisa e Grosseto). All’inizio del Pleistocene questa fascia costiera viene, essa sola, coinvolta in nuovi significativi moti di sprofondamento. Inizia una nuova fase di trasgressione marina, un grande golfo invade la parte terminale dell’attuale val d’Arno inferiore tra i monti livornesi e il monte Pisano, e nella depressione tra quest’ultimo e il Montalbano si insedia un ampio lago interno. Alla fine del Pleistocene medio si ha una nuova fase di regressione marina che scopre le terre ben oltre l’attuale linea di costa: è in questo periodo che ha origine l’attuale percorso dell’Arno, il principale protagonista della formazione della pianura costiera, che contribuisce non poco alla progressione delle terre emerse a occidente dell’anticlinale Appenninico, che oggi coincide con il Montalbano. Da questo periodo in poi si afferma sui movimenti tettonici una prevalenza dei fattori glacioeustatici, ovvero i fattori condizionati dalle glaciazioni. La seconda metà del Quaternario è caratterizzata dall’alternanza tra fasi glaciali e interglaciali. Nel corso delle prime i ghiacciai estesi a latitudini assai più meridionali sequestrano enormi quantità di acqua e producono così una generale regressione dei mari; viceversa nelle fasi interglaciali lo scioglimento dei ghiacci determina la risalita delle acque. Si sono susseguite almeno tre fasi regressive, l’ultima delle quali, in coincidenza con la glaciazione di Wurm, fu la più estesa: durante questa fase, avvenuta tra i 20 000 e i 18 000 anni fa, il mare si attestò tra i 100 e i 130 metri sotto il livello attuale. La mobilità verso l‘alto e verso il basso della linea di confine tra mare e terra ha influito in modo indiretto sul modellamento dell’intera regione emersa, e in modo diretto sull’elaborazione della pianura costiera. Il complessivo spostamento verso l’alto dello stato d’equilibrio stazionario produce infatti una quiescenza dei fenomeni erosivi sulla regione emersa, poiché nella loro discesa a valle i corsi d’acqua devono superare dislivelli minori, i fiumi scorrono più lenti, e la potenza delle incisioni e dei terrazzamenti diminuisce; al contrario l’evoluzione verso il basso innesca una ripresa dell’opera erosiva . Dopo l’ultima regressione la risalita del mare alla quota attuale prende il nome in Italia di “trasgressione Versiliana” (5000 a.c.). Si ha in questa fase una notevole mobilità delle sabbie coinvolte in numerosi processi dall’esito costruttivo; ad esempio sotto l’azione del vento le sabbie potevano risalire i lievi pendii costieri e penetrare nell’interno per essere accumulate e concentrate in grandi masse di depositi. La Pianura alluvionale dell’Arno tra il Monti Pisani e le colline Livornesi come la vediamo oggi si è quindi originata in seguito al progressivo sprofondamento (dell’ordine di migliaia di metri) del litorale pisano-versiliese, causato dall’azione distensiva di faglie dirette. La subsidenza di quest’area, collegata al sollevamento generale dei rilievi montuosi formatisi durante le fasi parossistiche del corrugamento dell’Orogene Appenninico, è stata controbilanciata dalla sedimentazione marina e fluvio-lacustre a partire dal Miocene superiore. Questo grande accumulo di sedimenti può essere suddiviso in tre strati: il sub strato profondo, intermedio e superiore. Il primo comprende le formazioni litoidi della serie Toscana, le stesse che affiorano sui Monti Pisani a nord di Pisa e che nella pianura sono state ribassate dall’azione delle faglie dirette. Il substrato intermedio è costituito da sedimenti “neoautoctoni” la cui deposizione ha un inizio variabile da zona a zona, ma non è mai anteriore al Miocene superiore. Si tratta di sedimenti deposti in presenza di una subsidenza di origine tettonica. La successione inizia alla base con sabbie e conglomerati a cui seguono argille lagunari sormontate da gessi variamente alternati a strati argillosi la cui deposizione viene fatta coincidere con l’interruzione delle comunicazioni tra il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico. Al di sopra dei gessi si ritrovano sabbie, argille e conglomerati che rappresentano la sedimentazione di un bacino senza comunicazione con i mari aperti. A questi è seguita la deposizione di argille azzurre di facies francamente marina che sono state invece deposte in un ambiente di mare più profondo. Al di sopra si ritrovano sabbie ed argille attribuite al Pleistocene a cui segue la sedimentazione delle sabbie di Nugola Vecchia, che rappresentano un episodio di sedimentazione di mare basso ed indicano quindi un fenomeno di regressione marina avvenuto al termine del Pleistocene inferiore. Il substrato superiore è formato da sedimenti posteriori al Pleistocene inferiore che si sono deposti in presenza di variazioni del livello del mare e di mutazioni del regime dei fiumi il cui trasporto solido cambiava, in seguito alle variazioni del clima, sia nella sua entità che nella granulometria più o meno fine dei clasti. Al substrato superiore appartiene la formazione dei Conglomerati dell’Arno e del Serchio da Bientina che sono presenti uniformemente nel sottosuolo Pisano e si trovano a circa 50 metri di profondità presso Cascina fino a raggiungere i 145 metri nella zona di Pisa. Al di sopra si trova un livello di “Limi fluvio-palustri del sottosuolo” corrispondenti ad una fase di più limitata attività fluviale, come appare dalla diminuzione drastica delle dimensioni dei clasti rispetto a quelle della formazione sulla quale poggiano. Questa diminuzione del trasporto è probabilmente legata ad un cambiamento del clima in senso più arido (questa fase viene comunemente associata alla fase cataglaciale del Wurm II) al quale sarebbe poi dovuta la deposizione nel Pleistocene superiore delle dune delle sabbie dell’Isola di Coltano al di sopra dei “Limi fluvio-palustri del sottosuolo”. La deposizione di queste sabbie indica un fenomeno di ingressione marina seguito da un sollevamento eustatico con formazione di dune di origine eolica. A tali sabbie segue la deposizione dei “Limi fluvio-palustri di superficie” che sono legati a fenomeni di esondazioni dell’Arno e dei corsi d’acqua minori che, provenendo dai monti Pisani, spesso si impaludavano nella pianura fino ad epoche storiche. Quindi alle spalle dei tomboli olocenici le aree di Palazzetto tra il Serchio e l’Arno, e di Castagnola tra l’Arno e i monti livornesi possono essere identificate quali affioramenti di sabbie wurmiane interrotte e circondate da depositi alluvionali più recenti. Questi affioramenti possono essere notati in particolar modo a Coltano, dove 29 Quadro conoscitivo degli aspetti naturali 30 i terreni sabbiosi di composizione prevalentemente quarzosa, e quindi costituiti di materiali più resistenti all’erosione, determinano la quota più elevata di alcune aree. Proprio su queste formazioni dunali si doveva arrestare la trasgressione marina versi liana; la duna doveva essere interrotta in più punti e doveva ospitare alle sue spalle una zona di stagni attraversata dagli antichi alvei dell’Arno, che allora accoglieva, attraverso una laguna a Nord di Pisa, anche il Serchio proveniente da Ripafratta. Di questi alvei, secondo Strabone, in epoca Augustea se ne contavano tre: uno a settentrione sotto monte, uno mediano (replicato oggi dall’Arnaccio), e uno meridionale a ridosso delle pendici livornesi. Mentre era in atto una trasgressione marina le quote della pianura si alzavano per effetto del progressivo riempimento di depositi alluvionali dell’Arno e del Serchio. Le zone più distanti dai corsi d’acqua, dove le esondazioni avevano trasportato solo i materiali più fini, furono soggette a rapidi impaludamenti a causa delle quote più basse, ancora oggi presenti. La pianura alluvionale è separata dal mare da una fascia di sedimenti sabbiosi alternati a sedimenti limo-argillosi; la formazione di questa fascia è da imputare alla trasgressione marina Versiliana: infatti mano a mano che il mare risaliva, i depositi sciolti di superficie che aveva incontrato e sommerso nel suo cammino, e che almeno in parte aveva trascinato con sè in forma di barre mobili verso l’alto, si mescolavano ai detriti solidi trasportati dai fiumi e gli fornivano materia prima per costruire nuove spiagge e, con l’aiuto del vento, nuove dune. 2.3 – LA CONFORMAZIONE OROGRAFICA E COSTIERA L’area studiata è caratterizzata da una prevalente conformazione pianeggiante limitata a nord dal monte Pisano e a Sud dalle colline livornesi. Per evidenziare gli aspetti orografici prevalenti è stato ritenuto necessario raggruppare più curve di livello; nelle parti più pianeggianti sono state scelte fasce altimetriche molto ridotte (sotto lo 0 s.l.m., tra 0 e 5 m. e da 5 a 10 m.), mentre nelle parti con maggiore dislivello le fasce altimetriche sono più grandi e comprendono la zona pedecollinare e pedemontana da 10 a 100 m., una porzione molto ampia delle colline livornesi, includendo alcuni crinali, da 100 a 300 m., infine la fascia montana sino alla sommità del Monte Pisano da 300 m. in su. La fascia montana è caratterizzata da quote ridotte, che raggiungono i 911 m. sul Monte Serra, tuttavia i dislivelli sono molto accentuati. Le colline livornesi sono invece caratterizzate da dolci pendenze, infatti le parti più elevate raggiungono al massimo i 450 m. La pianura alluvionale si presenta con andamento quasi orizzontale, con pochissima inclinazione verso il mare. Dal punto di vista altimetrico le quote variano da valori inferiori a -1 m s.l.m. fino a valori di circa 8-9 m s.l.m. Le zone morfologicamente più elevate sono le dune costiere attuali (con quote fino a 4-5 m s.l.m.), le dune quaternarie di Castagnolo-Coltano (con quote fino a 8-9 m s.l.m.) e la fascia di conoide dell’Arno che si protrae a ventaglio fino all’altezza di Barbaricina, a valle della città di Pisa, con quote, nelle zone più elevate, fino a circa 8 m s.l.m. Le zone morfologicamente più depresse sono quelle che circondano l’allineamento Castagnolo-Coltano ai relativi margini settentrionali e meridionali (con quote inferiori a -1 m s.l.m.), aree attualmente interessate dalle bonifiche di Coltano e della Vettola. Particolarmente interessanti sono le conformazioni costiere. La loro costruzione avvenuta in un lungo periodo di tempo, può essere descritta a partire dalla dinamica con cui l’azione del mare e dei venti costruisce gradualmente la duna. Lungo le fosse litoranee dai fondali poco profondi la condizione dell’onda battente con l’onda di risacca e la deriva litoranea che ne risulta danno origine alla tipica struttura di spiaggia che qui semplifichiamo: essa è composta di solito da più barre, variabili in profondità e distanza dalla riva, di cui la penultima è compresa nei 100 metri dalla riva e profonda un metro, da un trugolo più o meno pronunciato, da un’ultima barra vicino a riva la cui superficie può affiorare a pelo d’acqua, ed infine da un secondo più stretto trugolo. La battigia è la fascia su cui si allungano e si rifrangono i frangenti; è limitata in basso dallo scalino e in alto dalla Berna, secondo scalino che separa il piano inclinato della battigia dalla superficie orizzontale. Ad ogni fase di avanzamento della costa corrisponde la formazione di un cordone di dune in prossimità della battigia; alla costruzione delle dune collaborano soprattutto il vento che spira dal mare verso terra e le piante pioniere, che riescono ad insediarsi sulla sabbia incoerente e salmastra. Da un lato l’azione del vento tende a sospingere le particelle di sabbia verso terra, mentre dall’altro le piante pioniere, principalmente in virtù dell’effetto stabilizzante del loro apparato radicale, tendono a trattenere la sabbia che le circonda. Il risultato di queste due azioni concomitanti è l’accumulo di sabbia attorno alle piante pioniere, dapprima sotto forma di mucchi separati, poi come un cordone dunale unito. Man mano che la linea di costa progredisce verso mare, la duna consolidata viene a trovarsi sempre più distante dalla riva; lo spazio guadagnato dalla sabbia viene gradualmente occupato da nuove piante pioniere e prende inizio la costruzione di un altro cordone di dune, più vicino al mare del precedente; tra le due dune rimane un’ area più bassa, detta zona interdunale. La formazione del tombolo si ha invece quando le barre hanno una sedimentazione progressiva nel tempo ed emergendo possono chiudere lo specchio d’acqua antistante la costa e formare una vera e propria estensione della terraferma. Questa giunzione al terreno si chiama tombolo e genera di solito degli ambienti particolari dovuti alla stagnazione delle acque interne e dei sedimenti che naturalmente vi vanno a defluire; il loro funzionamento è paragonabile ad una vasca di colmata atta alla bonifica di un terreno paludoso. Barre sommerse, spiagge, dune e tomboli formano un sistema molto dinamico e continuamente rielaborato. Durante lo svolgimento della trasgressione Versiliana, il lento innalzamento del mare non oltrepassò la barriere dei cordoni dunali che esso stesso aveva costruito nella fase di optimum climatico. La ragione sta nella presenza dell’attività costruttiva marina che faceva emergere nuove barre e consolidava gli arenili, mentre il vento innalzava le dune. I canali 31 Quadro conoscitivo degli aspetti naturali 32 avventizi che, in un avvicendarsi di chiusure e aperture, mettevano in comunicazione il mare con gli stagni interni poteva favorire una particolare dinamica di stabilizzazione: nei cordoni dunali le sabbie strappate alle spiagge venivano rincalzate attraverso le bocche dentro gli stagni retrodunali dove depositati irrobustivano le spalle delle dune. Quanto più il mare sale quanto più nella pianura si impone un regime di sovralluvionamento; il corso dei fiumi, che prima, a causa delle maggiori pendenze, doveva essere più sbrigativo, tende ad accentuare i caratteri meandri formi: i flussi perdono velocità, e l’accumulo dei detriti innalza il letto dei fiumi che esondano con maggiore facilità. Le inondazioni cicliche depongono, tra i materiali trasportati in sospensione, i più grossolani nella campagna circostante che viene anch’essa rialzata; gli alvei tendono allora a divenire pensili, mentre nelle depressioni maggiori rimangono confinati paduli e acque stagne. La decisiva progressione in mare del litorale pisano a partire dalla linea di costa del periodo Versiliano, è almeno in parte frutto delle attività umane. Il disboscamento e la messa a coltura di parti crescenti del territorio e, in secoli più recenti, la regolazione degli alvei, hanno ingigantito il trasporto solido di Arno e Serchio e hanno rifornito il mare di quantità di detriti molto superiori a quelle prevedibili in base al normale ritmo dell’erosione geologica. L’accrescimento dell’apparato deltizio di Arno e Serchio, per lungo tempo uniti nello sbocco a mare, in periodi preistorici e storici, è illustrato dalla sequenza di tomboli: dal Fosso della Bufalina, emissario di Massaciuccoli, fino al Calambrone, gli accumuli sabbiosi sono allineati in senso parallelo alla costa, intercalati da depressioni interdunali dette “lame” . La loro continuità longitudinale è cancellata solo dalle aste terminali dei fiumi, dal loro corredo di meandri abbandonati, e dalle opere umane che hanno inciso il fronte dunale trasversalmente per raggiungere la costa. A ridosso di Bocca d’Arno la forma e l’orientamento dei tomboli, disposti secondo linee sempre più convergenti alla direzione del fiume, segnalano la regressione accelerata dell’apparato deltizio dal XVI alla fine del XIX secolo, frutto delle gran- di espansioni dell’attività agraria. Viceversa il taglio netto della linea di riva odierna, sempre ad amputare il corpo dei tomboli, svela il logorio erosivo che ha consumato il grande lobo deltizio dell’Arno e del Serchio nell’ultimo secolo. 2.4 – IL SISTEMA DELLE ACQUE Il sistema delle acque è caratterizzato - oltre che dalla presenza dell’Arno, del Serchio e del Fiume Morto - da una fitta rete di canali che, intercettano le acque dei torrenti provenienti dalle colline livornesi, regola e smaltisce l’enorme apporto di acque e limi che convergono nella pianura. Il principale corso d’acqua che interessa il territorio canalizzato è il Fiume Arno, che lo attraversa trasversalmente da Est verso Ovest, per una lunghezza di circa 16 Km. L’Arno è pensile sulla pianura circostante fino a valle di “La Vettola”, cioè allo sbocco del conoide altimetricamente più elevato costituito dai depositi limoso-sabbiosi del fiume. Questo scorre per tutto il territorio del Comune di Pisa, all’interno della fascia golenale di prima pertinenza fluviale, situata internamente agli argini; la fascia, che ha la massima larghezza in corrispondenza della golena di “La Cella” nei pressi di Putignano in sinistra del fiume (circa 350 m nel tratto più largo della golena), si restringe bruscamente fino a diventare totalmente assente nel tratto che attraversa la città di Pisa. In corrispondenza dell’entrata dell’Arno nel tratto urbano l’asta fluviale presenta, inoltre, una curva molto accentuata. Dopo il Ponte dell’Aurelia, oltrepassata la città, riprende la fascia golenale, la quale continua fino allo sbocco in mare (in realtà, essa si interompe circa 2.5 Km prima della foce sul lato destro del fiume). L’unico apporto di acque che riceve l’Arno nell’ambito della sua parte terminale è rappresentato da quelle del “Canale Demaniale di Ripafratta”, che deriva le acque del Serchio e le fa confluire nell’Arno subito a monte del Ponte della Fortezza. In questo punto è presente un sistema di cateratte che vengono chiuse quando l’Arno è in piena. L’Arno nei pressi di Cisanello e di Riglione forma un’ampia ansa; in questo tratto il fiume, che è pensile rispetto alla pianura, ha una larghezza di circa 80-100 m. Almeno fino al 1830, la zona di golena sul lato destro dell’asta fluviale era molto più estesa rispetto all’attuale, infatti questo tratto fu oggetto di numerose operazioni per l’arginatura del fiume a monte della città di Pisa. Alla fine di questo tratto, sul lato destro del fiume, si trovano le “Bocchette di Putignano”,e l’edificio a cateratte fatto erigere nel 1558 da Cosimo I dei Medici per derivare le acque torbide dell’Arno nel contiguo Fosso delle Bocchette, al fine di colmare il padule di Coltano (“Padule Maggiore”). Il Fosso delle Bocchette passava dove attualmente passa il canale a scolo meccanico“Arginone di Putignano” fino all’altezza di Ospedaletto, e in seguito voltava verso il padule di Coltano (oggi non c’è presenza di alcun fosso lungo questo secondo tratto). L’alveo del Fosso delle Bocchette fu in seguito soppresso e portato al livello della pianura circostante. Il “Canale Demaniale di Ripafratta” confluisce, a monte del Ponte della Fortezza, nell’Arno, e la confluenza è regolata da un sistema di cateratte. Nel tratto in esame la fascia golenale è totalmente assente, mentre gli argini sono rappresentati dalle “spallette” che delimitano i lungarni. Le quote delle spallette rispetto al livello del mare degradano da valori di circa 9 m fino a 6.5 m in un tratto di circa 2 Km, evidenziando quindi un tratto a maggiore pendenza in corrispondenza della città di Pisa. La larghezza dell’alveo in questo tratto è la più stretta di tutta l’asta fluviale dell’Arno nel territorio considerato (circa 70 m di larghezza nel tratto più stretto, in corrispondenza del Ponte di Mezzo). Sono presenti a monte del Ponte di Mezzo accumuli di sabbia nell’alveo dell’Arno (“barre”), che riducono fortemente la sezione idraulica del fiume. La fascia golenale è quasi totalmente assente nel tratto fra il Ponte della Ferrovia e il Ponte dell’Aurelia, mentre comincia ad allargarsi superato il Ponte dell’Aurelia. Le quote degli argini si mantengono sempre più elevate sul lato destro del fiume, dove variano tra 6 e 8 metri s.l.m., mentre sul lato sinistro del fiume (zona di “La Vettola”) le quote delle sommità arginali risultano inferiori di circa 1 m rispetto a quelle dell’argine destro. Nel tratto finale le sommità arginali vanno decrescendo fino ad annullarsi in prossimità della foce dove, sul lato destro, l’argine si interrompe circa 2.5 km prima dello sbocco in mare. La golena risulta abbastanza ampia sia sul lato destro del fiume (a valle di Barbaricina raggiunge i 200 m di ampiezza), sia sul lato sinistro, sul quale si restringe solo negli ultimi 3 km circa. In tutta la golena sinistra sono presenti impianti per la cantieristica da diporto e piccole abitazioni. Il sistema dei canali attualmente operante è stato realizzato in larga parte durante le operazioni di bonifica tra la fine dell’Ottocento e gli anni Trenta del Novecento. Questo sistema garantisce la raccolta delle acque meteoriche drenate dalle aree rurali attraverso un reticolo idraulico secondario molto fitto. I canali ed il loro bacino di reticoli idraulici appartengono a due sistemi tra loro separati, ovvero il sistema delle bonifiche a scolo naturale ed il sistema delle bonifiche a scolo meccanico. Il sistema a “scolo naturale” (o di “acque alte”) smaltisce le acque meteoriche che provengono da zone morfologicamente più alte (zone di collina e dei Monti Pisani per il settore a Nord dell’Arno e le acque della piana di Cascina per la parte a Sud dell’Arno). Il sistema a “scolo meccanico” (o di “acque basse”) smaltisce, attraverso un prosciugamento per esaurimento meccanico con sollevamento all’impianto idrovoro, le acque meteoriche che ristagnano nelle parti del territorio morfologicamente più depresse, comprese le acque di falda che, localmente, sgorgano direttamente dal terreno. Sia le acque a scolo naturale che quelle a scolo meccanico vengono immesse in canali ricettori detti di “acque medie”: infatti, per ricevere, devono avere una quota intermedia fra il sistema di acque alte e quello di acque basse. La bonifica idraulica per prosciugamento meccanico ha quindi la funzione di allontanare le acque superflue e quelle che possono ristagnare, ma ha anche la funzione di impedire che la quota della falda freatica sia troppo vicina alla superficie del terreno, così da recare danno alle culture agricole. Tutto il sistema di bonifica è, ovviamente, completamente separato dal sistema idraulico dell’Arno: ad esempio, il canale collettore principale del sistema di Coltano è 33 Quadro conoscitivo degli aspetti naturali 34 rappresentato dal Canale Scolmatore, che sfocia direttamente a mare. di Quercus cerris L. (Cerro). 2.5 – Le associazioni vegetali nel sistema ambientale della costa Oggi i caratteri dell’ecosistema sono stati enormemente mutati dalle attività umane. In primo luogo la necessità di terreni per l’agricoltura ha determinato una sostanziale riduzione delle superfici forestali nelle colline, successivamente gli ambienti lacustri e palustri sono gradualmente scomparsi per mezzo delle bonifiche, inoltre la manipolazione della pianura era stata accompagnata dall’impianto di enormi estensioni di pinete, così come nel Medioevo l’addomesticamento dei monti pisani aveva portato all’impianto in alta quota di castagnete. Poi, in tempi più recenti, l’urbanizzazione della costa e dell’entroterra ha determinato una forte sconnessione tra le aree naturali rimaste, salvate puntualmente dalla costituzione del parco nazionale di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli, dove oggi si possono in parte osservare il carattere e i processi del sistema naturale. I tre principali ecosistemi vegetali possono quindi essere individuati ai margini della pianura alluvionale, ed in particolare si possono distinguere le comunità vegetali della costa, le comunità del monte Pisano e le comunità delle Colline Livornesi. Se avessimo potuto attraversare la foce dell’Arno alla fine della trasgressione Versiliana - intorno al 5000 a.C., quando il livello del mare si stabilizzò dopo una lenta trasgressione alla quota attuale - avremmo potuto osservare un paesaggio lagunare e palustre con un’enorme ricchezza di fitocenosi di vario genere: dall’ambiente salmastro e dunale abitato dalla vegetazione alofite, agli ambienti palustri ricchi di piante igrofile e meso-igrofile. Gradualmente risalendo il territorio, avremmo potuto trovare estese foreste mediterranee di querce sclerofille e caducifoglie, per giungere sul crinale dei monti attraversando boschi di latifoglie a dominante di Quercus pubescens W., (Roverella) e Classificazione climatica della Toscana secondo Thornthwaite 2.5.1 - La situazione climatica Per poter descrivere meglio queste associazioni vegetali è necessario accennare alle condizioni climatiche molto particolari di questo territorio. La carta dei climi elaborata secondo il metodo di Thornthwaite evidenzia come nel settore costiero settentrionale della Toscana la presenza di importanti rilievi in prossimità della linea litorale sia il fattore determinante per la formazione di un clima umido a nord del Serchio; mentre a sud, nella pianura alluvionale dell’Arno, si passa gradualmente ad un clima subumido asciutto, che caratterizza, con alcune zone nella costa con clima subarido, la situazione climatica delle colline livornesi. Sebbene tutto il territorio ana- lizzato venga fatto ricadere nel clima mediterraneo, questo non impedisce l’articolazione in mesoclimi locali dissimili con vegetazione notevolmente differenziata. 2.5.2 Le comunità vegetali delle colline livornesi Nelle colline livornesi le comunità vegetali sono caratterizzate da una condizione climatica che passa dall’asciutto al subarido, favorendo il predominio del Quercion ilicis; il bosco o la macchia di leccio, anche chiamata macchia mediterranea, è caratterizzato nella sua massima espressione da cenosi mono-specie di Quercus ilex, chiamate comunemente leccete o fustaie di lecci. Queste comunità di sempreverdi sclerofilliche oggi sono rimaste nella loro versione più omogenea solo in alcune aree, quelle maggiormente difficoltose da raggiungere da parte dell’uomo, che con la sua attività di sfruttamento dei boschi ha condizionato molto il carattere della lecceta primigenia. Difatti la messa al taglio di estese aree dei boschi di leccio, attraverso la tecnica del ceduo, ha favorito la crescita di arbusti1 , come il corbezzolo, di cespugli e garighe2 ma anche, dove il suolo risulta molto impoverito, di steppe di graminacee. Laddove si osserva la comparsa di queste comunità si può intuire che il bosco di sclerofille abbia subito una trasformazione da bosco ceduo a macchia alta. Sulle pendenze di ponente, a quote basse verso la costa, dove la messa a coltura non è intervenuta disboscando i terreni, si trova fino alla linea di costa la comunità vegetale comunemente definita come bassa macchia mediterranea. 1 Queste comunità hanno trovato condizioni più favorevoli, dato il diradamento del bosco di lecci che invece è nella sua versione integrale un bosco alto, compatto, poco areato e con scarsa umidità al suolo. 2 Particolare cenosi di graminacee ed arbusti che non superano l’altezza massima di 50 cm dal suolo. Questa fitocenosi, considerata tra le più ricche di specie in ambito europeo, è composta da formazioni vegetali di tipo arbustivo che comprendono il Ginestrone (Ulex europaeus L.), la Filirea (Phillyrea agustifolia), l’Alaterno (Rhamnus alathernus), il Tino (Viburnum tinus), la Ginestra odorosa (Spartium junceum) e le Eriche (Erica). 2.4.3 Le comunità vegetali del Monte Pisano Nel Monte Pisano le comunità vegetali sono caratterizzate da pinete di Pinus pinea e da boschi di transizione che nelle posizioni più elevate sono sostituiti da castagneti. Infatti, se l’aumento di altitudine equivale ad un incremento di latitudine e quindi a diverse condizioni climatiche, si può osservare che nella fascia altimetrica da 0 m s.l.m. ai 100 m. la cenosi di pini marittimi è ancora largamente diffusa e alternata da macchie basse di ginepri, cisti, eriche e ginestre, nella fascia tra i 100 m e i 300 m. si trova predomina il bosco di sclerofille a Quercus Ilex, mentre, progressivamente che il clima diviene più umido e più freddo, il dominio del Quercion ilicis viene sostituito dal Quercion pubescenti. Questo particolare tipo di passaggio è diviso da un bosco misto molto ricco di specie arboree; questo tipo di comunità viene chiamata formazione di transizione, ed è caratterizzata dalla compresenza di lecci e roverelle ma anche di molte altre specie arboree caducifogli; questa presenza, in un bosco con caratteristiche mediterranee, è dovuta al relativo buon approvvigionamento idrico. In condizioni particolarmente umide, come nei fondovalle più profondi o nei versanti più riparati, possono comparire anche querce mesofile come il Cerro (Quercus cerris) o la Farnia (Quercus robur). 2.5.4 Le comunità vegetali della costa Per quanto riguarda la comunità della costa, essa è caratterizzata da una biodiversità molto ricca, dovuta alla convivenza di diversi ambienti con 35 Quadro conoscitivo degli aspetti naturali condizioni climatiche e idro-geo-morfologiche sensibilmente eterogenee. Questa quindi può essere individuata quale comunità più complessa delle tre analizzate. I quattro principali ambienti che caratterizzano questa porzione di territorio compresa tra la linea di costa e i margini delle aree urbanizzate ad est sono: 36 1. La comunità delle piante pioniere, che colonizza le sabbie vicino alla battigia e le dune prossime al mare; 2. la macchia a bassi arbusti, che caratterizza le aree retrodunali; 3. il bosco di pini e lecci, che occupa le porzioni più asciutte del territorio; 4. il bosco di farnie, pioppi, e frassini, tutte piante meso-igrofile insediate nei terreni più umidi o allagati. Come già detto, localmente le aree rilevate ed asciutte vengono denominate tomboli o “cotoni”, mentre le zone depresse di ristagno dell’acqua sono note come “lame”. Le piante pioniere Le piante che vivono sulla sabbia, sebbene non siano numerose, appaiono estremamente caratteristiche nell’aspetto e nel portamento, a causa della loro elevata specializzazione ecologica. Infatti le drastiche condizioni in cui questi vegetali sono costretti a vivere (notevole escursione termica, presenza di forti venti, carenza di acqua, povertà di elementi nutritivi, alta concentrazione di sali nel substrato) hanno determinato una severa selezione in favore di quelle piante provviste di organi atti a far fronte a tali avversità: esse sono rappresentate esclusivamente da specie erbacee con portamento spesso prostrato, provviste di un robusto e profondo apparato radicale, foglie piccole rivestite da una spessa cuticola o da una densa pelosità che conferisce loro un aspetto lucido nel primo caso, e finemente vellutato nel secondo, nonchè un colore tipicamente grigio-verde argentato. La fisionomia e la composizione del paesaggio può non subire variazioni per chilometri in senso parallelo al mare, mentre nel senso ortogonale le differenze si apprezzano nel volgere di poche decine di metri. La prima fascia di spiaggia, costantemente battuta dal frangersi delle onde, è priva di vegetazione, e così anche quella immediatamente a monte, dove i flutti non giungono ma si accumula un grande numero di resti vegetali spiaggiati dal moto ondoso. Questi, frazionati e sospinti verso l’interno dall’azione dei venti, costituiscono l’unico apprezzabile apporto di materia organica, utile all’insediamento delle prime fasce di vegetazione psammofila, su un suolo esclusivamente minerale. Fanno parte di questa fascia la Soldanella di mare (Calistegia soldanella) e la Cachile (Cachile marittima). In posizione poco più arretrata ritroviamo prevalentemente una graminacea con rizomi molto tenaci e un apparato radicale molto esteso, lo Sparto pungente, che, assieme ad un’euforbia anch’essa dotata di lunghi rizomi, il Giglio di mare bianco, compone l’unica associazione vegetale in grado in questa posizione di formare un efficace freno alle sabbie incoerenti e determinare l’inizio del processo di consolidamento della duna. Il suo completamento è assicurato dall’Ammofila delle sabbie alla quale si deve il ruolo determinante della costruzione dei corpi dunosi più elevati. Le successive porzioni retrodunali sono più ricche in piante erbacee e rappresentano delle zone di transizione verso gli aggruppamenti vegetali interni più complessi costituiti prima da arbusti e poi da alberi. In questa fascia sono presenti il Camuciolo ed altre piante aromatiche tra cui due specie che hanno sul litorale toscano l’unico habitat in Italia, ovvero la Verga d’oro e del Fiordaliso delle sabbie. La fascia degli arbusti Procedendo verso l’interno le dune diventano più elevate e rese compatte da una vegetazione ormai non più soltanto erbacea ma soprattutto arbustiva. Il terreno offre un substrato sabbioso asciutto per l’innalzamento e quindi l’allontanamento della falda freatica; la forza del vento, la temperatura e il soleggiamento sono ancora notevoli. Gli arbusti tipici di questo tratto sono costituiti principalmente da piante sempreverdi a foglia coriacea di tipo mediterraneo, che ben si adattano alle condizioni ambientali suddette. Il loro portamento è fortemente condizionato dalla direzione del vento marino: gli individui che occupano il primo fronte verso il mare non si innalzano molto dal terreno , ma si espandono al suolo modellandosi con le pendici delle dune. Man mano che si procede verso l’interno, dove i venti giungono sempre più attenuati, il portamento diventa più eretto. Questo tipo di vegetazione, che sempre più assomiglia alla macchia mediterranea caratteristica delle coste a Sud di Livorno, è arricchito specialmente nella sua parte più interna da piante caratteristiche per le abbondanti e vistose fioriture primaverili: la Ginestra ed i Cisti, ma anche un arbusto importantissimo per le successive cenosi vegetali, il Ginepro delle Sabbie (Juniperus oxycedrum). Questo arbusto, in grado di formare macchie alte sino a tre-quattro metri, innesca nel suo sottobosco il processo di pedogenesi che crea progressivamente le condizioni edafiche indispensabili per l’insediamento delle prime specie arboree della macchia mediterranea. Il bosco di pini e lecci e il bosco di caducifoglie La fascia ad arbusti sfuma gradualmente nella vegetazione arborea, che in alcune zone può spingersi anche per parecchi chilometri verso l’interno. Quando si pensa al bosco delle coste pisane si immagina immediatamente la caratteristica pineta; essa invece, nonostante sia diventata l’elemento più tipico di questo paesaggio, non rappresenta altro che uno dei numerosi aspetti che possono offrire le selve pisane, nonché quello meno naturale a causa della recente produzione e coltivazione del pino domestico da parte dell’uomo (XVIII sec.). In questo territorio esistono diversi tipi di bosco, la cui presenza è da ricollegare alla struttura fisica della pianura pisana. Come già ricordato essa è caratterizzata da una sequenza di cordoni dunali paralleli alla linea di costa (tomboli) alternati ad avvallamenti di varia larghezza (lame). Pochi metri di dislivello tra questi due aspetti sono sufficienti per creare situazioni microclimatiche differenti, dovute soprattutto alla diversa disponibilità di acqua: sui tomboli il substrato essenzialmente sabbioso, quindi molto permeabile, e la distanza dalla falda, determinano un microclima di tipo asciutto; mentre nelle lame, l’acqua piovana e di falda permane per molti mesi all’anno formando lunghe e strette zone umide. Queste opposte condizioni favoriscono lo stabilirsi, nell’ambito di un medesimo tratto boschivo, di due tipi di formazioni vegetali dalle esigenze ecologiche molto diverse: un bosco di tipo mediterraneo dominato dal pino e dal leccio (bosco termofilo) sui tomboli, ed il bosco di piante caducifoglie i cui elementi più rappresentativi sono il frassino, il pioppo bianco e l’ontano nelle zone costantemente allagate (bosco igrofilo), e la farnia dove l’acqua permane meno a lungo (bosco mesofilo) nelle lame. Nel bosco termofilo, oltre al pino e al leccio, troviamo anche molte altre specie sempreverdi, soprattutto arbustive, che formano un folto sottobosco. Insieme alla farnia, nel bosco mesofilo vegetano l’olmo, il carpino bianco, l’acero, il biancospino e il fico. Estremamente caratteristico è il paesaggio dei boschi igrofili: frassini, ontani e pioppi immergono la base del tronco e le loro radici nel substrato inondato d’acqua. Poche altre specie arboree, tra cui i salici, si adattano a vivere in questo ambiente, mentre molte erbe palustri affiorano tra i tronchi. Queste ultime diventano ancora più rigogliose laddove, per l’aumento della profondità dell’acqua, il bosco allagato lascia il posto ad una vera palude. 2.5.5 Gli ambienti palustri tra gli spiragli delle aree bonificate Ben poco del carattere palustre originario si conserva nelle aree extraurbane della pianura alluvionale: le uniche zone dove si possono rintracciare comunità vegetali igrofile e meso-igrofile dell’ambiente palustre sono lungo i 37 Quadro conoscitivo degli aspetti naturali 38 canali della bonifica ed in alcune piccole aree lacustri e palustri. In questi ristretti tratti del territorio planiziario si trovano a coesistere tre formazioni vegetali importantissime che un tempo ricoprivano tutta la pianura alluvionale. Vicino ai laghetti o agli stagni si possono trovare ancora associazioni di boschi mesofili planiziali di caducifoglie caratterizzate dalla presenza del frassino. Nelle golene fluviali e sugli argini dei canali si trovano le formazioni ripariali caratterizzate dalla presenza di pioppi e salici. Ove esistano condizioni ambientali che consentano il permanere costante di acqua sul suolo durante tutto l’anno, si può instaurare una vegetazione tipicamente palustre con presenza di specie arboree igrofile, elofite, ossia specie con apparato radicale sommerso, ma sviluppo dell’apparato vegetativo aereo. Purtroppo situazioni di questo tipo sono oggi poco frequenti a causa delle ampie bonifiche compiute dall’uomo; in ogni caso zone dove si sono ristabilite condizioni per un ecosistema palustre di questo tipo sono sicuramente le aree del Biscottino e di Suese, tutelate quali aree di riserva. 39 Capitolo tre Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 40 Cap. 3.1 DALLE ORIGINI ALL’UNITA’ D’ITALIA Questo capitolo è dedicato ad una breve descrizione delle vicende storiche riguardanti il territorio tra Pisa e Livorno, dalle origini della prima colonizzazione all’Unità d’Italia. Si deve premettere che la bibliografia storica riserva ben poche pagine a questo lembo di terra tra le foci dell’Arno e la costa rocciosa di Livorno: essendo questo un luogo tra le città e fuori dalle città, viene trattato al margine delle vicende urbane. Tuttavia è impossibile parlare di questo territorio e dell’evoluzione delle città in esso sviluppatesi omettendo il profondo e costante lavoro che l’uomo ha dovuto spendere nel regimare e controllare gli elementi naturali per sfruttarli a suo favore. Come sempre gli insediamenti non possono essere analizzati astraendoli dal contesto, poichè esso rappresenta, come in questo caso, il motivo stesso per il quale si è potuta sviluppare la civiltà. Il nostro sguardo, rivolto al passato, tenta di analizzare il rapporto tra le trasformazioni territoriali e lo sviluppo urbano e sociale della popolazione quivi insediata. In questo rapporto, secondo noi, è implicita un’ambivalenza: le trasformazioni urbane e sociali si ripercuotono sul territorio al crescere della popolazione insediata - pensiamo ad esempio al bisogno sempre maggiore di terreni coltivabili, di foreste da legname, di risorse idriche ecc. – e d’altronde le trasformazioni territoriali influenzano fortemente gli sviluppi urbani - pensiamo al significato strategico ed urbanistico legato alla realizzazione di una rete di strade, di canali per drenaggio e irrigazione, o all’impianto di sistemi per la bonifica di aree palustri, operazioni senza le quali una comunità non può crescere e sopravvivere a lungo. Il rapporto sopra descritto non è però sempre lineare; in alcuni periodi della storia è la natura del territorio a prevalere sulle scelte insediative dell’uomo, mentre in altri periodi è il sistema organizzativo dell’uomo che si proietta dalla città al territorio piegandolo agli usi necessari. Per questo motivo il primo sotto-paragrafo, dedicato al periodo compreso tra l’età etrusca e quella romana, è stato intitolato “Dal territorio-città alla cittàterritorio”, per sottolineare l’approccio organico verso la natura dei primi e più urbano e strumentale dei secondi. 3.1.1- DAL TERRITORIO-CITTÀ ALLA CITTÀ-TERRITORIO: L’ORIGINE DEL SISTEMA TERRITORIALE TRA LE EPOCHE ETRUSCA E ROMANA L’antropizzazione della foce dell’Arno ha origini incerte, ed in questo territorio dominato dalle acque si insediarono diverse popolazioni attratte dalla fertilità dei suoli e dall’abbondanza di pesce. Dobbiamo ricordare che fino alla colonizzazione romana, questo territorio era caratterizzato dalla presenza di macchie e foreste (la Selva Palatina) e dalla vasta regione deltizia del Serchio-Auser e dell’Arno. La linea di costa era sensibilmente spostata verso est e l’azione delle correnti marine, sommata all’instabilità del corso dei fiumi, formava lunghi cordoni sabbiosi e sbarrava lo sbocco delle acque, favorendo la creazione di impaludamenti e lagune. Il primo insediamento di cui si hanno tracce può essere localizzato nelle vici- nanze dell’attuale città di Pisa. Sono incerte le origini di tale insediamento e della popolazione stessa che lo abitò: alcune fonti individuano Pisa1 quale porto etrusco, altre attribuiscono la città ai Liguri, altri ancora ipotizzano una fondazione di mano greca. Sicuramente la città fu usata dagli Etruschi quale porto commerciale e luogo di commerci e la rilevanza di questo centro è da attribuirsi alla posizione strategica: alla foce di un sistema fluviale molto ampio, con discrete risorse di materie prime, e all’estremità di un sistema di lucumonie etrusche molto potenti. Si può ipotizzare che la città pre-romana doveva essere concepita in maniera piuttosto diluita nel territorio che la contornava - una fertile pianura interrotta 1 Le origini del toponimo Pisa sono del tutto incerte. Spesso - e fantasiosamente - lo si fa risalire all’omonima città greca dell’Èlide, i cui abitanti forse fondarono la Pisa italiana dopo la Guerra di Troia. Pisa è anche spesso soprannominata come la città alfea per le sue probabili origini greche. Altri storici pensano che invece derivi dalla parola pise che gli etruschi usavano per “foce” ( cfr. in accadico pi = bocca e pise = estuario di fiume. Ma l’etimologia di Pisa può derivare anche dal ligure per indicare un luogo paludoso, o, secondo Pino Masi, dal greco antico “Bisae” che si riferirebbe ai gradini che salgono dal fiume. Forse questo era dovuto alla presenza di due fiumi, l’Ozzeri (oggi scomparso) a nord dell’insediamento e l’Arno a sud. Mentre, tuttavia, in latino la città greca veniva indicata semplicemente come Pisa, la città toscana veniva indicata come Pisae, al plurale, e questo farebbe definitivamente propendere per l’origine dall’estrusco pise, su cui i Romani innestarono appunto il nome Pisae, indicato al plurale allo scopo di giustificare la e finale - e poter declinare in latino quella parola. solo dal mare, dalle paludi a sud e dai boschi ai piedi del Monte Pisano. Questo sistema aveva una struttura organizzata attorno ad una pòlis, centro militare, politico e religioso, ed una serie di insediamenti minori, che svolgevano attività economiche diversificate; prova di quanto affermato sono i ritrovamenti archeologici avvenuti vicino a Stagno che hanno riportato alla luce le antiche strutture portuali pre-romane. “Recenti indagini geomorfologiche, archeologiche e topografiche hanno permesso di Pianta dell’antico Portus Pisanus con l’indicazione della collocazione di Turrita Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 42 confermarne la localizzazione nell’area del porto antico, a nord di Livorno, compresa fra l’attuale sbocco del Calabrone e il raccordo dei Lupi in accordo con quanto attestato da fonti itinerarie romane. Il popolamento che si è venuto a creare in età arcaica nell’area circostante al porto induce ad ipotizzare che lo scalo fosse utilizzato da epoca molto antica; certo l’area dell’abitato corrispondente al porto tra l’attuale via Aurelia, il torrente Cigna e la fonte di Santo Stefano venne frequentata almeno dalla fine del III secolo. Delle strutture portuali, situate tra Stagno e Santo Stefano ai Lupi non si sa praticamente niente prima della ristrutturazione e fortificazione operata dal comune di Pisa nella seconda metà del XII secolo d. C.” Il porto era situato in una zona lagunare, con lunghi cordoni sabbiosi e secche2, questa posizione ne rendeva l’accesso più complicato e tuttavia protetto, 2 Pier Lodovico Rupi, Andrea Martinelli, Pisa storia urbanistica, 1997, Pacini Editore, (luogo N.D) In evidenzia la Via Emilia, la Via Aurelia e il sistema della centurazione come affermano Pier Lodovico Rupi e Andrea Martinelli: “particolari cautele erano necessarie per l’ingresso in porto: la nave doveva essere ben allineata alle due torri che chiudevano l’accesso, per poter entrare sicure evitando le secche.” Il Porto Pisano era protetto, oltre che dalle secche e dalle torri, da un sistema di palizzate che delimitavano in acqua il suo accesso, formando una sorta di recinto acquatico. La città etrusca fu inglobata nello stato Romano nel 193 a.C., quando l’esercito romano giunto in sua difesa per sgominare un lungo assedio da parte dei LIguri, sconfisse gli assedianti e liberò la città3 . In seguito la legione romana, per garantirne la sicurezza, vi si stabilì definitivamente. La città subì diverse modifiche: vennero razionalizzate e riorganizzate le strutture difensive (oltre alle mura, l’oppidum poteva contare sulla presenza di vari corsi d’acqua che la delimitavano, tra cui a Sud la riva destra dell’Arno e a Est la riva sinistra dell’Auser, che confluiva in Arno poco prima della foce); il sistema portuale venne ampliato (al porto etrusco, difatti, venne affiancata una nuova struttura localizzata sulla foce dell’Arno, luogo più adatto alle navi romane di dimensioni più grandi); tra i due porti venne creato un collegamento navale, lungo dei canali interni accessibili con piccole imbarcazioni, ed un collegamento viario, che dalla città si doveva dirigere verso Sud con andamento curvilineo evitando le zone acquitrinose. L’acquartieramento militare dei Romani si sovrappose alla città degli scambi con la classica griglia ortogonale. I Romani non si limitarono a ristrutturare la città, ma intervennero su tutto territorio, costruendo varie grandi opere viarie. La via Aurelia, iniziata alla metà del III secolo a.C. dal console Gaio Aurelio Cotta per collegare Roma a Cerveteri, è sicuramente la più antica. Essa ven- 3 Tito Livio riferendosi alla città assediata dai Liguri parla di un “oppidum”, cioè non di un semplice agglomerato di case, ma di una vera e propria città murata, racchiusa da una cinta fortificata. ne prolungata fino collegare le nuove colonie militari sul litorale tirrenico, in seguito alla definitiva sottomissione dell’Etruria. A questo tracciato, poi detto via Aurelia Vetus (ancora oggi via Aurelia Antica) fu aggiunto un tratto che prolungava la strada fino alla piazzaforte di Pisa. Qui la viabilità consolare lungo la costa Tirrenica si interrompeva a causa di due componenti fondamentali che ne impedivano la prosecuzione: da una parte, la presenza dell’ampia zona paludosa detta Fossae Papirianae nell’attuale costa versiliese (cfr. Tabula Peutingeriana: Pars IV - Segmentum IV); dall’altra, la presenza degli scomodi e bellicosi Apuani, detti anche Liguri Montani o Sengauni. Tale arteria rimase interrotta a Pisa per secoli, fino a quando nel 109 a.C., per meglio collegare la Colonia di Luni con il resto della Liguria, fu dato incarico al censore Emilio Scauro di costruire una strada, che prese il nome di via Emilia Scauri. Cosicché il percorso della via Aurelia dopo Pisa deviava verso Lucca, entrava in Lunigiana attraverso la valle del Serchio (Auser) e la val d’Aulella (Audena), per ricongiungersi infine con la viabilità di Luni. La via per Firenze (Florentia era stata fondata dai veterani romani nel 59 a.C.) fu inizialmente di secondaria importanza: la città di Pisa manteneva i contatti con la media valle dell’Arno soprattutto grazie al collegamento fluviale con chiatte e piccole imbarcazioni. Localmente però questa strada rappresentava un’infrastruttura di notevole importanza per compiere l’irregimentazione delle acque e la bonifica dal territorio interno: difatti le strade principali e secondarie fungevano da sistema infrastrutturale a supporto della bonifica. Questa operazione avvenne attraverso la centuriazione della piana: questo sistema con cui i romani organizzavano il territorio agricolo si basava su uno schema regolare con una disposizione geometrica, secondo un reticolo ortogonale di strade, canali e appezzamenti agricoli. Il territorio così diviso era destinato all’assegnazione a nuovi coloni (spesso legionari a riposo, i veterani): ad ogni colono o veterano lo stato assegnava un appezzamento di terreno, la centuria4 , una superficie agricola di 4 la centuria = 503.980 m² (circa 50 ettari), corrispondeva a circa 200 iugeri. circa 50 ettari di forma quadrata con lati di 710 m. Si può osservare che il territorio fu fortemente investito da opere di bonifica che tuttavia ne modificarono una parte ridotta, la centuriazione intervenne nella piana a est della città di Pisa lasciando pressoché intatto la vasta foce deltizia dell’Arno-Serchio. Le infrastrutture portuali si insediarono là dove era possibile all’interno di un sistema costiero instabile e per la maggior parte lagunare, le strade vennero tracciate compiendo lunghe deviazioni per non attraversare le zone paludose e i boschi umidi planiziali. Tuttavia l’antropizzazione del territorio fino al III sec. d.C. vide un notevole sviluppo, processo che rallentò, giungendo allo stallo prima e alla regressione poi, con la crisi dell’Impero e le prime invasioni. 