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Immediate boarding Numero XI Autunno 2015 L'Editorial Sommario Dicembre 2015 - n.11- anno 3 www.rivistadiwali.it L’Editorial 3 InSistenze 4 Mi chiamo Lamin di Antoine Germain 5 Treno di notte per Ostenda con Léon Spilliaert di Simone Scaloni 8 Verso il festival poetico in Gallia di Anna Jolanta Lagoda 12 Carina Negrone di Cambiaso di Geremia Doria 17 Volo notturno sul villaggio di Gregory Crewdson di Simone Scaloni19 InVerso 24 Davide Cortese 25 Alessandra Carnovale 26 Stefania Fiore 27 Serena Rossi 29 Marino Santalucia 31 Andrea Borrelli 32 Vincenzo Signoretta 33 Redent Enzo Lomanno 34 Guido Comin PoetaMatusèl 36 Focus Haiku: Ono No Komachi di Dona Amati 38 Dona Amati 40 Guido Comin 41 InStante 42 Paolo Cornacchia 43 Diwali - Rivista Contaminata Erica Canepa 46 Trimestrale di Arte & Letteratura InMobile 49 Last Minute/Immediate Boarding di Sara Lombardo 50 InContro 55 Poesia Terapia 56 facebook.it/diwalirivistacontaminata InDicazioni 59 [email protected] Cammino orgogliosa per la mia strada di Wallada Bint Al-Mustafki60 Direttore Editoriale Maria Carla Trapani Direttore Responsabile Flavio Scaloni Redazione Dona Amati, Pietro Bomba, Alessandra Carnovale, Laura Di Marco, Mario Lucio Falcone, Giulio Gonella, Letizia Leone, Michela Pistidda, Simone Scaloni Ufficio Stampa Les Mots Contaminés Technical Consulting Arianna Degni, Pierluigi Stifanelli In copertina: fotografia di Paolo Cornacchia Contatti Edizioni Les Mots Contaminés Associazione culturale no-profit 20, Rue Condorcet, 38000, Grenoble - Francia Tutto così regolare tutto così prevedibile di Claudio Giovanardi 62 InChina 64 Mario Lucio Falcone Classicamente, il viaggio è stato inteso come percorso iniziatico o esilio, a seconda che fosse frutto di una scelta libera o subita. Il Grand Tour si inseriva nel personale Bildungroman dell’uomo di cultura europeo, che si destinava così verso la meta che gli era propria, la forma cioè compiuta del Grande-borghese moderno. Poiché si traduce nell’allontanamento dalla comunità nella quale l’esiliato si era formato per esprimersi, l’esilio appare al contrario come la rottura di un destino. Come si vede, il campo semantico è comune: viaggiare è destinarsi o essere destinati. Si capisce che al trip è correntemente attribuito un valore eminentemente metaforico: si viaggia anche con una pasticca e il limite tra azione (libera scelta di assumere la dose) e passione (difficoltà nel dominare e dirigere le immagini che scorrono provocando spesso disagio e sgomento) è quanto mai labile. Così come Dante è stato certo allontanato da Firenze contro la sua volontà, ma il suo esilio è stato, ne converrete, tra i più iniziatici e formativi della storia della letteratura. Questo per dire che a volte tra il destinarsi e l’essere destinati c’è differenza puramente verbale e quello che conta è che abbiamo un destino del quale siamo così poco coscienti che spesso lo pensiamo come predestino. Ci imbattiamo quotidianamente in individui più o meno fortunati che ci figuriamo come predestinati, o ci riteniamo al contrario noi stessi per virtù predestinati ma per destino sfortunati. E collettivamente: passeggeri, viandanti, attraversatori di crocevia, profughi, nomadi, migranti: l’attraversamento dei campi semantici non è neutro né oggettivo, e basta solo un piccolo passo perché la sfumatura ci sposti nel significato accanto, e in quello accanto ancora, a riempirli, a volte dolorosamente, se non tragicamente, tutti. Ma in questo spostamento si giocano anche partite politiche cruciali: dal profugo al migrante, dal rom al vagabondo, non è solo questione di gusto. Spazialmente: aeroporti, stazioni, piazze e confini, sciogliersi dell’identità o granitico consolidamento di essa, il viaggio ci mette di fronte ad ogni possibilità, del pensiero, dell’azione, dell’occhio. E dell’accettazione, anche, o del rifiuto. Anche qui, i non-luoghi, quello della da sempre spettrale sala aeroportuale e quello ormai mortifero del Mediterraneo, sono, a dispetto della loro indecisione morfologica, molto ben territorializzati: tra guardie costiere e non, sanno bene come bloccare flussi migratori (o nomadi invasori?). Fiumi di esseri umani si spostano, si muovono, in fila o in corteo, in ogni direzione da sempre sulla Terra: e allora, anche e soprattutto oggi, è forse lecito chiedersi cosa voglia dire questa parola-pensiero-concetto, che divide e accomuna, e tutto il pesante bagaglio che può (o non può) portarsi sulle spalle. Diwali - Rivista Contaminata Juan Tapia, Impressions. ISSN 2275-0606 2 3 Insistenze>>> Ultima chiamata per i lettori di Diwali con destinazione Senegal, Italia, Belgio, Polonia e Stati Uniti. L’imbarco è immediato. MI CHIAMO LAMIN Antoine Germain Una volta a bordo, si prega di allacciare le cinture di sicurezza. Come prima tappa, ripercorreremo il viaggio che ha portato Lamin dall’Africa nord-occidentale, dove tuttora risiede la sua famiglia, fino in Italia, in cerca di lavoro (Antoine Germain) e, attraverso le sue parole, impareremo a conoscere le sue condizioni di vita attuali; enigmatiche orme di Leon Spilliaert, artista illustratore a cavallo tra Simbolismo ed Espressionismo e dalle rappresentazioni remote e rarefatte. Insieme a Geremia Doria saremo catapultati, invece, nella prima metà del XX° secolo in territorio italiano, dove ci accomoderemo a bordo del velivolo guidato da Carina Negrone, pilota intenzionata a superare il record femminile di volo in altezza; proseguiremo, quindi, ai giorni nostri, attraverso l’Europa Orientale al seguito di Anna Jolanta Lagoda per presenziare al Festival Poetico in Gallia, manifestazione che si tiene annualmente in Polonia da venticinque anni. Infine, come ultima tappa del nostro itinerario intercontinentale approderemo con Simone Scaloni negli Stati Uniti, allo scopo di esplorare la peculiare e curatissima arte fotografica di Gregory Crewdson, raffigurazione, entro il quadro dei rassicuranti oggetti quotidiani, di un umanità straniata e allucinata. Possiamo allora augurarci, con il poeta (…) Mi chiamo Lamin, ho trentotto anni. Sono partito dal Senegal quando avevo diciassette anni (non riesco a capire il nome della città a causa dell’italiano stentato e non ho cartine per farmi indicare la località). La mia famiglia mise insieme, con molti sacrifici, i soldi per il biglietto: quando sono partito ventun anni fa avevo solo quelli, insieme alla paura e alla speranza. Da prima sono arrivato in Portogallo, poi sono passato per la Francia, poi in Italia, a Torino e Brescia, ma per pochi giorni, infine a L. dove ho trovato una comunità di connazionali che mi ha aiutato a trovare i primi lavori. Vivo a L. in un appartamento assieme a quattro connazionali, pago centoventi euro di affitto utenze non comprese, per mangiare spendo ottanta euro al mese e ogni due- tre mesi invio 300-400 euro alla mia famiglia in Senegal. Ho due fratelli e una sorella che vive sola con mio padre, una sola moglie che ho lasciato, una figlia di undici anni che vive con mia madre di settanta. Vivono da sole, ci sentiamo per telefono, sono forti e in gamba. In Senegal la condizione della donna sembra essere diversa da quella italiana, la donna è libera, può decidere di vivere da sola, nonostante ciò è quasi impossibile sopravvivere per mancanza di lavoro. Sono una persona dignitosa, non ho mai accettato lavori “facili”, per me non spendo nulla, faccio il pendolare ogni giorno da L. alla spiaggia di M. con il mio carico di abiti e cianfrusaglie, vado d’accordo con i miei connazionali, tra di noi cerchiamo di aiutarci ma ci sono anche gelosie e invidie, lotta per gli spazi di commercio da dividerci sulle spiagge. Io ne resto fuori, non voglio sgomitare, quando posso mi sposto altrove. Qui in spiaggia tra gli Italiani ho molti amici che sanno la mia situazione e cercano di aiutarmi comprando qualcosa, loro sembrano i migliori, gli stranieri in vacanza invece non spendono e non desiderano scambiare parole. Faccio il mio giro di diversi chilometri avanti e indietro, non chiedo sempre di comprare, ricordo il posto di ognuno e passo a salutare per due chiacchiere, quello è sempre un bel regalo per me che sono solo. Non ho donne, una sola moglie e non desidero prenderne altre come si usa da noi, in Italia non accetto gli “inviti” femmi- Insistenze>>> accompagneremo, quindi, Simone Scaloni nei Paesi Bassi, sulle che la strada sia lunga, ricca di avventure, ricca di conoscenza. (…) che la strada sia lunga. Che le mattine d’estate siano molte, quando con grande piacere, con grande gioia, entrerai per la prima volta in porti mai visti… Itaca, K. Kavafis 4 Alessandra Carnovale 5 Insistenze>>> nili di donne sole che a volte arrivano, no non c’è nulla di male ma io ho timore e, per paura, ma anche per decoro e rispetto verso la civiltà che mi ospita, rifiuto qualsiasi avventura. (Lamin sembra molto serio, nel suo volto però c’è anche la sofferenza della solitudine insieme alla consapevolezza che, trovandosi in un paese diverso dal suo, potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno o regole sociali non scritte. Dai suoi occhi trapela più di quel dice, a stento, limitandosi molto, faccio fatica a farlo rispondere alle domande; un timore che viene dall’orgoglio e dal senso di dignità, ma anche dal suo trovarsi in una terra straniera). Non ho amici italiani, sono timido, questa è la prima volta che mi siedo al bar con qualcuno. Mi piacerebbe, mi piacerebbe molto ma so che non è possibile… (Lamin esita a mettersi seduto, prima non vuole prendere nulla, poi su mio invito ripetuto chiede un caffè e un tè freddo, da mangiare nulla, neppure sotto mia insistenza… mi risponde in tono serio: “non ne ho bisogno, non ho uno stomaco così grande, ho già mangiato stamattina”). Sì sono in regola adesso… ogni volta devo rinnovare il permesso di soggiorno, dimostrare dove abito e che ho soldi per vivere, vuoi vedere i miei documenti? (Fa cenno di tirare fuori i documenti e aspetta un mio assenso, gli dico che non è necessario, che non sono lì per controllarlo). Mia moglie, no, non voglio più stare con lei, non so cosa faccia ma non è una brava moglie, non lo è stata (alla mia richiesta di spiegazioni Lamin si rifiuta di parlare, scuote la testa, non desidera entrare nel merito e non insisto). *[Antoine Germain è uno pseudonimo. L’autore preferisce rimanere anonimo per la delicatezza della <<<Insistenze Sono due anni che non torno a casa, che non vedo mia figlia, anche lo scorso anno non sono riuscito a trovare i soldi per il biglietto aereo. No, non accetto regali, e non mi è mai accaduto che qualcuno volesse regalarmi un biglietto per andare a trovare mia figlia, per tornare a casa… queste sono cose che non accadono a noi…e poi io non parlo con nessuno della mia vita, ti racconto questo perché tu mi hai chiesto qualcosa di me…perché spero di trovare un lavoro onesto ed è bello trovarsi a un tavolo a parlare semplicemente, senza paura di dover mostrare niente se non quello che si è (le persone che passano e mi guardano con disappunto forse non la pensano alla stessa maniera, siamo osservati, Lamin si sente turbato, dentro di sé sa che stiamo violando qualche regola non scritta ma si fa forza della mia noncuranza). Lamin mi sorride mostrando i denti, alcuni dei quali sporgono vistosamente, si raccomanda per un aiuto, un lavoro ma solo se onesto perché -dice- deve onorare la sua famiglia, e non può accettare l’elemosina. Il mio compito è di crescere mia figlia, mi dice, con la voce rotta, e crescerla onestamente. Chiedo il nome della bambina, ma non lo scrivo per rispetto, Lamin mi lascia il suo numero, crede che io sia una persona importante, gli rispondo che non posso fare molto ma ho desiderato ascoltarlo e gli prometto che proverò a raccontare la storia di un imbarco immediato, uno dei tanti perché di storie così ce ne sono a migliaia e poi ci sono anche altre storie, sempre che ci sia qualcuno disposto a raccontarle. Tutte le fotografie di questo articolo sono di Gianfranco Maggio, dalla serie ‘Vu’ Cumpra’, per gentile concessione dell’autore. gianfrancomaggio.com situazione di Lamin.] 