La rintracciabilità nella filiera della pasta
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La rintracciabilità nella filiera della pasta
Dipartimento di Scienze Economiche, Matematiche e Statistiche Università degli Studi di Foggia ____________________________________________________________________ La rintracciabilità nella filiera della pasta: aspetti economici e tecnici Emilio De Meo, Roberta Sisto, Michele Solimando Quaderno n. 21/2005 Quaderno riprodotto al Dipartimento di Scienze Economiche, Matematiche e Statistiche nel mese di novembre 2005 e depositato ai sensi di legge Authors only are responsible for the content of this preprint. _______________________________________________________________________________ Dipartimento di Scienze Economiche, Matematiche e Statistiche, Via IV Novembre, 1, 71100 Foggia (Italy), Phone +39 0881-77.61.97, Fax +39 0881-77.56.16 LA RINTRACCIABILITÀ NELLA FILIERA DELLA PASTA: ASPETTI ECONOMICI E TECNICI∗ Emilio De Meo, Roberta Sisto, Michele Solimando 1. PREMESSA Nel gennaio 2002 viene emanato il Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio (1) che «stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare». Il regolamento, detto anche General Food Law, riguarda tutta la filiera agro-alimentare, secondo il motto “dal campo alla tavola” (from the farm to the fork) ed ha lo scopo precipuo – art. 1, n. 1 – di «garantire un livello elevato di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti, … ». Per raggiungere lo scopo prefissato (2): - «reca i principi generali da applicare nella Comunità e a livello nazionale in materia di alimenti e mangimi in generale» al fine di pervenire ad una uniformità di concetti, procedure e legislazioni tra gli Stati membri in materia di alimenti; - «istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare» quale punto di riferimento per un’autorevole ed indipendente assistenza scientifica e tecnica nella valutazione del rischio alimentare; - «stabilisce procedure relative a questioni aventi un’incidenza diretta o indiretta sulla sicurezza degli alimenti e dei mangimi» così da coordinare e mettere in campo le misure più efficaci e rapide per la gestione delle crisi alimentari; - «disciplina tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli alimenti e dei mangimi» con un corpus organico di norme e procedure generalizzate e rivolte, erga omnes, a tutti gli operatori della filiera. L’approccio del legislatore è, infatti, di tipo globale, o addirittura unitario, cercando di accantonare lo schematismo con cui in passato si era affrontata la questione della sicurezza alimentare a favore di un approccio integrato tra le molteplici fasi attraverso le quali dalla produzione delle materie prime agricole si giunge alla produzione di alimenti e mangimi. ∗ Il lavoro è frutto della collaborazione tra gli Autori; tuttavia, i paragrafi 1, 2 e 5 sono da attribuirsi a Roberta Sisto; il paragrafo 3 a Emilio De Meo e il paragrafo 4 a Michele Solimando. 1 G.U.C.E. L 031 del 01/02/2002 p.1. 2 Reg. (CE) 178/02, art. 1. 1 E’ proprio nell’ambito dell’intero processo che le materie prime compiono per diventare alimenti che il legislatore comunitario, attraverso il reg. 178/02, dispone la rintracciabilità3 di tutto ciò che può trasformarsi in alimenti o mangimi. Nella sostanza, è richiesto di tenere traccia del percorso che va dalla materia prima all’alimento finito, in modo tale da poterlo ripercorrere al contrario ed identificare tutte le aziende che vi hanno preso parte. Si ritiene, infatti, che solo in questo modo sia possibile risalire alle cause ed alle responsabilità di eventuali crisi alimentari e circoscrivere i problemi sul nascere – focalizzando gli interventi ed i controlli – oltreché evitare che lo stesso problema si ripeta. In questa accezione la tracciabilità della filiera si pone anche come strumento di condivisione delle responsabilità tra gli attori della filiera. La rintracciabilità di filiera, migliorando la trasparenza delle informazioni relative al processo di produzione di alimenti, ha effetti dal punto di vista economico oltre che tecnico. Poiché il legislatore fissa l’obiettivo ma non definisce gli strumenti ed i metodi da adottare, è importante comprendere, come raggiungere il traguardo finale. In virtù di queste considerazioni, con il presente lavoro si è voluto fare chiarezza sull’applicazione di un sistema di rintracciabilità di filiera. A tal fine, dopo un esame degli aspetti economici legati alla rintracciabilità e ai benefici conseguenti la riduzione di una specifica causa di fallimento del mercato come l’informazione asimmetrica, si è concentrata l’attenzione sugli aspetti normativi al fine di fornire delle indicazioni operative per l’attuazione di un sistema di rintracciabilità che soddisfi i requisiti legislativi nei limiti delle criticità del settore. In particolare, dal punto di vista normativo, per meglio comprendere lo spirito del regolamento e, quindi, le prescrizioni dell’art. 18 (rintracciabilità), dopo un excursus della legislazione in materia precedente l’emanazione del Regolamento, l’analisi si è concentrata sul Regolamento stesso a partire da alcuni consideranda. 3 I termini “tracciabilità” e “rintracciabilità” vengono spesso utilizzati come sinonimi. In realtà, essi identificano due processi speculari: la tracciabilità (tracking) è il processo che segue il prodotto nel suo nascere da monte a valle della filiera e fa in modo che, ad ogni stadio attraverso cui passa, vengano lasciate opportune tracce (dati ed informazioni); la rintracciabilità (tracing) è il processo inverso, con cui si è in grado di raccogliere e riassemblare le tracce precedentemente lasciate. I due processi sono evidentemente interconnessi e, per in casi in cui non è specificata la direzioni in cui ci si muove, utilizzeremo il termine rin/tracciabilità ad indicare il sistema nella sua globalità. 2 2. ASPETTI ECONOMICI La tutela della salute dei consumatori per ciò che attiene l'alimentazione è attualmente oggetto di notevole interesse sia da parte del legislatore, sia da parte dei cittadini in quanto consumatori. In questa direzione, il regolamento sulla rintracciabilità si pone come intervento istituzionale per migliorare le condizioni di informazione relative alla produzione di alimenti. Scopo di questo paragrafo è pertanto quello di fare alcune riflessioni sugli aspetti economici della rintracciabilità di filiera. E’ ormai noto come la modernizzazione del sistema agroalimentare sia nei modelli di consumo sia di produzione abbia determinato un aumento del livello di incertezza degli operatori circa le caratteristiche dei beni presenti sul mercato e di asimmetria informativa tra produttori e consumatori. Le conseguenze delle condizioni di asimmetria non si manifestano solo nell’impossibilità da parte del consumatore di percepire la vera qualità dei prodotti, ma possono determinare anche imperfezioni del mercato (Caiati, 1995; Caswell; Mojduszka, 1996; Magni; Driussi, 1998). A partire dalle possibilità che i consumatori hanno di valutare le caratteristiche dei beni di consumo, Nelson (1970) ha proceduto ad una loro classificazione in beni ricerca (search goods) e beni esperienza (experience goods). Come noto, i beni ricerca sono tutti quei beni le cui qualità possono essere accertate dai consumatori prima dell’acquisto a seguito dell’acquisizione di informazioni abbastanza complete sulla loro qualità e quindi sull’attitudine a soddisfare i propri bisogni. Sono beni acquistati un numero limitato di volte nel corso della vita e per i quali i consumatori sono disposti a spendere parte del loro tempo nel ricercare accuratamente determinate caratteristiche. Nel caso dei beni esperienza invece, la qualità può essere giudicata solo dopo l’acquisto e l’utilizzo del bene stesso, per cui i consumatori possono conseguire le informazioni sulla qualità solo attraverso l’esperienza diretta. Si tratta di beni di largo consumo e comprendono la maggioranza degli attributi dei beni alimentari. Una terza categoria introdotta successivamente da Darby e Karni (1973) è quella di beni fiducia (credence goods) e comprende quei beni la cui qualità non può essere valutata nemmeno dopo il consumo, per cui il consumatore è consapevole di dover compiere un “atto di fede” nei confronti degli attributi posseduti. Per questi beni, è possibile distinguere tra “attributi di contenuto” e “attributi di processo”. Gli attributi di contenuto influiscono su proprietà fisiche del prodotto difficilmente percepibili dai consumatori come per 3 esempio il contenuto in vitamine di un bicchiere di succo d’arancia. Gli attributi di processo invece, non influiscono sul contenuto finale degli alimenti ma si riferiscono a caratteristiche del processo produttivo a cui il consumatore non riesce a risalire facilmente come per es. il paese di produzione, il rispetto di standard minimi di salvaguardia della salute degli animali e delle risorse ambientali, la produzione secondo i metodi dell’agricoltura biologica o integrata, ecc. Si tratta essenzialmente di beni alimentari per i quali, le condizioni di asimmetria informativa che caratterizzano lo scambio sono tali da rendere necessario un intervento istituzionale che limiti sia le occasioni di “adverse selection” sia di “moral hazard” (Akelorf, 1970; Pilati; Ricci, 1991; Caswell; Mojduska, 1996) (4). Di qui la rilevanza di tutte le varie forme di certificazione alimentare, di processo e di prodotto, diffusesi in questi ultimi anni, con il duplice scopo di tutelare i consumatori riducendone la “fiducia” da riporre nei produttori e di rappresentare una base per la differenziazione/valorizzazione dei prodotti di qualità. Questa necessità si è resa tanto più forte in quanto si tratta di dover garantire la salubrità di un alimento ”essendo evidente che un prodotto non sicuro non può essere considerato nemmeno un alimento” (Peri, 1990). Un aspetto importante della sicurezza alimentare è la "rintracciabilità" al fine di garantire che tutto ciò che entra nella catena alimentare (mangimi, animali vivi destinati al consumo umano, alimenti, ingredienti, additivi, etc.) conservi traccia della propria storia, seguendone il percorso che va dalle materie prime fino alla erogazione al consumatore finale. Nel quadro molto complesso attinente al contenuto in sanità degli alimenti, reso ancor più “sensibile” dalle attuali emergenze alimentari, la rintracciabilità di filiera si rende indispensabile per un duplice motivo. La prima ragione è riconducibile alla oggettiva difficoltà di valutare gli attributi credence come la salubrità di un alimento. Il secondo motivo è rappresentato dalla difficoltà da parte dei consumatori di verificare gli attributi credence e dalla conseguente maggiore probabilità di frode o comportamenti opportunistici da parte dei produttori. La garanzia della rintracciabilità di filiera quindi, pur non contribuendo ad innalzare il livello di sicurezza alimentare o il contenuto di altri attributi qualitativi è in grado di 4 Nel caso dell’adverse selection, in cui l’atteggiamento opportunistico dei produttori avviene prima dello scambio, determina il rischio che sul mercato, i prodotti di cattiva qualità venduti a prezzi bassi scaccino quelli buoni venduti a prezzi più elevati. Diversamente, il moral hazard che invece caratterizza le fasi successive allo scambio o contratto, avviene se i produttori, una volta firmato il contratto con i propri clienti immettono sul mercato prodotti non rispondenti alle aspettative. 