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Immediate boarding
Numero XI Autunno 2015
L'Editorial
Sommario
Dicembre 2015 - n.11- anno 3
www.rivistadiwali.it
L’Editorial
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InSistenze
4
Mi chiamo Lamin di Antoine Germain
5
Treno di notte per Ostenda con Léon Spilliaert di Simone Scaloni
8
Verso il festival poetico in Gallia di Anna Jolanta Lagoda
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Carina Negrone di Cambiaso di Geremia Doria
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Volo notturno sul villaggio di Gregory Crewdson di Simone Scaloni19
InVerso
24
Davide Cortese
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Alessandra Carnovale
26
Stefania Fiore
27
Serena Rossi
29
Marino Santalucia
31
Andrea Borrelli
32
Vincenzo Signoretta
33
Redent Enzo Lomanno
34
Guido Comin PoetaMatusèl
36
Focus Haiku: Ono No Komachi di Dona Amati
38
Dona Amati
40
Guido Comin
41
InStante
42
Paolo Cornacchia
43
Diwali - Rivista Contaminata
Erica Canepa
46
Trimestrale di Arte & Letteratura
InMobile
49
Last Minute/Immediate Boarding di Sara Lombardo
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InContro
55
Poesia Terapia
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facebook.it/diwalirivistacontaminata
InDicazioni
59
[email protected]
Cammino orgogliosa per la mia strada di Wallada Bint Al-Mustafki60
Direttore Editoriale
Maria Carla Trapani
Direttore Responsabile
Flavio Scaloni
Redazione
Dona Amati, Pietro Bomba, Alessandra Carnovale,
Laura Di Marco, Mario Lucio Falcone, Giulio Gonella,
Letizia Leone, Michela Pistidda, Simone Scaloni
Ufficio Stampa
Les Mots Contaminés
Technical Consulting
Arianna Degni, Pierluigi Stifanelli
In copertina: fotografia di Paolo Cornacchia
Contatti
Edizioni Les Mots Contaminés
Associazione culturale no-profit
20, Rue Condorcet, 38000, Grenoble - Francia
Tutto così regolare tutto così prevedibile di Claudio Giovanardi
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InChina
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Mario Lucio Falcone
Classicamente, il viaggio è stato inteso come percorso
iniziatico o esilio, a seconda che fosse frutto di una scelta
libera o subita. Il Grand Tour si inseriva nel personale Bildungroman dell’uomo di cultura europeo, che si destinava così
verso la meta che gli era propria, la forma cioè compiuta del
Grande-borghese moderno. Poiché si traduce nell’allontanamento dalla comunità nella quale l’esiliato si era formato
per esprimersi, l’esilio appare al contrario come la rottura
di un destino. Come si vede, il campo semantico è comune: viaggiare è destinarsi o essere destinati. Si capisce che
al trip è correntemente attribuito un valore eminentemente
metaforico: si viaggia anche con una pasticca e il limite
tra azione (libera scelta di assumere la dose) e passione
(difficoltà nel dominare e dirigere le immagini che scorrono
provocando spesso disagio e sgomento) è quanto mai labile. Così come Dante è stato certo allontanato da Firenze
contro la sua volontà, ma il suo esilio è stato, ne converrete, tra i più iniziatici e formativi della storia della letteratura.
Questo per dire che a volte tra il destinarsi e l’essere destinati
c’è differenza puramente verbale e quello che conta è che
abbiamo un destino del quale siamo così poco coscienti
che spesso lo pensiamo come predestino. Ci imbattiamo quotidianamente in individui più o meno fortunati che
ci figuriamo come predestinati, o ci riteniamo al contrario
noi stessi per virtù predestinati ma per destino sfortunati.
E collettivamente: passeggeri, viandanti, attraversatori di crocevia, profughi, nomadi, migranti: l’attraversamento dei campi semantici non è neutro né oggettivo, e basta solo un piccolo passo perché la sfumatura
ci sposti nel significato accanto, e in quello accanto ancora, a riempirli, a volte dolorosamente, se non tragicamente, tutti. Ma in questo spostamento si giocano anche partite politiche cruciali: dal profugo al migrante,
dal rom al vagabondo, non è solo questione di gusto.
Spazialmente: aeroporti, stazioni, piazze e confini, sciogliersi dell’identità o granitico consolidamento di essa, il
viaggio ci mette di fronte ad ogni possibilità, del pensiero,
dell’azione, dell’occhio. E dell’accettazione, anche, o del
rifiuto. Anche qui, i non-luoghi, quello della da sempre spettrale sala aeroportuale e quello ormai mortifero del Mediterraneo, sono, a dispetto della loro indecisione morfologica,
molto ben territorializzati: tra guardie costiere e non, sanno
bene come bloccare flussi migratori (o nomadi invasori?).
Fiumi di esseri umani si spostano, si muovono, in fila o in corteo, in ogni direzione da sempre sulla Terra: e allora, anche e
soprattutto oggi, è forse lecito chiedersi cosa voglia dire questa parola-pensiero-concetto, che divide e accomuna, e tutto
il pesante bagaglio che può (o non può) portarsi sulle spalle.
Diwali - Rivista Contaminata
Juan Tapia, Impressions.
ISSN 2275-0606
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Insistenze>>>
Ultima chiamata per i lettori di Diwali con destinazione Senegal, Italia, Belgio, Polonia e Stati Uniti. L’imbarco è immediato.
MI CHIAMO LAMIN
Antoine Germain
Una volta a bordo, si prega di allacciare le cinture di sicurezza.
Come prima tappa, ripercorreremo il viaggio che ha portato Lamin
dall’Africa nord-occidentale, dove tuttora risiede la sua famiglia, fino
in Italia, in cerca di lavoro (Antoine Germain) e, attraverso le sue
parole, impareremo a conoscere le sue condizioni di vita attuali;
enigmatiche orme di Leon Spilliaert, artista illustratore a cavallo tra
Simbolismo ed Espressionismo e dalle rappresentazioni remote e
rarefatte.
Insieme a Geremia Doria saremo catapultati, invece, nella prima
metà del XX° secolo in territorio italiano, dove ci accomoderemo a
bordo del velivolo guidato da Carina Negrone, pilota intenzionata a
superare il record femminile di volo in altezza; proseguiremo, quindi, ai giorni nostri, attraverso l’Europa Orientale al seguito di Anna
Jolanta Lagoda per presenziare al Festival Poetico in Gallia, manifestazione che si tiene annualmente in Polonia da venticinque anni.
Infine, come ultima tappa del nostro itinerario intercontinentale approderemo con Simone Scaloni negli Stati Uniti, allo scopo di esplorare la peculiare e curatissima arte fotografica di Gregory Crewdson,
raffigurazione, entro il quadro dei rassicuranti oggetti quotidiani, di
un umanità straniata e allucinata.
Possiamo allora augurarci, con il poeta (…)
Mi chiamo Lamin, ho trentotto anni. Sono partito dal Senegal quando avevo diciassette anni (non riesco a capire
il nome della città a causa dell’italiano stentato e non ho
cartine per farmi indicare la località). La mia famiglia mise
insieme, con molti sacrifici, i soldi per il biglietto: quando
sono partito ventun anni fa avevo solo quelli, insieme alla
paura e alla speranza. Da prima sono arrivato in Portogallo, poi sono passato per la Francia, poi in Italia, a Torino
e Brescia, ma per pochi giorni, infine a L. dove ho trovato
una comunità di connazionali che mi ha aiutato a trovare i
primi lavori.
Vivo a L. in un appartamento assieme a quattro connazionali, pago centoventi euro di affitto utenze non comprese,
per mangiare spendo ottanta euro al mese e ogni due- tre
mesi invio 300-400 euro alla mia famiglia in Senegal. Ho
due fratelli e una sorella che vive sola con mio padre, una
sola moglie che ho lasciato, una figlia di undici anni che
vive con mia madre di settanta. Vivono da sole, ci sentiamo per telefono, sono forti e in gamba. In Senegal la
condizione della donna sembra essere diversa da quella
italiana, la donna è libera, può decidere di vivere da sola,
nonostante ciò è quasi impossibile sopravvivere per mancanza di lavoro.
Sono una persona dignitosa, non ho mai accettato lavori
“facili”, per me non spendo nulla, faccio il pendolare ogni
giorno da L. alla spiaggia di M. con il mio carico di abiti e
cianfrusaglie, vado d’accordo con i miei connazionali, tra
di noi cerchiamo di aiutarci ma ci sono anche gelosie e
invidie, lotta per gli spazi di commercio da dividerci sulle
spiagge. Io ne resto fuori, non voglio sgomitare, quando
posso mi sposto altrove. Qui in spiaggia tra gli Italiani ho
molti amici che sanno la mia situazione e cercano di aiutarmi comprando qualcosa, loro sembrano i migliori, gli
stranieri in vacanza invece non spendono e non desiderano scambiare parole. Faccio il mio giro di diversi chilometri
avanti e indietro, non chiedo sempre di comprare, ricordo
il posto di ognuno e passo a salutare per due chiacchiere,
quello è sempre un bel regalo per me che sono solo. Non
ho donne, una sola moglie e non desidero prenderne altre
come si usa da noi, in Italia non accetto gli “inviti” femmi-
Insistenze>>>
accompagneremo, quindi, Simone Scaloni nei Paesi Bassi, sulle
che la strada sia lunga,
ricca di avventure, ricca di conoscenza.
(…) che la strada sia lunga.
Che le mattine d’estate siano molte, quando
con grande piacere, con grande gioia,
entrerai per la prima volta in porti mai visti…
Itaca, K. Kavafis
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Alessandra Carnovale
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Insistenze>>>
nili di donne sole che a volte arrivano, no non c’è nulla di
male ma io ho timore e, per paura, ma anche per decoro
e rispetto verso la civiltà che mi ospita, rifiuto qualsiasi
avventura. (Lamin sembra molto serio, nel suo volto però
c’è anche la sofferenza della solitudine insieme alla consapevolezza che, trovandosi in un paese diverso dal suo,
potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno o regole sociali
non scritte. Dai suoi occhi trapela più di quel dice, a stento, limitandosi molto, faccio fatica a farlo rispondere alle
domande; un timore che viene dall’orgoglio e dal senso di
dignità, ma anche dal suo trovarsi in una terra straniera).
Non ho amici italiani, sono timido, questa è la prima volta
che mi siedo al bar con qualcuno. Mi piacerebbe, mi piacerebbe molto ma so che non è possibile…
(Lamin esita a mettersi seduto, prima non vuole prendere nulla, poi su mio invito ripetuto chiede un caffè e un tè
freddo, da mangiare nulla, neppure sotto mia insistenza…
mi risponde in tono serio: “non ne ho bisogno, non ho uno
stomaco così grande, ho già mangiato stamattina”).
Sì sono in regola adesso… ogni volta devo rinnovare il
permesso di soggiorno, dimostrare dove abito e che ho
soldi per vivere, vuoi vedere i miei documenti? (Fa cenno di
tirare fuori i documenti e aspetta un mio assenso, gli dico
che non è necessario, che non sono lì per controllarlo).
Mia moglie, no, non voglio più stare con lei, non so cosa
faccia ma non è una brava moglie, non lo è stata (alla mia
richiesta di spiegazioni Lamin si rifiuta di parlare, scuote la
testa, non desidera entrare nel merito e non insisto).
*[Antoine Germain è uno pseudonimo. L’autore
preferisce rimanere anonimo per la delicatezza della
<<<Insistenze
Sono due anni che non torno a casa, che non vedo mia
figlia, anche lo scorso anno non sono riuscito a trovare i
soldi per il biglietto aereo. No, non accetto regali, e non
mi è mai accaduto che qualcuno volesse regalarmi un biglietto per andare a trovare mia figlia, per tornare a casa…
queste sono cose che non accadono a noi…e poi io non
parlo con nessuno della mia vita, ti racconto questo perché tu mi hai chiesto qualcosa di me…perché spero di
trovare un lavoro onesto ed è bello trovarsi a un tavolo
a parlare semplicemente, senza paura di dover mostrare
niente se non quello che si è (le persone che passano e
mi guardano con disappunto forse non la pensano alla
stessa maniera, siamo osservati, Lamin si sente turbato,
dentro di sé sa che stiamo violando qualche regola non
scritta ma si fa forza della mia noncuranza).
Lamin mi sorride mostrando i denti, alcuni dei quali sporgono vistosamente, si raccomanda per un aiuto, un lavoro ma solo se onesto perché -dice- deve onorare la sua
famiglia, e non può accettare l’elemosina. Il mio compito
è di crescere mia figlia, mi dice, con la voce rotta, e crescerla onestamente. Chiedo il nome della bambina, ma
non lo scrivo per rispetto, Lamin mi lascia il suo numero,
crede che io sia una persona importante, gli rispondo che
non posso fare molto ma ho desiderato ascoltarlo e gli
prometto che proverò a raccontare la storia di un imbarco
immediato, uno dei tanti perché di storie così ce ne sono
a migliaia e poi ci sono anche altre storie, sempre che ci
sia qualcuno disposto a raccontarle.
Tutte le fotografie di questo articolo sono di Gianfranco Maggio, dalla
serie ‘Vu’ Cumpra’, per gentile concessione dell’autore.
gianfrancomaggio.com
situazione di Lamin.]
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<<<Insistenze
Insistenze>>>
TRENO DI NOTTE PER OSTENDA
CON LEON SPILLIAERT
SImone scaloni
Una scia bianca di fumo screzia per qualche istante il nero
gelido e impenetrabile, compatto come il marmo del Belgio, di un cielo nordico senza luna e senza stelle. Improvvisamente l’urlo agghiacciante di una locomotiva a vapore
squarcia il silenzio fitto della notte. Un treno nero come la
notte stessa galoppa su un binario ghiacciato tra le campagne innevate delle Fiandre, sferzando la neve nella sua
corsa. È partito da Bruxelles e ha appena lasciato la stazione di Gand. È diretto ad Ostenda, la cittadina fiamminga con il porto affacciato sul Mare del Nord, davanti
all’Inghilterra. Il treno è vuoto, ad eccezione di qualche
sparuta figura insonnolita. Un commesso viaggiatore, un
medico, un veterinario, un anziano commissario di polizia
che tornano a casa per il periodo di Natale. Rannicchiato
e intabarrato, ognuno di loro occupa un posto a caso in
uno dei tanti sedili di legno rivestiti di pelle annerita.