6 7 <<<Insistenze Insistenze>>> TRENO DI NOTTE PER OSTENDA CON LEON SPILLIAERT SImone scaloni Una scia bianca di fumo screzia per qualche istante il nero gelido e impenetrabile, compatto come il marmo del Belgio, di un cielo nordico senza luna e senza stelle. Improvvisamente l’urlo agghiacciante di una locomotiva a vapore squarcia il silenzio fitto della notte. Un treno nero come la notte stessa galoppa su un binario ghiacciato tra le campagne innevate delle Fiandre, sferzando la neve nella sua corsa. È partito da Bruxelles e ha appena lasciato la stazione di Gand. È diretto ad Ostenda, la cittadina fiamminga con il porto affacciato sul Mare del Nord, davanti all’Inghilterra. Il treno è vuoto, ad eccezione di qualche sparuta figura insonnolita. Un commesso viaggiatore, un medico, un veterinario, un anziano commissario di polizia che tornano a casa per il periodo di Natale. Rannicchiato e intabarrato, ognuno di loro occupa un posto a caso in uno dei tanti sedili di legno rivestiti di pelle annerita. È la notte del 23 dicembre del 1902 e un altro giovane impiegato, ha 21 anni ed è stato assunto da poco come illustratore presso una casa editrice di Bruxelles, sta tornando a casa anche lui per passare i giorni di festa con la sua famiglia. Il padre, la madre e i sei fratelli. Ha appena appoggiato sul sedile vuoto davanti a sé il libro che stava leggendo. L’ha comprato a Parigi un mese fa. Sono i racconti di Edgar Allan Poe, il suo scrittore preferito. In questo momento, mentre il vagone gelido e cigolante nel quale è seduto vola nell’oscurità verso il mare, il giovane si sta specchiando nel vetro del finestrino. Ha assunto una posa di tre quarti, rigida e austera, e sta studiando la sua espressione. Vorrebbe scoprirvi il tormento, il pathos, il fuoco sacro dell’Arte. E invece la trova semplicemente malinconica, distante e diffidente. Ma a un certo punto, l’ora tarda della notte, la stanchezza sulle palpebre e una lampadina che emette barlumi a intermittenza perché sta per fulminarsi, fanno sì che i lampi di luce sul vetro assumano 8 le fattezze inquietanti di due volti sconosciuti accanto al suo. La lampadina fa uno scoppio improvviso e si spegne definitivamente. Nel buio lui, che pure si è spaventato, si scuote con fermezza e si riprende subito dallo strano torpore nel quale era caduto. Il treno ha iniziato a rallentare, sta per entrare nella stazione di Ostenda. Il viaggio è finito e il giovane viaggiatore che abbiamo appena incontrato si chiama Leon Spilliaert. Leon Spilliaert (che si pronuncia spiliart) nacque ad Ostenda, in Belgio, alla fine di luglio del 1881. Suo padre Leonard faceva il profumiere e pare avesse un temperamento particolarmente eccitabile e burrascoso. Sua madre Leonie invece, una donna di casa dai modi semplici e modesti, era delicata e gentile e trascorse tutta la vita a pren- Sopra: Autoritratto, 1903. Pagina 9: La Notte, 1908. dersi cura del marito e dei sette figli avuti da lui. Leon era il primogenito e nel 1899, raggiunta l’età di diciotto anni, si iscrisse all’Accademia di Belle Arti nella vicina Bruges. Vi rimase due mesi appena. Ne scappò via dicendo che non poteva assolutamente stare in un luogo in cui ognuno trattava gli altri come nemici. La sua formazione artistica fu pertanto quella di un autodidatta, autonoma e solitaria. Tre anni dopo, nel 1902, fu assunto come grafico da un noto editore di Bruxelles che lo volle presso di sé per illustrare i frontespizi dei libri e corredare di immagini appropriate le opere dei suoi autori. Questi si chiamava Edmond Deman ed era l’editore dei Simbolisti. Fra gli altri, pubblicò le opere di Stephane Mallarmè, Emile Verhaeren e Maurice Maeterlinck. Per la raccolta dei testi teatrali di quest’ultimo, il giovane Spilliaert realizzò ben 348 acquerelli. L’acquerello e l’inchiostro, insieme al guazzo e al carboncino, furono sempre le sue tecniche preferite per via delle trasparenze e dei suggestivi effetti di evanescenza che consentivano. Amava le tecniche pittoriche che esaltassero il senso di mistero ed elevata spiritualità che si riprometteva sempre di infondere alle sue creazioni. Nel corso della sua vita Leon Spilliaert fu molte volte a Parigi, soprattutto d’inverno, dove espose le sue opere in numerose occasioni. Conosceva tutti e tutti lo conoscevano. Tuttavia non aderì mai ad alcuna corrente o movimento ar- tistico in particolare. Non fece parte di alcun gruppo e non ebbe mai discepoli o seguaci. Fu sempre un indipendente e un solitario. Ammirava molto il lavoro e gli esiti artistici di alcuni pittori già ai suoi tempi noti al livello internazionale. Odilon Redon innanzi tutto, poi James Ensor e il norvegese Edvard Munch. E però il solo del quale dichiarò di aver subìto una certa influenza fu Henri de Toulouse-Lautrec. Tra gli scrittori, oltre al già citato Edgar Allan Poe, amò particolarmente Chateaubriand, Lautreamont, e più tardi il caposcuola e teorico dell’etica superomista, Friedrich Nietzsche. La malattia connotò buona parte della sua esistenza. Soffriva di una dolorosa ulcera allo stomaco che lo rese spesso insonne e, per questo motivo, girovago notturno. Morì a Bruxelles nel novembre del 1946, a 65 anni, per un attacco letale di angina pectoris, patologia che lo tormentava già da una decina di anni. Nello stile Leon Spilliaert fu a cavallo tra Simbolismo ed Espressionismo. Ma la stagione che lo caratterizzò maggiormente e per la quale oggi è più ricordato è senza dubbio quella simbolista dei primi anni del Novecento. Il Simbolismo fu dapprima una corrente letteraria e poi un movimento artistico ad ampio raggio, diffuso anche fra i pittori. Caratterizzò tutta la seconda metà dell’Ottocento e arrivò, con la Belle Èpoque, fino a circa il 1914. Fu un 9 Insistenze>>> movimento dalle connotazioni estetiche fortissime, apertamente antistorico e antirealista. Ai Simbolisti non interessavano gli eventi storici, la politica e l’attualità, quanto piuttosto la Bellezza, l’Arte e la Poesia nella sua massima espressione. L’Arte per l’Arte era l’istanza che li muoveva e il traguardo al quale ambivano. In modo particolare premeva loro il riuscire a rappresentare ciò che si nasconde sotto la realtà visibile e percepibile con i sensi e che può essere còlto soltanto attraverso l’intuizione e un’accesa e coltivata spiritualità. In quest’ottica le emozioni rappresentavano il veicolo ideale per sperare di poter accedere a una dimensione nascosta e sottostante (o soprastante) la realtà. Pertanto caratterizzò i Simbolisti una mai celata, e anzi quasi ostentata, sfiducia nei confronti della ragione, della scienza e della tecnologia perché sentite come incapaci, o perlomeno insufficienti, di andare oltre. Vale a dire inadatte a penetrare l’Ignoto e a sondare gli oscuri abissi dell’animo umano. Parallelamente si confidava nelle esperienze estreme, a tinte forti, fino ad arrivare allo sconfinamento in regioni della mente poco conosciute, e al disvelamento delle potenzialità inattese della suggestione, del sogno e dell’inconscio. In qualche caso finanche della magia, dell’occultismo e <<<Insistenze dello spiritismo. Eredità tematica, questa, che negli stessi anni veniva rilevata e approfondita a Vienna dal padre della psicanalisi moderna, Sigmund Freud. Dunque, come si vede, nessuna preoccupazione di contenuto o d’intenti civili e morali, nessuna fiducia nel Positivismo allora in voga o nelle Accademie, ma soltanto il bisogno e il desiderio di andare oltre le apparenze. Era questo lo spirito del tempo, lo spirito dell’Ottocento di cui la Francia fu la culla e che venne spazzato via in un colpo solo dall’avvento catastrofico della Prima Guerra Mondiale. I temi dell’eccesso e della purezza nell’Arte non entrarono mai in contrasto con le istanze di compostezza classica e imitazione dei modelli antichi che, anzi, restarono sempre tra i punti fermi dell’estetica simbolista. Gli stati alterati della coscienza erano considerati gli unici strumenti validi per conoscere davvero la Realtà e dall’artista ci si aspettava espressamente che fosse in grado di affacciarsi sull’Ignoto, il Mistero e il Perturbante. Fu dunque nel solco di questa tradizione estetica che s’inserì a pieno titolo l’arte di Spilliaert fino a rappresentarne l’epilogo e il segmento finale. In pittura gli artisti aderirono fermamente alla rappresentazione di soggetti ispirati dalla Natura e anche Leon, nelle sue notti insonni trascorse fra il porto e il lun- gomare, si misurò con questo tema raggiungendo esiti artistici di livello altissimo. Poiché dunque la realtà sensibile veniva percepita come simbolica, vale a dire come il simbolo di qualcos’altro che le starebbe stato sotto e che essa nasconderebbe, il tema enigmatico del doppio, della metafora e dell’allusione, fu naturalmente assai frequentato. Spilliaert lo esplorò attraverso l’iconografia a lui particolarmente cara dello specchio e dei riflessi sull’acqua. Spesso, infatti, nei suoi dipinti vediamo la luna che si riflette sulla superficie nera e compatta del Mare del Nord. O la luce elettrica dei lampioni che si riflette a sua volta sul manto bagnato delle strade di Ostenda. La ripetizione quasi ossessiva di bande e fasce cromatiche, sia verticali che orizzontali, sia circolari che ellittiche, è infine funzionale alla resa di un effetto di lontananza insondabile. Ma anche, come in uno stato ipnotico indotto da uno psicanalista freudiano, al raggiungimento di una dimensione remota e rarefatta. Remota e rarefatta come fu la vita stessa di Leon Spilliaert, la cui storia, fatta eccezione per qualche fotografia e alcune lettere che ne raccontano le poche vicende personali, è ancora oggi avvolta nell’ombra e nel mistero. Sopra: Vertigo, 1903. Video: Léon Spilliaert, youtube.com/watch?v=dlCpjRpfFPk Di lato: La Diga di Ostenda, 1908. *[Simone Scaloni vive a Roma tra le pieghe di una decennale passione per l’arte. Diplomato in restauro pittorico, si laurea in seguito in Storia dell’Arte. Si interessa particolarmente alle incisioni del 900 ma non si preclude Sala da Pranzo di un Albergo, 1904. 10 incursioni nelle manifestazioni dell’arte contemporanea.] 