Gli Usa fanno ripartire le vendite grazie alla concessione di credito

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Gli Usa fanno ripartire le vendite grazie alla concessione di credito
Economia | Novità e strategie dell’automotive
Gli Usa fanno ripartire le vendite grazie alla concessione di credito ai clienti.
L’Europa è in affanno, Italia e Francia in particolare, mentre la Spagna
ha conquistato investitori stranieri per produrre auto sul suolo iberico.
Intanto il mercato asiatico va benissimo e la tecnologia, combinata
con le trasformazioni della domanda, impone un cambio di piani.
L’Italia dovrà difendere le eccellenze che le sono restate, dai motori al design
di Ugo Bertone - illustrazione di Daniela Tosi
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C a 4 ruote
A
ccadde a fine ottobre a Houston, Texas, il grande Stato rinvigorito dal boom dello shale gas. «Stamane», spiega a un
mass media della multinazionale Bloomberg il dealer di
Chrysler Alan Helfman, «è passata da me una signora per comprare una Dodge Dart». La cliente, ahimè, ha un credit score (indice di
affidabilità della carta di credito) assai basso, molto meno della soglia di sicurezza indicato dai vari American Express o Visa. «Un anno fa», confessa il venditore, «le avrei detto di non perdere tempo
da noi. Oggi le cose sono cambiate: quella signora ha un buon lavoro, perciò le ho detto di portarmi la ricevuta della bolletta telefonica e di un altro paio di fatture pagate di recente, E così lei, alla fine, è uscita sorridente alla guida del suo Dart». E sorride anche
lui: rispetto a dodici mesi fa le vendite sono salite del 20 per cento.
Decisamente meno delle emissioni Usa di bond legati ai prestiti
sulle vetture: +27 per cento rispetto al 2012 per un totale di 17,2
miliardi di mutui subprime sull’auto. Un fenomeno che, almeno
per ora, non preoccupa nessuno: il tasso di insolvenza resta contenuto, non oltre il 3 per cento, contro il 13,1 per cento del 2009 quando molte famiglie, stremate dalla crisi dei mutui immobiliari, alzarono bandiera bianca anche sulle rate della macchina. Al contrario, oggi il credito è tornato a fluire copioso, prima sull’auto (setto-
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re di gran lunga meno rischioso) poi sul mattone. E sono tornate a
fiorire le vendite: 15,5 milioni di vetture vendute nel 2013, oltre 16 milioni previsti per il 2014, a un passo dal record del 2007 che si è attestato a 16,8 milioni di auto. Insomma, sintetizza il guru dell’auto Adam Jonas, analista di Morgan Stanley: «Probabilmente nessun altro fattore spiega il rilancio del settore in America quanto la
ripresa della concessione del credito».
LA SPAGNA RECUPERA, LA FRANCIA SOFFRE
Passiamo da questa parte dell’Atlantico. Prima tappa la Spagna,
straziata dalla crisi economica al pari dell’Italia. Ma che, a differenza nostra, si è aggrappata all’auto che oggi rappresenta il 10 per
cento del Pil tra Barcellona e Siviglia. Non impressiona tanto la
ripresa delle vendite, finalmente ritornata già a ottobre scorso con
il segno positivo (+7,6 per cento dopo venti mesi di discesa), che si
spiega con gli incentivi decisi dal governo e dai produttori (duemila euro di sconto complessivi per chi cambia macchina) bensì la
corsa degli investimenti stranieri. Ecco le cifre: la produzione ha
superato la barriera dei 2,2 milioni di auto e dovrebbe salire a 2,4
milioni di unità il prossimo anno, in particolare grazie alle esportazioni. La Spagna, che pure non possiede un’industria nazionale
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Economia
A sinistra: lo stabilimento
Psa-Peugeot Citroen di Poissy,
vicino a Parigi, dove si assembla
la Peugeot 208.
A destra: lavoratori della Sevel Sud
di Atessa, in provincia di Chieti.
