Santa Maria Piccola - Diocesi Alessandria

Transcript

Santa Maria Piccola - Diocesi Alessandria
La chiesetta
di Santa Maria Piccola
in Bassignana
Dario Lenti
Ogni comunità cristiana, fin dai primi secoli di divulgazione della fede cattolica, ha tributato alla
Vergine Maria grande onore accompagnato dal senso di profonda venerazione. Negli aggregati
urbani poi, dove sono stati eretti più luoghi di culto, almeno uno è stato a Lei consacrato, Chiesa,
Oratorio o santuario che fosse.
Anche Bassignana, tradizionalmente ricca di Chiese, Monasteri, Santuari e Ospedali, da sempre
primari centri di aggregazione cristiana, ha nel corso della sua storia dedicato alla Madonna alcuni
edifici di culto e di preghiera. Anticamente esisteva infatti un Monastero di Carmelitani scalzi la cui
origine risale al XIV secolo, che si collocava su un’area adiacente all’attuale Chiesa di San
Lorenzo. All’interno era situata una Chiesa dedicata a Santa Maria del Carmine che, secondo alcuni
documenti storici (“Visitatio apostolica” di Mons. Peruzzi del 5 settembre 1576) comprendeva ben
14 altari, quattro dei quali erano dedicati rispettivamente alla Visitazione, alla Concezione,
all’Annunciata e alla Natività della Vergine.
Nulla è rimasto ai nostri giorni di questo Monastero che, in base alle tracce superstiti, era ubicato tra
le attuali Via San Lorenzo e Via Cavour, ma che fin dalla metà del 1600 dovette registrare una
irreversibile decadenza, tale da far dubitare della possibilità di mantenere la severa regola
carmelitana. Infatti dopo una prima sospensione dell’attività, cui seguì la revoca del provvedimento,
si giunse nel 1802 alla definitiva chiusura del Monastero, con il Convento e tutti i suoi beni mobili e
immobili acquisiti alla Parrocchia di Santo Stefano per la loro alienazione.
Ben diverse invece le vicende del secondo luogo di culto dedicato alla Vergine, la Chiesa di Santa
Maria Piccola, meglio conosciuta oggi come la Madonnina. Essa rappresenta un centro di
raccoglimento e di preghiera particolarmente caro ai bassignanesi, ma che si caratterizza soprattutto
per il grande affetto e la fervida devozione di quella parte del paese compresa tra la via Trieste e la
Via Muzio Cortese. Infatti il piccolo edificio, nel quale giornalmente si recano e sostano in
meditazione e preghiera numerosi fedeli, sorge proprio in un’area alla confluenza tra le suddette vie,
oggi come allora quando venne eretta alla estrema periferia del paese, presso l’antica porta Pavese,
dalla quale usciva la strada diretta verso il fiume Po. Per questo la Chiesa era anche chiamata “S.
Maria versus Padum”, mentre l’aggettivo “Piccola” era riferita alla modesta dimensione
dell’edificio.
Poca è la documentazione d’archivio cui attingere notizie su questo caratteristico e amato luogo
consacrato. Una ricerca approfondita venne fatta da Flavio Fagnani e Giovanni Torti, autori di
quella poderosa opera in tre volumi dedicata a Bassignana, alle sue origini, alla sua storia, cui seguì
un quarto volume degli stessi autori dedicato a Borgofranco, avamposto di Bassignana, sommerso
dalle inondazioni del Po agli inizi dell’Ottocento. Proprio dal secondo volume, edito nel 1973 e
dedicato alle istituzioni religiose e assistenziali sorte ed operanti a Bassignana, possiamo trarre le
notizie più complete sulla Madonnina. Di seguito riproponiamo quindi ampi stralci dell’opera di
Fagnani-Torti, riprendendola dal capitolo da essi dedicato alla Chiesa di Santa Maria Piccola, per i
fedeli la Madonnina.
La Chiesa fu fatta erigere da Filippo Maria Sforza, feudatario del luogo, che poi la cedette con atto
di donazione del 7 luglio 1491 ai Frati Carmelitani. Poiché lo Sforza fu investito del feudo in data
27 dicembre 1473, la costruzione dell’edificio si può collocare tra le due date sopra citate.
“All’ultimo quarto del Quattrocento sono chiaramente riferibili le prime due campate della Chiesa,
che presentano una copertura in volte a crociera con nervature di sezione poligonale, sorrette
lateralmente da arconi gotici, mentre gli archi trasversali, in epoca imprecisabile, furono arrotondati.