11 <<<Insistenze APPUNTI DI VIAGGIO VERSO IL FESTIVAL POETICO IN GALLIA XXV Miedzynarodowa Galicyjska Jesien Literacka Anna Jolanta Lagoda Il notevole ritardo del volo RF9622 Roma –Cracovia non fa altro che accrescere la mia preoccupazione. Sono già abbastanza agitata al solo pensiero di dover salire a bordo di un aereo, evitando accuratamente qualvolta posso, di occupare il posto accanto al finestrino. Poco prima del decollo le solite raccomandazioni sulla sicurezza. Chiudo gli occhi. La voce dell’assistente di volo risuona come in un acquario. Intanto l’aereo inizia a correre sulla pista sempre più veloce e mi ritrovo a stringere forte la mano del ragazzo terrorizzato che mi sta accanto, lasciando le impronte delle mie unghie sulla sua pelle. Pochi attimi dopo ci ritroviamo appesi tra il cielo e la terra e rallento la presa. Imbarazzata mi scuso. Iniziamo a parlare scoprendo che la paura condivisa pesa decisamente meno. Poi di nuovo calma, cerco di leggere qualcosa, scrivo appunti per catturare ogni singola emozione di questo viaggio nel mio paese di origine: la Polonia. Il motivo di questa breve vacanza è il Festival Poetico in Gallia, organizzato nel mio paese da venticinque anni. Non potevo mancare a questo grande evento dove il clima magico della letteratura è di casa. L’anno prima nello stesso periodo ho partecipato a questa meravigliosa festa di letterati, coinvolta nei simposi poetici e portavo ancora nel cuore il ricordo delle persone che giungevano al festival dalle diverse parti del mondo con un unico obiettivo: condividere la poesia come un pezzo di pane. Il Festival Letterario in Gallia è nato nel 1978, come Festival della Letteratura Nazionale, coinvolgendo inizialmente i poeti polacchi. Le successive edizioni hanno allargato le frontiere invitando a partecipare anche i poeti dall’estero. La convivenza delle diverse etnie che abitavano la Polonia meridionale (Russi, Tedeschi, Ucraini, Polacchi) nel pas- 12 sato ha dimostrato che proprio nel bilico tra le diverse culture, nel punto dove esse si toccano e convivono, nascono le gioie più grandi. Letteratura e poesia hanno sempre avuto la capacità di unire i popoli, di fare appello ai sentimenti umani, di mostrare al mondo cosa unisce le persone trasmettendo forte l’entusiasmo che serve agli uomini, invitandoli a creare ponti anziché alzare muri. Dopo due ore di volo finalmente metto piede sulla terra ferma,ma il viaggio non è ancora finito. Prendo il treno per il centro di Cracovia, da lì mi aspetteranno altre ore di viaggio verso un paese all’estremo est della Polonia: Kasna Dolna. Quest’anno la base del nostro incontro si trova lì, nella residenza del nostro celebre pianista Ignacy Jan Paderewski. Nel treno con la testa appoggiata questa volta al finestrino, ammiro il panorama. Le distese del verde, le case di mattoni con i tetti spioventi. L’aria sa di nostalgia. La gente parla a bassa voce. Un piccolo ordine fuori dal caos, la pace e tranquillità. Ci sono nata in questa terra, porto dentro i suoi battiti, eppure i suoi paesaggi non hanno mai smesso di stupirmi. Guardo la mia terra e non riesco a saziare gli occhi di questo meraviglioso ritrovarsi. Mi viene voglia di saltare fuori dal treno, abbracciare ogni mazzo di erba, accarezzare il marciapiede, sorridere al cielo. Gli occhi si riempiono di lacrime che scorrono lungo le guance. Alla stazione di Cracovia centrale mi aspetta Danuta, una collega più grande di me, invitata anche lei insieme agli altri poeti a partecipare nel festival. Non ci siamo mai viste prima. Nei giorni precedenti al viaggio, grazie ad un’amica comune, ci siamo scambiate qualche mail scherzando e ironizzando sul riconoscersi entrambe. Lei è in ritardo, il suo volo dalla Francia ha avuto un problema tecnico e ora dobbiamo recuperare il tempo. Ci aspettano altre due ore di viaggio per arrivare a casale di Paderewski. Prendiamo le valigie e iniziamo la corsa verso la piattaforma numero dieci da dove sta per partire il nostro ultimo pullman. L’avremmo perso per un pelo, ma per fortuna siamo salve. Arriviamo a destinazione in tarda sera. Il casale è avvolto in una fitta nebbia, l’edificio bianco del museo e la casa della servitù, dove passeremo la notte, sembrano maestosi giganti rivestiti di fumo bianco. In lontananza si intravede il bosco, l’antica riserva di caccia e dal laghetto giunge il gracidare delle rane. Fa piuttosto freddo in questa stagione dell’anno e dopo diversi anni passati in Italia ho perso l’abitudine di coprirmi bene. Cerco di correre ai ripari infilandomi due cappotti, sebbene il metterne uno sopra l’altro mi porta lontano dall’emblema di eleganza. I segni della stanchezza sul mio volto sono evidenti, il trucco è completamente sciolto dal freddo e dalle lacri- 13 Insistenze>>> me versate durante il viaggio. Entriamo in una grande sala e ammiro le pareti con i quadri che ritraggono il maestro Paderewski in persona. Si sentono i passi veloci sulle scale dal piano di sopra, gli altri scendono per salutarci. Cristina la conosco già, ho avuto il piacere di incontrarla al festival precedente ed è subito nata tra noi una grande simpatia. Mi viene incontro sorridendo a braccia aperte ed io sparisco in quell’abbraccio commossa perché mi sento a casa. L’atmosfera è accogliente, mi trovo in una grande famiglia poetica. Alcuni presenti li conosco, mi presento agli altri e poi ci spostiamo verso la cucina, dove ci aspetta il pentolone con il gulasch caldo e fumante più buono che abbia mai mangiato. Chiacchieriamo fino a tarda notte, scambiandoci ognuno le proprie esperienze poetiche e ricordando l’incontro dell’anno prima. Poco dopo arriva Andrzej Grabowski, l’organizzatore del festival, nonché poeta e scrittore di molti libri e filastrocche per bambini e ragazzi. Andrea è basso di statura e qualcuno nel passato lo ha chiamato Napoleone di provincia, ma la sua vera caratteristica è la grandezza del suo spirito instancabile con il quale affronta ogni iniziativa culturale e letteraria. Andrea da poco è rientrato in Polonia dall’Ucraina dove si è svolta la prima parte del festival. L’orologio in sala da pranzo ha appena segnato la mezzanotte. Una volta salita la rampa di scale in legno arrivo nella mia stanza e poco dopo mi abbandono ad un sonno profondo tra le calde coperte del letto. La mattina ci ritroviamo tutti insieme per fare colazione, un altro momento importante di condivisione oltre che di sostentamento ed in questo, posso dirlo forte, la cucina del mio paese con i suoi piatti tipici dolci e salati, sa davvero soddisfare anche il palato più capriccioso. Mangiando la frittata con bacon e bevendo il tè penso a cosa ci riserverà la giornata. Dopo la colazione veniamo divisi in gruppi. Ci sposteremo in diverse regioni della Polonia, per portare la poesia nelle biblioteche, negli asili e nelle scuole. Il viaggio in macchina è lungo. Attraversiamo centinaia di chilometri sulle autostrade scorrevoli e semi vuote. In macchina insieme a me ci sono Bolodimir Garmatiuk, poeta e giornalista appassionato di fotografia e Vladimir Stockamann, poeta e musicista che da diversi anni vive a Cracovia. Entrambi parlano perfettamente la mia lingua. Durante il viaggio conversiamo allegramente con Andzrzej 14 <<<Insistenze Grabowski alla guida. Lo spirito poetico galleggia nell’aria tenendoci svegli. Arriviamo a Kolbuszowa. Il direttore della biblioteca comunale ci accoglie calorosamente e con gioia. Ci conduce nella sala delle conferenze dove ci aspetta il tè con i pasticcini. Mentre conversiamo ogni tanto guardo fuori dalla finestra notando un curatissimo giardino con delle rose. Poco dopo mi annunciano che in biblioteca sono già presenti gli ospiti, una classe di liceali arrivati appositamente per “l’incontro con l’autore”, la lezione di poesia che avrei dovuto condurre dopo poco. La notizia mi coglie di sorpresa, è un grande onore ed una assoluta novità. Poco dopo mi trovo di fronte a questi esseri giovani, con i loro occhi puntati addosso. Mi sento un insegnante alla sua prima lezione e pronuncio la prima domanda legata alla circostanza, tanto per rompere il ghiaccio (da qualcosa bisogna pur cominciare): “Avete mai visto Monalisa smile?”. Poi tutto d’un tratto la mia testa fa un viaggio indietro nel tempo, ad una quindicina di anni fa quando ero una liceale anch’io. Cosa mi sarebbe piaciuto sentire - penso. E mi viene di parlare dei sogni, dell’amore, del sesso, della droga, dei loro problemi, comuni, universali, mai scaduti. Scelgo di parlare della VITA, per condurli alla poesia attraverso la vita stessa, citando Bukowski, Nietsche, Bergson, condividendo con loro le mie esperienze e catturando la loro attenzione. L’incontro con l’autore termina con l’intervento di uno degli studenti che a nome di tutta la classe mi ringrazia regalandomi una rosa e dicendo: “Lo sa, signora, grazie a lei ho scoperto che la poesia non è affatto noiosa”. Mi commuovo e con gli occhi lucidi lo abbraccio. La seconda tappa del nostro viaggio è Zalipie, il villaggio più colorato della Polonia. Le case sono dipinte a mano secondo la vecchia tradizione degli artisti che vi abitano, paesaggi floreali sulle pareti delle abitazioni, delle stalle, sui Pagina 12: Statua di Ignacy Jan Paderewski. Pagina 13 e sotto: Residenza di Ignacy Jan Paderewski, sede della manifestazione. Sotto: Tipica casa dipinta del villaggio di Zalipie Pagina 16: Dettaglio di un interno a Zalipie. Anna Jolanta Lagoda legge alcuni suoi testi nell’ambito della manifestazione pozzi, nelle chiese. Persino le case delle api e le cucce dei cani sono immerse in colori vivaci rispecchiando il folclore e l’antica tradizione.L’atmosfera fiabesca di un tempo che sembra essersi fermato. A Zalipie incontriamo il resto del nostro gruppo. Di nuovo insieme a scambiarci emozioni. Il tempo di scattare qualche foto del gruppo per catturare questi momenti e siamo pronti per ripartire. Ci aspettano in Biblioteca a Olesno, una città ad est della Polonia, dove si terrà la serata di inaugurazione dell’Autunno Poetico in Gallia. Arriviamo nel tardo pomeriggio e lasciamo la macchina sull’ampio parcheggio accanto alla biblioteca. La luce pallida dei lampioni illumina il vialetto che conduce all’ingresso principale lasciando intravedere le piante di oleandro ed una fitta vegetazione ben curata. La direttrice della biblioteca ci viene incontro e iniziamo a seguirla lungo il corridoio circondati dai libri. I vecchi scaffali e le mensole 15 Insistenze>>> gli occhi pieni di lacrime quando le luci in sala si spengono e Lam Quang My, un poeta vietnamita che ho conosciuto l’anno prima, inizia a cantare la sua poesia in lingua madre. Non capisco le parole, ma sento che questa bellissima nenia parla d’amore, c’è tanta sofferenza e ogni parola tramutata in nota mi tocca qualcosa dentro. La sottile fiamma della candela accesa illumina il suo volto e tutti noi restiamo stupiti ad ascoltare in penombra. Quando salgo sul palco per leggere la mia poesia mi tremano le gambe, le emozioni si fanno sentire e non mi lasciano più. Ancora una volta mi sono sentita a casa. La gratitudine negli occhi della gente che ha la poesia nel cuore è grande e la porto via con me giorno dopo nel viaggio di ritorno verso la mia seconda casa-Italia. *[Anna Jolanta Lagoda è polacca. Ha frequentato nel paese d’origine la facoltà di filosofia, assecondando la forte inclinazione alla letteratura e alla scrittura collaborando con la redazione di un giornale studentesco. Da anni vive in Italia dove continua a scrivere racconti.] 