Qui si producono veicoli
a marchio Fiat, Peugeot e Citroen
IL
del settore, ha saputo attrarre 17 impianti di dieci produttori. Il
comparto dell’auto ha fissato come obiettivo una produzione pari
a tre milioni nel 2016, obiettivo possibile visto che agli stabilimenti spagnoli sono stati attribuiti di recente parecchi modelli come la
Opel Mokka, prodotta in precedenza in Corea del Sud, e la C3 Picasso della casa automobilistica francese Psa Peugeot-Citroen, due
vetture che saranno fabbricate nel sito Opel di Figueruelas, vicino
a Saragozza, che esporta il 94-95 per cento di quanto produce. Ma
come si spiega questo «miracolo dell’auto» spagnolo? In primis, grande disponibilità da parte del governo centrale e delle regioni che fanno a gara ad assicurare le migliori condizioni per gli investitori. Inoltre, tra i vari fattori spicca l’atteggiamento dei sindacati che hanno accettato accordi che prevedono riduzione dei salari e maggiore
flessibilità, per ottenere nuovi modelli da produrre. Basti, a mo’ di
esempio, il caso della Ford di Valencia dove i lavoratori hanno dovuto accettare nel 2012 cinque giorni di stop per mancanza di lavoro, ma hanno lavorato, a fronte della ripresa della domanda, cinque sabato di fila nel 2013. A Valencia i nuovi assunti guadagnano
il 16 per cento in meno dei più anziani e hanno accettato contratti
a tempo determinato. Intanto, secondo fonti sindacali, i salari del
settore sono in media gli stessi del 2008. Ma, d’altro canto, in un
Paese dove la disoccupazione supera il 27 per cento, l’auto è l’unico
settore in cui gli addetti sono aumentati. E non è poco.
Intanto però, a nord dei Pirenei, la Francia soffre. A fine ottobre, proprio mentre mister Helfman vendeva in Texas una delle tante Dodge Dart a credito, dallo stabilimento Psa di Aulnay-sous-Bois,
nella regione dell’Île-de-France, usciva l’ultima C3 prima della
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chiusura definitiva dello stabilimento, una delle bandiere della storia Peugeot, dove dal 1973 sono state prodotte 8,5 milioni di vetture. Pochi giorni dopo e pochi chilometri più a Nord è stata Ford
Europe ad annunciare l’accordo per la chiusura dello stabilimento
di Genk, centro economico di primo piano nelle Fiandre: la fabbrica con quattromila operai dove si producono Mondeo, Galaxy, SMax cesserà l’attività a fine 2014. L’operazione che costerà all’azienda di Detroit 750 milioni di euro (più altri 250 milioni per la
chiusura di Dagenham e Southampton in Gran Bretagna), ovvero
circa 150.000 euro cadauno. Sacrifici insufficienti, a detta degli analisti, ad affrontare in maniera significativa l’eccedenza della capacità produttiva in Europa occidentale: le fabbriche in attività potrebbero sfornare 7-8 milioni di auto in più se il mercato le richiedesse. Nel corso del 2013 (produzione attorno ai 18 milioni di vetture) molti impianti hanno lavorato al 60 per cento della capacità
o anche meno visto che, come si è visto, spuntano nuovi impianti
in Spagna ma anche nel Regno Unito, altro «Paradiso di ritorno»
dell’auto (a capitale tedesco, giapponese o indiano). Per non parlare della new Europe, Slovacchia in testa.
IL DECLINO DELL’ITALIA
E veniamo infine all’Italia. I numeri del 2013 sono da incubo. Ad
ottobre, a differenza di quel che è accaduto nel resto d’Europa, le
vendite hanno segnato ancora il passo. Il mercato, giunto al ventisettesimo mese di flessione, totalizza 110.000 auto, ovvero poco sopra ai numeri dell’ottobre 1977, 36 anni fa, e nell’insieme dei primi
dieci mesi dell’anno sono stati assorbiti 1,1 milioni di macchine.
