Testo completo della sentenza n. 98/05 del 03/09/2005

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Testo completo della sentenza n. 98/05 del 03/09/2005
Sentenza n. 98/05
Pronunziata il 03.09.2005
Depositata il 03.09.2005
Danni (mat. Civile) – Danni al congiunto (morte o lesioni) – Nascituro (concepito) – Diritto al
risarcimento – Capacità giuridica – Criterio non conferente – Regime della responsabilità aquiliana – Criterio
della causalità adeguata – Applicabilità – Danni da perdita del rapporto parentale – Sussistenza – Famiglia di
fatto e filiazione naturale – Irrilevanza – Circolazione stradale - Colpa e concorso di colpa – Omicidio
colposo in danno del trasportato – Ebbrezza del conducente – Consapevolezza e imprudenza del trasportato
– Onere della prova – Inottemperanza – Rif. Leg.artt.1,261,277,1223,1225,1227,2043,2054,2056,2059
cc;artt.41,590 cp;RD1403/22;art.1 L.405/75;art.1 L.194/78; artt. 141,186DLgs.285/92; art.213
cpc;artt.2,31,32 Cost;
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Modena – sezione distaccata di Carpi
Il Giudice Unico
dott. Riccardo Di Pasquale, ha emanato la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al n. 4960/2001 R.G. A.C. promossa da:
XX, nata a (omissis) il (omissis), ivi residente in via (omissis) – C.F. (omissis) –, agente in
giudizio quale genitore esercente la potestà sulla minore Andrea F.L., nata a (omissis) il
29/3/1999 – C.F. (omissis) –, difesa e con domicilio eletto presso l’avv. Benito
BENETTI, con studio in Carpi via B. Peruzzi n. 8, rappresentante nel presente giudizio
in forza di procura speciale apposta in calce all’atto di citazione.
ATTRICE
Contro
YY, nato a Bologna il (omissis), domiciliato in (omissis), via (omissis) – C.F. (omissis)
CONVENUTO CONTUMACE
E
WINTERTHUR ASSICURAZIONI s.p.a. (ora AURORA ASSICURAZIONI), in
persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Milano, piazza Missori n. 2 C.F. 01417330154-. difesa e con domicilio eletto presso l’avv. Eliseo PINI, con studio in
Modena Corso Canalchiaro n. 65, rappresentante nel presente giudizio in virtù di
procura speciale apposta in calce alla copia notificata della citazione.
CONVENUTA
Avente ad oggetto: risarcimento danni da incidente stradale mortale
Conclusioni per la parte attrice:
Voglia il Tribunale adito, ogni contraria istanza disattesa, condannare i convenuti, in solido tra
loro, al risarcimento di tutti i danni patiti dalla minore Andrea F.L. in conseguenza del sinistro per
cui è causa, nella misura di £. 1.800.000.000 o in quella diversa somma che risulterà in corso di
causa, con interessi e rivalutazione dalla data del sinistro all’effettivo saldo. Con vittoria delle
spese di causa.
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Conclusioni per la parte convenuta Winterthur:
Voglia l’Ill.mo Tribunale rigettare le domande proposte da XX in nome e per conto della figlia
come proposte in atto di citazione perché inammissibili e comunque infondate in fatto e in diritto.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 1-3/12/2001, XX, quale genitore esercente la
potestà sulla minore Andrea F.L., conveniva in giudizio YY e la Winterthur
Assicurazioni avanti al Tribunale di Modena sezione distaccata di Carpi.
Esponeva che A.V., padre naturale di Andrea F.L., era deceduto a seguito di incidente
stradale avvenuto in Carpi il 17/12/1998 alle ore 3,30 circa; che il A.V. era trasportato
sull’autovettura Mercedes tg. (omissis), di proprietà e condotta da YY, ed assicurata per la
R.C.A. presso la Winterthur; che l’incidente si era verificato per esclusiva responsabilità
di YY, il quale imputato per i reati di omicidio colposo aggravato e guida in stato di
ebbrezza aveva patteggiato la pena; che Andrea F.L., concepita all’epoca del sinistro, era
nata dopo la morte del padre: il Tribunale per i Minorenni di Bologna con sentenza n.
39/00 aveva riconosciuto il rapporto di filiazione naturale; che la compagnia assicuratrice
aveva offerto l’irrisoria somma di Lire 156.000.000, con una detrazione del 30% per una
asserita corresponsabilità di A.V..
Così quantificava i danni spettanti alla minore:
Lire 978.000.000 per danno esistenziale;
Lire 493.000.000 per danno morale;
Lire 320.000.000 per danno patrimoniale.
Chiedeva la condanna dei convenuti al pagamento, in via solidale, della complessiva
somma di Lire 1.800.000.000.
YY non si costituiva in giudizio e veniva dichiarato contumace.
Winterthur assicurazioni si costituiva in giudizio resistendo alla domanda.
Sosteneva che A.V. e l’altra trasportata A.A. erano consapevoli dello stato di ebbrezza
del conducente YY.
Esponeva che genitori e fratelli della vittima si erano presentati quali unici eredi ed
ottenuto la liquidazione della somma di Lire 4000 milioni.
Rilevava che toccava all’attrice dare prova di una relazione di stabile convivenza.
Contestava la mancanza di una specifica previsione normativa che riconosca al nascituro
azione di risarcimento per fatti verificatisi in epoca anteriore al parto.
Le parti producevano documenti.
Il giudice disponeva l’acquisizione, ai sensi dell’art. 213 c.p.c., dalla Compagnia
Carabinieri di Carpi dei rilievi fotografici del sinistro.
Venivano ammessi ed assunti l’interrogatorio formale del convenuto YY e prove
testimoniali.
Il giudice disponeva l’acquisizione, ai sensi dell’art. 213 c.p.c., dalla Cancelleria
dell’Ufficio di copia degli atti del procedimento relativo all’accettazione di eredità con
beneficio d’inventario da parte della minore Andrea F.L. (inventario e stima quota
sociale).
La causa veniva posta in decisione, ai sensi dell’art. 281 quinquies c.p.c., all’udienza del
9/2/2005, sulle conclusioni delle parti, come in epigrafe trascritte, disponendo lo
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scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, ai sensi dell’art. 190
c.p.c.
Motivi della decisione
1 – Diritto di Andea F.L. al risarcimento del danno.
È provato che Andrea F.L., nata il 29 marzo 1999, è figlia naturale di A.V..
Sul punto vi è la sentenza n. 39 del 2000 del Tribunale per i Minorenni di Bologna –
passata in giudicato – (doc. 1 attrice).