16 Carina Negrone di Cambiaso Geremia Doria È il 20 Giugno 1935. Nell’aeroporto di Guidonia nei pressi di Roma, una giovane donna in tuta di volo si avvia verso la pista di decollo. Nel breve tragitto è accompagnata dal Capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica italiana e da un amico pilota, Mario Pezzi, il cui nome sarebbe diventato celebre nella storia dell’aviazione. Dietro di loro segue un gruppo di tecnici e specialisti, due dei quali hanno in mano una piccola scatola sigillata... La donna si chiama Carina Negrone, ha 24 anni ed è moglie del marchese Ambrogio Negrone di Cambiaso. La posizione sociale spiega la ragione di tanto seguito sulla pista, ma è stato il sostegno di un influente personaggio, anche lui amico e pilota, che ha consentito a Carina di cimentarsi nell’avventura di oggi: è Italo Balbo, il famoso protagonista delle Crociere Atlantiche e, in quel momento, ministro della Regia Aeronautica. Carina ama lo sport e ne pratica diversi: il volo che all’epoca aveva una forte connotazione di sfida sportiva, non poteva non attrarla. Di fatti due anni prima aveva conseguito il brevetto di pilota e già aveva all’attivo un primo record di volo, ottenuto raggiungendo la quota di oltre 5000 metri a bordo di un velivolo anfibio. Ora Carina si proponeva di superare il record femminile di volo in altezza detenuto dalla francese Maryse Hilsz con 11.289 metri. Per prepararsi all’impresa si era sottoposta a mesi di pesante allenamento attraverso lo stesso iter addestrativo praticato dai suoi colleghi. L’aeroplano che dovrà pilotare è un Caproni Ca.113, un biplano maneggevole e con eccellenti qualità acrobatiche, modificato con un motore più potente e un semplice impianto per l’erogazione dell’ossigeno. È lo stesso aeroplano con cui l’anno precedente (1934) un altro famoso recordman dell’aviazione italiana, Renato Donati, aveva conquistato il record di altezza superando i 14.000 metri. Per la cronaca, subito dopo l’atterraggio Donati era svenuto all’interno dell’abitacolo. I medici militari avevano consigliato a Carina di non superare l’altezza di 11.000 metri, rinunciando al record, qualora avesse avvertito difficoltà respiratorie: in quota, Insistenze>>> di legno sulle pareti mostrano letteratura di ogni genere, i poster dedicati alle première cinematografiche e dischi in vinile. Ho la sensazione di essermi ritrovata in un’altra epoca. Nella mia testa di nuovo inizia un viaggio nei ricordi d’infanzia, le giornate passate in libreria con mia madre libraia. Profumo di carta. Profumo di libri. La biblioteca inizia a riempiersi di gente. Tutti in attesa della serata di gala. Ci sono tanti poeti e ospiti stranieri giunti al Festival da diverse parti del mondo. La grande sala che ospita il palco è immersa nelle luci soffuse creando un’atmosfera magica. Poco dopo iniziano le presentazioni e i poeti intervenuti vengono invitati sul palco a leggere le proprie poesie. Sullo sfondo del palco il grande poster mostra la scritta “Polonia e Ucraina sopra le frontiere”. Ho 17 Insistenze>>> dati registrati. I calcoli dimostreranno che Carina ha toccato la quota di 12.043 metri, 754 metri in più del record precedente. Il titolo è suo. Il successo le viene riconosciuto con l’assegnazione di una medaglia d’oro al valore sportivo, ma soprattutto la colloca nel novero di una terna prestigiosa della storia italiana del volo, accanto a Mario Pezzi, che due anni dopo conseguirà il record di altezza per piloti militari, sottraendolo agli inglesi che lo avevano strappato proprio a Renato Donati. Carina Negrone rimase attiva nel mondo del volo per tutta la vita, partecipando a molte altre competizioni internazionali, fondando una scuola di pilotaggio e conquistando vari primati mondiali, tra i quali l’ultimo, nel 1954, volando da Brescia a Luxor in Egitto per tremila km senza scalo, a bordo di un P.136, uno dei migliori velivoli della Piaggio. È scomparsa nel 1991, all’età di 80 anni, nello stesso paese di Bogliasco, sulla Riviera di Levante nel quale era nata. Nel 1996 le Poste Italiane le hanno dedicato un francobollo della Serie “Donne famose”. VOLO NOTTURNO SUL VILLAGGIO DI GREGORY CREWDSON simone scaloni Un uomo in poltrona guarda dritto davanti a sé, in una stanza completamente distrutta. Una donna in sottoveste galleggia esanime nel salotto della sua casa. Un uomo riveste l’interno del suo garage di uno strato di terra ed erba e un altro fa la stessa cosa in soggiorno. Una ragazza ha accumulato una montagna di fiori in cantina e un’altra ha fatto lo stesso in cucina. Un ragazzo in una doccia infila il braccio nel foro dello scarico che ha appena smontato. Un uomo immobile in mezzo alle rose osserva l’interno della sua casa in cui la moglie e la figlia giacciono addormentate davanti a un televisore acceso. Un gruppo di ragazzi scava una buca nella radura di un bosco mentre un uomo seppellisce, o disseppellisce, un gran numero di valigie in mezzo agli alberi. Ancora un gruppo di ragazzi cammina come ipnotizzato lungo un binario morto, in una direzione che sembra non avere una mèta. Un altro gruppo, sempre su un binario morto, guarda inebetito e indifferente una casa in fiamme. Una donna e un bambino siedono in silenzio a una tavola imbandita, alla quale però mancano gli altri due commensali. In un’altra sala da pranzo un’altra famiglia, questa volta al completo, siede a tavola per la cena ma smette inspiegabilmente di mangiare e fissa lo sguardo nel vuoto. Una donna seduta in soggiorno osserva una ragazza che le si presenta nuda davanti agli occhi. A un’altra accade la stessa cosa ma riflessa nella specchiera della sua camera da letto. Un uomo esce dalla macchina e si ferma a pochi passi sotto una pioggia battente. Lo stesso fa una giovane donna in sottoveste e a piedi nudi uscendo da un taxi, davanti all’entrata di una casa immersa nelle fronde degli alberi. Ecco alcune si- Insistenze>>> temperature e carenza di ossigeno erano i nemici più pericolosi. Carina indossa una tuta termoelettrica che la proteggerà dal freddo e, sotto il caschetto di pelle, un passamontagna di lana per sopportare il vento alla velocità di circa 200 km l’ora. Il pacco del paracadute sulle spalle è l’ultima ingombrante parte di equipaggiamento prima di salire a bordo. All’interno del velivolo vengono collocate le due scatole sigillate affidate agli specialisti: sono due barografi che registreranno la variazione di pressione atmosferica per mezzo della quale, al rientro, sarà possibile calcolare la quota raggiunta. Tutto è pronto e Carina effettua un perfetto decollo. Sale regolarmente in quota; la temperatura scende fino a meno 35°, l’ossigeno diminuisce sensibilmente. Carina comincia ad avvertire un certo stordimento, uno stato di blanda euforia, ma continua a salire, finché sente di aver raggiunto il suo limite; allora livella il velivolo e inizia la discesa. Il volo si conclude con un felice atterraggio. I barografi vengono prelevati dal velivolo per l’analisi dei *[Geremia Doria nasce a Trieste nel settembre di 40 anni fa.Interior designer di professione, si interessa di antiquariato e collezionismo d’arte. Frequenta con regolarità gallerie e case d’asta e negli anni acquisisce e affina le proprie competenze nell’arte contemporanea, con una forte predilezione per gli autori figurativi. Scrive note critiche e monografie per diverse riviste di settore. Vive con uno Scottish terrier e non è presente in nessun social network.] 18 19 Insistenze>>> tuazioni caratteristiche delle immagini create da Gregory Crewdson. Questi personaggi sono sempre immobili, come paralizzati. Si ha l’impressione che siano stati disinnescati, disattivati o, perfino, derubati dell’anima. Si trovano tutti all’interno della propria abitazione. In garage, in giardino, nel bosco alle porte del villaggio, in mezzo alla strada, ad un incrocio, al parcheggio del supermercato. Ambienti affatto ordinari che caratterizzano la vita di tutti i giorni di ognuno di noi, ambienti sempre domestici e familiari. Tuttavia, enigmaticamente, in Crewdson diventano scenari ambigui, sospesi, misteriosi e inquietanti. In tutte le scene rappresentate da Gregory Crewdson è senza dubbio successo qualcosa di grave e di definitivo in merito al quale, però, non ci viene detto nulla e che soltanto i protagonisti dell’accadimento sembrano conoscere e controllare. O, più probabilmente, neanche loro. Gli ambienti che costituiscono il repertorio scenografico 20 <<<Insistenze delle immagini di Crewdson sono sempre gli stessi: case di legno bianche o dipinte a colori pastello, prati verdi e giardini ben curati con il barbecue e giochi per bambini, alberi secolari e boschi fittissimi, il profilo azzurrognolo o violetto delle colline in lontananza, verande con sedie a dondolo e staccionate ancora fresche di vernice, salotti arredati con mobilio a buon mercato, sale da pranzo con tavole imbandite a festa, camere da letto con la moquette abbinata al copriletto e alle tende, stanze da bagno squallide e disadorne, cucine vagamente stantie, garage e capanni per gli attrezzi da giardinaggio. Anche gli elementi iconografici, gli oggetti e gli animali, sono costanti e ricorrenti: automobili aperte o abbandonate, divani e poltrone davanti a televisori sempre accesi, letti sfatti e cuscini tormentati, lampade e abat-jour in ogni angolo della casa, specchi e tolette, comodini invasi da barattoli di pillole e mozziconi di sigaretta. E ancora rose e fiori variopinti, farfalle altrettanto colorate, uccellini canori con le loro uova, e insetti silenziosi e laboriosi sempre nei paraggi. È il regno apparentemente sicuro e idilliaco della piccola borghesia di provincia. Gregory Crewdson è un fotografo americano famoso in tutto il mondo. Nasce nel 1962 a New York. Cresce a Park Slope, un quartiere di Brooklyn, dove sua madre esercita la professione di psicanalista freudiana e riceve i pazienti nel seminterrato della casa in cui vive con la sua famiglia. E dove il giovane Gregory ascolta tutte le sedute di psicanalisi della madre sdraiato per terra in salotto con l’orecchio appoggiato al pavimento. Oggi Crewdson insegna fotografia alla Yale School of Art di New Haven e finora ha realizzato otto ampie serie di fotografie. La prima delle quali, Early Works, risale al biennio 1986-88. Seguiranno Natural Wonder, Hover, Twilight (tuttora la serie più conosciuta), Dream House, Beneath the Roses, Sanctuary e infine Cathedral of the Pines del 2015. Tutte le sue creazioni artistiche sono il frutto di produzioni molto costose e del lavoro di ampie troupe di tecnici e specialisti. Gli scenari da lui ricreati sono in parte il risultato di elaborati allestimenti scenografici realizzati in studio, e in parte l’esito di riprese effettuate direttamente sul luogo. Il tipico villaggio di collina e immerso nei boschi che vediamo nelle fotografie di Gregory Crewdson è nella fattispecie quello della cittadina americana di Lee, nel Massachusetts. Il periodo dell’anno è quello che prende il nome di Estate di San Martino, nel mese di novembre, e che alterna a un clima ancora mite e soleggiato i primi rigori dell’inverno. A voler ricostruire un ideale percorso tematico e iconografico che ci conduca alla fine all’opera di Crewdson, non sarebbe sbagliato prendere come punto di partenza la pittura di Edward Hopper. Questi, infatti, ben ritrasse le atmosfere malinconiche e desolate, fatte di crepuscoli silenziosi e lunghe ombre pomeridiane, della provincia americana del nord-est nella prima metà del Novecento. Quella stessa provincia americana indagata poi in fotografia da artisti 21 Insistenze>>> come Walker Evans, noto per la sensibilità fortemente realistica delle sue immagini, e più tardi William Eggleston. E poi dalla newyorkese Diane Arbus alla cui produzione fotografica, incentrata sulla rappresentazione di un’umanità alienata e marginale, lo stesso Crewdson ha dichiarato di aver sempre guardato con ammirazione. Un contributo significativo all’ispirazione di Gregory Crewdson può averlo fornito anche una vena più specificamente letteraria rappresentata dai