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Dal punto di vista della produzione i dati non
la transizione da produttore generalista, basaLa Spagna non possiede più
sono certo più confortanti: 367.628 mezzi proto sui volumi, a uno di alta gamma, che si basa
dotti nei primi sei mesi 2013, di cui solo 222.848 un’industria nazionale dell’auto, sulla valorizzazione del brand e su veicoli a magma ha saputo attrarre
auto. Il che significa che nel 2013 dagli stabiligiore valore aggiunto. Di qui l’investimento mas17
impianti
di dieci produttori, siccio su Maserati, sui nuovi progetti sull’Alfa
menti italiani sono uscite poco più di 400.000 vetcon l’obiettivo di raggiungere
ture, ai livelli del 1958, prima che il boom econoe sulla serie 500 al traino delle eccellenze emii
tre milioni di veicoli nel 2016. liane, Ferrari in testa. Una scelta strategica con
mico trasformasse l’Italia in una grande realtà
Il risultato è che ora il settore
manifatturiera. Sui destini delle quattro ruote,
ottime possibilità di riuscita, se funzionerà la
rappresenta il 10 per cento
nel Belpaese, si è scatenata la tempesta perfetrampa di lancio garantita dall’asse globale Fiatdel Pil nazionale.
ta: la congiuntura economica negativa, l’aspra
Chrysler che offrirà, dal Brasile al Nord Amepressione fiscale, la contrapposizione ideologica Inoltre, con gli incentivi delle case rica e fino alla Cina, la massa critica per conche ha reso assai difficili nuove relazioni indu- automobilistiche e del governo, frontarsi a tutto campo con i competitor.
crescono anche le vendite:
striali che anche da lontano riproducessero le conResta il fatto che, con l’eccezione dell’Italia,
+7,6
per cento a ottobre 2013
dizioni assicurate ai nuovi investimenti in Spala mano pubblica, visibile o meno, continua a
dopo venti mesi di discesa
gna o in Gran Bretagna, con l’aggravante di confarsi sentire un po’ovunque, come è ovvio visto
tinui colpi di scena giudiziari sul fronte Fiat.
che l’auto, assieme all’edilizia, è ancora il prinNullo o quasi l’intervento dello Stato, in termini
cipale volano occupazionale dell’economia modi sgravi fiscali o di incentivi di altro genere. A deprimere il settore
derna, tanto che, per ogni addetto diretto alla produzione di auto,
contribuisce la fiscalità (72,7 miliardi nel 2012, pari al 4,4 per
si contano altri sette addetti nell’industria, nei servizi e perfino
cento del Pil). Non stupisce, a questo punto, che l’Italia sia scesa nella ricerca hi-tech. E così, all’origine del turnaround americano
dal podio, scivolando al quarto posto, dietro la Spagna, per le ven- c’è il massiccio intervento di Washington, interamente ripagato da
dite tra i mercati dell’Europa occidentale.
Chrysler ma non da Gm, che allo Stato federale è costato 9,2 miÈ un declino irreversibile? Assolutamente no. Ma i protagonisti liardi di dollari. Per non parlare degli incentivi che hanno aiutato
dell’auto italiana, oggetto di una profonda trasformazione (spesso
la ripresa di Ford (circa cinque miliardi di dollari) o l’avvio della
invisibile) nel corso del 2013 hanno dovuto prendere atto che alstraordinaria e un po’incredibile ascesa di Tesla, l’auto elettrica di
l’Italia, un po’ per le condizioni del mercato interno, un po’ per le ca- lusso schizzata a nove miliardi di dollari di valore a Wall Street
ratteristiche dei vari fattori del settore, si imponeva di accelerare prima di correggere il tiro verso il basso. Non meno efficace, come
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abbiamo visto, l’azione pubblica a Madrid o nel
Regno Unito, dove sindacato e governi locali
fanno a gara per offrire le migliori condizioni
contrattuali e fiscali alle new entry. Ma il quadro non cambia se si guarda ad altre potenze
vecchie e nuove del pianeta auto: il Brasile ha
avviato una massiccia (e più che opinabile) politica a sostegno della produzione locale. Il Giappone di Shinzo Abe sta contrattando con i big
dell’auto una politica di storni fiscali per favorire il rientro nel Sol Levante di componentistica e ricerca. Incentivi a pioggia sono la regola in Russia.