3.1.2 - La regressione della città e la trasformazione del territorio: dalla caduta dell’Impero Romano agli albori della Repubblica Pisana Con la morte di Settimo Severo (211 d.C.) per l’Impero romano si apre un periodo di decadenza: l’esercito sottoposto alla pressione dei popoli barbarici ha ormai perso il controllo delle frontiere, la crisi economica e lo spopolamento dovuto a varie ragioni (carestie, sommosse, guerre civili, brigantaggio, ecc.) vanno ad aumentare l’instabilità politica e il controllo amministrativo locale del territorio. La stessa Pisa, ancora un porto di notevole importanza commerciale, non può più sostenere l’enorme onere gestionale delle opere di bonifica, così, nell’arco di circa centocinquanta anni (nei quali si fa sempre meno presente l’opera bonificatrice dei coltivatori), ad un ambiente pianeggiante principalmente col- Lo iugero equivaleva all’area di terreno che era possibile arare in una giornata di lavoro con una coppia di buoi aggiogati; corrispondeva così a circa un quarto di ettaro. 43 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 44 tivato si va sostituendo l’ambiente acquitrinoso e palustre originario; prima le piante pioniere, poi le arbustete e i boschi di farnie, olmi, frassini, salici e pioppi, spesso con le radici nell’acqua, si sostituiscono agli appezzamenti arati anche vicino alla città. I Goti di Alarico invadono Roma nel 410 d.C., attraversano l’Italia e giungendo a Roma dopo aver messo a ferro e fuoco i territori attraversati. Nel 416 d.C., sei anni dopo, Claudio Rutilio Namaziano, altissimo funzionario imperiale, dovendo compiere un viaggio da Roma alle Gallie, sceglie il percorso via mare “ […] poiché le vie di terra in pianura sono allagate dai fiumi, sulle alture sono irte di rocce, …, dacché la campagna toscana, dacché la via Aurelia, avendo sofferto col ferro e col fuoco le bande dei Goti, più non domano con ostelli i boschi né con i ponti i fiumi.”5 Namaziano così percorre il primo tratto lungo la costa tirrenica lasciandoci nel suo diario di viaggio le impressioni legate ai territori osservati durante gli scali. Fermatosi alla foce dell’Arno a causa di una tempesta, fa scalo a Pisa di cui ricorda: “Finalmente salvi dal mare burrascoso e irato potemmo navigare fino all’altezza del Porto Pisano, da dove fu bello giungere a Triturrita; questo è il nome del castello, che, isolato, si staglia su una sporgente muraglia: chi volesse costruirsi qui una sua casa, dovrebbe prima preparare il suolo. Ammirai moltissimo l’illustre porto vicino a questo luogo, oramai da ogni popolo conosciuto per le ricchezze e per le sue potenzialità: l’emporio di Pisa che si protende nel mare aperto ammirabile per l’aspetto e la potenza. Tuttavia la spiaggia selvaggia, aperta ai venti, non offre un sicuro rifugio al navigante che voglia difendersi dal minaccioso dio Eolo. Distava allora la città cinque chilometri dalla costa, ma il mare la lambiva quasi, grazie alla foce dell’Arno e ad un’ampia insenatura lagunare. Vi si giungeva dal mare anche per terra, da Triturrita, un borgo posto all’imboccatura del suo porto su una bassa penisola di scogli, nascosta, a chi veniva dal mare, dalle onde stesse che vi si frangevano contro. Il porto era magnifico e molto frequentato per le merci che vi si potevano 5 Claudio Rutilio Namaziano, De reditu suo (Itinerarium), V sec. d.C. vendere e acquistare: luogo di bellezza incantevole, per quanto spoglio di vegetazione perchè battuto dai venti marini e dalle onde del mare aperto, non era difeso da moli: un’alga, che alta cresceva su dal fondo, tratteneva e frangeva il moto violento delle onde senza tutta via recare alcun danno alle carene, che dolcemente la urtavano. Le navi vi trovavano sicuro riparo senza bisogno di ancore o di ormeggi. A breve distanza dalla costa, tutto all’introno, sorgevano folte selve, ricche di selvaggina, che si estendevano fino alle circostanti colline e oltre. Pisa era situata su una striscia di terra a forma di cuneo, stretta tra l’Arno e il Serchio che proprio in quel punto confluivano in un unico letto. Aveva forma, grosso modo, quadrata; e là dove le vie principali, il cardo e il decumano, si incrociavano, era il foro, adorno di statue di magistrati e di cittadini benemeriti illustrate da epigrafi elogiative. Intorno poi, e in altri luoghi della città, erano l’Augusteo, in onore di Cesare Ottaviano Augusto, templi, terme e il teatro e nelle immediate vicinanze della città, lungo le vie consolari, ville suburbane, sepolture e poi boschi e campi coltivati e larghi specchi d’acqua.”6 Come si può intuire dalle parole di Namaziano, il porto pisano aveva già dei problemi di insabbiamento legati all’apporto di detriti fluviali dell’Arno, situazione che andò peggiorando e che portò ad un rapido declino dello scalo antico. Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente (deposizione di Romolo Augusto, 476 d.C.) si osserva un’accelerazione nella regressione urbana legata allo spopolamento e all’assenza di un organo centrale di controllo del territorio. La città di Pisa osserva un calo demografico consistente, la crisi economica e dei commerci colpisce duramente l’attività portuale, le campagne nei dintorni, senza regime della acque, si trasformano in paludi malariche, e la forma stessa della città cambia riducendosi ad una piccola porzione della città romana7 : una fitta trama di viuzze si sostituisce alla maglia regolare. 6 Claudio Rutilio Namaziano, De reditu suo (Itinerarium), V sec. d.C. 7 La città alto medioevale può essere rintracciata attraverso le fondazioni della cinta muraria realizzata per proteggere il nucleo cittadino più efficacemente della vecchia cinta romana ormai ridotta a rudere. Fino al X secolo la situazione rimane pressoché invariata, le invasioni di Normanni, Ungari e Longobardi, le incursioni Bizantine, e la crescente minaccia dei pirati islamici del Nord Africa, contribuiscono a mantenere esigua la popolazione, che si sostentava con un’agricoltura molto povera e per la maggior parte era concentrata vicino alle mura della città. Tuttavia il rapporto con il mare rimane costante, ed è proprio grazie al clima temperato ed alla disponibilità di pesce che si mantiene attiva una comunità cittadina in un luogo lagunare e ormai tornato ostile. 3.1.3 – La rinascita del porto e la conquista del Mediterraneo: la Repubblica Pisana Dopo l’XI secolo la città di Pisa torna ad espandersi non solo dal punto di vista demografico e urbanistico (viene avviata una nuova cinta muraria nel 1155 d.C.): al di là dell’Arno viene costruita una nuova “città satellite”, Chinzica, destinata a funzioni commerciali. Una certa stabilità politica garantisce un periodo di pace favorevole alla restaurazione dei commerci assicurando una certa crescita economica. Poco dopo il Mille, Pisa è annoverata fra le quattro Repubbliche Marinare d’Italia - con Amalfi, Genova e Venezia – ed acquisisce una propria indipendenza pur mantenendosi fedele al Sacro Romano Impero. Comincia per la città Toscana un periodo d’espansione e di importanti conquiste territoriali. Reggio Calabria è conquistata nel 1005 e la Sardegna nel 1017; nel 1030-1035 vengono conquistate Cartagine, l’africana Bona, le Lipari; nel 1051-1052 viene occupata la Corsica; nel 1063 Palermo. L’espansione continua, in Italia e nel Mediterraneo. La flotta di Pisa, numerosa, agguerrita ed efficiente, è protagonista fra il 1113 ed il 1114 di grandi successi nelle battaglie alle Baleari contro i Saraceni e nella guerra con Amalfi del 1135-1137. Questi successi garantiranno a Pisa, con il consenso dell’imperatore Federico Barbarossa, il controllo di tutta la costa tirrenica che va da Porto Venere a Civitavecchia. Tutti i territori della Maremma settentrionale, sin dal XI sec. divennero quindi parte della Repubblica Pisana che si estendeva dai monti livornesi (Rosignano Marittimo) fino a Scarlino in provincia di Grosseto. L’economia di Pisa era legata prevalentemente all’attività portuale e al commercio marittimo in particolare con l’Oriente, da dove importava spezie, profumi, sete, pietre preziose, pelli, avorio, cotone, materie coloranti e droghe, mentre esportava armi, cavalli, legname, ferro, cereali e stoffe. Mentre lo sviluppo dell’agricoltura, che accompagna o precede sempre la crescita demografica ed il benessere della popolazione, si era sviluppata con difficoltà a causa del terreno paludoso; per questo la Repubblica Marinara iniziò, almeno dalla metà del XII secolo, ad investire sul territorio parte dei guadagni derivanti dal commercio e dalle conquiste, soprattutto intorno alla città di Pisa in rapida espansione, per diverse campagne di bonifica. La Repubblica Pisana dette avvio ad una campagna di recupero del sistema di canali e fossi di drenaggio condotta attraverso l’escavazione di nuove fosse o il ripristino di quelle già esistenti per assicurare il deflusso delle acque piovane e il graduale prosciugamento delle vaste aree paludose che si estendevano a sud della città. In seguito alla caduta dell’Impero romano il sistema di raccolta delle acque e di arginatura dell’Arno era infatti andato in abbandono a vantaggio dell’azione erosiva del fiume, che si era costruito nuovi percorsi, ed il permanere delle acque aveva generato aree palustri che avevano invaso ampie depressioni, precedentemente terreno coltivato. Nel 1162 il Comune di Pisa si impegnava a riorganizzare un lungo tratto del Caligi. Questo antico canale era considerato il più importante fosso collettore di tutte le acque della pianura da Pontedera a Pisa8 : per questo la sua larghezza fu portata a nove metri per consentire anche la navigazione interna con barche piuttosto larghe e poco profonde. 8Nel Caligi confluivano le acque di Fossa Vecchia, che serviva a raccogliere le eccedenze delle piene dell’Arno; le acque dei fossi navigabili di Tignano, Ceria e Oratoio e quelle della fossa Torale. Più a sud, confluivano nello Stagno il fosso Nugolaio, lo Zannone, la Solaiola e la Fossa Nuova. 45 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 46 Ma l’intervento più consistente riguardò certamente il taglio delle anse dell’Arno presso S.Piero a Grado, avvenuto nel 1338 per accorciare l’ultimo tratto del fiume fra Luicchio e la foce. Le due anse della Vettola e di S. Rossore erano infatti ormai troppo ampie e ravvicinate. Oltre che ridurre la lunghezza del tragitto alle imbarcazioni che risalivano o scendevano l’Arno, questa impresa - non indifferente per i numerosi metri cubi di terra da rimuovere a braccia e per le altre opere in legno e in muratura da eseguire - fu necessaria per rendere più sicura la città nei momenti di piena: accorciando la lunghezza del fiume, se ne accelerava infatti il deflusso da Pisa al mare. Un importante lavoro di riorganizzazione fu compiuto anche sulla viabilità. Sull’ossatura dei vecchi impianti stradali nati in età classica venne costruita una nuova rete extraurbana che consentiva di spostare uomini e merci dalla città ad altri punti nodali del territorio. L’asse stradale di maggiore scorrimento che collegava Pisa con la Liguria, rimase la via Emilia Scauri; arrivava da Nord entrando per Porta a Lucca, attraversava la città e uscendo da Porta San Pietro giungeva alla chiesa di San Piero a Grado seguendo all’incirca la sponda sinistra dell’Arno ancora non rettificata. Da qui proseguiva verso sud prendendo il nome di Via di Porto Pisano: essa infatti collegava la città con il nuovo porto, costruito tra il 1115 e il 1163 e ubicato nella insenatura tra lo sbocco del Calambrone e S. Stefano ai Lupi; la localizzazione di tale infrastruttura era stata resa necessaria per riparare lo scalo pisano dall’insabbiamento della foce dell’Arno. L’altra grande strada costiera romana, la via Aurelia, non viene mai menzionata dalle fonti archivistiche: è certo che nel Medioevo avesse perso la sua originale importanza a causa dell’impaludamento di gran parte delle zone che attraversava (ad esempio la Maremma e la stessa zona del Tombolo e di Coltano), minacciate ormai dalla malaria e dal pericolo delle incursioni. 3.1.4 – Da centro del mediterraneo a margine di un dominio, il declino della repubblica pisana. Verso la fine del XII secolo, la città denota i primi segni di stanchezza: si formano e si combattono aspramente i due “partiti” dei Guelfi e Ghibellini. Pisa si schiera decisamente dalla parte dell’Imperatore Federico II, ma deve fronteggiare la minacciosa coalizione guelfa delle città tradizionalmente nemiche: Lucca, Firenze e Genova. Dopo alterne vicende, tra cui la grande vittoria di Montaperti (1260) e la morte nel 1266 di re Manfredi (figlio di Federico II), le sorti dei Ghibellini italiani, tra cui i pisani, volgono al peggio. Per Pisa matura la sconfitta della Meloria, isolotto roccioso e disabitato, che sorge a poche miglia dalla costa toscana e dalla foce dell’Arno. Il 6 agosto 1284 le due flotte di Genova e Pisa si scontrano su quelle acque e i pisani subiscono una dura sconfitta. L’entità di tale sconfitta fu talmente grande che è parere diffuso tra gli storici considerare la battaglia della Meloria quale evento che pose termine al ciclo delle glorie marinare di Pisa, segnando il tracollo della potenza commerciale di un piccolo Stato assurto a importanza internazionale. Dopo la battaglia della Meloria viene trattata la pace con Genova che costerà a Pisa il dominio sulla Corsica, così attorno all’inizio del milletrecento i commerci e le rotte diminuiscono drasticamente, duramente colpiti dalla competizione di Genova e Venezia; inoltre la situazione politica si aggrava con l’instabilità interna alla città, che porta a lotte intestine di notevole violenza, e con l’accresciuta potenza e importanza di Firenze, nemica di parte Guelfa. L’assetto del porto mutò notevolmente in seguito alle distruzioni apportate dai genovesi con l’abbattimento delle quattro torri di difesa. La situazione andò peggiorando con il graduale abbandono di buona parte dell’infrastruttura e con la carenza di manutenzione degli scali, che portò al quasi totale insabbiamento del porto nuovo. Nel tardo IV secolo si può considerare lo scalo pisano praticamente inutilizzabile: i sedimenti apportati dall’Arno e dagli altri fiumi della pianura meridionale di Pisa avevano determinato, con il trascorrere del tempo, l’avanzamento del litorale, la formazione di lame palustri retro-dunali e la nascita di stagni acquitrinosi in alcuni tratti della pianura più bassi del livello del mare. Ciò rendeva insicura l’unica stretta via di comunicazione dal lato di terra, via di porto pisano, tra la città e il porto, mentre le forti correnti dell’Arno mettevano a repentaglio il passaggio delle navi e delle imbarcazioni che risalivano fino al porto fluviale, sulle sponde dell’Arno,via mare. Il naturale e progressivo insabbiamento dell’antico Porto Pisano coincise con l’affermazione del piccolo villaggio di Livorno, che sorgeva sulla costa rocciosa ai piedi di un sistema collinare, poi chiamato delle colline Livornesi. La sua origine è molto incerta: pare che fosse presente un luogo a sud di Pisa indicato come “Labrone” da Cicerone nel I sec. a.C.9 , ma le prime informazioni storiche riguardo ad un borgo stabilmente abitato risalgono al 1017, anno in cui, con il toponimo “Livorna”, è attestato per la prima volta la presenza di un villaggio posto sulla costa dell’odierno Mar Ligure in una cala naturale a pochi chilometri a sud della foce dell’Arno e di Pisa. La repubblica pisana, vista la necessità di trasferire in un luogo più sicuro gli scali portuali, optò per l’utilizzo di una nuova struttura portuale da realizzarsi a Livorno, come afferma Dario Matteoni: “…i pisani decisero di favorire lo sviluppo dello scalo labronico con la costruzione di un maestoso faro (noto come Fanale dei Pisani) e di una fortificazione a pianta quadrata (la “Rocca Nuova” o “Quadratura dei Pisani”, nucleo più antico di quella che sarà poi la Fortezza Vecchia). Nel 1392 il governo del doge pisano Pietro Gambacorti decretò la fortificazione della “Terra di Livorno” che divenne così un castello munito sul mare a difesa dell’approdo del 10 “Pamiglione” (Darsena Vecchia).” Intanto contrasti politici interni e i dissidi con Firenze peggioravano le condi- 9 I secolo a.C. Cicerone nella lettera al fratello Quinto (“... a. d. III. Id. April., ut aut Labrone aut Pisis conscenderet. Tu, mi frater, simul et ille venerit, primam navigationem.....”) 10 Dario Matteoni; Le città nella storia d’Italia: Livorno; 1988, La terza editore; Bari zioni di Pisa: nel 1363 i cattivi rapporti con Firenze sfociano in una guerra che si conclude con la battaglia di Cascina in cui i pisani sono duramente sconfitti. Dopo la sconfitta la situazione politica della città è gravemente compromessa; la signoria di Pietro Gambacorti porterà nel 1363 all’adesione all’unione federativa di tutti gli stati signorili d’Italia contro cui viene mossa guerra dai Visconti di Milano, scesi in Toscana nel 1383; pochi anni dopo la città veniva venduta a questi ultimi e nel 1405 ai Fiorentini, che ne entrano in possesso solo nel 1406, dopo un anno di assedio. Posta fine all’autonomia politica ed amministrativa della città, inizia un periodo di forte degrado e abbandono: il sistema di manutenzione dei fossi e degli scoli, trascurato, determina il rapido riformarsi delle paludi che invadano anche l’abitato, all’impaludamento si accompagnano anche le febbri malariche che provocheranno altissime perdite umane. I reduci e i sopravvissuti alle malattie, alle carestie e alle guerre, migrano in massa verso le colline (Nugola, Castell’Anselmo e Collesalvetti) e con la diminuzione della popolazione la città entrerà in un periodo di forte stasi. Anche Livorno viene venduta dapprima ai Visconti di Milano, e successivamente, nel 1407, ai genovesi. Durante il dominio genovese, il sistema portuale livornese viene potenziato con la realizzazione di una nuova darsena interna (il cosiddetto “Porticciolo dei Genovesi”), ubicato nella zona dell’attuale piazza Grande e collegata al mare mediante un canale. Tuttavia, nel 1421, i fiorentini acquistano anche il Castello di Livorno con l’intento di farne lo sbocco a mare per i loro traffici commerciali. 3.1.5 – La riorganizzazione economica e sociale: il governo dei Medici Sul finire del XIV secolo dobbiamo immaginarci quindi che il territorio a sud di Pisa, fino all’area attualmente occupata da Livorno, era quasi esclusivamente palude: ciò resta evidente nei toponimi “Faldo”, “Stagno”, “Guasticce”, e altri ancora. 47 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 48 Nel 1475, con la creazione dell’”Opera della Reparazione del Contado”, si era cercato di porre riparo al degrado della campagna pisana: tra i compiti di questa magistratura, oltre al controllo dell’Arno e del Serchio, veniva indicato quello dell’escavazione di nuovi fossi e della risistemazione dei principali già esistenti .11 Fu soprattutto con Cosimo I che si ebbe una ripresa degli interventi governativi in favore del risanamento idraulico della regione e del potenziamento delle reti viarie e fluviali. Nel 1547 l’Opera, ormai sempre più spesso indicata come Ufficio dei Fossi, veniva riorganizzata e dotata di una struttura burocratica più efficiente, permettendo così un impegno anche economico più efficace sul territorio. Le ingenti opere idrauliche avviate da Cosimo I dei Medici consentirono di ripristinare e rendere produttiva una vasta zona di terreni impaludati, ed inoltre vennero operate nuove rettifiche all’alveo dell’Arno, la prima nel 1528 e poi ancora nel 1606 e 1771. Nel 1554 fu deviato lo Zannone o Fosso Reale (oggi sostituito dallo Scolmatore dell’Arno): esso venne fatto defluire direttamente nel area palustre del Sinus Pisanus, per garantire il drenaggio della acque stagnanti portate dei canali e dei torrenti a monte, e l’immissione di detriti e fanghi per colmare le aree depresse del padule di Stagno, a valle. Altro intervento fu la costruzione del trabocco di Putignano, eseguita nel 1558, la cui funzione era quella di convogliare le acque dell’Arno in piena nel Fosso delle Bocchette, da dove sarebbero passate a colmare il Padule Maggiore. Pochi anni più tardi fu costruito il trabocco di Fornacette, che, attraverso il canale dell’Arnaccio, portava le acque dell’Arno nel padule di Stagno. Per quanto gli interventi determinarono un progressiva riduzione del rischio di esondazioni, è difficile valutare quanto questi influirono sulla bonifica dei paduli; senza dubbio essi non conseguirono completamente lo scopo prefis- 11 Per la pianura meridionale venivano elencati il fiume Tora, il fosso dell’Isola, il fosso Zannone, la Fossa Nuova, i Fossi Doppi, il Fosso Vecchio, il fosso di Putignano, il fosso Carigi, la fossa Micciola, il canale di Stagno sato: il Padule Maggiore non fu colmato, e il trabocco di Fornacette risultò inadeguato, tanto che il letto del canale Arnaccio fu poi utilizzato per la coltivazione. Il dominio Mediceo portò anche ad una riorganizzazione stessa della produzione agricola nel contado pisano; molte proprietà della signoria pisana vennero alienate e ridistribuite a famigli vicine ai Medici o direttamente inglobate nelle proprietà della famiglia fiorentina, e successivamente si formarono le grandi tenute. Le più importanti ad oggi sono la Tenuta Salviati a Migliarino, le Tenute medicee di San Rossore, Coltano e Castagnolo e le fattorie di Vecchiano, Casabianca e Collesalvetti. Nel 1568 il patrimonio amministrato dai Medici nel pisano (34.000 ettari) si accrebbe ancora, grazie alla requisizione di grosse proprietà di nobili fiorentini o pisani ribelli e da prevaricazioni del principe nei confronti della Chiesa, della Comunità o di privati. Verso la fine del milleseicento le proprietà granducali avevano aumentato la loro estensione in misura tale che tutta la fascia costiera del Serchio fino alla Maremma si poteva considerare un unico latifondo mediceo. Le proprietà granducali erano organizzate, soprattutto per esigenze amministrative, in diverse e autonome unità produttive, che potevano dividersi in Tenute o Fattorie. La Tenute venivano istituite se il fondo aveva estensioni elevate e caratteristiche ambientali e podologiche tali da poter sfruttate i terreni senza eccessivi impieghi di capitale, poiché non si riteneva conveniente procedere a grossi lavori di bonifica, al successivo dissodamento e messa a coltura del territorio e soprattutto alla divisione della proprietà in poderi. Questi possedimenti si caratterizzavano per una totale assenza del podere e per l’organizzazione in un’unica unità governata da un ministro alle cui dipendenze lavorava un certo numero di “provvisionati” fissi e, in particolari occasioni, prestatori d’opera assunti temporaneamente. La Tenuta veniva sfruttata per la produzione del legname, per il pascolo di animali nelle praterie (bovini, cavalli, suini) e come riserva di caccia. Il fondo poteva essere diviso anche in Fattorie: queste basavano la loro economia sul podere a conduzione mezzadrile. A questa organizzazione si giunge con un lento processo che inizia con l’investimento di abbondanti risorse per le opere di bonifica per colmata. I terreni venivano concessi con contratti parziari a contadini residenti nei villaggi circostanti che operavano il primo dissodamento e la messa a coltura di queste terre. Si avvia quindi un’organizzazione basata su un’amministrazione centralizzata, curata da un fattore, e su una serie di divisioni del territorio - i poderi a conduzione mezzadrile - sui quali vengono costruite le varie case coloniche. La principale produzione era quella cerealicola, alla quale si affiancava la viticoltura e l’olivicoltura in collina e la messa a coltura di leguminose e gelsi in pianura, anche se ogni podere provvedeva all’autosostentamento coltivando ortaggi e piante da frutto e spesso allevando animali. Una della maggiori proprietà organizzate con fattorie e poderi fu quella di Collesalvetti. Il fondo fu acquistato dai Medici nel 1476: un’ampia tenuta che comprendeva una villa, seppur modesta, usata inizialmente come residenza di caccia, per poi divenire centro propulsivo dello sviluppo agricolo della zona. Tuttavia la difficile regimentazione dei corsi d’acqua (Tora, Tanna, Isola) non permise mai una sicurezza duratura per le coltivazioni, impedendo il pieno sviluppo degli aggregati urbani, che anzi videro periodi di regresso. Se il governo dei Medici fu volto alla riorganizzazione rurale del contado pisano destinando la città al ruolo di centro agricolo e commerciale locale, per Livorno la famiglia fiorentina progettava di potenziare lo scalo marittimo elevandolo a porto del Granducato. La stabilità politica portò ad una enorme crescita demografica ed economica della città labronica; in breve tempo il porto gestì traffici commerciali di rilievo internazionale, per questo fu realizzato un nuovo molo d’attracco e fu istituito l’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano a difesa del porto. In questi anni la qualità dei traffici marittimi solo in minima parte è accolta dalle attrezzature commerciali di Livorno, di dimensioni ancora modeste. Le merci vengono trasportate per l’immagazzinamento a Pisa, che assume il ruolo di centro mercantile, dove si concentravano i mercanti forestieri e toscani attirati da privilegi e esenzioni concesse da Cosimo I. Egli stesso desiderò con decisione lo sviluppo di Livorno come emporio navale. Il potenziamento del porto si attuò attraverso l’incarico che nel 1506 Antonio da Sangallo il Vecchio ricevette per la costruzione di una fortezza, progetto compiuto nel 1534. Francesco I, successore di Cosimo, incaricò Bernardo Buontalenti di progettare la pianta della nuova città di Livorno, essa “… assunse una forma pentagonale, con fossati, baluardi e fortificazioni alla moderna che dovevano servire a proteggerlo dall’assalto delle navi corsare dei Mori e dei Saraceni, in quei tempi protagonisti di frequenti scorrerie ed incursioni lungo le coste del Tirreno e del Mediterraneo in generale.”12 Il progetto del Buontalenti non venne seguito molto fedelmente: una vasta 12 Bari Matteoni Dario, Le città nella storia d’Italia: Livorno, 1988, Laterza Editore, Villa medicea di Collesalvetti, lunetta esposta nel Museo ’Firenze Com’era’. 49 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 50 zona urbana adiacente al baluardo di settentrione fu eliminata per l’edificazione della Fortezza Nuova (iniziata nel 1590); nel centro della città venne inserita una grande piazza, creata assieme al duomo. Il nucleo abitato si dispiegava lungo l’asse di via Ferdinandea (oggi via Grande), che congiungeva il porto con il territorio circostante. Infine il Fosso Reale (o Circondario) venne terminato nel 1603. La proclamazione di Livorno come porto franco e l’emanazione delle cosìddette “Leggi Livornine”13 costituirono il motore di sviluppo demografico ed economico di Livorno. All’inizio del XVII sec. la città di Livorno si presentava con un porto e una struttura difensiva ben organizzati, tuttavia il sistema di stivaggio e deposito delle merci necessitava dell’ausilio dei magazzini pisani: per questo motivo si deve immaginare l’infrastruttura portuale livornese-pisana quale un unico complesso sistema di scali portuali e collegamenti interni attraverso strade e canali navigabili. A Ferdinando I, succeduto al fratello, si deve una stagione di rinato interesse per Pisa, in quanto sotto la sua amministrazione videro la luce molte opere pubbliche: tra queste la realizzazione dell’acquedotto pubblico, lo stanziamento di fondi ulteriori per la bonifica delle paludi circostanti, il potenziamento del commercio locale e dell’industria, ma soprattutto l’apertura del canale navigabile del Navicelli che, unendo Pisa e Livorno con una linea fluviale, favoriva le industrie e i commerci e rendeva più rapido ed efficiente il trasferimento di uomini e merci tra le due città. Partendo da Porta a Mare in Pisa e percorrendo circa venti chilometri con un tracciato sinusoidale, il canale giungeva a Livorno presso la Fortezza Vecchia; il 13 “Tali leggi assicuravano una serie di privilegi e concessioni per chi si fosse stabilito a Livorno: garantivano libertà di culto, di professione religiosa e politica; inoltre chiunque fosse stato ritenuto colpevole di un qualsiasi reato (con alcune eccezioni, tra le quali l’assassinio e la “falsa moneta”) aveva garantita libertà di accesso alla Terra di Livorno.” Matteoni Dario, Le città nella storia d’Italia: Livorno, 1988, Laterza Editore, Bari percorso fu modificato molte volte fino alla definitiva rettificazione avvenuta tra il 1920 ed il 1938, con la quale il canale ha assunto un andamento prevalentemente rettilineo. Prima della rettifica si deve immaginare un percorso che scendeva da nord-ovest a sud-est compiendo ampie anse raccordate da tratti più o meno rettilinei. Il percorso primitivo è stato raccontato da Giovanni Targioni Tozzetti, che si trovò ad affrontarlo nella prima metà del Settecento: “ condotto che è vicino all’antica chiesa di S. Piero in grado e cammina per quasi cinque miglia tra il confine del bosco di Castagnuolo e del Padule di Stagno da sinistra, e il principio della Macchia di Tombolo da destra, nel quale tratto è sostenuto da forti argini e non riceve altr’acqua che dell’Arno, poiché i piccoli fossi di Mezzania e Sofina poco vi portano. A Ponti di Stagno s’incontra colla Fossa Chiara, poi col Fosso Reale, e colla Tora, e dopo aver ricevuto le acque di alcuni torrenti e scoli della compagna di Livorno, entra in Livorno e passando per Venezia Nuova, sbocca nel Fosso della Fortezza Vecchia, cioè in mare.”14 Se ne hanno notizie certe a partire dal 1563, quando furono iniziati i lavori di adeguamento del corso d’acqua che, come afferma Emanuele Repetti, in origine potrebbe essere stato un importante ramo del delta dell’Arno che serviva come sbocco a mare per le navi e come alleggerimento del deflusso durante le piene del fiume .15 Questo corso potrebbe essere stato sfruttato già in epoca repubblicana, per collegare il porto pisano alla città, e questo escluderebbe le ipotesi che il canale abbia origini artificiali .16 D’altra parte la necessità di utilizzare una via d’acqua che collegasse il centro 14 Giovanni Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, Firenze, 1751, cap. Fossi della parte meridionale, pp. 114-115 15 Emanuele Repetti, Dizionario Geografico Fisico e Storico della Toscana, vol. IV PP. 271-272 16 Tale ipotesi è screditata da almeno tre fattori: 1) dal percorso sinuoso di questo ramo, 2) dalle preesistenze storiche ritrovate lungo il suo corso 3) se fosse stata artificiale la sua progettazione e la sua esecuzione avrebbero avuto un tracciato lineare molto più comodo e breve. urbano di Pisa con il mare ha origini antiche: di fatto quando si rese palese il rischio per la navigazione del fiume Arno dovuta al notevole apporto di detriti portati dal fiume che modificavano continuamente la linea di costa, interrando e insabbiando gli scali ubicati nella zona, fu impiegato un percorso fluviale che collegasse la città con un porto sul mare in un luogo sicuro e protetto e senza pericoli di continui insabbiamenti. Sicuramente il percorso affrontato dalle navi nel fino alla meta del XVI sec. era molto diverso e rischioso rispetto al primo tracciato dei Navicelli. L’ipotesi più accreditata indica la data di inizio dei lavori di scavo del canale navigabile nel 1560 e il termine tra il 1575 e il 1576. Fin dal primo progetto, del 1541, si prevedeva di raccordare il canale sulla riva sinistra dell’Arno utilizzando il percorso di un antico fosso residuo di precedenti opere idrauliche. L’imbocco fu dotato di una cateratta che veniva abbassata quando le acque dell’Arno erano torbide, impedendo il deposito di fango nel fosso. All’inaugurazione venne aperta al transito della caratteristiche imbarcazioni fluviali: i navicelli 17, il cui nome in seguito verrà comunemente usato per indicare lo stesso canale. La via d’acqua fu utilizzata molto per lo scambio di merci soprattutto da Pisa a Livorno per favorire l’esportazione di prodotti interni. Se inizialmente il fosso navigabile aveva il principale scopo di potenziare la piazza commerciale di Pisa fornendole una via di comunicazione diretta e sicura con lo scalo marittimo di Livorno, con la progressiva crescita di quest’ultimo esso diventa un’importante opera infrastrutturale a vantaggio del nuovo porto, assicurandone le vie di comunicazione con l’entroterra dove erano collocati magazzini per lo stoccaggio delle merci, i mercati locali e l’inizio delle vie che dalla costa raggiungevano Lucca e Firenze. La navigazione sul canale era regolamentata da una serie di disposizioni volte a proteggerne il mantenimento18 ; tuttavia il canale richiedeva continui inter17 Queste imbarcazioni erano di dimensione varia e di forma allungata con la chiglia piatta, i lati bassi e la prua rialzata, spinti perlopiù da pali. 18 Era vietato pescare nelle acque del canale; gli abitanti del contado non potevano portarvi ad abbeverare buoi o altri animali per evitare che potessero franare 51 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 52 venti di manutenzione, primo fra tutti un incessante lavoro di estrazione dei fanghi trasportati dalle acque torbide dell’Arno e dai terreni paludosi attraversati lungo il percorso, il cui accumulo nel fondo ostacolava la navigabilità. Già Ferdinando I, nel 1595, ordina il restauro di tutto l’alveo, a partire dall’imbocco del canale, quasi completamente interrato. Egli apporta anche un primo miglioramento alla darsena di approdo dei navicelli a Pisa, integrata nel 1603 con una tettoia lunga quasi 75 metri. Nel corso del XVII secolo vengono operate notevoli modifiche anche nell’ultimo tratto del canale sul versante livornese; qui la via d’acqua diviene elemento propulsivo per i commerci e l’espansione della città stessa che ingloberà il percorso del canale sfruttandolo quale via diretta di comunicazione con il porto, Matteoni: “ La decisione di dare uno sviluppo urbano al piccolo porto, con l’approvazione da parte di Ferdinando I del progetto di costruzione di una nuova città, è seguita alcuni decenni più tardi da un primo progetto di espansione dell’abitato proprio intorno all’ultimo tratto del canale dei Navicelli. Verso il 1630 si individua nel lembo di terra a settentrione della città, tra la Fortezza Vecchia e la Fortezza Nuova, attraversato dal canale proveniente da Pisa, la zona in cui costruire un primo ampliamento urbano. Il canale è inglobato nel nuovo quartiere e utilizzato come comoda via per il trasporto delle merci dal vicino porto ai magazzini che si dovranno costruire lungo le sue sponde, formando con il vicino fosso circondario delle mura una caratteristica rete di canali, segno distintivo del quartiere stesso, non a caso col tempo denominato Venezia Nuova.”19 gli argini; era vietato gettarvi immondizie, che avrebbero riempito il fondale; era vietato lavarvi e riparare imbarcazioni per timore di danneggiare gli argini o gli scali che servivano solo al carico e scarico delle merci. Per evitare attese troppo lunghe era vietato ai navicelli sostare in darsena oltre il tempo necessario a queste operazioni. Allo stesso tempo per non intralciare la navigazione non si faceva uso di remi ma si procedeva spingendosi con pali e non si poteva far sostare il navicello in un punto qualsiasi del percorso. 19 Matteoni Dario, Le città nella storia d’Italia: Livorno, 1988, Laterza Editore, Bari Anche in questo tratto il canale era soggetto a interramento, tanto da richiedere una incessante opera di escavazione di fanghi con dispendio di mezzi e di denaro. Per ridurre al massimo la spesa dell’intervento venne proposta una deviazione che consentiva di far passare il canale in uno stretto lembo di terra tra il fosso reale e il porto, il “Varco del Pontino”, modifica che verrà attuata solo all’inizio dell’Ottocento. Questa variazione determina un ulteriore assetto della canalizzazione nella zona a nord di Livorno, con il collegamento del nuovo canale dei Navicelli al percorso precedente, più prospiciente al mare e da quel momento indicato come Fosso delle Chiatte, utilizzato per il trasporto delle alghe e dei fanghi estratti dal porto e scaricati nei pressi della torre del Marzocco. Per quanto riguarda la rete viaria, l’assetto del periodo comunale rimase sostanzialmente invariato sotto il dominio dei Medici. Le condizioni non erano comunque ottimali, dal momento che gli oneri per la manutenzione delle strade erano completamente demandati alle varie comunità locali e i lavori principali venivano eseguiti quasi esclusivamente in occasione di eventi importanti legati agli interessi del principe. A inizio Seicento, per iniziativa del Granduca Ferdinando I, si avviano due opere pubbliche di ingenti dimensioni: l’ampliamento del porto di Livorno e la rettifica dell’ultimo tratto dell’Arno, interventi che modificheranno profondamente il territorio e avranno ripercussioni sulle scelte urbanistiche delle due città. La crescita demografica ed economica di Livorno fu tale da rendere necessarie nuove attrezzature portuali. Per ampliare il porto si andò a occupare una zona parzialmente paludosa a sud: con la costruzione del Porto Mediceo fu possibile ricavare un grosso bacino di attracco per le navi. La difesa a sud era completata da una canalizzazione simile a quella che già circondava Livorno e da un opera a corno – hornwerk - che conteneva il lazzaretto di San Rocco (l’attuale cantiere navale si trova proprio nello spazio che fu del lazzeretto20 ). 20 Alla fine del ‘600 il lato nord delle mura, indebolito dalla presenza della Venezia Nuova, che di fatto rendeva parzialmente inutile la Fortezza Nuova, rese Nel 1606, con il famoso “taglio ferdinandeo”, la foce dell’Arno venne spostata verso nord di 1550 metri. Quest’opera idraulica diede luogo a maggior apporto di torbide da parte dell’Arno, per l’aumento della pendenza del fiume nel suo tratto terminale, ed alla rapida formazione di un nuovo delta che veniva alimentato anche dalle sabbie provenienti dalla demolizione del vecchio delta, non più alimentato. Col cambiamento di direzione della foce, da verso libeccio a verso maestrale, si favoriva lo smaltimento in mare delle piene anche durante le mareggiate più forti che provenivano da Ovest. Inoltre si vennero arginate le sponde dell’Arno, che nel 1616 risultavano completate da Pontedera a Pisa sulla riva sinistra e da Caprona a Pisa su quella destra. Le opere iniziate con Ferdinando I saranno di lunga lavorazione, soprattutto la bonifica della foce dell’Arno, la rettifica e l’organizzazione dei fossi. Le opere di potenziamento delle infrastrutture portuali impegneranno anche Leopoldo II, Ferdinando II e Leopoldo III, che per tutto l’arco del Seicento daranno vita a diverse iniziative nel solco del buon governo dei Medici; soprattutto i fondi della proprietà medicea saranno interessati da notevoli investimenti volti a conservare le tenute costiere nelle quali i Granduchi avevano istituito riserve di caccia e maneggi per l’addestramento dei cavalli. 