romanzi di Stephen King (e dalle relative trasposizioni cinematografiche) e di Ray Bradbury (come nel caso di Something wicked this way comes). Senza dimenticare i più classici Peyton Place di Grace Metalious e l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Tuttavia, ad aver maggiormente influenzato i temi e lo stile del fotografo di Brooklyn sono soprattutto il cinema e le costose produzioni hollywoodiane di registi importanti come lo Steven Spielberg di E.T. e Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, il David Lynch di Velluto Blu e Twin Peaks, e il Richard Kelly del più recente cult-movie sulla dimensione surreale e allucinata dell’adolescenza Donnie Darko. Infine, è necessario ricordare in questa rapida panoramica di influenze anche la celebre serie televisiva del 1959 firmata da Rod Serling e intitolata The Twilight Zone (trasmessa in Italia con il titolo di Ai Confini della Realtà). Con i fotografi Cindy Sherman, Jeff Wall e Thomas Demand, il regista Wes Anderson, e lo stesso Gregory Crewdson, si arriva a definire e teorizzare una precisa tendenza all’artificiosità, a una forma di raffinatezza estrema, e alla messa in scena di set straordinariamente accurati e ricchi di particolari. Per questi artisti il concetto-cardine è quello della riproduzione perfetta, iperdettagliata, di una realtà altra che sostituisca la realtà reale, oggettiva, nella quale vivivamo. Questa viene infatti rifiutata e decisamente respinta senza mezzi termini poiché percepita come inquietante, perturbante (per dirla con Sigmund Freud) e alienante. È allora a questa nuova realtà, artificiale e soggettiva, a questo surrogato simbolico della realtà, che si guarda e che si fa riferimento. Che si fotografa e si riprende con la telecamera. Ma la sorte è spesso ironica e in questo caso la nuova realtà riprodotta finisce per assomigliare molto a quella originale, ed essere altrettanto oscura e angosciante. In questa prospettiva così delineata possiamo allora in- 22 <<<Insistenze trodurre i concetti di staged photography (fotografia inscenata, teatralizzata) e di single-frame movies (film a inquadratura unica o film fotografici). Si tratta di immagini dense, complesse, altamente strutturate. Da un punto di vista dei contenuti sono scene di alienazione domestica e individuale, di un evidente disagio esistenziale. Sono psicogrammi fotografici di un’umanità interrotta e smarrita, istantanee di una vita di provincia che ha superato il punto di non ritorno. A ben vedere non siamo qui così lontani da una concezione teatrale e secentesca, quindi barocca, dell’arte. Questa corrente prevedeva infatti un’accurata selezione dei simboli e degli elementi da rappresentare, la loro composizione in un contesto armonico ed omogeneo (come, ad esempio, nel caso del cosiddetto belcomposto berniniano), e la conseguente trasposizione in una dimensione ultraterrena e spirituale del soggetto rappresentato. Ne è ulteriore dimostrazione l’uso caravaggesco che Crewdson fa della luce, e degli effetti luministici in genere, che ha senza dub- bio contribuito a consacrarne la fama e che è poi diventato come una firma, il tratto caratteristico dell’autore stesso. Non di rado i personaggi delle immagini di Crewdson vengono investiti da fasci di luce che potremmo anche definire mistica. Si ritrovano assenti e stupefatti, come in estasi, a contemplare misteriose sorgenti di luce che di naturale hanno effettivamente ben poco. È una luce rivelatrice, forse salvifica, che fa da tramite fra ciò che è visibile e ciò che non lo è. Proprio come sulla linea dell’orizzonte lungo la quale il sole scompare e ha inizio la notte. Quella sottile lingua di luce che appare in lontananza al tramonto e che gli Americani hanno identificato come the twilight zone. Questi raggi di luce trascendente possono arrivare dalla chioma di un albero come dalla grata di un tombino, dai fari di un’automobile ferma ad un incrocio come da un faretto al neon incastonato nel controsoffitto di una sala da pranzo. Dallo sportello aperto di uno scuolabus vuoto come da un televisore rotto, dalla moquette strappata e le assi divelte di un pavimento domestico coperto di terra. È la luce della rivelazione, del risveglio a una dimensione superiore e della riconciliazione con essa. E segna il momento della comprensione autentica e profonda delle cose per quello che sono veramente. Forse, il momento dell’illuminazione. Ma soprattutto, questa luce testimonia dell’irruzione violenta della Natura nella vita di tutti i giorni e del suo riaffermare il proprio dominio su ciò che le spetta per diritto. Questo tema del ritorno a uno stato di Natura è il vero motivo conduttore, centrale in tutta l’opera di Gregory Crewdson. Questi infatti, intervistato sull’origine della sua arte e l’ispirazione che la sottende, disse una volta che non c’è stato giorno della sua vita in cui non si sia alzato la mattina sentendosi male fino alla nausea. È dunque questo il risveglio ritrovato di cui sentiva la necessità, il giro di vite e il ritorno allo stato di Natura di cui ci parla nelle sue opere. Un orso bruno è entrato in un soggiorno, si aggira placido tra le foglie e i raggi di sole. 23 Inverso>>> Davide Cortese Davide Cortese presenta un testo imperniato concettualmente e semanticamente sulle ‘migrazioni’, non quelle tristemente note delle cronache, bensì quelle perpetue della natura e dell’esperienza umana. Il tema è forse quello dell’eterno ritorno, della necessità degli eventi, che pure il poeta Cortese vive alla luce di una speranza che si rende esplicita nella chiusa. [Flavio Scaloni] Un giorno in un futuro gli uomini popoleranno altri pianeti oltre la terra ed altri paesaggi verranno da loro descritti nei propri racconti ma rimarranno sempre le testimonianze dei grandi autori che con la fantasia applicata alla scrittura hanno immaginato e dunque predetto nelle proprie opere tutto ciò che è accaduto e deve ancora accadere. MIGRAZIONI “Scrivere è come viaggiare senza la scocciatura dei bagagli”, diceva Emilio Salgari. Ed i poeti di questo numero attraverso i loro scritti, ci hanno accompagnati per un breve tratto attraverso il nostro tragitto letterario, condividendo in questa rubrica molti degli infiniti aspetti di ciò che è stato ed è per ognuno di loro, il Viaggio. Viaggio che continuerà attraverso gli occhi di chi tra voi avrà il piacere di leggerli. Laura Di Marco Sembra che da oriente migri verso occidente il sole, per portare lontano un nuovo inizio. Migra verso la terra il frutto maturo per portare un seme che rinnovi la storia. Migrano, carovane di nuvole, per portare lontano una pioggia. Migrano, i miei pensieri, per tornare con in dono un ricordo. Migra, la nostra vita, dal primo pianto all’ultimo rantolo. Ogni attimo è migrante. Lo è ogni cosa qui tra gli uomini. Migra, la gioia, e da remoti approdi mi scrive che ha portato in salvo la nostalgia che ha di me, sigilla il messaggio nella bottiglia e lo affida a onde di lacrime salate. Una rondine è il mio sorriso. Ed io so che tornerà. *[Davide Cortese è nato nell’ isola di Lipari nel 1974 e vive a Roma. Si è laureato in Lettere moderne all’Università degli Studi di Messina con una tesi sulle “Figure meravigliose nelle credenze popolari eoliane”. Nel 1998 ha pubblicato la sua prima silloge poetica, titolata “ES” (Edas, Messina), alla quale sono seguite le sillogi: “Babylon Guest House” (Libroitaliano, Ragusa, 2004), “Storie del bimbo ciliegia” (un’autoproduzione del 2008), “ANUDA” (Aletti Editore, Roma, 2011), “OSSARIO” (Arduino Sacco Editore, Roma, 2012) e “MADREPERLA” (LietoColle, Como, 2013).] 24 25 alessandra carnovale Stefania Fiore La barca, il primo mezzo che ha consentito all’uomo di solcare i mari e di viaggiare, in questo componi- Diario di viaggio, diario del treno. L’incedere dei vagoni trasporta l’autrice fisicamente e poeticamente. Ste- mento di Alessandra Carnovale sembra non avere mèta. È sospesa tra le sponde di un lago, come l’au- fania Fiore ci racconta le impressioni quotidiane ispirate da un treno, forse metropolitano, che le permette trice che ne osserva la scia e i remi sapientemente ritmati. Le acque sono placide, il sole è pigro, il solo di indagare nel suo intimo e nel comune sentire. Emergono i ricordi dell’infanzia, degli affetti e in fondo di moto è quello indotto da questa piccola imbarcazione. La poesia come immagine, evocativa con pochi quel viaggio, che chiamiamo Vita, che ci condurrrà alla prossima stazione, senza sapere quale sia. tratti, pennellati con dovizia, come in un dipinto impressionista. [Flavio Scaloni] Inverso>>> [Flavio Scaloni] LA BARCA Placida scivola la piccola barca sulle acque del lento lago, sospinta da quieti vogatori e saldi remi. Scava il suo solco nell’acqua. Ne osservo la scia; vortici accompagnano l’ondeggiare ritmico del legno sotto il tiepido sole che non scalda. Placida scivola la piccola barca da una sponda all’altra. DIARIO DEL TRENO Venerdì 26 luglio 2013 Dalla stazione di Finale si vede il mare, si vedono le palme e persino qualche ombrellone. Lascio una casa silenziosa dove la mia famiglia sta ancora riposando ed inizio un altro viaggio già sapendo il percorso e la mia meta. Così penso ai viaggi della mia vita, ai cammini e alle strade, ai compagni di viaggio e alle fermate dove non sono scesa. Il mio treno di oggi non fa tutte le fermate ma fa tutte quelle che mi interessano. È come me adesso, che desidero riempire la mia vita solo di cose belle, come i due giorni passati con la mia amica, noi due sole, senza figli. In questo momento la sorellanza è la radice più forte che ho: le mie amiche ci sono, tutte le mie donne importanti si sono strette a me come madri, figlie, sorelle, allo stesso tempo. Il treno riparte e nel mio cuore le abbraccio tutte le donne della mia vita, le donne del mio branco, bellissime e fiere. *[Alessandra Carnovale, romana, si dedica per diversi anni alla ceramica e alla scultura, nonché ad altre arti manuali. Dal 2010 partecipa ad attività e concorsi e letterari, dove le sue poesie ottengono premi e attestati di merito. I suoi testi sono presenti in varie antologie. Ama la parola asciutta, scarna, essenziale, quasi scolpita e foggiata con cura.] 26 27 Serena rossi Incedere che ti incolla allo spazio che separa le parole, prima che al verso, mentre costringe l’occhio a se- Mercoledì 17 luglio 2013 Lunedì 21 gennaio 2013 Il treno dopo la galleria è solo una luce, poi diventa una creatura flessuosa che si snoda seguendo la via dei binari e noi saliamo, entriamo a farne parte, seguiamo nel suo ventre il percorso già tracciato. Dopo qualche minuto manca la luce in tutto il vagone ed io spero che non torni. Guardiamo fuori come da dentro un’auto, le luci sono fuori. Mi sembrano i viaggi in treno da piccoli con la mamma, quando nel treno ci dormivamo perché la strada era tanta. Qui tutti vogliono che la luce rimanga accesa ma io vorrei che rimanesse buio, sto pensando alla mia mamma giovane, piena di valigie e bambini, penso al nostro viaggio di agosto verso la nonna e i cugini, le passeggiate in villa la sera e il profumo di aghi di pino. metici in dolorosi colpi, nella memoria. Riscrive Serena parte della storia, la sua, non calcando ma ribattendo a mano le tracce della Storia, la nostra, collettiva, letteraria ma prima ancora tragica, di guerra. Intima, certo, ma il suo cuore batte il ritmo in trincea. È con orgoglio che Diwali vi propone questi versi. Inverso>>> Viaggio su un treno dipinto che oggi sembra andare più veloce del solito e non volersi fermare più. I fianchi del treno sono pieni di disegni fatti con le bombolette spray, immagino chi li ha fatti quando il treno era fermo in un binario lontano oppure nella notte, quando nessuno vede. Immagino qualcuno che non voleva darsi vedere, qualcuno che ha fatto ciò che non si deve, e nonostante tutto ha creato qualcosa di splendido, che parla della sua gioia di quel momento e che passa nelle città sopra un treno in corsa. Proprio come me. guire gli a capo al ritmo di Serena. E immagini che marciando lasciano impronte che trasformano echi er- [Maria Carla Trapani] FRATELLI (India, 2012) Gridi il mio nome – lo conosco? stropicciato tra le dita deformi delle tue mani scure. Crocifisso il corpo mostra alle mie iridi turbate – codarde? il saccheggio inverecondo della lebbra padrona di questo viaggio inatteso. Di piaghe indigenti la gamba – solitaria, fiera è stata deturpata. Sopravvivi – infetto, grato nel nerbo di un sole cocente in attesa di una carezza che rivendichi il tuo esistere obnubilato. Anni, mesi, giorni di nervi danneggiati lesioni permanenti dolenze barbare. 