Purtroppo le incredibili raffazzonature subite dall’edificio, soprattutto all’esterno, ne hanno quasi
interamente eclissato l’originaria fisionomia architettonica. Tuttavia, nonostante questi pesanti
interventi, le linee originarie delle prime due campate si possono ancora riconoscere sotto lo spesso
strato di intonaco che le ricopre. E i deboli appigli visivi, attraverso un confronto con edifici coevi
della regione, consentono appunto di attribuire la costruzione all’ultimo quarto di Quattrocento.
Verso la metà del 1500, l’oratorio divenne sede di una Confraternita di Disciplini che assunsero il
titolo di Santa Maria Piccola. Essi trovarono modo di istallarsi in un locale appollaiato sulle volte
dell’Oratorio: un curioso esempio di simbiosi edilizia che si verificò anche per l’antica Cappella
dell’Ospedale di Santo Spirito.
Il 13 aprile 1562 la sede dei Disciplini fu visitata dal Vicario Generale della Diocesi, il quale
riferisce nella sua relazione che la Confraternita fu fondata nell’anno 1557. In quel momento ne era
priore Giacomo Ferrari, e vice priore Antonio Casali. I Disciplini erano in tutto 34 e non
possedevano beni di sorta: avevano tuttavia due massari che si curavano della raccolta delle
elemosine. Data la loro grande povertà, i Disciplini non facevano celebrare alcuna messa se non
saltuariamente, ma di rado; nei giorni festivi tuttavia cantavano assieme l’ufficio nella loro casa di
rione, che si trovava sopra la Chiesa di S. Maria Piccola. Nel locale si trovavano numerose casse e
panchette costruite da poco, una ancora nuova con le figure intagliate e dipinte della Vergine e S.
Giuseppe con il Bambino nel presepe, due piccoli Angeli di legno, un Crocifisso di legno, due
candelieri di ferro, una pace di legno, la pietra sacra, due tovaglie e una tovaglietta, un pallio di
panno rosso e un frontale di raso giallo, un grande Crocifisso di legno, un gonfalone da processione,
due torce, un calice e una patena d’argento dorato e qualche paramento.
Ogni quattro domeniche i Disciplini si flagellavano e sfilavano in processione. Quando qualcuno di
loro veniva a morte, i confratelli facevano celebrare una Messa in suffragio e, associati a tutti gli
altri Disciplini del paese, accompagnavano il defunto alla sepoltura con quattro torce accese. Le
poche Messe celebrate nell’Oratorio erano autorizzate di volta in volta dal Prevosto di Bassignana,
per cui i Disciplini chiesero e ottennero dal Vicario di poter celebrare liberamente, ma a condizione
che la Messa fosse celebrata all’alba.
Praticamente analogo è il tenore del verbale della Visita pastorale del 18 settembre 1565, nel quale
si precisa che i Disciplini erano privi di beni, tranne un legato di quattro scudi per una Messa
settimanale, somma alla quale i Confratelli aggiungevano altri due scudi per la celebrazione di una
Messa domenicale. Dopo aver ispezionato l’Oratorio che stava sopra la Chiesa, il Visitatore
constatò che esso era piuttosto indecoroso ma, ciò che era più grave, nel locale si svolgevano le
riunioni dei Disciplini, fra i quali sovente nascevano animate discussioni con grida e alterchi. Per
questa e altre ragioni di opportunità, il Peruzzi ordinò che per l’avvenire si celebrasse nella Chiesa
sottostante. A parte le dispute, il comportamento dei Disciplini non dava luogo a rilievi. Essi erano
22 e si comunicavano regolarmente a Pasqua: non avevano una regola propria, ma non seguivano
credenze strane o superstiziose.
Della Chiesetta di S. Maria, gli atti della Visitatio apostolica riferiscono che aveva sopra le volte
l’Oratorio dei Disciplini e nelle sue linee architettoniche era abbastanza decorosa. Essa tuttavia era
priva di ogni decorazione, senza pavimento e con le pareti annerite dal fumo delle candele. Inoltre,
l’altare era spoglio e la Chiesa era piena di legna e di attrezzi profani. Ispezionata la
documentazione che gli fu presentata, il Peruzzi riconobbe che la proprietà della Chiesa spettava ai
Carmelitani del Convento di Bassignana, tuttavia pregò il priore e i frati ivi presenti di concederla in
uso ai Disciplini, perché questi potessero farvi celebrare le Messe e tenere le loro devozioni. I frati
acconsentirono alla richiesta e il Visitatore ordinò allora che, prima di svolgere nella Chiesa le loro
funzioni di culto, fossero rimossi gli attrezzi che la ingombravano. Impose inoltre la condizione che
l’altare fosse munito di ancora o almeno di buone pitture, che il pavimento fosse lastricato, che le
pareti fossero intonacate e sbiancate e che le finestre fossero munite di telai e tela cerata.