3.1.6 – Tra riforma e conservazione: la gestione territoriale dei Lorena Passata la Toscana dai Medici ai Lorena, con Francesco I (1737-65) e poi con Pietro Leopoldo I (1765-90), tutto il territorio risentì dei benefici effetti di questi principi riformatori. L’opera di riempimento delle paludi e la costruzione di nuovi canali (per convogliare a favorire il deflusso dei corsi d’acqua) determinarono una costante trasformazione nell’aspetto del paesaggio, con il regrenecessaria la creazione del bastione S. Pietro e del Rivellino di San Marco; La Fortezza Nuova venne quindi conseguentemente ridimensionata in funzione della nuova sagoma delle mura e i fossi che la circondavano assunsero, nella città, uno spiccato carattere commerciale. dire delle aree palustri, largamente sfruttate per il pascolo libero e la pesca, a favore di una maggiore estensione di campi variamente coltivati attorno agli edifici poderali che accoglievano le famiglie mezzadrili. Questo costante lavoro di bonifica aveva conosciuto lunghi periodi di stallo e di regressione, tuttavia già con i Medici21 il processo di regimazione delle acque e la messa a coltura dei nuovi suoli bonificati avevano subito una certa accelerazione. I Lorena dettero continuità a tale politica, investendo notevoli sforzi economici. L’onerosità di tale opera consisteva nel grande movimento di terre che servivano al riempimento delle zone depresse ove ristagnavano le acque. Per raggiungere tale obbiettivo venne pianificato un riempimento per 21 Con Cosimo III, figlio di Ferdinando II ed ultimo erede maschio della famiglia Medici, si era dato avvio alla colmata del padule di Stagno ordinata per mezzo del “motuproprio” nel 1716 . I Navicelli, imbarcazioni tipiche che hanno dato nome al canale 53 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici Ufficio Fiumi e Fossi: sezione del Navicelli 54 colmata, tecnica che prevedeva la diversione delle acque ricche di materiale di torbida, effettuata a mezzo di appositi canali (canali diversivi) che convogliano le torbide verso le varie depressioni (vasche di colmata) del bacino palustre, dove poi si decantavano. La deposizione di strati successivi di torbida provocava alla fine il riempimento delle cavità, l’uguagliamento delle ondulazioni della superficie topografica ed il suo innalzamento sino al livello voluto. Oltre alle canalizzazione necessaria alla colmata venne realizzato un nuovo sistema collettore delle acque della pianura da Cascina a Livorno: il nuovo Calambrone, a proseguimento del Fosso Reale, divenne la colonna portante del sistema di canali diversivi che da questo si dipartivano per colmare il padule di Stagno. Esso seguiva un tracciato simile all’attuale Scolmatore, che fu realizzato appunto modificando il tracciato del Calambrone; facilitava il deflusso del Fosso Reale, ed i suoi torrenti di sinistra, Isola e Crespina, venivano utilizzati per colmare i piccoli paduli di Gamberonci e Guinceri. Nello stesso periodo avvenne il progressivo disboscamento delle colline livornesi e delle pendici del Monte Pisano, in origine totalmente ricoperte da boschi (come si può vedere nella lunetta di Giusto Utens che illustra la Fattoria medicea). Questa operazione, svolta attraverso il sistema del bosco ceduo, garantiva legname in abbondanza per la cantieristica navale pisana, che sin dall’epoca di Cosimo I aveva ripreso le attività all’interno dell’arsenale per la realizzazione della flotta mercantile e militare del Granducato. Alcune misure varate dai Lorena tra gli anni Quaranta e Cinquanta del Settecento investono anche il canale dei Navicelli, nell’intento di potenziare le vie di collegamento afferenti il porto di Livorno. Se durante tutto il corso del Seicento si erano susseguiti interventi di manutenzione e di miglioramento del canale, come la costruzione di nuovi ponti per il suo attraversamento, nel secolo successivo si apportano altre importanti modifiche a seguito dell’opera di bonifica della zona. Tra il 1740 e il 1749, tenendo conto del nuovo assetto idrico assunto dopo la realizzazione del nuovo Calambrone, che sfociava a mare più a Sud, si realizzò un’importante deviazione del suo percorso che arrivando da Pisa abbandona la confluenza nella fossa Chiara e procede per un tratto parallelo al nuovo canale del Calambrone, immettendosi in esso più a sud; da qui si prosegue attraversando l’acquitrino del Galanchio, ove oggi sorge l’estremità più settentrionale del porto di Livorno, e ci si ricongiunge all’antico tragitto in prossimità delle cateratte o Bocchette, all’altezza dell’odierna via delle Cateratte, poco a nord delle mura di Livorno. Contemporaneamente nelle aree che si andavano prosciugando si procede a una nuova canalizzazione come nel caso del Gran Padule, della Paduletta e dell’acquitrino del Galanchio; questi terreni delimitati dalla strada maestra per Pisa, il Fosso Reale, la foce dal Calambrone e il mare, furono in gran parte colmati con i detriti trasportati dai torrenti Cigna e Riseccoli, fatti confluire nell’alveo vecchio del Canale dei Navicelli. L’arrivo del canale a Pisa e la sua confluenza nell’Arno sono parimenti oggetto di interesse da parte dei granduchi lorenesi, a cui sta particolarmente a cuore un efficiente collegamento idro-viario tra Livorno, Pisa e Firenze per l’incremento dei traffici e degli scambi commerciali nel Granducato. Le prime relazioni e studi sul canale avevano messo in evidenza il problema del passaggio delle imbarcazioni e delle chiatte, i navicelli, dal canale all’ Arno nei periodi di piena del fiume, quando cioè per evitare che le acque torbide passassero nel canale depositando fango sul fondo, la cateratta22 veniva chiusa e il collegamento diretto dal fiume al canale interrotto, con inevitabili ricadute negative sul piano economico. In questi casi si ricorreva perciò al varatorio, una macchina che per mezzo di una ruota trasportava i navicelli al culmine di un argine in muratura da cui venivano fatti scivolare nell’Arno o nel canale. Per ovviare ad un sistema così scomodo i tecnici suggerirono di costruire un “sostegno”, ovvero una conca a gradino, o vasca di compensazione, isolata da una seconda chiusa, che portava al livello d’acqua desiderato la imbarcazioni sia in entrata che in uscita dal canale. Il progetto per il sostegno al Canale dei Navicelli viene presentato nel 1786 dall’architetto Stefano Massai e realizzato dall’Ufficio dei Fossi per volontà di Pietro Leopoldo nel 1788-89. La conca costruita a ridosso della cateratta Maestra misurava 40 braccia e mezzo (20 metri) e conteneva un massimo di quattro navicelli per volta consentendo il passaggio di otto navicelli (quattro in entrata e quattro in uscita) anche nei periodi di piena. L’opera garantirà il transito delle imbarcazioni a pieno ritmo fino al 1943 quando fu resa inservibile a causa dei bombardamenti. I forti investimenti dei Lorena per il miglioramento dell’idrovia che collegava Livorno con Pisa e con Firenze, sono giustificati dalla crescente importanza del trasporto su chiatta, che andava sopperendo alle carenze del sistema viario in cattive condizioni. Le vie d’acqua da tempo assicuravano la maggior parte dei collegamenti tra il porto di Livorno e le zone più interne della Toscana. Il canale dei navicelli ebbe così un periodo di estrema fortuna: esso non veniva impiegato solo per il trasporto di merci destinate ai mercati locali, ma anche per il trasporto delle merci pregiate: sete persiane, zucchero e spezie indirizzate verso i mercati fiorentini. Una descrizione del percorso ci viene fornita da Georg Christoph Martini: tedesco di origini italiane, uomo di cultura, intraprese nel 1722 un viaggio in Italia e, fermatosi a Livorno, descrisse la città e i suoi dintorni. Nei suoi scritti, raccolti in “Viaggio in Toscana”, così descrisse i n a v i c e l l i : 22 La cateratta artificiale, comunemente chiamata chiusa, è uno strumento che, posto alla confluenza di due corsi d’acqua, permette, attraverso la sua apertura o chiusura, di regolare l’apporto idrico dell’uno sull’altro. 23 Georg Christoph Martini; Viaggio in Toscana, 1725-1745; Pacini Fazzi editori; riproduzione anastatica dell’edizione originale a cura di Oscar Trumpy; Lucca, 1990 “[…]questa Macchia è piena di luoghi paludosi, di pozze d’acqua e di laghetti, dai quali si leva d’inverno uno schiamazzo tale che, viaggiando da Pisa a Livorno via canale, si sente a malapena la propria voce. Innumerevoli oche ed anatre selvatiche, chiamate germani, trascorsa l’estate in Germania, si ritirano d’inverno in Italia.”23 Con la metà dell’800 il canale aveva raggiunto il suo assetto e percorso definitivo, che dall’Arno all’altezza della porta a Mare di Pisa, con il maestoso 55 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 56 imbocco attraverso il Sostegno e la tettoia della darsena proseguiva per circa un chilometro parallelo al fiume e poi ripiegava a sud dirigendosi verso Livorno, attraversava la pianura meridionale pisana toccando l’area della bonifica di Coltano, per poi raggiungere il canale immissario della bonifica di Bientina a cui si affiancava in un percorso parallelo fino a immettersi nel Calambrone insieme al fiume Tora e al torrente Ugione, a circa 200 metri dal mare. Da qui il canale procedeva parallelo alla costa e arrivava alla Dogana dell’acqua creata appositamente per l’arrivo delle merci dai Navicelli. Quest’opera fu eretta nel corso degli anni trenta dell’Ottocento contestualmente ad una generale riorganizzazione del confine daziario di livornese. Nel secolo successivo il miglioramento della rete stradale portò al graduale ridimensionamento del trasporto dei passeggeri nei canali interni; difatti la volontà riformatrice dei Lorena influì anche sull’assetto delle infrastrutture stradali, sino ad allora molto discontinue e obsolete. Tra Pisa e Livorno l’assetto stradale si appoggiò ai tracciati delle vie medioevali, la più importante delle quali era la Strada Regia24 Pisana-Livornese: essa collegava Firenze con Pisa; da Pisa la strada si diramava in due direzioni, verso Nord, uscendo da Porta a Lucca, proseguiva per Lucca e Pietrasanta, verso Sud uscendo da Porta a Mare e passando per S. Pietro a Grado, giungeva a Livorno. Fin da allora però la comunicazione Firenze- Livorno poteva evitare Pisa, attraverso la cosiddetta “Traversa del fosso Chiaro” con inizio presso Fornacette e innesto nella Pisa-Livorno in località Stagno, in buona sostanza l’attuale SS. n. 67 bis. “Arnaccio”. In questo periodo si propongono alcuni progetti di strade da realizzare ex-novo: le strade Livorno-Modena via Lucca, la Livorno-PonsaccoCapannoli-Roncolle-Colle Val d’Elsa-Siena, la Livorno-Follonica-Grosseto, e la S. Vincenzo-Barretti furono ideate per creare una fitta rete di comunicazione 24 Con i Lorena tutte le strade del ducato vennero censite creando una gerarchizzazione dei percorsi. Si classificavano “rege” le strade che collegavano la Capitale con il resto del territorio, “ comunicative” se collegavano i vari castelli, piazze o popoli, e “altre” se erano a carattere privato. tra l’interno e il sistema delle città di costa, che consolidarono il loro ruolo di grande piazza mercantile – Pisa - e di porto del ducato - Livorno. Questo vasto progetto che comprendeva anche il restauro di alcuni assi viari, come la ricostruzione della Emilia Scauri (impropriamente detta Aurelia, o Emilia) da Palazzi a Pisa, venne realizzato solo in parte, ma servì da guida per le future realizzazione post-unitarie. All’inizio dell’800 le radicali innovazioni che investono i mezzi di trasporto con l’affermarsi del treno e della navigazione a vapore, imposero una serie di adeguamenti strutturali promossi e portati a termine negli ultimi decenni del governo lorenese. La costruzione di una rete ferroviaria granducale faceva parte di una strategia più ampia improntata dal Granduca Leopoldo II per aumentare i commerci, rendere più rapido ed efficiente il sistema di trasporti, incrementare attraverso la realizzazione di ferrovie il sistema finanziario ed industriale, ma anche per raggiungere luoghi del granducato ancora difficilmente accessibili . 25 Fu da un’iniziativa promossa da banchieri livornesi e fiorentini che partì la realizzazione di una strada ferrata che univa le due città più popolose della Toscana. I percorsi selezionati nel 1838 per la ferrovia leopoldina risultarono essere due, tra cui venne scelto il secondo: a- Firenze-Empoli-Pontedera-Livorno (con deviazione Pontedera- Pisa); b- Firenze-Empoli-Pontedera-Pisa-Livorno. Il fatto di concentrare l’attenzione su questi due progetti indica che l’importanza strategica attribuita al porto di Livorno era tale da ipotizzare un percorso diretto Firenze-Livorno con una deviazione verso Pisa. Il tratto Pisa-Livorno (18,030 km), progettato da Robert Stephenson (figlio di George che introdusse la locomotiva a vapore nei sistemi di trasporto), venne inaugurato il 14 Marzo del 1844; nel 1845 entrò in funzione la Pisa-Pontedera 25 Ad esempio Leopoldo II rilanciò l’idea della bonifica della Maremma con l’intento di sfruttare le risorse minerarie maremmane, per farlo era necessario migliorare le comunicazioni tra Firenze e questi luoghi. (19,359 km), nel 1847 il tratto Pontedera-Empoli (26,800 km) e nel 1848 la linea era compiuta fino a Firenze, completamente a due binari, la prima ferrovia Italiana per estensione (97,486 km). Nel 1846 fu inaugurata infine la ferrovia Lucca-Pisa: in questo modo la Toscana occidentale si era dotata di una propria rete ferroviaria che connetteva Pisa, Lucca e Livorno, e queste con Firenze. Le stazioni in Pisa per Lucca e per Firenze erano però separate: la prima era ubicata a nord delle mura nei pressi dell’arena Federighi (tra Via S. Stefano e Via Contessa Matilde), la seconda, detta Stazione Leopolda, era situata in vicinanza dell’attuale Piazza Guerrazzi, a sud-est della città. Le due stazioni vennero unificate nell’attuale stazione di Pisa nel 1861. Nel 1845 prese corpo il progetto di realizzare la ferrovia maremmana concepita come collegamento tra il granducato e Roma, e più in generale come parte di una grande opera che collegava Napoli a Genova. Vennero proposti due tracciati: un percorso interno, più lungo, per le valli del Tora e del Fine (più funzionale ai collegamenti con la valle dell’Arno), ed un percorso costiero diretto, più difficile e costoso tra Livorno e Cecina (più funzionale alla linea tirrenica). La ferrovia venne realizzata con un percorso interno da Livorno a Vada (per Collesalvetti), nel 1860-64, e con un percorso costiero da Cecina a Follonica, escludendo Livorno dalle relazioni di lunga percorrenza Nord-Sud. Tale collegamento veniva garantito fino al 1910 dalla ferrovia Livorno-Collesalvetti e successivamente fu possibile un collegamento diretto con l’apertura del tratto costiero Cecina-Livorno. L’iniziale preferenza per Pisa è da imputare ai rapporti economici tra la città e il territorio della Maremma, di fatti il mercato pisano era il naturale sbocco dei prodotti agricoli di quest’area, mentre a Livorno si registrava l’assenza di un consolidato mercato di questo tipo. Tuttavia sin dalla fine del XVIII secolo Livorno poteva contare su una forte propulsione delle attività industriali e portuali. Il conseguente incremento di popolazione unito al crescente bisogno d’acqua del suo porto, rese necessaria la costruzione di un nuovo acquedotto in sostituzione delle antiche condotte seicentesche realizzate sotto il granduca Ferdinando I de’ Medici. Fu Pietro Leopoldo, alla fine del XVIII secolo, ad avviare i primi studi sulle sorgenti presenti nel territorio livornese. Successivamente il figlio Ferdinando III con motuproprio del 7 novembre 1792 approvò il progetto di Giuseppe Salvetti, decretando l’inizio dei lavori per il nuovo acquedotto. Scartata l’idea dell’ingegner Bombicci di realizzare un dispendioso tunnel attraverso le colline tra Colognole e Livorno, il Salvetti ritenne più sicuro aggirare il colle con un tracciato lungo circa diciotto chilometri in gran parte su archi. I lavori iniziarono nel 1793, ma furono interrotti nel 1799 a causa della morte del Salvetti e del successivo passaggio della Toscana sotto il dominio Borbonico. I lavori ripresero nel 1806, e nel 1809 l’opera passò nuovamente sotto la diretta gestione della comunità livornese che affidò la direzione all’architetto comunale Pasquale Poccianti, che è rimasto alla cronaca come il principale autore dell’acquedotto. Il 30 maggio 1816 le acque sorgive provenienti da Colognole raggiunsero la fonte della Pina d’Oro, nel Borgo Reale, a Livorno. L’acquedotto però non poteva dirsi completato; così, sotto il granducato di Leopoldo II, fu istituita una commissione per il compimento e la manutenzione dell’Acquedotto di Colognole. Nel 1827 Poccianti delineò le principali opere per la distribuzione, accumulo e depurazione delle acque. Alla relazione erano allegate le tavole con i progetti di alcuni imponenti serbatoi che dovevano purificare l’acqua lungo il percorso, garantendone un’adeguata distribuzione: la cisterna della Castellaccia (non realizzata) e, a Livorno, la Cisterna di Pian di Rota (successivamente distaccata dalla rete idrica), la Gran Conserva o Cisternone (ancor oggi funzionante) ed infine il Cisternino di città (quest’ultimo mai entrato in funzione). Si coglie inoltre in Poccianti la volontà di creare una sorta di percorso didascalico attraverso l’intera opera dell’acquedotto: partendo dal Cisternone, un ampio viale avrebbe condotto il visitatore fino alle sorgenti, incontrando lungo il percorso le gallerie, le arcate ed i casotti d’ispezione realizzati in forme di tempietti neoclassici. Tuttavia, le trasformazioni urbane della città, con la realizzazione della nuova cinta daziaria, ostacoleranno i progetti 57 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 58 della passeggiata, che sarà realizzata in tono minore rispetto alle intenzioni del progettista. Per sostenere il carico di traffici commerciali di Livorno venne pianificato e realizzato l’ampliamento del porto, effettuato tra il 1856-1858 adeguandolo a nuove esigenze di spazi e profondità di fondali; questo intervento previde anche la realizzazione di due nuove dighe portuali, una curvilinea e l’altra rettilinea. Inoltre nel 1858 venne completata la stazione marittima che collegava il nuovo porto con la rete ferroviaria granducale e giungeva a Livorno nella Stazione San Marco, capolinea della ferrovia Livorno-Pisa-Firenze. Cap. 3.2 LA STORIA RECENTE DALLE VICENDE POST-UNITARIE A OGGI 3.2.1 Un territorio condiviso, delle strategie divergenti Il 16 Agosto del 1859 il Granducato di Toscana è annesso al Regno d’Italia. A questo evento seguì una fase di ridefinizione degli assetti sociali ed economici, una ridistribuzione di funzioni e di senso strategico che resero ancor più marginali alcune zone e di rilievo nazionale altre .26 In questa fase di ricerca di un equilibrio nazionale si vanno tracciando nuovi rapporti interni al territorio Toscano, tra città e città, e tra queste e il sistema nazionale. Livorno e Pisa accolgono l’annessione del Granducato con sentimenti diversi e prospettive alquanto divergenti. una fase di ricerca di un ruolo da protagonista negli equilibri economici nazionali, che d’altro canto era prevedibile, vista la rilevanza in ambito interregionale del porto sin dal suo sfruttamento Mediceo. L’apertura della città al sistema nazionale ha però il suo prezzo, di fatto “la costituzione di un sistema doganale italiano unificato porta all’annullamento di franchigie e privilegi che ancora vigevano in Livorno, Ancona e Messina ”27. All’abolizione della franchigia28 seguì quindi un periodo di forte crisi economica che colpì in particolar modo due settori dell’economia cittadina; si registrano “la crisi e la sparizione delle piccole attività manifatturiere cui il particolare regime doganale garantiva un facile approvvigionamento della materia prima e un’altrettanto conveniente esportazione del prodotto finito29 ”, e una progressiva perdita di valore “ dei magazzini della città non più immediatamente utili all’attività portuale, che costituivano una voce consistente della proprietà urbana.” 30 Da una parte la crisi della produzione manifatturiera mette in ginocchio la piccola borghesia mercantile e la popolazione operaia, dall’altra il nuovo assetto logistico degli scambi portuali rende la vecchia struttura inappropriata, e il reddito legato alla speculazione sui fondi di deposito delle merci subisce una drastica riduzione, con ovvie ripercussioni sui piccoli e grandi proprietari urbani. In questo momento di difficoltà si gettano, però le basi per un fiorente sviluppo, si discute di quale debba essere la contropartita che è possibile ottenere dal governo nazionale in cambio della perdita dei privilegi legati alla franchi- Per Livorno si apre una fase di forti tensioni sociali, economiche e politiche, 26 Si pensi a Firenze che passò da centro di un ducato a baricentro, seppur momentaneo, di un intero regno, o ancora alla riforma agraria del territorio regionale che, con l’arrivo delle reti ferroviarie nazionali e il conseguente trasporto di merci a buon mercato provenienti da regioni più adatte alla produzione di una specifica coltura, determinò la progressiva estinzione del sistema di produzione eterogeneo e autarchico del Granducato, con inevitabili ripercussioni sulla mano d’opera e sullo sfruttamento dei terreni meno adatti alla coltivazione. 27 Matteoni Dario, Le città nella storia d’Italia: Livorno, 1988, Laterza Editore, Bari, Cap. VIII, p. 178 28 Il provvedimento cha aboliva lo stato di porto franco delle tre città fu approvato nel 1865 dal ministro delle finanze Quintino Sella, e reso operante dal 1° Gennaio 1868. 29 Matteoni Dario, Le città nella storia d’Italia: Livorno, 1988, Laterza Editore, Bari, Cap. VIII, p. 178 30 Come sopra gia. La linea politica largamente condivisa si può sintetizzare in tre punti, sono richiesti: finanziamenti per l’adeguamento e l’ingrandimento delle strutture portuali, il miglioramento delle infrastrutture ferroviarie per collegare la città e il suo porto con il resto della nazione, investimenti statali diretti sullo sviluppo economico di Livorno per mezzo di commissioni di vario genere ed entità per le industrie livornesi. Agli albori nazionali Pisa giunse invece con una discreta necessità di riscatto: la dominazione fiorentina non ne aveva soltanto indebolito l’animo e la fierezza, ma anche determinato un lungo periodo di dipendenza economica e culturale. Persa l’autonomia politica, la città era caduta in una sorta di lungo letargo, pervenendo alla metà dell’Ottocento praticamente cristallizzata alle ultime vicende urbanistiche repubblicane della fine del XIV secolo, se si escludono gli interventi dei Medici di rilevanza solo architettonica e la “cittadella nuova”, la fortezza che i Sangallo realizzarono a difesa della famiglia ducale e contro la città. Pisa, liberatasi dalla forza gravitazionale che la legava a Firenze e alle sue famiglie aristocratiche, è alla ricerca della sua identità, da riscoprire sotto l’intonaco31 , tra le pietre e gli archi gotici degli antichi edifici a torre repubblicani, memoria fatta architettura del glorioso passato. Come sostengono Pier Lodovico Rupi e Andrea Martinelli “purtroppo, a quei tempi, domina un ideale artistico riferito a concetti effimeri, di abbellimento, di ornato, di decoro, secondo i canoni elaborati e diffusi dalle Accademie di Belle Arti” 32: un approccio che ha influenzato anche i politici, i progettisti e l’opinione pubblica pisana “che ha finito per assumere come valori a se stanti le proporzioni, i rapporti aurei, i 31 “ Il potere mediceo, ossessionato dalla volontà di cancellare ogni segno dell’antica repubblica, aveva prescritto, con apposito regolamento, di intonacare gli edifici medioevali” (Rupi Pier Lodovico, Martinelli Andrea, Pisa storia urbanistica, 1997, Pacini Editore, (luogo N.D.) p. 30) 32 Pier Lodovico Rupi, Andrea Martinelli, Pisa storia urbanistica, 1997, Pacini Editore, (luogo N.D), pp. 95,96 1: La linea ferroviaria Livorno-Pisa-Firenze 1848, 2: La realizzazione della linea Genova-Roma con tracciato interno per Collesalvetti e tratto Livorno-Collesalvetti 1874, 3: Variante della Genova-Roma con tracciato costiero e fermata a Livorno 1910, 4: la situazione attuale. 59 Pasquale Poccianti, progetto definitivo per la facciata del Cisternone a Livorno, 1829 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici caratteri e gli stili delle strutture architettoniche, al di fuori della loro identità storica .”33 Così 60 venne preferita la demolizione e lo sventramento, atto ad aprire degli assi stradali nel tessuto storico, per sostituire l’eterogeneità dei linguaggi architettonici stratificatisi, con un tessuto edilizio più omogeneo, che si rifacesse allo stile gotico pisano. Per perseguire questa conformità stilistica vennero sacrificate numerose parti del tessuto storico, dal quartiere San Francesco, al ghetto ebraico, i cui lavori di demolizione erano stati avviati sin dal 1855, alla fitta maglia edilizia che insisteva attorno al Duomo e alla Torre34 “alterando gravemente l’ambiente su cui si inserita la torre rendendo poco comprensibile la sua collocazione.” 35 Da una parte quindi viene intrapresa una fase di restauro “interpretativo” della città storica che per mezzo degli sventramenti viene in parte riconfigurato, dall’altra si cerca di far pesare sul tavolo della ridistribuzione degli assetti economici nazionali l’importanza logistica della città fulcro di un sistema di produzione agricola abbastanza strutturato ereditata dal buon governo territoriale dei Lorena. La città era, difatti, divenuta una piazza d’affari e di scambi di prodotti agricoli importante nel sistema regionale e poteva contare su un 33 Come sopra. 34 “Nel 1862, appena ultimate le platee marmoree attorno al Duomo e al Battistero, già si pensava a nuove modifiche della piazza,…, il progetto, suddiviso in quindici interventi particolari avrebbe dovuto avvolgere i “quattro insigni monumenti” in una scenografia di “stile pisano del secolo XIII”. Alcune proposte più appariscenti,…, non vennero realizzate ma quelle realizzate – apertura della Via Torelli, demolizione delle case del Capitolo, della chiesa di S. Raniero e della casa dei Curati – furono sufficienti a spiazzare il Campanile e a rendere incomprensibile la posizione distruggendo l’ambiente urbano entro il quale era nato” (Emilio Tolaini, Le città nella storia d’Italia: PISA, 1992 Editori Laterza, Bari, p.151) 35 Pier Lodovico Rupi, Andrea Martinelli, Pisa storia urbanistica, 1997, Pacini Editore, (luogo N.D), pp. 95,96 buona rete di collegamenti ferroviari e stradali con Firenze e Livorno, ma anche con la Liguria e Roma. In questa fase vi è la percezione del cambiamento, le due città si ritrovano a contemplare un panorama di opportunità, un bivio nella storia dove è necessario scegliere, con la consapevolezza che da tale scelta dipende il futuro della comunità. L’approccio delle due città, come abbiamo visto, è molto diverso; sebbene Livorno e Pisa siano sempre state legate da un forte rapporto di interdipendenza36 , è interessante notare le differenti prospettive con cui guardano al futuro. Questa marcata differenza non è solo frutto delle condizioni contestuali, storiche e sociali, ma è anche e soprattutto conseguenza di due diverse strategie di sviluppo che oseremmo chiamare evolutive. Se per Pisa si prospetta una fase di restaurazione storicista volta a riaffermare l’identità pisana, ovvero un centro logistico di scambi tra l’entroterra e la costa, la prerogativa di Livorno è invece quella di potenziare il suo assetto industriale e infrastrutturale rendere cioè competitivo il “sistema Livorno”. Se guardiamo a questa sostanziale divergenza, è possibile notare come sia già notevole, in questa fase, un’evidente suddivisione dei ruoli sociali ed economici, che entrambe le città condividono, in un sistema territoriale coordinato, con i suoi propri equilibri. 3.2.2 Tra sventramenti e nuovi limiti cittadini: la definizione di nuovi assetti urbani A Pisa, oltre alla questione del restauro urbano, si aggiunse anche quella della 36 Le due città, sin dalla nascita di Livorno, hanno vissuto una sorta di interdipendenza, un’osmosi, piena di contraddizioni ma vitale per l’economia delle due comunità. messa in sicurezza delle sponde cittadine dell’Arno le cui acque, negli eventi di piena, traboccavano allagando le parti più basse della città. Al 1863, anno in cui fu affidata la redazione di un primo progetto di difesa dalle piene all’ingegner Bellini, le prode del fiume si presentavano occupate da numerose attività, non solo infrastrutture per la navigazione e lo scalo dei navicelli, ma anche attività commerciali e di piccola imprenditoria manifatturiera. Il piano prevedeva di intervenire sulle sponde, rettificando e demolendo in molte parti il vecchio assetto delle ripe cittadine, e alzando le spallette di mezzo metro. A questo primo progetto, subito accolto dall’amministrazione comunale, fu contrapposta una soluzione, mai accettata, che proponeva l’apertura di un fosso scolmatore delle piene presso Pontedera. L’inefficacia della soluzione adottata rese ancora più amara la devastazione che causò l’alluvione del 1869: il tratto già realizzato per prova ed interrotto per la morte dell’Ing. Bellini non riuscì a contrastare l’urto della piena, e l’acqua traboccò anche dai nuovi argini. Tuttavia, passata la piena, l’amministrazione optò per la soluzione, che appariva ancora una volta più semplice ed immediata, di dotare le sponde dell’Arno di un muro di protezione più alto, “si arrivò così alla costruzione di un muraglione verticale ininterrotto, che cancellò ogni traccia delle antiche funzioni portuali delle ripe eliminando tutte le accidentalità, le muraglie a scarpa, i “gitti”, gli abbeveratoi, i lavatoi, gli scali.”37 Con la costruzione del nuovo muro si poneva anche il problema dell’oratorio di Santa Maria della Spina costruito a cavallo delle spallette; l’Ing. Bellini aveva previsto un consolidamento dell’argine già esistente ma la Commissione Provinciale per la Conservazione dei Monumenti si oppose proponendo lo smontaggio dell’edificio e la successiva ricomposizione sul nuovo muraglione, soluzione che incontrò il favore dell’amministrazione e non poche critiche di autorevoli esperti .38 37 Emilio Tolaini, op. cit., pp. 155, 156 38 “L’oratorio venne smontato dall’Ing. Vincenzo Micheli e quasi completamente rifatto malgrado lo sdegno di John Ruskin che visitò Pisa nel 1872 e si trovò L’evento più importante degli anni ’60 dal punto di vista urbanistico risulta essere la realizzazione della nuova stazione centrale di Pisa, evento che cambiò profondamente la configurazione del quartiere di S. Martino e dell’intera rete infrastrutturale della città; al 1862, data in cui fu aperta la nuova stazione, il sistema ferroviario che collegava la costa con l’area fiorentina e lucchese aveva come nodo Pisa, dove però le stazioni per Lucca e per Firenze erano separate. Con la nuova stazione centrale vennero unificati gli scali e definito un nuovo assetto infrastrutturale volto ad integrare le diverse linee ferroviarie che convergevano in Pisa. L’ubicazione scelta per la nuova stazione fu a sud della porta S. Gilio, poco fuori le mura ad una distanza sufficiente per realizzare, nella fascia di terreno tra la porta e la stazione, un raccordo stradale attrezzato .39 Questo ampio viale, lungo il quale si insediarono varie attività, ristoranti, alberghi, caffè, ecc. confluisce in una nuova piazza, con barriera daziaria, realizzata abbattendo le mura medioevali, Piazza Vittorio Emanuele II .40 Nel 1871 venne affidata all’Ing. Vincenzo Micheli la redazione di un piano regolatore della città; il piano nella sostanza riguardava interventi di “abbellipresente ai lavori. L’anno successivo, nella lezione tenuta a Oxford su Giovanni Pisano, Ruskin stigmatizzo lo scempio subito dall’illustre monumento e mostrava ai suoi studenti un frammento raccolto nel cantiere, «strappato dall’edificio al solo scopo che un architetto moderno potesse sostituirlo per il suo maggior profitto». (Emilio Tolaini, op. cit., p. 159) 39 “L’assetto della zona, corrispondente ad un terzo del intera area del terziere S. Martino, era stato affidato a Bellini che traccio la Piazza Vittorio Emanuele II con la barriera daziaria,… Scomparso Bellini, la realizzazione del progetto fu assunta da Vincenzo Micheli nel quadro del piano regolatore che porta il suo nome; la piazza venne ridisegnata in forma ellittica e le mura furono demolite per tutta la sua lunghezza” (Emilio Tolaini, op. cit., p. 160) 40 La piazza Vittorio Emanuele resta per lungo tempo lo svincolo stradale fondamentale di Pisa e successivamente accoglie anche i capolinea delle tranvie per Pontedera e Marina di Pisa [1881]”( Pier Lodovico Rupi, Andrea Martinelli op. cit., p.98) 61 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici mento” nel tessuto edilizio dentro le mura. Difatti esso “si limita a disciplinare lo sviluppo all’interno delle mura, ritenendosi non occorrere nessun criterio pianificatorio per le aree esterne.” 41 62 Il Piano Micheli prevedeva anche una serie di sventramenti e la realizzazione di alcuni edifici pubblici, concepiti quali nodi di una nuova griglia cittadina sovrapposta all’antico tessuto urbano .42 Esternamente alle mura Micheli predispose un’arteria di circonvallazione con l’obbiettivo di distribuire più razionalmente il traffico di uomini e merci che arrivava, partiva o attraversava la città. L’infrastruttura, realizzata entro il 1878, non mantenne però a lungo la sua efficienza, data la rapida urbanizzazione che ne saturò presto i margini, aumentando decisamente il carico di traffico interno. Questo elevato sviluppo edilizio ebbe origine per diverse ragioni, tra cui le principali, individuate da Emilio Tolani, furono: la crescita demografica avvenuta tra il 1861 e il 1871, il costo dei materiali da costruzione, significativamente più basso fuori dai confini daziari della città, e la disponibilità di terreni a basso costo e con abbondante spazio per poter realizzare giardini e orti (fonte di sostegno sussidiaria di molte famiglie operaie) .43 Questi sobborghi disordinati e senza infrastrutture, nati da una propulsione 41 Pier Lodovico Rupi, Andrea Martinelli op. cit., p.99 “Per quanto riguarda la città entro le mura, il piano ricalcava nelle linee generali il piano Dell’Hoste, prevedendo lo sventramento della zona di Piazza dei Facchini, l’isolamento di S. Pietro in Vicoli, la costruzione della Barriera Fiorentina e della Barriera delle Piagge, il nuovo mercato delle Vettovaglie, l’apertura di una grande strada a S. Paolo all’Orto e Via S. Maria, il prolungamento del Lungarno lungo le mura della Fortezza e un ponte che lo collegasse con l’inizio del passeggio delle Piagge di fronte al Politeama…Intanto la città andava arricchendosi di nuove strutture e di nuovi arredi:…, un grande teatro, un ponte di ferro alla Cittadella in sostituzione di quello a Mare, una Corte d’Assise eratta in tarde forme neoclassiche,alcune fabbriche,…, nuove scuole, nuove strutture ospedaliere, il Museo Civico di S. Francesco”. (Emilio Tolaini, op. cit., p. 162,163) 43 Gli insediamenti più importanti sorgono fuori dalla Porta Garibaldi, fuori Porta a Lucca, al Borghetto, a Barbaricina, intorno a via Bonanno. 42 speculativa assolutamente incontrastata dal piano Micheli, resero difficile, successivamente, la riorganizzazione del nuovo tessuto .44 Anche a Livorno la pressione edilizia era diventata enorme, il piano vigente al 1860 era stato redatto nel 1847 dall’Ing. Chietti e definiva attraverso delle direttive la pianificazione all’interno delle mura Medicee, le terre tra le mura e la cinta daziaria venivano pianificate a partire dalle direttrici di collegamento tra la città murata e le porte daziarie. Tali indirizzi però si dimostrarono di difficile realizzazione lasciando così all’iniziativa privata la costruzione dei sobborghi popolari. Nel 1869 venne proposto un ampliamento della cinta daziaria per aumentare le entrate del dazio e realizzare nuove opere pubbliche a servizio del porto e dei nuovi quartieri residenziali. Venne raggiunto nel 1874 un accordo che stabiliva i nuovi confini daziari e definiva le nuove direttrici di sviluppo urbanistico prolungando la città in direzione Nord-Sud. Il tracciato della cinta daziaria, risolta non più con una muraglia bensì con un canale, ottenuto regolarizzando in parte il corso del Rio Maggiore ai lati del quale dovevano scorrere due viali di circonvallazione, fu ulteriormente modificato prima della realizzazione nel 1887. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento la crescita urbanistica registra un sostanziale arresto, dovuto in parte alla crisi di settore e al calo di afflussi demografici. Gli sviluppi urbani sono quindi individuabili all’interno della cinta daziaria del 1887. A fine secolo è introdotto un nuovo elemento, di rilevante importanza per le conseguenze territoriali ed urbanistiche che accompagnerà: l’ingresso in città di un nuovo tracciato ferroviario. 44 La città si doterà solo nel 1912 di un regolamento che stabilisce precisi parametri di edificabilità, inoltre nello stesso anno si raggiunge una copertura parziale per l’acqua, fino ad allora assente in gran parte dei nuovi edifici e nella quasi totalità di quelli del centro storico. Difatti l’approvazione del tratto Cecina-Livorno rende possibile la prosecuzione costiera del tracciato tirrenico Genova-Roma, che precedentemente passava per Collesalvetti, aumentando notevolmente il traffico di merci e persone. Il tracciato sarebbe passato ad est della città innescando una serie di interventi a carattere urbano molto rilevanti; come afferma Dario Matteoni “era fin dall’inizio chiaro che la distanza di questo dall’abitato e la scelta del luogo ove ubicare la nuova stazione avrebbe avuto un peso non indifferente sulle future direttrici d’espansione.” 45 La posizione della nuova stazione avrebbe determinato le conseguenti scelte sull’urbanizzazione; venne deciso di posizionarla al termine di un altro importantissimo asse cittadino: il Viale degli Acquedotti, che dal 1860 poteva proseguire oltre la vecchia cinta daziaria attraverso Porta Vittorio Emanuele, comodo e rapido accesso alla città da levante. La Stazione centrale entrò in funzione nel 1911. Risulta determinante per lo sviluppo del nuovo quartiere tra la città e la stazione l’acquisto di un ampia estensione di terreni nel 1907 da parte della Società per la costruzione delle Case Popolari, che presenterà un progetto nel 1909, anno in cui il Comune raggiunge un accordo con le Ferrovie dello Stato cui viene ceduta gratuitamente una parte delle aree dell’Istituto per le Case popolari ricevendo in cambio l’impegno per la realizzazione di case economiche per i dipendenti delle ferrovie. Nel 1912 viene proposto lo spostamento della cinta daziaria; questa prospettiva incorse in notevoli opposizioni che portarono ad una sostanziale rinuncia da parte della municipalità che fissò il nuovo limite lungo il nuovo tracciato ferroviario. L’effetto più rilevante riguarderà la vecchia struttura daziaria fiancheggiata dai viali che, negli anni successivi, consentiranno la formazione di ampie arterie. 45 Dario Matteoni; Le città nella storia d’Italia: Livorno; 1988, La terza editore; Bari; p.185 3.2.3 Tra le due guerre: interessi nazionali e speculazioni locali Nell’immediato primo Dopoguerra la crisi economica e l’arresto della crescita demografica causano notevoli rallentamenti al processo di ammodernamento e sviluppo sia di Pisa che soprattutto di Livorno, dove il settore industriale aveva più influenza sul destino socio-economico della città. Sopraggiunta la stagione fascista a Livorno46 , viene ordinato un progetto di massima per un piano regolatore. Nel 1927 viene messo appunto un primo progetto: esso prevedeva - come i coevi piani di Firenze, Milano e Bologna - un’estensione a macchia d’olio della città a discapito dei terreni rurali periferici (nella previsione di un aumento di trecentomila abitanti), una riorganizzazione amministrativa del territorio attraverso una zonizzazione con funzione economica e di controllo sociale, ed infine il risanamento del centro storico (da destinare a centro di servizi per l’intera città) ottenuto attraverso gli sventramenti e i diradamenti. La proposta di piano accoglieva anche il progetto per l’ampliamento del porto in una zona a nord della città tra il vecchio porto e lo Scolmatore. Promosso nel ’23, il progetto prevedeva un vasto porto industriale interno, raggiungibile attraverso ampi canali e dotato di banchine per l’impianto di nuove industrie. Inoltre il piano accoglieva anche proposte di vaste lottizzazioni, frutto delle strategie speculative di alcuni locali imprenditori, che prevedevano la costruzione di quartieri per la media borghesia sulla costa a Sud e nei terreni rurali ad Est, in buona parte su aree di proprietà municipale. Come afferma Matteoni, per le aree a sud ed a sud-est “… il piano non impone particolari restrizioni e di fatto registra una tendenza già in atto, addirittura inserendo i piani di lottizzazione che, come sembra, i singoli privati si erano affrettati a presenta- 46 te”. I fascisti governano la città dal 1923 grazie a delle elezioni “addomestica- 63 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici re alla notizia dell’elaborazione del piano…” .47 La proposta del ’27 non fu mai adottata, e come afferma Bortolotti il piano “… era grandioso, anche se privo di ogni legame con la realtà, e quindi adatto a figurare sulle pagine dei giornali, e nelle mostre, ma «di massima», cioè non esisteva vera intenzione 48 di attuarlo.” 64 Tuttavia il piano ebbe un importanza non trascurabile nel rendere possibili alcune scelte in materia di politica urbanistica: si dà il via al decentramento della popolazione nella periferia riservando il centro storico, opportunamente diradato, alle funzioni direzionali. Lo sventramento del centro storico fu attuato sin dal 1926 , mentre nel 1935 viene approvato un piano generale di risanamento che delimita l’area d’intervento, viene spostato l’ospedale centrale e nell’area dell’ex ospedale viene prevista la realizzazione del Palazzo del Governo di cui si occuperà Piacentini con due piani di sistemazione urbana redatti nel 1938 e nel 1940. Tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta vengono attuati tre importanti provvedimenti politici che avranno grande influenza sul destino della città e del suo territorio. Nel 1925, per interessamento diretto del gerarca fascista Costanzo Ciano (livornese di nascita), la piccolissima provincia labronica, raccolta attorno alla città, fu ingrandita con il comune di Capraia Isola (tolto alla provincia di Genova) e con quelli di Bibbona, Campiglia Marittima, Castagneto Carducci, Cecina, Collesalvetti, Piombino, Rosignano Marittimo, Sassetta e Suvereto, distaccati dalla provincia di Pisa; questo provvedimento rese più rilevante lo sviluppo della città in termini territoriali (essa divenne a capo di un territorio con ampio sviluppo costiero connesso dalla ferrovia tirrenica e dall’Aurelia). Nel 1929 una legge nazionale concedeva all’area portuale di Livorno una serie di benefici fiscali che favorivano effettivamente l’apertura di nuovi stabilimenti industriali. 47 Dario Matteoni, op. cit., p. 187 48 Lando Bortolotti; Livorno dal 1748 al 1958, profilo storico urbanistico; 1970; Leo S. Olschki Editore; Firenze; P. 320 Nel 1930 veniva ampliato anche il territorio comunale, inglobando alcuni terreni a Nord e a Nord-Est facenti parte del territorio di Collesalvetti. Questi tre atti segnano l’inizio di una nuova visione del rapporto tra città e territorio volta a superare la netta separazione tra urbano e rurale, prospettando legami sempre più stretti tra la città e il suo retroterra, e tra essa e la vicina Pisa. Una nuova visione del sistema urbano era necessaria anche a Pisa; agli inizi del Novecento le trasformazioni urbane, la crescita demografica, l’avvento di nuove tecnologie, tra cui la luce elettrica, implicavano una sempre maggiore divergenza tra la realtà e le previsioni del piano vigente, il piano Micheli che come precedentemente affermato si occupava strettamente del risanamento del centro storico lasciando carta bianca all’iniziativa privata fuori dalle mura, dove si compivano i più importanti processi di sviluppo della città, e dove proprio la speculazione edilizia stava costruendo quartieri e distretti produttivi privi di regole e di ordine. La città stava crescendo per interventi singoli soffrendo l’assenza di una visione integrale del suo sviluppo. Durante e dopo la prima guerra mondiale venne data priorità al completamento del quartiere intorno alla stazione centrale, sia a nord (all’interno delle mura), sia a sud (costituendo un nuovo quartiere residenziale), per dare sfogo alla pressione edilizia: essa cresceva di anno in anno spinta dalla necessità di case nuove che potessero ospitare i residenti in esubero del centro storico, ormai giunto ad una pericolosa saturazione. Tuttavia la situazione andò aggravandosi ulteriormente e nel 1929 fu indetto un concorso per un progetto di massima del piano regolatore “di ampliamento e di sistemazione interna della Città di Pisa”. Il bando del concorso indicava quattro problemi che dovevano essere risolti dal piano: veniva richiesto di non alterare i caratteri storici ed artistici del patrimonio architettonico del centro storico, evitando lo sventramento e preferendo l’uso del diradamento; veniva richiesto di studiare delle soluzioni organiche per lo sviluppo delle vie di comunicazione tra le periferie ed il centro, preservando l’integrità delle mura pur affiancandovi un viale di circonvallazione; veniva richiesto un progetto di urbanizzazione delle aree esterne alle mura localizzando i nuovi distretti industriali e residenziali; infine era richiesto un progetto di sistemazione della località balneare di Marina di Pisa con particolare attenzione all’integrità naturalistica del luogo. Il piano vincitore risultò essere il progetto redatto da un gruppo di professionisti romani chiamatosi 3P-ST: questo piano, pur rispecchiando in larga parte le direttrici del bando “… si inserì nel solco dei precedenti, dai quali ereditò diversi vizi e poche virtù…”49 . La necessità, indotta dagli sviluppi urbanistici incontrollati, era quella di ottenere attraverso il piano una visione più aperta ai problemi della città e del suo territorio, ma il progetto vincitore risultò scarsamente sensibile al problema del rapporto tra la città vecchia e la nuova periferia. Il piano proponeva l’impianto di nuovi quartieri con un sistema anulare di collegamento tra questi e la stazione ferroviaria ed un sistema radiale verso il centro storico, che veniva inciso da alcune strade di attraversamento, soluzione questa che avrebbe ulteriormente peggiorato il congestionamento del centro storico. Tuttavia il piano evidenziava la necessità di destinare agli impianti produttivi un settore ben definito della città, a Porta a Mare nella zona vicina al canale dei Navicelli (dove stava per essere realizzata una nuova darsena), così come definiva degli assi di sviluppo per l’edilizia residenziale. Le previsioni di questo piano furono totalmente disattese; già tra il 1935 e il 1938 si propongono nuovi assetti per la viabilità e lo sviluppo urbanistico spesso completamente opposti alle previsioni fornite dal piano del ’29: nei fatti esso non fu mai adottato. La città giunse quindi al secondo conflitto mondiale senza un vero e proprio piano di sviluppo, crescendo per parti: sono casi esemplari la realizzazione del palazzo di giustizia (collocato altrove rispetto alla localizzazione del piano) e la costruzione della fabbrica del Marzotto (all’interno delle mura, ben lontana dall’area che il piano stabiliva essere adatta ai nuovi impianti industriali). 