A norma dell’art. 277 c.c. la sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli effetti
del riconoscimento. Secondo la giurisprudenza prevalente gli effetti si producono
retroattivamente, fin dal momento della nascita (per tutte Cassazione 6217/94).
Al momento della morte del padre, a seguito dell’incidente avvenuto il 17 dicembre
1998, la bambina era dunque stata concepita ma non era ancora nata.
Parte convenuta contesta che la nascitura Andrea F.L. abbia azione di
risarcimento per fatti verificati in epoca anteriore alla nascita.
Si tratta del dibattuto tema del diritto del nascituro al risarcimento del danno
derivante da responsabilità extracontrattuale.
Secondo questo giudicante il quesito deve avere risposta positiva.
In tal senso è la più recente e condivisibile giurisprudenza della Suprema Corte.
Vi sono due questioni di diritto che occorre tenere distinte.
Da una parte quella della soggettività giuridica. L’art. 1 cod. civ. dispone che “La capacità
giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del
concepito sono subordinati all’evento della nascita.”.
Dall’altro quello della responsabilità da fatto illecito.
Sotto il primo profilo si rinvengono in giurisprudenza alcune – non condivisibili –
pronunce che propongono una interpretazione adeguatrice dell’art. 1, comma 2, c.c., in
riferimento a norme costituzionali (art. 2, 31 e 32 Cost.) o sulla scorta di alcune norme di
legge ordinaria (art. 1 legge 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza, art. 1 legge
405/75 sull’istituzione dei consultori familiari).
La soluzione affermativa della responsabilità, e quindi dell'obbligo di risarcimento,va
invece trovata nel regime della responsabilità aquiliana, senza bisogno di costruire una
parziale o anticipata capacità del nascituro.
In tal senso si segnala, per ampiezza di motivazione, Cassazione penale, sez. IV, 21
giugno 2000, n. 11625, in Giust. civ. 2001, I, 711 nota.
Il principio ha poi trovato applicazione in numerose pronunce dei giudici di merito e di
legittimità (si veda da ultimo ad es. Cassazione Civile, Sez. III, 25 maggio 2004, n. 10035
per un caso nel quale è stato riconosciuto il risarcimento del danno da responsabilità
extracontrattuale a moglie e due figli – uno di 4 anno e uno in gestazione – ).
Ai fini della imputazione della responsabilità civile, il necessario nesso di causalità tra la
condotta e l'evento e tra detto evento e le conseguenze dannose che ne derivino
prescinde da qualunque criterio di contemporaneità, purché sussista l'adeguatezza
causale. Pertanto è risarcibile, "iure proprio" il danno subito dal figlio della persona offesa
che, alla data dell'incidente mortale, era stato già concepito ma non era ancora nato. In
tal caso, il momento iniziale del verificarsi del danno è successivo alla nascita.
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Il "danno del nascituro" è, pertanto, in realtà, il "danno di una persona effettivamente
nata", come esattamente osserva la Corte di Cassazione. Logica conseguenza è che "se la
nascita non si verifica ... il danno ingiusto non sorge".
Il tutto in piena coerenza col disposto dell'art. 1, comma 2, c.c., poiché il danno, nel caso
in cui si verifichi, viene risentito da una persona pienamente capace e, dunque,
suscettibile di esser titolare di quei diritti che possono esser lesi della condotta illecita del
danneggiante.
La decisione si fonda sul principio per cui la struttura dell'illecito civile, quale si può
desumere dall'art. 2043 c.c. e delle altre disposizioni che regolano la materia, non esige
"l'esistenza di un criterio di contemporaneità tra la condotta e il danno", per cui
quest'ultimo ben può "verificarsi in un momento successivo alla condotta".
Il rapporto di causalità tra condotta e danno non opera in termini cronologici di
"contemporaneità", e cioè di immediatezza o contiguità temporale, ma di "normale
idoneità" della condotta a produrre il danno verificatosi, secondo un giudizio di
adeguatezza causale, ancorché questo si sia attuato a distanza di tempo dalla prima.
In tal senso non sussistono, dunque, limitazioni di ordine temporale, e anche pregiudizi
verificatisi in epoca successiva al momento in cui si verificò la condotta illecita sono
risarcibili, laddove siano casualmente ricollegabili a quest'ultima, in termini di "causalità
adeguata".
In conclusione si tratta dei danni del "nato", cagionati da un "fatto illecito compiuto
anteriormente alla sua nascita" che "si manifestano successivamente" a questa, ma tale
discrasia temporale non è di ostacolo alla loro risarcibilità.
2 – Responsabilità di YY nella causazione del sinistro.
Sono stati prodotti il rapporto dei Carabinieri di Carpi, con rilievi planimetrici e
fotografici (doc. 1 convenuta e acquisizione ex art. 213 c.p.c.) ed il test alcoolimetrico
eseguito su YY presso l’Ospedale di Carpi (doc. 3 convenuta).
È stato assunto l’interrogatorio formale di YY.
Sono stati sentiti come testimoni: C.M., appuntato Carabinieri; A.A., trasportata sull’auto
condotta da YY.
La dinamica e la responsabilità del sinistro sono chiare.
Il giorno 17/12/1998 alle ore 3,30 circa, YY, alla guida della autovettura Mercedes 210K
SW (2800 cc.) targata (omissis), con a bordo A.A. e A.V. [rectius: padre di Andrea,
poideceduto, NdR], stava percorrendo via (omissis) in (omissis), quando perdeva il controllo
del mezzo andando ad urtare violentemente contro un albero posto sul lato destro e poi
contro la recinzione di un’abitazione.
A.V. [rectius: padre di Andrea] – trasportato sul sedile posteriore – decedeva
immediatamente a seguito delle lesioni subite nell’incidente (v. referto doc. 2 convenuta).
Gli altri due occupanti dell’autovettura riportavano lesioni.
YY è stato imputato per omicidio colposo aggravato, con contestazione delle violazioni
specifiche di cui agli art.li 141 commi 1, 3, 9, e 186 c.d.s., e per guida in stato d’ebbrezza
(doc. 5 attrice - decreto citazione a giudizio).
Le contestazioni trovano riscontro nei rilievi ed accertamenti compiuti dai Carabinieri di
Carpi.
L’incidente è avvenuto in ora notturna, con fitta nebbia e fondo stradale bagnato.
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Vanno evidenziati i gravissimi danni al veicolo – si è spezzato in due parti – (v. ad es.
foto n. 9 fascicolo rilievi CC) ed alle cose – l’auto ha distrutto la recinzione di
un’abitazione – (v. ad es. foto 5 e 6 fascicolo citato).