28 Un quadrato di cemento – casa, benvenuta indichi orgoglioso a questa ospite sfioccata. Il cuore scevro di porta e masserizie – aperto riflette un’accoglienza di luce. La stessa età – ventotto a due destini diversi in due pianeti distanti ci avvinghia in una danza solidale. Il mio sguardo compunto – pudore, vergogna si solleva sulle tue carni straziate e tu m’infliggi un sorriso speziato di gioia germogliato. Ti sfioro delicata ai margini del mondo – eterico al centro della mia memoria – materica per non ferirti per risucchiarti l’ingiustizia – non coltivi riserve di odio e rancore e regalarti una voce che purtroppo non ho – sei tu a prestarmi la tua. 29 Marino santalucia Tra allusioni colte e tensione etica questi “stessi sogni” sembrano voler parlare a una generazione inglobandole tutte, proprio come i grandi della musica cui rende omaggio, indicando una strada da percorrere insieme. Diwali vi invita a immaginare il percorso, magari con un occhio alla ricerca delle citazioni nascoste, nei suggestivi versi di Marino Santalucia. Inverso>>> [Maria Carla Trapani] Mi stringi più forte di una felicità limpida e genuina che la mia anima umbratile ha dimenticato altrove. GLI STESSI SOGNI Perderanno il controllo e rotoleranno giù come sassi, udiranno i piedi calpestare le briciole del mondo, scartate da coloro, che non hanno avuto la capacità di stupirsi ogni giorno, pensando che la cura ai loro mali fosse ignorare l’altro e non tessere gli stessi sogni. Sussurro il tuo nome goffa – puoi rammentarlo? e tu soffi il mio dentro le note di un abbraccio d’amore vellutato. Lo affidi come un dono prezioso alla polvere ocra agli dei che invochi al tuo cielo indiano. Non sono niente – Io A prenderti cura di me sei – Tu. In questo lembo di terra – lebbrosario depennato dalle mappe universali affondato nella speranza stuprata dall’indifferenza della mia specie mi hai contagiato: siamo per un istante acceso – fratelli. 30 *[Serena Rossi è nata in terra leopardiana nel 1984. Ha da sempre una forte passione per la paleontologia, i puz- *[Marino Santalucia fa parte dell’ONG “Emergency” dal 2004. Nel 2010 ha pubblicato la silloge poetica Versi Riversi, zle, i gatti e la neve. Respira musica e divora libri. Con il Giulio Perrone Editore. Suoi testi sono inseriti in diverse antologie (Edizioni Progetto Cultura, Edizioni Ursini, Opposto. racconto “Bluedevil radio’s podcast: free download” ha net, Fusibilia Libri, e Lietocolle Editore). Nel 2011 partecipa a “Teatri di Vetro Festival Ammaro Amore”, alla “Settimana vinto il premio “Patria Letteratura 2014”. Alcuni suoi rac- della Poesia di Eboli” ed alla “Prima Edizione Mare in Vista Cultura”. Nel febbraio 2014 pubblica “Gli angoli del corpo” conti sono stati pubblicati in varie antologie e siti letterari.] edito da Edizioni MontaG nella collana “Le Chimere”.] 31 andrea borrelli vincenzo signoretta Uno scenario urbano, notturno. Andrea Borrelli cammina sotto le luci dei lampioni e dell’ispirazione poeti- Cos’è una prosa poetica? Per noi è anche questo: parlare di cose concrete, attraverso parole quotidiane, ca. Non ci sono altre forme di vita in questo testo, solo il poeta e una foglia che cade. Un cammino a pas- che veicolano però sensi lontani. Parole che fanno segno ad altro da quello che significano: un prosare so svelto, in cerca di riparo, di sicurezze che sembrano perdersi nell’oscurità della notte. In questo percor- poetico che è come viaggiare. Lasciamo che Vincenzo Signoretta ci inviti a prender parte ai suoi viaggi, di so solitario l’autore riuscirà a ritrovare se stesso? La risposta si cela forse negli ultimi versi. là dall’orizzonte dell’uso del senso. IPERBOLE D’ORIZZONTI Iperbole d’orizzonti La luce del vialetto Che stasera ha smesso di vibrare Sceglie fioca l’accomodarsi Alla vista Le persiane basse a metà Sulle facciate sonnecchianti Mi tengono al sicuro E procurano tepore Alle guance inumidite dal vento L’odore del buio a tratti Tra i coni dei lampioni Si rivolge alle mie paure E allontana sicurezze Sterilizzate da un passo ampio La strada elemosina sospiri Ancor prima di distendersi davanti a me per tutta la sua durata Il volo della foglia Disegna silenzi nell’aria E mi riappacifico al momento Riprendo il piglio di un tempo Riapproprio spazi a perdite e fughe. 32 [Maria Carla Trapani] Inverso>>> [Flavio Scaloni] *[Andrea Borrelli nasce in un piccolo paesino della Puglia, affascinato dal mondo della poesia ha collaborato con il Viaggio è questo: un incessante cammino, senza apparente linea conduttiva. Vagando nei legami tra tutto quel che compone il nostro vissuto, e che lo comporrà. Ed è pur sempre anche l’andare a lavoro ed il tornare a casa, in realtà ed in fantasia. E che dire delle sensazioni, che come erranti viaggiano in istanti? Ad ognuna corrisponde una verità o non, che venga mancata o colta. Viaggiamo quando diciamo “Ti Amo” e non di meno, forse di più invero, quando non lo diciamo. Viaggiamo nei silenzi, vagando tra la paura ed incertezza fino a giungere alla spavalderia e la fermezza. Viaggiamo nel parlare, vagando tra cultura e saggezza fino a decadere e risalire. Quanti sono i crinali lungo i quali ci siamo fermati Viaggiando e quanti ne stiamo percorrendo, prima e dopo quelle grandi pianure incontrate e da incontrare. Ed ecco un altro Viaggio, tra modernità e piattume. Adeguato alla cultura presente! Già lo vedo il giusto format: “Viaggio Express - una vita piena di prove”. Magari evitiamo che questa trasmissione venga condotta, e conduciamola. Ci potranno essere interruzioni propagandistiche, ma solo durante questo Viaggio in classe VIP ci si potrà garantire una trasmissione criptata, basterà pagare con il proprio Tempo. Invece in effetti, quanto è bello il Viaggio di ognuno, se fatto a piedi nudi, correndo li dove ormai nessun uomo è giunto prima? Sì. Lì. Nel verde, nel fango, nella sabbia. Saremo sempre tra le braccia di nostra Madre. collettivo Nucleo Negazioni alla creazione di varie raccolte, pubblicate sia in forma di ebook, sia in forma cartacea. Ha partecipato con poesie e racconti a varie antologie e riviste *[Vincenzo Signoretta nasce a Messina nel 75. Da sempre appassionato per la Biologia, a cui si aggiunge la passione (Carrascosa Project, Pastiche, Bibbia D’Asfalto, Six Rules - per Matematica e Informatica in adolescenza. La poesia indirettamente è da sempre presente nella mia vita grazie a mia ma- Universi Narrativi Plastici).] dre. Da quanto scrivo? Molto poco. Solo 3 anni, e solo se penso che sia giunto il momento giusto per farlo...] 33 REdent enzo lomanno Strade, rotaie, ferrovie ... sono quelle che scorrono negli scritti di Enzo Lomanno. Stazioni dei treni intese come punti di arrivo, partenza o tappa intermedia, in un percorso esistenziale all’inizio del quale consapevoli del doverci spogliare di qualcosa, che siano affetti, ritmi, abitudini, ci sentiamo nudi ed inermi di fronte all’incognito. Dove speranza o fine non sono la direzione ma noi stessi, perché come Pessoa diceva: “I viaggi sono i viaggiatori”. E durante questo saluto, l’ultimo a lasciarci perché [Laura Di Marco] STRADE ORE 7.00 Non avermene se ho raccattato merda dalle lusinghe, se, dal per sempre felici d’ossidiana ho scorticato principi edulcorati di sifoni cardiaci e deviatoi. Così, innanzi a me lo stesso binario di sempre Se Le strade, loro amo, quasi come cielo Manifeste, in pozzanghere fuorvianti e fango che lercia respiro. Non avermene se Non credo in te, poiché non l’ho fatto mai Io credo al giusto marciapiede Alle giuggiole asfaltate di quartiere. Al me che ancora brama sui sogni elevati di una ferrovia 34 [Una fermata, mozziconi antichi riversi tra una traversa e l’altra e poco di più] Qui attendiamo il treno tutti, nudi e disarmati Qui siamo la speranza per la prossima stazione o la fine di qualche viaggio in bocca a un capolinea Inverso>>> nell’olfatto risiede il senso più antico e primordiale, è l’odore familiare della propria terra. DELL’AMATA TERRA Dell’amata terra salutai le radici estese Quella forza e quel calore sprofondato nella terra Salutai Salutai senza volto e senza respiro, quel profumo d’albicocco che ancora ornava i miei capelli E Fui l’incudine tra i martelli pesanti, nel distogliermi dal mondo. Fui quell’odore che spesso ci sovviene all’abbandono d’una croce terrena. Fui quell’odore che spesso ci sovviene nell’acre ingiustizia degli agnelli [Sacrifici posti a commiato d’un vivere sereno]. Salutai Salutai la casa con una mano sul cuore nel semplice delle ghirlande estive Attraversando il libeccio che a sud ovest tingeva già di me catrame *[Redent Enzo Lomanno nasce a Moncalieri nel1976 e vive attualmente a Roma. Nel 2012 fonda il movimento Bibbia d’Asfalto (http://poesiaurbana.altervista.org/) insieme ad altri redattori e scrittori del Movimento, promuove diverse iniziative finalizzate alla socialità e all’arte, tra cui la rivista culturale quadrimestrale Bibbia d’Asfalto con la casa editrice Matisklo Edizioni. I suoi testi sono stati pubblicati su vari blog letterari, antologie, riviste specializzate (Pastiche, Versante Ripido, Almax Magazine ed altre). Ha pubblicato con Matisklo edizioni la raccolta poetica “Una Piuma a Babilonia” e “Cicuta” con Terra d’Ulivi Edizioni. Collabora attivamente con 100 Thousand Poets for Change e con altre associazioni.] 