La road map dell’auto
all’uscita dal tunnel
della crisi di inizio millennio
non è un rettilineo
ma piuttosto una rotonda
che si apre su numerose
possibili vie. Un panorama
che spiega la voglia di alleanze,
scambi tecnologici ma anche
di rivalità e aspri conflitti
in un settore già maturo
ma a caccia di novità
e di killer application.
Lo dimostra il successo
di Tesla Motors, che ha fatto
girare la testa a Wall Street:
in un solo anno l’auto elettrica
di lusso ha raggiunto in Borsa
un valore più che doppio di Fiat
con un balzo del 400 per cento
girare la testa a Wall Street: Tesla Motors, l’auto
elettrica di lusso che in un solo anno ha raggiunto in Borsa un valore più che doppio di Fiat con
un balzo del 400 per cento, pur non essendo stata in grado di produrre più di 5.500 vetture in un
trimestre. A un secolo esatto dall’inaugurazione
nel 1913 dell’impianto di Baton Rouge, culla della Ford T e della catena di montaggio, ovvero della motorizzazione di massa, il mondo dell’auto
cerca un salto di qualità: dall’auto per tutti alla
mobilità sostenibile. Ad esempio, al cliente tedesco che compra una Bmw elettrica, la casa di Monaco si accinge a offrire pacchetti che consentiranno di disporre di auto per tragitti a lunga diIL CASO TEDESCO
stanza in Italia. Non è che una delle varie formuDiverso, ma non meno clamoroso, il caso tele che, di qui al prossimo futuro, punteranno a
desco: è stato sensazionale l’intervento a gamlegare il cliente a un brand piuttosto che a un prodotto, garantendo più flessibilità e meno immobiba tesa della cancelliera Angela Merkel sui lilizzazioni finanziarie. Si fanno infatti strada novelli delle emissioni di CO2 delle auto, sospesi
vità tecnologiche di prodotto (sempre più elettroe diluiti per consentire ai gruppi tedeschi il tempo necessario per recuperare il distacco dalla
nica e minor peso della meccanica tradizionale),
Fiat. Uno stop che brucia ancora di più quando
di processo e non meno importanti, capacità di risi è scoperto che l’operazione era stata precesposta a una diversa domanda del mercato: semduta dai contributi alla Cdu da parte dei mempre più forte è quello cittadino (si stima che nel
bri della famiglia Quandt, soci di controllo di
2050 il 75 per cento della popolazione mondiale
vivrà in centri urbani) che obbliga a pensare auBmw. Ma lascia da pensare il fatto che lo stop
to più pulite, sulla spinta dei clienti e delle autosia stato reso possibile dalla quiescenza dei corità. Inoltre, i consumatori sono sempre meno afstruttori francesi che pure avrebbero avuto buone ragioni per schierarsi a fianco degli italiani.
fezionati all’auto intesa come status symbol (che
O forse la chiave l’ha offerta Carlos Ghosn, imcomunque resta un richiamo molto forte) e si diprenditore brasiliano leader supremo di Renault
mostrano invece sempre più attenti a soluzioni
e Nissan, impegnato a tessere alleanze a tutto
di mobilità a tutto tondo, dall’auto elettrica al
campo, da Daimler a Mitsubishi, e l’auto coreacar sharing alla vettura che si guida da sola, traTesla Motors è stata fondata
sformando
la «carrozza con i pneumatici» in un
na. Ghosn è il manager che ha puntato prima
nel 2003 e oggi vende in 37 Paesi
luogo di lavoro e svago a 360 gradi. Fantasciene di più sullo sviluppo dell’auto elettrica: entro
za? Un recente sondaggio negli Usa dimostra
il 2016, era la sua previsione, le vendite avrebbero superato quota 1,5 milioni di vetture. Una
che la maggior parte dei guidatori è disposta a
previsione che però si è rivelata clamorosamente sbagliata per provarla, a una condizione: un forte sconto delle tariffe dell’assicueccesso. In un’intervista al «Financial Times» il magnate ha attri- razione.