Tali danni sono compatibili con la contestata velocità di 140 km/h circa (v. capo
d’imputazione).
È agli atti il referto 17/12/98 Ospedale Carpi che accerta una concentrazione di etanolo
nel sangue di YY di 177,11 mg/dl (pari a 1,77 g/l). All’epoca il valore massimo del tasso
alcoolemico, fissato dall’art. 186 cds, era di 0,8 grammi per litro (g/l); oggi è di 0,5 g/l.
Si tratta di prova documentale dello stato di ebbrezza.
I carabinieri accertatori (v. rapporto e deposizione teste C.M.) non hanno rilevato sulla
persona di YY segni sintomatici dello stato di ebbrezza. Ciò è peraltro compatibile col
fatto che YY “era in stato di shock, non parlava, era ferito e sanguinava” (teste citato).
YY ha patteggiato la pena, ai sensi degli art.li 444 seg. c.p.p., di mesi 8 di reclusione per il
reato di cui all’art. 589 c.p., di giorni 20 di arresto e Lire 400.000 di ammenda per il reato
di cui all’art. 186 cds, con sospensione condizionale della pena; gli è stata sospesa la
patente per la durata di mesi 10 ed applicata la sanzione amministrativa di Lire 4.300.000
(v. sentenza GIP Tribunale Modena 31/10/2001 -doc. 5 attrice-).
La deposizione di A.A. non è attendibile. Da una parte dichiara di essere svenuta e di
essere sotto shock. Dall’altra racconta con precisione una dinamica dell’incidente, che
però contrasta con i rilevanti elementi oggettivi di prova acquisiti. Non è ad esempio
credibile sulla affermata velocità non eccessiva e sulla assenza di nebbia. In ogni caso tale
deposizione non sarebbe idonea ad escludere – ma semmai solo ad attenuare – la
responsabilità di YY.
Sulla base di tali elementi di prova deve affermarsi la responsabilità di YY per
essersi messo alla guida in condizioni inidonee (art. 186 cds) e per avere tenuto una
condotta di guida inadeguata e pericolosa (art. 141 cds).
2.1 – Corresponsabilità ex art. 1227 c.c. di A.V. [rectius: padre di Andrea, poi
deceduto].
La società convenuta prospetta un concorso di colpa di A.V. – nella misura almeno del
30% – a causa del di lui comportamento imprudente. Lo stesso si sarebbe esposto
volontariamente al pericolo, accettando di essere trasportato su veicolo condotto da
persona in stato di ebbrezza alcolica chiaramente percepibile.
Può ritenersi astrattamente applicabile al caso in esame la previsione dell’art. 1227
c.c.
Così Tribunale Monza 6/9/2000 – unico precedente rinvenuto – :
Il risarcimento delle lesioni personali subite dal trasportato va ridotto, in conseguenza
del comportamento imprudente dello stesso leso allorché questi si sia esposto
volontariamente al pericolo, accettando di essere trasportato su veicolo condotto da
persona in stato di ebbrezza alcoolica chiaramente percepibile. Tale comportamento
determina concorso di colpa del trasportato (nella fattispecie decisa, valutato in misura
del 30%).
La tesi di parte convenuta è però rimasta sfornita di prova.
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Nel caso in esame si tratta di un trasporto cd. di cortesia – fatto incontroverso. Va
ricordato che la più recente giurisprudenza applica, anche a favore di tale trasportato, la
presunzione dell'art. 2054 e la conseguente inversione dell'onere della prova.
YY dichiara di avere passato la serata nel locale USL di Soliera, con una cena di lavoro;
che successivamente l’amico A.V. [rectius: padre di Andrea, poi deceduto] lo ha chiamato
telefonicamente per chiedergli di accompagnare a casa lui e l’amica A.A., che si
trovavano presso il locale QBR di Carpi (v. interrogatorio formale udienza 20/11/2003).
La teste A.A. ha dichiarato di avere casualmente incontrato presso il locale QRB alle ore
3 circa A.V. [rectius: padre di Andrea, poi deceduto] – che fino alle ore 2 aveva lavorato nel
suo bar di via (omissis) – ; che A.V. chiamava telefonicamente l’amico YY per farsi
accompagnare a casa; che, giunto YY, lei e A.V. salivano subito sull’auto.
Si può convenire con parte convenuta sulla non attendibilità della deposizione di A.A. (v.
sopra).
L’interrogatorio del convenuto non contiene dichiarazioni di natura confessoria.
Anche escludendo la deposizione della A.A. – contraria alla tesi della convenuta – , si
deve rilevare che la parte non ha assolto l’onere probatorio che su di lei incombeva.
Non è stato in particolare provato che A.V. [rectius: padre di Andrea, poi deceduto] fosse
consapevole dello stato di ebbrezza di YY, o comunque che tale condizione del
conducente fosse da lui chiaramente percepibile.
In fatto non è stato provato che i due amici avessero trascorso insieme la serata. Tale
indicazione peraltro non emerge neppure dagli interrogatori resi da YY ai Carabinieri di
Carpi, che sul punto sono generici e poco comprensibili (v. verbali allegati al rapporto
CC - doc. 4 convenuta-).
Manca perciò la prova di un rilevante elemento presuntivo dal quale poter desumere la
conoscenza da parte di A.V. [rectius: padre di Andrea, poi deceduto] dello stato di ebbrezza
di YY.
La deposizione del teste C. [rectius: appuntato dei Carabinieri, già in precedenza citato,
accorso sul luogo dell’incidente, NdR] non ha fornito elementi utili per potere affermare che
lo stato di ebbrezza di YY dovesse essere evidente per l’amico A.V., nel momento in cui
era salito sull’autovettura condotta dall’amico.
Il test alcoolimetrico, seppur indicante un tasso superiore al doppio di quello consentito,
è elemento di per sé insufficiente a fondare la prova di una certa evidenza per il
trasportato A.V. della inadeguata condizione psico-fisica alla guida del conducente YY.
In conclusione non è stata raggiunta la prova di elementi di fatto sui quali fondare
l’asserita violazione dell'obbligazione del trasportato di "cooperazione" al trasporto
mediante comportamento prudente, mirato ad evitare danni a se stesso.
3 – Risarcimento del danno.
L’attrice, all’esito dell’attività istruttoria, ha chiesto il risarcimento del danno morale ed
esistenziale nella misura di Euro 260.000,00 e del danno patrimoniale nella misura di
Euro 657.346,34 (v. conclusionale).
3.1 – Danno non patrimoniale.