4 influenzare la qualità percepita dei prodotti alimentari trasferendo, attraverso un opportuno sistema documentale, le informazioni lungo la catena di fornitura (Souza-Monteiro; Caswell, 2004). E’ pertanto lecito ipotizzare che quanto più una filiera è caratterizzata da elevati gradi di rintracciabilità, tanto minore è l’asimmetria informativa tipica delle produzioni credence, con una conseguente limitazione del meccanismo della selezione avversa dei produttori (Zanni, 2003). Infine, è importante rimarcare come, la possibilità di rintracciare l’intera filiera dipenda dal settore considerato. Nello specifico caso, la filiera della pasta presenta alcune caratteristiche che rendono problematica l’applicazione delle procedure di rintracciabilità. La ragione principale di tali problemi riguarda il fatto che i sili in cui sono immagazzinati i lotti delle materie prime (granella, semola, farina) sono di grandi dimensioni e sono normalmente utilizzati e reintegrati secondo un flusso continuo, per cui il materiale in essi contenuto è difficilmente segregabile per lotti. Inoltre, la situazione si complica ulteriormente nel caso in cui vengano effettuate delle miscelazioni tra diverse varietà al fine di migliorare il tenore proteico del prodotto finale rendendo impraticabile la registrazione dei lotti di origine (Zanni, 2003). Per la filiera oggetto di studio, vi sono delle fasi che, per le caratteristiche intrinseche al processo produttivo stesso si prestano ad un certo livello di anonimato che può rappresentare un elemento di riduzione degli incentivi da parte delle imprese ad investire in sistemi di rintracciabilità nonostante la responsabilità legale a cui sono soggette. Forzando il concetto originario di rendita ricardiana, si può pensare ad una situazione che potremmo definire di “rendita di settore” di cui godrebbero i produttori di alcune filiere come quella pastaria. In questo caso, infatti, la rendita deriverebbe dai minori costi produttivi sostenibili dagli imprenditori che confiderebbero così sull’anonimato garantito dall’appartenere alla filiera della pasta piuttosto che della carne o delle uova nelle quali il sistema di rintracciabilità è pressoché perfetto. Il comportamento opportunistico degli imprenditori motivato dalla possibilità di appropriarsi della “rendita di settore” si rifletterebbe così sul mercato incrementando il rischio di moral hazard (5) nei confronti dei clienti e/o consumatori. 5 I produttori potrebbero compiere delle frodi commerciali sfruttando la difficoltà da parte degli acquirenti di risalire con esattezza al fornitore della partita. 5 3. IL PERCORSO NORMATIVO Il tema della rin/tracciabilità dei prodotti agro-alimentari si origina nel più vasto ambito della sicurezza alimentare nell’Unione Europea, tema che a sua volta prende le mosse dalla volontà del legislatore comunitario di gettare le basi per l’istituzione di un mercato comune dei fattori produttivi e dei prodotti, quale strumento per promuovere il processo di integrazione politica ed economica tra gli Stati membri anche attraverso l’eliminazione, fra gli stessi, degli ostacoli alla libera circolazione di persone, servizi, capitali e merci, in questa sede viste come alimenti. A seguito di direttive (6) nonché di sentenze conseguenti a cause originatesi dagli ostacoli alla libera circolazione di prodotti alimentari (Costato, 2002) si è via via affermato il principio del «mutuo riconoscimento», secondo il quale un prodotto, ottenuto legittimamente in uno Stato membro, deve poter circolare ed essere compravenduto in ogni altro Stato membro, a meno che quest’ultimo lo impedisca per rispondere ad esigenze imperative, così elencate dalla Corte: - «efficacia dei controlli fiscali», - «protezione della salute», - «lealtà dei negozi commerciali», - «difesa del consumatore» (7). Pertanto, già sul finire degli anni ’70 la protezione della salute del consumatore diventa un prerequisito per consentire la libera circolazione delle merci all’interno dello spazio comunitario. Nel 1979, la direttiva n. 79/112 definisce il concetto di etichetta come «l’insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su una etichetta appostavi o sul dispositivo di chiusura o su cartelli, anelli o fascette legati al prodotto medesimo o, in mancanza, in conformità a quanto stabilito negli artt. 14, 16 e 17, sui documenti di accompagnamento del prodotto alimentare». Lo stesso concetto viene ripreso nella direttiva n. 2000/13 (8) considerando che «Differenze tra le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati 6 Dir. 70/50/CEE. IDAIC, 2003, p. 115. 8 Dir. 2000/13/CEE, considerando n. 2. 7 6 membri in materia di etichettatura dei prodotti alimentari possono ostacolarne la libera circolazione e possono creare disparità nelle condizioni di concorrenza». All’art. 3 n. 8 è previsto, tra le altre indicazioni obbligatorie, «il luogo d'origine o di provenienza, qualora l'omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare». Anche nel caso dell’etichettatura, vi è quindi un riavvicinamento della legislazione dei diversi Stati membri al fine di agevolare la libera circolazione delle merci, con un esplicito richiamo al luogo d’origine del prodotto. Sebbene questo non sia l’obiettivo del regolamento in esame, la possibilità di risalire all’origine del prodotto è certamente un prodotto del sistema di rin/tracciabilità. Alla direttiva n. 79/112 fa seguito la direttiva n. 85/374 del 26 luglio 1985 che, sempre nell’intento di perseguire la libera circolazione delle merci nel mercato comune e di tutelare la salute del consumatore (9) , introduce il concetto di “responsabilità per danno da prodotto difettoso”. Tale responsabilità è stata poi estesa ai prodotti agricoli non trasformati con successiva direttiva n. 99/34, considerato che «il principio della responsabilità oggettiva di cui alla direttiva 85/374 deve essere applicato a qualsiasi tipo di prodotto, compresi i prodotti agricoli» (10). Con questo tassello il legislatore comunitario completa il processo di riavvicinamento delle legislazioni nel settore alimentare, sottraendo agli Stati membri notevoli competenze in materia. Nel 1991 il termine rintracciabilità compare per la prima volta nella regolamentazione comunitaria, con riferimento al metodo di produzione biologico. Il reg. 2092/91 relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli all’art. 9, comma 12, dispone che «gli Stati membri assicurano che i controlli interessino tutte le fasi di produzione, macellazione, sezionamento ed eventuali altre preparazioni fino alla vendita al consumatore onde garantire, per quanto tecnicamente possibile, la rintracciabilità dei prodotti.». Inoltre, per garantire al meglio la sicurezza igienico-sanitaria dei prodotti alimentari la Comunità ha adottato la direttiva sull’igiene dei prodotti alimentari (11) , che obbliga chi produca o commerci prodotti alimentari ad analizzare e tenere sotto controllo permanente tutte le fasi della sua attività, avvalendosi dei principi su cui è basato il sistema H.A.C.C.P. 9 Dir. 85/374/CEE, cons. n. 1. Dir. 99/34/CEE, cons. n. 8. 11 Dir. 93/43/CEE del Consiglio, recepita in Italia con D.Lgs. 155 del 26 maggio 1997. 10 7 (Hazard Analysis and Critical Control Points) ( 12 ) . All’art. 3, comma 4, del D.lgs. 26/05/1997, n. 155, seppure non esplicitamente menzionata, si adotta il concetto di rintracciabilità imponendo al responsabile dell’industria alimentare il ritiro dal mercato dei prodotti che possano presentare un rischio immediato per la salute «e di quelli ottenuti in condizione tecnologiche simili» (13). In questo contesto ci si muove solo verso valle, con il ritiro dei prodotti immessi in commercio, e nell’ambito della singola azienda con l’individuazione dei lotti che possano presentare i medesimi rischi. Nulla si dice invece circa i passaggi a monte e l’origine vera del problema, ovvero la cosiddetta “rintracciabilità delle responsabilità”. Successivamente, le gravi emergenze alimentari note come “mucca pazza” e “pollo alla diossina” hanno indotto la Commissione a produrre due documenti programmatici: il “Libro verde”, del 1997, ed il “Libro bianco della Commissione Europea sulla sicurezza alimentare”, del 2000. Con il Libro verde – Principi generali della legislazione in materia alimentare nell’Unione europea ( 14 ) – la Commissione, analizzando i diversi aspetti delle proble- matiche alimentari, si prefigge il compito di definire una normativa che consenta di: - individuare il responsabile di eventuali vizi del prodotto in ogni fase della catena alimentare, anche attraverso la tracciabilità (15); - assicurare al consumatore l’informazione corretta “sulla natura e sul contenuto dei prodotti alimentari”; - definire con precisione le responsabilità dei vari organismi di controllo nonché i tipi di controllo da effettuare ad ogni livello della filiera agro-alimentare. Successivamente, con il “Libro bianco sulla sicurezza alimentare” (16), la Commissione delinea un ampio ed articolato programma di interventi che culminerà nel regolamento 12 Nell’aprile 2004 sono stati pubblicati tre regolamenti comunitari: il n.852 (igiene dei prodotti alimentari), il n.853 (igiene degli alimenti di origine animale) ed il n.854/2004 (organizzazione dei controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano). I tre regolamenti citati sono stati accompagnati dalla dir. 2004/41 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, in GUCE L 195 del 3 giugno 2004. Essa trova attuazione dal momento dell’applicazione dei regg. 852, 853 e 854/2004 ed abroga diverse direttive tra le quali la dir. 93/43 sull’H.A.C.C.P. 13 « Qualora a seguito dell'autocontrollo di cui al comma 2, il responsabile dell'industria alimentare constati che i prodotti possano presentare un rischio immediato per la salute provvede al ritiro dal commercio dei prodotti in questione e di quelli ottenuti in condizione tecnologiche simili informando le autorità competenti sulla natura del rischio e fornendo le informazioni relative al ritiro degli stessi; il prodotto ritirato dal commercio deve rimanere sotto la sorveglianza e la responsabilità dell'autorità sanitaria locale fino al momento in cui, previa autorizzazione della stessa, non venga distrutto o utilizzato per fini diversi dal consumo umano o trattato in modo da garantirne la sicurezza; le spese sono a carico del titolare dell'industria alimentare ». 