49 Emilio Tolaini, op. cit., p. 165 Durante il Ventennio, contestualmente alla riforma agraria e alla campagna di bonifiche avviata dal regime fascista, vennero portate a compimento numerose bonifiche nella pianura pisana. Tra Pisa e Livorno il territorio si presentava come una vasta area palustre interrotta in alcuni punti da precedenti bonifiche avviate come detto durante il periodo mediceo e continuate dai Lorena. Le paludi dominavano assieme alla struttura costiera formata da dune e lame l’intero territorio. La realizzazione delle bonifiche passò nelle mani dell´Ufficio dei Fiumi e Fossi che diventò un vero e proprio consorzio idraulico preposto alla bonifica del territorio, con la realizzazione di numerosi impianti idrovori. La prima bonifica fu attuata tra il Serchio e l’Arno nel 1915; seguirono quella di Coltano (1922-31), ove l’Opera Nazionale Combattenti provvide anche all’assegnazione dei terreni bonificati ai reduci della prima guerra mondiale, e quelle del Tombolo (1925), della Vettola (1930), di Fossa Chiara (1933) e di S. Giusto (1935). La bonifica della piana a nord di Pisa interessò il comprensorio più vasto, circa 12.000 ettari. Questa area palustre tra Arno e Serchio era in buona parte sopra il livello del mare eccetto per una striscia più bassa particolarmente soggetta a impaludamento: in questa parte di territorio fu decisa la realizzazione del canale collettore, quello che successivamente venne chiamato “Fiume Morto”. Successivi lavori estesero la bonifica, negli anni ’20 e ’30, ai comprensori della Tombolaia e della Casa Rossa, verso il lago di Massaciuccoli. L’altra area di rilevante interesse strategico era rappresentata dalle paludi di Coltano; definite Padule Maggiore a nord e Padule dell’Isola a sud, avevano un estensione complessiva di circa 3000 ha. Per la bonifica venne adottato il sistema del sollevamento meccanico delle acque basse, sia perché si trattava di un metodo che richiedeva un tempo inferiore rispetto a quello della colmata, sia perché quest’ultimo, già usato nel 1558 da Cosimo dei Medici, non aveva avuto successo. Qui l’Opera Nazionale Combattenti costituì, nel corso della sua gestione, 74 poderi. L’appoderamento produsse un notevole aumento della popolazione 65 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 66 rurale che utilizzò la fattoria di Coltano quale vero e proprio centro di aggregazione per i servizi dell’intera area agricola; furono realizzate le poste ed una scuola elementare oltre a disporre di una piccola stazione ferroviaria sulla tratta Pisa Livorno, la stazione di Tombolo. Venne istituito tra il 1909 e il 1911 il Centro radio di Coltano; fondato da Marconi, esso divenne uno dei più importanti centri di trasmissione radiofoniche a lungo raggio del mondo. La sua collocazione a Coltano era da imputarsi principalmente alla vicinanza di zone umide che minimizzavano le dispersioni del segnale, oltre al fatto che la tenuta, assieme alle altre che costituivano il patrimonio agrario granducale, erano passate di proprietà ai Savoia (Vittorio Emanuele II promosse fortemente tale iniziativa). Per la gestione della stazione radio venne edificata una prima costruzione, la “Palazzina Marconi”, contenente tutti i quadri di controllo e comando per le 16 antenne, alte fino a 75 metri, ideate da Marconi stesso. Cronache dell’epoca ricordano come, guardando da Pisa verso sud, il panorama fosse ben diverso da quello attuale. Dal 1919 al 1924 venne impiegato dalla Regia Marina per estendere le comunicazioni alle imbarcazioni in navigazione, grazie anche ad un ampliamento delle antenne. Fu infatti nel 1920 che venne realizzata un’ampia antenna “a tenda” di 240 metri di lato, retta da piloni alti 250 metri; contestualmente, nella zona di Migliarino, venne realizzato un ulteriore centro di ricezione. Il Centro, che fino al 1940 veniva regolarmente impiegato per comunicazioni con tutto il mondo, vide distrutte completamente le antenne durante la seconda guerra mondiale, mentre la Palazzina Marconi subì solo minimi danni; tuttavia le antenne non vennero mai più ricostruite, e le strutture non vennero più riutilizzate. Tre anni dopo l’inizio dei lavori nella palude di Coltano, venne coinvolto nell’opera di sistemazione idraulica il contiguo comprensorio del Tombolo. Nel 1925 venne tracciata la trama di strade rettilinee dirette al mare e su questa venne organizzato il sistema di canali di drenaggio. Nelle parti alte, che erano già a scolo naturale, venne sviluppato un classico programma di bonifica integrale, con il dissodamento dei terreni, il loro appoderamento, l’introduzione di nuove colture e dell’allevamento del bestiame. Le acque basse vennero divise da quelle alte e incanalate in fossi distinti; tra i nuovi canali realizzati troviamo il Nuovo Lamone e la Nuova Lamalarga che rettificano precedenti canali ad andamento sinuoso. Si procedette inoltre alla messa in opera di impianti idrovori per il prosciugamento dei terreni posti sotto il livello del mare. Venne costruita una stazione idrovora in posizione centrale, a Ragnaione presso Tombolo. Come in altre aree di bonifica in Toscana ed in Italia la messa a dimora di grandi estensioni di pinete rappresenta una grande opera infrastrutturale che accompagnò anche qui la bonifica: la pineta difatti, oltre a garantire un costante mungimento delle acque sub superficiali - grazie all’impianto radicale esteso e al costante assorbimento delle acque subsidenti del pino domestico, la pineta può essere vista come una “grande idrovora naturale” - garantisce una notevole protezione dai venti costieri, migliorando le condizioni climatiche nel quale mettere a coltura nuove estensioni agrarie strappate alla palude. A compimento della bonifica di Coltano-Tombolo, venne pianificato il prosciugamento del Padule della Ballerina, nei pressi della Vettola e di S. Piero a Grado, e la sistemazione dell’area di S. Giusto. A est di Pisa, nel frattempo, venne avviata la bonifica della Fossa Chiara, con un’estensione di circa 2000 ha a cavallo tra i comuni di Pisa e di Cascina, prima adibita esclusivamente a pascolo proprio a causa del cattivo deflusso delle acque. 3.2.4 La questione dei trasporti tra Pisa e Livorno Alla vigilia dell’unità d’Italia, Pisa e Livorno si presentavano con prospettive e speranze molto diverse, tuttavia era già da tempo in atto un processo di forte sinergia tra le due città. Durante gli ultimi decenni dell’Ottocento si erano saldati legami economici e sociali molto forti che rendevano necessaria la pianificazione condivisa di alcuni obbiettivi strategici per gli sviluppi futuri dell’intera area. Sin dai primi anni del Novecento vengono proposte alcune iniziative volte a potenziare i legami industriali tra le due città: ad esempio, secondo un’ipotesi prospettata sin dal 1906, era stata proposta una zona industriale comune a cavallo del canale dei Navicelli, che nel 1938 veniva rettificato con un nuovo percorso parallelo alla linea ferroviaria Pisa-Livorno. Questi piani condivisi avevano come obbiettivo quello di migliorare il sistema di trasporti di merci prima di tutto, ma anche di persone tra le due città, e tra esse e i centri minori. Perciò il quadro complessivo delle vie di comunicazione stradali subì alcune importanti modifiche non prive di ripercussioni nell’urbanistica delle due città. A partire dagli anni Venti, con l’obbiettivo di creare una rete nazionale e migliorare l’efficienza delle reti locali, vennero svolti numerosi lavori di miglioramento dei tracciati. Nel 1928 l’Aurelia venne, assieme ad altre strade della Toscana settentrionale, riclassificata come viabilità nazionale, e questo implicò numerosi lavori lungo il tracciato volti a modernizzare l’infrastruttura. Tra Pisa e Livorno viene compiuta una rettifica con la costruzione di un nuovo tratto parallelo alla ferrovia e al canale dei Navicelli abbandonando l’antico percorso per S. Pietro a Grado. L’ente per le attività Toscane lancia nel 1925 l’idea di una rete autostradale in Toscana, comprende un tronco Firenze-Livorno, e un altro più a nord, Firenze-Prato-Pistoia-Lucca-Viareggio, collegati da due traverse, Altopascio-Pontedera e Viareggio-Livorno. L’idea si concretizza solo nel 1927 ma la preferenza, in corrispondenza con l’indirizzo politico del fascio toscano, viene data al percorso turistico da Firenze per Pistoia, Lucca e Viareggio, che ottiene l’autorizzazione nel 1928, in luogo di quello industriale per Livorno. ¬¬¬Oltre alle infrastrutture stradali e a quelle ferroviarie avevano assunto rilevante importanza le linee tramviarie. Ritenuto il mezzo di trasporto più efficace nel collegamento tra Pisa, Livorno e i centri urbani periferici, fin dai primi anni Venti erano state concesse autorizzazioni per la realizzazione di linee di trasporti pubblici suburbani mediante autobus o tram. Nel 1927 venne costituito un consorzio per l’esercizio della ferro-tramvia necessaria allo sviluppo e al perfezionamento delle comunicazioni fra Pisa e Livorno. Questa accelerazione sulle politiche di trasporto pubblico locale si inserivano in un contesto nel quale, sin dalla seconda metà dell’Ottocento, era stato individuato nel trasporto tramviario uno strumento strategicamente rilevante per lo sviluppo economico dell’intero territorio costiero. Dal 1879 l’amministrazione provinciale di Pisa nominò una commissione per la questione dei trasporti locali. Venne evidenziata la necessità di una tramvia a vapore che collegasse Calci con Navacchio e Pisa, nonchè dal lato opposto tutto il tratto da Navacchio a Pontedera, in modo da servire una zona ampiamente popolata e ricca di attività industriali e di piccoli insediamenti produttivi. Valutata questa realtà la commissione si espresse favorevole a concedere all’industria privata la realizzazione, la gestione e l’esercizio di una tramvia a vapore a scartamento normale che collegasse Pisa a Pontedera con diramazione NavicchioCalci. Il servizio iniziò nel 1884,e nello stesso anno venne realizzata la Società Italiana per le ferrovie economiche e tramvie a vapore per la provincia di Pisa che venne indicata dalla sigla PPC (Pisa Pontedera Calci). Le corse partivano da un area adiacente alla cinta muraria di Pisa, nei pressi della stazione ferroviaria, attraversavano Piazza Vittorio Emanuele, percorrendo la via Bonaini e proseguendo sulla strada provinciale Fiorentina che non abbandonavano più fino a Pontedera. La linea, lunga 20,460 Km, si sviluppava per la maggior parte in sede promiscua, e lungo il tragitto attraversava una serie di abitati di varia grandezza. Nel capolinea di Pisa, nel verso opposto, partiva un binario che consentiva ai mezzi di arrivare alla darsena dei Navicelli, meglio nota come Scali del Sale. Questo binario si inoltrava in un fornice del bastione Stampace fino a giungere in un pozzo ricavato nel bastione stesso; da questo, mediante una piattaforma girevole, i carri potevano ruotare di novanta gradi e passare sopra un altro binario che, attraverso una seconda galleria, arrivava alla banchina della darsena. Questo meccanismo permetteva lo svolgimento di un sistema di trasporti integrato tramvia-idrovia che consentiva il trasporto celere ed economico di merci materiali da Calci fino al porto di Livorno e viceversa. Valutati i vantaggi che procurava il sistema di trasporto tramviario a vapore, 67 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici Due foto d’epoca che ritraggono il centro radio Marconi e le antenne 68 anche da Pisa partirono richieste per un servizio di collegamento di quel tipo con la frazione di Marina di Pisa, in prosecuzione della linea che arrivava da Pontedera; la PPC aprì il servizio nel 1891, e le caratteristiche del tracciato meno tortuoso e pianeggiante - la linea aveva una lunghezza di 13,034 km permisero di innalzare la velocità di marcia da 18 a 30 km/h. L’improvviso sviluppo del litorale, negli anni Venti del Novecento, apportò un enorme traffico alla linea, che ben presto dimostrò tutti i suoi limiti ed insufficienze, tanto che da vari ambienti si levò la proposta del suo smantellamento e della sua sostituzione con una moderna ferrovia elettrica Il progetto di massima della nuova linea elettrica prevedeva il proseguimento verso Tirrenia (località ancora in via di sviluppo), Calambrone e Livorno. Ad esclusione dei tratti di penetrazione urbana in Pisa e Livorno, essa venne progettata completamente su sede propria. I lavori iniziarono nel 1932, nel 1933 venne inaugurato il tratto Pisa - Marina di Pisa e nello stesso anno i binari raggiunsero anche Calambrone. Nel frattempo la società che gestiva la tramvia, la STEFET50 , si trovò davanti a grossi problemi finanziari, che più volte fecero temere il mancato completamento dei lavori della linea. Solo grazie all’intervento del Ministro Costanzo Ciano permise, seppur lentamente, il ritorno alla normalità e il completamento dei lavori, che sarebbe avvenuto il 26 Agosto 1935, quando i binari, con un percorso cittadino su sede mista giunsero al capolinea terminale di Livorno Barriera Margherita, posta di fronte all’Accademia Navale di Livorno. La linea iniziava nella stazione STEFET di Pisa, ubicata lungo la via Nino Bixio (esistente ancora oggi ed utilizzata come capolinea dei bus di CPT), e si dirigeva verso ovest, attraversando il canale dei Navicelli con un ponte in cemento armato costruito parallelo a quello in ferro dell’antica tramvia, ed oltrepassando con un sottopassaggio la ferrovia Roma – Genova, proseguiva seguendo la Strada Provinciale Livornese. 50 La PPC nel 1931 aveva modificato la propria ragione sociale in Società Trazione E Ferrovie Elettriche Toscane Dopo un tratto di circa 700m in marciatram, la linea entrava definitivamente in sede propria. Dopo la località di S. Giovanni al Gatano si trovava una stazioncina denominata “Scalo Industriale”, sede della sottostazione elettrica. Sempre parallela al fiume Arno, la linea attraversava la campagna, incontrando le fermate di S. Pietro a Grado e Bocca d’Arno; piegando poi verso sud e raggiungendo Marina di Pisa (da questa località la linea entrava nella fitta pineta demaniale) incontrava le stazioni di Tirrenia e di Calambrone, con un tracciato rettilineo che passava a circa 400m dalla spiaggia. Da Calambrone la linea compiva un’ampia curva verso est, attraversando, con un ponte girevole, di nuovo il canale dei Navicelli e giungendo nella località detta “Bivio Calambrone” dove la tramvia si raccordava alle FS. Da qui la linea compiva un’altra curva e con un sovrapassaggio (un viadotto a 15 luci in parte ancora esistente) oltrepassava la linea Roma – Genova. Giunta alla stazione di Livorno Barriera Garibaldi, la linea proseguiva su marciatram centrale: la ferrovia percorreva i viali di circonvallazione (Via Firenze, Via Nievo, Via Alfieri, Vle Petrarca, Vle Boccaccio, Vle Sauro), intersecando più volte le linee urbane filoviarie e tramviarie, raggiungendo infine, al km. 32,645, il capolinea di Livorno Barriera Margherita. La linea era alimentata a trazione elettrica 3000 Volt c.c., armata a singolo binario; tranne in prossimità degli scambi e delle stazioni, aveva raggi di curvatura che variavano dai 250 ai 2000m. L’esercizio era controllato da un unico incaricato, con delle velocità commerciali che si aggiravano intorno ai 60 km/h, ridotte poi a 30 Km/h sul ponte girevole dei Navicelli a Livorno, per il quale esistevano delle particolari norme per l’utilizzo e il transito. Il deposito ed officina principali erano allestiti presso la stazione di Pisa, all’incirca sull’attuale area utilizzata per il rimessaggio dei veicoli CPT su gomma. Alla fine degli anni Trenta la tramvia cominciò a crescere quanto ad importanza: essendo infatti stata costruita con criteri moderni, essa poteva permettere anche un servizio cumulativo con le FS tanto che addirittura vi fu un progetto per la costruzione di un raccordo che si immettesse direttamente nella sta- zione di Pisa Centrale, progetto sfumato in quanto nessuna delle due società (STEFET ed FS) mostrò interesse a questa possibilità. Il traffico passò da 1.157.000 passeggeri nel 1936 a 3.722.000 nel 1942. Si rilevarono forti punte di traffico soprattutto nel periodo estivo, quando, secondo stime della società, vi erano circa 1000/1200 passeggeri l’ora da Pisa e da Livorno per Marina di Pisa e Tirrenia. La ferrovia continuò ad assolvere regolarmente le sue funzioni sino al termine del 1942 quando il servizio venne interrotto frequentemente dai bombardamenti che nel 1943 causarono gravi danni alla linea determinando la cessazione del servizio. “La ferrovia … subì gravi danni sia agli impianti che al materiale rotabile,…, e così in diversi punti pure la sede ferroviaria ed i binari. In particolare sul tronco Pisa-Marina di Pisa, oltre a numerose interruzioni dovute a colpi di artiglieria, quasi tutto il binario fu minato dai guastatori tedeschi ogni 8 metri e furono distrutti tutti gli scambi e le stazioni. … La linea aerea di contatto, già danneggiata in seguito ad azioni belliche, venne asportata quasi per intero.”51 La ricostruzione della linea comportò un notevole sforzo economico che rallentò i tempi; il primo tratto da Pisa a Marina di Pisa venne ultimato nel nel Luglio del 1946, con trazione a vapore o diesel. Intanto i militari alleati si erano appropriati del tratto di linea tra Marina di Pisa e Calambrone, per allestire quella che è oggi la base NATO di Camp Darby: tutto ciò non giovò alla ricostruzione, che poté proseguire solo dopo l’autunno del 1947, quando i militari lasciarono libera la linea, permettendo alle automotrici di raggiungere di nuovo Calambrone. A partire dal 1948 venne riattivata la trazione elettrica fino a Calambrone. Nel frattempo però si profilarono diverse difficoltà per la ricostruzione fino a Livorno, molto osteggiata dai cittadini, sebbene dal 1948 al 1951 i trenini SAIET poterono comodamente proseguire fino a Livorno Centrale percorrendo i binari FS, mentre un servizio di autobus collegava Calam51 Adriano Betti Carboncini, Marco Bedini; Livorno e Pisa due città e un territorio nella storia dei trasporti pubblici locali; 1987; Calosci Editore; Cortona; P. 174 69 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 70 brone ed il centro cittadino, ma non il capolinea di Barriera Margherita. Nel dopoguerra il traffico era notevolmente mutato: si registravano infatti forti punte di traffico prevalentemente nel periodo estivo, rimanendo però alte anche durante tutto il resto dell’anno. Insieme a questo, purtroppo, si andava manifestando sempre di più la vetustà degli impianti fissi e del materiale rotabile, insieme anche ad una cattiva impostazione degli orari; cause, queste, che in più di una occasione fecero proliferare proposte di soppressione della linea. Nel 1954 la gestione della linea passa alla ACIT Azienda Consorziale InTerprovinciale, la quale, nonostante i molti problemi, riesce nell’intento che molti avevano osteggiato: nell’Agosto del 1954 venne riaperto il tratto da Calambrone alla stazione terminale di Porta Margherita. Nello stesso anno venne redatto un piano d’intervento e di riqualificazione, che comprendeva la fornitura di nuovo e più moderno materiale rotabile, l’installazione di Apparati Centrali nelle stazioni, la soppressione della Dirigenza Unica, una migliore protezione della sede ferroviaria, in alcuni casi la soppressione dei passaggi a livello, l’ampliamento e spostamento della sottostazione elettrica ed infine l’ampliamento della stazione di Tirrenia. Nonostante nel 1956 il Ministero dei Trasporti avesse approvato i lavori, essi non iniziarono mai a causa della mancanza di fondi. Dal canto suo il Comune di Livorno era sempre più favorevole alla soppressione della linea e alla graduale sostituzione con filobus o autobus ritenuti più sicuri. La ferrovia quindi venne sostituita con autobus nel Settembre 1960. A nulla servirono le varie proteste dei pendolari, dei vari consorzi della zona e dei livornesi, che troppo tardi avevano capito l’importanza della ferrovia: si era entrati negli anni del “boom” automobilistico e la ferrovia cadde presto nel dimenticatoio. Tuttavia ritornò presto alla memoria quando, il 26 Giugno 1969, un cronista de “La Nazione” scrisse un articolo sugli eccessivi tempi di percorrenza degli autobus che, a causa dei notevoli ingorghi della domenica precedente, avevano percorso il tratto Pisa - Marina in 50 minuti (contro i 10 del treno) e la tratta Pisa - Livorno in 2 ore (contro i 55 minuti del treno). Attualmente si possono osservare in alcuni tratti i resti dei binari della ex ferrovia, sono ancora perfettamente conservati i due edifici terminali di Pisa e Livorno Barriera Margherita, sopravvive anche la stazione di Tirrenia, nonchè l’opera più importante di tutta la linea, ovvero il ponte a 15 luci di LivornoCalambrone (in parte ancora in opera sopra alla ferrovia Tirrenica, sebbene sia dismesso e inutilizzato da almeno 45 anni, in parte demolito a causa della costruzione delle enormi cisterne della raffineria). Lungo la linea sono ancora visibili alcuni pali della linea aerea sia in cemento che in ferro, alcune staccionate tipicamente ferroviarie, mentre è ancora abbastanza intuibile il piazzale della stazione di Livorno Barriera Garibaldi. 3.2.6 Il dopoguerra: ricostruzione e progetto della nuova città Dal Luglio del 1942 l’occupazione Tedesca erige una linea difensiva lungo l’ Arno: vengono minati i ponti, organizzate strutture difensive lungo il fronte, realizzati campi minati. L’obbiettivo era quello di rallentare l’avanzata alleata e permettere la realizzazione della linea gotica sugli Appennini. L’occupazione Tedesca determino enormi danni alle infrastrutture di Pisa e Livorno: linee ferroviarie, strade, ponti, opere idrauliche, non ché il porto di Livorno furono gravemente danneggiati dai guastatori Tedschi. Ciò che fu risparmiato venne però distrutto tra il 1943 e il 1944 quando le forze aeree alleate iniziarono una campagna di bombardAmenti in tutte le città del Centro Nord Italia52 . 52 I motivi che spinsero le autorità militari americane a un bombardare Pisa furono di ordini diversi. Innanzitutto si volevano colpire le infrastrutture di un importante nodo ferroviario che aveva nelle vicinanze diverse fabbriche riconvertite a scopi bellici tra le quali in particolare la Piaggio che produceva motori per idrovolanti ma anche la Saint Gobain e la Vis che producevano vetro; secondariamente si voleva dare un segnale forte al governo italiano in una fase cruciale delle trattative per l’armistizio che venne in effetti firmato appena tre giorni dopo Nella notte del 31 Agosto del 1943 Pisa venne sottoposta ad un offensiva aerea senza precedenti che devasto l’intera città 53. All’estate del 1944, quando la città fu liberata dopo circa due mesi di assedio, il 40 % delle abitazioni erano andate distrutte o avevano subito gravi danni (circa 18.000 persone rimasero senza un tetto e senz’acqua, elettricità e gas), gli impianti industriali erano stati rasi al suolo così come le infrastrutture di ogni tipo (le mine tedesche fecero saltare in aria il ponte di Mezzo e gli altri ponti cittadini, i trasporti urbani, in primis su rotaia, resteranno in ginocchio per mesi). A Livorno i bombardamenti iniziarono nel Maggio del 1943 e proseguirono fino alla liberazione, avvenuta per mano partigiana ed alleata, nell’estate del 1944. Durante i tredici mesi di conflitto il 60 % degli edifici fu distrutto o gravemente danneggiato 54, i bersagli di interesse strategico (la raffineria ANIC, le acciaierie “Motofides”, il porto) furono distrutti assieme a gran parte dell’abitato storico e ai siti di interesse artistico e storico, come il Duomo e la Sinagoga ebraica. Dal 1945 venne dato avvio alla stagione delle ricostruzioni, periodo che porto entrambe le città a risultati simili, sul piano urbanistico e territo- 53 Sebbene sia stato di gran lunga il più massiccio, non si trattò tuttavia dell’unico bombardamento subito dalla città. Fino al momento della liberazione, avvenuta nell’estate del 1944, si contarono infatti ben 54 bombardamenti che, unitamente a mitragliamenti e colpi di cannone, portarono alla morte di 1738 civili (gli abitanti ancora presenti in città erano circa 40.000) di cui 175 per lo scoppio di mine. Sulle 142.245 abitazioni preesistenti ai bombardamenti ne andarono distrutte o gravemente danneggiate ben 54.045 54 “ … i tedeschi avevano fatto evacuare il centro il 12 Novembre del 1943 istituendo la zona nera, che durerà per tredici mesi fino alla fine del 1944. A quel momento dopo ben 69 bombardamenti solo l’8,38 % degli edifici era illeso, mentre il 33 % era distrutto e il 27 % gravemente danneggiato.” Tratto da Italo Isolera; Livorno tra storia e piano; in Casabella n. 430 del Novembre 1977, Gruppo Editoriale Electa, p. 12. Carta del tracciato ferroviario 71 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 72 riale. Le distruzioni, che si concentravano sulle aree dei centri storici, avevano reso inutilizzabile tali parti della città. Sino agli eventi bellici le aree urbane interne alle mura erano rimaste il centro nevralgico dei servizi, dell’abitare, dei mercati e delle infrastrutture, benché si fossero realizzate espansioni urbane rilevanti anche esternamente. La loro distruzione comporto una paralisi del sistema ed una necessità immediata di riattivazione tali attività a prescindere dalle lunghe ed onerose ricostruzioni nel tessuto storico. Questo obbiettivo fu perseguito attraverso la localizzare di interventi a carattere “provvisorio” in periferia, nelle aree ancora non urbanizzate della cintura rurale, costruendo una città fuori dalla città, che viveva di sue proprie regole, lasciandosi alle spalle l’eredita infranta, e scomoda della storia. Come affermano Pier Lodovico Rupi e Andrea Martinelli: “In generale, …, gli interventi di ricostruzione determinarono incrementi di densità e drastici cambiamenti morfologici intimamente legati ad un nuovo aspetto architettonico della città non più relazionato al tessuto storico.” 55 Dopo l’emanazione nel 1945 del primo decreto sui piani di ricostruzione56 , veniva resa obbligatoria la redazione entro lo stesso anno di tale piano. Fenomeno diffuso in tutta Italia ed in particolare a Livorno, fu la redazione di strumenti urbanistici che prevedevano elevatissime densità, strappate, con il pretesto di favorire la ripresa economica, dalle grandi imprese edili e le società immobiliari che fondarono in questo momento le loro enormi fortune. La necessità di dotare le città di un piano in tempi molto ristretti impose il recupero e la revisione molto parziale di piani regolatori precedenti adottati o solo studiati adattandoli al nuovo stato di cose derivato dalle 55 56 Pier Lodovico Rupi, Andrea Martinelli op. cit., p.142 D.L.L. 01/03/1945, n.154 devastazioni belliche. “Tutti sembravano entusiasti dell’occasione offerta dai bombardamenti per poter progettare città ideali che sarebbero state spontaneamente più belle delle precedenti: abituati da sempre a considerare i piani regolatori come occasioni di “abbellimento” affidate alla superiore genialità dell’architetto contemporaneo di turno, gli urbanisti Italiani si dimostrarono soddisfatti di avere tanto spazio a disposizione senza passare attraverso la retorica mussoliniana del piccone demolitore.” 57 A Livorno la Giunta comunale, costituita dai partiti del Comitato Liberazione Nazionale, optò per una revisione dei lavori della commissione guidata da Piacentini che, nel Aprile del 1942, era stata incaricata di studiare il P.R.G.. Gli studi avevano il merito di affrontare questioni cruciali fuori dal centro storico, come l’espansione urbana verso Sud, ma il grave difetto di ispirarsi ai precedenti piani di Piacentini ed ereditare la previsione di una completa alterazione della struttura del centro storico. Il primo piano di ricostruzione proposto dalla Giunta venne bocciato dal Ministero dei LL. PP. (il ministero contestava una forte denaturazione dei caratteri del centro storico), quindi venne redatto un secondo piano, il Piano di Ricostruzione Roccatelli che rimase in vigore fino al 1961, pur migliorando le previsioni del vecchio piano esso ne ereditava molte pecche, a partire dai diradamenti esso conteneva delle ambiguità molto evidenti (ad esempio non venivano stabiliti indici di fabbricabilità sostituiti da indicazioni in merito ai rapporti di altezza degli edifici rispetto alla sezione stradale) permettendo all’iniziativa privata, svincolata da ogni tipo di indice urbanistico a controllo della densità e delle volumetrie, ogni tipo di speculazione: un caso tipico è quello dell’Immobiliare e di Piazza Grande 58. 57 Italo Isolera; Livorno tra storia e piano; in Casabella n. 430 del Novembre 1977, Gruppo Editoriale Electa, p. 14 58 Il piano di Roccatelli conteneva alcune bizzarrie ad esempio la proposta non realizzata di rovesciare il Duomo, o il progetto, questo realizzato, di riempire Con la realizzazione di Palazzo Grande Livorno si vedeva espropriata del proprio baricentro, fenomeno aggravato dalla continuità che era stata data alle speculazioni edilizie che si localizzavano verso Sud. Qui le lottizzazioni, avviate durante il ventennio fascista, di alcuni fondi agricoli municipalizzati, tra cui Villa Fabbricotti, aveva dato origine a quartieri ricchi e borghesi, di scarsa qualità urbanistica e privi di molti servizi collettivi; inoltre questo tipo di speculazione aveva respinto la classe operaia, e la popolazione sfrattata dagli sventramenti, verso i quartieri popolari a Nord-Est. Il risultato generale di questo approccio urbanistico, fu la creazione di una grande fascia di edilizia, sovvenzionata, o privata, a ridosso delle borgate ottocentesche, di cui sfruttavano i servizi presenti, e le infrastrutture per raggiungere il centro storico. A proposito di questi borghi può essere affermata, attraverso le parole di Italo Isolera, una costatazione pienamente condivisa: “I borghi non sono stati sventrati dal fascismo, sono stati meno colpiti dalla guerra, hanno interessato la speculazione edilizia solo nella parte più esterna … . I borghi - disposte a mezzaluna attorno al centro demolito e ricostruito – sono col quartiere della Venezia il vero attuale “centro storico”, la vera zona in cui Livorno recupera e conserva l’immagine sociale di se stessa.” 59 A Pisa per adempiere all’obbligo di dotarsi di un Piano di Ricostruzione venne affidato l’incarico ad un gruppo di architetti ed ingegneri 60. Il Piano assieme alle successive varianti rimase operativo sino al 1965, determinando gli sviluppi più controversi della storia urbanistica moderna della città. Il principale contenuto del piano è costituito dalla previsione di una serie di Piazza Grande con un edifici “Palazzo Grande” che dividesse lo spazio antistante la chiesa da quella prospiciente il municipio. 59 Italo Isolera; Op cit., p. 17 60 Facevano parte del gruppo gli architetti ed ingegneri Pera, Bellucci, Ciangherotti, Fascetti espansioni esterne di media e bassa densità giustificate, sia dalle pesanti esigenze abitative, sia dall’impossibilità di operare all’interno del tessuto urbano storico, caratterizzato da una orditura viaria minuta, insufficiente rispetto alle nuove necessità di circolazione, e da una edificazione già troppo densa e malsana. Tutto questo portò alla realizzazione, il più delle volte secondo erronee scelte urbanistiche, di una notevole quantità di nuovo edificato. Al fine di rivitalizzare la città, il piano prevedeva la creazione di un centro affari e di un centro commerciale nelle aree periferiche, la sistemazione della zona alberghiera nei pressi della stazione centrale, la costruzione di due nuclei suburbani, San Giusto e Pratale, verso i quali convogliare la nuova edilizia. Inoltre viene pianificata una nuova viabilità di circonvallazione a Nord che avrebbe unito L’Aurelia e la Calcesana, contribuendo allo sviluppo urbanistico di quest’area. Nel 1956 il Consigli Comunale si dotò di un nuovo piano, il P.R.G. Pera-Clemente, che dava continuità e sviluppo alle previsioni del precedente piano, nonostante il Ministero dei LL.PP. respinse il piano esso rimase sino al 1965 in via ufficiosa il canovaccio per le speculazioni edilizie. Lo sviluppo edilizio si manifestò in prevalenza a Nord dell’Arno in S. Michele degli Scalzi, Pratale, Porta a Lucca, Porta Nuova, da prima secondo pseudo lottizzazioni, e successivamente con interventi di notevole carico urbanistico, usufruendo di un equivoco della Legge Urbanistica del 1942 che non dava possibilità di lottizzazioni sino all’approvazione di un Piano Particolareggiato, non prevedendo che in mancanza di un P.R.G. e quindi di un piano particolareggiato l’unica legge a cui far riferimento è il regolamento edilizio. Questo diede il via libera ad un periodo di grande fermento edilizio che si manifestava con diffuse e disorganizzate lottizzazioni, come afferma Giovanni Astengo: “ La lottizzazione diviene lo strumento più utilizzato e meno vincolato per sottoporre ampi appezzamenti di terreno agricolo all’edificazio- 73 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici ne. … Da qui anche il modello disorganizzato e discontinuo delle espansioni periferiche, prive di infrastrutture e attrezzature collettive.” 61 3.2.7 Gli anni Sessanta: la prima generazione di piani tra aspettative e illusioni 74 Alla fine degli anni Cinquanta i piani di ricostruzione e le loro varianti avevano generato una catena di fenomeni urbanistici molto complessa. La stagione di grande ripresa economica ed una politica urbanistica poco presente, che aveva lascito nelle mani dei privati la costruzione dei nuovi quartieri, aveva generato delle corone urbane di edilizia speculativa. Attraverso piani di lottizzazione convenzionati venivano strappati enormi estensioni di territorio rurale destinandoli all’edilizia, questo aveva determinato uno sviluppo della città a macchia d’olio. I nuovi quartieri pesavano sull’amministrazione pubblica poiché in larga parte parassitando i già scarsi servizi pubblici ed infrastrutture alla città storica e alle sue vecchie reti stradali. Pisa e Livorno si trovavano ad affrontare sviluppi urbanistici multi direzionali, con l’assenza di piani che potessero dare indirizzi chiari e a lungo termine, non che vincoli che potessero preservare le risorse territoriali e i centri storici dalle speculazioni edilizie. In un primo tempo le amministrazioni tentarono di calmierare il mercato immobiliare attraverso estesi interventi di edilizia economica e popolare, anche questi quartieri, pur essendo pianificati con un certo criterio, essendo posti ai limiti del tessuto urbano, nacquero con una forte carenza di infrastrutture di collegamento e con pochi servizi, inoltre le aree rimaste vuote tra i nuovi quartieri vennero presto saturate da interventi di edilizia privata, rendendo impossibili gli interventi radicali per l’innesto dei necessari servi pubblici. 61 Giovanni Astengo; Pisa struttura e piano, 1989, Tacchi Editore, Pisa, Vol I, Cap. 2, p.56 Il problema dei trasporti, effettuati con mezzi privati su infrastrutture obsolete, divenne tema centrale di questi anni, il crescente utilizzo dell’automobile rendeva complessa l’organizzazione viaria, interna alle aree urbane, e lungo gli assi di collegamento principali tra le città e tra queste ed il sistema regionale e nazionale. Il trasporto pubblico, sempre più danneggiato dal traffico, e da iniziative volte alla conversione dei filobus e tram a mezzi su gomma, non riusciva a supportare le richieste da parte dell’utenza (in prevalenza costituita da operai che vengono lasciati spesso ai margini delle politiche di sviluppo delle città). Si fa spazio lentamente nelle amministrazioni la coscienza della necessità di riformulare le politiche urbanistiche dando avvio ad una stagione di pianificazione volta: ad individuare una direzione chiara di sviluppo, dando ordine e rigore ai futuri incrementi urbani; fornire di servizi ed infrastrutture le aree nate nel periodo post-bellico, colmando le enormi esigenze di spazi plurali e ricreativi, strutture scolastiche ed ospedaliere, ecc.; garantire la preservazione ed il restauro dei centri storici, ma anche del patrimonio naturale e rurale delle aree extra urbane. Nel solco di tali esperienze si collocano anche il Piano Dodi-Piccinato per Pisa e il Piano Detti per Livorno. Il piano Dodi-Piccinato fu adottato nel 1965 dopo un iter di cinque anni, esso arrivava a conclusione di due tentativi di pianificazione precedenti elaborati dai Proff.ri Pera e Clemente: quello del P.R.G. 1956 respinto dal Ministero dei LL.PP. e quello del P.R.G. 1960 che non giunse mai all’esame del Consiglio Comunale a seguito della crisi politica dell’amministrazione comunale. Negli anni tra l’inizio dei lavori per il nuovo piano e la sua adozione vengono portati a compimento alcuni interventi molto pesanti concessi nel periodo precedente62 (si realizzano gli interventi di nuovo impianto dentro le mura e si 62 L’obbligatorietà della norma di salvaguardia è introdotta solo nel 1967 con portano a saturazione i quartieri periferici a Nord vengono edificati i terreni a Sud fino al limite del vincolo aeroportuale). A queste vicende si aggiunsero le bozze dei piani ’56 e ’60 che prevedevano un intenso sviluppo urbanistico ad Ovest verso il mare e l’ampliamento della zona produttiva intorno alla darsena, questi avevano già messo in allerta alcuni gruppi di imprenditori che stavano per acquisire grandi estensioni di terreni rurali e pinete in previsione di vederli trasformati in terreni edificabili. Preso atto che ad ovest della città si trovavano i territori di maggior pregio naturalistico e paesaggistico (San Rossore, Tombolo, Coltano) e che i maggiori sviluppi socio-economici si concentrano sempre più al sistema di conurbazioni Pisa-Cascina-Pontedera al quale serve una testa urbana direzionale e di servizi, viene proposta una strategia di sviluppo radicalmente opposta a quella delle bozze dei piani precedenti. Dodi e Piccinato propongono di indirizzare lo sviluppo residenziale e terziario, che è previsto in misura massiccia, verso Est nell’area di Cisanello, lasciando una zona lungo l’Arno per localizzare alcuni servizi a carattere provinciale, come viene affermato nel piano: “tale sorta di duplicazione della città potrà costituire un efficiente diaframma tra il centro storico, ormai congestionato, ed i complessi interessi che su di esso convergono da est, organizzandoli in una struttura urbana nuova che d’altra parte non nega, ma integra e in definitiva salva l’antico.” 63 Per quanto riguarda l’espansione industriale, essa viene prevista, con un elevata superficie, lungo la via Emilia, in località Ospedaletto. A supporto di tali nuovi sviluppi viene predisposto un nuovo sistema di viabilità, costituito da un’ampia tangenziale e da due anelli più interni a servizio della nuova espansione. la Legge 765/’67 63 Pier Lodovico Rupi, Andrea Martinelli op. cit., p.144 Dopo un lungo periodo di rielaborazione il Piano viene approvato nel 1970, alla stesura finale, già ampiamente modificata, vengono aggiunte successivamente numerose varianti; quella generale del 1973 e quella del 1979 contengono un numero così ampio di modifiche puntuali da alterare considerevolmente il modello di sviluppo unidirezionale in favore di un edificazione pluridirezionale. Anche la tipologia edilizia più diffusamente prevista, il modello a blocco multiplo, ideato per contenere lo sviluppo urbano, viene abbandonato sviluppando i nuovi quartieri attraverso il tipo unifamiliare, più a portata dei piccoli operatori economici locali. Il centro direzionale di Cisanello subisce grandi modifiche a partire dalla drastica riduzione delle superfici previste per edilizia economica e popolare, inoltre l’area viene edificata molto velocemente per iniziativa privata e le infrastrutture giunsero in estremo ritardo o non giunsero affatto (l’unica viabilità realizzata fu quella del primo tratto del così detto asse attrezzato, lungo il quartiere di Cisanello, e un nuovo ponte sull’Arno per collegare il centro direzionale con Ospedaletto, non vi è traccia del viale di circonvallazione esterno meno che mai degli anelli interni). D’altra parte il piano è riuscito a preservare in larga parte le aree naturalistiche e la fascia di terreni rurali ad ovest. L’area produttiva e commerciale di Ospedaletto, per quanto nata con un modello a zoning monofunzionale, venne definita con un assetto abbastanza compatto ed integrato da diverse infrastrutture che ancora oggi rendono la zona ben organizzata. Per quanto riguarda Livorno la dotazione di un piano regolatore era divenuta di prima necessità sin dal 1954 quando la città fu inclusa dal Ministero dei LL.PP. in una prima lista di comuni che dovevano obbligatoriamente redigere un piano 64. L’istanza del piano rischiava di passare non come uno strumento necessario 64 Decr. Interm. 11/05/1954, n. 391 75 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 76 alla programmazione degli sviluppi urbani futuri, ben si quale atto meramente amministrativo per istituzionalizzare scelte già compiute o fortemente vincolate alla situazione presente. Questo approccio era causato da due istanze preminenti al piano: la ricostruzione del centro storico e la necessità di nuovi alloggi per gli sfollati. Per dare più ampio respiro al Piano e sviluppare un dibattito sul tema più fertile fu chiamato a coordinare la commissione per il P.R.G. Edoardo Detti. Le indagini avevano posto in rilievo la degradazione edilizia e la carenza della struttura viaria, soprattutto tra i sobborgo ottocenteschi e le nuove periferie. Al centro del piano vi era la previsione di un grande asse viario tangenziale ai borghi ottocenteschi e di raccordo per le viabilità principali che penetravano nel tessuto urbano sino al centro storico, inoltre, per rompere l’espansione a macchia d’olio, venivano previste due grandi aree d’espansione residenziale nella fascia peri urbana, e lo sviluppo di aree industriali e della’assetto infrastrutturale in funzione delle previsioni di un maggiore coinvolgimento strategico nel comprensorio economico Pisa-Livorno-Collesalvetti. Il dibattito sul piano si sviluppò purtroppo solo attorno al dimensionamento e alla definizione degli indici, del resto, come afferma Bortolotti: “La proprietà fondiaria era perfettamente in grado di far valere i propri interessi provocando varianti al piano in corso di elaborazione. … Gli interessi più forti, a Livorno come ovunque, riuscirono ad imporsi, ed il piano tendeva a divenire una razionalizzazione di previsioni ed aspettative già formulate.” 65 Il piano dopo numerose varianti in corso d’opera che ne snaturarono buona parte dei contenuti fu adottato nel 1958 e approvato nel 1961, dopo ulteriori modifiche. Già dopo solo dieci anni le previsioni del piano si dimostrarono ca- 65 Lando Bortolotti, Livorno dal 1748 al 1958, profilo storico urbanistico, 1970, Leo S. Olschki editore, Firenze, p. 380 renti in molti punti, l’eccessiva densità edilizia prevista ed in parte già autorizzata, la scarsa previsione di aree per i servizi pubblici, una cronica indifferenza per i problemi infrastrutturali della città, portarono l’amministrazione alla decisione di redigere un nuovo piano. 