È la notte del 23 dicembre del 1902 e un altro giovane
impiegato, ha 21 anni ed è stato assunto da poco come
illustratore presso una casa editrice di Bruxelles, sta tornando a casa anche lui per passare i giorni di festa con la
sua famiglia. Il padre, la madre e i sei fratelli. Ha appena
appoggiato sul sedile vuoto davanti a sé il libro che stava leggendo. L’ha comprato a Parigi un mese fa. Sono i
racconti di Edgar Allan Poe, il suo scrittore preferito. In
questo momento, mentre il vagone gelido e cigolante nel
quale è seduto vola nell’oscurità verso il mare, il giovane si
sta specchiando nel vetro del finestrino. Ha assunto una
posa di tre quarti, rigida e austera, e sta studiando la sua
espressione. Vorrebbe scoprirvi il tormento, il pathos, il
fuoco sacro dell’Arte. E invece la trova semplicemente malinconica, distante e diffidente. Ma a un certo punto, l’ora
tarda della notte, la stanchezza sulle palpebre e una lampadina che emette barlumi a intermittenza perché sta per
fulminarsi, fanno sì che i lampi di luce sul vetro assumano
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le fattezze inquietanti di due volti sconosciuti accanto al
suo. La lampadina fa uno scoppio improvviso e si spegne
definitivamente. Nel buio lui, che pure si è spaventato, si
scuote con fermezza e si riprende subito dallo strano torpore nel quale era caduto. Il treno ha iniziato a rallentare,
sta per entrare nella stazione di Ostenda. Il viaggio è finito
e il giovane viaggiatore che abbiamo appena incontrato si
chiama Leon Spilliaert.
Leon Spilliaert (che si pronuncia spiliart) nacque ad Ostenda, in Belgio, alla fine di luglio del 1881. Suo padre Leonard faceva il profumiere e pare avesse un temperamento
particolarmente eccitabile e burrascoso. Sua madre Leonie invece, una donna di casa dai modi semplici e modesti, era delicata e gentile e trascorse tutta la vita a pren-
Sopra: Autoritratto, 1903.
Pagina 9: La Notte, 1908.
dersi cura del marito e dei sette figli avuti da lui. Leon era
il primogenito e nel 1899, raggiunta l’età di diciotto anni,
si iscrisse all’Accademia di Belle Arti nella vicina Bruges.
Vi rimase due mesi appena. Ne scappò via dicendo che
non poteva assolutamente stare in un luogo in cui ognuno
trattava gli altri come nemici. La sua formazione artistica fu
pertanto quella di un autodidatta, autonoma e solitaria. Tre
anni dopo, nel 1902, fu assunto come grafico da un noto
editore di Bruxelles che lo volle presso di sé per illustrare
i frontespizi dei libri e corredare di immagini appropriate le
opere dei suoi autori. Questi si chiamava Edmond Deman
ed era l’editore dei Simbolisti. Fra gli altri, pubblicò le opere di Stephane Mallarmè, Emile Verhaeren e Maurice Maeterlinck. Per la raccolta dei testi teatrali di quest’ultimo, il
giovane Spilliaert realizzò ben 348 acquerelli. L’acquerello
e l’inchiostro, insieme al guazzo e al carboncino, furono
sempre le sue tecniche preferite per via delle trasparenze
e dei suggestivi effetti di evanescenza che consentivano.
Amava le tecniche pittoriche che esaltassero il senso di
mistero ed elevata spiritualità che si riprometteva sempre
di infondere alle sue creazioni.
Nel corso della sua vita Leon Spilliaert fu molte volte a Parigi, soprattutto d’inverno, dove espose le sue opere in numerose occasioni. Conosceva tutti e tutti lo conoscevano.
Tuttavia non aderì mai ad alcuna corrente o movimento ar-
tistico in particolare. Non fece parte di alcun gruppo e non
ebbe mai discepoli o seguaci. Fu sempre un indipendente
e un solitario. Ammirava molto il lavoro e gli esiti artistici di
alcuni pittori già ai suoi tempi noti al livello internazionale.
Odilon Redon innanzi tutto, poi James Ensor e il norvegese Edvard Munch. E però il solo del quale dichiarò di aver
subìto una certa influenza fu Henri de Toulouse-Lautrec.
Tra gli scrittori, oltre al già citato Edgar Allan Poe, amò
particolarmente Chateaubriand, Lautreamont, e più tardi
il caposcuola e teorico dell’etica superomista, Friedrich
Nietzsche.
La malattia connotò buona parte della sua esistenza. Soffriva di una dolorosa ulcera allo stomaco che lo rese spesso insonne e, per questo motivo, girovago notturno. Morì
a Bruxelles nel novembre del 1946, a 65 anni, per un attacco letale di angina pectoris, patologia che lo tormentava già da una decina di anni.
Nello stile Leon Spilliaert fu a cavallo tra Simbolismo ed
Espressionismo. Ma la stagione che lo caratterizzò maggiormente e per la quale oggi è più ricordato è senza
dubbio quella simbolista dei primi anni del Novecento. Il
Simbolismo fu dapprima una corrente letteraria e poi un
movimento artistico ad ampio raggio, diffuso anche fra i
pittori. Caratterizzò tutta la seconda metà dell’Ottocento
e arrivò, con la Belle Èpoque, fino a circa il 1914. Fu un
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Insistenze>>>
movimento dalle connotazioni estetiche fortissime, apertamente antistorico e antirealista. Ai Simbolisti non interessavano gli eventi storici, la politica e l’attualità, quanto
piuttosto la Bellezza, l’Arte e la Poesia nella sua massima
espressione. L’Arte per l’Arte era l’istanza che li muoveva
e il traguardo al quale ambivano. In modo particolare premeva loro il riuscire a rappresentare ciò che si nasconde
sotto la realtà visibile e percepibile con i sensi e che può
essere còlto soltanto attraverso l’intuizione e un’accesa e
coltivata spiritualità.
In quest’ottica le emozioni rappresentavano il veicolo ideale per sperare di poter accedere a una dimensione nascosta e sottostante (o soprastante) la realtà. Pertanto caratterizzò i Simbolisti una mai celata, e anzi quasi ostentata,
sfiducia nei confronti della ragione, della scienza e della
tecnologia perché sentite come incapaci, o perlomeno insufficienti, di andare oltre. Vale a dire inadatte a penetrare
l’Ignoto e a sondare gli oscuri abissi dell’animo umano.
Parallelamente si confidava nelle esperienze estreme, a
tinte forti, fino ad arrivare allo sconfinamento in regioni della
mente poco conosciute, e al disvelamento delle potenzialità inattese della suggestione, del sogno e dell’inconscio.
In qualche caso finanche della magia, dell’occultismo e
<<<Insistenze
dello spiritismo. Eredità tematica, questa, che negli stessi
anni veniva rilevata e approfondita a Vienna dal padre della psicanalisi moderna, Sigmund Freud. Dunque, come si
vede, nessuna preoccupazione di contenuto o d’intenti civili e morali, nessuna fiducia nel Positivismo allora in voga
o nelle Accademie, ma soltanto il bisogno e il desiderio di
andare oltre le apparenze. Era questo lo spirito del tempo,
lo spirito dell’Ottocento di cui la Francia fu la culla e che
venne spazzato via in un colpo solo dall’avvento catastrofico della Prima Guerra Mondiale.
I temi dell’eccesso e della purezza nell’Arte non entrarono
mai in contrasto con le istanze di compostezza classica
e imitazione dei modelli antichi che, anzi, restarono sempre tra i punti fermi dell’estetica simbolista. Gli stati alterati della coscienza erano considerati gli unici strumenti
validi per conoscere davvero la Realtà e dall’artista ci si
aspettava espressamente che fosse in grado di affacciarsi
sull’Ignoto, il Mistero e il Perturbante. Fu dunque nel solco di questa tradizione estetica che s’inserì a pieno titolo
l’arte di Spilliaert fino a rappresentarne l’epilogo e il segmento finale. In pittura gli artisti aderirono fermamente alla
rappresentazione di soggetti ispirati dalla Natura e anche
Leon, nelle sue notti insonni trascorse fra il porto e il lun-
gomare, si misurò con questo tema raggiungendo esiti
artistici di livello altissimo. Poiché dunque la realtà sensibile veniva percepita come simbolica, vale a dire come
il simbolo di qualcos’altro che le starebbe stato sotto e
che essa nasconderebbe, il tema enigmatico del doppio,
della metafora e dell’allusione, fu naturalmente assai frequentato. Spilliaert lo esplorò attraverso l’iconografia a lui
particolarmente cara dello specchio e dei riflessi sull’acqua. Spesso, infatti, nei suoi dipinti vediamo la luna che si
riflette sulla superficie nera e compatta del Mare del Nord.
O la luce elettrica dei lampioni che si riflette a sua volta sul
manto bagnato delle strade di Ostenda.
La ripetizione quasi ossessiva di bande e fasce cromatiche, sia verticali che orizzontali, sia circolari che ellittiche,
è infine funzionale alla resa di un effetto di lontananza insondabile. Ma anche, come in uno stato ipnotico indotto
da uno psicanalista freudiano, al raggiungimento di una
dimensione remota e rarefatta. Remota e rarefatta come
fu la vita stessa di Leon Spilliaert, la cui storia, fatta eccezione per qualche fotografia e alcune lettere che ne raccontano le poche vicende personali, è ancora oggi avvolta
nell’ombra e nel mistero.
Sopra: Vertigo, 1903.
Video: Léon Spilliaert, youtube.com/watch?v=dlCpjRpfFPk
Di lato: La Diga di Ostenda, 1908.
*[Simone Scaloni vive a Roma tra le pieghe di una decennale passione per l’arte. Diplomato in restauro pittorico, si laurea in seguito in Storia dell’Arte. Si interessa
particolarmente alle incisioni del 900 ma non si preclude
Sala da Pranzo di un Albergo,
1904.
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incursioni nelle manifestazioni dell’arte contemporanea.]
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<<<Insistenze
APPUNTI DI VIAGGIO
VERSO IL FESTIVAL POETICO IN GALLIA
XXV Miedzynarodowa Galicyjska Jesien Literacka
Anna Jolanta Lagoda
Il notevole ritardo del volo RF9622 Roma –Cracovia non
fa altro che accrescere la mia preoccupazione. Sono già
abbastanza agitata al solo pensiero di dover salire a bordo di un aereo, evitando accuratamente qualvolta posso,
di occupare il posto accanto al finestrino.
Poco prima del decollo le solite raccomandazioni sulla sicurezza. Chiudo gli occhi. La voce dell’assistente di volo
risuona come in un acquario.
Intanto l’aereo inizia a correre sulla pista sempre più veloce e mi ritrovo a stringere forte la mano del ragazzo terrorizzato che mi sta accanto, lasciando le impronte delle
mie unghie sulla sua pelle.
Pochi attimi dopo ci ritroviamo appesi tra il cielo e la terra
e rallento la presa. Imbarazzata mi scuso. Iniziamo a parlare scoprendo che la paura condivisa pesa decisamente
meno.
Poi di nuovo calma, cerco di leggere qualcosa, scrivo appunti per catturare ogni singola emozione di questo viaggio nel mio paese di origine: la Polonia. Il motivo di questa
breve vacanza è il Festival Poetico in Gallia, organizzato nel mio paese da venticinque anni.
Non potevo mancare a questo grande evento dove il clima magico della letteratura è di casa. L’anno prima nello
stesso periodo ho partecipato a questa meravigliosa festa
di letterati, coinvolta nei simposi poetici e portavo ancora
nel cuore il ricordo delle persone che giungevano al festival dalle diverse parti del mondo con un unico obiettivo:
condividere la poesia come un pezzo di pane.
Il Festival Letterario in Gallia è nato nel 1978, come Festival della Letteratura Nazionale, coinvolgendo inizialmente
i poeti polacchi. Le successive edizioni hanno allargato le
frontiere invitando a partecipare anche i poeti dall’estero.
La convivenza delle diverse etnie che abitavano la Polonia
meridionale (Russi, Tedeschi, Ucraini, Polacchi) nel pas-
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sato ha dimostrato che proprio nel bilico tra le diverse culture, nel punto dove esse si toccano e convivono, nascono le gioie più grandi. Letteratura e poesia hanno sempre
avuto la capacità di unire i popoli, di fare appello ai sentimenti umani, di mostrare al mondo cosa unisce le persone trasmettendo forte l’entusiasmo che serve agli uomini,
invitandoli a creare ponti anziché alzare muri.
Dopo due ore di volo finalmente metto piede sulla terra
ferma,ma il viaggio non è ancora finito. Prendo il treno
per il centro di Cracovia, da lì mi aspetteranno altre ore di
viaggio verso un paese all’estremo est della Polonia: Kasna Dolna. Quest’anno la base del nostro incontro si trova
lì, nella residenza del nostro celebre pianista Ignacy Jan
Paderewski.
Nel treno con la testa appoggiata questa volta al finestrino, ammiro il panorama. Le distese del verde, le case di
mattoni con i tetti spioventi. L’aria sa di nostalgia. La gente parla a bassa voce. Un piccolo ordine fuori dal caos,
la pace e tranquillità. Ci sono nata in questa terra, porto
dentro i suoi battiti, eppure i suoi paesaggi non hanno mai
smesso di stupirmi. Guardo la mia terra e non riesco a
saziare gli occhi di questo meraviglioso ritrovarsi. Mi viene
voglia di saltare fuori dal treno, abbracciare ogni mazzo di
erba, accarezzare il marciapiede, sorridere al cielo. Gli occhi si riempiono di lacrime che scorrono lungo le guance.
Alla stazione di Cracovia centrale mi aspetta Danuta, una
collega più grande di me, invitata anche lei insieme agli
altri poeti a partecipare nel festival. Non ci siamo mai viste
prima.
Nei giorni precedenti al viaggio, grazie ad un’amica comune, ci siamo scambiate qualche mail scherzando e
ironizzando sul riconoscersi entrambe. Lei è in ritardo, il
suo volo dalla Francia ha avuto un problema tecnico e ora
dobbiamo recuperare il tempo. Ci aspettano altre due
ore di viaggio per arrivare a casale di Paderewski. Prendiamo le valigie e iniziamo la corsa verso la piattaforma
numero dieci da dove sta per partire il nostro ultimo
pullman. L’avremmo perso per un pelo, ma per fortuna
siamo salve.