14 Commissione Europea, 1997. 15 Corsivo dell’Autore. 16 Commissione Europea, 2000, p. 3. 8 178/02. Si parte dall’assunto che « Assicurare che l'UE disponga degli standard più elevati possibili di sicurezza alimentare costituisce per la Commissione una priorità strategica fondamentale» e si prefigura l’istituzione di una “Autorità alimentare europea indipendente” «accompagnata da tutta una serie di altre misure per migliorare e rendere coerente il corpus della legislazione concernente tutti gli aspetti dei prodotti alimentari "dai campi alla tavola"». La Commissione riafferma, inoltre, la necessità di attivare sistemi sempre più accurati di monitoraggio sulla filiera alimentare in modo tale da «rintracciare i prodotti lungo tutta la catena alimentare», e poter «prendere misure di salvaguardia rapide ed efficaci onde rispondere ad emergenze sanitarie che si manifestino in qualsiasi punto della catena alimentare», ovvero lanciare tempestivamente un allarme in caso di bisogno ed indirizzarlo in modo mirato e non generalizzato.(17) Il concetto di rintracciabilità è ripreso ancora al cap. 2 n. 10, quando si afferma che «Una politica alimentare efficace richiede la rintracciabilità dei percorsi dei mangimi e degli alimenti nonché dei loro ingredienti». A tal fine la norma prevede anche l’introduzione di adeguate procedure per agevolare tale rintracciabilità. Dunque il Libro Bianco fa della rintracciabilità uno strumento essenziale per poter garantire elevati standard di sicurezza alimentare. I concetti delineati nei due “libri” sono stati successivamente tradotti nei dettami del reg. CE 178/02, che, per quanto finora esposto, lungi dall’essere un provvedimento legislativo isolato, rappresenta la tappa finale di un percorso cominciato già agli inizi degli anni ’70 e che oggi va nettamente al di là del campo “agrario” per dettare norme all’intera produzione alimentare. Tale regolamento, come si legge nell’art. 1 «costituisce la base per garantire un livello elevato di tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti, tenendo conto in particolare della diversità dell’offerta di alimenti compresi i prodotti tradizionali, garantendo al contempo l’efficace funzionamento del mercato interno.». 17 Al cap. 5 n. 69 del Libro Bianco si osserva che «La mancanza di controlli interni (buone prassi produttive, autocontrolli, piani di emergenza) e la mancanza di meccanismi per la rintracciabilità hanno consentito che la crisi della diossina si sviluppasse ed espandesse lungo l'intera catena alimentare.». 9 A tal fine, il regolamento identifica nell’Autorità alimentare europea la fonte di pareri scientifici indipendente ed organo consultivo di più alto livello a cui la Commissione ricorre per l’elaborazione delle norme sulla sicurezza alimentare (18). Esso, rifacendosi ad una molteplicità di “basi giuridiche” (19) allarga il suo campo di azione dai prodotti agricoli alla protezione della salute, passando per il commercio con l’estero dei prodotti alimentari ed il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri per la realizzazione del mercato unico. Si segna così la svolta, nel passaggio da una moltitudine di norme nazionali ad un insieme organico di regole condivise ed applicate a livello comunitario. 3.1 Il Reg. (CE) n. 178/2002 e la rintracciabilità Prima di passare all’analisi dell’art. 18 – rintracciabilità – ci soffermeremo su alcune considerazioni per comprendere meglio la portata delle prescrizioni (20). Il regolamento 178/02 reca dei principi generali, piuttosto che precise regole, in quanto mira ad una sostanziale omogeneità tra i diversi sistemi nazionali ed opera in un quadro mutevole in relazione ai dati scientifici ed alle soluzioni tecnologiche su cui si fonda la possibilità di garantire un elevato livello di tutela della salute umana. In un prossimo 18 In relazione a questo punto vi è da segnalare la netta separazione funzionale tra l’attività di valutazione del rischio e quella di gestione del rischio. Infatti l’Autorità formula pareri scientifici ed offre assistenza scientifica e tecnica (valutazione del rischio) mentre la Commissione individua le migliori strategie per intervenire in caso di rischio (gestione del rischio). 19 «sotto il profilo della sua base giuridica, il reg. n. 178 presenta una peculiarità la quale è data dal fatto che le basi sono 4 norme contenute nel Trattato C.E.: l’art. 37, che è la base giuridica tipica delle normative agricole comunitarie; l’art. 95, che è la procedura di ravvicinamento delle legislazioni …; l’art. 133, che regola le attività comunitarie in materia di politica commerciale comune; l’art. 152, par. 4, lett. b), che ha introdotto una eccezione nell’utilizzo della procedura agricola quando si tratti di adottare misure nei settori veterinario e fitosanitario il cui obiettivo primario sia la protezione della sanità pubblica», IDAIC, 2003, p. 118. 20 Chiariamo subito che il reg. 178/02 non reca delle regole precise ed inequivocabili cui attenersi per soddisfare il requisito della rintracciabilità come avviene invece in taluni settori. Per le carni bovine, art. 13 reg. 1760/2000 ed art. 1 reg. 1825/2000, la rintracciabilità è assicurata da: i)un sistema di identificazione individuale dei bovini attraverso un marchio auricolare ed un “passaporto” che accompagna l’animale in ogni sua movimentazione; ii)una database recante le movimentazioni di ciascun capo di bestiame dalla nascita alla macellazione; iii)una identificazione dell’impianto di macellazione; iv)un’associazione tra il numero di identificazione di ciascun animale ed il codice assegnato a ciascuna carcassa nell’impianto di macellazione. Per le uova il reg. 2295/2003 prevede che su ogni singolo uovo venga apposto un codice identificativo, rilasciato dalle autorità sanitarie locali, che identifichi le modalità di allevamento, il comune di produzione e il numero dell’allevamento. Per il latte alimentare è prevista la registrazione di tutti i passaggi dalla stalla di mungitura, con informazioni relative ai singoli animali ed alle modalità di allevamento ed alimentazione, allo stabilimento di confezionamento, passando per i trasportatori, i primi acquirenti, i centri di raccolta e standardizzazione. Per la filiera ittica il reg. 104/2000 stabilisce che i prodotti della pesca possono essere posti in vendita solo se recano un’indicazione o un’etichetta adeguata che indichi: i)la denominazione commerciale della specie; ii)il metodo di produzione (cattura in mare o nelle acque interne o allevamento); iii)la zona di cattura. 10 futuro, magari, saranno disponibili dati scientifici e soluzioni tecnologiche che ci consentiranno di affrontare il problema in altro modo. Il regolamento – art. 3, comma 15 – definisce la rintracciabilità come: «la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione», ovvero la possibilità di delineare il percorso seguito dalle materie prime per divenire prodotti finiti senza lasciare spazi vuoti alla conoscenza di tali percorsi ed a prescindere dalla frammentazione del processo produttivo tra molteplici operatori (21). Alla definizione di rintracciabilità il legislatore comunitario affianca la regola – art. 18 – cui gli operatori del settore alimentare devono attenersi al fine di gestire in modo razionale eventuali emergenze. Le finalità dell’art. 18 si possono far derivare dall’esame di alcuni consideranda. In particolare, il considerando n. 28 così si esprime: «L’esperienza ha dimostrato che l’impossibilità di ricostruire il percorso compiuto da alimenti e mangimi può mettere in pericolo il funzionamento del mercato interno di tali prodotti. Occorre quindi predisporre un sistema generale per la rintracciabilità dei prodotti che abbracci il settore dei mangimi e alimentare, onde poter procedere a ritiri mirati e precisi o fornire informazioni ai consumatori o ai funzionari responsabili dei controlli, evitando così disagi più estesi e ingiustificati quando la sicurezza degli alimenti sia in pericolo». Ed ancora, il considerando n. 29: «Occorre fare in modo che le imprese alimentari e del settore dei mangimi, comprese le imprese importatrici, siano in grado di individuare almeno l’azienda che ha fornito loro l’alimento, il mangime, l’animale o la sostanza che può entrare a far parte di un dato alimento o di un dato mangime, per fare in modo che la rintracciabilità possa essere garantita in ciascuna fase in caso di indagine». Dalla lettura dei due consideranda emerge che gli scopi sono almeno tre: - individuare la merce in modo puntuale ed inequivocabile per effettuare ritiri mirati e/o interrompere la sua immissione sul mercato; - individuare l’origine del problema, intesa come identità dell’azienda, per apportare i dovuti correttivi ed attribuire specifiche oltre che documentate responsabilità; 21 In relazione alle considerazioni fatte in precedenza è quest’ultima, tipicamente, una procedura di gestione del rischio, che consente di minimizzare i rischi per la salute del consumatore individuati in una precedente fase di valutazione del rischio. 