3.2.8 La seconda generazione di piani: “Dalla Quantità alla Qualità” era solo uno slogan? Nel 1973 la giunta comunale incarica Italo Isolera della redazione del nuovo P.R.G.. Nei dieci anni trascorsi dal P.R.G. ’61 sono intanto avvenute forti trasformazioni a carattere metropolitano riguardanti il consolidamento dei rapporti industriali e logistici tra Pisa e Livorno e la ristrutturazione degli assetti infrastrutturali. Il tracciato costiero della ferrovia Tirrenica, Vada-Livorno-Pisa, aveva ridotto notevolmente il traffico del vecchio tracciato Vada-Collesalvetti-Pisa con deviazione a Collesalvetti per Livorno. Queste linee si erano comunque dimostrate molto utili alla logistica del trasporto merci non ché per le connessioni locali, e tuttavia fu decisa da Ferrovie dello Stato la graduale chiusura. Nel 1962 venne chiusa al traffico passeggeri la linea Livorno-Collesalvetti sostituendo i treni con un collegamento autobus. Per la linea Pisa-CollesalvettiVadda il declino fu più lento ma nel 1994 anche questa venne chiusa. All’inizio degli anni Sessanta viene pianificata la strada di grande comunicazione Firenze-Pisa-Livorno, più nota come FI-PI-LI, che doveva collegare le tre città e garantire un percorso più rapido della Firenze-Mare per raggiungere la costa. I lavori partirono a fine anni Sessanta raggiungendo Pisa e Livorno nel 1990, tuttavia già al 1973 la nuova superstrada era divenuta risorsa fondamentale per le due città che erano chiamate a programmare il futuro economico ed urbanistico anche in funzione di tale opportunità. Dopo quattro anni di maturazione il P.R.G. Isolera giunse all’adozione. Dalla prima stesura il piano aveva subito molte modifiche operate dallo stesso Isolera che, a seguito degli studi preliminari, e delle nuove condizioni contestuali (veniva previsto l’affievolimento della crescita demografica, e, al censimento del 1971, risultavano censite un notevole numero di immobili non occupati) imposto il piano con un approccio meno radicale: abbandonata la visione di un ulteriore grande sviluppo edilizio, e quindi la necessità di domarlo attraverso degli indirizzi massimalisti, Isolera metteva in rilievo la necessità di aumentare la qualità del patrimonio urbanistico esistente, coniando un piano del “ridimensionamento”, che si poneva come obbiettivo principale la sostenibilità sociale della città. Scrive Isolera: “Il problema che la politica urbanistica deve affrontare attualmente a Livorno è quello di bloccare il processo di periferizzazione dei suoi abitanti, …, restituire su tutto il territorio per tutti i cittadini la possibilità di essere protagonisti della propria città. Il P.R.G. ’77 vuole essere il primo passo in questa direzione, esso non si pone l’obbiettivo di indicare nuove ampie aree d’espansione, …, ma si propone di dotare Livorno di quei servizi necessari per conseguire una migliore qualità della vita.” 66 Quello che lo stesso Isolera defini quale “Piano delle Qualità” determinava quindi su tali obbiettivi una serie di operazioni urbanistiche sul tessuto della città, volte a dotare ogni parte della città degli standard necessari ad elevare i servizi pubblici per tutti i cittadini. Con “rinnovo urbano” veniva definita l’operazione che innestava all’interno dei quartieri carenti i servizi necessari, individuando alcuni nodi come la stazione San Marco quali aree da rigenerare e destinare ad attività direzionali e ricreative. L’incremento edilizio era legato a pochi e mirati interventi di completamente del tessuto periferico mentre per lo sviluppo industriale venivano stabiliti alcuni indirizzi e a tale proposito veniva proposto un nuovo assetto infrastrutturale ormai divenuto di primaria necessità per lo sviluppo econo- 66 Italo Isolera; Op cit., p. 18 mico. Tra i detrattori del Piano vi fu chi affermò che, “il rifiuto […] dell’espansione e la conseguente scelta della stasi dimensionale” ,67 erano da interpretarsi quale rifiuto della dimensione metropolita della città che era da tempo manifesta attraverso le sempre maggiori relazioni economico-sociali con Pisa e con il suo retroterra ( costituito dall’asse Colesalvetti-Pontedera), non ché dall’importanza strategica quale centro portuale dell’intera Toscana. Tuttavia sosteniamo che tali affermazioni solo imparte potessero essere comprovate dal contenuto del piano. Esso effettivamente proponeva una estrema riduzione dell’espansione urbana ma si occupava anche di temi a carattere territoriale e comprensoriale inti67 Luigi Airaldi, L’ideologia come dominante nel piano regolatore di Livorno, Urbanistica, 1981, n.71, p.30 La planimetria del P.R.G. ’77 redatta da Isolera 77 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici Schema dei trasporti pubblici nell’area e delle grandi viabilità previste dal P.R.G. di Livorno 78 mamente connessi alle vicende dello sviluppo metropolitano. Si osservi a proposito le proposte che il piano avanza rispetto alla questione delle infrastrutture ed all’istituzione di parchi territoriali e aree protette. Per quanto riguarda la prima questione, Isolera, comprendendo la necessità di riordinare i traffici di merci e persone, decise di separare il più possibile i flussi. Le merci trasportate su gomma o in ferrovia che giungevano al porto o dai depositi container partivano verso le città della Toscana o del territorio nazionale, dovevano avere dei percorsi propri di penetrazione e di attraversamento della città. Il flusso di pendolari che quotidianamente utilizzavano il collegamento ferroviario Livorno-Pisa avrebbero giovato di un raddoppio della linea verso Pisa diversificando il tragitto dei convogli a lunga percorrenza della ferrovia Tirrenica da quelli locali. Per quanto riguarda il sistema dei trasporti pubblici interni, Isolera constatava che il servizio, ormai garantito solo attraverso autobus di linea68 , era molto carente. Esso collegava solo alcune aree della città lasciando privi di servizi i quartieri popolari a Nord: “… manca del tutto un servizio di circonvallazione e quindi un collegamento efficiente con la grande zona industriale e portuale a settentrione della città: ciò comporta l’uso dell’auto privata (o del pullman aziendale) proprio per gli spostamenti casa-lavoro.” 69 Il Piano si propone quindi di risolvere tale problema incrementando il trasporto pubblico su gomma di ulteriori linee e integrando il sistema con il ripristino dove possibile delle linee filo tramviarie e la con linee tramviarie tra Livorno e il litorale pisano e tra Livorno e Collesalvetti. Il secondo punto preso in analisi riguarda la previsione di istituire due grandi parchi territoriali (il Parco della Poggia e il Parco del Montenero e del Chioma) a completamento del Parco delle Colline Livornesi che per iniziativa provinciale doveva essere istituito nel retroterra della città a tutela del patrimonio 68 Dopo la dismissione del tram Pisa-Tirrenia-Livorno Porta Margherita, avvenuta nel Settembre del 1960, il sistema di trasporti pubblici aveva perso anche le linee di Filobus, smantellati e sostituiti definitivamente da autobus nel 1974. 69 Italo Isolera; Op cit., p. 23 naturalistico dei promontori costieri. In ultima analisi Isolera propone un immagine di Livorno a dimensione metropolitana da valutarsi, non nella quantità di popolazione, o nell’estensione urbana, ma nei confronti delle relazioni che la città sa intessere con il territorio, non solo comunale, e nella risoluzione di problemi a scala comprensoriale a partire dalla revisione integrale del sistema della mobilità urbana. Il piano fu adottato dal Consiglio a fine ’77 giungendo dopo alcune modifiche all’approvazione nel 1980 e rimanendo in vigore con molte varianti sino alla fine degli anni novanta. Alla fine del 1986 l’amministrazione comunale di Pisa decise di procedere all’elaborazione di un nuovo piano e affidò a Giovanni Astengo l’incarico di consulente ad un gruppo operativo interno coordinato da Riccardo Ciuti. Il processo di formazione del piano fu avviato con l’elaborazione di un progetto preliminare, consegnato alla Giunta nel 1990, ma mai approvato a causa della sopraggiunta crisi politica dell’amministrazione. Tale preliminare, molto approfondito negli aspetti di analisi e di impostazione, pone al centro tre aspetti fondamentali che caratterizzano l’approccio di Astengo. Il primo attiene al processo di formazione delle decisioni: secondo astengo esse debbono essere definite attraverso un metodo procedurale di confronto costante, aperto e trasparente con la città. “Nulla può essere considerato irrevocabile, ma le scelte, ponendosi in questa visione attiva , possono essere aggiornate, aggiustate, migliorate.” 70 Il secondo attiene al rapporto tra elementi di valore plurale ed elementi di valore speculativo che il piano deve evidenziare riuscendo a risolvere i conflitti e le incompatibilità reciproche. “I contesti di particolare valore storico o ambientale vanno considerati anche per gli interessi (di tipo culturale) di coloro che non hanno alcun interesse (di 70 Pier Lodovico Rupi, Andrea Martinelli op. cit., p.149 tipo economico o sociale).”71 La terza questione riguarda la concezione di un modello di sviluppo della città alternativo allo zoning: “che ha dimostrato il proprio fallimento con il piano Dodi-Piccinato.”72 Secondo Astengo, tale fallimento è stato causato, almeno in parte, dal modello di pianificazione usato: è mancato un sistema adeguato di indirizzi sulla morfologia urbana che riuscisse a ricomporre e a dare qualità al tessuto della città. Per invertire il progressivo decadimento dell’immagine del centro storico, occorre cambiare modello di pianificazione, superando i dispositivi dello zoning. Astengo propose di intervenire sui tessuti urbani di qualità e valore storico attraverso piani di recupero73 , con i quali restituire integrità al centro storico e al suo più vicino intorno. Nelle periferie viene proposta invece una revisione integrale della maglia edilizia, l’obbiettivo è quello di riqualificare attraverso la costruzione di un “ossatura urbanistica”, la dove la città si è sviluppata per interventi successivi, senza alcun ordine interno o riferimento contestuale. Per ottenere tale obbiettivo, Astengo propose due tipi d’intervento: prevedere ampi spazi verdi con funzioni connettive per la ricomposizione dei disordinati e dispersi episodi edilizi, limitare le previsioni di nuovi insediamenti solo a completamento di quelli già esistenti, contribuendo alla contrazione e alla saturazione delle maglie urbane. In fine il piano preliminare colse l’esigenza prioritaria di liberare la città dal traffico di attraversamento, individuando un sistema viario esterno che dal quartiere di Cisanello a Est si congiunge all’Aurelia ad ovest cingendo la periferia Nord e fungendo da raccordo a tutti i tracciati di penetrazione sino al 71 72 73 Pier Lodovico Rupi, Andrea Martinelli op. cit., p.150 Come sopra Il Piano di Recupero fu disposto dalla L.R. n. 59 del 21/05/1980 79 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici centro città. Venne proposto anche una modifica al percorso ferroviario e lo spostamento verso nord della testa dell’aeroporto semplificando gli interscambi trenoaereo. 80 Per sostenere tali previsioni occorre però mettere a punto un modello con forti caratteri definitori, che precisi i volumi da rimuovere, quelli da trasformare, le sagome edilizie, i caratteri tipologici e morfologici, gli arredi urbani, gli spazi per i servizi, per il verde, per i parcheggi. Il Piano per Astengo deve diventare uno strumento urbanistico integrato, dove il dettaglio progettuale puntuale, convive con previsioni ed indirizzi di sviluppo generali, applicandosi ad una città cresciuta in diversi periodi e con enormi differenze tipologiche e morfologiche. Come affermano Rupi e Martinelli: “L’impianto normativo proposto (da Astengo) supera il modello, dimostratosi insufficiente, della suddivisione del territorio in “zone omogenee”. Questo modello può risultare praticabile solo per zone d’espansione di aree limitate, con caratteri uniformi, prive di riferimenti all’interno e al intorno. Ma laddove nessuna omogeneità può essere ritrovata, nelle aree già parzialmente o totalmente edificate, o nelle aree interconnesse con strutture costruite, il modello dello zoning può condurre solo all’appiattimento e allo scadimento dell’immagine urbana.”74 Il contenuto più caratterizzante dell’impostazione urbanistica del piano sta nel superamento dello zoning ottenuto attraverso un impianto normativo capace di determinare e controllare gli elementi complessi della morfologia urbana. Pertanto è l’impianto normativo ad assumere nuove e più importanti caratteristiche, esso dovrà essere in grado di tradurre dei messaggi a carattere architettonico-urbanistici attraverso norme articolate in formule giuridicamente certe. Questa proposta nasce da una riflessione sul fallimento del modello 74 Pier Lodovico Rupi, Andrea Martinelli op. cit., pp. 154, 155 pianificatorio a cascata, della Legge Urbanistica del ’42, ed in particolare del difficile rapporto tra piano e progetto urbanistico, disposti rispettivamente da piano regolatore generale e da piani particolareggiati. Se il vecchio modello aveva portato a redigere strumenti urbanistici generali con scelte programmatiche poco vincolanti, è vero che il modello proposto da Astengo soffrirà di una rigidezza di vincoli (il piano prevedeva ogni tipo di dettaglio) e di una fragilità nei confronti del tempo (soluzioni particolari che valgono in un contesto oggi possono non essere più valide a distanza di qualche anno, e la città non si sviluppo tutta nello stesso tempo) che avrebbero potuto rendere parzialmente inefficaci le intenzioni di Astengo. 3.2.9 La nascita del Parco Regionale di Migliarino San Rossore M assaci u cc o li Durante gli anni Settanta la pressione edilizia rivolta alla costa tra Viareggio e Livorno crebbe notevolmente, le ragioni di tale fenomeno erano legate alla crescita verso ovest della periferia diffusa della città di Pisa e della sue città balneari, lo sviluppo turistico della Versilia, il crescente bisogno di spazi per le attività industriali e portuali di Livorno. Questo fenomeno interessava una vasta area, tra le città, rimasta fuori sino ad allora dai processi di sviluppo urbano, questa era caratterizzata da una fascia costiera molo profonda con ambienti naturali umidi molto estesi e zone rurali di un certo valore paesaggistico. Sebbene con le bonifiche, messe in atto nel Ventennio, si era andata sostituendo ad una grande estensione di paludi una tessitura agraria e poderale molto organizzata, la permanenza delle grandi tenute istituite dai Medici e da altre famiglie nobiliari della corte fiorentina, quali fonti di rendita agraria diretta delle famiglie non ché riserve di caccia personale dei Granduchi, permise di mantenere intatte grandi aree boschive e palustri che giunsero al dopo guerra ancora in gran parte intere dal punto di vista della proprietà. Di fatto dopo Medici e Lorena le proprietà passarono ai Savoia, e nel secondo dopoguerra divennero parte del demanio, o addirittura assegnate alla pre- sidenza della Repubblica come nel caso della tenuta di San Rossore. Questo riparò da qualsiasi possibilità di mutamento di destinazione d’uso tali aree, tuttavia molte zone vicine ai centri urbani correvano seri rischi di essere radicalmente trasformate in direzione soprattutto di un enorme incremento delle strutture turistico-balneari. Altro grande problema era costituito dalla attività produttive ed estrattive che interessavano aree molto vicine alla costa e causavano ingenti danni ecologici all’ambiente, ad esempio le attività estrattive nei bacini di Massaciuccoli o il porto di Livorno. Così nel 1979, a seguito di una forte campagna di opinione pubblica non priva di grandi contrasti, la Regione Toscana istituisce il Parco Naturale Regionale su buona parte della costa, rimangono fuori dai limiti del parco Marina di Pisa, Tirrenia e Calambrone, alcune aree appartenenti al demanio e alla presidenza della Repubblica, nonché i territori circostanti il lago di Massaciuccoli e le zone agricole di Coltano. I motivi che indussero l’amministrazione regionale a procedere in tale atto sono da ricercare nell’articolo primo della legge istitutiva, la Legge Regionale n. 61 del 13/12/1979: “… scopo del parco è la tutela delle caratteristiche naturali, ambientali e storiche del litorale Pisano e Lucchese, in funzione dell’uso sociale di tali valori, nonché la promozione della ricerca scientifica e della didattica naturalistica.”75 La legge istituendo il parco ne definisce i limiti territoriali e l’ambito di competenza, non che l’organo preposto all’amministrazione, sebbene in via provvisoria, il Consorzio del Parco Naturale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli. Questo era formato dalla rappresentanza delle sette amministrazioni interessate (5 comuni e 2 province) ed era dotato di una certa autonomia operativa per un efficace gestione e protezione delle risorse. Nel 1980 viene dato avvio alla procedura di formazione di un piano territoriale di coordinamento elaborato da un gruppo di lavoro coordinato dall’architetto Pier Luigi Cervellati.76 La decisione di redigere un piano venne presa in quanto era estremamente sentita l’esigenza di uno strumento di programmazione efficace, a compensazione di un quadro di riferimento di pianificazione sovra comunale assente, e per la limitatezza metodologica, culturale e programmatoria dei singoli strumenti urbanistici di livello comunale. Inoltre, vi è da ricordare che il Piano nasceva in un periodo nel quale la realtà italiana in materia di pianificazione e gestione delle risorse naturali non disponeva di molti riferimenti metodologici ed esperienze consolidate, tali da delineare uno specifico filone culturale della progettazione e pianificazione delle aree protette in Italia. Certamente, dal punto di vista metodologico, nel processo di formazione del Piano ha assunto grande rilievo la storia del territorio interessato dall’area protetta, il piano del parco anche detto “Piano Cervellati” pone alla base delle proposte avanzate due chiavi di lettura e di progetto: il parco delle tenute e il parco delle acque. Per quanto riguarda la prima istituzione progettuale essa è riferita al patrimonio culturale del territorio sul quale persistono le tracie delle antiche tenute, individuabili non solo nel patrimonio storico-edilizio, ma anche nelle diverse caratteristiche naturali e ambientali di ogni tenuta, esse sono considerate dai progettisti come veri e propri sistemi separati “… che hanno consentito lo sviluppo di proprie vicende storiche, determinate dalla natura dei luoghi, dalle scelte produttive, dagli interventi per la realizzazione di percorsi, da opere di drenaggio o di altra natura idraulica, da manufatti edili,[…], (che ancora oggi) presentano caratteristiche geomorfologiche omogenee e paesaggisticamente consolidate.” 77 Di conseguenza il territorio del parco è dato dalla somma delle 75 77 Art. 1 della L.R. n. 61 del 13/12/1979 76Oltre al coordinatore, il gruppo era formato dall’Arch. Enza Citterio, dall’Ing. Roberto Corlaita, dall’Arch. Giovanni Maffei Cardellini, dall’Arch. Enrico Ghiselli, dall’Ing. Stefano Paglialunga. Cervellati Pier Luigi e Maffei Cardellini Giovanni (a cura di), Il Parco di 81 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici sette tenute o comparti, individuati sulla base del Catasto Leopoldino, con l’aggiunta di alcune aree come le zone umide attorno al lago di Massaciuccoli o alcuni lembi di litorale nella tenuta di Tombolo. Esse devono essere, secondo Cervellati, gestite in maniera separata, atraverso dei piani di gestione, scegliendo per ognuna di esse le soluzioni migliori per la tutela, la conservazione ed il potenziamento del patrimonio storico e naturale, la tenuta è cioè “… individuata come un tassello del Parco, con percorsi e circuiti storico-naturalistici 82 organizzati, con attrazioni e strutture ricettive proprie, essa è luogo autonomo e interdipendente per la gestione unitaria delle altre Tenute.” 78 Per quanto riguarda il “Parco delle Acque” esso rappresenta la parte più innovativa ed affascinante delle proposte del piano, i progettisti infatti si posero quale obbiettivo la restaurazione degli ambienti lacustri e paludosi scomparsi con le bonifiche, a tal proposito Cervellati scrive: “… le zone bonificate al pari di quelle disboscate, non offrono alcuna attrattiva giacché la loro trasformazione è avvenuta all’insegna dello sfruttamento e pertanto debbono ritornare a mostrare il loro “carattere” originario con semplici e appropriati interventi di restauro/ripristino ambientale. Riallagare, ad esempio, anche parzialmente le zone prosciugate tangenti ala lago di Massaciuccoli, significa riportare al suo valore di zona umida una delle componenti salienti del parco.” 79 Il piano pur riguardando un territorio che presenta una propria coerenza di biotopi ed ambienti naturali non rinuncia a sottolineare i caratteri storico-antropici dei luoghi mettendo in relazione caratteri naturali e storici, operazione che all’epoca non era ancora stata mai eseguita in Italia su estensioni territoriali di tale portata. Per rendere efficace questa visione integrata del territorio, Migliarino San Rossore Massaciuccoli: la storia e il progetto, 1988, Giunta Regionale Toscana-Marsilio Editori, Venezia. 78 Sergio Paglialung, Il Piano del Parco Naturale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli, in Rosini Rino e Vecchietti Sandra (a cura di), La pianificazione dei parchi regionali, 1994, Alinea Editrice, Firenze, pag. 186. 79 Cervellati Pier Luigi e Maffei Cardellini Giovanni (a cura di),op. cit. il piano adotta quale strumento operativo una sorta di zoning che definisce i settori di intervento diversificati per uso e tutela delle risorse naturali e per sistema infrastrutturale, tali settori possono essere riassunti in: a- aree di restauro o ripristino ambientale, nelle quali si definisce un processo di riconduzione alla morfologia originaria dei luoghi attraverso il rimboschimento (per complessivi 903 ettari di aree agricole), le zone umide di ripristino (320 ettari), i riallagamenti (1.200 ettari) di aree oggi agricole, per ricreare vaste aree umide quali habitat di grande importanza, oggi rari e minacciati, il ripristino delle sponde dei canali come segni storici importanti di un disegno territoriale fortemente legato alla presenza dell’elemento acqua; b- le zone di recupero, principalmente riferite a cave, arenili, edifici esistenti e relative aree di pertinenza, zone di recupero edilizio ed urbanistico, nelle quali l’azione umana e progressivi processi di abbandono hanno determinato delle modificazioni, che necessitano di azioni recupero e rifunzionalizzazione, in armonia con i principi e le finalità dell’area protetta; c- le zone di recupero, principalmente riferite a cave, arenili, edifici esistenti e relative aree di pertinenza, zone di recupero edilizio ed urbanistico, nelle quali l’azione umana e progressivi processi di abbandono hanno determinato delle modificazioni, che necessitano di azioni recupero e rifunzionalizzazione, in armonia con i principi e le finalità dell’area protetta; d- le aree naturali, che sono vaste zone per le quali il Piano prevede il mantenimento delle destinazioni e degli usi attuali, e la gestione del sistema di risorse rispetto alle aree boscate, le zone umide, gli arenili e le zone agricole; e- le riserve naturali, individuate in quindici aree (per complessivi 2.250 ettari), che rappresentano quelle più significative per la presenza di valori faunistici e floristici rari e di pregio, e nelle quali è consentita la ricerca scientifica ed il mantenimento delle caratteristiche naturali, senza introdurre modificazioni; f- le infrastrutture, con una ipotesi di riduzione del carico veicolare della strada statale Aurelia e la definizione di una rete di percorrenza interna all’area protetta; g- le attrezzature, che facendo riferimento alla struttura territoriale principale, riferita al sistema delle Tenute, individua l’insieme dei servizi offerti al visitatore, quali porte del parco, centri visite, foresterie, eccetera. Dopo una lunga gestazione di cinque anni il Piano Territoriale di Coordinamento venne pubblicato, fin dalla sua prima apparizione dette luogo ad una serie di polemiche di tale portata da rendere impossibile l’approvazione da parte del Consorzio del Parco entro i termini previsti dalla legge, per ciò il piano passò nelle mani della Regione Toscana. Dopo un lungo lavoro di mediazione e conciliazione, nel 1987 venne raggiunto l’accordo tra le amministrazioni locali e la Regione e il piano fu adottato, il nuovo P.T.C. era in linea con il piano Cervellati di cui manteneva tutta l’impostazione riducendone alcune previsioni, dopo un’altrettanto lunga fase di osservazione e valutazione da parte, sia dei soggetti pubblici, che dai privati cittadini, venne raggiunta l’approvazione nel 1989. Riguardo alla questione dei discussi riallagamenti, il Consiglio Regionale attraverso il P.T.C. ’89 deliberava, accettando tale filosofia assieme al concetto di restauro e ripristino ambientale, tuttavia nel P.T.C. le aree destinate a tale ricostruzione naturalistica risultano essere inferiori alle previsioni del Piano Cervellati, e soprattutto, come si legge nella delibera di approvazione, all’articolo 6 comma 8 : “il perimetro delle zone di riallagamento individuato nella tavola di piano, deve considerarsi indicativo, solo alla scala e nel dettaglio dei progetti sarà possibile definire l’esatta conformazione e dimensione delle zone da sottoporre ad intervento, assieme ai tempi e ai modi di realizzazione e di gestione, collegati alla disponibilità delle aree.” Per quanto riguarda l’effettiva attuazione delle indicazioni espresse dal P.T.C., la legge istitutiva del ’79 stabilisce la redazione di appositi regolamenti di uso del territorio e piani di gestione aventi caratteristiche di piani particolareggiati. Il campo di operatività di ciascun piano di gestione deve riguardare almeno il territorio di una delle sette tenute o comparti in cui il piano si articola. Così negli anni successivi sono state avviate le stesure dei vari piani di gestio- ne, nel 1994 a seguito dell’interessamento del Comune di Pisa venne approvato il Piano di Gestione delle Tenute di Tombolo e Coltano, nel 1996 venne approvato il Piano di Gestione della tenuta di Borbone e Macchia Lucchese, l’anno successivo quello relativo alla tenuta di Migliarino, nel 1990 dopo il passaggio della tenuta Presidenziale di San Rossore alla gestione diretta del Parco 80(avvenuta nel 1995) viene approvato il Piano di Gestione della Tenuta di San Rossore e del Padule settentrionale di Massaciuccoli comprendente lo stesso specchio lacustre, nel 2002 è stato approvato infine il secondo Piano di Gestione delle Tenute di Tombolo e Coltano. Nel mentre il Consorzio del Parco veniva sostituito, con Legge Regionale n. 24 del 16/03/1994, con l’Ente Parco Regionale, ente dotato di un proprio statuto, di un organo amministrativo, con consiglio direttivo, e con organi tecnico-consultivi, acquisendo una maggiore autonomia rispetto ai soggetti pubblici local i . 3.2.10 Dal P.R.G. al Piano Strutturale: uno sviluppo equilibrato tra qualità E q u a n t i t à Livorno si trova a sperimentare a inizio anni Novanta la nuova procedura normativa per dotarsi di un nuovo piano regolatore, difatti la Regine Toscana aveva emanato con Legge n. 5 il 16/01/1995 la nuova legge urbanistica, che prevedeva la formazione dello strumento regolatore generale per due fasi: attraverso la formazione di un preliminare d’indirizzo generale, chiamato Piano Strutturale, e la successiva determinazione di un programma dettagliato sugli sviluppi urbanistici ed edilizi, chiamato Regolamento Edilizio. L’amministrazione Comunale aveva già deciso nel 1992 di rinnovare i propri strumenti urbanistici, la città stava attraversando un periodo di forte crisi eco80 A seguito di una convenzione stipulata il 29 Dicembre 1995, fra Presidenza della Repubblica e Regione Toscana, la gestione della Tenuta è stata concessa per un periodo di dieci anni rinnovabili alla Regione Toscana, in fine nel 1999 la proprietà della tenuta è passata alla Regione 83 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 84 nomica legata all’esaurimento di alcune importantissime attività industriali e portuali. Attraverso il nuovo piano quindi veniva perseguito l’obbiettivo prioritario di collocare Livorno in un contesto meno legato ai cicli delle attività portuali, un contesto “metropolitano” e cioè legato ai processi economici del retroterra, viene ipotizzata un indirizzo di sviluppo che si basa sulla connessione tra ricerca scientifica e sviluppo delle attività produttive attraverso un processo d’integrazione tra l’area Livornese e quella Pisana. Un altro fattore che rende necessaria la formazione di un nuovo piano, è rappresentato dall’assetto infrastrutturale. Questo era enormemente cambiato nell’arco di pochi anni. Nel 1990 era giunta a completamento la strada di grande comunicazione Firenze-Pisa-Livorno, e vi era la previsione di un ulteriore prolungamento sino alle strutture portuali più occidentali dove era stato localizzato il posizionamento della nuova darsena del porto, la darsena Europa. Il sistema ferroviario per il trasporto merci, altro grande problema della città, era stato oggetto di una revisione integrale, veniva previsto da F.S. un utilizzo più razionale delle linee, spostando tutto il traffico merci sui tracciati interni, in parte dismessi, di Pisa-Collesalvetti-livorno-Vada ed impiegando la tirrenica solo quale tratta commerciale per passeggeri. Il tratto livornese dell’Aurelia, una vera e propria superstrada tangenziale denominata “Variante Aurelia”, era stata declassata a seguito dell’apertura di un tratto alternativo. Il nuovo tracciato si innestava sulla FI.PI.LI. e dopo alcuni chilometri di gallerie, aggirava la città dalle colline, connettendosi alla vecchia strada a sud verso Quercianella, lasciando il suo vecchio tracciato che poteva essere impiegato quale asse urbano di scorrimento Nord-Sud. Ultimo ma più importante intervento infrastrutturale era costituito dalla localizzazione dell’interporto a Guasticce nel comune di Collesalvetti. Sebbene l’esigenza di liberare enormi spazi del porto di Livorno, impiegati a deposito di container, era evidente sin dalla fine degli anni Sessanta, solo dopo molte vicende era stato raggiunto un accordo, a metà anni Ottanta, sulla posizione dell’interporto nel retroterra tra Livorno e Collesalvetti al confine con il Comune di Pisa. Con l’approvazione del Piano Particolareggiato nel 1991 che definiva i caratteri dell’intervento su 220 ha si dava avvio alla procedura per realizzare un grande centro d’interscambio per i container che dal porto di Livorno vengono spostati a Guasticce tramite treno e qui vengono caricati sui tir che possono imboccare l’autostrada A12 o la FI.PI.LI.. Come afferma Augusto Cagnardi, progettista del piano e partner dello studio Gregotti associati, nei Lineamenti per il piano regolatore: “Si va concentrando intorno alla pianura tra Livorno e Pisa un sistema di infrastrutture, aeroporto compreso, che in altre parti del territorio nazionale è raro trovare. Ciò rappresenta una grande opportunità ed induce, su una città costiera come Livorno, il fatto che le infrastrutture principali passino all’interno e non più lungo il mare, con un sensibile miglioramento del traffico urbano, e nello stesso tempo un cambiamento della filosofia della città.” 81 Il piano ha quindi l’obbiettivo di determinare gli indirizzi di sviluppo economico volti ad integrare le attività industriali dell’indotto portuale, con altre attività di tipo terziario e direzionale, cioè dare avvio ad un processo di terziarizzazione della città ormai divenuto necessario, sia dalla crisi economica del settore dell’industria pesante, sia dalla posizione strategica che riveste nell’area metropolitana e quale sbocco a mare dell’area settentrionale della Toscana. Questo implica una revisione ed una riqualificazione del retroterra Livornese, quella fascia pedecollinare, dove si sono localizzate quartieri ed attività respinte dalla città, che si rivolgeva totalmente al suo fronte mare. Il piano può essere considerato contemporaneamente un programma di trasformazione urbana e di riqualificazione ambientale, come dichiarato da Cagnardi: “Applicare i principi di sostenibilità allo sviluppo urbano di una realtà complessa e 81 Augusto Cagnardi, Lineamenti per il nuovo Piano Regolatore Generale, Indirizzi programmatici dell’amministrazione e proposte dei progetti, CN Comune Notizie, n. 4, Giugno 1993. compromessa come quella livornese, giustifica a mio avviso l’individuazione di una serie di aree strategiche di trasformazione che pure comportano inevitabili nuovi ed ingenti consumi di suolo, contribuiscono alla riqualificazione globale della città e del suo territorio.” E ancora: “… dobbiamo subito porci il problema di un giusto equilibrio tra queste componenti (la componente di trasformazione fisica urbana ed extra urbana, e componente di trasformazione economica) in maniera da evitare che nei processi di scelta prevalga la prospettiva economica rispetto a quella culturale ed etica/sociale. In realtà partendo dalla considerazione che lo sviluppo è un problema a molte dimensioni, è preferibile parlare di sviluppo equilibrato quale prospettiva per conciliare due termini tradizionalmente in conflitto: qualità e quantità.” 82 Il piano Strutturale si caratterizza poi per una suddivisione del territorio in una parte ordinaria da gestire e riqualificare e in una parte strategica da trasformare, questo approccio può essere sintetizzato guardando al piano come un programma d’intervento basato su tre nodi urbanistici: la Porta a Mare, la Porta a Terra e il Nuovo Centro. Per quanto riguarda gli interventi della Porta a Mare si prevede una riqualificazione integrale del porto Mediceo, liberato dalle attività cantieristiche, convertendolo in porto turistico-centro servizi, nell’intervento si comprende una serie di operazioni volte a liberare le mura dagli edifici sorti con il porto industriale, e che ne occultano buona parte del tracciato, riqualificando anche il quartiere della Venezia, da destinare a vari servizi commerciali e turistici. Si pone maggiore attenzione alle operazioni da svolgersi nell’entroterra, che per la loro posizione, sono di complicato inserimento, in un tessuto urbano fortemente segnato dalle infrastrutture, Variante Aurelia e ferrovia Tirrenica, non che da uno sviluppo urbanistico diacronico molto eterogeneo e disordinato. Vengono previsti quattro punti strategici per poter intervenire su tale contesto: a- prevedere un ingresso alla città da terra, 82 Augusto Cagnardi, op. cit. la Porta a Terra, dove localizzare attività terziarie, fieristico-espositive, nonché servizi sportivi e per il tempo libero, b- definire un nuovo centro servizi per la città dove far convergere alcune attività pubbliche di grande interesse collettivo quali centri di ricerca scientifica, università per l’alta formazione ecc., c- consolidare il sistema dei parchi collinari ponendo alcune sue parti a servizio della comunità con percorsi attrezzati e orti urbani, d- integrare l’edilizia convenzionata con nuove volumetrie e attività commerciali e di servizio per riqualificare le esistenti. Il piano, nel rappresentare lo stato della città conseguente alle trasformazioni proposte, assume la metafora di una città tripolare, costituita dal centro storico, dalla porta a terra e dal nuovo centro. Dopo un iter abbastanza breve nel 1996 il Piano Strutturale viene adottato e Lo schema di piano proposto dallo studio Gregotti e associati nel 1993, con l’individuazione dei tre maggiori interventi: la porta a Mare, la Porta a Terra, il Nuovo Centro 85 Quadro conoscitivo degli aspetti storico-antropologici 86 approvato, dando avvio ai lavori per la redazione del regolamento urbanistico adottato nel 1998 ed approvato nel 1999. Oggi rimangono in vigore le indicazioni di tale piano, anche se alcuni aspetti sono stati cambiati nella forma urbanistica ed edilizia, le indicazioni di massima sono rimaste immutate, c’è da chiedersi se la buona volontà dei pianificatori e dell’amministrazioni pubblica nel rilanciare Livorno attraverso la valorizzazione del suo retroterra non sia rimasto uno slogan a copertura di scelte ormai condizionate dallo sviluppo speculativo avviatosi in questi anni e come sempre in Italia le questioni infrastrutturali e ambientali non sono state risolte completamente, lasciando sospese le decisioni su potenziamento dei servizi di trasporto pubblici, e il potenziamento e la tutela del territorio collinare livornese. Dopo la scomparsa di Astengo nel 1990 i lavori per il P.R.G. di Pisa si erano arenati, così nel 1992 la nuova Giunta incarica Bruno Gabrielli, allievo di Astengo, di redigere il piano. Il piano Gabrielli si pone rispetto al preliminare di piano del maestro in estrema continuità, confermando la finalità primaria di programmare una gestione capace di garantire una trasformazione qualitativa anziché quantitativa della città. Una volta aggiornato il quadro delle analisi conoscitive Gabrielli passò a definire un articolato sistema di regole e progetti che rifuggendo dallo zoning andavano disegnando ogni tipo di operazione edilizia o di sistemazione dei suoli, disciplinando le zone già edificate con un quadro normativo che contempla diverse soluzioni per diverse situazioni, dalla conservazione assoluta, alla sostituzione integrale. Cosi il piano secondo Gabrielli si pone tra il piano di direttive e quello attuativo-particolareggiato, tra le scelte poste alla base di tale piano vi sono: il contenimento della città entro i suoi limiti attuali; la riorganizzazione della viabilità, puntando ad un sistema di penetrazione che neghi l’attraversamento del centro urbano; il riassetto dell’area di Cisanello con il decentramento di alcune funzioni invasive del centro storico; ed infine la riorganizzazione della darsena sul Canale dei Navicelli. A proposito di questo ultimo obbiettivo Gabrielli decide di approfondire morfologicamente le indicazioni del preliminare, confermato il riordino delle attività cantieristiche, il nuovo piano inserisce nell’area della darsena una serie di funzioni a carattere culturale e sociale, il centro nautico, il museo della nautica, il polo fieristico, che assieme ad interventi sullo spazio urbano e sulle aree verdi, conferiscono al distretto produttivo un carattere urbanistico che ricorda i business park, con la funzione di porta a mare della città e di trait d’union tra la città storica e il parco naturale di San Rossore, Migliarino, Massaciuccoli. Dopo la crisi politica dell’amministrazione nel 1995 il processo di adozione del piano si interrompe, la sopraggiunta Legge Regionale n. 5/95, riconfigura il campo di regole per la formazione del piano regolatore, vanificando in parte gli sforzi sino ad allora compiuti dall’amministrazione comunale che doveva riavviare, nel 1996, la procedura per il Piano Strutturale incaricando Vezio de Lucia. Il mancato esito del piano Astango e del piano Gabrielli, aveva lascito, sulla carta, un grande patrimonio d’indirizzi urbanistici e di sviluppo territoriali tali che, alla decisione di porre di nuovo mano ad un rinnovo degli strumenti urbanistici (era ancora in vigore il vecchio piano Dodi Piccianato), si giunse con un bagaglio di precedenti esperienze molto qualificate che si riverseranno nel nuovo piano. Il Piano Strutturale aveva l’obbiettivo di mirare ad un complessivo riequilibrio territoriale, da conseguire attraverso una politica di ridistribuzione delle funzioni terziarie recuperando il centro storico destinandolo al ruolo di luogo privilegiato per le attività residenziali, culturali e di socializzazione. Quindi vengono confermate alcune scelte precedentemente proposte da Astengo e Gabrielli, in particolare la ridefinizione e l’organizzazione del tessuto urbano attraverso la gestione più oculata degli spazi aperti. Quest’ultimo obbiettivo era divenuto di primaria importanza con la nuova legge regiona- le n.5/95, essa introduce nella pianificazione urbanistica anche il tema della sostenibilità ambientale, in particolare a Pisa vengono posti in rilievo due fenomeni di criticità ambientale: la criticità legata all’urbanizzazione diffusa nella fasce peri-urbana rurale, e la criticità legata all’instabilità idrogeologica dell’area spesso coinvolta nelle piene dell’Arno e del Serchio. Fenomeni di criticità che possono essere risolti appunto attraverso l’organizzazione di fasce di rispetto da destinare al verde pubblico attrezzato, vengono così previste delle fasce verdi nel quartiere di Cisanello, il “filtro verde”, la costituzione di un grande parco territoriale nell’area dei Navicelli e la definizione del Parco Golenale dell’Arno tra S. Giusto e Cisanello. Il Piano Strutturale recepisce inoltre la sostanziale contrazione demografica prevista per il trentennio, contrazione dovuta anche all’effetto di metropolizzazione dell’area, già in atto dagli anni settanta con la conurbazione di Cascina e Pontedera ed estesa adesso ad un area più ampia comprendente la Versilia a Nord e soprattutto il comprensorio Livorno-Collesalvetti a Sud, città con le quali si sono andati rafforzando ulteriormente i rapporti e le interdipendenze economiche ed infrastrutturali. Gli effetti di questa analisi determinano una politica di piano volta a ridimensionare lo sviluppo edilizio, soprattutto convogliandolo verso le aree di completamento e ad interventi di recupero urbano mirati, e definire nuovi assetti per la mobilità privata e pubblica. Il tema della mobilità, affrontata da una parte di piano apposito, è divenuto tema di preminente criticità in una città che accoglie Università con un grande carico di afflussi di studenti dal bacino lucchese, livornese e fiorentino, che accoglie attività terziarie e di produzione manifatturiera di importanza non solo locale, ma soprattutto essendo un nodo ferroviario, autostradale e aeroportuale di basilare rilievo per la Toscana e per l’Italia. Il piano Strutturale è stato accompagnato dopo l’adozione e l’approvazione nel 1999 da un piano urbanistico per il traffico che si pone quale programma di indirizzi per l’intera mobilità comunale. Questo atto individua i principali problemi che affliggono l’area urbana della città sotto l’aspetto del traffico veicolare, al problema si risponde con alcuni indirizzi programmatici da valutarsi nel generale obbiettivo di convertire la mobilità, almeno in parte, in una mobilità più sostenibile sia dal punto di vista ambientale che da quello sociale, una mobilità chiamata “gentile”. Le strategie principali sono: di riequilibrare il rapporto tra l’uso del mezzo privato e l’uso dei mezzi pubblici, disincentivando il primo “… si tratta di adottare misure capaci di razionalizzare l’uso dell’auto, senza penalizzare eccessivamente l’utilizzo per gli spostamenti privi di alternative ragionevolmente efficiente…” , e potenziando il servizio pubblico; aumentare le aree pedonali e le piste ciclabili in sede propria, riordinando anche gli spazi pubblici; potenziare ed aumentare il servizio di parcheggi scambiatori nella cintura urbana esterna al centro storico; prevedere un potenziamento dei trasporti ferroviari con caratteristiche di tipo metropolitano; studiare proposte più economicamente sostenibili per l’assetto delle infrastrutture stradali di circonvallazione. 87 Capitolo quattro Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici 88 Il territorio così come noi lo fotografiamo non è mai qualcosa di statico, ma un’entità che muta in continuazione, e questa mutevolezza è tanto più rapida quanto più l’insieme di luoghi ha una bassa capacità inerziale di opporsi a tale cambiamento. Così il territorio osservato, posto tra due aree urbane molto estese, attraversato da un notevole fascio di infrastrutture ed avente caratteristiche geomorfologiche discretamente favorevoli all’edificazione, è oggetto di un notevole processo di trasformazione, reso molto più rapido dalla necessità di incrementare le infrastrutture esistenti, settore intorno al quale storicamente girano molti interessi economici. Ci è sembrato perciò di fondamentale importanza andare a evidenziare gli interventi che trasformeranno il territorio nei prossimi dieci anni partendo da quelli più pesanti, che porteranno conseguenze anche nei sistemi ambientali, per poi osservare le prospettive con le quali le amministrazioni intendono affrontare alcuni aspetti della mobilità. 4.1 - VOCAZIONI TERRITORIALI: AREE PRODUTTIVE E AREE VERDI 4.1.1 - La potenzialità della piattaforma logistica costiera di Livorno Nell’ ambito della Programmazione di Sviluppo Regionale 2006/2010, il masterplan “La rete dei porti toscani” ha l’obbiettivo di pianificare l’organizzazione della piattaforma logistica costiera, promuovendo un assetto integrato delle infrastrutture del territorio toscano, per una maggiore interfaccia con le reti europee di trasporto. L’obbiettivo viene perseguito incentivando il trasporto ferroviario, il sistema portuale ed aeroportuale, le autostrade del mare, le vie navigabili interne e il trasporto marittimo a corto raggio; una strategia di particolare forza trainante nell’ambito più generale definito dal Piano Regionale della Mobilità e della Logistica, approvato con D.C.R. 63/2004. Lo sviluppo del settore logistico–commerciale dei porti in toscana è strettamente connesso alla realizzazione delle opere infrastrutturali di connessione con il “Corridoio Tirrenico” (autostrada Rosignano – Civitavecchia, terza corsia tratta nord, dorsale centrale e Grosseto – Fano ). Il masterplan “attribuisce alla rete dei porti toscani un ruolo centrale per l’organizzazione della mobilità delle merci e persone ed assume come obbiettivo strategico lo sviluppo della piattaforma logistica costiera come sistema economico multisettoriale, rete di realtà urbane attrattive, poli infrastrutturali con funzioni di apertura internazionale verso il mare e verso le grandi metropoli europee e fasci di collegamento plurimodali interconnessi.” 