Qualche anno dopo, l’8 marzo 1580, la Chiesa fu visitata anche dal Prevosto Marconi, per incarico
del Vescovo Ippolito Rossi. Le notizie ricavate dagli atti di questa visita non aggiungono nulla di
nuovo a quanto già sappiamo, ma accennano a screzi insorti tra i frati e i Disciplini a proposito della
Chiesa, che questi ultimi avevano già incominciato ad intonacare, ma furono costretti a sospendere
il lavoro per l’opposizione di quelli, reclamanti i loro diritti sulla Chiesa. La conseguenza fu che i
Disciplini sospesero la celebrazione delle Messe cui erano tenuti per legato. Sembra tuttavia che la
controversia sia stata accomodata in seguito e che i Disciplini abbiano proseguito i lavori prescritti
dal Peruzzi nel 1576. Nel corso della sua breve visita compiuta il 20 ottobre 1592, S. Alessandro
Sauli scrive infatti che l’Oratorio era pavimentato ed aveva un quadro rappresentante la Natività
della Vergine. L’edificio era coperto da volte e misurava, compreso il locale di adunanza dei
Disciplini, 16 braccia di lunghezza e circa 6 di larghezza. I Confratelli erano in tutto 43 e il loro
Priore era Gio. Battista Ferrari.
Qualche ulteriore notizia si ricava dagli atti della Visita pastorale dell’11 ottobre 1619, nei quali è
detto che la Chiesa presentava un solo altare, dietro il quale era il coro ove i Disciplini si
radunavano nei giorni festivi per recitare l’Ufficio della B. Vergine e i Vespri. I Confratelli erano 61
e vestivano un sacco color turchino che fu loro assegnato dal Vescovo Ippolito Rossi, del quale
osservavano le regole da lui emanate nel 1577. Essi inoltre non erano aggregati a nessuna
Arciconfraternita, ma potevano lucrare l’indulgenza perpetua in base a un privilegio “datum Romae
apud S. Mariam Maiorem, 19 decembris 1593”.
Nella chiesetta si celebrava la Messa nei giorni festivi e l’incarico era stato assegnato al prete Anton
Simone Molla, che veniva compensato con la somma annua di 18 scudi. Pressoché nulli tuttavia
erano i redditi della Confraternita, che riscuoteva ogni anno 2 staia di frumento “ad mensuram
Basignane” ed era tenuta a dare annualmente ai frati Carmelitani 2 libbre di cera per la concessione
in uso dell’Oratorio. Gli ufficiali della Confraternita venivano sostituiti ogni anno e
l’amministrazione delle elemosine spettava al Priore, che era allora Vincenzo Doria. Questi mostrò
al Visitatore i registri contabili, dai quali risultò che il Priore stesso era debitore di lire 12 e soldi 16,
mentre il camerario doveva la somma di lire 6, 12, 6. Fra i Confratelli regnava piena concordia: essi
intervenivano alle processioni su invito del Prevosto e accompagnavano i defunti alla sepoltura
senza pretendere alcuna mercede, accontentandosi delle offerte spontanee.
Nella Visita pastorale compiuta il 29 maggio 1635, il Vescovo Fabrizio Mandriani constatò che
l’altare dell’Oratorio aveva un quadro abbastanza decoroso e rappresentante la Natività di Maria.
Vide inoltre che un certo arco che si trovava dietro il coro era crollato. Ad evitare danni anche
maggiori alle fondamenta stesse dell’Oratorio, il visitatore ordinò che l’arco fosse riparato e che
sulla facciata si dipingesse l’immagine della Vergine. L’Oratorio era tuttora tenuto dei Disciplini, i
quali vestivano un sacco color celeste. Priore della Confraternita era Ludovico Inverardi e
sottopriore Giovanni Oltrabelli. A poca distanza dall’Oratorio i Disciplini possedevano una casetta
in stato rovinoso: il tetto era rotto e privo di tegole e la biocca minacciava di sfasciarsi da un
momento all’altro, tanto che il costo dei restauri sarebbe stato superiore al valore dell’edificio. Il
Visitatore accordò quindi ai Disciplini la facoltà di vendere la casetta, in modo che potessero
impiegare il ricavato nel restauro dell’Oratorio, che era anch’esso in cattive condizioni.
È probabile che negli anni seguenti l’Oratorio sia stato oggetto di massicci restauri, rivolti
soprattutto a rafforzare la statica dell’edificio che, trovandosi ai margini del terrazzo affacciato sul
Po, presentava pericolose lesioni provocate dallo smottamento del terreno circostante. A questi
lavori sono probabilmente da imputare gli incredibili rafforzamenti subiti dall’Oratorio soprattutto
all’esterno, ove le linee originarie furono pressoché cancellate da uno spesso strato di intonaco.