11 - fornire informazioni ai consumatori oltre che alle autorità di controllo, evitando disagi più estesi o allarmi ingiustificati. Come già sottolineato, l’articolo 18 introduce la rintracciabilità di alimenti e mangimi come una prescrizione generale estesa a tutti gli operatori della filiera. Esso non indica gli strumenti da utilizzare per raggiungere l’obiettivo ma esprime un obbligo in termini, appunto, di risultato. Nella sua genericità è purtroppo soggetto ad interpretazioni circa l’effettiva natura degli obblighi a carico di ciascun operatore. L’analisi del testo dell’art. 18, condotta per ogni singolo comma, insieme alle considerazioni fatte sui consideranda nn. 28 e 29, cercherà di chiarire le prescrizioni della norma. Comma I: «È disposta in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione la rintracciabilità degli alimenti, dei mangimi, degli animali destinati alla produzione alimentare e di qualsiasi altra sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un mangime.» Il primo comma definisce profondità ed estensione del sistema di rin/tracciabilità: - dalla produzione alla distribuzione di alimenti, mangimi ed animali (profondità); - di tutte le sostanze che in vario modo costituiscono un alimento o un mangime (estensione). Tra gli operatori vanno sicuramente annoverati anche gli importatori che, pertanto dovranno essere in grado di identificare i propri fornitori siano essi comunitari o extracomunitari. A tal proposito si ricorda quanto previsto già nel Libro bianco, cap. 1 n. 3: «Ogni singolo anello di tale catena (della produzione alimentare, ndr) deve essere altrettanto forte degli altri se si vuole che la salute dei consumatori sia adeguatamente protetta. Tale principio deve valere indipendentemente dal fatto che gli alimenti vengano prodotti nella Comunità europea o importati da paesi terzi.». Ma anche l’art. 3, n. 16, chiarisce in merito che oggetto delle disposizioni è «qualsiasi fase, importazione compresa (…)». (22) Comma II: «Gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono essere in grado di individuare chi abbia fornito loro un alimento, un mangime, un animale destinato alla 22 È, quello della tracciabilità dei prodotti di provenienza extracomunitaria, uno dei temi più dibattuti dai produttori agricoli nazionali quando invocano i medesimi requisiti di garanzia e quindi gli stessi vincoli loro imposti unitamente ai costi che essi comportano, anche per i prodotti di importazione. 12 produzione alimentare o qualsiasi sostanza destinata o atta a far parte di un alimento o di un mangime. A tal fine detti operatori devono disporre di sistemi e di procedure che consentano di mettere a disposizione delle autorità competenti, che le richiedano, le informazioni al riguardo». È, questo, il passaggio più controverso dell’intero articolo. Sicuramente non vi è in tale prescrizione la ricerca dell’origine della materia prima, intesa come zona geografica di produzione e quindi come prerequisito che conferisce al prodotto peculiari caratteristiche qualitative. Si richiede invece, di rispondere al noto quesito: chi ha fornito cosa. In tale accezione, l’origine geografica è solo una informazione consequenziale che ai fini del regolamento in esame non ha alcuna rilevanza. È ovvio d’altro canto che, quando la si dichiari in etichetta, un sistema di rin/tracciabilità di filiera è il più potente strumento per accertarla. A tal proposito un aspetto poco chiaro riguarda la cosiddetta “tracciabilità interna”. Al fine di chiarire questo punto si riportano una serie di diverse posizioni in merito. Secondo una certa interpretazione, il regolamento non prescrive esplicitamente la c.d. tracciabilità interna ovvero la registrazione del percorso che il prodotto ha seguito all’interno del processo di lavorazione aziendale: «L’obbligo, a carico degli operatori, consiste nel registrare gli approvvigiona-menti di materie prime in entrata e le consegne dei prodotti in uscita […] l’obbligo può venire adempiuto, ad esempio, conservando sia i documenti di ricevimento delle materie prime, sia quelli di spedizione dei prodotti» (Federalimentare, 2003). Ed ancora (23): «Il sistema di tracciabilità di filiera non può essere confuso con i tipi di tracciabilità interni a singole fasi, come quelli che consentono all’imprenditore di (es.: auto) controllare il processo tenendo conto dei c.d. flussi materiali […] questi sono lasciati, oltre che ai meccanismi volontari e di certificazione aziendale, ad altre discipline comunitarie per le quali non viene previsto, in questa norma, un esplicito richiamo». Tuttavia – a parere di chi scrive – se il comma 2 impone agli operatori di «individuare chi abbia fornito loro un alimento un mangime, un animale (cosa)» ed il comma 1 impone la rintracciabilità «in tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione» sembrerebbe che il legislatore faccia riferimento proprio ad un sistema che 23 IDAIC, 2003, p. 269. 13 tenga traccia del percorso seguito dal «cosa» in ogni fase della (tutte le fasi della) produzione, in ogni fase della trasformazione, in ogni fase della distribuzione. In altre parole il testo della norma “in tutte le fasi della …” è da leggere come “in ogni fase interna alla …”. Diversamente, nel caso si fosse esclusa l’ipotesi della tracciabilità interna, si sarebbe fatto riferimento “alle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione” e non, come invece avviene, «a tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione». D’altro canto è proprio grazie alla tracciabilità interna che è possibile generare quel continuum di informazioni che consente di tracciare e rintracciare il percorso degli alimenti e dei loro costituenti senza soluzione di continuità tra i diversi anelli della filiera, da monte a valle e viceversa oltre che da qualsiasi punto intermedio in entrambe le direzioni. Tale, d’altro canto, sembra essere il significato che il termine rintracciabilità ha assunto in seno alla pubblica opinione. Dello stesso tenore le indicazioni fornite da INDICOD (2003) alle imprese associate quando, in termini di definizioni, così si esprime: “Tracciabilità interna: è la tracciabilità lungo tutto il processo o la trasformazione svolta da ciascun partner sui suoi prodotti. Ha luogo indipendentemente dai partner commerciali e si concretizza in una serie di procedure interne, specifiche di ciascuna azienda, che consentono di risalire alla provenienza dei materiali, al loro utilizzo e alla destinazione dei prodotti. Tracciabilità di filiera: si tratta di un processo inter-aziendale, che risulta dalla combinazione dei processi di tracciabilità interni a ciascun operatore della filiera, uniti da efficienti flussi di comunicazione. La realizzazione di sistemi di tracciabilità interna costituisce dunque un prerequisito senza il quale non vi può essere tracciabilità di filiera.” E ciò è tanto più vero, ma allo stesso tempo tanto più difficile da realizzarsi, quanto più un prodotto finito – nella fattispecie pasta alimentare – è la risultante di materie prime soggette, sia per la natura delle stesse sia per le tecnologie di trasformazione, ad inevitabili miscelazioni. Tuttavia, anche ammettendo l’obbligo di una tracciabilità interna ciò non è da intendersi come registrazione delle informazioni legate al processo di produzione/trasformazione ma solo ed esclusivamente come tenuta dell’identità del fornitore e del cliente di quella specifica «cosa». Condivisibile è pertanto la considerazione secondo la quale «L’art. 18 fa riferimento ad una sorta di contenuto minimo dell’informazione – il c.d. flow-sheet – («chi abbia fornito 14 loro»; «le imprese alle quali hanno fornito loro») che può consentire l’individuazione del soggetto responsabile («filiera delle responsabilità») (24). Quanto, d’altro canto, previsto nel considerando n. 29: «Occorre fare in modo che le imprese alimentari e del settore dei mangimi, comprese le imprese importatrici, siano in grado di individuare almeno l’azienda che ha fornito loro (…)». Nella stessa direzione conduceva già la citata dir. 85/374/CEE con l’art. n. 3, comma 3: «Quando non può essere individuato il produttore del prodotto si considera tale ogni fornitore a meno che quest'ultimo comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l'identità del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto.». Dello stesso avviso altri commenti (25) : «In realtà il reg. n. 178 ha consapevolmente affiancato alla responsabilità per prodotti difettosi di cui alla direttiva n. 85/374, puntualmente richiamata nell’art. 21, uno strumento ulteriore rappresentato appunto dalla puntuale previsione di specifici obblighi a carico degli operatori del settore alimentare finalizzati, proprio, a prevenire il verificarsi di danni. Infatti, l’art. 19, tra i requisiti della legislazione alimentare, ha introdotto in primo luogo l’obbligo per ciascun operatore alimentare di avviare immediatamente le procedure per il ritiro dei prodotti ove semplicemente ritenga o abbia motivo di ritenere che un alimento da lui importato, prodotto, trasformato, lavorato o distribuito non sia conforme ai requisiti di sicurezza degli alimenti e l’alimento non si trovi più sotto il suo immediato controllo, dovendo peraltro informare i consumatori “in maniera efficace ed accurata” ovvero richiamare i prodotti qualora gli stessi siano arrivati al consumatore»; ed ancora (26): «… il sistema della tracciabilità riesce ad operare, all’un tempo, come elemento di unificazione delle varie fasi coinvolte nella produzione ed elemento di differenziazione, anche a fini della responsabilità dei singoli operatori, riconducendo l’unico prodotto finale alle fonti diverse di produzione.». Anche il SINCERT (2004, pag.3) è dell’avviso che: «Elemento chiave per la garanzia della rintracciabilità è la capacità di ricostruire la storia del prodotto agro-alimentare, attraverso i vari processi produttivi a partire dai processi primari di coltivazione e/o allevamento, tramite identificazione e registrazione sistematica dei parametri critici di tali processi, in termini tali da individuare eventuali non 24 IDAIC, 2003, p.271. IDAIC, 2003, p.138. 26 IDAIC, 2003, p.171. 