Arriviamo a destinazione in tarda sera. Il casale è avvolto in una fitta nebbia, l’edificio bianco del museo e la
casa della servitù, dove passeremo la notte, sembrano
maestosi giganti rivestiti di fumo bianco. In lontananza
si intravede il bosco, l’antica riserva di caccia e dal laghetto giunge il gracidare delle rane. Fa piuttosto freddo
in questa stagione dell’anno e dopo diversi anni passati in Italia ho perso l’abitudine di coprirmi bene. Cerco
di correre ai ripari infilandomi due cappotti, sebbene il
metterne uno sopra l’altro mi porta lontano dall’emblema di eleganza.
I segni della stanchezza sul mio volto sono evidenti, il
trucco è completamente sciolto dal freddo e dalle lacri-
13
Insistenze>>>
me versate durante il viaggio.
Entriamo in una grande sala e ammiro le pareti con i quadri
che ritraggono il maestro Paderewski in persona. Si sentono i passi veloci sulle scale dal piano di sopra, gli altri
scendono per salutarci. Cristina la conosco già, ho avuto
il piacere di incontrarla al festival precedente ed è subito
nata tra noi una grande simpatia. Mi viene incontro sorridendo a braccia aperte ed io sparisco in quell’abbraccio
commossa perché mi sento a casa.
L’atmosfera è accogliente, mi trovo in una grande famiglia poetica. Alcuni presenti li conosco, mi presento agli
altri e poi ci spostiamo verso la cucina, dove ci aspetta il
pentolone con il gulasch caldo e fumante più buono che
abbia mai mangiato. Chiacchieriamo fino a tarda notte,
scambiandoci ognuno le proprie esperienze poetiche e
ricordando l’incontro dell’anno prima. Poco dopo arriva
Andrzej Grabowski, l’organizzatore del festival, nonché
poeta e scrittore di molti libri e filastrocche per bambini e
ragazzi. Andrea è basso di statura e qualcuno nel passato
lo ha chiamato Napoleone di provincia, ma la sua vera caratteristica è la grandezza del suo spirito instancabile con
il quale affronta ogni iniziativa culturale e letteraria. Andrea
da poco è rientrato in Polonia dall’Ucraina dove si è svolta
la prima parte del festival. L’orologio in sala da pranzo ha
appena segnato la mezzanotte. Una volta salita la rampa
di scale in legno arrivo nella mia stanza e poco dopo mi
abbandono ad un sonno profondo tra le calde coperte del
letto.
La mattina ci ritroviamo tutti insieme per fare colazione,
un altro momento importante di condivisione oltre che di
sostentamento ed in questo, posso dirlo forte, la cucina
del mio paese con i suoi piatti tipici dolci e salati, sa davvero soddisfare anche il palato più capriccioso. Mangiando la frittata con bacon e bevendo il tè penso a cosa ci
riserverà la giornata. Dopo la colazione veniamo divisi in
gruppi. Ci sposteremo in diverse regioni della Polonia, per
portare la poesia nelle biblioteche, negli asili e nelle scuole. Il viaggio in macchina è lungo. Attraversiamo centinaia di chilometri sulle autostrade scorrevoli e semi vuote.
In macchina insieme a me ci sono Bolodimir Garmatiuk,
poeta e giornalista appassionato di fotografia e Vladimir
Stockamann, poeta e musicista che da diversi anni vive a
Cracovia. Entrambi parlano perfettamente la mia lingua.
Durante il viaggio conversiamo allegramente con Andzrzej
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<<<Insistenze
Grabowski alla guida. Lo spirito poetico galleggia nell’aria tenendoci svegli. Arriviamo a Kolbuszowa. Il direttore della biblioteca comunale ci accoglie calorosamente
e con gioia. Ci conduce nella sala delle conferenze dove
ci aspetta il tè con i pasticcini. Mentre conversiamo ogni
tanto guardo fuori dalla finestra notando un curatissimo
giardino con delle rose. Poco dopo mi annunciano che in
biblioteca sono già presenti gli ospiti, una classe di liceali
arrivati appositamente per “l’incontro con l’autore”, la lezione di poesia che avrei dovuto condurre dopo poco. La
notizia mi coglie di sorpresa, è un grande onore ed una
assoluta novità.
Poco dopo mi trovo di fronte a questi esseri giovani, con
i loro occhi puntati addosso. Mi sento un insegnante alla
sua prima lezione e pronuncio la prima domanda legata
alla circostanza, tanto per rompere il ghiaccio (da qualcosa bisogna pur cominciare): “Avete mai visto Monalisa
smile?”.
Poi tutto d’un tratto la mia testa fa un viaggio indietro nel
tempo, ad una quindicina di anni fa quando ero una liceale anch’io. Cosa mi sarebbe piaciuto sentire - penso. E
mi viene di parlare dei sogni, dell’amore, del sesso, della
droga, dei loro problemi, comuni, universali, mai scaduti.
Scelgo di parlare della VITA, per condurli alla poesia attraverso la vita stessa, citando Bukowski, Nietsche, Bergson,
condividendo con loro le mie esperienze e catturando la
loro attenzione.
L’incontro con l’autore termina con l’intervento di uno degli studenti che a nome di tutta la classe mi ringrazia regalandomi una rosa e dicendo: “Lo sa, signora, grazie a lei
ho scoperto che la poesia non è affatto noiosa”. Mi commuovo e con gli occhi lucidi lo abbraccio.
La seconda tappa del nostro viaggio è Zalipie, il villaggio
più colorato della Polonia. Le case sono dipinte a mano
secondo la vecchia tradizione degli artisti che vi abitano,
paesaggi floreali sulle pareti delle abitazioni, delle stalle, sui
Pagina 12: Statua di Ignacy Jan Paderewski.
Pagina 13 e sotto: Residenza di Ignacy Jan Paderewski, sede della manifestazione.
Sotto: Tipica casa dipinta del villaggio di Zalipie
Pagina 16: Dettaglio di un interno a Zalipie. Anna Jolanta Lagoda legge alcuni suoi testi nell’ambito della manifestazione
pozzi, nelle chiese. Persino le case delle api e le cucce dei
cani sono immerse in colori vivaci rispecchiando il folclore
e l’antica tradizione.L’atmosfera fiabesca di un tempo che
sembra essersi fermato.
A Zalipie incontriamo il resto del nostro gruppo. Di nuovo
insieme a scambiarci emozioni.
Il tempo di scattare qualche foto del gruppo per catturare
questi momenti e siamo pronti per ripartire. Ci aspettano
in Biblioteca a Olesno, una città ad est della Polonia, dove
si terrà la serata di inaugurazione dell’Autunno Poetico in
Gallia.
Arriviamo nel tardo pomeriggio e lasciamo la macchina
sull’ampio parcheggio accanto alla biblioteca. La luce pallida dei lampioni illumina il vialetto che conduce all’ingresso principale lasciando intravedere le piante di oleandro
ed una fitta vegetazione ben curata. La direttrice della
biblioteca ci viene incontro e iniziamo a seguirla lungo il
corridoio circondati dai libri. I vecchi scaffali e le mensole
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Insistenze>>>
gli occhi pieni di lacrime quando le luci in sala si spengono
e Lam Quang My, un poeta vietnamita che ho conosciuto
l’anno prima, inizia a cantare la sua poesia in lingua madre. Non capisco le parole, ma sento che questa bellissima nenia parla d’amore, c’è tanta sofferenza e ogni parola tramutata in nota mi tocca qualcosa dentro. La sottile
fiamma della candela accesa illumina il suo volto e tutti noi
restiamo stupiti ad ascoltare in penombra. Quando salgo
sul palco per leggere la mia poesia mi tremano le gambe,
le emozioni si fanno sentire e non mi lasciano più. Ancora
una volta mi sono sentita a casa. La gratitudine negli occhi della gente che ha la poesia nel cuore è grande e la
porto via con me giorno dopo nel viaggio di ritorno verso
la mia seconda casa-Italia.
*[Anna Jolanta Lagoda è polacca. Ha frequentato nel
paese d’origine la facoltà di filosofia, assecondando la
forte inclinazione alla letteratura e alla scrittura collaborando con la redazione di un giornale studentesco. Da
anni vive in Italia dove continua a scrivere racconti.]
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Carina Negrone di Cambiaso
Geremia Doria
È il 20 Giugno 1935. Nell’aeroporto di Guidonia nei pressi
di Roma, una giovane donna in tuta di volo si avvia verso
la pista di decollo. Nel breve tragitto è accompagnata dal
Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica italiana
e da un amico pilota, Mario Pezzi, il cui nome sarebbe
diventato celebre nella storia dell’aviazione. Dietro di loro
segue un gruppo di tecnici e specialisti, due dei quali hanno in mano una piccola scatola sigillata...
La donna si chiama Carina Negrone, ha 24 anni ed è moglie del marchese Ambrogio Negrone di Cambiaso. La
posizione sociale spiega la ragione di tanto seguito sulla
pista, ma è stato il sostegno di un influente personaggio,
anche lui amico e pilota, che ha consentito a Carina di
cimentarsi nell’avventura di oggi: è Italo Balbo, il famoso
protagonista delle Crociere Atlantiche e, in quel momento, ministro della Regia Aeronautica.
Carina ama lo sport e ne pratica diversi: il volo che all’epoca aveva una forte connotazione di sfida sportiva, non
poteva non attrarla. Di fatti due anni prima aveva conseguito il brevetto di pilota e già aveva all’attivo un primo record di volo, ottenuto raggiungendo la quota di oltre 5000
metri a bordo di un velivolo anfibio.
Ora Carina si proponeva di superare il record femminile di
volo in altezza detenuto dalla francese Maryse Hilsz con
11.289 metri. Per prepararsi all’impresa si era sottoposta
a mesi di pesante allenamento attraverso lo stesso iter
addestrativo praticato dai suoi colleghi. L’aeroplano che
dovrà pilotare è un Caproni Ca.113, un biplano maneggevole e con eccellenti qualità acrobatiche, modificato con
un motore più potente e un semplice impianto per l’erogazione dell’ossigeno. È lo stesso aeroplano con cui l’anno
precedente (1934) un altro famoso recordman dell’aviazione italiana, Renato Donati, aveva conquistato il record
di altezza superando i 14.000 metri. Per la cronaca, subito dopo l’atterraggio Donati era svenuto all’interno dell’abitacolo.
I medici militari avevano consigliato a Carina di non superare l’altezza di 11.000 metri, rinunciando al record,
qualora avesse avvertito difficoltà respiratorie: in quota,
Insistenze>>>
di legno sulle pareti mostrano letteratura di ogni genere,
i poster dedicati alle première cinematografiche e dischi
in vinile. Ho la sensazione di essermi ritrovata in un’altra
epoca. Nella mia testa di nuovo inizia un viaggio nei ricordi d’infanzia, le giornate passate in libreria con mia madre
libraia. Profumo di carta. Profumo di libri.
La biblioteca inizia a riempiersi di gente. Tutti in attesa della serata di gala. Ci sono tanti poeti e ospiti stranieri giunti al Festival da diverse parti del mondo. La grande sala
che ospita il palco è immersa nelle luci soffuse creando
un’atmosfera magica. Poco dopo iniziano le presentazioni e i poeti intervenuti vengono invitati sul palco a leggere
le proprie poesie. Sullo sfondo del palco il grande poster
mostra la scritta “Polonia e Ucraina sopra le frontiere”. Ho
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Insistenze>>>
dati registrati. I calcoli dimostreranno che Carina ha toccato la quota di 12.043 metri, 754 metri in più del record
precedente. Il titolo è suo.
Il successo le viene riconosciuto con l’assegnazione di
una medaglia d’oro al valore sportivo, ma soprattutto la
colloca nel novero di una terna prestigiosa della storia italiana del volo, accanto a Mario Pezzi, che due anni dopo
conseguirà il record di altezza per piloti militari, sottraendolo agli inglesi che lo avevano strappato proprio a Renato Donati.
Carina Negrone rimase attiva nel mondo del volo per tutta
la vita, partecipando a molte altre competizioni internazionali, fondando una scuola di pilotaggio e conquistando
vari primati mondiali, tra i quali l’ultimo, nel 1954, volando
da Brescia a Luxor in Egitto per tremila km senza scalo,
a bordo di un P.136, uno dei migliori velivoli della Piaggio.
È scomparsa nel 1991, all’età di 80 anni, nello stesso
paese di Bogliasco, sulla Riviera di Levante nel quale era
nata.
Nel 1996 le Poste Italiane le hanno dedicato un francobollo della Serie “Donne famose”.
VOLO NOTTURNO SUL VILLAGGIO DI
GREGORY CREWDSON
simone scaloni
Un uomo in poltrona guarda dritto davanti a sé, in una
stanza completamente distrutta. Una donna in sottoveste
galleggia esanime nel salotto della sua casa. Un uomo riveste l’interno del suo garage di uno strato di terra ed erba
e un altro fa la stessa cosa in soggiorno. Una ragazza ha
accumulato una montagna di fiori in cantina e un’altra ha
fatto lo stesso in cucina. Un ragazzo in una doccia infila il
braccio nel foro dello scarico che ha appena smontato. Un
uomo immobile in mezzo alle rose osserva l’interno della
sua casa in cui la moglie e la figlia giacciono addormentate davanti a un televisore acceso. Un gruppo di ragazzi
scava una buca nella radura di un bosco mentre un uomo
seppellisce, o disseppellisce, un gran numero di valigie in
mezzo agli alberi. Ancora un gruppo di ragazzi cammina
come ipnotizzato lungo un binario morto, in una direzione
che sembra non avere una mèta. Un altro gruppo, sempre su un binario morto, guarda inebetito e indifferente
una casa in fiamme. Una donna e un bambino siedono
in silenzio a una tavola imbandita, alla quale però mancano gli altri due commensali. In un’altra sala da pranzo
un’altra famiglia, questa volta al completo, siede a tavola
per la cena ma smette inspiegabilmente di mangiare e fissa lo sguardo nel vuoto. Una donna seduta in soggiorno
osserva una ragazza che le si presenta nuda davanti agli
occhi. A un’altra accade la stessa cosa ma riflessa nella
specchiera della sua camera da letto. Un uomo esce dalla
macchina e si ferma a pochi passi sotto una pioggia battente. Lo stesso fa una giovane donna in sottoveste e a
piedi nudi uscendo da un taxi, davanti all’entrata di una
casa immersa nelle fronde degli alberi. Ecco alcune si-
Insistenze>>>
temperature e carenza di ossigeno erano i nemici più pericolosi.