Come è noto, le pronunce della Cassazione n. 8828/03 e n. 8827/03, richiamate dalla
Corte Costituzionale n. 233/03 come diritto vivente, hanno riconosciuto il ristoro del
danno da lesione del cd. rapporto parentale in due diverse situazioni. La prima delle
decisioni citate – che qui interessa – riguarda il danno parentale da lutto, subìto dai
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familiari per la perdita dal capo famiglia. La risarcibilità – iure proprio – , ai congiunti della
vittima, del danno da perdita del rapporto parentale è stata poi confermata anche in altre
successive pronunce della Suprema Corte (ad es. Cass. 12124/03 e n. 16716/03).
Nella “nuova” ricostruzione del danno non patrimoniale in caso di morte si è passati
dalla risarcibilità del danno da perdita del diritto alla vita alla risarcibilità del danno da
perdita del rapporto parentale.
È risarcibile il danno non patrimoniale da uccisione di congiunto consistente nella
perdita definitiva del rapporto parentale.
Nel danno da perdita del rapporto parentale per l’uccisione di un familiare, la
giurisprudenza riconduce la perdita del <<godimento del congiunto>> e la perdita dei
diritti-doveri che costituiscono il contenuto dei vari status: coniugale, filiale, ecc..
È evidente la differenza con il danno morale: il pregiudizio non è rappresentato dal
dolore che la perdita del congiunto ha provocato, ma dalla privazione stessa di quel
<<patrimonio>>, rappresentato dal de cuius (la perdita del godimento del congiunto e la
preclusione delle relazioni interpersonali).
Così Cassazione civile, sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828:
“Il danno non patrimoniale da uccisione del congiunto non coincide con la lesione
dell’interesse protetto, ma, in quanto danno - conseguenza, consiste in una perdita, ossia nella
privazione di un valore (non economico, ma) personale, costituito dall’irreversibile venir meno
del godimento del congiunto e dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni
interpersonali, secondo le varie modalità con le quali essi normalmente si esprimono
nell’ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che, in relazione alle diverse
situazioni, possono avere diversa ampiezza e consistenza in termini di intensità e protrazione
nel tempo. Da tanto discende che, non essendo configurabile nella specie un danno “in re ipsa”,
esso deve essere allegato e provato da chi vi abbia interesse, senza che, peraltro, sia precluso il
ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni (sulla base di elementi obiettivi forniti
dall’interessato), venendo in considerazione un pregiudizio che, diversamente dal danno
morale soggettivo, si proietta nel futuro, e dovendosi inoltre avere riguardo al periodo di tempo
nel quale si sarebbe presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che l’illecito ha invece
reso impossibile.”
Il risarcimento del danno viene così ad assumere una funzione solidaristica nei confronti
della vittima unitamente ad una funzione solidaristica e satisfattiva nei confronti dei
familiari, per la lesione del diritto alla serenità famigliare e del diritto a svolgere le
relazioni parentali fondate sulla famiglia.
Si può sinteticamente affermare che la risarcibilità dei danni non patrimoniali a tutela dei
diritti fondamenti viene collocata nell’area dell’art. 2059 c.c., che è estensivamente
interpretato alla luce dei principi costituzionali:
“Il risarcimento del danno non patrimoniale - la cui nozione comprende non solo il danno
morale soggettivo, ma anche il danno da lesione di valori inerenti alla persona - non incontra i
limiti dell’art. 185 c.p. quando la lesione riguardi valori della persona costituzionalmente
garantiti, dal momento che il rinvio ai casi determinati dalla legge di cui all’art. 2059 c.c. va
riferito anche alle previsioni della legge fondamentale che riconoscono diritti inviolabili.”
Cassazione civile, sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828 citata
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Nelle citate recenti pronunce della Suprema Corte non viene menzionano formalmente il
<danno esistenziale>. Il pregiudizio esistenziale viene collocato fra le componenti del
danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c..
Nella ricostruzione del <<nuovo>> danno non patrimoniale si deve evitare il rischio
sovrapposizioni, segnalato anche da Cassazione n. 8827 e 8828 del 2003:
“Il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, in quanto ontologicamente
diverso dal danno morale soggettivo contingente, può essere riconosciuto a favore dei
congiunti unitamente a quest’ultimo, senza che ciò implichi, di per sé, una duplicazione di
risarcimento. Tuttavia, essendo funzione e limite del risarcimento del danno alla persona,
unitariamente considerata, la riparazione del pregiudizio effettivamente subito, il giudice di
merito, nel caso di attribuzione congiunta del danno morale soggettivo e del danno da
perdita del rapporto parentale, deve considerare, nel liquidare il primo, la più limitata
funzione di ristoro della sofferenza contingente che gli va riconosciuta, poiché, diversamente,
sarebbe concreto il rischio di duplicazioni del risarcimento, e deve assicurare che sia
raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci che concorrono a determinare il complessivo
risarcimento.”
Cassazione civile, sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828
I criteri indicati da Cassazione 8828/03, al fine di effettuare, in via equitativa, la
liquidazione del danno da lesione del rapporto parentale, erano, comunque, già presenti
nelle giurisprudenza di merito, che aveva riconosciuto la risarcibilità di tale pregiudizio.
La Suprema Corte ha sempre ritenuto che nella liquidazione equitativa del danno non
patrimoniale derivante da fatto illecito il giudice di merito deve tener conto delle effettive
sofferenze patite dall'offeso, della gravità dell'illecito di rilievo penale e di tutti gli
elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere la somma liquidata adeguata al
particolare caso concreto (Cass. 6 ottobre 1994, n. 8177).
La giurisprudenza di merito utilizzava in modo prevalente il criterio di determinazione
della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale in una frazione
dell'importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico. Ciò è stato ritenuto
non di per sé illegittimo, se il giudice abbia tenuto conto delle peculiarità del caso
concreto, effettuando la necessaria "personalizzazione" del criterio detto al caso
concreto ed apportando, se del caso, gli eventuali consequenziali correttivi in aumento o
in diminuzione.
Sulla base dei citati nuovi principi della Cassazione in tema di danno non patrimoniale, si
è valutata l’opportunità di rivedere i criteri in precedenza adottati.
Questo giudice condivide i criteri proposti dal Tribunale di Milano – Osservatorio
Giustizia Civile – (ad es. in Guida al Diritto n. 49 del 18/12/2004).
Segue stralcio dei Criteri Orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale del
1/12/2004:
“B) Danno non patrimoniale, diverso dal biologico.