buito il flop ai limiti delle strutture di servizio: rimesse attrezzate
per le ricariche, centri di assistenza così via. Un gap che potrà CAMBIO DI STRATEGIE
Come sempre, insomma, l’auto si rivela il sensore più fedele e
essere risolto quando, come sta già avvenendo, entreranno sul
mercato Bmw e Volkswagen assieme a Daimler (associata a Re- immediato non solo della temperatura dell’economia, ma anche
dei mutamenti della società. La novità rispetto al recente passato,
nault). Insomma, l’electric car vale la rinuncia al motore pulito.
Anche da questo si capisce che la road map dell’auto, all’uscita è che la tecnologia, combinata con le trasformazioni della domandal grande tunnel della crisi di inizio millennio, non assomiglia a da globale, impone un cambio di strategie. Non basta più, come anun lungo rettilineo autostradale. Piuttosto a una rotonda che si a- ticipò Sergio Marchionne alla vigilia della grande crisi, avere una
pre su numerosi possibili vie, un panorama che spiega la voglia di massa critica di almeno cinque-sei milioni di vetture da allestire
su piattaforme flessibile in grado di sopportare milioni di pezzi,
alleanze, scambi tecnologici ma anche di rivalità e aspri conflitti
in un settore già maturo ma a caccia di novità e di killer applica- opportunamente rivisitati e diversamente allestiti. Ormai, la segtion, come dimostra il successo della «carta matta» in grado di far mentazione di una domanda sempre più sofisticata (ma anche mol-
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2008
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Economia
to esigente sul piano dei prezzi) rende necessarie collaborazioni e alleanze nelle aree regionali più che azioni di conquista. II
confronto nel futuro sarà tra sciami di api
operaie capaci di operare a tutto campo sullo scacchiere globale. La saggezza degli Stati consisterà nel sapere offrire degno domicilio, anche se non esclusivo, alle poche
api regina. Regno Unito e Spagna moltiplicano gli sforzi per allestire centri di design e di ricerca all’altezza dei loro clienti.
Guai se l’Italia non saprà difendere, con i
denti, le eccellenze che restano, dai motori
al design. In attesa che il Paese sappia
cambiare marcia, come è necessario.
Sembra impossibile, se visto con occhi italiani, ma sul mercato globale l’industria
automobilistica all’alba del 2014 va benissimo. Anzi, non è mai andata meglio perché
recupera ampiamente le vetture in meno
prodotte in Europa con quelle che riesce a
realizzare negli altri continenti. Nel 2013
è stato superato il record dell’anno prima,
quando secondo l’Oica (Organisation internationale des constructeurs d’automobiles) erano stati prodotti complessivamente nel mondo 84.141.209 veicoli, divisi tra
63.069.541 automobili e 21.071.668 veicoli
commerciali. La parte del leone l’ha fatta
la Cina che ha superato il tetto dei 20 milioni di veicoli, ma scalpita perché stenta a
colmare il gap tecnologico rispetto a europei e americani. Ma sul fronte della produzione si sono ormai imposti nuovi competitor, al seguito della corazzata della Corea
del Sud. Scalpita anche la Tailandia che ormai produce oltre 2,5 milioni di auto (quattro volte tanto l’Italia), mentre il Messico
(membro del Nafta) è in strenua competizione con il Brasile per la leadership in America Latina. In Europa cresce la produzione in Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia e Romania. E non va dimenticata la
Turchia.
E così via: nell’epoca dell’auto globale si
moltiplicano le aree di produzione nazionale. E tra queste l’Italia può ancora recitare un ruolo, per giunta di alto valore aggiunto. Purché torni a guardare all’auto con
affetto e rispetto, come ha fatto nei suoi anni migliori.
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