Carina indossa una tuta termoelettrica che la proteggerà
dal freddo e, sotto il caschetto di pelle, un passamontagna di lana per sopportare il vento alla velocità di circa
200 km l’ora. Il pacco del paracadute sulle spalle è l’ultima ingombrante parte di equipaggiamento prima di salire
a bordo.
All’interno del velivolo vengono collocate le due scatole sigillate affidate agli specialisti: sono due barografi che
registreranno la variazione di pressione atmosferica per
mezzo della quale, al rientro, sarà possibile calcolare la
quota raggiunta.
Tutto è pronto e Carina effettua un perfetto decollo. Sale
regolarmente in quota; la temperatura scende fino a meno
35°, l’ossigeno diminuisce sensibilmente. Carina comincia ad avvertire un certo stordimento, uno stato di blanda
euforia, ma continua a salire, finché sente di aver raggiunto il suo limite; allora livella il velivolo e inizia la discesa. Il
volo si conclude con un felice atterraggio.
I barografi vengono prelevati dal velivolo per l’analisi dei
*[Geremia Doria nasce a Trieste nel settembre di 40 anni
fa.Interior designer di professione, si interessa di antiquariato e collezionismo d’arte. Frequenta con regolarità gallerie e case d’asta e negli anni acquisisce e affina le proprie competenze nell’arte contemporanea, con una forte
predilezione per gli autori figurativi. Scrive note critiche
e monografie per diverse riviste di settore. Vive con uno
Scottish terrier e non è presente in nessun social network.]
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Insistenze>>>
tuazioni caratteristiche delle immagini create da Gregory
Crewdson.
Questi personaggi sono sempre immobili, come paralizzati.
Si ha l’impressione che siano stati disinnescati, disattivati
o, perfino, derubati dell’anima. Si trovano tutti all’interno
della propria abitazione. In garage, in giardino, nel bosco
alle porte del villaggio, in mezzo alla strada, ad un incrocio,
al parcheggio del supermercato. Ambienti affatto ordinari
che caratterizzano la vita di tutti i giorni di ognuno di noi,
ambienti sempre domestici e familiari. Tuttavia, enigmaticamente, in Crewdson diventano scenari ambigui, sospesi, misteriosi e inquietanti. In tutte le scene rappresentate
da Gregory Crewdson è senza dubbio successo qualcosa
di grave e di definitivo in merito al quale, però, non ci viene
detto nulla e che soltanto i protagonisti dell’accadimento
sembrano conoscere e controllare. O, più probabilmente,
neanche loro.
Gli ambienti che costituiscono il repertorio scenografico
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<<<Insistenze
delle immagini di Crewdson sono sempre gli stessi: case
di legno bianche o dipinte a colori pastello, prati verdi e
giardini ben curati con il barbecue e giochi per bambini,
alberi secolari e boschi fittissimi, il profilo azzurrognolo o
violetto delle colline in lontananza, verande con sedie a
dondolo e staccionate ancora fresche di vernice, salotti
arredati con mobilio a buon mercato, sale da pranzo con
tavole imbandite a festa, camere da letto con la moquette
abbinata al copriletto e alle tende, stanze da bagno squallide e disadorne, cucine vagamente stantie, garage e capanni per gli attrezzi da giardinaggio. Anche gli elementi
iconografici, gli oggetti e gli animali, sono costanti e ricorrenti: automobili aperte o abbandonate, divani e poltrone
davanti a televisori sempre accesi, letti sfatti e cuscini tormentati, lampade e abat-jour in ogni angolo della casa,
specchi e tolette, comodini invasi da barattoli di pillole e
mozziconi di sigaretta. E ancora rose e fiori variopinti, farfalle altrettanto colorate, uccellini canori con le loro uova,
e insetti silenziosi e laboriosi sempre nei paraggi. È il regno
apparentemente sicuro e idilliaco della piccola borghesia
di provincia.
Gregory Crewdson è un fotografo americano famoso in
tutto il mondo. Nasce nel 1962 a New York. Cresce a Park
Slope, un quartiere di Brooklyn, dove sua madre esercita
la professione di psicanalista freudiana e riceve i pazienti
nel seminterrato della casa in cui vive con la sua famiglia.
E dove il giovane Gregory ascolta tutte le sedute di psicanalisi della madre sdraiato per terra in salotto con l’orecchio appoggiato al pavimento. Oggi Crewdson insegna
fotografia alla Yale School of Art di New Haven e finora
ha realizzato otto ampie serie di fotografie. La prima delle
quali, Early Works, risale al biennio 1986-88. Seguiranno
Natural Wonder, Hover, Twilight (tuttora la serie più conosciuta), Dream House, Beneath the Roses, Sanctuary e infine Cathedral of the Pines del 2015. Tutte le sue creazioni
artistiche sono il frutto di produzioni molto costose e del
lavoro di ampie troupe di tecnici e specialisti. Gli scenari da
lui ricreati sono in parte il risultato di elaborati allestimenti
scenografici realizzati in studio, e in parte l’esito di riprese
effettuate direttamente sul luogo. Il tipico villaggio di collina e immerso nei boschi che vediamo nelle fotografie di
Gregory Crewdson è nella fattispecie quello della cittadina
americana di Lee, nel Massachusetts. Il periodo dell’anno
è quello che prende il nome di Estate di San Martino, nel
mese di novembre, e che alterna a un clima ancora mite e
soleggiato i primi rigori dell’inverno.
A voler ricostruire un ideale percorso tematico e iconografico che ci conduca alla fine all’opera di Crewdson, non
sarebbe sbagliato prendere come punto di partenza la pittura di Edward Hopper. Questi, infatti, ben ritrasse le atmosfere malinconiche e desolate, fatte di crepuscoli silenziosi
e lunghe ombre pomeridiane, della provincia americana
del nord-est nella prima metà del Novecento. Quella stessa provincia americana indagata poi in fotografia da artisti
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Insistenze>>>
come Walker Evans, noto per la sensibilità fortemente realistica delle sue immagini, e più tardi William Eggleston. E
poi dalla newyorkese Diane Arbus alla cui produzione fotografica, incentrata sulla rappresentazione di un’umanità
alienata e marginale, lo stesso Crewdson ha dichiarato di
aver sempre guardato con ammirazione.
Un contributo significativo all’ispirazione di Gregory
Crewdson può averlo fornito anche una vena più specificamente letteraria rappresentata dai romanzi di Stephen
King (e dalle relative trasposizioni cinematografiche) e di
Ray Bradbury (come nel caso di Something wicked this
way comes). Senza dimenticare i più classici Peyton Place di Grace Metalious e l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.
Tuttavia, ad aver maggiormente influenzato i temi e lo stile del fotografo di Brooklyn sono soprattutto il cinema e
le costose produzioni hollywoodiane di registi importanti
come lo Steven Spielberg di E.T. e Incontri Ravvicinati del
Terzo Tipo, il David Lynch di Velluto Blu e Twin Peaks, e il
Richard Kelly del più recente cult-movie sulla dimensione
surreale e allucinata dell’adolescenza Donnie Darko. Infine, è necessario ricordare in questa rapida panoramica di
influenze anche la celebre serie televisiva del 1959 firmata
da Rod Serling e intitolata The Twilight Zone (trasmessa in
Italia con il titolo di Ai Confini della Realtà).
Con i fotografi Cindy Sherman, Jeff Wall e Thomas Demand,
il regista Wes Anderson, e lo stesso Gregory Crewdson, si
arriva a definire e teorizzare una precisa tendenza all’artificiosità, a una forma di raffinatezza estrema, e alla messa
in scena di set straordinariamente accurati e ricchi di particolari. Per questi artisti il concetto-cardine è quello della riproduzione perfetta, iperdettagliata, di una realtà altra
che sostituisca la realtà reale, oggettiva, nella quale vivivamo. Questa viene infatti rifiutata e decisamente respinta
senza mezzi termini poiché percepita come inquietante,
perturbante (per dirla con Sigmund Freud) e alienante. È
allora a questa nuova realtà, artificiale e soggettiva, a questo surrogato simbolico della realtà, che si guarda e che
si fa riferimento. Che si fotografa e si riprende con la telecamera. Ma la sorte è spesso ironica e in questo caso
la nuova realtà riprodotta finisce per assomigliare molto a
quella originale, ed essere altrettanto oscura e angosciante.
In questa prospettiva così delineata possiamo allora in-
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<<<Insistenze
trodurre i concetti di staged photography (fotografia inscenata, teatralizzata) e di single-frame movies (film a inquadratura unica o film fotografici). Si tratta di immagini
dense, complesse, altamente strutturate. Da un punto di
vista dei contenuti sono scene di alienazione domestica e
individuale, di un evidente disagio esistenziale. Sono psicogrammi fotografici di un’umanità interrotta e smarrita,
istantanee di una vita di provincia che ha superato il punto
di non ritorno.
A ben vedere non siamo qui così lontani da una concezione teatrale e secentesca, quindi barocca, dell’arte. Questa
corrente prevedeva infatti un’accurata selezione dei simboli e degli elementi da rappresentare, la loro composizione
in un contesto armonico ed omogeneo (come, ad esempio, nel caso del cosiddetto belcomposto berniniano), e la
conseguente trasposizione in una dimensione ultraterrena
e spirituale del soggetto rappresentato. Ne è ulteriore dimostrazione l’uso caravaggesco che Crewdson fa della
luce, e degli effetti luministici in genere, che ha senza dub-
bio contribuito a consacrarne la fama e che è poi diventato come una firma, il tratto caratteristico dell’autore stesso. Non di rado i personaggi delle immagini di Crewdson
vengono investiti da fasci di luce che potremmo anche
definire mistica. Si ritrovano assenti e stupefatti, come in
estasi, a contemplare misteriose sorgenti di luce che di
naturale hanno effettivamente ben poco. È una luce rivelatrice, forse salvifica, che fa da tramite fra ciò che è visibile
e ciò che non lo è. Proprio come sulla linea dell’orizzonte
lungo la quale il sole scompare e ha inizio la notte. Quella
sottile lingua di luce che appare in lontananza al tramonto
e che gli Americani hanno identificato come the twilight
zone. Questi raggi di luce trascendente possono arrivare
dalla chioma di un albero come dalla grata di un tombino,
dai fari di un’automobile ferma ad un incrocio come da un
faretto al neon incastonato nel controsoffitto di una sala
da pranzo. Dallo sportello aperto di uno scuolabus vuoto
come da un televisore rotto, dalla moquette strappata e le
assi divelte di un pavimento domestico coperto di terra.
È la luce della rivelazione, del risveglio a una dimensione superiore e della riconciliazione con essa. E segna il
momento della comprensione autentica e profonda delle
cose per quello che sono veramente. Forse, il momento
dell’illuminazione. Ma soprattutto, questa luce testimonia
dell’irruzione violenta della Natura nella vita di tutti i giorni
e del suo riaffermare il proprio dominio su ciò che le spetta
per diritto. Questo tema del ritorno a uno stato di Natura è
il vero motivo conduttore, centrale in tutta l’opera di Gregory Crewdson. Questi infatti, intervistato sull’origine della
sua arte e l’ispirazione che la sottende, disse una volta che
non c’è stato giorno della sua vita in cui non si sia alzato la
mattina sentendosi male fino alla nausea. È dunque questo il risveglio ritrovato di cui sentiva la necessità, il giro di
vite e il ritorno allo stato di Natura di cui ci parla nelle sue
opere.
Un orso bruno è entrato in un soggiorno, si aggira placido
tra le foglie e i raggi di sole.
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Inverso>>>
Davide Cortese
Davide Cortese presenta un testo imperniato concettualmente e semanticamente sulle ‘migrazioni’, non
quelle tristemente note delle cronache, bensì quelle perpetue della natura e dell’esperienza umana. Il tema
è forse quello dell’eterno ritorno, della necessità degli eventi, che pure il poeta Cortese vive alla luce di una
speranza che si rende esplicita nella chiusa.
[Flavio Scaloni]
Un giorno in un futuro gli uomini popoleranno altri pianeti
oltre la terra ed altri paesaggi verranno da loro descritti nei
propri racconti ma rimarranno sempre le testimonianze
dei grandi autori che con la fantasia applicata alla scrittura
hanno immaginato e dunque predetto nelle proprie opere
tutto ciò che è accaduto e deve ancora accadere.
MIGRAZIONI
“Scrivere è come viaggiare senza la scocciatura dei
bagagli”, diceva Emilio Salgari. Ed i poeti di questo numero
attraverso i loro scritti, ci hanno accompagnati per un breve
tratto attraverso il nostro tragitto letterario, condividendo in
questa rubrica molti degli infiniti aspetti di ciò che è stato
ed è per ognuno di loro, il Viaggio. Viaggio che continuerà
attraverso gli occhi di chi tra voi avrà il piacere di leggerli.
Laura Di Marco
Sembra che da oriente
migri verso occidente
il sole,
per portare lontano
un nuovo inizio.
Migra verso la terra
il frutto maturo
per portare un seme
che rinnovi la storia.
Migrano, carovane di nuvole,
per portare lontano una pioggia.
Migrano, i miei pensieri,
per tornare con in dono un ricordo.
Migra, la nostra vita,
dal primo pianto
all’ultimo rantolo.
Ogni attimo è migrante.
Lo è ogni cosa qui tra gli uomini.
Migra, la gioia,
e da remoti approdi mi scrive
che ha portato in salvo
la nostalgia che ha di me,
sigilla il messaggio nella bottiglia
e lo affida a onde di lacrime salate.
Una rondine è il mio sorriso.
Ed io so che tornerà.
*[Davide Cortese è nato nell’ isola di Lipari nel 1974 e vive a Roma. Si è laureato in Lettere moderne all’Università degli Studi di Messina con una tesi sulle “Figure meravigliose nelle credenze popolari eoliane”. Nel 1998 ha pubblicato la sua prima silloge poetica, titolata “ES” (Edas, Messina), alla quale sono seguite le sillogi: “Babylon Guest
House” (Libroitaliano, Ragusa, 2004), “Storie del bimbo ciliegia” (un’autoproduzione del 2008), “ANUDA” (Aletti Editore, Roma, 2011), “OSSARIO” (Arduino Sacco Editore, Roma, 2012) e “MADREPERLA” (LietoColle, Como, 2013).]