… L’esigenza di dare risalto al danno non patrimoniale (diverso dal biologico) in tutte le sue
componenti, evitando peraltro duplicazioni, induce a ritenere opportuna una stima globale di tale
dove di danno, che sia frutto di un giudizio equitativo, articolato e motivato in relazione agli
elementi allegati e provati. …
2. Vittime secondarie.
2.1 Morte di familiare
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Si è rilevato che la misura del risarcimento prevista dalle Tabelle già in uso presso il Tribunale di
Milano, pur facendo riferimento al danno “morale”, dunque apparentemente al mero aspetto del
<<danno da sofferenza contingente>>, tiene già conto della lesione del rapporto parentale, quale
interesse costituzionalmente protetto risarcibile nell’ambito dell’unitario danno non patrimoniale,
diverso dal biologico.
L’Osservatorio propone di disancorare comunque, nel caso di morte di un congiunto, la
commisurazione del danno non patrimoniale risarcibile (da intendersi come somma del danno
morale soggettivo tradizionalmente inteso e del danno non patrimoniale dal lesione del rapporto
parentale) da ogni astratto riferimento a un ipotetico danno biologico del 100% subito dalla
vittima primaria, privilegiando invece essenzialmente nella liquidazione il legame tra la vittima
primaria e le vittime secondarie e tenendo conto di tute le circostanze del caso concreto (tipizzabili
in particolare nella sopravvivenza o meno di altri congiunti, nella convivenza o meno di questi
ultimi, nella qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale
con la persona perduta).
A tal fine l’Osservatorio propone come indicazione di massima un’ampia forbice, che sembra
idonea, da un lato, a consentire al giudice una maggiore elasticità, dall’altro a non comprimere in
non auspicabili automatismi il dovere della motivazione.
La proposta liquidatoria è la seguente:
1. danno non patrimoniale a favore di ciascun genitore per morte di un figlio da euro 100.000 a
200.000;
2. danno non patrimoniale a favore del figlio per morte di un genitore da euro 100.000 a 200.000;
3. danno non patrimoniale a favore del coniuge (non separato) o del convivente sopravvissuto da
euro 100.000 a 200.000;
4. danno non patrimoniale a favore del fratello per morte di un fratello da euro 20.000 a 120.000.”
Si deve passare all’applicazione di tali principi nel caso in esame.
Per il danno non patrimoniale parte attrice non ha fornito allegazioni particolari.
All’epoca del concepimento A.V. [rectius: padre di Andrea, poi deceduto] e XX [rectius:
madre di Andrea, NdR] avevano una relazione sentimentale ma non erano conviventi.
La bambina vive con la madre. Nei primi tempi entrambe sono state accolte
nell’abitazione dei genitori di A.V..
Questi pochi elementi sono ricavabili dalla citata sentenza n. 39/00 del Tribunale per i
Minorenni di Bologna.
La mancata convivenza può indirettamente ricavarsi anche dal fatto che XX non ha
formulato richieste risarcitorie in proprio.
Il danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale può pertanto essere
riconosciuto in favore di Andrea F.L., figlia naturale, concepita e non ancora nata, di
A.V..
È evidente il pregiudizio futuro della bambina che è nata senza avere avuto la possibilità
di conoscere il padre e che è stata privata per sempre della sua presenza.
Tale danno si proietta nel futuro, e deve avere riguardo al periodo di tempo nel quale si
sarebbe presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che l’illecito ha invece
reso impossibile.
Vi è la perdita del godimento del congiunto e la preclusione delle relazioni interpersonali,
che, in considerazione dei fatti notori, deve ritenersi vi sarebbero state tra padre e figlia
naturale.
9
Non vi sono invece acquisiti elementi obiettivi per affermare che tali relazioni si
sarebbero svolte all’interno di un ambito familiare.
Deve riconoscersi anche il danno morale.
Non può essere condivisa la risalente affermazione della Suprema Corte, che il danno
morale non possa essere liquidato a chi – il nascituro – non è ancora in grado di soffrire
(sez. civ. III n. 3467 del 1973).
Sulla base dei sopra richiamati criteri in materia di illecito civile, si è correttamente
ritenuto che il danno morale decorrerà dal momento in cui venga accertato il suo
verificarsi (ad esempio, dal momento in cui il minore abbia acquisito la
consapevolezza, con conseguente sofferenza, della mancanza di una figura
genitoriale, venuta meno, nella specie, a seguito di omicidio colposo), dovendosi
peraltro escludere la risarcibilità del danno morale relativamente alla vita intrauterina,
per mancanza di una valida dimostrazione scientifica in proposito (Cassazione penale,
sez. IV, 21 giugno 2000, n. 11625).
Nel caso in esame deve presuntivamente ritenersi la sussistenza di questa sofferenza per
il presumibile momento nel quale l’attrice informerà la figlia delle cause della mancanza
del padre.
Per questi motivi si ritiene equo il riconoscimento del danno non patrimoniale
nella complessiva misura di Euro 100.000, determinata all’attualità.
L’attribuzione nella misura minima tiene principalmente conto appunto del fatto che la
bambina non era ancora nata al momento della morte del padre.
3.2 – Danno patrimoniale.
Premesso che in tema di responsabilità extracontrattuale non ha rilievo il tema della
prevedibilità del danno (in quanto l'art. 2056 cod. civ. non richiama l'art. 1225)
nessun problema si pone, ovviamente, per quanto attiene al risarcimento del danno
patrimoniale conseguente alla morte del padre della nascitura che, fin dal momento
della nascita, è stata privata dell'assistenza materiale ed economica che il padre
naturale era tenuto a fornirle (art. 261 c.c.).
Il tema è quello della risarcibilità dei cosiddetti danni patrimoniali futuri nel caso di more
di un familiare.
I danni in oggetto vanno ravvisati nella perdita o nella diminuzione di quei contributi
patrimoniali o di quelle utilità economiche che presumibilmente e secondo un criterio di
normalità il soggetto venuto meno prematuramente avrebbe apportato se il fatto illecito
non si fosse verificato (giurisprudenza costante).
Si tratta di danno patrimoniale da lucro cessante da valutarsi con equo apprezzamento
(art. 2056 e 1223 c.c.) ed utilizzando altresì, sulla scorta dei principi in tema di fonti di
prova, come base dell’accertamento giudiziale le presunzioni e gli elementi ricavati dal
notorio e dalla comune esperienza.
In generale la liquidazione del danno patrimoniale subìto da una famiglia a seguito delle
morte di uno dei componenti richiede pertanto due calcoli distinti: l’uno, preventivo,
volto alla determinazione del reddito economico presumibilmente conseguibile dal
defunto nel corso della sua vita lavorativa e l’altro, successivo, diretto alla
determinazione della parte di questo reddito che sarebbe stata destinata alla famiglia (ex
plurimis Cassazione civile, sez. III, 19 agosto 2003, n. 12124).