35 guido comin PoetaMatusèl Non ci è dato sapere quando incontriamo un’anima affine e decidiamo di condividervi un tragitto della nostra esistenza, quanto lungo sarà quel percorso né chi terminerà prima dell’altro il viaggio, magari per inseguire una nuova emozione o forse perché costretto dall’approssimarsi del proprio epilogo. Questo ci dice Guido Comin, in un contrasto poetico che esprime tuttavia concretezza e razionalità. Si può allora voler bene a tal punto da desiderare di essere al posto dell’altro e pagare in sua vece quell’ultimo inesorabile [Laura Di Marco] INATTESI COMPAGNI DI VIAGGIO, LUNGO O BREVE Ci siamo incontrati per caso: la rotta è la stessa, la meta è forse diversa, chissà? Uno di noi scenderà – prima dell’altro – forse perfino senza arrivare alla fine del viaggio, per avere intravisto magari un volto diverso, che, irresistibile, chiama e richiama, tormenta, attira, tortura. Fermo a terra o su un altro treno. Forse di noi due sei tu che viaggerai più a lungo, chissà? Io di strada ne ho fatta già tanta. Ma intanto tu sai che con me puoi viaggiare tranquilla. E io? Io odio viaggiare da solo! E forse potrei insegnarti qualcosa di questi paesaggi che insieme passiamo. E tu certo potrai insegnarmi ancora di più su paesaggi creduti perduti, no-man’s land che tu dentro bonifichi. Dentro di me. 36 E se, dal mio strano bagaglio, tiro fuori qualcosa di troppo, le parole che scappano sempre, come giovani serpi inesperte da un cesto che incauto ho aperto, tu accoglile con un sorriso, come un fiore o un modesto regalo, mai come un impegno! Possono mordere, è vero, ma senza veleno, ti giuro! Finanche dovessero includere, fra tante scempiaggini, un non inatteso Ti amo. Inverso>>> viaggio, pur consapevoli che nessuno scambio in questo caso ci è concesso. QUALCHE LIBBRA DI CARNE DI SCAMBIO Ascoltami, perché forse dico un’eresia, ma io potrei perfino prendere il tuo posto, cara, su quel maledetto barcone, quel traghetto col biglietto di sola andata, quello che va e poi mai più ritorna, dai monti verso il mare, a precipizio, come una piena del fiume, inesorabile. Ma le regole del gioco non contemplano questa eventualità, insomma dicono che questa eccezione non si può proprio fare. Protesto che le regole sono fatte soltanto per essere infrante, quando davvero occorre. Ma l’arbitro, imperterrito, insiste di no; con l’indice per aria, suona il fischietto. Poi, suonano quel corno, tutti a bordo! Oggi tocca, Amore, a te salpare l’ancora ... *[PoetaMatusèl – al secolo Guido Comin – nasce nel 1951, a Meano di Santa Giustina, un grazioso paesino del Bellunese, tuttora non rovinato dai developers. Dopo una vita trascorsa – svolgendo le attività più svariate – in Germania, Svizzera, Inghilterra e Danimarca, rientra in Italia nel 2000. Riscoprendo la propria lingua natia, abbandona quasi completamente la scrittura di poesie in altre lingue europee, per dedicarsi a componimenti in italiano, con qualche rara incursione nel dialetto bellunese. I suoi primi componimenti poetici risalgono all’infanzia, intorno agli 11 anni; tuttavia, Guido non pubblica il suo primo libro che nel 2014: “I Versi dell’Airone” esce con l’editore Albalibri. Oggi, Guido sbarca il lunario insegnando l’inglese in scuole private. O come portiere di notte in un hotel. Oppure … “Ah l’uomo che se ne va sicuro, / agli altri ed a se stesso amico…” (Eugenio Montale)] 37 il focus di Inverso>>> ONO NO KOMACHI DONA AMATI GUIDO comin ONO NO KOMACHI Scrisse Ki No Tsurayuki, poeta vissuto nel IX secolo, compilatore e prefatore dell’opera antologica Kokinshu: “La poesia del Giappone ha per seme il cuore umano e si espande in migliaia di foglie di parole”. Tra gli autori di questa imponente opera (1100 liriche in 20 volumi), la kaijin Ono No Komachi (kaijin è l’appellativo per gli scrittori di waka, così come haijin quello per scrive haiku) sua coeva, viene indicata, unica donna, tra i Rokkasen (I sei geni della poesia) dell’antico Giappone. Poetessa del primo periodo Heian, ancora annoverata tra i massimi nomi della letteratura nipponica, nei 31 onji (impropriamente sillabe, per noi) che compongono ciascuno dei suoi 118 waka (cinque versi di 5-7-5-7-7) Ono No Komachi infonde con un lirismo profondamente passionale il senso estetico della parola quando natura e vita sono percepite attraverso la sensibilità dell’essere donna. Lo stesso Tsurayuki descrisse la sua poesia come “non priva di un’ingenuità dal sapore antico e di delicatezza”. Tramandata a noi come donna dotata di personalità spiccata, spirito autonomo e dalla bellezza dirompente (tanto che ancor oggi con il suo nome si indicano per antonomasia donne di grande avvenenza), dallo status sociale incerto poiché alcuni la riferiscono dama imperiale, altri concubina di rango, il suo personaggio corre sul filo della leggenda che nei secoli ha contribuito a creare una figura di donna artefice delle proprie scelte, libera, passionale e dai molti amanti, e che seppe condurre scambi poetici epistolari con alcuni grandi poeti suoi contemporanei. Le notizie accertate sulla sua vita sono vaghe e influenzate dalle detrazioni con le quali si confrontò tutta la vita e anche oltre, ma sul finire dell’età della bellezza e della fortuna, ormai sola e in povertà, allontanata dal palazzo imperiale come spesso accadeva alle donne di corte, non più in grado di fascinare gli uomini che la leggenda narra avesse al seguito e con i quali si era misurata anche capricciosamente, la tradizione vuole che abbia composto il suo waka più famoso, intriso di rimpianto per la stagione dileguata, la gioventù, in cui il rammarico per ciò che si allontana sempre più dalla vanità, testimonia più il suo genio letterario che la vita gaudente. Dona Amati 38 Il colore dei fiori è già svanito e io invecchio persa in pensieri vuoti mentre la pioggia cade senza fine Sola e triste sono l’erba galleggiante tagliata alla radice: la corrente più forte mi trascina con sé. Le notti d’autunno dicono siano lunghe: ma se le passi con l’amato, prima che tu possa accorgertene, l’aurora è già sorta. Non sa forse che sono una desolata baia inospitale ove non vegeta la tenera alga? Il pescatore si ostina a venire trascinando le gambe sfinite. Cedendo all’anelito senza fine, verrò a trovarti nella notte; la gente sospettosa non sorveglierà anche il sentiero del sogno. Forse ero assorta in pensieri d’amore quando chiusi gli occhi? Lui comparve. Se avessi saputo che era un sogno non mi sarei svegliata. 39 Dona Amati Guido Comin PoetaMatusèl Un bar maleodorante ancora lontano dalla strada per casa. L’orologio punta le 2, lo stomaco lo sa bene anche senza cognizione delle lancette. La ragazza dietro il bancone fa eco alla canzone che viene su dalla radio, lo fa discretamente, accennando appena qualche nota, sa quanto non sia opportuno canticchiare in presenza di avventori. Non s’è accorta del laccio pendente dal grembiule, questo a beneficio del cucciolotto sotto il tavolino in fondo che lo segue ipnotizzato. La sua padrona produce a voce bassa detrazioni e “Mi raccomando, non uscirtene con nessuno!”. La sua interlocutrice annuisce, pasticcia con poca pietanza adagiata sul piatto ~ io mangio sola fame delusa ~ della pesca giallona mangio anche il nòcciolo sospira un vecchio sente il peso del mondo? ~ melanconia 40 la forchetta nel piatto e intanto non perde un fotogramma dello schermo messo di lato sui vapori dello scaldavivande. I suoi occhi in movimento sincrono con quelli del cane: gli uni sulla TV, gli altri sul movimento del laccio. Addento le patate: non sono buone tuttavia la fame è uno status di basse pretese, e si fa andare bene di tutto. Rigiro con la lingua il boccone a caccia di sapidità ma la pasta molle non mi dà soddisfazione. Poi la ragazza dietro al bancone ride forte scuotendo la testa e i capelli in un fare sudamericano. Anche i denti le brillano. Nel tavolo meno esposto alla luce un vecchio si nasconde al mondo. Inverso>>> VIAGGIO A ROMA IN HAIKU Vola a trecento chilometri/ora il Rosso dei sogni! Roma: svizzeri guardiani di papi e scuri mercanti. Roma: Ostiense non fa eccezione, come ogni stazione. Roma: c’è quasi tutto qua, però manca quella tua luce. Roma: in Piazza di Spagna i cavalli non prestano cuori. Roma: l’Angelo non commenta il barbone che piscia per terra. Roma: scalini di miriadi azalee, une, non trine. Roma: chiunque ti parla, ma in auto, di sicuro, ti uccide! Roma: Fontana di Trevi rinfresca i vecchi pensieri. Roma: zingare dai giovani occhi dolci rubano cuori! Roma: amici inattesi regala vita randagia. Roma: c’è uno che dorme per terra, che nessuno vede. L’Anfiteatro Flavio? Cancella i resti dolce sorriso. Graziosa, ma un po’ primadonna, non vuole foto, sul treno. Roma: fischi di vigili vaticani, gatti e limoni. E, dopo Roma, Mestre non può dare che grande tristezza! 41 Ho sempre sognato di viaggiare vagabondando senza una meta concreta se non quella della vita, della sorpresa, della noia da meditazione, della speranza e dell’aspettativa, del senso di scoperta e di conquista, di sguardi di un secondo, PAOLO CORNACCHIA Lavora con costante studio alla fusione delle due arti primarie che da sempre lo appassionano, la Fotografia e la Pittura. Ad oggi esiste una svariata e multitematica raccolta di opere ricche di emozioni che si trasformano subito in una visione sempre più poetica ed empatica. Le opere partono da suoi scatti fotografici ai quali lavora in post produzione senza alterarne la composizione ma con l’intento di esasperare l’emozione di fondo. Sviscera le angosce dell’essere umano, le burrasche emozionali i conflitti, le bugie, i contrasti che risiedono nell’anima e nel cuore di chi osserva e si lascia trasportare, senza inibizioni, dai suoi lavori. Ecco allora che tutte le nostre intime emozioni prendono vita lasciandoci “avvolgere” da questo vortice emozionale che il soggetto ci mostra senza veli, senza tabù e senza quella patina di perbenismo e buone maniere che ci vengono imposti dalla società moderna opprimendo le emozioni e le passioni, anche quelle che nascondiamo a noi stessi. Instante>>> Instante>>> conversazioni di un minuto senza il tempo per i tradimenti e per le fedeltà sofferte, doverose, assaporando già il gusto di un malinconico e sognante addio senza rancori, solo luce negli occhi prendendo un altro treno, magari un treno merci, al volo, come Woody Guthrie. Per questo, forse, non riesco a legarmi, a prendere impegni, a programmare. Aspetto sempre un treno, uno sguardo, un gesto, un’occasione che mi porti via, che mi porti dove devo arrivare. Non è il gusto del nuovo, non la voglia incontrollata di provare, ma un senso di non appartenenza, un senso di non piena approvazione, un istinto da non spiegare che porta il mio sguardo a vagare altrove. Così mi autocondanno a un nomadismo mentale per mantenermi vivo, per salvarmi e non soffocare in questo mare denso di viscose ideologie e superficiali e facili verità parziali. In fin dei conti son fotografie… Pietro Bomba *[Paolo Cornacchia vive a Genova. Diplomato all’ Istituto Statale D’Arte di Chiavari e laureato all’Accademia Ligustica di Belle Arti, vive come passione le arti visive. Oggi lavora come stilista del capello e riversa la sua creatività nei colori, nelle forme e nei volumi. Ha un salone a Genova (Willy’s Art).] 42 43 Instante>>> 44 <<<InstantE 45 <<<InstantE erica CANEPA Instante>>> Sono sempre stata attratta dalle persone, in treno, sedute vicino a me. Portatori di storie tenute nascoste, ma qualche volta suggerite da piccoli dettagli. Pendolari, viaggiatori, turisti. Li colleziono da anni, cerco di indovinare il loro viaggio senza mai rivolgere loro la parola, fotografandoli silenziosamente con il cellulare. *[Erica Canepa is an Italian freelance documentary photographer and video maker. Coming from a rich background in art (BA in Art Restoration) and intercultural learning, she has graduated with a MA in Photojournalism (merit) from the University of Westminster (London) in 2011. Mainly focusing on long term projects, she is particularly passionate about daily life stories that examine the human condition. Her work has appeared in several publications, among them National Geographic (USA), The Washington Post, Internazionale, Marie Claire (Australia), 6mois, La Stampa, Fanpage.it and it has been exhibited in London, Germany and in various cities in Italy.] 