Qualche altro lavoro si fece nel Settecento, epoca alla quale risalgono l’altare di marmo policromi e
la balausta barocca.
Nell’Ottocento le condizioni statiche dell’edificio, situato proprio sull’orlo del Fossone, diventarono
nuovamente precarie. Il 31 dicembre 1871 i membri della Confraternita si riunirono per deliberare
intorno ai lavori da farsi al coro della Chiesa, che presentava da tempo vistose e allarmanti crepe.
Fu allora deciso di rivolgere un’istanza al Sindaco del paese “perché mandi un idoneo perito legale
il quale indichi il modo di riparare questa fabbrica da sì fatale rovina”. Il Sindaco si affrettò a
mandare sul posto il geometra Tomaso Salio di Sale il quale, dopo aver ispezionato la Chiesa e il
campanile, concluse che questo “per sua pendenza sarebbe cagione della rovina dello stesso
fabbricato ed ivi in specie del coro, per cui si consiglia che i mezzi più adatti a riparare siffatto
disastro sarebbero i seguenti: 1. Abbassamento del campanile sino al piano delle mura del tetto della
detta Chiesa; 2. riparare con lo stesso materiale le fondamenta del coro”. Esaminata la perizia del
Salio, la Confraternita decise di abbattere il vecchio campanile, che si trovava accanto al coro e di
erigerne uno nuovo, su disegno dello stesso Salio, più spostato in avanti verso la facciata. Ciò che in
effetti avvenne”.
E così la Chiesa di Santa Maria Piccola, la Madonnina è giunta fino ai nostri giorni. Nel corso degli
anni e in particolare in questo secondo dopoguerra, molti bassignanesi si sono prodigati nella cura
del luogo sacro, nel suo decoro, nell’addobbo floreale pressoché quotidiano. Era tuttavia urgente
provvedere alla manutenzione radicale dei muri, del rivestimento, del piccolo giardino adiacente ed
ornamento dell’edificio. Non solo opere ad abbellire la facciata e il perimetro esterno, ma radicali
interventi senza i quali l’inesorabile legge del tempo creerebbe grave pregiudizio alla struttura e
all’intonaco. Questo restauro fu fatto in un primo momento nel 1995 risanando e ritinteggiando
l’interno della chiesetta e ricostruendo tutto il tettuccio della sacrestia; poi nel 2010 i lavori sono
continuati con l’intonacatura e la tinteggiatura di tutti i muri perimetrali. Questi lavori sono stati
fatti ad opera del priore Cazzola Carlo con la collaborazione di tante persone legate alla Chiesetta.
Campanile
Qualche tempo fa, uno sguardo veloce verso il campanile della Chiesetta mostrava immediatamente
agli occhi di tutti la cuspide mozzata: dell’elegante punta che un tempo slanciava tutta la torre
campanaria la si vedeva con un rattoppo architettonico raffazzonato e malfatto. Raccontano i vecchi
del paese che nel settembre 1968 un fulmine spezzò la cuspide e ruppe anche la campana
sottostante. Ora grazie alla caparbietà del Priore, il campanile è stato riportato alla sua antica
bellezza. Anche la storia della campana rimane solo nei ricordi dei nostri anziani: quando l’abbiamo
fatta scendere per la rifusione abbiamo trovato soltanto poche incisioni a raccontarne l’origine.
“S.M.P. Dicata Oppidi Bassignana 1909”. Alcuni fregi raffiguranti probabilmente S. Giovanni, S.
Rocco, il Crocifisso e il fonditore: Mazzola Roberto fu Pasquale, Valduggia, Novara. Sappiamo di
certo che “il 14 settembre 1909 delegato dall’illustrissimo Mons. Capecci, Vescovo di Alessandria,
alle ore quattro pomeridiane” il Prevosto Mons. Argenteri ha benedetto questa campana “alla
presenza del sig. curato Don Giuseppe Ferrarsi e del chierico Fracchia Luigi”.
La nuova campana posta in atto nel 1995 è di 170 Kg, la tonalità è in Reb ed è stata realizzata dalle
Fonderie Trebino di Genova. Ha diverse immagini e diciture tra le quali spicca un Cristo risorto e la
scritta: “Il suono di questa campana ricordi sempre la bontà e la dolcezza di Fracchia Valeria in
Pasetti. 1930-1994”. Questo perché l’intera spesa della nuova campana è stata sostenuta dal sig.
Pasetti in memoria della moglie.
Anche il campanile ora ha una cuspide rimessa a nuovo; nel 2010 sempre con l’interessamento e la
caparbietà del priore Carlo Cazzola si è proceduto alla sistemazione è stata rimessa a nuovo e
ricoperta con una splendente lamina di rame.