10
In quest’ultima valutazione è necessario tenere conto dell’entità e della natura dei bisogni
dei componenti della famiglia, della loro età, salute fisica, capacità psico intellettive ed
attitudine al lavoro, nonché dell’aspettativa dei superstiti di poter beneficiare degli
eventuali risparmi che il defunto avrebbe costituito con la parte di reddito non destinata
a se stesso ed ai suoi familiari, aspettativa ancorata non solo al sentimento affettivo, più
o meno intenso, ovvero alla consuetudine sociale, bensì all’istituto della successione
necessaria previsto e regolato dal codice civile (ex plurimis Cassazione civile, sez. III, 25
giugno 1981, n. 4137).
Nel caso in esame, per quanto sopra detto, considerato che la bambina non è stata
concepita nell’ambito di una famiglia legittima o di fatto, si deve necessariamente fare
riferimento soltanto al contributo economico che A.V. [rectius: padre di Andrea, poi
deceduto] avrebbe dato per il mantenimento della figlia naturale.
L’obbligo di mantenimento grava ovviamente su entrambi i genitori, in proporzione
delle loro sostanze, fin dalla nascita del figlio.
Non si sono acquisiti elementi sulla situazione patrimoniale e reddituale della madre XX.
Si ritiene in giurisprudenza che, in tema
di risarcimento dei danni
patrimoniali derivanti ai congiunti in caso di morte del danneggiato, può essere
adottato un metodo di calcolo funzionale all'accertamento del reddito netto su cui
determinare il danno futuro subito dagli eredi, sulla base della detrazione, dal reddito
stesso, sia del relativo carico fiscale, sia della cosiddetta quota sibi (parte del reddito
che il defunto avrebbe speso per sé), quota che può legittimamente quantificarsi come
percentuale del reddito complessivo al lordo delle imposte e delle contribuzioni (Cass. 16
maggio 2000, n. 6321 e Cass. 21 novembre 1995, n. 12020).
Una volta determinato il reddito del defunto da tenere in considerazione, al fine di
stabilire le somme che il defunto avrebbe percepito sino alla morte occorre moltiplicare
il reddito netto che percepiva al momento del decesso per il numero di anni di
presumibile vita lavorativa che questi avrebbe avuto davanti a sé.
A questo proposito il sistema più adottato dalla giurisprudenza è costituito dal
riferimento alle tabelle di capitalizzazione delle rendite vitalizie, approvate con r.d.
9/12/1922 n. 1043, e dalla riduzione in via equitativa della somma risultante di una
percentuale variabile in relazione all’età del soggetto leso, per adeguarle all’oggetto
dell’indagine che riguarda la sola vita lavorativa e non l’intera vita fisica (ex plurimis
Cassazione civile 12020/95 citata).
Quanto ai figli minori, la Suprema Corte ha anche precisato che:
Il raggiungimento da parte dei figli della maggiore età e dell’idoneità al lavoro
produttivo non segna un limite invalicabile alla risarcibilità del danno derivato dalla
morte del genitore, stante l’aspettativa dei superstiti di poter beneficiare degli
eventuali risparmi che il defunto avrebbe costituito con la parte di reddito non destinata
a proprie spese o alla famiglia. (Nella specie, in base anche all’indicato principio, la
S.C. ha confermato la sentenza di merito con cui la liquidazione dei danni
patrimoniali subiti dalla vedova e dai figli di un professionista di 54 anni era stata
eseguita globalmente mediante la capitalizzazione di una quota reddituale – comprensiva
di un incremento per futuri miglioramenti – , sulla base di un coefficiente correlato
all’età del defunto e con il correttivo di una riduzione per “scarto tra vita fisica e vita
lavorativa”).
11
Cassazione civile, sez. III, 21 novembre 1995, n. 12020 citata
La Suprema Corte ha sempre ritenuto che, in materia di liquidazione dei danni
patrimoniali da invalidità permanente in favore del soggetto leso o da morte in favore dei
superstiti, il ricorso alle tabelle di capitalizzazione di cui al r.d. n. 1403 del 1922 - che, in
quanto fondato su calcoli di probabilità e non di certezza, non rappresentano uno
strumento di liquidazione tassativo ed inderogabile - costituisce non un obbligo, ma una
facoltà del giudice del merito, che può ricorrere puramente e semplicemente al criterio
equitativo di cui agli art. 2056 e 1226 c.c., ovvero applicare le suddette tabelle di
capitalizzazione, apportando poi una riduzione per lo scarto tra vita fisica e vita
lavorativa, ovvero ancora contemperare l'uno e l'altro criterio (utilizzando i dati delle
tabelle quali semplici dati di partenza, di controllo e di orientamento per la liquidazione
equitativa) (Cass. 23 giugno 1993, n. 6941; Cass. 5.11.1994, n. 91701 Cass. 25.5.2000, n.
6873).
La Cassazione (sez. III, 2 marzo 2004, n. 4186 Da Riva e altro c. Soc. Wintherthur
Assicur.) ha però recentemente precisato in ordine all’utilizzo di tali tabelle di
capitalizzazione che:
“… In caso di danni patrimoniali, che si proiettano nel futuro, il criterio equitativo di cui
agli artt. 2056 e 1226 c.c. trova necessaria applicazione, non potendosi normalmente
procedere alla determinazione dei danni con assoluta precisione, per cui il giudice di
merito deve necessariamente procedere alla determinazione del quantum debeatur
attraverso calcoli di probabilità, relativi all'ammontare del lucro cessante, secondo un
criterio di scelta che costituisce una sua facoltà discrezionale o ricorrendo al c.d. "criterio
equitativo puro" ovvero applicando il criterio cd. delle "tabelle di capitalizzazione".
Anche l'utilizzo del metodo della capitalizzazione, che consiste nell'attribuire al
danneggiato una somma capitale corrispondente a quella necessaria per la costituzione di
una rendita vitalizia i cui ratei siano pari alla quota di reddito perduto, costituisce
manifestazione del potere di liquidazione equitativa del giudice, con la sola particolarità
che il giudice, in luogo di motivare il percorso logico con cui è giunto alla
determinazione di questa somma liquidata, rinvia alla logica interna alla stessa tabella di
capitalizzazione.
6.3. Dette tabelle di capitalizzazione si fondano su due elementi: la durata probabile
futura della vita, calcolata anche sulle c.d. tavole di mortalità, ed il tasso di redditività,
ancorato al tasso legale.