25 15 conformità rispetto alla legislazione vigente, ai fini di un tempestivo ritiro del prodotto dal circuito commerciale, e identificare le relative responsabilità, ai fini dell’adozione delle necessarie azioni correttive». Infine, non si può non riportare quanto sinteticamente ed esaurientemente sostenuto in merito da Peri (2004): «Ciò che è dunque essenziale ai fini della rintracciabilità non è l’origine geografica o il luogo della trasformazione o del confezionamento, ma il nome delle aziende che hanno partecipato alla produzione e ne hanno pertanto la responsabilità. In sintesi si potrebbe dire che ciò che conta veramente è la “rintracciabilità delle responsabilità”» (Peri et al., 2004, pag. 153). In relazione a questo, l’art. 21 – Responsabilità –, nell’affermare che «Le disposizioni del presente capo si applicano salvo il disposto della direttiva 85/374 del Consiglio, del 25 luglio 1985, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi» presuppone un’applicazione congiunta del reg. 178/02 e della dir. 85/374 senza pregiudizio (“salvo”) di, ma in raccordo a, quest’ultima. Il nodo però non è ancora sciolto se ci si rifà ad un altro approccio che distingue una rintracciabilità di filiera (RF) da una rintracciabilità di filiera di prodotto (RFP); per chi ha elaborato tale distinzione «L’art. 18 del reg. CE 178/2002 sembra in realtà riferirsi a tale tipo di rintracciabilità» (Peri et al., 2004, pag. 155). A noi pare invece più opportuno rifarsi al significato intrinseco del termine rintracciabilità, sia in relazione alle considerazioni svolte circa il percorso normativo e lo spirito del legislatore che hanno condotto al reg. 178/02 sia in relazione al principio di responsabilità all’interno della filiera, e adottare come linea guida il concetto di rintracciabilità di filiera di prodotto per adempiere al disposto dell’art. 18. Nei settori in cui, tuttavia, difficoltà oggettive quali ripetute ed inevitabili miscelazioni dei prodotti rendono quasi inestricabile la matassa dei fornitori a mano a mano che si procede verso l’origine della filiera, ci si potrà accontentare di una versione ridotta della rintracciabilità che non perviene al singolo fornitore ma ad un insieme, più o meno esteso, di fornitori di materie prime. Comma III: «Gli operatori del settore alimentare e di mangimi devono disporre di sistemi e procedure per individuare le imprese alle quali hanno fornito i propri prodotti. Le informazioni al riguardo sono messe a disposizione delle autorità competenti che le richiedano.» 16 Insieme al comma precedente consente di soddisfare il criterio ”one step back, one step beyond”, anche qui rispondendo al quesito: chi ha ricevuto cosa. Ovviamente non è richiesto di conoscere anche i passaggi successivi e non è richiesto all’ultimo venditore di conoscere l’identità del consumatore finale. Sia in quest’ultimo sia nel comma precedente si richiede agli operatori di «disporre di sistemi e procedure» (genericamente) per individuare e fornire, alle autorità competenti, l’identità di clienti e fornitori. La scelta degli stessi è lasciata agli operatori e sarà inevitabilmente condizionata dalle specificità della filiera e dalla quantità/qualità di informazioni che si ritiene di dover/poter fornire. Comma IV: «Gli alimenti o i mangimi che sono immessi sul mercato della Comunità o che probabilmente lo saranno devono essere adeguatamente etichettati o identificati per agevolare la rintracciabilità, mediante documentazione o informazioni pertinenti secondo i requisiti previsti in materia da disposizioni più specifiche». Il quarto comma si rifà ai criteri previsti dalle specifiche disposizioni in materia di etichettatura che saranno, però, applicati «adeguatamente» al fine di «agevolare la rintracciabilità». Anche in relazione ai sistemi di etichettatura il dettato della norma appare generico. In proposito è opportuno ricordare che, sebbene nel quarto comma i due concetti vengano affiancati, essi non sono generalmente intercambiabili assumendo, la tracciabilità, il connotato di informazione di supporto all’etichettatura che ne rafforza il significato ed il contenuto in termini di trasparenza e garanzia. Comma V: «Le disposizioni per l’applicazione in settori specifici del presente articolo possono essere adottate secondo la procedura di cui all’art. 58, paragrafo 2». Il quinto ed ultimo comma rimanda ad altre procedure comunitarie (27) per applicare le disposizioni contenute nell’art. 18 in specifici settori. Il legislatore italiano si è mosso nella direzione di una rintracciabilità specifica per settori con la l. n. 38 del 7 marzo 2003 «Disposizioni in materia di agricoltura» che delega il Governo a «ridefinire gli strumenti relativi alla tracciabilità, all’etichettatura e alla pubblicità dei prodotti alimentari e dei mangimi, favorendo l’adozione di procedure di tracciabilità, differenziate per filiera, anche attraverso la modifica dell’art. 18 del D. Lgs. n. 27 «… procedura di cui all’articolo 5 della decisione 1999/468/CE, salvo il disposto dell’articolo 7 e dell’articolo 8 della stessa», art. 58, comma 2. 17 228 del 2001, in coerenza con il citato reg. 178/2002, e prevedendo adeguati sostegni alla loro diffusione». Inoltre, il Ministero delle Politiche agricole e forestali, con proprio decreto ( 28 ) , ha incentivato lo studio di modelli operativi per l’attuazione di sistemi e procedure di tracciabilità anche differenziate per filiere. 3.2 Gli obblighi degli operatori del settore alimentare e dei mangimi Gli articoli nn. 17, 19 e 20 impongono che gli operatori del settore alimentare e dei mangimi siano parte attiva, ex ante, nel «garantire che nelle imprese da essi controllate gli alimenti o i mangimi soddisfino le disposizioni della legislazione alimentare» ed anche, ex post, nel sistema di gestione del rischio, avviando immediatamente le dovute procedure per effettuare ritiri dal mercato ed informare le autorità competenti o i consumatori «in maniera efficace e accurata, del motivo del ritiro (…)». Il sistema di allarme attivato dovrà essere tale da consentire di raggiungere, da un lato, il vertice della situazione di pericolo e, dall’altro, l’anello distributivo finale. L’art. 17, inoltre, prevede che gli Stati membri determinino misure e sanzioni «effettive, proporzionate e dissuasive» da applicare in caso di violazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi. È ragionevole pensare che tali provvedimenti saranno di natura civile ed amministrativa oltre che penale (29). Il legislatore italiano non ha ancora provveduto in merito. 3.3 Le norme volontarie Abbiamo visto come, tranne che per pochi settori, non esiste una indicazione di legge chiara ed inequivocabile su come debba essere realizzato un sistema di rin/tracciabilità di filiera prescrivendo, il reg. 178/02, solo il risultato – peraltro anch’esso non scevro da interpretazioni – e non anche il metodo. A tentare di colmare il vuoto intervengono le norme volontarie emanate in ambito nazionale dall’Ente Nazionale Italiano di Unificazione, UNI (30). 28 D. M. 3 maggio 2004. Nella legislazione vigente i reati in materia alimentare sono previsti dal codice penale agli artt. 440, 442, 444 e 516. La L. 18 aprile 1962, n. 238 (modificata dalla L. 28 febbraio 1962, n. 441 e dal d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507) contiene la disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande. 30 La certificazione volontaria viene regolamentata a livello internazionale dall’ISO e su scala europea dal Comitato Europeo di Normazione (CEN); ai livelli nazionali dai diversi enti nazionali di normazione (in Italia dall’UNI, in Germania dal DIN, in Francia dallo AFNOR, in Gran Bretagna dal BSI, etc.). Delle 58 Commissioni attualmente operanti in ambito UNI, la Commissione “Alimenti e bevande” ha il compito di sviluppare l’attività normativa nel settore alimentare. 29 18 Con la prima, UNI 10939:2001, si definiscono i principi ed i requisiti «per l’attuazione di un sistema di rintracciabilità di filiera dei prodotti agroalimentari»; con la seconda, UNI 11020:2002, si definiscono i principi ed i requisiti «per l’attuazione di un sistema di rintracciabilità nelle aziende agroalimentari». Anche in questo caso, come già detto per il reg. 178/02, si enunciano dei principi ma non si dettano chiare regole a prescindere dalle quali un sistema di rin/tracciabilità disattende le aspettative per cui è pensato. In particolare, prima che fossero introdotti requisiti minimi per la certificazione di filiera, la definizione della profondità della filiera, ovvero il numero e l’identità delle aziende coinvolte – soprattutto in relazione all’origine della catena – e dell’estensione della filiera, ovvero quali componenti del prodotto considerare come rilevanti, erano lasciate alla libera scelta delle aziende certificande potendo interessare, quindi, solo una parte, più o meno ristretta, delle aziende coinvolte nell’intero processo produttivo o solo una parte degli ingredienti del prodotto finito. La possibilità, poi, che un sistema di rin/tracciabilità “parziale” potesse ottenere una certificazione di conformità, autorizzandone l’indicazione in etichetta, ingenerava dubbi tra i consumatori sull’accezione che al termine rintracciabilità si dovesse effettivamente dare. Inoltre, poter certificare un sistema di rintracciabilità di filiera (UNI 10939) e/o un sistema di rintracciabilità nelle aziende (UNI 11020) – la cui differenza dal sistema di identificazione e gestione dei lotti già in uso da tempo non appare molto netta – può ingenerare il dubbio che si possa parlare di rintracciabilità anche e solo a livello di singolo operatore, a prescindere dalle fasi a monte e a valle (31) . E ciò è tanto più lontano dal concetto di “tracciabilità” quanto più quest’ultimo è associato alla “storia” di un prodotto “dal campo alla tavola”. Invero, la stessa norma UNI 10939:2001 definisce la rintracciabilità di filiera come «capacità di ricostruire la storia e di seguire l’utilizzo di un prodotto (relativamente ai flussi materiali ed agli operatori di filiera)»; ma in particolare specifica che «occorre considerare sia la rintracciabilità interna ad ogni organizzazione, sia la rintracciabilità fra le varie organizzazioni». Nel 2004 (SINCERT, 2004) vengono introdotti dei requisiti minimi da soddisfare nelle certificazioni di rintracciabilità di filiera. Per quanto riguarda la profondità della filiera si precisa che: 31 si veda anche Peri et.al., 2004, pag. 168. 