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alessandra carnovale
Stefania Fiore
La barca, il primo mezzo che ha consentito all’uomo di solcare i mari e di viaggiare, in questo componi-
Diario di viaggio, diario del treno. L’incedere dei vagoni trasporta l’autrice fisicamente e poeticamente. Ste-
mento di Alessandra Carnovale sembra non avere mèta. È sospesa tra le sponde di un lago, come l’au-
fania Fiore ci racconta le impressioni quotidiane ispirate da un treno, forse metropolitano, che le permette
trice che ne osserva la scia e i remi sapientemente ritmati. Le acque sono placide, il sole è pigro, il solo
di indagare nel suo intimo e nel comune sentire. Emergono i ricordi dell’infanzia, degli affetti e in fondo di
moto è quello indotto da questa piccola imbarcazione. La poesia come immagine, evocativa con pochi
quel viaggio, che chiamiamo Vita, che ci condurrrà alla prossima stazione, senza sapere quale sia.
tratti, pennellati con dovizia, come in un dipinto impressionista.
[Flavio Scaloni]
Inverso>>>
[Flavio Scaloni]
LA BARCA
Placida scivola
la piccola barca
sulle acque
del lento lago,
sospinta
da quieti vogatori
e saldi remi.
Scava il suo solco
nell’acqua.
Ne osservo la scia;
vortici accompagnano
l’ondeggiare ritmico
del legno
sotto il tiepido sole
che non scalda.
Placida scivola
la piccola barca
da una sponda
all’altra.
DIARIO DEL TRENO
Venerdì 26 luglio 2013
Dalla stazione di Finale si vede il mare, si vedono le palme e persino qualche ombrellone.
Lascio una casa silenziosa dove la mia famiglia sta ancora riposando ed inizio un altro viaggio già sapendo il
percorso e la mia meta.
Così penso ai viaggi della mia vita, ai cammini e alle strade, ai compagni di viaggio e alle fermate dove non
sono scesa. Il mio treno di oggi non fa tutte le fermate ma fa tutte quelle che mi interessano.
È come me adesso, che desidero riempire la mia vita solo di cose belle, come i due giorni passati con la mia
amica, noi due sole, senza figli.
In questo momento la sorellanza è la radice più forte che ho: le mie amiche ci sono, tutte le mie donne
importanti si sono strette a me come madri, figlie, sorelle, allo stesso tempo.
Il treno riparte e nel mio cuore le abbraccio tutte le donne della mia vita, le donne del mio branco, bellissime e
fiere.
*[Alessandra Carnovale, romana, si dedica per diversi
anni alla ceramica e alla scultura, nonché ad altre arti manuali. Dal 2010 partecipa ad attività e concorsi e letterari, dove
le sue poesie ottengono premi e attestati di merito. I suoi
testi sono presenti in varie antologie. Ama la parola asciutta, scarna, essenziale, quasi scolpita e foggiata con cura.]
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Serena rossi
Incedere che ti incolla allo spazio che separa le parole, prima che al verso, mentre costringe l’occhio a se-
Mercoledì 17 luglio 2013
Lunedì 21 gennaio 2013
Il treno dopo la galleria è solo una luce, poi diventa una creatura flessuosa che si snoda seguendo la via dei
binari e noi saliamo, entriamo a farne parte, seguiamo nel suo ventre il percorso già tracciato.
Dopo qualche minuto manca la luce in tutto il vagone ed io spero che non torni.
Guardiamo fuori come da dentro un’auto, le luci sono fuori.
Mi sembrano i viaggi in treno da piccoli con la mamma, quando nel treno ci dormivamo perché la strada era
tanta.
Qui tutti vogliono che la luce rimanga accesa ma io vorrei che rimanesse buio, sto pensando alla mia mamma
giovane, piena di valigie e bambini, penso al nostro viaggio di agosto verso la nonna e i cugini, le passeggiate
in villa la sera e il profumo di aghi di pino.
metici in dolorosi colpi, nella memoria. Riscrive Serena parte della storia, la sua, non calcando ma ribattendo a mano le tracce della Storia, la nostra, collettiva, letteraria ma prima ancora tragica, di guerra. Intima,
certo, ma il suo cuore batte il ritmo in trincea. È con orgoglio che Diwali vi propone questi versi.
Inverso>>>
Viaggio su un treno dipinto che oggi sembra andare più veloce del solito e non volersi fermare più.
I fianchi del treno sono pieni di disegni fatti con le bombolette spray, immagino chi li ha fatti quando il treno era
fermo in un binario lontano oppure nella notte, quando nessuno vede.
Immagino qualcuno che non voleva darsi vedere, qualcuno che ha fatto ciò che non si deve, e nonostante
tutto ha creato qualcosa di splendido, che parla della sua gioia di quel momento e che passa nelle città sopra
un treno in corsa.
Proprio come me.
guire gli a capo al ritmo di Serena. E immagini che marciando lasciano impronte che trasformano echi er-
[Maria Carla Trapani]
FRATELLI (India, 2012)
Gridi il mio nome – lo conosco?
stropicciato tra le dita deformi
delle tue mani scure.
Crocifisso il corpo
mostra alle mie iridi turbate – codarde?
il saccheggio inverecondo della lebbra
padrona di questo viaggio inatteso.
Di piaghe indigenti
la gamba – solitaria, fiera
è stata deturpata.
Sopravvivi – infetto, grato
nel nerbo di un sole cocente
in attesa di una carezza che rivendichi
il tuo esistere obnubilato.
Anni, mesi, giorni
di nervi danneggiati
lesioni permanenti
dolenze barbare.
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Un quadrato di cemento – casa, benvenuta
indichi orgoglioso
a questa ospite sfioccata.
Il cuore
scevro di porta e masserizie – aperto
riflette un’accoglienza di luce.
La stessa età – ventotto
a due destini diversi
in due pianeti distanti
ci avvinghia in una danza solidale.
Il mio sguardo compunto – pudore, vergogna
si solleva sulle tue carni straziate
e tu m’infliggi un sorriso speziato
di gioia germogliato.
Ti sfioro delicata
ai margini del mondo – eterico
al centro della mia memoria – materica
per non ferirti
per risucchiarti l’ingiustizia – non coltivi riserve di
odio e rancore
e regalarti una voce
che purtroppo non ho – sei tu a prestarmi la tua.
29
Marino santalucia
Tra allusioni colte e tensione etica questi “stessi sogni” sembrano voler parlare a una generazione inglobandole tutte, proprio come i grandi della musica cui rende omaggio, indicando una strada da percorrere insieme. Diwali vi invita a immaginare il percorso, magari con un occhio alla ricerca delle citazioni nascoste, nei
suggestivi versi di Marino Santalucia.
Inverso>>>
[Maria Carla Trapani]
Mi stringi più forte
di una felicità limpida e genuina
che la mia anima umbratile
ha dimenticato altrove.
GLI STESSI SOGNI
Perderanno il controllo
e rotoleranno giù come sassi,
udiranno i piedi calpestare
le briciole del mondo,
scartate da coloro, che
non hanno avuto la capacità di stupirsi
ogni giorno, pensando
che la cura ai loro mali
fosse ignorare l’altro
e non tessere gli stessi sogni.
Sussurro il tuo nome
goffa – puoi rammentarlo?
e tu soffi il mio
dentro le note
di un abbraccio d’amore vellutato.
Lo affidi
come un dono prezioso
alla polvere ocra
agli dei che invochi
al tuo cielo indiano.
Non sono niente – Io
A prenderti cura di me
sei – Tu.
In questo lembo di terra – lebbrosario
depennato dalle mappe universali
affondato nella speranza stuprata
dall’indifferenza della mia specie
mi hai contagiato:
siamo
per un istante acceso
– fratelli.
30
*[Serena Rossi è nata in terra leopardiana nel 1984. Ha
da sempre una forte passione per la paleontologia, i puz-
*[Marino Santalucia fa parte dell’ONG “Emergency” dal 2004. Nel 2010 ha pubblicato la silloge poetica Versi Riversi,
zle, i gatti e la neve. Respira musica e divora libri. Con il
Giulio Perrone Editore. Suoi testi sono inseriti in diverse antologie (Edizioni Progetto Cultura, Edizioni Ursini, Opposto.
racconto “Bluedevil radio’s podcast: free download” ha
net, Fusibilia Libri, e Lietocolle Editore). Nel 2011 partecipa a “Teatri di Vetro Festival Ammaro Amore”, alla “Settimana
vinto il premio “Patria Letteratura 2014”. Alcuni suoi rac-
della Poesia di Eboli” ed alla “Prima Edizione Mare in Vista Cultura”. Nel febbraio 2014 pubblica “Gli angoli del corpo”
conti sono stati pubblicati in varie antologie e siti letterari.]
edito da Edizioni MontaG nella collana “Le Chimere”.]
31
andrea borrelli
vincenzo signoretta
Uno scenario urbano, notturno. Andrea Borrelli cammina sotto le luci dei lampioni e dell’ispirazione poeti-
Cos’è una prosa poetica? Per noi è anche questo: parlare di cose concrete, attraverso parole quotidiane,
ca. Non ci sono altre forme di vita in questo testo, solo il poeta e una foglia che cade. Un cammino a pas-
che veicolano però sensi lontani. Parole che fanno segno ad altro da quello che significano: un prosare
so svelto, in cerca di riparo, di sicurezze che sembrano perdersi nell’oscurità della notte. In questo percor-
poetico che è come viaggiare. Lasciamo che Vincenzo Signoretta ci inviti a prender parte ai suoi viaggi, di
so solitario l’autore riuscirà a ritrovare se stesso? La risposta si cela forse negli ultimi versi.
là dall’orizzonte dell’uso del senso.
IPERBOLE D’ORIZZONTI
Iperbole d’orizzonti
La luce del vialetto
Che stasera ha smesso di vibrare
Sceglie fioca l’accomodarsi
Alla vista
Le persiane basse a metà
Sulle facciate sonnecchianti
Mi tengono al sicuro
E procurano tepore
Alle guance inumidite dal vento
L’odore del buio a tratti
Tra i coni dei lampioni
Si rivolge alle mie paure
E allontana sicurezze
Sterilizzate da un passo ampio
La strada elemosina sospiri
Ancor prima di distendersi davanti a me per
tutta la sua durata
Il volo della foglia
Disegna silenzi nell’aria
E mi riappacifico al momento
Riprendo il piglio di un tempo
Riapproprio spazi a perdite e fughe.
32
[Maria Carla Trapani]
Inverso>>>
[Flavio Scaloni]
*[Andrea Borrelli nasce in un piccolo paesino della Puglia,
affascinato dal mondo della poesia ha collaborato con il
Viaggio è questo: un incessante cammino, senza apparente linea conduttiva.
Vagando nei legami tra tutto quel che compone il nostro vissuto, e che lo comporrà. Ed è pur sempre anche
l’andare a lavoro ed il tornare a casa, in realtà ed in fantasia.
E che dire delle sensazioni, che come erranti viaggiano in istanti?
Ad ognuna corrisponde una verità o non, che venga mancata o colta.
Viaggiamo quando diciamo “Ti Amo” e non di meno, forse di più invero, quando non lo diciamo.
Viaggiamo nei silenzi, vagando tra la paura ed incertezza fino a giungere alla spavalderia e la fermezza.
Viaggiamo nel parlare, vagando tra cultura e saggezza fino a decadere e risalire.
Quanti sono i crinali lungo i quali ci siamo fermati Viaggiando e quanti ne stiamo percorrendo, prima e dopo
quelle grandi pianure incontrate e da incontrare.
Ed ecco un altro Viaggio, tra modernità e piattume. Adeguato alla cultura presente!
Già lo vedo il giusto format: “Viaggio Express - una vita piena di prove”.
Magari evitiamo che questa trasmissione venga condotta, e conduciamola. Ci potranno essere interruzioni
propagandistiche, ma solo durante questo Viaggio in classe VIP ci si potrà garantire una trasmissione criptata,
basterà pagare con il proprio Tempo.
Invece in effetti, quanto è bello il Viaggio di ognuno, se fatto a piedi nudi, correndo li dove ormai nessun uomo
è giunto prima?
Sì. Lì. Nel verde, nel fango, nella sabbia.
Saremo sempre tra le braccia di nostra Madre.
collettivo Nucleo Negazioni alla creazione di varie raccolte,
pubblicate sia in forma di ebook, sia in forma cartacea. Ha
partecipato con poesie e racconti a varie antologie e riviste
*[Vincenzo Signoretta nasce a Messina nel 75. Da sempre appassionato per la Biologia, a cui si aggiunge la passione
(Carrascosa Project, Pastiche, Bibbia D’Asfalto, Six Rules -
per Matematica e Informatica in adolescenza. La poesia indirettamente è da sempre presente nella mia vita grazie a mia ma-
Universi Narrativi Plastici).]
dre. Da quanto scrivo? Molto poco. Solo 3 anni, e solo se penso che sia giunto il momento giusto per farlo...]
33
REdent enzo lomanno
Strade, rotaie, ferrovie ... sono quelle che scorrono negli scritti di Enzo Lomanno.
Stazioni dei treni intese come punti di arrivo, partenza o tappa intermedia, in un percorso esistenziale all’inizio del quale consapevoli del doverci spogliare di qualcosa, che siano affetti, ritmi, abitudini, ci sentiamo nudi ed inermi di fronte all’incognito. Dove speranza o fine non sono la direzione ma noi stessi, perché come Pessoa diceva: “I viaggi sono i viaggiatori”. E durante questo saluto, l’ultimo a lasciarci perché
[Laura Di Marco]
STRADE
ORE 7.00
Non avermene se
ho raccattato merda dalle lusinghe,
se, dal per sempre felici d’ossidiana
ho scorticato principi edulcorati
di sifoni cardiaci e deviatoi.
Così, innanzi a me
lo stesso binario di sempre
Se
Le strade, loro amo, quasi come cielo
Manifeste, in pozzanghere fuorvianti
e fango che lercia respiro.
Non avermene se
Non credo in te, poiché
non l’ho fatto mai
Io credo
al giusto marciapiede
Alle giuggiole asfaltate
di quartiere.