Da ciò consegue che maggiore è la durata della vita media e maggiore è il coefficiente di
capitalizzazione della rendita se essa è vitalizia); mentre maggiore è il tasso legale di
interesse e minore è il coefficiente di capitalizzazione, poiché la stessa rendita è realizzata
da una minore somma corrisposta, dato il maggior tasso e quindi il maggior rendimento
sul mercato della somma stessa.
Nella grande maggioranza dei casi, per questa operazione di capitalizzazione, vengono
adottati i coefficienti di capitalizzazione per la costituzione delle rendite vitalizie
immediate, di cui alla tabella allegata al r.d. 9.10.1922, n. 1403, che ha approvato le tariffe
della cassa nazionale per le assicurazioni.
12
Sennonché detta tabella fu calcolata sulla base delle tavole di sopravvivenza della
popolazione italiana desunte dai censimenti del 1901 e del 1911 e sulle statistiche
mortuarie degli anni 1910-1912.
Rispetto a quella data, la vita media degli italiani si è allungata di circa 25 anni.
Inoltre la tabella dei coefficienti per la costituzione delle rendite vitalizie in questione fu
realizzata sulla base di un tasso di interesse del 4,5%.
6.4. Finché il tasso di interesse legale era in Italia del 5% (ed a maggior ragione nei
periodi in cui esso fu del 10%), la maggiore durata della vita media veniva agevolmente
compensata dalla maggiore redditività effettiva del denaro rispetto a quella sulla base
della quale era stata calcolata la tabella dei coefficienti di capitalizzazione del 1922.
Sennonché a partire dall'1.1.1999 il tasso legale è oscillato tra il 2,5 % ed il 3,5%, con la
conseguenza che entrambi i fattori di calcolo delle tabelle di capitalizzazione del 1922
(durata della vita media e tasso di interesse) convergono per un allontanamento delle
stesse rispetto ad una corretta e realistica capitalizzazione della rendita, con applicazione
dei due predetti elementi, valutati con riferimento all'attualità.
6.5. Da ciò consegue che, se il giudice di merito utilizza il criterio della capitalizzazione
del danno patrimoniale futuro, adottando i coefficienti di capitalizzazione della rendita
fissati dalle tabelle del 1922, non sussiste più una logica interna a dette tabelle conforme
alla realtà, cui implicitamente il giudice può riportarsi nell'ambito della liquidazione
equitativa del danno.
Si rende quindi necessario che egli adegui detto risultato, per così dire tabellare, ai mutati
valori reali dei due fattori posti a base delle tabelle adottate. Il giudice, quindi, prima
ancora di "personalizzare" il criterio adottato al caso concreto, deve "attualizzare" lo
stesso: solo allorché egli avrà eliminato gli elementi distortivi da obsolescenza presenti
già in astratto nello strumento adottato, potrà utilizzare all'attualità detto strumento,
adeguandolo alle peculiarità del caso concreto.
Ovviamente, poiché si rimane pur sempre nell'ambito di una liquidazione equitativa di
danno futuro, il giudice può compiere cumulativamente ed intuitivamente dette due
operazioni, purché egli dia atto di aver tenuto conto della predetta necessità di
aggiornamento delle tabelle in questione.
6.6. Un criterio valido, adottato da alcuni giudici di merito, può essere il mancato calcolo
dello scarto tra vita fisica e vita lavorativa (cfr. Cass. 1 luglio 1998, n. 6420, che tuttavia
sul punto si è limitata a dire che trattasi di una valutazione di merito insindacabile in
Cassazione).
Infatti, poiché le suddette tabelle sono state calcolate sulla base della probabile vita fisica
media e poiché questa è più lunga della vita lavorativa, se le tabelle in questione fossero
calcolate con l'adozione delle due suddette variabili rapportate alla situazione reale,
necessariamente occorrerebbe tener conto di detto scarto, ai fini del calcolo del danno
patrimoniale da invalidità o da morte (per i superstiti), in quanto la produzione del
reddito è strettamente connessa alla sola vita lavorativa.
Il mancato calcolo di detto scarto finisce per realizzare un effetto compensativo del
minor coefficiente di capitalizzazione ottenuto dall'applicazione delle tabelle del 1922,
rispetto a quello che nella realtà sarebbe dovuto.
13
Ovviamente il giudice di merito può anche calcolare separatamente detto scarto, purché
abbia precedentemente "aggiornato" il coefficiente di capitalizzazione di cui alle predette
tabelle del 1922.
Ciò che non può essere fatto è applicare il coefficiente di capitalizzazione della rendita di
cui al R.D. n. 1403/1922, senza alcun adeguamento, e poi calcolare lo scarto tra vita
fisica e vita lavorativa.
In questo caso, infatti, gli effetti divaricatori tra il sistema di calcolo adottato e la
situazione reale si sommano, in quanto rispetto ai dati posti a base delle tabelle predette
non solo si è allungata la vita media fisica, ma anche la stessa vita media lavorativa (sia
pure in minor misura) ed inoltre si è ridotto il tasso degli interessi legali, con la
conseguenza che siffatto modo di adozione delle tabelle di capitalizzazione di cui al r.d.
n. 1403/1922 finisce per perdere quella "logica interna" alle stesse, di cui il giudice
implicitamente si avvale per motivare l'uso del potere liquidatorio equitativo.”
Nel caso in esame, per la posizione lavorativa e reddituale di A.V. [rectius: padre di
Andrea, poi deceduto], sono state prodotte le ultime dichiarazioni dei redditi, relative agli
anni 1996 – 1997 – 1998 (doc. 7 attrice) ed è stata acquisita ex art. 213 c.p.c. la relazione
di stima del dott. A.G., commercialista, della società “P.C. e A.V. s.n.c.”, redatta
nell’ambito dell’inventario dell’eredità beneficiata del defunto. Sono stati sentiti come
testimoni: L.V., padre di A.V.; S.A., consulente tributario.
A.V., al momento della morte, era socio al 50% della s.n.c. “P.C. e A.V.”,
esercente attività di pubblico esercizio – bar e ristorante – con l’insegna “JJJJJJ”, in Carpi
via (omissis) (v. anche visura camerale – doc. 5 convenuta).
Tale attività era la sua unica fonte di reddito (v. dichiarazioni dei redditi e teste L.V.)