19 «Le eventuali esclusioni di fasi primarie (animali e/o vegetali) devono rivestire carattere assolutamente eccezionale e sono consentite solo nei casi di motivata impossibilità oggettiva di inserimento nella filiera. In caso di esclusione di fasi primarie, è fatto divieto di utilizzare, nei certificati e nell’uso commerciale e promozionale della certificazione, espressioni quali allevamento, campo, azienda agricola e loro sinonimi, o espressioni che facciano ritenere che la produzione primaria (come definita nell’art. 3 del reg.178/2002) sia parte integrante del sistema certificato. In presenza di esclusioni di fasi primarie, non potrà essere mai essere utilizzata, a fini promozionali o commerciali, una dizione generale del tipo “certificazione di rintracciabilità ai sensi della norma UNI 10939”». Si afferma, con ciò, in modo inequivocabile che un sistema di rin/tracciabilità non può non partire dalla fase primaria; specularmente, un tale sistema non può non condurre alla fase primaria. In definitiva il pensiero più sintetico ed esaustivo sul tema, anche in relazione all’ultima norma UNI in commento, pare essere quello di Peri, che così si esprime: “La rintracciabilità di filiera è la identificazione documentata delle aziende che hanno contribuito alla produzione e commercializzazione di una unità di prodotto materialmente e singolarmente identificabile” (Peri et al., 2004, pag.153). Da qui lo spirito con cui si tenterà di offrire, di seguito, una guideline per lo sviluppo di un sistema di tracciabilità – nell’accezione più rigorosa di RFP, come sopra accennato – nella filiera della pasta. 4. LA RINTRACCIABILITÀ NELLA FILIERA DELLA PASTA 4.1 Requisiti ed obiettivi I requisiti che un sistema di rintracciabilità deve possedere sono dettati dallo spirito che istruisce una vera rintracciabilità di filiera. Esso risiede, appunto, nel sostantivo – rintracciabilità – e nel complemento – filiera – unificati in una sola espressione. Nella loro considerazione congiunta si può affermare che il controllo di una filiera è credibile solo se questa è “tracciata” e la documentazione che ne è a supporto è efficace solo quando è estesa a “tutta” la filiera. Pertanto, non si può fare davvero tracciabilità di filiera a prescindere da un’integrazione verticale di tutte le aziende che vi prendono parte a cominciare dalla fase primaria. 20 Logica conseguenza ed obiettivo di un tale approccio è la rintracciabilità delle precise responsabilità delle aziende che hanno preso parte alla produzione di un bene alimentare e quindi alla identificazione dei nomi, non già dei luoghi geografici di provenienza (32). Tuttavia, non è sempre agevole o addirittura possibile tenere traccia dei singoli lotti omogenei – per identità del fornitore – che, a cominciare dalla fase di produzione, hanno via via preso parte alla formazione del prodotto finito. Difatti, è il concetto di lotto omogeneo – dal punto di vista del rischio sanitario – il perno attorno al quale ruota, a giudizio di chi scrive, la possibilità di una rintracciabilità di filiera secondo l’art. 18 del reg. 178/02. Tuttavia, pur nell’impossibilità di tenere traccia dell’identità del singolo fornitore di materie prime, si devono mettere in atto quelle azioni che restringono il campo di indagine da una moltitudine di fornitori ad “insiemi” di fornitori quanto più ristretti possibile. Nel caso della filiera in esame il lotto omogeneo di partenza è sicuramente il lotto di grano conferito dal singolo produttore al centro di stoccaggio (33) . Nei successivi passaggi che tale lotto compirà per diventare pasta, questo sarà sicuramente miscelato con grano di altra provenienza e le semole da essi prodotti saranno miscelate a loro volta con semole ottenute da grano ancora diverso. In un tale sistema produttivo è inverosimile, a meno di piccoli volumi, pensare di poter risalire “dal pacchetto di pasta al produttore di grano” sia perché non è praticabile uno stoccaggio, nonché una molitura ed una pastificazione, differenziati per singolo produttore, sia perché le necessarie miscelazioni tra semole con diverse caratteristiche tecnologiche richiedono che si ricorra a grano di diversa provenienza. Per tali motivi non esiste “il” singolo produttore di grano che ha prodotto il singolo pacchetto di pasta. Per questi motivi, si diceva già prima, si dovrà abbandonare l’idea “del produttore” per pensare a quella più verosimile di un “insieme di produttori”. Tuttavia questo non significa che un sistema di tracciabilità in questo settore sia necessariamente fallimentare e che l’identificazione di un “insieme” di produttori non sia un’informazione utile ai fini della sicurezza alimentare, fine ultimo della tracciabilità di filiera. 32 A meno che l’origine geografica non sia un requisito commerciale del prodotto. Tuttavia, anche in questi casi, l’origine geografica non è l’obiettivo cui mira il dispositivo in commento. 33 In realtà, considerando il rischio – o semplicemente il carattere – “OGM” insito nelle sementi da cui si ottiene il grano da molino, si dovrebbe considerare come punto di partenza proprio il primo nucleo di seme da cui, per riproduzioni successive, si otterrà il grano da molino. 21 Un’ulteriore osservazione riguarda la numerosità delle aziende di cui tenere traccia in relazione all’estensione della filiera, ovvero alle aziende fornitrici degli ingredienti diversi da quello principale, la semola. Evidentemente per la pasta è un problema che si pone solo per quelle “speciali”, ovvero la pasta ripiena e/o la pasta con verdure o derivati. In questi casi, ingredienti e additivi si identificheranno con il nome delle ditte fornitrici. L’ultima considerazione riguarda il metodo della rintracciabilità, di cui si parlerà diffusamente nel paragrafo successivo. Intanto diciamo che a prescindere dalla prescrizione normativa un’organizzazione capace di monitorare i flussi materiali al suo interno razionalizza, in ultima analisi, i suoi processi anche in funzione della individuazione delle cause di non conformità e dei rendimenti di ogni fase dell’intero processo nonché dei relativi costi. Un sistema che possiede tali requisiti è in grado di centrare il suo obiettivo primario e cioè garantire trasparenza ed affidabilità circa i nomi delle aziende che complessivamente ed in varia misura hanno preso parte alla produzione di ciò che sta consumando. Si rafforza così il rapporto di fiducia produttore-consumatore, indebolitosi in seguito alle note emergenze alimentari e si consente al consumatore di avere consapevolezza del complesso sistema di produzione alimentare moderno, spesso sconosciuto e “lontano”. In secondo luogo si è così in grado di identificare puntualmente ed isolare le fasi, nonché le aziende, a livello delle quali si fosse innescato un rischio per la salute del consumatore attribuendo chiare e documentate responsabilità ed evitando di coinvolgere, al contempo, gli operatori che in nessun modo si sono resi responsabili di quelle non conformità. 4.2 La progettazione di un sistema di rintracciabilità di filiera Alla luce di quanto evidenziato nelle sezioni precedenti, in questo paragrafo si tenterà di fornire delle linee guida per l’attuazione di un sistema di rintracciabilità di filiera. Il primo passo (34) consiste nella definizione del c.d. flow-sheet della filiera. Si tratta di identificare le aziende coinvolte in tutto il processo e collocarle dall’alto verso il basso in funzione della fase di competenza di ognuna (produzione-trasformazione-distribuzione). In questo schema verranno inserite anche le aziende fornitrici di ingredienti secondari, 34 Nei sistemi di rintracciabilità attuati su base volontaria il primo atto è la formalizzazione di un accordo di filiera con il quale le aziende coinvolte stabiliscono delle regole condivise cui tutte devono attenersi affinché il sistema sia credibile ed affidabile, oltreché, certificabile. 22 additivi e servizi. Il processo avrà termine con le aziende distributrici, dall’ingrosso al dettaglio. La seconda fase riguarda l’individuazione ed il monitoraggio dei flussi materiali, segmentati come lotti o batch di prodotto. Per far ciò in modo compiuto occorrerà rispondere a quattro quesiti: che cosa, quanto, dove e quando. Occorrerà pertanto dare evidenza di quantità, localizzazioni e tempi del “che cosa” contribuisce alla formazione di quale prodotto. (35) Le masse di prodotto, o lotti, devono essere gestite in unità identificabili in punti precisi e critici della filiera e devono essere di identità nota; si deve sempre sapere, cioè, da quale/i azienda/e derivano. Per quanto riguarda la fase di produzione il problema dell’identificazione dei lotti utilizzati per la semina è risolto a monte, in quanto tutte le confezioni di seme recano il lotto di appartenenza. È questo un requisito richiesto a livello europeo e su cui, per l’Italia, vigila l’ENSE. Nel caso della filiera in esame le complicazioni nascono a partire dalla fase di conferimento del grano ai centri di raccolta. Esse sono rappresentate dall’elevato numero di fornitori e dalle inevitabili miscelazioni di prodotti di fornitori diversi. Lo stesso problema, inoltre, si ripropone nelle fasi successive, amplificandosi dall’una all’altra. Nella prima fase, lo stoccaggio del grano nei centri di raccolta, avremo numerosi fornitori/produttori di grano duro che conferiscono il proprio prodotto in tempi e quantità diverse. Nella seconda fase, quella della macinazione, avremo grani di diversa provenienza/origine, da cui si otterranno semole che verranno miscelate per raggiungere le caratteristiche tecnologiche richieste per uno specifico tipo di pasta. Si deve quindi operare una scelta tra una “gestione per lotti discontinui” od una “gestione per lotti continui”. Nel primo caso si ha la possibilità di identificare esattamente i fornitori confluiti in un preciso lotto di prodotto finito: «Si tratta di attuare il flow-sheet del processo in modo che a ogni fase (ricevimento, stoccaggio, lavorazione, confezionamento, ecc.) i prodotti con una diversa storia siano contenuti in contenitori separati e come tali identificati. Ogni miscelazione fra materie prime, semilavorati o prodotti finiti deve dar luogo ad una registrazione e a un nuovo lotto identificato dalla somma delle provenienze dei lotti che vi sono confluiti. 