1 Sempre all’art. 3 “il masterplan assume come obbiettivo territoriale lo sviluppo delle infrastrutture e la tutela degli spazi necessari e funzionali alla realizzazione delle autostrade del mare e delle altre tipologie di traffico per accrescere la competitività del sistema portuale toscano”, da realizzare attraverso: • la costruzione di “una nuova darsena a Livorno come punto di riferimento della piattaforma logistica”; • la “realizzazione dei collegamenti ferroviari” per connettere il “porto di Livorno, interporto di Guasticce e il nodo di Pisa”; 1 MASTERPLAN, “La rete dei porti toscani”, documentazione reperita dal sito www.regione.toscana.it • il “potenziamento della direttrice tirrenica” con il “completamento a tipologia autostradale la Rosignano – Civitavecchia.” Il porto di Livorno è uno snodo di valenza internazionale: l’ampliamento, con la realizzazione della Piattaforma Europa, vuole rafforzare questa vocazione, attrezzando lo struttura per accogliere il forte incremento di traffici previsto per i prossimi anni nel Mediterraneo ed i nuovi vettori marini che sono entrati ed entreranno in attività. Di conseguenza può essere prevista una ricaduta economica positiva sul piano nazionale, regionale e sull’area metropolitana, dato che il porto di Livorno rappresenta un nodo rilevante della rete trasportistica nazionale, un’infrastruttura strategica per l’intera regione Toscana, sia per le merci che per i passeggeri (in particolare nel settore della crocieristica), ed infine una fonte importantissima per l’economia della città di Livorno. L’ampliamento e la riorganizzazione funzionale del porto, ma soprattutto l’integrazione della struttura logistica con lo sviluppo di infrastrutture come l’interporto, può rappresentare un’occasione di crescita economica e occupazionale molto importante per risollevare le questioni economiche dell’area metropolitana. In quest’ottica di investimento futuro, le infrastrutture territoriali nascenti che possiamo considerare facenti parte del “sistema porto” sono: • l’ampliamento del porto stesso, con la nuova “Darsena Europea”; • i due interporti di Faldo e di Guasticce; • il progetto di navigabilità dello Scolmatore. La Piattaforma Europa si svilupperà a nord del molo sottoflutto (Diga del Marzocco) - che chiude attualmente a nord il porto di Livorno, orientato secondo la direzione dei venti prevalenti (grecale e libeccio) e dei mari dominanti provenienti da libeccio - e ad ovest del limite occidentale del terrapieno che costituisce il terminale contenitori della Darsena Toscana. Questo progetto è stato studiato in modo da non creare problemi di corrente che andassero a modificare la linea di costa superiore. Siamo al 100% favorevoli a questo ampliamento del porto e delle sue adiacenze industriali, e speriamo che tale strategia riesca a risollevare dalla crisi economica che contraddistingue tutta la nostra penisola. L’Interporto di Guasticce è realizzato e gestito dalla società Interporto Toscano A. Vespucci S.p.A. costituita nel 1987. Ad oggi l’interporto è dotato di uno specifico terminal ferroviario servito da un raccordo che origina dalla stazione di Livorno-Calambrone e sfrutta parte del tracciato della vecchia Ferrovia Maremmana, ovvero quello Livorno-Stagno-Collesalvetti. La stazione di Livorno Calambrone è uno scalo esclusivamente riservato alle merci posto lungo la direttrice ferroviaria nazionale Genova-Pisa-Livorno-Roma ed è raccordata direttamente con il porto di Livorno. Si prevede che in futuro l’interporto verrà anche collegato con la tratta ferroviaria Pisa-Collesalvetti-Vada all’altezza di Vicarello. Il complesso interportuale si articola in tre aree funzionali: • un’area servizi, che mette a disposizione una serie di servizi fruibili da tutti (alberghi, autogrill, magazzini generali, officina riparazioni, parcheggi Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici videosorvegliati, sportello bancomat, stazione carburanti, uffici, ufficio doganale); • un’area logistica, alla quale possono accedere solo gli operatori ed in cui si svolgono le attività collegate al trasporto di merci relative ai settori auto, cellulosa e forestale, chimica, containers, ortofrutta e vini; • un Centro Direzionale, destinato agli uffici a supporto delle aziende che operano all’interno dell’interporto. 90 Il progetto di navigabilità dello Scolmatore è un’opera necessaria per permettere l’interscambio dal trasporto su chiatta, proveniente dal porto di Livorno, al trasporto su treno o su tir da effettuarsi nell’interporto di Guasticce o di Faldo. Lo Scolmatore ha una lunghezza complessiva di 28,3 Km e attraversa il territorio dei Comuni di Pontedera, Calcinaia, Cascina, Crespina (interessata solo marginalmente) e Pisa - nella Provincia di Pisa - ed i Comuni di Collesalvetti e Livorno nella Provincia di Livorno. Questo canale artificiale, oltre alle portate derivate in occasione di significativi eventi di piena del Fiume Arno, riceve i contributi di numerosi affluenti tra cui principalmente: il Canale Allacciante d’Usciana, il T. Zannone, il T. Crespina, il T. Isola, il T. Orcina, il T. Tora, la Fossa Nuova, la Fossa Chiara, il Canale Emissario di Bientina, il Canale Navigabile dei Navicelli. Il canale Scolmatore rappresenta un’opera fondamentale per la sicurezza idraulica dei territori posti a valle di Pontedera e, primo fra tutti, quello della città di Pisa, tuttavia la sua gestione è decisamente complicata: ad esempio uno dei problemi più gravi è legato ai fenomeni di continuo insabbiamento della foce, mai efficacemente contrastati. Larga parte del tracciato del canale è stata scavata in terreni palustri o alluvionali argilloso-torbosi con scadenti caratteristiche geotecniche; per questo motivo sono presenti situazioni critiche che ne possono compromettere la funzionalità, quali frane delle sponde e cedimenti differenziali degli argini in corrispondenza delle opere edili che, in genere, sono fondate su pali. Questo canale rappresenta una potenziale infrastruttura di collegamento navale tra l’area portuale di Livorno e tutto l’entroterra a vocazione industriale. L’11 gennaio 2007 è stato sottoscritto il nuovo Accordo di Programma per lo “sviluppo dell’area costiera Pisa-Livorno” tra la Regione Toscana, le Province di Pisa e Livorno, i Comuni di Pisa, Livorno e Collesalvetti, l’Ente Parco Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli, le Camere di Commercio di Livorno e Pisa, l’Autorità Portuale di Livorno e l’Autorità di Bacino del fiume Arno. L’accordo prevede una serie di interventi fra cui: interventi necessari a garantire la piena funzionalità di difesa idraulica dello Scolmatore e dell’Arno; messa in sicurezza idraulica del reticolo degli affluenti dello Scolmatore; interventi per la navigabilità dello Scolmatore dallo foce fino al Faldo; interventi per la difesa a mare dell’arenile di Calambrone; ed infine interventi per lo sbocco a mare del Canale dei Navicelli. L’Autorità di Bacino del Fiume Arno è stata individuata quale garante del coordinamento delle proposte elencate, mentre la Provincia di Pisa si è collocata come soggetto incaricato della progettazione preliminare. Per assicurare la navigabilità del canale si prevede: - la realizzazione di una vasca di evoluzione che consenta la manovra di accesso al canale di collegamento con la Darsena Toscana; - l’adeguamento del canale navigabile centrale, nell’attuale alveo dello Scolmatore, dalla Darsena Toscana all’Interporto A. Vespucci, e da questo all’autoparco Il Faldo; - opere puntuali di protezione in corrispondenza degli attraversamenti stradali o ferroviari; - banchine di accosto d’emergenza tra i ponti della ferrovia Pisa-Roma e dell’Aurelia; - un’opera di raccordo del canale navigabile in corrispondenza del Faldo; - la realizzazione delle darsene fluviali, ed eventuale adeguamento del canale di collegamento all’idrovia dal porto di Livorno. Le aree nel retroterra scelte per lo sviluppo del porto sono quelle già indivi- duate a nord ovest di via Firenze, dall’incrocio con via F. Filzi sino al confine con il Comune di Collesalvetti. Sono aree di fatto retro-portuali, non solo per la loro collocazione, ma anche perché utilizzate in buona parte per la sosta delle auto nuove, da attività produttive ed in particolare dalla raffinerie dell’ENI. Queste aree potranno godere di un notevole miglioramento dei collegamenti con il porto, ed in questo modo potranno essere utilizzate per sviluppare la logistica delle merci in arrivo o in partenza dal porto anche per l’adiacenza con lo scalo ferroviario del Calambrone. Possiamo perciò considerare il porto di Livorno, i due interporti, lo Scolmatore e le aree sulla riva sinistra lungo di esso come una grande fascia infrastrutturale. Questa grande fascia potrebbe diventare una forte barriera fisica per la penetrazione del territorio da Livorno a Pisa e viceversa. È necessaria un’ attenta pianificazione sopracomunale che, al fianco dei fini economici, si ponga altri obbiettivi, in modo da raggiungere un giusto equilibrio tra “territorio urbanizzato” e “territorio naturale”, in modo tale che l’uomo e l’ambiente possano convivere. Bisogna poi saper cogliere i vantaggi che questi nuovi interventi possono offrire: innanzitutto la nuova navigabilità dello Scolmatore e la costruzione di darsene e punti di attracco lungo il suo percorso possono essere pienamente usati non solo a scopo commerciale, ma anche come un nuovo sistema di mobilità lenta. Gli interventi puntuali per il consolidamento e adeguamento dei ponti che attraversano lo Scolmatore possono invece diventare l’occasione per affiancarvi attraversamenti ciclo-pedonali indipendenti, con un piccolo sforzo fisico-economico aggiuntivo. 4.1.2 - RIQUALIFICAZIONE E ESPANSIONE DELL’AREA CANTIERISTICA DI “PORTA A MARE” A PISA Il Canale dei Navicelli rappresenta un unicum che non ha pari nel panorama tirrenico, dato che è a ridosso di un’area industriale di antico insediamento e all’interno di un fitto reticolo composto dall’Aereoporto civile e militare, dalla SR1 Aurelia, dagli svincoli e i raccordi della SGC Firenze Pisa Livorno con l’autostrada A12, e distante poche centinaia di metri in linea d’aria dalla stazione centrale di Pisa e dai binari ferroviari che arrivano direttamente nell’area della darsena Pisana. Sono questi i motivi che stanno portando a vedere concretizzate le previsioni del Piano di Sviluppo adottato dal Comune di Pisa (Piano Attuativo approvato il 17 dicembre 2001 e variato il 27 febbraio 2003). La questione del recupero e dello sviluppo della darsena pisana e del canale dei Navicelli è iniziata nel 1982, quando, con una Legge Regionale, viene affidata all’amministrazione comunale la gestione del canale. Nello stesso anno nasce la Navicelli SpA, una società mista pubblico-privata con il compito specifico di promuovere lo sviluppo del canale e del porto pisano mediante la gestione dei terreni e dei fabbricati, la manutenzione del canale, la supervisione dei traffici e il sostegno alle attività imprenditoriali. Il Comune, la Provincia e la Camera di Commercio di Pisa insieme detengono il 70% della società. Negli anni Ottanta e Novanta fioriscono diverse imprese specializzate nella costruzione, manutenzione e rimessaggio di imbarcazioni. Oggi i Navicelli rappresentano una delle aree di sviluppo più importanti della città: un buon numero di imprese insediate nel Porto Pisano e lungo il canale, più di mille persone ogni giorno al lavoro, tecnologie logistiche e di produzioni d’avanguardia per imbarcazioni potenti e di lusso, un giro d’affari che ha superato i 160 milioni di euro. La vicinanza di scuole e laboratori di eccellenza ne fanno inoltre un centro strategico per la formazione specializzata in tutti i settori dell’economia, del turismo e della comunicazione marittima. Particolare attenzione è rivolta allo sviluppo compatibile e ecosostenibile dell’area produttiva. La Navicelli Spa ha pensato di realizzare un’Area Produttiva Ecologicamente Attrezzata (A.P.E.A.) nella quale verrà prodotta energia 91 Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici 92 derivante da fonti rinnovabili, oltre ad un notevole risparmio energetico derivante dall’ottimizzazione delle reti elettriche e di calore (SMART GRIDS). Soprattutto il valore aggiunto, la grande peculiarità della area produttiva dei Navicelli, è avere spazi affacciati su una via d’acqua e uno sbocco a mare. E’ infatti in via di completamento l’investimento forse più importante e strategico, ovvero i lavori per garantire la perfetta navigabilità dei circa 16 Km di canale con la completa parancolatura delle sponde, che proteggono meglio un fondale di profondità di 3-3,5 mt lungo tutto il percorso, ed il costante dragaggio curato dalla Navicelli spa, che ha la responsabilità gestionale dell’intera infrastruttura. Con la nuova sistemazione dell’attacco tra la foce del Navicelli, lo Scolmatore e il porto di Livorno, questo canale diverrà un importante collegamento tra il centro storico di Pisa, i suoi cantieri, la base americana di Camp Darby (che ha un suo proprio molo) ed il porto di Livorno. Le grandi opere di trasformazione che interessano quest’ampia fetta di terreno saranno accompagnate da altre realizzazioni volte a bilanciare ecologicamente il peso delle operazioni industriali attraverso l’istituzione di un parco attrezzato e di un’area rurale protetta; in particolare tra gli obbiettivi dell’amministrazione comunale e della Navicelli Spa c’è il potenziamento della pista ciclabile che collega Pisa a Calambrone correndo vicino al canale. È previsto inoltre, al fine di valorizzare e incrementare la potenzialità turistica, lo sviluppo del progetto riguardante il “battello navigabile”, rivolto sia alle visite didattico-scolastiche che alle escursioni prettamente turistiche per i passeggeri provenienti dalle navi da c r o c i e r a 4.1.3 - IL PARCO URBANO DI “PORTA A MARE” Al fianco di queste trasformazioni, il Comune di Pisa ha previsto la riqualificazione di tutta l’area agricola ricadente a sud del fiume Arno ed a est del canale del Navicelli, al fine di realizzare un parco urbano. Tale parco si può dividere in due sottozone. La prima, di 64 ha circa, rimane racchiusa tra l’abitato di via Livornese, il canale dei Navicelli e il tratto terminale della superstrada FI.PI.LI. Tale viabilità ha separato l’area in oggetto dal territorio agricolo che si espande verso sud tra la Vettola e il vecchio percorso del canale dei Navicelli. I principali connotati di questo territorio sono di tipo prevalentemente agricolo e non presentano aspetti naturali e paesaggistici di particolare pregio da salvaguardare. L’unico elemento di un qualche interesse è la zona paludosa – formata da un insieme di piccoli laghetti - che si è formata a seguito di una depressione nata con le cave per l’escavazione dell’argilla; questi piccoli specchi d’acqua sono divenuti nel tempo un luogo frequentato dagli appassionati della pesca sportiva. I segni principali presenti in questa parte del territorio sono alcuni percorsi poderali che seguono l’andamento originario dei campi e in particolare il tracciato della tramvia, oggi dismessa, che taglia in senso longitudinale, da est ad ovest, tutta l’area. Nella zona intorno alla vecchia stazione della linea tranviaria Pisa-TirreniaLivorno, e lungo la via Livornese, troviamo una serie di manufatti prevalentemente di tipo residenziale: tra questi si distinguono e sono da tutelare alcuni edifici rurali e la stessa vecchia stazione. La seconda zona è invece una fascia di territorio che si estende per circa 32 ha verso sud, tra il canale dei Navicelli e il vecchio fosso dei Navicelli, lambendo tutta la zona agricola della Vettola fino al confine con il Parco Naturale. Quest’area è totalmente priva di insediamenti e di manufatti; nella sua parte centrale, in prossimità del canale, conseguentemente agli interventi di manutenzione del canale stesso si sono formati dei laghetti artificiali dove è sorta una vegetazione spontanea tipica delle zone palustri. I caratteri identificativi del Parco Urbano di Porta a Mare saranno principalmente quelli di una zona a prevalenza agricola integrata da spazi e percorsi verdi aperti. Nell’ambito del sistema del verde urbano che il regolamento urbanistico intende realizzare, la previsione del Parco Urbano a Porta a Mare rappresenta uno degli elementi di maggiore interesse perché mira a conservare e a valorizzare i segni storici e naturali di un’area strettamente legata e definita dai principali corsi d’acqua, il fiume Arno e il canale dei Navicelli. La previsione inoltre consente di dotare la zona sud-ovest della città di spazi verdi di cui è carente e al contempo fa sì che il canale acquisisca anche una funzione legata alle attività del tempo libero. Fra gli obiettivi vi è anche il completamento della pista ciclabile (tratto Pisa – Litorale) lungo il tracciato della ex tramvia che attraversa tutta l’area, intervento che consentirà al parco urbano di essere collegato con la rete dei percorsi presenti su tutto il territorio comunale. Un approfondimento particolare poi dovrà essere rivolto allo studio delle potenzialità ambientali della zona dei laghetti lungo il canale dei Navicelli, per la creazione di un’oasi naturale per uccelli d’acqua e migratori, dotandola anche di opportuni punti di osservazione. 4.1.4 - L’AREA PRODUTTIVA DI OSPEDALETTO Quest’area a sud-est della città, in posizione strategica per la vicinanza all’area aeroportuale e ad importanti infrastrutture, nasce intorno agli anni ’70, secondo le linee programmatiche del primo PRG, come insediamento produttivo al fine di realizzare un’area attrezzata rispondente alla richiesta crescente di spazi industriali, e trova il suo massimo sviluppo soprattutto negli anni ‘80. Viene scelta una porzione di territorio essenzialmente agricolo dove inizialmente vengono rilasciate concessioni edilizie per lottizzazioni private su un’area di circa 40 ha, cosiddetta “area privata”. Al fine di evitare possibili speculazioni l’Amministrazione, tramite variante al PRG, decide l’ampliamento della zona lottizzata in un’area comunale di circa 72 ha posta al di là del raccordo al ponte alle Bocchette che collega Cisanello con la Statale Emilia. Attualmente l’area industriale di Ospedaletto - contiene piccole e medie industrie, attività artigianali e commerciali all’ingrosso - risulta pressoché satura, ed è caratterizzata da eterogenee tipologie produttive per forme e materiali legate alle dimensioni aziendali. L’insediamento è collegato tramite una maglia viaria molto regolare, priva di connotati che la rendano vivibile. La gestione carente dell’area concorre alla visione di un ambiente poco vivibile, non funzionale e ben poco inserito nel contesto ambientale, anche a causa della mancanza di servizi alle imprese. Tra gli obbiettivi principali che l’amministrazione si è posta, inseriti nel Regolamento Urbanistico, vi sono: l’inserimento dei servizi a carattere locale ad uso delle attività presenti; disinquinamento dell’area e depurazione delle acque reflue del depuratore di Oratoio; recupero delle volumetrie dismesse per il trasferimento delle aziende pubbliche presenti e per l’erogazione di servizi nell’ambito urbano; recupero dell’equilibrio ambientale, soprattutto legato all’idraulica superficiale compromessa che ha dato origine a fenomeni di ristagno. Il nuovo Piano Particolareggiato prevede un notevole ampliamento che andrà a saturare ancora di più questo territorio margine tra la città e la zona agricola. Riteniamo perciò fondamentale, per la nostra tesi, prendere atto di questa futura espansione della zona produttiva, chiedendoci da una parte come riqualificare gli spazi pubblici e il verde attrezzato che scarseggia, dall’altra come mettere in relazione questa zona con il territorio circostante in modo da non interpretare più quest’area attraverso gli antiquati canoni della zonizzazione. 4.2 STUDI E PROGETTI SULLA MOBILITA’ 4.2.1 - La valorizzazione dell’Aeroporto Galilei di Pisa Lo sviluppo delle infrastrutture per la mobilità integrata, all’interno del Piano Strutturale d’Area (delibera del Consiglio Comunale n.4 del 19/02/2010), indica tra gli obbiettivi prioritari la valorizzazione dell’Aeroporto Internazionale G. 93 Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici 94 Galilei, la cui straordinaria crescita pone la città di Pisa al centro di un network di collegamenti internazionali molto vasto, esaltando le potenzialità dell’area pisana soprattutto nei settori turistico-culturali, della formazione, della ricerca e dell’assistenza. La visione organica del nodo “stazione ferroviaria – stazione autobus – aeroporto”, ma con potenzialità estesa anche alla darsena pisana, ha rappresentato e rappresenta l’occasione per creare connessioni tra i diversi vettori di trasporto, al fine di garantire la massima intermodalità ed anche la possibilità di trasferire su ferro, o comunque su trasporto pubblico, una quota sempre crescente di utilizzatori della città metropolitana. Nell’ambito della riorganizzazione dell’area compresa tra la sede ferroviaria di Via Battisti - adiacente alla stazione centrale - e le Mura Storiche di via Pellico/ via Bixio (Progetto “Sesta Porta”), e della realizzazione della nuova stazione dei bus urbani ed extraurbani - integrata con la Stazione Ferroviaria e con il parcheggio scambiatore di via Aurelia attualmente in costruzione - si inserisce il progetto di un collegamento più veloce tra la stazione ferroviaria e l’Aeroporto Internazionale G. Galilei. L’azione n. 2.2.5 del Piano Strategico, “Il sistema della mobilità nella zona di Pisa Sud, legato allo sviluppo e alla crescita dell’Aeroporto”, consiste non solo nella riorganizzazione dell’intero sistema della viabilità nella zona limitrofa all’Aeroporto (comprendente l’ormai ultimato sovrappasso sull’Aurelia tra l’Aeroporto e la darsena pisana) e della mobilità con la realizzazione di una metropolitana leggera, ma anche nella riorganizzazione del sistema della sosta con la creazione di due parcheggi scambiatori: uno, sopra citato, in prossimità della St. Gobain e della via Aurelia, l’altro in via di Goletta. 4.2.2 - La nuova connessione aeroporto-stazione Le principali indicazioni contenute nel masterplan riguardo il terminale ferroviario individuano, accanto alla realizzazione di un nuovo sistema di connessione con navette automatizzate frequenti, la necessità di arretrare il punto di attestamento dei binari rispetto all’attuale posizione, per far spazio all’estensione graduale dell’aerostazione e all’ampliamento dei servizi ad essa collegati. In tale scenario, l’ipotesi di sostituzione della tradizionale linea ferroviaria è coerente con: - la necessità di migliorare l’accessibilità ferroviaria; dalla stazione di Pisa Centrale transitano treni a lunga percorrenza, con frequenze e destinazioni di interesse determinante per lo sviluppo del traffico aeroportuale; - l’opportunità di valorizzare la straordinaria vicinanza fra stazione ferroviaria e aeroporto realizzando, attraverso una più agevole connessione – assimilabile all’ascensore orizzontale – come accade in molti complessi aeroportuali, attraverso uno spazio senza soluzione di continuità fra diverse modalità di trasporto destinato ai passeggeri; - l’opportunità di sviluppare ulteriormente l’integrazione fra aeroporto, città e territorio, rendendo più accessibili, non solo ai passeggeri ma anche ai cittadini, gli spazi, i servizi e le attività commerciali dell’aeroporto senza l’impegno del mezzo privato, rispondendo anche alla necessità di migliorare strutturalmente i collegamenti e la qualità dei servizi. In sintesi, le ipotesi progettuali formulate nell’ambito del masterplan per lo sviluppo Aeroportuale, in coerenza con la pianificazione degli enti locali, consistono: - nella sostituzione del tradizionale sistema ferroviario con un sistema automatizzato di shuttle per 1,6 km, ad alta frequenza e possibilmente senza conducente (people mover), caratterizzato da elevato comfort di servizio (pianale accessibile allo stesso livello della banchina, vetture climatizzate), migliore visibilità e accessibilità sia in aeroporto che nella Stazione di Pisa Centrale; - nell’arretramento di circa 200 metri dell’attestamento del terminale ferroviario rispetto all’attuale posizione per far spazio all’estensione dell’aerostazione passeggeri e alla realizzazione di una piazza coperta, “city gate”, con servizi di accoglienza ai viaggiatori e visitatori e attività commerciali e ristorazione; - nella realizzazione, all’interno della stazione ferroviaria di Pisa Centrale, di un terminale identificabile come “gate aeroportuale”, facilmente riconoscibile anche da viaggiatori stranieri e dotato dei necessari servizi informativi e di assistenza; - nella realizzazione di una stazione intermedia connessa con i due parcheggi scambiatori di Pisa Sud, lato Via Aurelia a lato Via Di Goletta. - nella contestuale soluzione dei conflitti oggi esistenti con la viabilità locale. I people mover automatici (APM) non hanno autista, bensì sono guidati da un computer; si muovono su corsie riservate e protette; sono alimentati elettricamente dalla via di corsa; consentono una altissima precisione di marcia e di accostamento (doppie porte fisse e mobili). 4.2.3 - PARCHEGGIO SCAMBIATORE DI VIA DI GOLETTA Questo parcheggio sarà realizzato nell’area attualmente occupata dalla 46^ Aerobrigata e nell’area contigua, che si sviluppa verso sud fino all’incrocio tra Via di Goletta e la linea ferroviaria per Pisa Aeroporto. Questo sarà messo a servizio prevalentemente dell’utenza proveniente dalla strada di grande comunicazione Firenze-Pisa-Livorno. Assieme all’altro parcheggio scambiatore di Via Aurelia Sud, attualmente in fase di realizzazione, viene previsto un sistema integrato di parcheggi collegati mediante un sovrappasso ciclopedonale e connessi alla stazione intermedia della metropolitana leggera. La gestione dei due parcheggi scambiatori di Pisa Sud, lato Via Aurelia Sud e lato Via di Goletta, sarà affidata a PisaMo; la società ha stimato un numero di posti auto complessivi pari a circa 1.500. Questi interventi che contribuiscono a rafforzare e differenziare il sistema di trasporto pubblico diventano per noi di fondamentale importanza. La scelta di costruire parcheggi scambiatori macchina-mezzo pubblico, se integrati da una rete adeguata di percorsi pedo-ciclabili, rappresenteranno un’ottima occasione per attivare procedure di conversione della mobilità. 4.2.4 - IL NUOVO SISTEMA DELLA MOBILITÀ COSTIERA Il trasporto pubblico può svolgere un ruolo importante nel processo di riordino della mobilità del litorale e in particolare nell’assorbimento di quote significative di domanda nei periodi di punta, in cui si registrano le maggiori criticità. Sono però necessari, per il perseguimento di tali obbiettivi, adeguati interventi di ristrutturazione che consentano di elevare il livello di servizio offerto dal trasporto pubblico e renderlo più concorrenziale rispetto al mezzo privato. Molto interessanti risultano a tal proposito le ricerche e le proposte contenute all’interno del Piano Urbano della Mobilità del Litorale Pisano del Comune di Pisa; questo documento contiene due proposte di progetto: il ripristino del servizio tranviario Pisa-Litorale-Livorno o in alternativa la realizzazione di un autolinea filoviaria Pisa-Litorale. Per ogni ipotesi progettuale sono state evidenziate anche alcune ulteriori possibili opzioni complementari. Per quanto riguarda la proposta di ripristinare la linea tranviaria, esiste da tempo un dibattito tra diversi soggetti (Comune, Enti, Associazioni di categoria, Associazioni ambientalistiche, ecc.) sulle opportunità di questa soluzione che, anche se con diversi livelli di attenzione ed esplicitazione mutevoli nel tempo, tiene comunque sempre viva la discussione. Una prima precisazione da fare relativamente al progetto riguarda la sua limitazione alla tratta Pisa-Marina-Tirrenia-Calambrone. La restante tratta Calambrone-Livorno non è stata valutata in quanto richiede evidenti ed estremamente onerosi interventi strutturali che, al di là delle ingenti risorse economiche necessarie, implicano rilevanti vincoli territoriali che dovranno, anche in sede di semplice progettazione di fattibilità, essere almeno verificati e condivisi da parte dell’Amministrazione comunale con gli altri soggetti territorialmente competenti (Comune di Livorno, Provincia di Livorno, ecc.). Una seconda importante considerazione riguarda la caratteristica della linea a binario unico che, nell’ipotesi di un suo ripristino, richiederà inevitabilmente il raddoppio di quasi l’intero tracciato con l’esclusione della sola tratta di penetrazione urbana nella città di Pisa. 95 Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici L’esigenza del raddoppio della linea deriva dalla necessità di garantire un’adeguata flessibilità per l’esercizio, che dovrà avere frequenze elevate (10÷15 min.) almeno nei periodi di punta della domanda. 96 La realizzazione di una linea filoviaria può avere rispetto al tram un minore livello di difficoltà, in particolare per quanto riguarda la tratta di penetrazione urbana a Pisa: infatti è possibile ipotizzare per questa soluzione un percorso almeno parzialmente in sede promiscua con il traffico veicolare ordinario. Tale scelta determinerà però una riduzione della velocità commerciale rispetto al tram non essendo il percorso in sede riservata e quindi condizionato dai diversi rallentamenti e/o code del traffico urbano. La tratta urbana di Pisa può pertanto essere risolta seguendo sostanzialmente l’attuale percorso dell’autolinea da/per il Litorale fino all’altezza della v. Aurelia (intersezione con v. Livornese); successivamente il tracciato prosegue lungo v. Livornese e attraversa con un nuovo ponte il canale dei Navicelli per continuare definitivamente fino a Marina sul tracciato storico della tramvia. Lungo v. Livornese, per non ridurre la piattaforma stradale è possibile utilizzare una fascia dell’attuale area di parcheggio; tale intervento è possibile a differenza dell’opzione tram, in quanto il minore peso del filobus e dell’armamento non creano problemi di portata per l’utilizzo dell’area di parcheggio che è ricavata dalla semplice copertura di un tratto del canale. Da Marina verso Calambrone il tracciato segue il viale lungomare in sede promiscua con il traffico veicolare ordinario; in questa tratta si potranno quindi registrare le principali interferenze con il traffico urbano, ma il percorso risulta però più baricentrico rispetto ai punti di maggiore attrazione/generazione di domanda dell’opzione tram. Il limite strutturale del binario unico evidenziato per il tram, che non può permettere l’esercizio di un elevato numero di corse nel giorno tipo, può nel caso del filobus essere più facilmente risolto, non richiedendo uno specifico armamento a terra, con la realizzazione di una doppia corsia di scorrimento sulla tratta Pisa-Marina. Le caratteristiche funzionali e prestazionali del filobus non si discostano molto dal tram: quest’ultimo ha essenzialmente rispetto al primo una più elevata capacità di trasporto e può quindi garantire una maggiore offerta di posti a parità di numero di corse effettuate. Sotto questo profilo sono comunque da verificare anche le esperienze già in atto a livello europeo che vedono l’impiego di filobus lunghi fino a 36 m e che sono quindi del tutto assimilabili, soprattutto se interamente in sede protetta, ad un tram su “gomma”. A differenza del tram il filobus, essendo più piccolo (lunghezza prevista 18 m) e più leggero, offre una maggiore flessibilità per la realizzazione degli impianti fissi di rete (linea aerea senza armamento a terra) e per risolvere più in generale le interferenze con la rete viaria e il traffico veicolare (intersezioni, corsia riservata, ecc.). Il livello di comfort delle due modalità di trasporto pubblico è similare e dipende soprattutto dalla qualità del tipo di materiale impiegato, anche sotto il profilo ambientale (rumore, polveri, ecc.) non sono apprezzabili variazioni significative. Un’ulteriore proposta di intervento, che può considerarsi una “opzione semplificata” della filovia, è la realizzazione di una semplice busvia, che preveda l’impiego di bus alimentati a metano per mantenere comunque un elevato standard anche sotto il profilo ambientale. Questa soluzione, oltre a non richiedere specifici impianti per l’alimentazione in rete del materiale rotabile, permetterebbe inoltre di utilizzare veicoli che possono essere anche impiegati in altre linee urbane e/o suburbane. 4.2.5 - FUNZIONI INTEGRATE TRA SISTEMA AMBIENTALE E SISTEMA DELLA M O B I L I TÀ Lo sviluppo di sistemi di trasporto alternativi - o comunque di minore impatto ambientale rispetto all’auto privata - è senz’altro una scelta strategica indispensabile per il litorale, al fine di garantire una piena valorizzazione e un migliore e più elevato livello di accessibilità. Le principali opzioni coerenti con tale scelta sono la realizzazione di un efficace sistema di trasporto pubblico e lo sviluppo di una rete ciclabile integrata con le altre modalità di trasporto. La ricerca di modalità di trasporto alternative è altresì un’occasione importante per rendere maggiormente percepibili al cittadino-visitatore le peculiarità e il valore ambientale del litorale sia per quanto concerne le aree urbanizzate sia per le componenti ambientali (mare, spiagge, pinete, bosco, campagna); è ovvio che, a fronte di tali obbiettivi, gli standard qualitativi di offerta dovranno essere molto elevati per rendere tali modalità appetibili e concorrenziali rispetto all’auto; in questo contesto rientrano anche la definizione di zone/ percorsi pedonali atti a recuperare e rendere più fruibili spazi urbani e/o di territorio aperto. Il sistema della mobilità può essere dunque non solo un’organizzazione strutturale che renda accessibili i luoghi, ma può divenire anche un modo di vivere e percepire in modo più articolato l’ambiente circostante contribuendo ad una esaltazione dei suoi valori. Per il litorale, gli interventi da realizzare possono essere diversi, sotto questo profilo. Uno degli interventi più urgenti è sicuramente la pedonalizzazione dei viali lungomare; a Marina di Pisa il viale può essere interamente pedonalizzato e riqualificato, comprendendo le piazze adiacenti per creare una lunga passeggiata che partendo dal porto turistico raggiunge a sud le zone degli stabilimenti balneari. Questo asse potrà essere anche di supporto per valorizzare con elementi strutturali la fruibilità della scogliera e delle spiagge di ghiaia. A Tirrenia, attualmente, la destinazione a parcheggio di P.za Belvedere e P.za dei Fiori penalizza pesantemente la fruibilità dello spazio urbano: l’avvio progressivo di una pedonalizzazione di questa vasta area può permettere una sostanziale riqualificazione, mentre la sosta potrà trovare più appropriate soluzioni utilizzando aree limitrofe e/o in struttura. Un altro intervento di notevole importanza è rappresentato dalla riqualificazione e dal potenziamento degli spazi verdi attrezzati. Attualmente mancano, lungo il litorale, aree attrezzate per la fruizione pedonale e ciclabile. Prendendo ad esempio gli interventi realizzati in altre località balneari e/o turistiche toscane (Viareggio, Follonica, Castiglione della Pescaia, ecc.), è possibile prevedere anche in questo caso il recupero di alcune aree in prossimità degli stabilimenti balneari e delle zone urbanizzate. Osservando la struttura urbana delle città lungo la costa possono essere riconosciute tre entità distinte - il mare, l’edificato, la pineta - scarsamente interagenti tra loro. L’edificato non sviluppa appieno le sue potenzialità relazionali con i contesti limitrofi ed al suo interno; il livello di fruizione della pineta è estremamente basso, poichè non viene affatto percepita come facente parte di un sistema parco; inoltre, dopo l’erosione delle spiagge di Marina, si è verificata una progressiva rarefazione nella fruizione della risorsa mare, e ad oggi le possibilità di balneazione sono limitate e difficoltose. Il sistema urbano è basato su un impianto unitario a griglia con tre piazze principali sul lungomare; molti degli interventi recenti, anche per carenze specifiche di indirizzo urbanistico, hanno contraddetto le modalità insediative originarie, interrompendo la griglia della viabilità e costruendo in modo libero all’interno dei “lotti edificabili”, con tipologie tipiche delle periferie indifferenziate. Le attività non residenziali risultano concentrate principalmente sul lungomare dove comunque appaiono più forti le relazioni longitudinali rispetto a quelle trasversali; in questo contesto le tre piazze risultano più come interruzioni del lungomare, non riuscendo a costituirsi quali elementi di centralità urbana: ciò deriva sia dalla scarsità di funzioni capaci di attrarre-aggregare, sia per il disegno e le caratteristiche delle piazze stesse. La modifica della viabilità attraverso la pedonalizzazione del lungomare appare un primo passo verso la modifica strategica della struttura relazionale attuale. Si ritiene che uno degli obiettivi primari da perseguire sia costituito da una sempre maggiore ed efficace interazione fra i tre sistemi in parallelo sopra individuati (mare, edificato, pineta/parco). Con la pedonalizzazione del lungomare appare opportuno destinare le due strade più interne (v. Ordine di S.Stefano, v. Milazzo) al ruolo di viabilità di attraversamento e mantenere la strada più adiacente al lungomare (v. Moriconi) e le strade trasversali per una funzionalità locale. 97 Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici 98 Le tre piazze principali di Marina di Pisa hanno ciascuna caratteristiche specifiche, ma sono tutte prive del ruolo-immagine e di elementi di aggregazione primaria che normalmente caratterizzano le piazze urbane. Oltre a nuove funzioni primarie e di polarità urbana, risulta indispensabile il superamento delle caratteristiche attuali delle piazze costituite da spazi non utilizzabili (le aiuole) o poco frequentati (i vialetti asfaltati). Questi spazi pubblici necessitano di un profondo ripensamento di ruolo per favorire occasioni di aggregazione e di incontro, attraverso la creazione di spazi ampiamente fruibili che interpretino correttamente - per materiali, disegno ed immagine - il ruolo di polarità urbana loro assegnato. A titolo esemplificativo facciamo riferimento alla piazza centrale (Piazza Gorgona), la meno condizionata per forma e direttrici viarie. Viene proposta un’ampia area pavimentata (in legno, pietra,...) di forma rettangolare, integrata da superfici a prato con essenze arboree sequenziali, a individuare sottospazi più minuti. Vi è inoltre l’attestazione della strada-parco sulla direttrice mediana mare/pineta, che sul lungomare si manifesta per la presenza di due essenze arboree significative (una coppia di palme). Un gazebo, una fontana, dei punti significativi per installazioni artistiche ne completano l’immagine: una terrazza sul mare con un affaccio sul parco. Un ruolo particolare, funzionale e d’immagine, deve essere assegnato al sistema di illuminazione, viste le ampie possibilità di utilizzo serale specie nella stagione estiva. 4.2.6 - VIALI-PARCO (LE RAMBLAS VERDI) Il potenziamento del sistema relazionale fra le tre entità principali può trarre giovamento dal diverso ruolo che potrebbero assumere le viabilità mediane delle piazze principali, trasformate in strade-parco, collegamenti pedonali privilegiati tra le piazze ed il parco (la pineta). Alcuni elementi di riflessione progettuale da finalizzare alla percezione delle strade-parco: – potenziamento delle alberature (esistenti o di nuovo impianto); – limitazione dell’accessibilità veicolare, riservata ai soli residenti con limiti di velocità molto bassi (zona “30”); – carattere strettamente pedonale delle strade-parco attraverso aree lineari a prato con percorsi pedonali integrati nel verde; – nuove funzioni commerciali e pubbliche su tali direttrici, al fine di rafforzarne ruolo e immagine. L’obbiettivo primario che si prefiggono le proposte successivamente descritte è la realizzazione di una rete ciclabile interconnessa in grado di offrire sotto il profilo prestazionale un elevato livello di accessibilità ai poli e/o alle aree di maggiore attrazione della domanda e di pregio ambientale e paesaggistico. L’attuale mancanza di una rete strutturata che con un adeguato grado di sicurezza permetta e incentivi l’uso della bici costituisce una marcata carenza funzionale del sistema della mobilità. Questa modalità di trasporto a basso impatto ambientale è infatti, se opportunamente organizzata, un’efficace alternativa all’auto viste anche le particolarmente favorevoli condizioni ambientali e climatiche del litorale. La flessibilità di impiego della bici può inoltre permettere un elevato livello di integrazione e combinazione con le altre modalità di trasporto (auto e/o trasporto pubblico), strutturando opportunamente dei nodi di interscambio (sosta auto + trasporto pubblico + noleggio bici) e/o attrezzando il trasporto pubblico per il trasporto al seguito della bici stessa; soluzioni di questo tipo sono del resto già state diffusamente attuate in numerose altre realtà nazionali ed europee. La rete ciclabile proposta intende offrire non solo un’alternativa modale di trasporto a basso impatto ambientale, ma essere un modo per visitare il territorio e percepire in particolare gli aspetti più naturalistici del paesaggio che la guida certamente più dinamica e veloce del veicolo a motore di fatto impedisce, per le oggettive ed estremamente diverse condizioni di guida e sicurezza della circolazione. La scelta strategica di realizzare un sistema ciclabile non può prescindere dalla definizione di un progetto organico di rete per evitare di incorrere in soluzioni frammentarie o episodiche prive di “effetto ragnatela” con le altre componen- ti del sistema della mobilità. Le proposte avanzate intendono a questo scopo fornire uno schema primario su cui, se condiviso, potranno successivamente attestarsi anche i sottosistemi ciclabili locali per completare in modo più capillare il livello di accessibilità ai diversi comparti urbani. D’altra parte qualunque soluzione locale, se priva di una connessione con una rete ciclabile primaria, può soddisfare limitate esigenze puntuali ma difficilmente potrà offrire una risposta efficace rispetto al fabbisogno più generale della domanda e conseguentemente all’incentivo per l’uso di questo mezzo di trasporto. Le soluzioni strutturali per offrire in sede protetta un elevato livello di accessibilità al territorio richiedono un’adesione convinta a queste opzioni di pianificazione del sistema della mobilità anche sotto il profilo economico. Se infatti in termini costi/benefici risulta scontato l’effetto (beneficio) ambientale estremamente positivo, occorre comunque ricordare come queste soluzioni strutturali abbiano comunque un costo significativo, per quanto estremamente inferiore ad altre strutture (come ad esempio una strada carrabile). Per l’itinerario Pisa-Calambrone, successivamente descritto, è stata condotta a titolo esemplificativo una specifica valutazione di massima dei costi di realizzazione nell’ipotesi di riutilizzo del tracciato della ex linea tramviaria: i costi complessivi stimati sono di oltre 5 mil/€. È evidente pertanto che la realizzazione di una funzionale rete ciclabile implica consistenti interventi, che solo se pianificati all’interno di un sistema di reti per la mobilità potranno trovare una giustificazione economica e soprattutto un’ottimizzazione degli effetti prestazionali. 