Al me
che ancora brama
sui sogni elevati
di una ferrovia
34
[Una fermata,
mozziconi antichi riversi
tra una traversa e l’altra
e poco di più]
Qui
attendiamo il treno
tutti, nudi e disarmati
Qui
siamo la speranza
per la prossima stazione
o la fine
di qualche viaggio
in bocca a un capolinea
Inverso>>>
nell’olfatto risiede il senso più antico e primordiale, è l’odore familiare della propria terra.
DELL’AMATA TERRA
Dell’amata terra
salutai le radici estese
Quella forza e quel calore
sprofondato nella terra
Salutai
Salutai senza volto e senza respiro,
quel profumo d’albicocco
che ancora ornava
i miei capelli
E Fui
l’incudine tra i martelli pesanti,
nel distogliermi dal mondo.
Fui quell’odore che spesso ci sovviene
all’abbandono d’una croce terrena.
Fui quell’odore che spesso ci sovviene
nell’acre ingiustizia degli agnelli
[Sacrifici posti a commiato
d’un vivere sereno].
Salutai
Salutai la casa con una mano sul cuore
nel semplice delle ghirlande estive
Attraversando il libeccio che a sud ovest
tingeva già di me catrame
*[Redent Enzo Lomanno nasce a Moncalieri nel1976
e vive attualmente a Roma. Nel 2012 fonda il movimento
Bibbia d’Asfalto (http://poesiaurbana.altervista.org/) insieme ad altri redattori e scrittori del Movimento, promuove
diverse iniziative finalizzate alla socialità e all’arte, tra cui
la rivista culturale quadrimestrale Bibbia d’Asfalto con la
casa editrice Matisklo Edizioni. I suoi testi sono stati pubblicati su vari blog letterari, antologie, riviste specializzate
(Pastiche, Versante Ripido, Almax Magazine ed altre).
Ha pubblicato con Matisklo edizioni la raccolta poetica
“Una Piuma a Babilonia” e “Cicuta” con Terra d’Ulivi Edizioni. Collabora attivamente con 100 Thousand Poets for
Change e con altre associazioni.]
35
guido comin PoetaMatusèl
Non ci è dato sapere quando incontriamo un’anima affine e decidiamo di condividervi un tragitto della nostra esistenza, quanto lungo sarà quel percorso né chi terminerà prima dell’altro il viaggio, magari per inseguire una nuova emozione o forse perché costretto dall’approssimarsi del proprio epilogo. Questo ci
dice Guido Comin, in un contrasto poetico che esprime tuttavia concretezza e razionalità. Si può allora voler bene a tal punto da desiderare di essere al posto dell’altro e pagare in sua vece quell’ultimo inesorabile
[Laura Di Marco]
INATTESI COMPAGNI DI VIAGGIO,
LUNGO O BREVE
Ci siamo incontrati per caso: la rotta
è la stessa, la meta è forse diversa, chissà?
Uno di noi scenderà – prima dell’altro –
forse perfino senza arrivare alla fine
del viaggio, per avere intravisto magari
un volto diverso, che, irresistibile, chiama
e richiama, tormenta, attira, tortura.
Fermo a terra o su un altro treno.
Forse di noi due sei tu che viaggerai
più a lungo, chissà? Io di strada ne ho fatta
già tanta. Ma intanto tu sai che con me
puoi viaggiare tranquilla. E io? Io odio
viaggiare da solo! E forse potrei insegnarti
qualcosa di questi paesaggi che insieme
passiamo. E tu certo potrai insegnarmi
ancora di più su paesaggi creduti perduti,
no-man’s land che tu dentro bonifichi.
Dentro di me.
36
E se, dal mio strano bagaglio, tiro fuori
qualcosa di troppo, le parole che
scappano sempre, come giovani serpi
inesperte da un cesto che incauto ho aperto,
tu accoglile con un sorriso, come un fiore
o un modesto regalo, mai come un impegno!
Possono mordere, è vero, ma senza veleno,
ti giuro! Finanche dovessero includere,
fra tante scempiaggini, un non inatteso
Ti amo.
Inverso>>>
viaggio, pur consapevoli che nessuno scambio in questo caso ci è concesso.
QUALCHE LIBBRA DI CARNE DI SCAMBIO
Ascoltami, perché forse dico un’eresia,
ma io potrei perfino prendere il tuo posto,
cara, su quel maledetto barcone, quel
traghetto col biglietto di sola andata,
quello che va e poi mai più ritorna,
dai monti verso il mare, a precipizio,
come una piena del fiume, inesorabile.
Ma le regole del gioco non contemplano
questa eventualità, insomma dicono che
questa eccezione non si può proprio fare.
Protesto che le regole sono fatte soltanto
per essere infrante, quando davvero occorre.
Ma l’arbitro, imperterrito, insiste di no;
con l’indice per aria, suona il fischietto.
Poi, suonano quel corno, tutti a bordo!
Oggi tocca, Amore, a te salpare l’ancora ...
*[PoetaMatusèl – al secolo Guido Comin – nasce nel
1951, a Meano di Santa Giustina, un grazioso paesino
del Bellunese, tuttora non rovinato dai developers. Dopo
una vita trascorsa – svolgendo le attività più svariate – in
Germania, Svizzera, Inghilterra e Danimarca, rientra in Italia
nel 2000. Riscoprendo la propria lingua natia, abbandona
quasi completamente la scrittura di poesie in altre lingue
europee, per dedicarsi a componimenti in italiano, con
qualche rara incursione nel dialetto bellunese. I suoi primi
componimenti poetici risalgono all’infanzia, intorno agli 11
anni; tuttavia, Guido non pubblica il suo primo libro che
nel 2014: “I Versi dell’Airone” esce con l’editore Albalibri. Oggi, Guido sbarca il lunario insegnando l’inglese in
scuole private. O come portiere di notte in un hotel. Oppure …
“Ah l’uomo che se ne va sicuro, / agli altri ed a se stesso amico…” (Eugenio Montale)]
37
il focus di
Inverso>>>
ONO NO KOMACHI
DONA AMATI
GUIDO comin
ONO NO KOMACHI
Scrisse Ki No Tsurayuki, poeta vissuto nel IX secolo,
compilatore e prefatore dell’opera antologica Kokinshu:
“La poesia del Giappone ha per seme il cuore umano e
si espande in migliaia di foglie di parole”. Tra gli autori
di questa imponente opera (1100 liriche in 20 volumi),
la kaijin Ono No Komachi (kaijin è l’appellativo per gli
scrittori di waka, così come haijin quello per scrive haiku)
sua coeva, viene indicata, unica donna, tra i Rokkasen
(I sei geni della poesia) dell’antico Giappone. Poetessa
del primo periodo Heian, ancora annoverata tra i massimi nomi della letteratura nipponica, nei 31 onji (impropriamente sillabe, per noi) che compongono ciascuno
dei suoi 118 waka (cinque versi di 5-7-5-7-7) Ono No
Komachi infonde con un lirismo profondamente passionale il senso estetico della parola quando natura e vita
sono percepite attraverso la sensibilità dell’essere donna.
Lo stesso Tsurayuki descrisse la sua poesia come “non
priva di un’ingenuità dal sapore antico e di delicatezza”.
Tramandata a noi come donna dotata di personalità spiccata, spirito autonomo e dalla bellezza dirompente (tanto
che ancor oggi con il suo nome si indicano per antonomasia donne di grande avvenenza), dallo status sociale
incerto poiché alcuni la riferiscono dama imperiale, altri
concubina di rango, il suo personaggio corre sul filo della
leggenda che nei secoli ha contribuito a creare una figura
di donna artefice delle proprie scelte, libera, passionale
e dai molti amanti, e che seppe condurre scambi poetici epistolari con alcuni grandi poeti suoi contemporanei.
Le notizie accertate sulla sua vita sono vaghe e influenzate dalle detrazioni con le quali si confrontò tutta la vita
e anche oltre, ma sul finire dell’età della bellezza e della fortuna, ormai sola e in povertà, allontanata dal palazzo imperiale come spesso accadeva alle donne di corte,
non più in grado di fascinare gli uomini che la leggenda narra avesse al seguito e con i quali si era misurata anche capricciosamente, la tradizione vuole che abbia composto il suo waka più famoso, intriso di rimpianto
per la stagione dileguata, la gioventù, in cui il rammarico per ciò che si allontana sempre più dalla vanità, testimonia più il suo genio letterario che la vita gaudente.
Dona Amati
38
Il colore dei fiori
è già svanito
e io invecchio
persa in pensieri vuoti
mentre la pioggia cade senza fine
Sola e triste
sono l’erba galleggiante
tagliata alla radice:
la corrente più forte
mi trascina con sé.
Le notti d’autunno
dicono siano lunghe:
ma se le passi con l’amato,
prima che tu possa accorgertene,
l’aurora è già sorta.
Non sa forse che sono
una desolata baia inospitale
ove non vegeta la tenera alga?
Il pescatore si ostina a venire
trascinando le gambe sfinite.
Cedendo all’anelito
senza fine, verrò
a trovarti nella notte;
la gente sospettosa non sorveglierà
anche il sentiero del sogno.
Forse ero assorta in pensieri d’amore
quando chiusi gli occhi?
Lui comparve.
Se avessi saputo che era un sogno
non mi sarei svegliata.
39
Dona Amati
Guido Comin PoetaMatusèl
Un bar maleodorante ancora lontano dalla strada per casa.
L’orologio punta le 2, lo stomaco lo sa bene anche senza cognizione delle lancette. La ragazza dietro il bancone
fa eco alla canzone che viene su dalla radio, lo fa discretamente, accennando appena qualche nota, sa quanto
non sia opportuno canticchiare in presenza di avventori.
Non s’è accorta del laccio pendente dal grembiule, questo a beneficio del cucciolotto sotto il tavolino in fondo
che lo segue ipnotizzato. La sua padrona produce a voce
bassa detrazioni e “Mi raccomando, non uscirtene con
nessuno!”. La sua interlocutrice annuisce, pasticcia con
poca pietanza
adagiata sul piatto ~
io mangio sola
fame delusa ~
della pesca giallona
mangio anche il nòcciolo
sospira un vecchio
sente il peso del mondo? ~
melanconia
40
la forchetta nel piatto e intanto non perde un fotogramma dello schermo messo di lato sui vapori dello scaldavivande. I suoi occhi in movimento sincrono con quelli del
cane: gli uni sulla TV, gli altri sul movimento del laccio.
Addento le patate: non sono buone tuttavia la fame è uno
status di basse pretese, e si fa andare bene di tutto. Rigiro con la lingua il boccone a caccia di sapidità ma la pasta molle non mi dà soddisfazione. Poi la ragazza dietro
al bancone ride forte scuotendo la testa e i capelli in un
fare sudamericano. Anche i denti le brillano. Nel tavolo
meno esposto alla luce un vecchio si nasconde al mondo.
Inverso>>>
VIAGGIO A ROMA IN HAIKU
Vola a trecento
chilometri/ora il
Rosso dei sogni!
Roma: svizzeri
guardiani di papi e
scuri mercanti.
Roma: Ostiense
non fa eccezione, come
ogni stazione.
Roma: c’è quasi
tutto qua, però manca
quella tua luce.
Roma: in Piazza
di Spagna i cavalli non
prestano cuori.
Roma: l’Angelo
non commenta il barbone
che piscia per terra.
Roma: scalini
di miriadi azalee,
une, non trine.
Roma: chiunque
ti parla, ma in auto, di
sicuro, ti uccide!
Roma: Fontana
di Trevi rinfresca i
vecchi pensieri.
Roma: zingare
dai giovani occhi dolci
rubano cuori!
Roma: amici
inattesi regala
vita randagia.
Roma: c’è uno
che dorme per terra, che
nessuno vede.
L’Anfiteatro
Flavio? Cancella i resti
dolce sorriso.
Graziosa, ma un po’
primadonna, non vuole
foto, sul treno.
Roma: fischi di
vigili vaticani,
gatti e limoni.
E, dopo Roma,
Mestre non può dare che
grande tristezza!
41
Ho sempre sognato di viaggiare
vagabondando senza una meta concreta
se non quella della vita, della sorpresa,
della noia da meditazione, della speranza
e dell’aspettativa, del senso di scoperta
e di conquista, di sguardi di un secondo,
PAOLO CORNACCHIA
Lavora con costante studio alla fusione delle due arti primarie che da sempre lo appassionano, la Fotografia e
la Pittura. Ad oggi esiste una svariata e multitematica raccolta di opere ricche di emozioni che si trasformano
subito in una visione sempre più poetica ed empatica.
Le opere partono da suoi scatti fotografici ai quali lavora in post produzione senza alterarne la composizione
ma con l’intento di esasperare l’emozione di fondo. Sviscera le angosce dell’essere umano, le burrasche emozionali i conflitti, le bugie, i contrasti che risiedono nell’anima e nel cuore di chi osserva e si lascia trasportare,
senza inibizioni, dai suoi lavori.
Ecco allora che tutte le nostre intime emozioni prendono vita lasciandoci “avvolgere” da questo vortice emozionale che il soggetto ci mostra senza veli, senza tabù e senza quella patina di perbenismo e buone maniere
che ci vengono imposti dalla società moderna opprimendo le emozioni e le passioni, anche quelle che nascondiamo a noi stessi.
Instante>>>
Instante>>>
conversazioni di un minuto senza il tempo
per i tradimenti e per le fedeltà sofferte,
doverose, assaporando già il gusto di
un malinconico e sognante addio senza
rancori, solo luce negli occhi prendendo un
altro treno, magari un treno merci, al volo,
come Woody Guthrie. Per questo, forse,
non riesco a legarmi, a prendere impegni,
a programmare. Aspetto sempre un treno,
uno sguardo, un gesto, un’occasione che
mi porti via, che mi porti dove devo arrivare.
Non è il gusto del nuovo, non la voglia
incontrollata di provare, ma un senso di
non appartenenza, un senso di non piena
approvazione, un istinto da non spiegare che
porta il mio sguardo a vagare altrove. Così
mi autocondanno a un nomadismo mentale
per mantenermi vivo, per salvarmi e non
soffocare in questo mare denso di viscose
ideologie e superficiali e facili verità parziali.
In fin dei conti son fotografie…
Pietro Bomba
*[Paolo Cornacchia vive a Genova. Diplomato all’ Istituto Statale D’Arte di Chiavari e laureato all’Accademia Ligustica di Belle Arti, vive come passione le arti visive. Oggi lavora come stilista del capello e riversa la sua creatività
nei colori, nelle forme e nei volumi. Ha un salone a Genova (Willy’s Art).]