35 Si è già avuto modo di dire che la norma in esame non prescrive la tracciabilità dei processi tecnologici e cioè delle modalità di produzione/trasformazione intese come: trattamenti fitosanitari, disinfestazioni, temperature di lavorazione etc. Esse, tuttavia, costituiscono punti critici il cui controllo, indispensabile ai fini della sicurezza alimentare, pur essendo appannaggio di altre procedure è un elemento sensibile ai fini della tracciabilità delle responsabilità. 23 I “lotti discontinui” o “statici” sono caratterizzati dal fatto che la loro gestione viene fatta per riempimenti e svuotamenti totali. Non è possibile cioè attingere un prodotto da un contenitore per eseguire un’operazione e, al contempo, riempire lo stesso contenitore con nuovo materiale, man mano che viene svuotato. Questo procedimento genererebbe situazioni di incerta identità e farebbe perdere la rintracciabilità dei lotti» (Peri et al., 2004, pag. 163). Nel secondo caso si può determinare una probabilità che il produttore X abbia contribuito alla formazione del prodotto Y. Infatti, non è richiesto lo svuotamento/riempimento totale ma, ad esempio, un silos per la conservazione del grano, svuotato anche parzialmente per una fornitura, può essere riempito con grano proveniente da un fornitore diverso da quelli già presenti. In questo tipo di gestione di “lotti continui” o “dinamici” anche se si riduce la possibilità di identificare puntualmente il fornitore della materia prima non viene meno il criterio del controllo del rischio. Infatti, il rischio associato al grano conferito dal produttore è essenzialmente legato ad una presenza di residui di fitofarmaci oltre il limite di legge, rischio notoriamente molto basso visti i limitati interventi antiparassitari durante la fase di produzione. Non è pertanto azzardato considerare, dal punto di vista della gestione del rischio, quel lotto omogeneo anche se ottenuto con grano di diversi produttori conferiti in tempi diversi. I rischi legati, invece, alla fase di conservazione e consistenti in un elevato residuo di prodotti disinfestanti oltreché uno sviluppo di micotossine, sono sotto il controllo di chi è deputato al monitoraggio del silos stesso e non cambia con l’introduzione di altra materia prima. Pertanto, non vi sono variazioni significative in relazione ai possibili rischi rispetto ad una situazione statica. In questo caso, però, in quel silos viene introdotta un’altra entità, o identità aziendale, ed è opportuno generare un lotto (es.: A-B-C-M) diverso dal precedente (es.: A-B-C), come rappresentato in fig. 1. Lo stesso discorso vale per le semole, per le quali, in seguito allo svuotamento parziale del silos ed al suo successivo riempimento si genererà un nuovo lotto per i motivi legati all’identificazione delle aziende. È inoltre rilevante notare come, a prescindere dal sistema adottato, esista a priori un problema di perdita dell’identità del singolo batch. Ciò risiede nella dinamica di riempimento e di svuotamento del silos in funzione della quale non si realizza una stratificazione dei singoli lotti a mano a mano introdotti. Pertanto, non è possibile affermare che il primo lotto in entrata è anche il primo, ed il solo, in uscita. 24 Fig. 1 – Flow-sheet della filiera della pasta Errore. A B C D E F G H I L M Lotti “A-B-C” Lotti “D-E-F-G” Lotti “H-I-L” Lotti “A-B-C-M” Centri di stoccaggio S I L O S S I L O S S I L O S 2 3 1 Molino S E M O L A S E M O L A A B INGREDIENTI SECONDARI Pasta di tipo A Pasta di tipo B Pastificio Distributore A Distributore B Distributore C In ogni caso, sia per i lotti statici sia per i lotti dinamici, è richiesta la registrazione delle seguenti informazioni: - chi ha fornito, a chi si è venduto e chi è il responsabile di quale operazione; - quando è stata effettuata un’operazione, con l’indicazione della data e dell’ora; - che cosa ha interessato tale operazione, con l’indicazione del lotto; - dove ha avuto luogo tale operazione, con l’indicazione precisa delle strutture aziendali interessate (magazzini, silos, serbatoi, linee di lavorazione etc.). - quanto della merce di quel lotto è stata movimentata, con l’indicazione della massa. Ciò che deve essere trasparente in ogni caso è la documentazione dei flussi materiali. Pertanto, alle informazioni (chi, cosa, quando, dove, quanto) sui materiali in entrata e su quelli in uscita sarà molto utile, e forse doveroso, associare il riferimento ai documenti di trasporto (d.d.t.) e ai documenti contabili (fatture). A tale scopo è opportuno provvedere ad una mappatura dei sili assegnando ad ognuno un proprio codice. Tale codice sarà associato al d.d.t. della merce in entrata e verrà riportato anche sui documenti di trasporto che accompagnano ogni singola fornitura in uscita. Solo la comparazione di questi dati con le quattro informazioni precedenti fornisce prova della veridicità degli stessi, in relazione sia all’identità dei fornitori sia a quella dei clienti. D’altro canto, l’elaborazione dei dati 25 contabili consente di pervenire ad un “bilancio di massa” sui movimenti in entrata ed in uscita e sulle scorte, operazione di fondamentale importanza per dare prova della correttezza dei dati quantitativi. A queste informazioni si possono affiancare quelle informazioni supplementari, merceologiche e qualitative (varietà, peso elettrolitrico, proteine, glutine, colore, ceneri etc.) rilevate sia presso i centri di stoccaggio sia presso i molini e di cui le aziende dispongono perché è oramai di prassi comune presso la maggior parte degli operatori del settore. Altri dati, tipo trattamenti fitosanitari in campagna e trattamenti disinfestanti in fase di stoccaggio, oltre alle operazioni di tipo igienico-sanitario, sono un requisito di legge (Quaderno di campagna ed HACCP) che, pur se prescindono dall’applicazione di un sistema di rintracciabilità, sono importanti ai fini della gestione del rischio, dei quali si dovrebbe pertanto disporre. Nel sistema produttivo del comparto biologico è prevista anche la documentazione circa la superficie effettivamente coltivata da ciascun agricoltore con una specifica previsione di resa per ettaro, oltre alla esatta ubicazione topografica dei fondi rustici. E’ così possibile evitare immissioni fraudolente di materia prima “convenzionale” nella filiera biologica, oltreché effettuare controlli di conformità in loco. La fase di pastificazione non presenta particolari criticità in quanto è sufficiente tenere traccia del lotto di semola utilizzato e correlarlo al lotto di pasta riportato in etichetta. A quest’ultimo sarà associata l’identità del primo cliente e la quantità consegnata. Anche qui è possibile associare al lotto di semola e quindi di pasta, informazioni riguardanti per esempio la linea di lavorazione. Nella fase di commercializzazione ciò che conta è il numero di passaggi intermedi tra l’industria ed il distributore finale. Nel caso più semplice di un solo passaggio, dove il cliente dell’azienda che ha confezionato il prodotto è anche il venditore finale il cerchio si chiude. Nel caso di ulteriori passaggi sarà necessario ancora una volta rifarsi alle quantità trasferite in ognuno di essi e verso quali clienti. Per quanto riguarda l’acquisto di materie prime estere è molto difficile che esse siano accompagnate da documenti che ne provino la rintracciabilità. In questi casi, opportune analisi di laboratorio, per la ricerca di residui di prodotti fitosanitari o altri inquinanti, ci consentirà di gestire il lotto con una certa tranquillità in relazione ai rischi alimentari. Circa i sistemi di identificazione, non ritenendo questa la sede più opportuna per parlarne diffusamente, ci limitiamo solo a segnalare la possibilità di un’ampia scelta: dalla sola indicazione del lotto come data di scadenza o di confezionamento all’adozione di 26 sistemi più avanzati del tipo RF-ID (Radio Frequency Identification) costituiti da un TagRF-microchip fissato sulla confezione e da un lettore che decodifica le informazioni contenute nel microchip. In tal modo è possibile inserire una quantità di informazioni pari anche a tutte quelle raccolte dalla fase di produzione primaria alla fase di commercializzazione senza alcuna soluzione di continuità. 4.3 La documentazione del sistema ai fini della certificazione secondo la norma UNI 10939:2001 Il sistema messo in atto può essere documentato dalle informazioni e procedure definite nell’ambito di un “Manuale di rintracciabilità della filiera” appositamente predisposto ai fini di una possibile certificazione. Le regole in esso contenute sono condivise da tutte le aziende coinvolte e siglate dalle stesse. Il manuale, approvato dall’organismo di certificazione, definisce le informazioni “sensibili” e le modalità per monitorarle, oltre ai controlli interni, alle responsabilità ed alla gestione delle non conformità. Esso è generalmente strutturato nel modo seguente: ¾ OBIETTIVI: Un’organizzazione che si appresta a richiedere la certificazione dovrà aver individuato e definito gli obiettivi che si propone di realizzare con il sistema di rin/tracciabilità e dovrà sviluppare il sistema con riferimento a tali obiettivi. ¾ PROFONDITÀ ED ESTENSIONE DELLA FILIERA: La prima informazione di cui un sistema di tracciabilità deve disporre è l’elenco delle aziende che vi aderiscono, e quindi dei componenti tracciati, con l’indicazione della ragione sociale e del responsabile aziendale. ¾ CONTRATTO DI FILIERA: È il documento con il quale le aziende definiscono le regole per attuare il sistema di tracciabilità, impegnandosi ad attuarle con la sua sottoscrizione. Il contratto di filiera dovrebbe prevedere che i singoli fornitori di ogni azienda sottoscrivano, a loro volta, un impegno formale ad accettare ed attuare le regole stabilite. ¾ RUOLI E RESPONSABILITÀ: A livello di singola azienda devono essere chiaramente individuati i responsabili del sistema di tracciabilità, in merito alle procedure da attuare in ogni fase, alle verifiche interne, alle azioni correttive da intraprendere in caso di non conformità ed allo scambio delle informazioni all’intero della filiera. ¾ FLOW-SHEET DELLA FILIERA: È lo schema che visualizza le aziende della filiera nelle fasi di propria competenza, con l’indicazione dei flussi materiali tra le diverse aziende ed i relativi punti di controllo. Come già evidenziato nel testo i punti critici saranno rappresentati da quelli in cui si ha un cambiamento di identità del lotto. 