4.3 4.3.1 - Il NUOVI RICETTORI porto turistico di Marina TURISTICI di Pisa L’intervento di trasformazione del complesso industriale della ex Motofides, dismesso dal 1988, ed alcune aree limitrofe delimitate dalla foce dell’Arno, dal Mar Tirreno e dal centro abitato di Marina di Pisa, interessa complessivamente una superficie di 206.700 mq. Dal punto di vista amministrativo l’area di intervento ricade per la maggior porzione nell’ambito del Parco Regionale di San Rossore – Migliarino – Massaciuccoli e per la restante parte nell’ambito del Comune di Pisa. Dopo un lungo periodo di dibattiti è stata decisa la realizzazione di un porto turistico. Il progetto affidato allo studio Gabetti & Isola prevede la demolizione degli edifici presenti e l’apertura di un bacino che dovrà accogliere il porto. Secondo i progettisti: “…I percorsi, le piazze sono disegnati per favorire l’incontro delle persone, degli elementi naturali ed artificiali ma soprattutto per minimizzare l’uso delle automobili o ridurne quanto più possibile la visibilità. Percorsi nuovi ma anche percorsi storici, recuperati a lambire emergenze architettoniche segnalate. Sentieri che diventano passeggiata, viali, piazza commerciale, molo, banchina.” L’area d’intervento viene concepita come un luogo in cui poter passeggiare in tranquillità senza la presenza di autoveicoli. I parcheggi pubblici, ma anche quelli di standard portuale, si sviluppano infatti lungo il perimetro esterno dell’area (lungo l’asse della nuova viabilità e lungo l’area delle banchine), che diviene una “cintura” drenante, una linea di parcheggi perimetrali che permette di evitare l’ingresso delle autovetture lungo le banchine e sul lungomare. In sintesi riportiamo quelli che sono gli obbiettivi fondamentali: - la riqualificazione ambientale della Foce d’Arno e il suo recupero funzionale; - la realizzazione di un intervento integrato con un mix di funzioni tra loro compatibili: residenze, attività ricettive, commerciali e di servizio con caratteri di complementarietà rispetto all’infrastruttura portuale turistica, la cui ubicazione è prevista nelle aree interne al Parco, in conformità al Piano Regionale dei porti e approdi turistici; il porto è dimensionato su 475 posti barca; - il corretto inserimento dell’intervento nel tessuto urbano di Marina di Pisa dal punto di vista infrastrutturale, morfologico, funzionale e architettonico, con la conservazione dei principali assi direttori della struttura urbana; - la permeabilità pubblica dell’intero insediamento mediante la sistemazione delle aree scoperte secondo un progetto coordinato di verde e arredo urbano, con la sistemazione di aree attrezzate e la creazione di una rete 99 Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici 100 diffusa di spazi pedonali di pubblica fruizione; - il restauro e la ristrutturazione funzionale dei tre edifici storici (ex Dogana, Villa Romboli e casa Ceccherini) di cui è previsto il mantenimento con un intervento finalizzato alla loro valorizzazione e a riportarli alla condizione originaria di edifici isolati immersi nel verde; - il mantenimento dell’asse di Via Maiorca, che modifica la sua sezione in funzione della sua pedonalizzazione; via Maiorca diventa, infatti, una “promenade paysage”, il punto di congiunzione tra la città ed il porto; - il mantenimento e la valorizzazione del tracciato pedonale di Via della Foce; - la conservazione del sedime e del tracciato della ex ferrovia; - il ripristino della continuità pedonale del lungomare attraverso la realizzazione di una passeggiata a quote variabili (quota banchina e quota +4,00 m) lungo la riva sinistra dell’Arno; - la riqualificazione del Viale D’Annunzio; - la previsione di un’area pubblica attrezzata da adibire allo svolgimento delle attività connesse alla vendita del pesce; in continuità con tale area sarà possibile realizzare una zona per l’attracco di pescherecci e piccoli traghetti e pensiline ad uso Stazione Marittima; - la possibilità di utilizzazione di spazi pubblici pavimentati per manifestazioni ed attività di svago e tempo libero; - il recupero del rifugio antiaereo esistente in prossimità della foce dell’Arno, da effettuarsi anche tramite il suo riposizionamento in un’area che verrà individuata nelle successive fasi della progettazione, in accordo con la Sovrintendenza. - la previsione di un’area, in prossimità del tracciato dell’ex tramvia, da destinarsi a futura stazione del tram o metropolitana leggera; - la realizzazione di una pista ciclabile di attraversamento delle aree pubbliche all’interno dell’intervento. La realizzazione del nuovo porto secondo noi potrà essere valorizzata, alleg- gerendo il suo impatto ambientale, se l’intervento diventerà l’occasione per costruire una nuova porta e al tempo stesso una nuova centralità per Marina di Pisa. Esso potrebbe nel futuro diventare punto di attracco per chi sceglie la mobilità via acqua e da lì punto di partenza verso l’interno sfruttando il previsto allaccio alla rete dei trasporti pubblici (tram, filobus, autobus…) e a quella delle piste ciclabili. 4.3.2 - RICONVERSIONE A PORTO TURISTICO DELLE BANCHINE DEI CANTIERI ORLANDO A LIVORNO Il progetto Porta a Mare-Porto Turistico è una grande operazione che prevede la suddivisione delle aree circostanti lo storico cantiere navale “Luigi Orlando”, oggi cantieri Azimut Benetti, fra le destinazioni ad attività industriali (già esistenti e riconvertite nel 2004 da Azimut Benetti dalla tradizionale cantieristica navale alla produzione di grandi yacht ), trasformazione urbana e sviluppo turistico. Un’operazione che modificherà sensibilmente un’ampia porzione della città, dotandola, fra l’altro, di un porto turistico da 600-700 posti barca nello storico porto Mediceo. Ormai in fase di decollo, il progetto Porta a Mare muoverà 250 milioni di Euro (50 milioni solo in opere di urbanizzazione fra terra e mare) e, senza contraddire la vocazione industriale e portuale di Livorno, darà alla città nuove opportunità di sviluppo. Il progetto Porta a Mare è oggi affidato a due soggetti: Azimut Benetti, società leader nella costruzione dei grandi yacht, per la parte industriale e ad una società mista pubblico-privata, costituita dal Comune di Livorno e da Azimut per la realizzazione del porto turistico e di altri volumi edilizi a funzione commerciale, terziaria e residenziale. La riqualificazione dell’area è legata alla costruzione di un centro di servizi di assistenza alla diportistica, in particolare per la riparazione e trasformazione dei grandi yacht; un attrezzato porto turistico all’interno della Darsena Nuova e del Molo Mediceo idoneo ad ospitare 6-700 imbarcazioni medio grandi; negozi specializzati per la nautica; un albergo a cinque stelle con ristorante, bar e centro congressi; un complesso residenziale e parcheggi per oltre 70.000 metri quadri. Il nuovo quartiere non sarà però una piccola “Montecarlo” isolata e contrapposta al resto della città, ma una sorta di estensione a mare di Livorno, sulla quale avrà delle ricadute enormi sia in termini “urbanistici” che in termini economici e occupazionali. La Porta a Mare sarà bene integrata nel tessuto urbano e ne costituirà elemento di valorizzazione, come è avvenuto a Genova e a Barcellona, dove il “waterfront” è stato ben collegato al centro della città. Anche questo porto turistico, come quello di Marina di Pisa, oltre a costituire una importante centralità può diventare una nuova porta d’accesso a Livorno. Il giro di affari che andranno a smuovere questi interventi potrà essere parzialmente indirizzato per rivedere anche tutto il sistema di accesso alla città e al territorio interno a partire da questi nuovi attracchi per natanti. 4.4 - IL TERRITORIO PERCEPITO E PERCORSO ATTRAVERSO LA NOSTRA ESPERIENZA 4.4.1 - La preparazione del bagaglio culturale da portare nel nostro viaggio Finita l’esperienza del corso di Laboratorio di Sintesi, e successivamente alla partecipazione al concorso Urbanpromo, con il progetto costruito nei mesi del laboratorio è stata organizzata una conferenza presso l’Ente Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli, dove abbiamo incontrato anche associazioni e cittadini interessati. In quella occasione ci siamo accorti che la definizione di alcuni problemi era legata indissolubilmente alla percezione che i cittadini avevano del territorio, e che noi avevamo, nell’occasione della nostra proposta, solo ipotizzato essere di un certo tipo: la nostra ipotesi si basava sul fatto che la percezione del territorio, avvenendo lungo le strade di grande scorrimento, era ridotta, e questo determinava una scarsa coscienza nei soggetti dei valori del territorio attraversato. All’indomani della conferenza ci siamo sentiti arricchiti delle esperienze che avevamo acquisito attraverso il dialogo con i cittadini, ma al contempo erano cresciuti i dubbi sulla validità di quello che avevamo ipotizzato: come potevamo noi sapere quale fosse la percezione del territorio senza essere cresciuti in esso, senza essere partecipi delle sue dinamiche, avendolo visto solo attraverso delle fugaci visite? La questione era più grave di quanto avevamo ipotizzato, poteva cioè mettere in serio dubbio la formulazione delle nostre ipotesi, così abbiamo deciso, nel riprendere in mano il lavoro ed estenderlo sino a farne una tesi, di iniziare dalla verifica, dal sopralluogo diretto, dall’esperienza del viaggio all’interno del territorio attraverso il nostro passo o la nostra pedalata. L’esperienza di questi viaggi compiuti tra l’inizio di Settembre e la fine di Ottobre del 2010, è di seguito riportata in forma di brevi appunti di viaggio. Se l’osservazione e la fruizione del territorio sono avvenuti con spontaneità e libertà, senza calcolare molto i tempi e la fatica, la nostra preparazione al sopralluogo è stata invece molto razionale: abbiamo deciso di selezionare, sulla base dei percorsi che avevamo previsto di riqualificare nel progetto, una serie di itinerari. Ogni itinerario si svolgeva lungo delle porzioni di territorio ben definite e di cui volevamo individuare l’effettiva fruibilità, gli elementi di potenzialità e di criticità del territorio e la verifica di alcune nostre ipotesi a riguardo. Inoltre per definire gli elementi percepiti attraverso una chiave di lettura più o meno oggettiva, più o meno condivisibile, abbiamo deciso di applicare una trasposizione dei principi di analisi della percezione visiva del paesaggio ai nostri percorsi. Per farlo ci siamo appoggiati alla ricerca affrontata da Kevin Lynch e descritta nel libro “The view from the road” pubblicato dal Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Cambridge nel 1964. Lynch determinò un metodo che consentiva di rappresentare l’esperienza del muoversi lungo un percorso, immaginandolo come un racconto visivo. Gli oggetti urbani e naturali individuati lungo il percorso vengono analizzati, valutati 101 Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici 102 e disposti linearmente in modo tale da costituire una sequenza cinematografica. La strada fornisce la linea, il percorso e le modalità di movimento, i ritmi e le pause del racconto. Il racconto non ha né un inizio né una fine in quanto il viaggiatore può penetrare o uscire da esso in qualsiasi punto e vivere i vari oggetti che incontra come mete intermedie, obiettivi da raggiungere, intorno i quali girare, e conseguentemente da superare. Attraverso la lettura di Lynch abbiamo costruito una gamma di elementi che possono descrivere le sensazioni visive legate alla nostra esperienza di viaggio. Di seguito riportiamo un elenco sintetico con alcuni di questi fattori: Quinta visiva: si intende l’oggetto, o gli oggetti, che definiscono uno sfondo, una “scena”. Può essere costituita da alberature o da un sistema collinare o montuoso. Questi elementi permettono, attraverso la loro continuità, una più semplice individuazione degli elementi di riferimento del paesaggio. Nodo: Sono punti dai quali e verso i quali ci si muove. Possono essere piazze o incroci importanti, congiunzioni, luoghi di intersezione nei trasporti, attraversamenti, punti di convergenza di più percorsi, luoghi caratterizzati dalla concentrazione di usi e funzioni. Barriera naturale o artificiale: è un elemento lineare che ostacola il movimento dell’osservatore. Rappresenta un confine, una barriera più o meno penetrabile, un’interruzione di continuità. Possono costituire barriere fiumi, linee di costa, margini di sviluppo edilizio, mura. Riferimento : sono i cosiddetti landmark, ovvero quegli oggetti che emergono fisicamente dal paesaggio (in genere architetture complesse o verticali), che conferiscono identità al luogo. Questi elementi posseggono una capacità evocativa, attraverso la quale gli osservatori possono riconoscere e strutturare visivamente il luogo, orientandosi nello spazio. Livello di visibilità: Con questo elemento si intende rappresentare la profondi- tà di campo, ovvero la possibilità di penetrare con lo sguardo nel territorio. Possiamo variare da una visibilità alta, coincidente con un campo visivo aperto, ad una visibilità media, corrispondente ad una diversa gradazione di occlusione del campo visivo, fino ad una visibilità bassa, corrispondente ad un campo visivo molto limitato. Oltre alla rappresentazione delle sensazioni visive abbiamo anche classificato le tipologie di percorsi suddividendoli rispetto al grado di difficoltà di percorrenza stabilita sulla base di più parametri: tipo di manto stradale, ombreggiatura, possibilità di fermarsi, possibilità di accedere a fonti di acqua potabile, ecc.; stessa cosa per quanto riguarda le interruzioni puntuali che possono andare dall’incrocio stradale difficoltoso da attraversare fino all’ interruzione del percorso a causa della presenza di altre infrastrutture come ferrovie autostrade o canali. Prima di descrivere i percorsi dobbiamo fare alcune premesse. Attraverso i nostri viaggi e la nostra analisi abbiamo voluto assegnare un nuovo significato alla strada: non solo il luogo del circolare ma, attraverso il “passo lento”, anche il supporto all’esperienza che un viaggiatore può provare attraversando il territorio, con il territorio. Tutto questo per verificare che lo Slow Foot non sia nella sua formulazione teorica e pratica solo un’ipotesi astratta, ma effettivamente praticabile anche oggi. Attraverso la nostra esperienza abbiamo anche dimostrato che vivere e percepire il territorio in un altro modo è possibile. Questo però implica una volontà di cambiamento, una necessità di conoscenza ed una consapevolezza che le cose possono cambiare anche attraverso le piccole azioni che ognuno di noi può compiere giornalmente. Così la nostra tesi trova senso anche nell’essere un modesto racconto della nostra esperienza, sperando che questo possa in qualche modo sensibilizzare, arricchire, suscitare dibattito in coloro che leggeranno in futuro questa rela- zione. Riportiamo qua di seguito un resoconto dei quattro percorsi più interessanti che abbiamo affrontato con le relative considerazioni che possono talvolta diventare spunti progettuali. 4.4.2 - PERCORSO 1: CANALE DEI NAVICELLI – S. PIERO A GRADO – TENUTA DI TOMBOLO Come abbiamo visto dalla precedente analisi sulle linee di sviluppo futuro del territorio, un’area di particolare interesse è costituita dalla parte terminale del canale del Navicelli. Le grandi potenzialità di questo corso d’acqua hanno favorito nel passato la nascita di cantieri navali che oggi la società a maggioranza pubblica Navicelli Spa sta cercando di incentivare grazie al “Piano Particolareggiato Parco Urbano di Porta a Mare”. Questo costituisce l’occasione di riqualificazione di un punto nodale, un margine tra la città e la campagna dove spazi verdi, edifici dismessi e zone di interesse naturalistico diventano un importante tema di parco urbano. Guidati dalle scelte progettuali del nuovo piano particolareggiato siamo voluti andare a vedere con i nostri occhi le potenzialità di questo margine urbano. Partendo perciò dalla zona dei cantieri navali abbiamo scelto di continuare lungo la pista ciclabile che costeggia il canale, citata anche sul sito del Comune e spesso criticata da appassionati di bici a causa delle interruzioni lungo il percorso. L’obbiettivo principale è stato quello di verificare l’effettiva qualità dei luoghi attraversati. Avendo lasciato la macchina nel punto in cui il Navicelli si gettava nell’Arno e quindi all’inizio del tragitto, volevamo trovare una via di ritorno che non fosse la solita percorsa all’andata: concepire cioè la nostra passeggiata come un possibile circuito chiuso. Abbiamo perciò deciso di staccarci dal Nuovo Navicelli, per seguire il vecchio tracciato storico del corso d’acqua. Lungo questa via tutto si fa più naturale ed i segni umani a poco a poco riman- gono sempre più distanti, come il rumore dei cantieri che viene sostituito dal cinguettio degli uccelli o dal frinire delle cicale. Questa atmosfera naturale viene interrotta bruscamente dallo sbarramento dell’autostrada che – oggetto fuoriscala calato dall’alto - taglia canali e percorsi campestri: al quel punto non ci è rimasto altro che costeggiare questa strada che ci ha condotto verso S. Piero a Grado. Da lì siamo tornati indietro passando dal paese; il ritorno è stato piuttosto piacevole: i marciapiedi erano abbastanza larghi e a tratti anche affiancati da piste ciclabili. Le abitazioni mono-bifamiliari e in linea, i bar e qualche negozio donano un’aria tranquilla e accogliente al viandante. Interessante poi l’ultima deviazione alla zona dei laghi. Abbiamo rilevato infine qualche traccia della vecchia tramvia Pisa-città costiere e constatato che sono rimasti molti ricordi positivi alla popolazione locale. In conclusione giudichiamo senz’altro positive le scelte da parte del Comune 103 Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici 104 di riqualificare questa zona, oggi frequentata solo dai cacciatori. Rimane però il problema di connettere questo importante futuro parco urbano e extraurbano con le varie parti della città: solamente se ben frequentato esso può diventare un luogo sicuro adatto ad attività per il tempo libero o percorsi turistici. Ad oggi purtroppo, soprattutto il tratto centrale del lungoNavicelli, è spesso luogo di incontri per scorribande e affari illecite ed è senza dubbio sconsigliato percorrerlo se si è ragazze o bambini soli. Nel pomeriggio, partendo da S. Piero a Grado, abbiamo deciso di percorrere alcune strade campestri dentro la Tenuta del Tombolo, in parte riprese come percorsi ciclabili nel Piano della Mobilità del Comune di Pisa. Il percorso ha costeggiato per un po’ l’area militare ed ha avuto tratti di percorrenza alternati tra zone a bosco e zone agricole. Solamente la strada di ritorno che abbiamo scelto è risultata del tutto inadatta alla percorrenza a piedi in quanto le macchine sfrecciano veloci e la carreggiata è stretta. Il prato davanti alla importantissima chiesa di S. Piero a Grado è veramente apprezzabile: non solo questo tappeto verde risalta questo monumento architettonico, ma è una piacevole zona di sosta per tutti: il riposino schiacciato all’ombra di un vecchio leccio è stato senz’altro un buon ristoro. Di seguito riportiamo i nostri appunti di viaggio: 1- La parte iniziale del Canale dei Navicelli: in questo punto il corso d’acqua, oggi sbarrato, confluiva in Arno; erano state predisposte delle chiuse che, assieme alla differenza di quota (il fondo era scavato ad una quota maggiore rispetto all’alveo dell’Arno), evitavano che gli apporti di inerti e fango del fiume interrassero il canale. 2- L’inizio del Canale dei Navicelli oggi: sulla riva sinistra un’area produttiva demolita ed una previsione di conversione a servizi e residenze, sulla riva destra un grande centro di logistica, il cui fronte sul canale versa in stato di parziale abbandono e degrado. 3- L’inizio del percorso ciclabile e pedonale lungo la riva sinistra dei Navicelli: qui alcune case abusive e una situazione di degrado e inquinamento generalizzato; si trovano numerosi depositi illeciti di rifiuti di vario genere. 4- Il percorso prosegue con le nuove alberature: la messa a dimora di questi Po- pulus nigra L. (Pioppo Nero) è recente, ma la scarsa manutenzione rischia di vanificare il loro impianto. L’ombreggiatura di queste piante si rende indispensabile soprattutto durante la stagione estiva, quando il sole e il calore rendono più difficile la fruizione del percorso. 5- A destra le strutture cantieristiche dei Navicelli: la loro presenza non è sgradevole, se non per l’inquinamento acustico; da qui in poi le strutture produttive divengono vere protagoniste del paesaggio, un hard landscape che potrebbe costituire un vero e proprio tema qualificante di questo tratto. 6- Vista della campagna alle spalle di Ventola 7- Sulla sinistra i bacini palustri: fanno parte dell’oasi faunistica; la loro presenza contribuisce ad arricchire l’ecosistema ed il piacevole incontro ravvicinato con diversi esemplari di volatili vivacizza la visita. 8- Il rapporto tra le due rive del canale: da una parte gli impianti produttivi con la loro estetica industriale, dall’altra il paesaggio agrario e il percorso che lo attraversa. Questi costituiscono un tema percettivo unico, nel suo forte contrasto di contraddizione e sinergia, con al centro il corso d’acqua che ne riflette e ne amplifica le relazioni. 9- Rientrati nel percorso principale: una sosta ci permette di godere del paesaggio e ristorarci dopo il primo tratto. Un pannello informativo ci descrive il progetto del parco e le specie floreali e faunistiche che si possono incontrare durante il percorso. 10- I filari di pini domestici: l’area industriale sulla riva destra lascia spazio ad un campo aperto attraverso il quale si può vedere la strada statale Aurelia con i filari di pini che ne segnano il tracciato; in lontananza le Colline Livornesi. 11-Un ponte su uno dei canali irrigui principali che convergono nei Navicelli. 12- Alla fine del percorso: decidiamo di proseguire la passeggiata seguendo il canale che ricalca il vecchio tracciato dei Navicelli e che, con un ampia curva, diparte dal corso d’acqua odierno verso Sud-Est. Per giungere sull’argine destro siamo costretti ad attraversare un campo e dei fossi di drenaggio che ci rallentano; riflettiamo quindi sul fatto che, se idealmente il percorso potrebbe proseguire in un ambito rurale molto interessante, e di un certo valore ecologico, fisicamente è impossibile accedervi a causa di queste barriere. 13- Sui nostri passi: ci fermiamo e guardiamo il panorama. In lontananza i nuovi capannoni dei cantieri navali e il filare di pini dell’Aurelia rimangono come riferimento che usiamo per orientarci; i solchi dei campi e il percorso del canale impongono una fuga prospettica che ci indirizza verso il Monte Pisano, la nostra quinta visiva verso Nord-Est 14- Incontriamo l’Autostrada: siamo giunti nelle vicinanze della A12; il canale prosegue oltre passando sotto la strada, il tunnel è basso e occupato dalla vegetazione, siamo costretti a fermarci. Questa volta l’ostacolo è troppo grande per essere sorpassato, dovremo rinunciare a proseguire; dall’altra parte del canale una pineta ci fa pensare ad un luogo di riposo e di quiete purtroppo irraggiungibile; decidiamo di affrontare un breve tratto di strada sterrata parallela all’autostrada e di giungere al sovrappasso stradale che da Vettola conduce a San Pietro a Grado. 15-Per tornare a Pisa decidiamo di percorrere la strada che attraversa Vettola, un tracciato stradale che ricalca un antico alveo dell’Arno. 16- Cambiamo direzione: andiamo verso i bacini lacustri della ex cava di argilla 17-Un tratto di binari del tracciato tramviario Pisa-Calambrone: oggi i binari versano in stato di abbandono. 18- I laghi: osserviamo uno dei bacini lacustri formatisi dopo l’abbandono delle cave a fossa per l’estrazione dell’argilla; questi sono oggetto di uno studio del Comune che vorrebbe istituire qui un’area ecologica. 19- 20- Ancora i binari della tramvia: incontriamo di nuovo la vecchia strada ferrata; l’infrastruttura è in gran parte occultata dalla vegetazione ed è rintracciabile solo attraverso i pali dell’elettrificazione che rimangono a testimonianza di un passato ormai lontano ed in parte dimenticato. 20- Sopra 21-Passiamo l’Autostrada: usiamo il sovrapassaggio che da Vettola ci conduce a San Pietro a Grado; da questa altezza possiamo godere di una vista con una rilevante profondità di campo; la strada sotto di noi segna un lunga striscia grigia fluida e ondeggiata. 22-Un breve tratto di strada: attraversiamo San Pietro a Grado e raggiungiamo un bivio poco fuori il paese. 23- Andiamo verso uno degli ingressi alla base militare: il percorso ancora su strada à fiancheggiato dai campi che progressivamente lasciano spazio alla pineta. 24-Percorriamo una delle strade all’interno della pineta: il tratto all’interno della pineta ci rivela la magica quiete del bosco interrotta solo dai nostri passi. 25-Usciti dalla pineta: il bosco, limitato dalle recinzioni militari, rimane alla no- stra destra, a sinistra si apre di nuovo un panorama rurale, rimaniamo affascinati dal dolce contrasto tra la spiccata orizzontalità del territorio e i contrappunti verticali della vegetazione. 26- Ancora circondati dalla pineta: affrontiamo un breve tratto nel quale la vegetazione torna ad escluderci dal resto del territorio. 27-Un canale di drenaggio: lo oltrepassiamo tramite un ponte, la strada che lasciamo prosegue verso Marina di Pisa con un tracciato che il Comune ha stabilito diverrà un percorso natura. 28Torniamo a San Pietro a Grado: percorriamo una strada asfaltata abbastanza trafficata dai mezzi che, cercando di evitare il traffico verso Marina di Pisa, scelgono questa alternativa; siamo disturbati non poco dal traffico che, in un una strada molto stretta, scorre ad alta velocità. 4.4.3 - PERCORSO 2: IL CANALE DEI NAVICELLI FINO ALLA CONFLUENZA CON IL CANALE SCOLMATORE Il tratto intermedio del canale dei Navicelli è caratterizzato dall’interruzione del percorso sulla riva destra e dall’inevitabile cambio di sponda: questo è dovuto alla presenza della base militare che utilizza la sponda destra per i collegamenti via canale con il porto di Livorno. Giunti dall’Aurelia in macchina abbiamo parcheggiato in un’area di sosta lungo la sponda destra del canale, poco lontano dal ponte che attraversa i Navicelli. Da qui abbiamo scaricato le nostre biciclette e abbiamo di nuovo oltrepassato il ponte per affrontare il percorso lungo la sponda sinistra del canali sino alla foce. In realtà il piano iniziale era stato quello di arrivare fino alla stazione di Tombolo con il treno, ma abbiamo scoperto che negli anni Novanta è stata chiusa per scarsità di passeggeri: sopravvive solo un binario merci utilizzato dalla base militare di Camp Darby; questa scoperta ci ha suscitato l’idea di ristabilirla come punto di partenza per le escursioni all’interno del parco. Nel primo tratto la strada costeggia sia a sinistra che a destra, al di là del canale, la base militare. La presenza di alte recinzioni con filo spinato, la ripetizione 105 Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici 1. darsena della base militare lungo il Navicelli; 2. l’Oasi della Contessa 106 di cartelli inquisitori, il divieto di fotografare e le continue ronde di militari al di là della rete rendono il tutto meno rilassante. Percorsi alcuni chilometri il sentiero così a stretto contatto con l’acqua e tutti i suoi paesaggi diventano invece molto piacevoli; incontriamo le prime reti e qualche panca di legno lungo l’argine; le barchette di legno di pescatori iniziano ad accompagnare il nostro cammino. Suggestiva la prima apertura del campo visivo quando, usciti dal bosco, incontriamo l’incrocio con un altro canale: in quel punto il Navicelli devia il percorso, si mette parallelo all’Arno e si avvia verso la foce. Adesso il campo visivo è molto più aperto: sulla destra vediamo prima la vegetazione spontanea dell’Oasi della Cornacchia, poi i campi agricoli e un’interessante idrovora; sulla sinistra le strutture industriali del Porto di Livorno; lo skyline di camini, megastrutture e grandi silos è molto affascinante. Infine la foce: qui tutto si spalanca in una vista a 360°, l’acqua fa da padrona. Tanta la voglia di poter continuare, ma non esistono attraversamenti; invidiamo per un attimo le papere che ci sguazzano davanti per poi allontanarsi tranquillamente verso l’agognata sponda opposta. A noi non rimane che rigonfiare una ruota a terra della bici e rimetterci sui nostri passi. Livorno per un attimo è stata là davanti ai nostri occhi, ma saremmo dovuti andare indietro di cento anni per trovare un Navicello che per un piccolo baratto ci traghettasse sulla sponda vicina. Di seguito riportiamo i nostri appunti di viaggio: 1- Il percorso arrivando da Pisa prosegue sulla riva sinistra: il luogo risente della vicinanza della base militare di Camp Derby; le reti e le mura ritagliano e frammentano un territorio volutamente lasciato al margine, e per questo luogo di attività molto invasive. Si percepisce in generale un senso di disagio e insicurezza. 2- Ancora sulla riva sinistra: la vegetazione contribuisce ad occultare il percorso rendendo visivamente impenetrabile il resto del territorio. 3-Oggetti e rifiuti: sulla finire del percorso si trovano accumuli di rifiuti, il luogo risente dell’abbandono e della carenza di controllo. 4-Passati sulla riva destra: il percorso cinge la recinzione della base militare, una presenza inquietante. 5- Il percorso continua: il canale scorre sulla sinistra mentre la rete occlude parzialmente la pineta. 6- Recinzioni sull’altra riva: il canale ed il percorso vengono imbrigliati tra le mura del campo militare, tuttavia la passeggiata in bicicletta, lungo il percorso ombreggiato da pini e querce, risulta gradevole. 7- Lo scalo delle imbarcazioni militari: termina la base militare ed il canale ed il percorso vengono cinti da una fitta vegetazione. 8-Una barca di pescatori: da qui in poi la nostra passeggiata viene accompagnata dalla presenza di numerosi pescatori su barche o seduti sulla sponda. 9- Il canale cambia direzione: nel suo ultimo tratto il corso curva drasticamente per diventare parallelo allo Scolmatore, la sezione si allarga e il paesaggio della pineta lascia il posto ad un paesaggio palustre. 10- I baracchini dei pescatori con le loro reti costeggiano il canale 11- L’ampia curva che compie il canale dei Navicelli: il gradevole fluire delle acque accompagna lo sguardo durante la panoramica fatta dal ponte. L’assenza di una connessione che conduca all’altra sponda rende impossibile attraversare il corso d’acqua; il territorio al di là del fiume rimane così inesplorato lasciandoci un senso di restrizione della nostra mobilità; la terra si riduce lasciando il posto al paesaggio delle acque. 12- Lungo il lembo di terra tra Navicelli e Scolmatore: il percorso prosegue lungo l’argine costellato di strutture fisse per la pesca, alcune abbandonate altre ancora usate. 13- Dall’altra parte le strutture poderali. 14- Il percorso sta per finire: per la strada si trovano numerosi baracchini per la pesca. 15-Un baracchino: queste strutture pittoresche, più o meno temporanee, rendono la passeggiata ancora più gradevole, ispirando un senso sublime di sospensione e quiete. 16- Il percorso finisce: siamo al termine dell’argine che viene protetto con una piattaforma circolare di cemento. Da qui si può godere di un panorama a trecentosessanta gradi sulla confluenza del canale dei navicelli con lo Scolmatore. Sarebbe bello avere una barca per poter proseguire la nostra passeggiata o semplicemente attraver- sare lo Scolmatore per giungere a Livorno; purtoppo da qui siamo costretti a tornare sui nostri passi. 4.4.4 - PERCORSO 3: DA STAGNO ALLA PIANA DI SUESE Come abbiamo visto, uno dei problemi fondamentali è quello di trovare un collegamento a scala umana -non a scala di camion - tra Pisa e Livorno. Il porto di Livorno purtroppo è una grande barriera fisica che ostacola l’attraversamento, perciò non rimane che risalire il corso dell’Arno fino a trovare un luogo più idoneo. Spinti da questa idea abbiamo voluto visitare il paese di Stagno che si affaccia proprio sull’Arno: dalla chiesa parrocchiale che abbiamo iniziato la nostra escursione nell’interno; il paese che ruota attorno a questa chiesa è senz’altro tranquillo e piacevole; la parrocchia ed il vicino circolo sono un punto di aggregazione importante non solo per il quartiere; le iniziative, come le sagre paesane o il centro sportivo di canoa, hanno una valenza positiva a scala di tutto il territorio metropolitano Pisa-Livorno. Come si può vedere dalle foto sia la terrazza che si affaccia sul fiume sia il prato verde direttamente sulla sponda sono dei luoghi piacevoli per la sosta. Il nostro obbiettivo è stato poi quello di raggiungere la vicina Oasi della Contessa. Qui l’impresa è stata molto difficile. Siamo stati costretti a seguire il tracciato della vecchia ferrovia Livorno-Collesalvetti e passare sotto ai viadotti, luoghi senz’altro sgradevoli e degradati. Raggiunta però l’Oasi, abbiamo scoperto un altro bellissimo luogo naturale da aggiungere come un tassellino alla nostra mappa sulle attrazioni del territorio. Le colline livornesi sullo sfondo fanno da quinta visiva. Costeggiando l’Oasi a sinistra e l’autostrada a destra (che funge da margine urbano) abbiamo raggiunto una piccola pineta, piacevole luogo di sosta e di picnic da dove ammirare il paesaggio; molto gradevole anche la vista del filare di pini che accompagnano una passeggiata verso le colline. In questo punto l’autostrada funziona davvero come una barriera fisica tra i quartieri residenziali e questa bellissima area naturale che è rimasta 107 Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici 108 come un piccolo paradiso vissuto solo dai cacciatori e dagli allevatori di cani. Più avanti troviamo una bellissima vista sul lago all’ombra dei pioppi; sullo sfondo vediamo anche l’Interporto di Guasticce. È interessante notare come in questo luogo l’elemento artificiale e l’elemento naturale siano sempre vicini in un dialogo a volte insolito. In seguito abbiamo scoperto che questa era un’area privata e che avremmo dovuto chiedere il permesso prima di entrare. Non ci è restato altro che tornare sui nostri passi perché il padrone sembrava davvero arrabbiato. Addio Oasi della Contessa, speriamo di rivederci presto! Di seguito riportiamo i nostri appunti di viaggio: 1- Sulla riva sinistra dello Scolmatore: sotto il ponte della strada statale Aurelia possiamo godere della vista a pelo d’acqua di un paesaggio fluviale molto gradevole che risente solo parzialmente della vicinanza di infrastrutture e caseggiati. 2- L’attracco per canoe dell’associazione sportiva Canottieri di Stagno. 3- La chiesa di Stagno: con il suo parco e le sue strutture è un centro di ritrovo importantissimo, luogo di sosta ristoro e svago per molti, anche per noi! 4- Sotto il viadotto di raccordo della FI-PI-LI: qui le infrastrutture rendono difficilissimo attraversare il territorio a piedi, è un luogo completamente assoggettato alla mobilità carrabile di lungo raggio. 5- Ancora il viadotto: lungo il percorso ad ostacoli che affrontiamo si trovano numerosi incroci a più livelli del viadotto che, con tutti i raccordi e le rampe di discesa e salita, forma una struttura ampia e contorta. 6- Attraversando l’ultima strada: incontriamo un ponte che ci permette di proseguire oltre un canale d’irrigazione, l’accesso sarebbe negato a causa dei binari ferroviari non protetti che scorrono oltre il canale. 7- Il canale ed i viadotti che lo sovrastano. 8- La strada ferrata Livorno - Collesalvetti: noi la oltrepassiamo giungendo finalmente all’inizio del percorso che conduce all’oasi della Contessa. 9- Il viadotto che va verso Livorno incornicia un paesaggio prevalentemente rurale, vivacizzato dallo stagliarsi ondulato delle Colline Livornesi sullo sfondo. 10-Un ponte su di un canale per l’irrigazione 11- Il percorso continua: fiancheggiato dal viadotto riusciamo a scorgere i caseg- giati che stanno oltre i piloni, a sinistra si intravede il paesaggio palustre dell’oasi. 12-Tra i piloni si intravede il quartiere residenziale di Stagno: siamo vicini all’abitato ma l’infrastruttura bene o male ne impedisce l’accesso, preservando l’oasi, ma rendendo impenetrabile la città da questa parte. 13- Lo Stagno della Contessa visto da Sud 14- Ancora lo Stagno intravisto tra le canne 15- Ci fermiamo a riposare all’ombra dei pini: una vecchia area di sosta del viadotto, oggi dismessa, è un luogo ideale, in alto e circondata da una pineta sul lato autostrada, per godere del paesaggio lacustre. 16- Il percorso continua: oltre la pineta attraversando dei campi arati a grandi solchi sul terreno limoso di color rosso bruno, si giunge ad un podere, oggi ritrovo dei cacciatori che gestiscono l’ANPI della Contessa. 17- Al di là dei campi: scorgiamo un’altura con un pioppeto, un luogo perfetto per osservare lo specchio lacustre da sud; sarà il nostro punto d’arrivo. 18-Percorriamo una strada sterrata che ci conduce al podere. 19- Dal podere parte una strada costeggiata da pini molto vecchi. 20- Il percorso devia a sinistra conducendoci al lago. 21- All’ombra dei pioppi osserviamo di nuovo lo specchio lacustre. 4.4.5 - PERCORSO 4: DA OSPEDALETTO A COLTANO E RITORNO Ci rimaneva infine da visitare la zona agricola di Coltano, che con le sue strutture ricettive e ricreative raccolte attorno alla villa medicea è una delle zone più frequentate dai Pisani. Per farlo abbiamo deciso di usare la bicicletta e di verificare il grado di difficoltà per raggiungere la campagna per un cittadino che partisse dal centro della città o addirittura per un turista che arrivasse in treno. Quindi ci siamo divisi. Uno si è portato la bicicletta da Firenze caricandola sul treno, mentre l’altro ha contato di noleggiarla direttamente a Pisa. Il primo inconveniente è stato vedere che alla stazione ferroviaria non esistevano punti noleggi bici, perciò siamo stati costretti a fare mezz’ora a piedi per raggiungere la zona di piazza dei Miracoli, unico punto dove era possibile il noleggio. Come ci aspettavamo, uscire da Pisa è stato molto difficoltoso e in alcuni punti, a causa del traffico veramente intenso, siamo stati costretti a spingere la bicicletta sui marciapiedi per non farci investire. Di seguito riportiamo i nostri appunti di viaggio: 1- L’inizio del percorso: scesa la bici dal treno e noleggiata l’altra in centro, intraprendiamo il percorso che conduce dalla stazione centrale alla località di Ospedaletto. Seguiamo un vecchio tracciato stradale, oggi Via Emilia. Dove la strada si separa diventando Via Fiorentina, proseguiamo verso Sud oltrepassando la ferrovia per Firenze, attraversando un quartiere residenziale, e passando il viadotto della FI-PI-LI, ci troviamo ad affrontare un tratto molto trafficato e decisamente pericoloso per pedoni e ciclisti. 2-Oltre i campi il monte Pisano: lo skyline del rilievo montuoso ci accompagna definendo un punto fisso di riferimento in un paesaggio altrimenti piatto. 3- Giunti in località Ospedaletto la strada incontra un incrocio: è il fulcro dell’area residenziale, a dritto e a destra si estende l’area commerciale-artigianale, a sinistra la strada si restringe proseguendo per Coltano. 4- La strada è fiancheggiata da alberi e alte siepi: il percorso, sino a questo punto difficile da affrontare a causa del traffico, diventa più gradevole; incontriamo poche macchine e la strada ci pare più quieta, osserviamo tra le alberature e i recinti dei poderi che si affacciano sulla strada, un’amena campagna intensivamente coltivata. 5- In lontananza le strutture dell’aeroporto: in questo continuum spaziale spiccatamente orizzontale emergono le strutture dell’aeroporto che con la loro altezza si impongono quali riferimenti verticali. 6- Incontriamo dei poderi: la struttura razionale della bonifica ha lasciato forti segni sul territorio, non solo la disposizione e la grandezza delle aree coltivate in funzione del sistema di canali e fossi di drenaggio, ma anche la presenza di poderi, e strutture agricole, poste a intervalli regolari lungo la strada maestra che conduce a Coltano. 7-Oltre la distesa arata osserviamo passare un treno per Livorno: la presenza della ferrovia e dell’aeroporto sono costanti e ci accompagnano lungo il viaggio; percepiamo i suoni e vediamo spesso aerei in decollo o atterraggio, e treni che sfrecciano in lontananza; il territorio, come ipotizziamo, è luogo di attraversamento, un corridoio largo diversi chilometri che sta perdendo la propria identità e la propria forza evocativa, fattore che influenza maggiormente la percezione dei luoghi, a fronte di una monofunzionalità connettiva rischiosa per tutto il territorio, così relegato a margine urbano. 8-Uno dei canali principali della bonifica: qui compie una ramificazione a “Y” raccogliendo le acque che provengono da Nord-Est; la componente qualitativa di questi corsi d’acqua, al di là della loro valenza funzionale, non deve essere sottovalutata: arricchiscono l’ambiente con il loro microsistema e rendono molto piacevole il percorso, che per buona parte segue i canali (le strade prima di tutto sono opere idrauliche). Incontriamo un bivio: a sinistra la strada compie un breve tratto per poi raccordandosi all’Aurelia, a destra prosegue verso Coltano; scegliamo quest’ultima direzione. 9- Il raccordo per il casello dell’autostrada: oggi chiuso, è diventato luogo di degrado, occultato dalla vegetazione, lasciando come solo segno della sua presenza la recinzione e il cancello d’ingresso. 10- Il paesaggio rurale che scorgiamo è di enorme qualità ed intensità: la bella giornata autunnale rende ancor più gradevole la vista dei campi arati o prossimi 109 Quadro conoscitivo degli aspetti culturali, sociali ed economici 110 all’aratura; la bicicletta si rivela un mezzo perfetto per attraversare il territorio godendo delle sue peculiarità e permettendoci di conoscerne meglio la struttura. 11-Una pausa sotto i cedri di Coltano: giunti alla fattoria ci riposiamo e approfittiamo della bella giornata per osservare, nella quiete, gli edifici e i campi che ci circondano. 12- A Coltano Radio: ci dirigiamo verso Ospedaletto passando la località di Coltano Radio, dove tutt’oggi, in stato di profondo degrado, si trova la “Palazzina Marconi”, edificio per le trasmissioni radio di Coltano inaugurato nel 1910 dal Vittorio Emanuele II e diretto da Marconi (era dotato di un antenna “a tenda” di 240 metri di lato, su da piloni alti 250 metri). Il Centro, che fino al 1940 veniva regolarmente impiegato per comunicazioni con tutto il mondo, vide distrutte completamente le sue antenne durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre la Palazzina Marconi subì solo minimi danni; tuttavia le antenne non vennero mai più ricostruite, e le strutture non furono più riutilizzate. 13- Giunti al canale di drenaggio incontriamo un bivio: a destra Pisa, a sinistra Livorno; decidiamo di seguire il canale fino a Ospedaletto. Il percorso fino a qui affrontato è decisamente gradevole, il canale aggiunge una piacevole sensazione di quiete, inoltre scorgiamo in lontananza l’area produttiva e ancora più in là lo skyline del Monte Pisano. 14- I plinti delle strutture di trasmissione: sono le uniche tracce delle antenne impiegate dal centro radiofonico, e costituiscono un sistema di riferimenti che costellano l’orizzonte piatto dei campi. La loro disposizione crea delle geometrie solo in parte riconoscibili da terra. Questi elementi di cemento armato evocano le enormi strutture di acciaio, lasciandoci un senso di sospensione; le fughe prospettiche e il sistema di orientamenti che prendono forma davanti a noi ci infondono un senso di infinità e al contempo di fragilità, un patrimonio di segni che il tempo erode con inesorabile efficacia. 15- In prossimità dell’area produttiva: il percorso riprende su asfalto anticipando l’ingresso ad un aggregato molto denso di fabbriche, magazzini, e grandi negozi. 16- Sulla strada principale di Ospedaletto: attraversiamo il distretto produttivo e commerciale, un luogo ostile ai nostri mezzi (molto traffico e nessun tipo di percorso separato per pedoni e ciclisti); ci appare desolato, anche di giorno, con il traffico del rientro dal lavoro che lo anima. 17-Per rientrare percorriamo questo aggregato di parcheggi, magazzini, capannoni, e negozi: siamo circondati da strade e macchine, eppure incrociamo qualche ciclista, e immaginiamo così un futuro alternativo dove il mezzo pubblico e la bicicletta potrebbero essere i mezzi più impiegati per spostarsi, migliorando il nostro benessere e quello di tutta la comunità. 18- Lasciamo la strada principale: siamo vicini all’inizio dei quartieri periferici di Pisa, e decidiamo di deviare percorso, dirigendoci verso dei piccoli bacini lacustri. Ci fermiamo sul ponte della ferrovia e osserviamo dall’alto il territorio che separa Ospedaletto e Coltano, due mondi completamente diversi che sussistono contemporaneamente all’interno di un sistema complesso di segni e relazioni. 111 Capitolo cinque Il nostro progetto: tra verifica e sperimentazione 112 Oggi lo stile di vita è frenetico: spostarsi da un luogo all’altro, nella maggio parte dei casi con l’automobile e in maniera individuale, occupa una grande fetta della giornata, ma spesso finiamo per perdere il senso del viaggio. Riteniamo che ritrovarlo forse ci permetterà di ridare un senso alle cose e alle sensazioni che vengono percepite durante il viaggio. Poter godere della quiete e dei suoni della natura, approfittare del tempo ritrovato per leggere un libro mentre si va ondeggiando su una chiatta, invece di sbraitare immersi nel traffico, annusare l’odore del grano appena mietuto invece di respirare i fumi tossici degli scarichi delle nostre macchine, è un lusso che tutti ci potremmo permettere con pochissimo sforzo, e’ una questione di volontà e di fantasia. 