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Instante>>>
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<<<InstantE
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<<<InstantE
erica CANEPA
Instante>>>
Sono sempre stata attratta dalle persone, in treno, sedute vicino a me. Portatori di storie tenute nascoste, ma
qualche volta suggerite da piccoli dettagli. Pendolari, viaggiatori, turisti.
Li colleziono da anni, cerco di indovinare il loro viaggio senza mai rivolgere loro la parola, fotografandoli silenziosamente con il cellulare.
*[Erica Canepa is an Italian freelance documentary photographer and video maker.
Coming from a rich background in art (BA in Art Restoration) and intercultural learning, she has graduated with a MA
in Photojournalism (merit) from the University of Westminster (London) in 2011. Mainly focusing on long term projects,
she is particularly passionate about daily life stories that examine the human condition.
Her work has appeared in several publications, among them National Geographic (USA), The Washington Post, Internazionale, Marie Claire (Australia), 6mois, La Stampa, Fanpage.it and it has been exhibited in London, Germany
and in various cities in Italy.]
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Instante>>>
Inmobile>>>
“Partire è un po’ morire
rispetto a ciò che si ama
poiché lasciamo un po’ di noi stessi
in ogni luogo ad ogni istante.
È un dolore sottile e definitivo
come l’ultimo verso di un poema...
Partire è un po’ morire
rispetto a ciò che si ama.
Si parte come per gioco
prima del viaggio estremo
e in ogni addio seminiamo
un po’ della nostra anima.”
(Edmond Haracourt)
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49
Il viaggio è inteso come distacco, da una parte, e ricerca
nonché scoperta di ciò che è altro e diverso, molto spesso, dall’altro.
Il fascino e l’ebrezza permeate da un senso di paura, anche e soprattutto del non ritorno, percorre il nostro modo
di vedere e sentire il viaggio. Partendo, appunto, da un
viaggio fisico e passando ad uno interiore, credo che la
spinta della conoscenza di luoghi nuovi e diversi e sempre meglio di noi stessi possano far parte di uno stesso
viaggio. Il viaggio della memoria, poi, acuisce quel senso
di perdita ma allieta le giornate più cupe, perché quel che
è stato non sarà più ma permette di vivere il viaggio del
presente e di ricordare, anche con una sottile vena di ma-
50
linconia, il vissuto.
La valigia, o il bagaglio, che ognuno di noi si porta dietro
raccoglie le cose più preziose ed indispensabili per distinguere la nostra persona dalle altre.
Al check-in di un qualsivoglia aeroporto siamo assaliti da
file interminabili di valigie, sacchi, zaini e borse di ogni colore e fattura e sono proprio quelli che ci contraddistinguono, così come il nostro proprio e personale modo di
essere nel percepire la realtà che ci circonda.
Un viaggio di conoscenza e di confronto che automaticamente diventa motivo di crescita ed ampliamento del proprio bagaglio interiore.
Uno degli artisti che, a mio modo di vedere, propone il
Inmobile>>>
LAST MINUTE /IMMEDIATE BOARDING
SARA LOMBARDO
viaggio nelle diverse sfaccettature è Jean-Michel Folon,
di cui quest’anno ricorre il decennale della morte, che col
suo omino con la valigia rappresenta ciò che di più avventuroso e apparentemente passeggero e libero ci possa
essere.
Un emblema della libertà e della conoscenza, passando
da dune desertiche a cieli fantastici costellati da arcobaleni, albe e tramonti onirici, sino ad arrivare alle navi solitarie
che lasciano solchi in mari su rotte mai battute. Il simbolo
di un viaggio eterno e incessante alla ricerca di se stessi.
Figure sempre uguali: uomini corposi con trench, cappello e valigia con il loro sguardo perennemente fisso all’orizzonte, verso quell’orizzonte infinito e fantastico, vivo e
immobile e molto spesso irraggiungibile.
Utilizzando poi la tecnica dell’acquerello, previlegiando
colori tenui e sfumati, il tutto risulta maggiormente evanescente e onirico.
Un linguaggio universale del viaggio, che l’artista ha cercato di raccontare per tutta la sua vita e a cui in Italia (Firenze – 2005) ha dedicato il suo ultimo viaggio terreno,
quantomeno.
Il viaggio quindi viene percorso nelle diverse declinazioni
in cui uomini ed animali lo affrontano nel corso della loro
esistenza. Dalla visione del viaggio in senso universale (uomo-cittadino del mondo di Folon), si passa ad un viaggio
fisico e simbolico, in cui gli oggetti stessi del viaggio assurgono a simboli, al mezzo – il mare – attraverso il quale
si affrontano viaggi, proseguendo, poi, ad un viaggio alchemico ed onirico, per poi passare al viaggio periodico
degli animali da un territorio ad un altro esaltando il contesto naturalistico in cui pascolano, sino ad approdare sulle
coste di quel viaggio interiore che ognuno di noi compie
al fine di conoscere sé stesso e poter essere “sé stesso”,
su questa terra.
Pagina 50: Jean-Michel Folon, Partir, 2001.
Sotto: Jean-Michel Folon, La Hulpe.
Jean-Michel Folon, L’homme et son ombre.
51
Inmobile>>>
<<<Inmobile
STUDIO AZZURRO – Il Viaggio – video-ambientazioni per immagini a RX - 1992
FRANCO LOSVIZZERO – 11.11.11 Il giardino dell’Eden
Un incessante rullo trasportatore scorre di fronte allo sguardo dello spettatore sempre uguale nel movimento, eppure
diverso. Analiticamente si ispeziona attraverso la valigia ciò che ognuno porta con sé per il “proprio” viaggio. Oggetti
apparentemente usuali diventano anche metafora e spiegazione del viaggio di ognuno di noi. Come riferiscono gli artisti: “Quasi sempre il viaggio esprime un desiderio profondo di cambiamento interiore, un bisogno di esperienze nuove
o di ritorno alle origini. Ma questo è un viaggio alla rovescia, un viaggio capovolto. Non sono le persone a partire, ma
gli oggetti: simboli, desideri, ricordi che se ne vanno. Le immagini ai raggi X fluiscono ininterrottamente dentro gli schermi, fredde e incisive. Gli oggetti scorrono e, insieme a loro, sono incubi, obiettivi, speranze, ognuno con il suo alone di
esperienza umana, ognuno con il suo alone di storia, forse la nostra.”
Il video è stato presentato per la prima volta al Festival di Video-arte curato da Bruno Di Marino al Gran Teatro Volksbühne
di Berlino nel 2011, e rappresenta un viaggio performativo-metafisico nel Fatzer (testo non finito di Bertolt Brecht) e nella
natura dell’Orto Botanico di Roma in una performance che ha avuto luogo alle 11 del mattino dell’ 11 Novembre 2011.
L’Orto Botanico è un giardino alchemico, creato nel ‘700 da Cristina Di Svezia - Madrina delle arti e dell’esoterismo. Il
coniglio bianco è il simbolo, non solo per Franco Losvizzero, del passaggio oltre la soglia del concreto, nel mondo delle
meraviglie, dei sogni, dell’arte. La regina Mab è una citazione del monologo di Mercuzio in “Giulietta e Romeo” di William Shakespeare, ove la fata si fa beffa dei sogni e dei loro creatori.
Il Giardino dell’Eden è il luogo dove finisce e riparte un’era; questo viaggio alchemico e fantastico getta i prodromi di una
nuova era: quella del Coniglio Bianco e del nuovo panorama interiore a cui Losvizzero si ispira: “l’Inconscio En Plein Air”.
h t t p s : / / w w w. y o u t u b e . c o m /
watch?v=-YWFtHBNVkU
RESILIENZA (Clarissa Baldassarri e Iacopo Pinelli) – Il Viaggio – performance – 2015
FABRIZIO PLESSI – Mari verticali – 54ª Biennale di Venezia – 2011 – Giardini/Padiglione Venezia
Il viaggio ideato dagli artisti Clarissa Baldassarri e Iacopo Pinelli in arte “RESILIENZA” (https://www.youtube.com/
watch?v=UpLnysLW6bw) si svolge all’interno di una struttura di ridotte dimensioni che costringe i protagonisti a muoversi all’interno di spazi angusti, chiusi da pareti semitrasparenti che trasudano ombre solitarie. Ombre vaganti alla ricerca di altre ombre per acquisire una identità; quasi a volerci ricordare che ogni singola identità è insignificante senza
il confronto con le altre.
L’opera degli artisti vuole essere la metafora del mondo contemporaneo che costringe ogni individuo in spazi sempre
più limitati e limitanti, che amputa il desiderio di libertà. Un mondo che è possibile cambiare soltanto con il confronto e
la disponibilità all’accettazione della diversità di ogni singolo individuo.
Attraverso il viaggio che si conclude con l’incontro, l’umanità tutta potrà vincere la sfida della sopravvivenza in questo
fantastico, unico e fragile pianeta che è la terra.
Il Padiglione Venezia della 54ª Biennale di Venezia è completamente dedicato all’opera di Fabrizio Plessi (riconosciuto
come uno dei più grandi video artisti internazionali) Mari Verticali. All’interno del Padiglione sono posizionate le installazioni digitali che proiettano un grandioso concerto di acque in continuo movimento. Così definisce l’artista le opere
esposte: “Gigantesche imbarcazioni di acciaio nero emergono verticali dall’oscurità e invadono l’intero spazio che le
accoglie. I mari del mondo, racchiusi ognuno nella propria chiglia scura, si agitano fragorosamente ai nostri piedi, sonori
evocativi di risacche e onde lontane si mescolano e si intersecano nella diafana spazialità dell’ambiente circostante. Un
grandioso ed emozionante concerto d’acqua vive in perenne movimento e in continua fluida mutazione. L’antica saggezza dell’uomo e l’artigianato si fondono con la tecnologia più avanzata in una perfetta simbiosi tra presente e futuro.
Tutto è pronto per salpare su queste Arche di Noè elettroniche che si protendono verso il cielo per noi, increduli ed attoniti aborigeni digitali della contemporaneità”. Il Mare rappresenta il mezzo attraverso il quale si può compiere un viaggio
ed il fluire incessante dell’acqua, metaforicamente, rappresenta il fluire della nostra coscienza e della nostra esistenza
nel viaggio della vita.
h t t p s : / / w w w. y o u t u b e . c o m /
watch?v=-MCosujAxTg
https://www.youtube.com/
watch?v=AVStkwGT9OQ
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h t t p s : / / w w w. y o u t u b e . c o m /
watch?v=-YWFtHBNVkU
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LUIGI PINTACUDA – Transituum - videoinstallazione in 3 schermi - 2010
Transituum (dal latino trans-situum - oltre i luoghi), è una videoinstallazione progettata per l’Ex Convento dei Padri Cappuccini di Geraci Siculo. L’idea dell’artista è quella di leggere il paesaggio di Madonita del Comune di Geraci Siculo attraverso il viaggio che ogni anno, in maggio, porta gli animali a trasferirsi dai pascoli di marina a quelli di montagna per
affrontare l’estate. La Transumanza diviene occasione per scoprire la montagna e allo stesso tempo rivalutazione di un
territorio ricco di potenzialità non ancora conosciute ai più. All’interno dei video gli animali passano, transitano, attraversano il paesaggio la cui presenza ne diventa una chiave di lettura, fenomenologia delle tracce e della vita del territorio,
contrappunto alla quiete della grande montagna. Questo singolare video in cui si rappresenta il viaggio non umano ma
“animale” associato all’accezione di transumanza, migrazione stagionale delle greggi, delle mandrie e dei pastori, propone un diverso senso del viaggio più naturalistico e rurale, quello della scoperta di un territorio poco frequentato dagli
umani.
h t t p s : / / w w w. y o u t u b e . c o m /
watch?v=82cEmlGYEfs
ADRIAN TRANQUILLI – Know yourself – video - 2002
Artista conosciuto per i suoi supereroi calati in un contesto sociale “normale”, privi di superpoteri al pari di noi umani.
In questo video, appunto, un super eroe solitario riflette su se stesso.
Il lato umano del protagonista emerge con tutte le sue debolezze e insicurezze; rimane una sola traccia del suo essere
un personaggio forte e coraggioso, ossia la maschera, che ne cela l’identità. Il suo lato terreno non è più nascosto; lui
ci appare fragile, poiché ormai allo scoperto da armature e corazze.
L’uomo mascherato viene ripreso in luoghi diversi, eppure lui è impassibile, astante sempre uguale nel tempo e nello
spazio alla ricerca del suo vero “io”.
Salutiamo Silvia Lombardo e Tiziana
http://www.adriantranquilli.com/
site/?p=272
Capocaccia, due amiche di lungo corso che
condividono l’interesse e la passione per la
poesia. Giornalista e autrice la prima, psicologa
Courtesy of the artist - All rights
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la seconda, Silvia e Tiziana hanno recentemente
dato vita sul web al progetto “Poesia – Terapia”
(https://www.facebook.com/poesiaterapia/ ). Le
incontriamo per discutere di questa iniziativa.
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Incontro>>>
Diwali incontra Poesia – Terapia
In cosa consiste la vostra iniziativa?
L’idea alla base di Poesia-Terapia è semplice: l’arte in generale, e la poesia in particolare nel nostro caso, possono avere un grande potere terapeutico: perché non permettere allora alle persone di attingere a una fonte che
produce immagini con versi ad hoc, grazie ad una sorta
di “bugiardino-post” che non ha, ovviamente, pretesa di
sostituirsi a una vera terapia, ma che vuole essere un invito a riflettere attraverso dei versi selezionati, attraverso la
poesia che è parola esatta, scelta con la massima attenzione, per esprimere un determinato pensiero.
La nostra idea nasce, non a caso, come pagina social,
un ambiente che permette la condivisione e la circolazione delle idee, partendo anche dal piccolo, da un singolo
individuo. Fra le nostre immagini, infatti, ci sono spesso
anche le poesie dei lettori, scritte magari in momenti difficili e terapeutiche anche per il solo motivo di essere state
messe su carta.
Su quali basi vi muovete per stabilire questo connubio?
Il binomio poesia-terapia implica l’attribuzione di un potere curativo alla parola poetica.
I versi poetici racchiudono significati che trascendono il
senso dei singoli termini utilizzati. Le parole assumono valore di simboli.