27 ¾ DIAGRAMMA DI FLUSSO DELLE ATTIVITÀ AZIENDALI: È lo schema tramite il quale ogni azienda descrive la successione logica delle proprie attività, con la rappresentazione grafica dei flussi materiali al suo interno. Nell’ambito di questo schema può trovare spazio la mappatura dei sili di stoccaggio della materie prime. ¾ MISURE E VERIFICHE METROLOGICHE: In questo capitolo si definiscono i tempi e i modi con cui effettuare le necessarie misurazioni nonché le operazioni di manutenzione e taratura degli strumenti di misura adoperati. Tra le operazioni di misura sono contemplati anche i “bilanci di massa”, come strumento per valutare l’efficacia del sistema. ¾ SISTEMA DI RILEVAZIONE, ELABORAZIONE ED ARCHIVIAZIONE DEI DATI: In questo capitolo si specificano le procedure per la rilevazione ed elaborazione dei dati qualiquantitativi e per la loro archiviazione e comunicazione, alle altre aziende della filiera ed alle Autorità competenti. ¾ MODALITÀ DI COMUNICAZIONE DEL SISTEMA ADOTTATO: È necessario stabilire un logo o una dicitura da porre in etichetta e/o in documenti di accompagnamento per indicare in modo chiaro che si tratta di prodotto ottenuto in una filiera tracciata. ¾ VERIFICHE ANALITICHE: Tutte le verifiche analitiche devono essere pianificate, in relazione ai prodotti da analizzare, ai campionamenti (numero e modalità), al tipo di analisi, ai laboratori accreditati. ¾ VERIFICHE ISPETTIVE INTERNE ED AUTOCONTROLLO: Come per un qualsiasi sistema di qualità anche il sistema di tracciabilità richiede che vengano effettuate periodiche verifiche interne volte a testare l’efficacia del sistema ed a mettere in luce eventuali carenze e/o difetti. Il sistema di autocontrollo deve indicare precise responsabilità e modalità di attuazione. ¾ GESTIONE DELLE NON CONFORMITÀ: Le non conformità possono consistere: sia in errori di identificazione dei lotti, nel qual caso la merce non è più tracciabile e pertanto è esclusa dalla filiera tracciata; sia nell’individuazione di lotti non conformi alle specifiche merceologiche, motivo per cui il lotto non è immesso in un dato circuito commerciale. ¾ SISTEMA DI ALLARME RAPIDO E RITIRO DEI PRODOTTI DAL MERCATO: È l’epilogo di tutto il sistema nel caso in cui a valle della catena o in una qualsiasi altra fase si dovessero concretizzare dei rischi per la salute del consumatore. In questi casi è necessario aver pianificato la gestione della crisi, stabilendo il modo in cui comunicare tempestivamente il rischio (ai clienti e/o alle Autorità competenti) e le modalità con cui procedere a ritiri “mirati” dal mercato ed alla successiva distruzione del prodotto. 28 5. CONSIDERAZIONI FINALI Con il presente lavoro ci si è proposti di fornire delle linee guida per mettere in atto un sistema di rin/tracciabilità conforme ai requisiti previsti dal reg. (CE)178/02. Partendo dalla disamina dei vari provvedimenti legislativi che hanno preceduto l’emanazione del regolamento in esame, nonché da un’analisi dello stesso in relazione ad alcuni consideranda ed articoli che precedono lo specifico articolo sulla rintracciabilità (art.18), è emerso il vincolo normativo ricercato, non esplicitato chiaramente nel testo del provvedimento. Tale vincolo, risiede nell’identificazione dei fornitori di un determinato lotto e nell’associazione di tale lotto al singolo cliente in modo tale da realizzare un continuum di informazioni tramite il quale si possano ripercorrere le varie fasi della filiera da valle a monte, restringendo la ricerca dei soggetti di ogni fase della filiera ad “insiemi” quanto più definiti possibile. In realtà l’implementazione di un sistema di rin/tracciabilità di filiera non comporta lo stravolgimento delle modalità operative già in atto ma semmai una loro razionalizzazione soprattutto in relazione alla gestione dei dati anagrafici e quantitativi relativi ai singoli operatori della filiera in modo tale da poter documentare da chi si è ricevuto cosa (quale e quanto) ed a chi si è fornito cosa (quale e quanto). La rintracciabilità consiste nell'utilizzare le "impronte", ovvero la documentazione raccolta dai vari operatori coinvolti nel processo di produzione, per isolare una filiera produttiva in caso di emergenze (contaminazione) e consentire al produttore e agli organi di controllo, di gestire e controllare eventuali situazioni di pericolo attraverso la conoscenza dei vari processi produttivi (flussi delle materie prime: documentazione di origine e di destinazione, ecc...). Nonostante il chiaro intento del legislatore di rispondere ad un’esigenza di sicurezza alimentare e di tutela della salute del consumatore, in realtà la rintracciabilità contribuisce in maniera differenziata a seconda dei comparti considerati alla riduzione delle situazioni di anonimato e di free riding alla base delle frodi alimentari. In effetti si è potuto comprendere come, nel caso della filiera della pasta, le caratteristiche tecnologiche del processo produttivo siano tali da rendere maggiormente sensibile il comparto al rischio di situazioni di anonimato e frode. Un altro aspetto emerso è che non bisogna confondere la rin/tracciabilità con la comunicazione al consumatore di informazioni che caratterizzano il prodotto. Comunicare un metodo di produzione, l’origine geografica, la categoria o la composizione di un 29 prodotto non significa parlare di rin/tracciabilità, bensì di etichettatura. L’etichetta è infatti lo strumento che permette di trasferire ai consumatori informazioni relative al prodotto. Anche a livello normativo, i concetti di tracciabilità ed etichettatura si sono spesso sovrapposti, laddove il legislatore ha stabilito l’obbligo di riportare in etichetta determinate informazioni relative ai prodotti, al fine di favorire la trasparenza delle informazioni al consumatore. L’obbligo di portare informazioni al consumatore introduce la necessità di un trasferimento di dati lungo la filiera e rende indispensabili solidi sistemi di tracciabilità interna e un sistema efficace di comunicazione per il trasferimento delle informazioni lungo la filiera. Il risultato finale sarebbe senza dubbio una riduzione dei rischi di fallimenti del mercato che caratterizzano soprattutto i beni credence. La rintracciabilità pertanto è uno strumento neutro che non conferisce ai prodotti alimentari una particolare qualità. Appare invece importante il concetto che ne deriva, ovvero l'assunzione di responsabilità da parte di ciascun componente della filiera produttiva riguardo alla tutela della salubrità del proprio prodotto. Un’altra osservazione riguarda una valenza che la rintracciabilità ricopre solo in parte e cioè quella di documentare l’origine geografica dei prodotti alimentari. L’obiettivo di risalire alla zona di produzione e quindi al produttore è infatti motivato dalla necessità di una maggiore garanzia della sicurezza alimentare e non dalla possibilità di utilizzare l’origine come strumento di valorizzazione. Tuttavia, nei casi in cui si volesse documentare o smentire l’origine delle materie prime la rin/tracciabilità diventa lo strumento più accreditato a farlo. L’unico apporto dato dalla rintracciabilità di filiera in termini di valorizzazione dei prodotti alimentari consiste quindi nel comunicare al consumatore una certa sicurezza di rin/tracciabilità delle colpe nel caso di danni alimentari che non si traduce però automaticamente in una certificazione di origine. 30 Riferimenti bibliografici Akerlof G. (1970): The Markets for “Lemons”: Qualitative Uncertainty and the Market Mechanism, Quarterly Journal of Economics, n.84. Caiati G. (1996): Strumenti per la garanzia istituzionale della qualità, Atti XXXII Convegno Sidea, Il Mulino, Bologna. Caswell J.A. – Mojduszka E. (1996): Using Informational Labelling to Influence the Market for Quality in Food Products, American Journal of Agricultural Economics, 78, p. 12481253. Commissione Europea (1997): Libro verde sui principi generali della legislazione alimentare nell'Unione europea, Documento COM (97) 176 definitivo, Bruxelles. 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Zanni G. (2003): La rintracciabilità come strumento per la valorizzazione di una filiera biologica, Biopasta newsletter, n. 2 anno I, pp. 28-38. Riferimenti normativi Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, in G.U.C.E. n. L 31 del 1/2/2002, p.1. Direttiva 70/50/CEE della Commissione, del 22 dicembre 1969, che trova la sua fonte normativa nel disposto dell'articolo 33 paragrafo 7, del Trattato, relativa alla soppressione delle misure d'effetto equivalente a restrizioni quantitative non contemplate da altre disposizioni prese in virtú del Trattato CEE, in G.U.C.E. n. L 13 del 19/1/1970, p. 29. Direttiva 2000/13/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 marzo 2000 relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari, nonché la relativa pubblicità, considerando n. 2, in G.U.C.E. n. L 109 del 6/5/2000, p. 29. Direttiva 85/374/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1985 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati Membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, in G.U.C.E. n. L 210 del 7/8/1985, p. 29. Direttiva 1999/34/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 10 maggio 1999, che modifica la direttiva 85/374/CEE del Consiglio relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed .amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, in G.U.C.E. n. L 141 del 4/6/1999, p. 20. Regolamento (CEE) n. 2092/91 del Consiglio, del 24 giugno 1991, relativo al metodo di produzione biologico di prodotti agricoli e alla indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari, in G.U.C.E. n. L 198 del 22/7/1991, p. 1. Direttiva 93/43/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, sull'igiene dei prodotti alimentari, in G.U.C.E. n. L 175 del 19/7/1993, p.1. Decreto Legislativo 26 maggio 1997, n. 155. Attuazione delle direttive 93/43/CEE e 96/3/CE concernenti l'igiene dei prodotti alimentari, in G.U.C.E. n. 136 del 13/6/1997, Supplemento Ordinario n. 118. Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, D. M. 3/05/2004. Criteri e modalità per la concessione di contributi in relazione alle iniziative dirette alla definizione degli strumenti attinenti la tracciabilità, anche differenziata per filiera, dei prodotti alimentari e per la realizzazione di studi e modelli operativi per l’attivazione di processi per la tracciabilità dei prodotti agroalimentari, in G.U. n. 156 del 6/7/2004. 32