Dalla perizia di stima dott. G. risulta che la predetta società era stata costituita il
25/1/1988, con sede originaria in Carpi, via (omissis), ed attività sempre di bar con
insegna “HHHHH”. In data 31/12/1992 la società aveva acquistato il pubblico esercizio
– bar – “JJJJJJ”, sito in Carpi via (omissis), per Lire 143 milioni (110 milioni per
avviamento, 30 milioni cespiti materiali e 3 milioni rimanenze). Il nuovo esercizio veniva
inaugurato il 8/2/1993 e nel contempo veniva ceduto il bar “HHHHH” di via (omissis).
Dalle dichiarazioni dei redditi (modello 740 ed Unico) prodotte – i cui risultati sono stati
confermati dal teste S.A. – risultano i seguenti redditi lordi:
- anno 1996 Lire 19.941.000 (imposta netta Lire 1.710.000);
- anno 1997 Lire 6.443.000 (imposta netta zero);
- anno 1998 Lire 22.955.000 (imposta netta 3.649.000).
Si possono in questa sede utilizzare soltanto i dati risultanti dal bilancio della società –
anche se eventualmente inferiori a quelli reali – .
Il reddito non è dunque costante. Non si conoscono le cause del calo per l’anno 1997.
Si può considerare, facendo all’incirca la media dei due anni migliori sugli ultimi tre, un
reddito annuo netto di Lire 18.000.000 circa (pari a Lire 1.500.000 al mese).
Non vi sono elementi oggettivi per condividere le ottimistiche valutazioni prognostiche
di parte attrice del raggiungimento di un reddito medio nell’arco di 5/10 anni di Lire
100.000.000 annui (v. pag. 8 e 9 conclusionale).
Non vi è nessun dato oggettivo per effettuare una previsione di tal genere.
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La società esercitava l’attività di bar dal 1988. Il nuovo esercizio “JJJJJJ”di via (omissis)
era stato aperto nel febbraio del 1993. L’andamento dei ricavi della società, quale si
evince dai documenti prodotti (v. sopra), era variabile e soprattutto non evidenziava la
tendenza ad una crescita progressiva.
Si può condividere la prospettazione di parte attrice, secondo la quale A.V.
[rectius: padre di Andrea, poi deceduto] avrebbe presumibilmente destinato al
mantenimento della figlia il 40% del proprio reddito netto.
Si ottengono Lire 7.200.000 annue (Lire 600.000 al mese): 18 milioni x 40%..
Si può condividere la proposta di parte attrice di utilizzare le tabelle di
capitalizzazione di cui al r.d. n. 1403/1922, “aggiornandole” con un adeguamento del
40% del coefficiente. Coefficiente 17,679 in relazione all’età di 32,6 anni + 40% =
24,750.
Va poi applicata una riduzione del 10% per lo scarto tra la vita fisica e la vita lavorativa.
Può effettuarsi il seguente calcolo: Lire 7.200.000 (reddito annuo netto destinato
alla figlia) x 24,750 (coefficiente attualizzato) – 10% (scarto tra vita fisica e vita
lavorativa) = Lire 160.380.000 (pari ad Euro 82.829,36).
Trattandosi di debito di valore, siccome discendente da illecito (extracontrattuale),
l’importo capitale suddetto va espresso in termini monetari attuali e si determina, con
applicazione del relativo coefficiente ISTAT del + 15,0092% (dies a quo: 29/3/1999 data
di nascita), in complessivi Euro 95.300,00, con arrotondamento.
Sommano per voci di danno Euro 195.300,00 (100.000 + 95.300).
Per la determinazione del danno da ritardo, si ritiene di adottare il metodo di calcolo
degli interessi al saggio legale sul capitale interamente rivalutato con equa individuazione
del dies a quo, in sostanziale adesione ai principi affermati da Cass. SS.UU. n°1712 del 17
febbraio 1995 (che ha invece suggerito il diverso, ma equivalente negli effetti, metodo
del calcolo sul capitale via via rivalutato dal dies a quo effettivo), considerando il giorno
della decisione quale dies ad quem del calcolo, al di là del quale saranno dovuti gli interessi
legali sull’intero importo, comprensivo di capitale rivalutato e danno da ritardo già
maturato, fino al saldo (sul punto vedi, amplius, la sent. N°1712/95 cit.).
Indicandosi nel 1/6/2002 il dies a quo determinato equitativamente per quanto detto
sopra, il danno da ritardo già verificatosi è pari a oggi, con arrotondamento, ad Euro
17.465,00.
Sommano Euro 212.765,00 (195.300 + 17.465).
L’assicurazione convenuta ha offerto prima del giudizio la inferiore somma di Lire
156.000.000 (doc. 10 attrice) e comunque nulla ha corrisposto.
Le spese del giudizio vanno dunque poste a carico dei convenuti soccombenti e si
liquidano in dispositivo, in relazione alle somme attribuite (scaglione da 103.300 a
258.300 euro).
Dispositivo della sentenza
Il Tribunale di Modena Sezione Distaccata di Carpi, in persona del giudice dott.
Riccardo Di Pasquale
definitivamente decidendo
ogni diversa domanda, istanza, eccezione e deduzione respinte:
15
1) dichiara che l’incidente stradale del 17/12/1998 in Carpi via Cattani Nord, a seguito
del quale il trasportato A.V. ha riportato lesioni mortali, si è verificato per la esclusiva
responsabilità di YY, conducente dell’autovettura Mercedes 210K SW targata (omissis);
2) dichiara tenuti e condanna i convenuti YY e Winterthur Assicurazioni s.p.a. (ora
Aurora Assicurazioni s.p.a.), in via solidale, al pagamento in favore di Andrea F.L. –
figlia naturale di A.V. –, rappresentata dalla madre XX, della complessiva somma di
Euro 212.765,00 (duecentododicimilasettecentosessantacinque virgola zero), come
determinata in motivazione, a titolo di risarcimento danni, oltre ulteriori interessi
maturandi al tasso legale via via vigente dal dì della presente decisione al saldo;
3) condanna i convenuti YY e Winterthur Assicurazioni s.p.a. (ora Aurora Assicurazioni
s.p.a.), in via solidale, alla rifusione in favore di Andrea F.L., rappresentata dalla madre
XX, delle spese di lite che si liquidano nella complessiva somma di Euro 13.055,80, di
cui Euro 10.000,00 per onorari, Euro 2.660,00 per competenze ed Euro 395,80 per
spese, oltre rimborso spese generali ed accessori di legge.
Carpi, 3/9/2005
IL GIUDICE
dott. Riccardo Di Pasquale
IL CANCELLIERE C1
Giovanna Rossetti
Depositata in Cancelleria e pubblicata il __________N.98/05
03.09.2005_________________
IL CANCELLIERE C1
Giovanna Rossetti
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