Questo permette al poeta di muoversi lungo una linea di
confine, tra realtà e immaginazione, tra coscienza e inconscio. La parola poetica permette di racchiudere significati
che vanno oltre il linguaggio della razionalità, accedendo
alle immagini, a quanto è indicibile, accedendo all’inconscio come fanno i sogni.
Il valore terapeutico della poesia è riconosciuto nella psicologia. Tra le cosiddette arti terapie, che utilizzano tecniche
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creative nei percorsi terapeutici, troviamo anche l’utilizzo
della scrittura poetica e della lettura di poesie, con finalità
di consapevolezza e supporto alle emozioni e all’intelletto. La poesia diventa uno strumento per la crescita ed il
benessere psicologico di una persona.
Siete partite da un vostro comune sentimento o vi
rifate a una letteratura teorico-scientifica?
La pagina nasce da un desiderio di divulgare l’importanza dell’utilizzare, tra altre attività creative, anche la poesia
come canale di conoscenza di sé, poiché la consapevolezza di se stessi, riuscire a essere chi veramente siamo,
è fondamento necessario per il benessere.
Tuttavia, a supportare l’idea che la poesia abbia un suo
valore terapeutico sia nella sua forma attiva, di scrittura di
versi, sia nella lettura di versi scritti da altri, ci sono numerose ricerche.
Ad es. nel testo “Tempi di vita e spazi di Poesia” (Clara
Capello , Barbara De Stefani , Fabrizio Zucca) troviamo
percorsi di ricerca legati all’uso della poesia in alcuni contesti particolari: la malattia e la vecchiaia. Il lavoro degli
autori porta la poesia nell’indagine scientifica dove si fa
analisi e riflessione di alcune condizioni di vita particolari.
Quali sono i criteri di selezione dei testi che pubblicate?
Ogni giorno selezioniamo versi particolarmente indicati per un’ampia gamma di problematiche assai frequenti:
dal lutto all’abbandono, dalla timidezza alla difficoltà di
relazionarsi con gli altri, dalla solitudine alla depressione.
Ma anche versi espressione di felicità, che aiutino ad assaporare meglio ciò che di positivo ci sta accadendo. Accanto a questi versi, si affiancano i versi che ogni giorno
ci inviano il pubblico e che ci regalano, talvolta, bellissime
sorprese.
e delle immagini?
Questa domanda ci fa particolarmente piacere: si potrebbe pensare che le immagini vengano scelte solo e unicamente come commento al testo. In realtà cerchiamo
anche di utilizzare qualcosa che predisponga alla comprensione e assimilazione delle parole sovraimpresse: dai
colori, alla composizione visiva, al soggetto ritratto nulla è
lasciato al caso, ma scelto sempre con l’occhio attento di
Poesia-Terapia
Ci sono autori che prediligete?
Spaziamo molto, ma probabilmente tendono a essere più
ricorrenti autori dissacranti quali Alda Merini, da noi molto
amata, o autori contemporanei meno conosciuti dal pubblico: doppia occasione quindi per cogliere un momento
terapeutico di benessere e di conoscenza di una nuova
penna. E poi ci sono sempre i classici, amati da tutti e
magari da rileggere sotto la luce nuova di un approccio
terapeutico.
A quale pubblico vi indirizzate? Avete un target di
lettori in particolare?
Ovviamente più facile che approdino da noi poeti e amanti della poesia. Ma il pubblico è, con nostra somma felicità, eterogeneo: sarebbe splendido se tutti riuscissero
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a mettersi in contatto con il mondo della poesia, magari
partendo proprio dalla scoperta delle sue possibilità terapeutiche.
Qual è il vostro modus operandi? Vi siete date delle
regole per quanto riguarda la frequenza di pubblicazione, le piattaforme di diffusione, etc?
Stiamo partendo facendo un piccolo passo alla volta. La
nostra pagina fb viene aggiornata quotidianamente con
una media di 5-6 immagini terapeutiche al giorno. Ci atteniamo anche un po’ al calendario: celebrazioni di eventi
particolari, gioiosi o dolorosi ma condivisi da tutti, ci portano spesso a creare delle immagini ad hoc, com’è stato
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ad esempio per la ricorrenza della morte di Pasolini o per
l’11 settembre. Ma anche per il “semplice” inizio dell’autunno, di una nuova stagione che ci porta, anche inconsciamente, a fare bilanci ma soprattutto nuovi programmi
e buoni propositi a volte caricandoci di entusiasmo, a volte pretendendo troppo da noi stessi.
Il pubblico della rete come sta rispondendo a questo progetto? Avete già avuto dei feedbacks?
Il “pubblico” è stato inizialmente quello degli amici più
stretti cui abbiamo presentato questo nostro progetto e
sta pian piano crescendo “genuinamente”, portato dalla
nostra passione e dall’interesse di chi decide di seguirci.
Un feedback importante sono anche gli invii di poesie da
parte dei poeti stessi che dimostrano interesse anche a
questo “utilizzo” della poesia, oltre ovviamente alle condivisioni dei post.
Quali sono i passi successivi che intendete intraprendere? Pensate di estendere il progetto ad altre
piattaforme o organizzare delle iniziative sul territorio?
Al momento stiamo implementando un piccolo blog https://
curaletteraria.wordpress.com/ dove trattare l’argomento
poesia e terapia in maniera più estesa, anche con articoli
specifici scritti da Tiziana o da altri autori specializzati che,
di volta in volta, inviteremo a pronunciarsi sull’argomento.
Ovviamente non solo psicologi e psicoterapeuti, ma anche poeti.
Ma il nostro piccolo sogno nel cassetto a cui stiamo lavorando è esportare il tutto off-line, partendo da incontri
terapeutici – in librerie, sale da tè, centri culturali etc - con
reading per parlare più a fondo di argomenti specifici e
fare quello che sui social non si può fare e che è a volte la
cosa più terapeutica di ogni altra: creare nuove occasioni
di incontro dal vivo fra esseri umani.
Il viaggio per il quale siamo chiamati
all’Imbarco Immediato vede un nuovo pilota
alla guida del mezzo supersonico che ci
condurrà attraverso i vasti orizzonti della
letteratura. Siamo lieti di aprire con questo
numero la collaborazione con Antonella Rizzo,
poeta e performer di fine sensibilità e dalla
penna acuta e prolifica. Ci auguriamo che i
nostri lettori apprezzino come noi le proposte
di lettura di Antonella.
Flavio Scaloni
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InDICAZIONI>>>
Cammino orgogliosa per la mia
strada di Wallada Bint Al-Mustafki
Una vera rarità l’ultimo nato in casa Fusibilia Edizioni:
“Cammino orgogliosa per la mia strada” di Wallada Bint
Al-Mustafki, traduzione a cura di Claudio Marrucci con un
saggio di Antonio Veneziani. Principessa e poetessa araba (994 d.c.-1901 d.c.) e appartenente alla nobile dinastia
degli Omeya che aveva conquistato l’Andalusia, non si
sposa per un desiderio innato di indipendenza e crea un
cenacolo di poesia frequentato da sole donne tanto da
essere chiamata la Saffo andalusa.
Spogliandosi dalla prescrizione del velo e dai pregiudizi di
ogni sorta vive amori passionali e impudici, immortalati in
versi suoi e delle sue allieve che suonano come editti di
passionalità e autodeterminazione.
La sua figura, un’icona in terra di Spagna, era sconosciuta in Italia e in Europa fino a che lo scrittore e ispanista
Claudio Marrucci ne scopre l’esistenza da un vecchio libro scovato tra le bancarelle di Madrid.
La raccolta poetica è un miracolo apocrifo vissuto a cavallo tra il primo e il secondo millennio dopo Cristo, quando le profezie nefaste condannavano l’uomo alla totale
estinzione. E come i fiori nel deserto, rabbiosi e superbi
tentativi della natura di sopravvivere alla mancanza di nutrimento così si affermano i flussi di coscienza più potenti,
quelli comuni ai mistici o alle prostitute sacre del mondo
pagano.
Ci sono uomini e donne che trasportano il soffio della vita
e avvertono come predestinato il compito di tracciare sentieri e patrocinare ribellioni, consci dell’eccezionalità della loro missione. Ebbene, Wallada è una di quelle donne
sfuggite alla sottomissione tribale della cultura della dominanza.
Epicurea nella convinzione di assomigliare alla divinità da
cui viene creata per mezzo della carne e non dal soffio vitale dello spirito, ella rinnova con la sua modernità senza
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Palazzo e il nostro mondo. Persino nelle descrizioni esplicite delle parti intime e del loro florilegio passionale non si
avverte traccia di prosaicità, di esibizionismo.
Wallada e le sue donne, allieve liberate e istruite alla pratica poetica sono una perla rara nella letteratura femminile
di tutti i tempi e la loro scoperta ha una valenza estremamente importante sul piano culturale, filologico, storico e
sociale. L’intuizione di Claudio Marrucci, ispanista eccellente, di approfondire una scoperta confinata al solo territorio di appartenenza e la cornice preziosa in cui Antonio
Veneziani incastona e contestualizza l’opera rappresenta
un’operazione culturale di prim’ordine.
Poche ma significative liriche che testimoniano la presenza di un livello superiore di coscienza che si sgancia dalla
morale comune per affiorare, a dispetto delle norme coercitive del despota di turno, in ogni epoca.
Antonella Rizzo
tempo l’antitesi luciferina dell’angelo bello e carnale. Ma
stavolta, senza strisciare col ventre sulla nuda terra per
avvertirne l’eros vivificante la principessa si mostra fiera
del suo incedere, a testa alta sottolinea, in un groviglio di
popoli e di efferatezze, di opulenza e di mortificazione.
Mi pare una Sarajevo prebellica questo melt’in pot di razze e religioni, uno scenario dal controllo precario ma dal
fascino meticcio della contaminazione, questa Andalusia
dai seni esposti e labbra turgide, una libertà consumata
senza pudore nel recinto temporale di un gineceo dove
l’opera pedagogica della poetessa araba ha il fine della
condivisione e della continuità. Non ci è dato sapere la
vera natura dell’indipendenza di questa donna straordinaria, la sua opera mantiene nei versi raffinati e ipnotici quel
riserbo iniziatico che segna un limite ideale tra la porta del
TITOLO Cammino orgogliosa per la mia strada
AUTORE Wallada Bint Al-Mustafki
A CURA DI Claudio Marrucci
EDITORE FusibiliaLibri
PREZZO DI COPERTINA 13,00 €
PAGINE 120
ISBN 9788898649204
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Tutto così regolare, tutto così
prevedibile di CLAUDIO GIOVANARDI
È in libreria l’ultimo libro di narrativa di Claudio Giovanardi
“Tutto così regolare, tutto così prevedibile”, una serie di
racconti per la casa editrice Manni che segue di due anni
la pubblicazione di “Mamma ricordi” per le stesse edizioni.
Giovanardi è un intellettuale romano, Professore Ordinario
di Linguistica Italiana presso l’Università Roma Tre, ateneo della capitale. Ha al suo attivo decine di pubblicazioni
accademiche sulla lingua italiana e tiene conferenze nelle
sedi culturali più prestigiose in Italia e all’estero.
Il volume supera brillantemente il confronto con la precedente pubblicazione, nonostante la differenza dell’impianto narrativo e la caratteristica di aulicità che connota invece “Mamma ricordi”. Anche in questo caso il lettore può
comprendere empiricamente la linea di demarcazione tra
una pubblicazione di facile successo editoriale e un’opera
di Letteratura vera e propria. Si ritrova, qualità sempre più
dismessa, il segno distintivo dello scrittore di razza che sa
tracciare con intensità anche scenari di ordinaria amministrazione: verità conclamate, incertezze cosmiche, tentativi di fuga, sentimenti profondissimi, disincanto. Tutto ciò
che lo scibile umano per una volta si trova ad affrontare è
racchiuso in parole-gioiello, costruzioni perfette ma fuori
dalla rigidità del purista. Un lavoratore accademico atipico
definirei lo scrittore, colui che non immagazzina concetti
cattedratici ma che vive una dimensione sociale di testa,
carne e sangue, come un organismo animale che si riproduce attraverso il rilascio delle conoscenze: questa è la
Cultura.
Rischio la retorica affermando che è facile commuoversi
durante la lettura ma non è il sentimento a basso prezzo
che inchioda il raziocinio ma il paradosso continuo, tenero
e letale della quotidianità, i desideri abortiti, la pantomima
dell’assurdo, la felicità felliniana e giostraia che fanno precipitare le inibizioni e ci procurano quel sottile e piacevole
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ennui che tanto occorre a farci sentire vivi.
Si percepisce la sensazione dell’assenza di un tempo cronologico nelle descrizioni, nulla è prima o dopo ma gli avvenimenti sembrano frutto di una inevitabile e rassegnata
sincronicità degli eventi che si rivelano invece di manifestarsi. Tutto questo grazie al ritmo equamente ripartito dei
periodi cesellati ad arte che mantengono in questo modo
costante la tensione narrativa anche in assenza di dialoghi. La parola si fa estetica della vita in tutta la sua potenza medianica ed assolve il suo compito privilegiato: quello
di evocare, curandera dei nostri giorni, la Bellezza in una
dimensione esistenziale laica altrimenti priva di senso.
Un costrutto sostenuto da un’abilità scontata per le competenze del romanziere ma sorprendente per la profondità
dell’uomo, che si rivela in uno specchio lacaniano senza
connotazione di bene e di male ma piuttosto nella sensualità dell’animale notturno che trasgredisce per coerenza al
proprio destino biologico, quindi senza traccia di colpevolezza.
L’infanzia, una goccia d’acqua persecutoriamente kafkiana, la donna e uno stralcio di cielo, tutto rappresenta la
speranza e nel contempo il rifiuto aristocratico del vivere
quotidiano: una dimensione autentica e struggente preclusa agli occhi curiosi della folla che non si accorge della
complessità dell’anima e crede che tutto sia così regolare,
così prevedibile.
Uno dei libri migliori che io abbia letto.
Antonella Rizzo
TITOLO Tutto così regolare tutto così prevedibile
AUTORE Claudio Giovanardi
EDITORE Manni
PREZZO DI COPERTINA 12,00 €
PAGINE 134
ISBN 978-88-6266-656-5
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Mario lucio -themarius- falcone in
omaggio a Parigi
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