5.1 - CHE COSA E’ LO SLOW FOOT Il territorio tra Pisa e Livorno potrebbe essere visto come un ampio spazio di relazioni, intendendo per queste tutte le attività antropiche che intercorrono tra le due città, ma anche i rapporti che sussistono tra ambiti naturali molto diversi che si ritrovano qui a coesistere in stretta vicinanza. Nella storia, sia dell’uomo che della natura, questo è sempre stato un luogo di scambi: chi lo ha abitato in passato ha lasciato una trama fitta di tracce che lo rendono denso di significati, e così anche gli spazi naturali rimasti tra i campi, le pinete e le periferie, sono traccia di ecosistemi passati e tuttavia ancora attivi. Il patrimonio di luoghi e di memorie racchiusi in questo grande contenito- re rischiano però di essere rimossi dalle attività presenti, che spesso non si sono relazionate al territorio e al suo bagaglio culturale: la loro localizzazione è stata stabilita in funzione di scelte strategiche per le città, come se queste fossero isole separate da un territorio neutro pronto al sacrificio nel nome della crescita. In questo modo sono state costruite le nuove infrastrutture, ritagliando lo spazio necessario alle loro funzioni, senza alcun riguardo per i luoghi attraversati. La rottura di questo fragile sistema di relazioni stratificatesi nella storia equivale alla dissoluzione del collante che rendeva coesi i tanti e diversi frammenti del territorio. Le infrastrutture hanno creato un altro sistema di relazioni, potremo definirle “esogene”, sovrapponendosi al vecchio sistema che è stato così in parte rimosso; la lacerazione del tappeto semantico ha comportato l’erosione del significato stesso dei luoghi, che da destinazioni d’arrivo sono stati relegati a spazio attraversato. Si può perciò affermare che, perdendo la percezione d’insieme, si è perso anche il significato delle parti. Con il crescere dell’importanza economica affidata agli spazi connettivi e al trasporto di merci e persone, in un sistema globalizzato sempre più fluido e caratterizzato dalla mobilità, si rischia di relegare spazi sempre più ampi a funzioni meramente connettive. Così anche il territorio tra Pisa e Livorno rischia di divenire un corridoio che attraversa luoghi senza più identità riconosciuta, e quindi percepiti come vuoti, disponibili all’urbanizzazione. L’identità di questi luoghi è costituita da un fragile sistema di relazioni che uniscono manufatti architettonici a percorsi, aree palustri, canali e torrenti, infrastrutture del sistema delle bonifiche e segni dello sfruttamento agricolo; elementi che per quanto diversificati hanno significato ed identità più forti quanto è più accentuata la possibilità di coglierli nel loro insieme. Questo implica la possibilità di percorrere anziché attraversare il territorio, cioè fare del viaggio un’occasione di conoscenza. Percorrere un luogo significa anche entrare in contatto con esso, attraverso un processo che si potrebbe definire di conoscenza subliminale, possibile per mezzo dalla percezione del e nel viaggio. Tanto più si rimane in contatto con il territorio attraversato, tanto maggiore è il patrimonio di sensazioni e immagini che rimangono fissate nella nostra memoria. Al di là dell’esperienza, che è sempre soggettiva, tutti noi possiamo sperimentare questa relazione attraversando anche luoghi a noi familiari ma con mezzi diversi, : si pensi a come cambia la percezione di una strada, ad esempio la nostra strada di casa, a seconda che la si percorra a piedi o con un mezzo. Quindi esiste una relazione molto forte e biunivoca tra spazio percorso - tempo impiegato e percezione - conoscenza, del luogo attraversato. Semplificando il concetto in termini matematici elementari si può pensare che la Conoscenza (C), intesa quale patrimonio di immagini e sensazioni, è definibile quale prodotto della Percezione (P), funzione del soggetto e del luogo, e del tempo (t) impiegato nell’attraversare un luogo (s): Ovvero, a parità di distanze compiute per attraversare un luogo, maggiore è il tempo impiegato nel percorrerlo, maggiore è la quantità di informazioni, sensazioni, immagini che potremmo raccogliere del luogo attraversato. Se la velocità è per definizione lo spazio percorso in funzione del tempo impiegato (V = S/T), allora la nostra relazione può essere anche scritta come: C = P(soggetto, luogo) * t S 5.2 COME ORGANIZZARE IL SISTEMA DI PERCORSI A PASSO LENTO C = P(soggetto, luogo) * 1 → V C = P(soggetto, luogo) V Ovvero, a parità di distanze compiute per attraversare un luogo, maggiore è la velocità con cui lo si è attraversato, minore sarà la capacità percettiva e quindi la conoscenza di tale luogo. Si è volutamente spostata l’attenzione sulla percezione dei luoghi poiché, a nostro avviso, la scarsa capacità percettiva, causata dalla velocità con la quale si attraversa il territorio in esame è alla base dell’impoverimento di identità associata all’area tra Pisa e Livorno. Tornare a percorrere questi spazi più lentamente e attraverso mezzi e itinerari che favoriscano la percezione del territorio, renderà il cittadino, prima di altri, consapevole del patrimonio culturale di cui è erede la comunità, contribuendo alla preservazione e alla trasmissione di questa ricchezza. 5.2.1 Gli obbiettivi del progetto Il nostro progetto: tra verifica e sperimentazione ta attraverso: 114 Trattandosi di un area così grande, dove entrano in gioco diverse forze amministrative - due Province (Pisa e Livorno), quattro Comuni (Pisa, Livorno, Collesalvetti e Cascina ), l’ente Parco Regionale Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli e l’ente Parco delle Colline Livornesi - il progetto, perché risponda a un alto grado di fattibilità, non potrà non tener conto dei limiti e delle linee guida dati dagli strumenti urbanistici. D’altra parte la nostra intenzione è proprio quella di evitare di porsi in un atteggiamento critico verso quelli che sono i futuri sviluppi del territorio programmati dalle forze in gioco, consapevoli che, soprattutto a questa scala, i progetti utopistici non possono che rimanere su carta, perdendo quasi la loro funzione di esistere. Non facciamo invece nient’altro che accettare come punto di partenza i cambiamenti, comprendendo anche quelli negativi, che rimangono un dato di fatto irremovibile. Tuttavia la compresenza di grandi forze economiche e di interessi pubblici (nuova area cantieristica di Porta a Mare, progetti di navigabilità del Navicelli e dello Scolmatore, porti turistici di Marina di Pisa e Livorno, nuove espansioni industriali…) rappresenta una grande risorsa di energie che può essere parzialmente rivolta non solo a mitigare tali opere sul territorio, ma ad innescare un nuovo processo di riqualificazione del territorio intero, che porti a rivedere il rapporto tra gli abitanti e il territorio. La gestione dei vari interventi necessari per la realizzazione di una rete di percorsi a passo lento richiede un’accurata programmazione non solo economica ma anche temporale, in grado cioè di selezionare quelle che sono le priorità d’intervento, e di prevedere i tempi di adattamento necessari. Per poter definire il nostro progetto abbiamo determinato una serie di caratteristiche che dovranno accompagnare le nostre scelte, in ogni scala progettuale. L’obbiettivo di attivare una rete di percorsi a passo lento deve essere raggiun- 1. una sostenibilità economica vuol dire avere una bassa incidenza sulla spesa pubblica per realizzare le infrastrutture necessarie: nel nostro progetto ci appoggiamo ad una ricca rete di percorsi già esistenti che hanno bisogno di pochi accorgimenti per poter essere fruibili da tutti, mentre quasi tutta la linea di treni e tram si appoggia su tracciati già presenti 2. una sostenibilità ecologica questo ci permette di agire in parallelo alla costruzione della nostra viabilità dolce anche sulla tutela e sul recupero dell’ambiente attraversato. Inoltre usando infrastrutture a basso impatto ecologico in alternativa di mezzi più inquinanti si migliora la qualità ambientale di tutto il territorio. 3. una sostenibilità socio-culturale il nuovo sistema deve essere realizzato gradualmente, perché implica un forte cambiamento delle abitudini e delle modalità con cui la maggior parte delle persone si muove. Il punto 3 mette in evidenza un aspetto molto importante del progetto, ovvero la capacità di proporsi come un sistema realmente valido, e alternativo all’uso della macchina, per gli spostamenti quotidiani. Ovviamente non si può imporre questo sistema, ma possono essere compiute delle scelte nel tempo che inducano i soggetti, che attraversano il territorio, a preferire una modalità rispetto ad un’altra. Occorre prevedere diverse fasi nelle quali, con gradi diversi di intervento sulle abitudini dei cittadini, possa essere disincentivato l’uso della macchina, e favorito, pubblicizzato, l’uso della rete a passo lento anche come vero e proprio momento ricreativo ed edonistico. Il progetto così viene concepito dividendolo in tre distinte fasi : la prima - chiamata “di adattamento” - ha lo scopo di integrare il sistema ad alta velocità, la seconda - “di potenziamento”- ha l’obbiettivo di far acquisire alla rete a pas- so lento un’importanza strategica nella percorribilità del territorio, e infine la fase – detta di “completamento”- ha lo scopo di strutturare il sistema a passo lento come possibile alternativa estesa a tutta l’area metropolitana. La modalità con cui abbiamo deciso di perseguire la nostra tesi può essere letta come una serie di operazioni che, da una definizione concettuale degli elementi progettuali, porta alla definizione reale oggettuale di tali elementi. Questa operazione di passaggio dal concetto all’oggetto, dall’idea al progetto, si verifica per ogni dimensione progettuale, sia essa spaziale che temporale. Per semplificare la lettura del progetto abbiamo deciso di creare un indice che riporta la consecuzione di ogni step progettuale. 1- Le strategia di intervento (Dove fare, come fare) 2- Le tre fasi del crono programma (Lo scacco all’automobile in tre mosse) 3- La costruzione graduale della trama di percorsi (Tirando i fili della mobilità a passo lento) 4- Il progetto sul territorio (La carta relazionale) 5- Il progetto a scala urbana (La verifica dei nodi) Ad ogni step corrisponde una fase di progetto, i punti 1, 4 e 5 hanno un elaborazione grafica abbastanza dettagliata che ci consente, in questa sede, di descriverli in maniera più sintetica, mentre per quanto riguarda i punti 2 e 3 riportiamo una descrizione più ampia e approfondita. 5.2.2 Le strategia d’intervento (Dove fare, come fare) Questa prima parte è dedicata alla definizione del sistema di percorsi a passo lento. L’elaborato può essere interpretato come il quadro di riferimento nel quale vengono indicati, attraverso la rete dei percorsi e i nodi di progetto, gli ele- menti strutturali della nostra proposta. Abbiamo definito delle chiavi di progetto ed una legenda concettuale che aiutano a illustrare il nostro approccio; ogni chiave ed ogni elemento della legenda sono collegati e rappresentano una nostro particolare strumento di progetto. La rete di percorsi è costituita da una serie di circuiti che sono diversamente calibrati sulle capacità motorie e i mezzi utilizzati. In questo modo l’utente può scegliere un itinerario ridotto o uno più lungo in funzione delle sue necessità avendo sempre la possibilità di tornare indietro. Concepire i percorsi a passo lento vuol dire anche preferire dei percorsi che favoriscano la percezione del territorio. Attraverso delle opere puntuali siamo andati a costruire delle soluzioni di continuità alla rete: queste possono essere opere infrastrutturali (ad esempio la previsione di una passerella pedonale che colleghi le due sponde dello Scolmatore) oppure possono essere costituiti da punti di interscambio tra mezzi diversi. Ad esempio giungendo in barca fino al capolinea di Faldo si può proseguire mediante la tramvia o i percorsi pedonali o ciclabili. I percorsi progettati dovranno garantire la preservazione degli ambienti naturali attraversati, ma anche la riqualificazione dei luoghi degradati, ponendosi come infrastruttura costituita da elementi naturali. Infine la rete di percorsi dovrà convergere in nodi di interscambio che dovranno interfacciarsi con il sistema ad alta velocità permettendo la conversione del mezzo: grazie a questi punti di scambio è possibile connettere le trame dei sistemi di mobilità che abbiamo previsto permettendo di raggiungere ogni punto dell’area metropolitana. 5.2.3 LE TRE FASI DEL CRONOPROGRAMMA (LO SCACCO ALL’AUTOMOBILE IN TRE MOSSE) E LA COSTRUZIONE GRADUALE DELLA TRAMA DI PERCORSI (TIRANDO I FILI DELLA MOBILITÀ A PASSO LENTO) La fase di adattamento Il primo obbiettivo che ci siamo posti è stato quello di adattare il sistema ad un tipo di mobilità alternativa incentrata sull’uso di trasporti pubblici o mezzi 115 Il nostro progetto: tra verifica e sperimentazione 116 elettrici per le lunghe distanze e su spostamenti piedi-bicicletta per distanze più brevi. Dalla nostra analisi era risultato che uno dei problemi più grandi per la pubblica amministrazione pisana e livornese era risolvere lo spostamento verso la costa nei periodi estivi, quando si verifica una grande congestione del traffico. Analizzando il Piano della Mobilità Costiera ci siamo però accorti che il Comune non dava una risposta valida al problema: posizionare dei posteggi scambiatori subito al margine degli abitati urbani potrebbe forse diminuire il traffico interno alle località balneari, ma non risolvere gli ingorghi di macchine lungo le principali direttrici stradali verso la costa. La nostra idea è stata innanzitutto quella di cambiare il modo di vedere e percepire la fascia costiera: non più un sistema di singole località balneari (Tirrenia, Marina di Pisa e Calambrone) da raggiungere direttamente con mezzi propri, ma un unico grande sistema; un grande “Parco del Litorale” che si estende dal Canale Navicelli e la strada Aurelia a est fino al mare comprendendo al suo interno le zone boscose e quelle coltivate della Tenuta di Tombolo, l’Oasi della Gamberaia, tutto il sistema di percorsi lungo i fossi e i canali, gli edifici di valore storico-artistico già attrattori o da recuperare, tutta l’area sportiva e il Golf Club di Tirrenia, e infine le varie località balneari da recuperare come centralità urbane. L’idea è quella di riattribuire al già presente Parco Regionale di Migliarino-San Rossore il valore che è già stato riconosciuto dalle amministrazioni pubbliche e che invece non è alquanto percepito dalle popolazioni locali. La nostra proposta consiste nel cercare di bloccare il traffico delle automobili ancor prima che si formi, cioè all’inizio del nostro “Parco Litoraneo” e da lì proporre un nuovo modo più sostenibile ma anche più attraente per penetrare il territorio e per spostarsi verso la costa. Quindi l’idea è quella di posizionare due posteggi scambiatori al margine di questo parco: uno a sud ,dopo il ponte sullo Scolmatore, per fermare il traffico che arriva da Livorno, l’altro presso San Piero a Grado per raccogliere le auto provenienti da Pisa ma anche da fuori, trovandosi in quel punto l’uscita della Fi-Pi-Li, dell’Autostrada e l’arrivo della vecchia Aurelia. La nostra intenzione non è quella di porre dei divieti al circolare delle automobili, ma quella di offrire alle persone delle proposte più allettanti e soprattutto una scelta più varia di opzioni invece dell’unica scelta che è possibile attualmente di muoversi su gomma. Usufruire di questo territorio ricco di valori naturali-storico-artistici è molto difficile perché è possibile attraversarlo solo lungo le direttrici stradali. Noi vorremmo invece creare un sistema di reti che permettano di penetrare, vivere e apprezzare questo parco. Innanzitutto appoggiamo il sistema di piste ciclo-pedonali progettate dal Comune: ad esse ci vogliamo relazionare e anche per infittire questa maglia verso sud - parte di questa rete potrebbe così diventare sede preferenziale per i bus elettrici che non sarebbero così soggetti al traffico dei singoli mezzi privati. Ci sembra poi interessante l’idea di recuperare il vecchio tracciato della tramvia nel tratto Marina di Pisa-Calambrone, di modo da farlo diventare un parco urbano lineare in grado di assorbire tutte quelle attività (sport, parchi giochi…) che non possono essere svolte nella limitrofa area protetta del Parco di Migliarino San Rossore. Oltre a diventare passeggiata pubblica, anche in questo caso, potrebbe essere lasciata una separata sede per il circolo dei bus elettrici. Infine non possiamo escludere che il recupero e la tutela di questo vuoto urbano possa in futuro permettere la ricostruzione di una tramvia. Come dicevamo poc’anzi, a parte la chiusura della strada nel lungo costa, nel tratto di Marina di Pisa, per permettere la riqualificazione del lungomare e una riorganizzazione tra viabilità principale di attraversamento e viabilità secondaria destinata ai residenti, la nostra intenzione non è quella di vietare la circolazione delle automobili. Vogliamo però disincentivarne l’uso: innanzitutto alzando le tariffe orarie dei posteggi urbani in modo che siano utilizzati solo per brevi soste; in secondo luogo rendendo più semplice e divertente lasciare l’auto al posteggio scambiatore e da qui avventurarsi, usando anche mezzi accattivanti, verso l’esplorazione del territorio. Potrebbe essere prevista una tariffa bas- sa per posteggiare, che possa al tempo stesso includere anche il biglietto dei bus elettrici o sconti sul noleggio di mezzi sostenibili come biciclette, tandem, quadricicli elettrici… Il posteggio scambiatore di San Piero a Grado diventa il cuore centrale, uno dei nodi principali del nostro progetto. La scelta di posizionare qui il posteggio porta con sè innanzitutto un significato storico-simbolico: era in questo punto che esisteva l’antico scalo fluviale di Pisa, quando l’Arno aveva formato un grande meandro e fermava qui il suo percorso gettandosi nel mare. L’idea è quindi quella di riassegnare a questo luogo il significato storico di “porta per la città” e, come vedremo più avanti, gli attribuiremo la doppia valenza di porta verso il mare e porta verso il centro storico di Pisa. La scelta di collocare in questo luogo un punto così strategico ci permette anche di farlo diventare elemento riqualificante e nuova centralità per l’abitato storico di San Piero a Grado, che essendosi formato lungo la direttrice stradale manca di un luogo pubblico aggregante. Ma soprattutto la scelta di questa posizione è soprattutto funzionale: come spiegato prima è un punto dove arrivano tutte le principali strade ad alto scorrimento, si trova vicino al fiume Arno, lungo il tracciato della vecchia tramvia e si lega facilmente a tutti i tracciati ciclopedonali che vanno verso la costa, verso Pisa e verso la Tenuta di Coltano. Infine la realizzazione del tram elettrico, da parte del Comune di Pisa, che andrà a collegare con tempi rapidi la stazione e l’aeroporto, diventerà anche un fattore strategico per il collegamento tra il centro di Pisa e la campagna di Coltano. Basterà collegare l’aeroporto con il circuito di percorsi campestri, compresi quelli che arrivano al posteggio scambiatore, per aprire le porte al territorio sia per i cittadini pisani, sia per chi arriva a Pisa con l’aereo. La fase di potenziamento Naturalmente la prima fase durerà un po’ di anni, non solo per i tempi legati alla costruzione delle opere pubbliche, ma soprattutto per permettere alle persone di prendere conoscenza e fare esperienza di un nuovo modo di spostarsi e vivere. Proprio per questo secondo parametro che entra in gioco non è possibile fare una stima precisa dei tempi necessari per passare alla fase successiva; dipenderà anche da quanto le amministrazioni vorranno mettersi in gioco e investire anche sulla formazione dei singoli cittadini. Il primo passo da percorrere nella fase 2 è quello di andare ad integrare le reti ciclo-pedonali presenti sul territorio con il fine principale di creare una buona connessione tra Pisa e Livorno, oggi assente. Un collegamento necessario è quello tra la Tenuta di Tombolo e quella di Coltano, oggi fortemente indebolito dalla presenza del campo rom lungo la strada di connessione, ad oggi sia fonte di degrado ambientale sia elemento che rende l’attraversamento percettivamente poco sicuro. Riteniamo infatti che non sia sufficiente costruire delle “abitazioni minime” per poter integrare queste popolazioni: c’è bisogno di politiche sociali in grado di ottenere in cambio dell’assistenza sanitaria e dell’educazione dei figli non solo un certo rispetto per il luogo e per la cultura presente, ma anche l’adempimento di determinati doveri. Ribaltando il concetto di insicurezza dato dalla loro presenza, potremmo invece sfruttarli proprio per controllare e tutelare questi luoghi, sfruttando la loro abilità manovale per costruire arredi pubblici lungo i sentieri o quant’altro possa permettere loro di sentire quel luogo sotto la loro protezione e al tempo stesso di sentirsi utili per la società. Oppure l’alternativa sarebbe quella di spostare il villaggio. Solo esperimenti come questo potrebbero permettere di superare il problema dell’integrazione di questi nomadi, considerando che la sola costruzione di un villaggio non ha portato a nessun risultato. Con la prevista riapertura del collegamento tra l’Arno e il canale del Navicelli e le opere per assicurare la navigabilità di quest’ultimo, si apre la possibilità di sfruttamento delle vie d’acqua, come sta accadendo in molte città europee. Potrebbero essere previsti due circuiti di vaporetti: la prima linea partirebbe 117 Il nostro progetto: tra verifica e sperimentazione 118 dal centro di Pisa, dove è già presente una darsena utilizzata attualmente solo per minicrociere turistiche, farebbe una sosta intermedia presso il posteggio scambiatore di San Piero a Grado e infine arriverebbe al nuovo porto turistico di Marina di Pisa. Tale linea diventerebbe un ottimo collegamento sia per raggiungere il mare dal centro storico o dal posteggio scambiatore, sia viceversa per raggiungere la città per chi viene da fuori. La seconda linea invece coprirebbe lo spostamento Pisa-Livorno arrivando direttamente ad attraccare nel nuovo porto mediceo in fase di recupero. Un tale collegamento diretto e su via preferenziale, non soggetto alle variazioni del traffico, diventerebbe un collegamento sicuro e soprattutto piacevole per gli spostamenti pendolari tra queste due città. Inoltre questo tracciato sarebbe un collegamento in più da parte delle due città per raggiungere la campagna di Coltano o le pinete della tenuta del Tombolo. Il vantaggio di questa via d’acqua sarebbe che, non necessitando di grandi spese infrastrutturali da dover ammortizzare con il costo dei biglietti, il numero di vaporetti in funzione potrebbe seguire le variazioni di domande stagionali. A fianco di questi interventi più immediati da realizzare proponiamo l’apertura in alcuni tratti di linee di tramvia elettriche, soprattutto allo scopo di risolvere prima di tutto gli spostamenti quotidiani casa-lavoro e poi il rapporto tra le città e il loro territorio limitrofo. Per quello che riguarda l’area di Pisa, come spiegavamo poc’anzi, il posteggio scambiatore di San Piero a Grado potrebbe diventare non solo una porta verso il mare, ma anche verso la città. Tutto questo è possibile ripristinando il vecchio tracciato della tramvia solo nel breve tratto tra San Piero a Grado e la stazione centrale di Pisa. Una linea elettrica - come quella che è in fase di costruzione tra l’aeroporto e la stazione, controllata per via telematica senza il bisogno di un pilota reale, che possa con intervalli temporali di 15 – 20 minuti portare in breve tempo studenti, lavoratori pendolari e turisti direttamente in centro - . Oltre a risultare più comodo l’accesso per chi viene da fuori, diventerebbe an- che un modo per diminuire notevolmente il carico del traffico dentro la città, permettendo al tempo stesso di destinare parte di alcune sedi stradali a piste ciclo-pedonali. Per quello che riguarda Livorno, ogni giorno un grande carico di operai e impiegati si spostano verso l’area industriale a nord, compresa tra il porto e l’Interporto di Guasticce, cifre che con la costruzione della Darsena Europea sono destinate ad aumentare. Per rendere più sostenibili questi spostamenti pensiamo che sia possibile utilizzare i binari della vecchia ferrovia Leopolda, oggi dismessa, per far circolare su doppio binario un tram elettrico che possa allo stesso tempo servire anche come collegamento tra la città e la campagna limitrofa. Tutta questa zona a nord rimasta tra il porto, lo Scolmatore e l’autostrada è infatti molto satura e essendo per la maggior parte destinata all’industria pesante diventa impossibile trovare una corridoio ecologico che possa collegare la città con le colline livornesi. La testa della linea tramviaria, ricavata dal recupero della vecchia stazione Leopolda di San Marco, situata subito fuori le mura del centro storico, diventa l’occasione anche per studiare a livello di riqualificazione urbana il vuoto urbano creatosi dopo la chiusura della linea. Un altro ramo della tramvia potrebbe infine deviare verso Calambrone, in modo da ristabilire a nord quel collegamento diretto tra il mare e la città di Livorno, perso con la saturazione di carattere industriale di questo territorio. Se fosse possibile, la soluzione ottimale sarebbe quella di riutilizzare il vecchio tracciato ferroviario di collegamento tra la stazione centrale di Livorno e la stazione della tramvia di San Marco in modo da estendere il sistema di spostamenti casa- lavoro o casa-mare anche ai pendolari che arrivano da fuori. La fase di completamento Nell’ultima fase, infine, si tratterebbe innanzitutto di andare a completare i percorsi ciclo-pedonali risolvendo i punti di discontinuità rimasti. In modo particolare andiamo ad operare a sud nella rete di percorsi campestri e canali ecologici (fiume Tora) tra Livorno, le colline e Collesalvetti. Interessante è per esempio la riqualificazione del percorso dei laghi, lungo il quale si trovano diverse ex-fornaci da restaurare. A fianco di questa rete andiamo poi a completare il tratto tramviario tra Guasticce e Livorno, in modo da allargare il sistema di mobilità all’intera area metropolitana. Un altro intervento interessante potrebbe essere quello di introdurre due fermate per i treni regionali nella tratta Pisa-Collesalvetti: una presso l’area commerciale-produttiva di Ospedaletto e l’altra presso l’interporto il Faldo, di modo da servire innanzitutto per lo spostamento dell’alto numero di pendolari che lavorano qui. In secondo luogo, la fermata presso l’Ospedaletto diventa al tempo stesso un’altra via alternativa per raggiungere la campagna dal centro, partendo proprio in quel punto uno dei percorsi più suggestivi di Coltano. Alla fine di queste tre fasi, dovremmo aver costruito una trama di infrastrutture ecosostenibili che permettano di ritrovare la dimensione umana anche nello spostamento. Ci siamo immaginati una possibile travel-card magnetica associata ad una mappa di tutta l’area metropolitana Pisa-Livorno-Collesalvetti che tutti i cittadini dovrebbero portarsi in tasca. La chiave di accesso ad ogni servizio di trasporto, una proposta di vita a “passo lento”. 5.2.3 - IL PROGETTO SUL TERRITORIO (LA CARTA RELAZIONALE) E IL PROGETTO A SCALA URBANA (LA VERIFICA DEI NODI) Le tavole relazionali hanno l’obbiettivo di definire le relazioni che intercorrono tra il sistema di percorsi e di nodi progettati e gli elementi del territorio o delle città con le quali esso si interfaccia. Negli itinerari che riteniamo più importanti, abbiamo voluto evidenziare i tem- pi di percorrenza e i punti d’interscambio, cercando di evidenziare il sistema di percorsi a passo lento sia dal punto di vista del tragitto, nel senso dei luoghi attraversati, sia dal punto di vista del tempo, quello impiegato nel compiere il tragitto. In questo modo si vuole dimostrare l’effettiva convenienza del sistema a passo lento rispetto all’attuale. Come ultima fase abbiamo fatto una verifica progettuale a scala urbana di alcuni nodi, intendendo con questi dei punti significativi del sistema dei percorsi a passo lento. In particolare abbiamo sviluppato due tipologie di nodi, una relativa ai punti d’interscambio e una relativa alle porte di accesso al sistema. Anche qui abbiamo definito delle chiavi di progetto che assieme ad una legenda concettuale definiscono linee d’intervento. Nella tavola delle strategie abbiamo individuato un punto d’interscambio molto importante nell’area di San Piero a Grado. Questo si trova tra la città e la costa e si relaziona alle infrastrutture autostradali, all’autostrada e all’Aurelia. Attraverso la tavola relazionale abbiamo così individuato un punto d’interscambio tra la rete dell’alta mobilità e il sistema di percorsi. La nostra proposta è quella di inserire un parcheggio scambiatore e delle strutture di servizio che, assieme alla riqualificazione urbana di San Piero, possano costituire, attorno alla chiesa, una nuova centralità e una porta di accesso verso la città o verso il mare. Il secondo tipo di nodo riguarda i punti di accesso al sistema dalle città. Nella tavola delle strategie abbiamo evidenziato la necessità di penetrare con un asse all’interno della città di Livorno in modo da creare un accesso ben definito al sistema e, attraverso la tavola delle relazioni, abbiamo individuato nella stazione di San Marco un’area da recuperare che si può prestare a questo scopo. Questa area può essere convertita come stazione di testa per la linea tramviaria-Livorno-Collesalvetti-Pisa e diventare nodo di scambio tra le 119 Il nostro progetto: tra verifica e sperimentazione auto, il tram e i navicelli. Questo intervento ci permette di riqualificare un’area strategica per la città, necessità evidenziata anche dal Piano Gregotti . Il nostro progetto propone la realizzazione di una nuova centralità da definirsi attraverso dei nuovi edifici destinati a vari tipi di servizi per la città e la realizzazione di un parco, nell’area dell’ex-scalo merci, volto a bilanciare l’esigenza di verde pubblico. 120 5.2.4 UNA POSSIBILE CONCLUSIONE Se la nostra tesi è rivolta alla ricerca di una formula, di una combinazione ideale, tra analisi-deduzione-progetto che renda possibile la determinazione di un quadro di riferimento per la realizzazione della rete di percorsi a passo lento, secondo noi la redazione di un tale strumento implica che esso debba contenere sia indirizzi programmatici che definizioni progettuali. Perciò esso dovrà operare sulla complessità di un sistema di fenomeni collegati, in maniera interscalare, tra gli strumenti della pianificazione urbanistica. Infine tale strumento si dovrà occupare del graduale inserimento del sistema nella vita della popolazione, diventando un incentivo per il comportamento virtuoso nell’uso di mezzi alternativi alla macchina. Secondo noi quanto costruito in questa tesi risponde a tali esigenze, delineando un possibile percorso per affrontare temi simili anche in altre situazioni complesse. 121 Bibliografia 122 La bibliografia di seguito riportata è stata suddivisa in più parti per facilitarne l’uso. Questa scelta è stata fatta per mettere assieme tutti i testi consultati, essendo questi di diversa natura; abbiamo diviso i libri in tre gruppi: testi che possono essere considerati fonte diretta di dati e informazioni per la tesi; testi disciplinari di base, che ci sono serviti a possedere delle chiavi di lettura più chiare; testi di letteratura particolarmente importanti nello sviluppo di questa tesi, elementi determinanti nel farci luce durante il cammino culturale che abbiamo svolto in questi anni. BIBLIOGRAFIA DELLE FONTI: Cap. 1 AA.VV., Conferenza Economica del comprensorio Pisa – Pontedera – Livorno Atti ufficiali, Benvenuti & Cavaciocchio editori, Livorno, 1968 AA.VV., Il territorio non urbano della provincia di Livorno, studi per un piano, Ufficio stampa e pubbliche relazioni della Provincia di Livorno, Livorno, 1973 AA.VV., Programmazione economica e assetto del territorio nella provincia di Livorno, in Quaderni de «La Provincia di Livorno» n. 21, Ufficio stampa e pubbliche relazioni della Provincia di Livorno, Livorno, 1975 AA.VV., Regione Toscana, Province di Livorno e di Pisa, Lineamenti dello Schema Strutturale per l’area Livorno – Pisa (relazione), Tirrenia 1990 PEPE BARBIERI, Metropoli Piccole, Meltemi editore, Roma, 2003 ZIGMUNT BAUMAN, Modus vivendi, inferno e utopia del mondo liquido, Editori Laterza, Bari, 2008 RICCARDO CIUTI, Ripensare la mobilità urbana, Bandecchi&Vivaldi Editori, Pontedera, 2004 GIUSEPPE DE LUCA (a cura di), Regione Toscana, Giunta Regionale, Piano di Indirizzo Territoriale, le regole e le strategie, 2003, Edizioni Giunta Regionale, Firenze. GIUSEPPE DE LUCA, Conferenza per il coordinamento degli interventi di pianificazione territoriale nell’area Pisa-Livorno in, , La pianificazione regionale in Toscana: 1984-1990, «Quaderni di Urbanistica Informazioni», n. 10, 1991 VEZIO DE LUCIA, IN FILIPPO CICCONE E GIOVANNI SODA (a cura di), Il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Pisa, Pacini Editore, Ospedaletto (Pi), 2001 T. L. FRIEDMAN, “Hot, Flat and Crowded” Caldo, piatto e affollato, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2009 Loretta Napoleoni, Economia canoglia, il lato oscuro del nuovo ordine mondiale, Il Saggiatore, Cles (TN), 2009 A. RONCAGLIA, Economisti che sbagliano. Le radici culturali della crisi, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010 Cap. 2 CLAUDIO GREPPI (a cura di), Quaderni ambientali della Toscana, Vol. III, Paesaggi della costa, Marsilio Editore, Venezia, 1993 VEZIO DE LUCIA, IN FILIPPO CICCONE E GIOVANNI Soda (a cura di), Il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Pisa, Pacini Editore, Ospedaletto (Pi), 2001 FULCO PRATESI, Storia della natura d’Italia, Editori riuniti, Soveria Manelli (Catanzaro), 2001 CAROL USHER, JHON WHITE, COLLIN RIDSDALE, Alberi, guida pratica, Mondadori, Milano, 2007 Cap. 3 Testi antichi GEORG CHRISTOPH MARTINI; Viaggio in Toscana, 1725-1745; Pacini Fazzi editori; riproduzione anastatica dell’edizione originale a cura di Oscar Trumpy; Lucca, 1990 EMANUELE REPETTI, Dizionario Geografico Fisico e Storico della Toscana, vol. IV GIOVANNI TARGIONI TOZZETTI, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, Firenze, 1751, Testi moderni LUIGI AIRALDI, L’ideologia come dominante nel piano regolatore di Livorno, Urbanistica, 1981, n.71 GIOVANNI ASTENGO; Pisa struttura e piano, Tacchi Editore, Pisa, 1989 ADRIANO BETTI CARBONCINI, MARCO BEDINI, Livorno e Pisa due città e un territorio nella storia dei trasporti pubblici locali, Calosci Editore, Cortona, 1987 LANDO BORTOLOTTI, Livorno dal 1748 al 1958, profilo storico urbanistico, Leo S. Olschki Editore, Firenze, 1970 AUGUSTO CAGNARDI, Lineamenti per il nuovo Piano Regolatore Generale, Indirizzi programmatici dell’amministrazione e proposte dei progetti, CN Comune Notizie, n. 4, Giugno 1993 PIER LUIGI CERVELLATI, GIOVANNI MAFFEI CARDELLINI (a cura di), Il Parco di Migliarino San Rossore Massaciuccoli: la storia e il progetto, Giunta Regionale Toscana-Marsilio Editori, Venezia, 1988 ITALO ISOLERA, Livorno tra storia e piano, in Casabella n. 430 del Novembre 1977, Gruppo Editoriale Electa Dario Matteoni, Le città nella storia d’Italia: Livorno, La terza editore, Bari, 1988 SERGIO PAGLIALUNGA, Il Piano del Parco Naturale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli, in Rosini Rino e Vecchietti Sandra (a cura di), La pianificazione dei parchi regionali, Alinea Editrice, Firenze, 1994 PIER LODOVICO RUPI, ANDREA MARTINELLI, Pisa storia urbanistica, Pacini Editore, (luogo N.D), 1997 EMILIO TOLAINI, Le città nella storia d’Italia: Pisa, Editori Laterza, Bari, 1992 Ufficio mobilità del Comune di Pisa, Relazione del Piano Urbanistico del Traffico, 2000, Vol. I, p. 8 Cap. 4 Per quanto riguarda la parte sulle trasformazioni territoriali, i dati sono stati reperiti attraverso la ricerca su web, in particolare nei siti della Regione, delle Province e dei 123 Comuni, tuttavia sono stati molto utili anche i blog dai quali trarre spunti ed informazioni “non ufficiali”. 124 www.regione.toscana.it www.provincia.livorno.it www.provincia.pisa.it www.comune.pisa.it www.comune.livorno.it www.comune.collesalvetti.li.it Per quanto riguarda la parte dei sopralluoghi, l’elaborazione dei dati successiva è stata svolta attraverso l’analisi percettiva, in tal proposito riportiamo una breve bibliografia consultata. DONALD APPLEYARD, KEVIN LYNCH, JOHN R. MYER, The view from the road, Massachusetts Institute of Technology, Cambridge, 1967 EDMUND N. BACON, Design of Cities, Penguin Books, New York, 1967 KEVIN LYNCH, Paolo Ceccarelli (a cura di), L’immagine della città, Marsilio Editori, Venezia, 2006 WASSILY KANDINSKY, Punto Linea Superficie, Adelphi, Milano, 2010 EMANUELA MORELLI, Disegnare linee nel paesaggio: metodologie di progettazione paesistica delle grandi infrastrutture viarie, Firenze University Press, Firenze, 2005 Cap. 5 SIAN BERRY, Cinquanta idee per viaggiare in modo ecologico, DeAgostini editore, Roma, 2010 GREGORY BATESON, Mente e Natura un’unità necessaria, Adelphi, Milano, 1984 GREGORY BATESON, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 2004 GIORGIO PIZZIOLO, RITA MICARELLI, L’arte delle relazioni, Alinea editrice, Firenze, 2003 GIORGIO PIZZIOLO, RITA MICARELLI, Dai margini del caos l’ecologia del progettare, Alinea editrice, Firenze, 2003 BIBLIOGRAFIA DEI TESTI DI BASE: Testi di diritto urbanistico NICOLA ASSINI, Diritto urbanistico, Cedam editore, Padova, 2007 NICOLA ASSINI, P. FRANCALACCI (a cura di), Manuale dei beni culturali, Cedam editore, Padova, 2000. GIUSEPPE BARBIERI, Manuale del territorio aperto, Franco Angeli editore, Milano, 2002. MARCO CAMMARELLI (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, il mulino editore, Bologna, 2007. FEDERICO DEL GIUDICE, Legislazione ambientale, Esselibri editore, Napoli, 2000. Testi di urbanistica e pianificazione territoriale AA.VV., Periferie? Paesaggi urbani in trasformazione, Di Baio editore, Borghetto Lodigiano (LO), 2007 LEONARDO BENEVOLO, La città nella storia d’Europa, Laterza editori, Bari, 2007 GIUSEPPE CAMPOS VENUTI, FEDERICO OLIVA (a cura di), Città senza cultura, Laterza editori, Bari, 2010 PAOLA DI BIAGI, I classici dell’urbanistica moderna, Donzelli editore, Roma, 2009 RAIMONDO INNOCENTI, MARCO MASSA (a cura di), Progetti di infrastrutture e piani territoriali in Toscana, Alinea, Firenze, 2001. G.GIOVANNONI, Governare il territorio. Una riflessione sul caso toscano, FrancoAngeli, Milano, 2004. SUSANNA MAGNELLI, Progetti all’aperto, geografia per architetti, Aracne editrice, Roma, 2010 MAURIZIO MORANDI (a cura di), Materiali per il progetto urbano, edA esempi di architettura, n.5, Casa editrice Il Prato, Padova, 2008 G. MARTINOTTI, Metropoli, La nuova morfologia sociale della città, Il Mulino, Bologna, 1993. G.MARTINOTTI, La dimensione metropolitana, Sviluppo e governo della nuova città,Il Mulino, Bologna, 1999. RICHARD ROGERS, Città per un piccolo pianeta, Erid’A-Kappa editori, Milano, 1997 ALDO ROSSI, L’architettura della città, CittàStudi edizioni, Torino, 1995 BERNARDO SECCHI, La città del ventesimo secolo, Laterza, Roma-Bari, 2005. PAOLO SICA, Storia dell’urbanistica, Il Novecento, Laterza editori, Bari, 1991 GIORGIO TREBBI, La rinascita della città, La trasformazione urbanistica, Alinea editrice, Firenze, 1987 JANE JACOBS, Vita e morte delle grandi città, Einaudi, Torino, 2009 CLEMENS ZIMMERMANN, L’era delle metropoli, Il Mulino editore, Bologna, 1996 Testi di Architettura del paesaggio ANGRILLI MASSIMO, Reti verde urbane, Quaderni del Dipartimento di Architettura e Urbanistica di Pescara, 13, Palombi editore, Roma 2002 BIAGIO GUCCIONE, Parchi e giardini contemporanei, cenni sullo specifico paesaggio, Alinea editrice, Firenze 2001 TOCCOLINI ALESSANDRO e altri, Percorsi verdi: una opportunità di sviluppo e riscoperta del territorio rurale, Quaderni I Georgofili, 1/2000, Firenze 2001 TOCCOLINI ALESSANDRO, FUMAGALLI NATALIA, SENES GIULIO, Progettare i percorsi verdi. Manuale per la realizzazione di greenways, Maggioli, Rimini 2004 LORENZO VALLERINI (a cura di), Il paesaggio Attraversato, inserimento paesaggistico delle grandi infrastrutture lineari, Edifir, Firenze, 2009 FRANCO ZAGARI, Questo è paesaggio, quarantotto definizioni, Gruppo Man- cosu editore, Roma, 2006 Bibliografia dei testi di letteratura generale: DOUGLAS ADAMS, Guida galattica per gli autostoppisti, Mondadori, Milano, 1996 JAMES G. BALLARD, L’isola di cemento, Feltrinelli, Milano, 2007 GIANNI BIONDILLO, Metropoli per principianti, Ugo Guanda editore, Parma, 2008 GIANNI BIONDILLO MICHELE MONINA, Tangenziali, due viandanti ai bordi della città, Ugo Guanda editore, Parma, 2010 MARCO MALVALDI, La briscola in cinque, Sellerio Editore, Palermo, 2007 MARCO MALVALDI, Il gioco delle tre carte, Sellerio Editore, Palermo, 2008 ROBER POGUE HARRISON, Foreste, l’ombra della civiltà, Garzanti, Milano 1992 PAOLO RUMIZ, FRANCESCO ALTAN, Tre uomini in bicicletta, Feltrinelli, Milano 2009 PAOLO RUMIZ, E’ oriente, Feltrinelli, Milano, 2005 VITALIANO TREVISAN, Tristissimi Giardini, Laterza editori, Bari, 2010 RICCARDO VENTURI (a cura di), Alexander Colder, scritti e conversazioni, Edizioni Abscondita, Milano, 2009 125 The end Ringraziamenti 126 Vorremmo ringraziare, prima di tutto, prima di tutti, il nostro relatore, il Prof. Giorgio Pizziolo, perché senza di lui questa tesi non avrebbe mai preso forma. Senza la sua profondità, il suo sguardo sulle cose, la sua guida concettuale, le nostre idee si sarebbero confuse nel mare di progetti troppo uguali, troppo conformati, troppo spesso approvati senza alcuna riflessione, senza nessun’idea. Ringraziamo le Istituzioni che ci hanno seguito e appoggiato nel nostro lavoro, in particolare l’Ente Parco Migliarino San Rossore Massaciuccoli, l’Ufficio dei Fiumi e Fossi di Pisa, il Comune di Livorno, il Comune di Pisa e la Provincia di Pisa. Un ringraziamento speciale va alla Prof. Susanna Magnelli. Il suo sostegno culturale e morale è stato, e continua ad essere impagabile; a lei dobbiamo la curiosità di voler guardare oltre la superficie semplificata delle cose, la nostra ostinata convinzione che parlare del territorio fuori dalle nostre città sia ancora oggi, soprattutto oggi, una necessità. Prima di tutto ringrazio i miei genitori, mia sorella e i miei nonni, pronti ad appoggiarmi incondizionatamente e con tanto amore in ogni mia scelta. Grazie Eleonora di essere sempre presente, il tuo aiuto è stato indispensabile. Ti ho fatto lavorare le notti, controllare e correggere relazioni infinite, subire le mie interminabili riflessioni a voce alta, che sembrano dialoghi e invece sono monologhi molto lunghi e noiosi, i miei momenti di sconforto che si concludevano sempre con un pessimistico “non ce la faremo mai!”. Grazie di appoggiarmi, consolarmi, amarmi. Ringrazio Biancamaria e Giancarlo, il loro sostegno in questi mesi è stato fondamentale. Vorrei ringraziare i miei amici di sempre - Alessandro, Antonio, Lorenzo, Luca, Marco, Nicola, Saul, Tuti - li ho assillati un po’ tutti con i miei discorsi, e a volte parlando con loro ho sciolto dei nodi fondamentali… non gliel’ho mai detto. Lorenzo e Annalisa. Mi sono sempre chiesto perché le persone si impegnassero tanto nello scrivere i ringraziamenti. Mi dicevo: “Che ci vorrà mai,due tre persone al massimo…”, ed invece l’elenco sarebbe lunghissimo, quindi opererò dei tagli. Non si offendano coloro che non sono citati ma ho inserito tutti quelli che hanno fatto parte, volenti o nolenti, di questa esperienza. Un ringraziamento va a tutte le splendide persone che ho conosciuto in questi anni in facoltà, insieme siamo cresciuti a livello personale e culturale, e ci siamo anche divertiti un bel po’! Ringrazio il Prof. Lorenzo Vallerini, in questi mesi mi ha insegnato, appassionato, sostenuto. Lorenzo Caro Lorenzo, ne è passato del tempo dal quel giorno in aula 3 quando insieme a Ale ti chiedemmo se volevi fare l’esame di analisi con noi, visto che eri della solita provincia. Quante avventure abbiamo passato insieme… dalla Signora Piccolomini, ai restauri su solai traballanti in eremi sperduti, dai campi nomadi alle fughe da inseguimento di cani o cacciatori inferociti, dalle ore passate a filosofeggiare progetti mai realizzabili fino alla consapevolezza che unendo le forze avremmo potuto formare un’ottima squadra. Con questa tesi ti ho conosciuto molto di più, mi hai fatto confondere molto ma anche divertire ed ora eccoci qui. Ti auguro un buon futuro perché ti stimo molto anche se so che senza i miei crono programmi sarà più difficile anche per te. Buona fortuna. Cari mamma, babbo, nonna e nonno se sono qui ora è grazie a voi, ai vostri sacrifici, ai vostri incoraggiamenti e alle vostre preghiere. So che non potrò mai fare qualcosa uguale in cambio per voi ma so anche che voi siete felici ugualmente così. Caro rospetto, ho iniziato l’università che eri una bambina e ora ti sembra di essere già grande (perché ancora non lo sei). A parte quanto mi fai arrabbiare quando mi rispondi male tutte le volte che cerco di insegnarti qualcosa, devi sapere che la tua vitalità e la tua energia sono molto importanti per me e che ti voglio tanto bene. Poi ci tengo a ringraziare particolarmente Anto, Cate e Giulia perché per me siete proprio un bell’esempio per la solarità e la fantasia che avete e per la positività che comunicate. E Fabrizio che lo sento come una spalla sulla quale contare. Infine grazie anche a Iole e Rino, per tutto l’affetto che mi date e per quanto mi fate divertire. Passando agli amici voglio partire dal mega-gruppone di Staggia: grazie per tutti i bei momenti passati assieme, di gioia ma anche di crescita personale, sono sicura che voi ci sarete sempre per me, come io per voi. Poi ci tengo particolarmente a ringraziare tutti gli amici che ho conosciuto grazie a Marco. Sia il gruppone di Siena (il Pisto, Checco, Giulio, Ago, Anto, Edo, France P. e le rispettive girls: Gemma, Elena,Francesca,Sere e Moni) sia Luca,Fabri e Giacomo, perché vi stimo tutti davvero tanto e siete tutti davvero carini. Passo al magico gruppo degli insuperabili 4 (io, Giuli,Fede e Cosi): adesso che ognuno di noi sta costruendo la sua famiglia mi fa piacere ritrovarvi vicino, riconfrontarmi con voi un po’ uguali un po’ diversi da come vi ho lasciato, ma sicuramente consapevoli che è bello ricoltivare la nostra longeva amicizia. Infine ringrazio tutti gli altri miei amici sparsi per il mondo, tutti i miei compagni di uni e tutti quelli che sono qui ad ascoltarmi. Ognuno di voi mi ha dato e arricchito davvero tanto. Quindi grazie a tutti di nuovo. E adesso passiamo alla persona più importante della mia vita. Quella che sette anni fa mi ha preso per mano che ero una bambina e mi ha fatto diventare una donna. Mi ha insegnato a camminare senza guardarmi indietro, mi ha fatto scoprire la mia unicità e mi ha fatto scontrare con i miei limiti per superarli insieme. Per me sei stato e sarai sempre la mia forza più grande. Ti amo Annalisa 127