46 47 Instante>>> Inmobile>>> “Partire è un po’ morire rispetto a ciò che si ama poiché lasciamo un po’ di noi stessi in ogni luogo ad ogni istante. È un dolore sottile e definitivo come l’ultimo verso di un poema... Partire è un po’ morire rispetto a ciò che si ama. Si parte come per gioco prima del viaggio estremo e in ogni addio seminiamo un po’ della nostra anima.” (Edmond Haracourt) 48 49 Il viaggio è inteso come distacco, da una parte, e ricerca nonché scoperta di ciò che è altro e diverso, molto spesso, dall’altro. Il fascino e l’ebrezza permeate da un senso di paura, anche e soprattutto del non ritorno, percorre il nostro modo di vedere e sentire il viaggio. Partendo, appunto, da un viaggio fisico e passando ad uno interiore, credo che la spinta della conoscenza di luoghi nuovi e diversi e sempre meglio di noi stessi possano far parte di uno stesso viaggio. Il viaggio della memoria, poi, acuisce quel senso di perdita ma allieta le giornate più cupe, perché quel che è stato non sarà più ma permette di vivere il viaggio del presente e di ricordare, anche con una sottile vena di ma- 50 linconia, il vissuto. La valigia, o il bagaglio, che ognuno di noi si porta dietro raccoglie le cose più preziose ed indispensabili per distinguere la nostra persona dalle altre. Al check-in di un qualsivoglia aeroporto siamo assaliti da file interminabili di valigie, sacchi, zaini e borse di ogni colore e fattura e sono proprio quelli che ci contraddistinguono, così come il nostro proprio e personale modo di essere nel percepire la realtà che ci circonda. Un viaggio di conoscenza e di confronto che automaticamente diventa motivo di crescita ed ampliamento del proprio bagaglio interiore. Uno degli artisti che, a mio modo di vedere, propone il Inmobile>>> LAST MINUTE /IMMEDIATE BOARDING SARA LOMBARDO viaggio nelle diverse sfaccettature è Jean-Michel Folon, di cui quest’anno ricorre il decennale della morte, che col suo omino con la valigia rappresenta ciò che di più avventuroso e apparentemente passeggero e libero ci possa essere. Un emblema della libertà e della conoscenza, passando da dune desertiche a cieli fantastici costellati da arcobaleni, albe e tramonti onirici, sino ad arrivare alle navi solitarie che lasciano solchi in mari su rotte mai battute. Il simbolo di un viaggio eterno e incessante alla ricerca di se stessi. Figure sempre uguali: uomini corposi con trench, cappello e valigia con il loro sguardo perennemente fisso all’orizzonte, verso quell’orizzonte infinito e fantastico, vivo e immobile e molto spesso irraggiungibile. Utilizzando poi la tecnica dell’acquerello, previlegiando colori tenui e sfumati, il tutto risulta maggiormente evanescente e onirico. Un linguaggio universale del viaggio, che l’artista ha cercato di raccontare per tutta la sua vita e a cui in Italia (Firenze – 2005) ha dedicato il suo ultimo viaggio terreno, quantomeno. Il viaggio quindi viene percorso nelle diverse declinazioni in cui uomini ed animali lo affrontano nel corso della loro esistenza. Dalla visione del viaggio in senso universale (uomo-cittadino del mondo di Folon), si passa ad un viaggio fisico e simbolico, in cui gli oggetti stessi del viaggio assurgono a simboli, al mezzo – il mare – attraverso il quale si affrontano viaggi, proseguendo, poi, ad un viaggio alchemico ed onirico, per poi passare al viaggio periodico degli animali da un territorio ad un altro esaltando il contesto naturalistico in cui pascolano, sino ad approdare sulle coste di quel viaggio interiore che ognuno di noi compie al fine di conoscere sé stesso e poter essere “sé stesso”, su questa terra. Pagina 50: Jean-Michel Folon, Partir, 2001. Sotto: Jean-Michel Folon, La Hulpe. Jean-Michel Folon, L’homme et son ombre. 51 Inmobile>>> <<<Inmobile STUDIO AZZURRO – Il Viaggio – video-ambientazioni per immagini a RX - 1992 FRANCO LOSVIZZERO – 11.11.11 Il giardino dell’Eden Un incessante rullo trasportatore scorre di fronte allo sguardo dello spettatore sempre uguale nel movimento, eppure diverso. Analiticamente si ispeziona attraverso la valigia ciò che ognuno porta con sé per il “proprio” viaggio. Oggetti apparentemente usuali diventano anche metafora e spiegazione del viaggio di ognuno di noi. Come riferiscono gli artisti: “Quasi sempre il viaggio esprime un desiderio profondo di cambiamento interiore, un bisogno di esperienze nuove o di ritorno alle origini. Ma questo è un viaggio alla rovescia, un viaggio capovolto. Non sono le persone a partire, ma gli oggetti: simboli, desideri, ricordi che se ne vanno. Le immagini ai raggi X fluiscono ininterrottamente dentro gli schermi, fredde e incisive. Gli oggetti scorrono e, insieme a loro, sono incubi, obiettivi, speranze, ognuno con il suo alone di esperienza umana, ognuno con il suo alone di storia, forse la nostra.” Il video è stato presentato per la prima volta al Festival di Video-arte curato da Bruno Di Marino al Gran Teatro Volksbühne di Berlino nel 2011, e rappresenta un viaggio performativo-metafisico nel Fatzer (testo non finito di Bertolt Brecht) e nella natura dell’Orto Botanico di Roma in una performance che ha avuto luogo alle 11 del mattino dell’ 11 Novembre 2011. L’Orto Botanico è un giardino alchemico, creato nel ‘700 da Cristina Di Svezia - Madrina delle arti e dell’esoterismo. Il coniglio bianco è il simbolo, non solo per Franco Losvizzero, del passaggio oltre la soglia del concreto, nel mondo delle meraviglie, dei sogni, dell’arte. La regina Mab è una citazione del monologo di Mercuzio in “Giulietta e Romeo” di William Shakespeare, ove la fata si fa beffa dei sogni e dei loro creatori. Il Giardino dell’Eden è il luogo dove finisce e riparte un’era; questo viaggio alchemico e fantastico getta i prodromi di una nuova era: quella del Coniglio Bianco e del nuovo panorama interiore a cui Losvizzero si ispira: “l’Inconscio En Plein Air”. h t t p s : / / w w w. y o u t u b e . c o m / watch?v=-YWFtHBNVkU RESILIENZA (Clarissa Baldassarri e Iacopo Pinelli) – Il Viaggio – performance – 2015 FABRIZIO PLESSI – Mari verticali – 54ª Biennale di Venezia – 2011 – Giardini/Padiglione Venezia Il viaggio ideato dagli artisti Clarissa Baldassarri e Iacopo Pinelli in arte “RESILIENZA” (https://www.youtube.com/ watch?v=UpLnysLW6bw) si svolge all’interno di una struttura di ridotte dimensioni che costringe i protagonisti a muoversi all’interno di spazi angusti, chiusi da pareti semitrasparenti che trasudano ombre solitarie. Ombre vaganti alla ricerca di altre ombre per acquisire una identità; quasi a volerci ricordare che ogni singola identità è insignificante senza il confronto con le altre. L’opera degli artisti vuole essere la metafora del mondo contemporaneo che costringe ogni individuo in spazi sempre più limitati e limitanti, che amputa il desiderio di libertà. Un mondo che è possibile cambiare soltanto con il confronto e la disponibilità all’accettazione della diversità di ogni singolo individuo. Attraverso il viaggio che si conclude con l’incontro, l’umanità tutta potrà vincere la sfida della sopravvivenza in questo fantastico, unico e fragile pianeta che è la terra. Il Padiglione Venezia della 54ª Biennale di Venezia è completamente dedicato all’opera di Fabrizio Plessi (riconosciuto come uno dei più grandi video artisti internazionali) Mari Verticali. All’interno del Padiglione sono posizionate le installazioni digitali che proiettano un grandioso concerto di acque in continuo movimento. Così definisce l’artista le opere esposte: “Gigantesche imbarcazioni di acciaio nero emergono verticali dall’oscurità e invadono l’intero spazio che le accoglie. I mari del mondo, racchiusi ognuno nella propria chiglia scura, si agitano fragorosamente ai nostri piedi, sonori evocativi di risacche e onde lontane si mescolano e si intersecano nella diafana spazialità dell’ambiente circostante. Un grandioso ed emozionante concerto d’acqua vive in perenne movimento e in continua fluida mutazione. L’antica saggezza dell’uomo e l’artigianato si fondono con la tecnologia più avanzata in una perfetta simbiosi tra presente e futuro. Tutto è pronto per salpare su queste Arche di Noè elettroniche che si protendono verso il cielo per noi, increduli ed attoniti aborigeni digitali della contemporaneità”. Il Mare rappresenta il mezzo attraverso il quale si può compiere un viaggio ed il fluire incessante dell’acqua, metaforicamente, rappresenta il fluire della nostra coscienza e della nostra esistenza nel viaggio della vita. h t t p s : / / w w w. y o u t u b e . c o m / watch?v=-MCosujAxTg https://www.youtube.com/ watch?v=AVStkwGT9OQ 52 h t t p s : / / w w w. y o u t u b e . c o m / watch?v=-YWFtHBNVkU 53 Incontro>>> Inmobile>>> LUIGI PINTACUDA – Transituum - videoinstallazione in 3 schermi - 2010 Transituum (dal latino trans-situum - oltre i luoghi), è una videoinstallazione progettata per l’Ex Convento dei Padri Cappuccini di Geraci Siculo. L’idea dell’artista è quella di leggere il paesaggio di Madonita del Comune di Geraci Siculo attraverso il viaggio che ogni anno, in maggio, porta gli animali a trasferirsi dai pascoli di marina a quelli di montagna per affrontare l’estate. La Transumanza diviene occasione per scoprire la montagna e allo stesso tempo rivalutazione di un territorio ricco di potenzialità non ancora conosciute ai più. All’interno dei video gli animali passano, transitano, attraversano il paesaggio la cui presenza ne diventa una chiave di lettura, fenomenologia delle tracce e della vita del territorio, contrappunto alla quiete della grande montagna. Questo singolare video in cui si rappresenta il viaggio non umano ma “animale” associato all’accezione di transumanza, migrazione stagionale delle greggi, delle mandrie e dei pastori, propone un diverso senso del viaggio più naturalistico e rurale, quello della scoperta di un territorio poco frequentato dagli umani. h t t p s : / / w w w. y o u t u b e . c o m / watch?v=82cEmlGYEfs ADRIAN TRANQUILLI – Know yourself – video - 2002 Artista conosciuto per i suoi supereroi calati in un contesto sociale “normale”, privi di superpoteri al pari di noi umani. In questo video, appunto, un super eroe solitario riflette su se stesso. Il lato umano del protagonista emerge con tutte le sue debolezze e insicurezze; rimane una sola traccia del suo essere un personaggio forte e coraggioso, ossia la maschera, che ne cela l’identità. Il suo lato terreno non è più nascosto; lui ci appare fragile, poiché ormai allo scoperto da armature e corazze. L’uomo mascherato viene ripreso in luoghi diversi, eppure lui è impassibile, astante sempre uguale nel tempo e nello spazio alla ricerca del suo vero “io”. Salutiamo Silvia Lombardo e Tiziana http://www.adriantranquilli.com/ site/?p=272 Capocaccia, due amiche di lungo corso che condividono l’interesse e la passione per la poesia. Giornalista e autrice la prima, psicologa Courtesy of the artist - All rights reserved la seconda, Silvia e Tiziana hanno recentemente dato vita sul web al progetto “Poesia – Terapia” (https://www.facebook.com/poesiaterapia/ ). Le incontriamo per discutere di questa iniziativa. 54 55 <<<InContro Incontro>>> Diwali incontra Poesia – Terapia In cosa consiste la vostra iniziativa? L’idea alla base di Poesia-Terapia è semplice: l’arte in generale, e la poesia in particolare nel nostro caso, possono avere un grande potere terapeutico: perché non permettere allora alle persone di attingere a una fonte che produce immagini con versi ad hoc, grazie ad una sorta di “bugiardino-post” che non ha, ovviamente, pretesa di sostituirsi a una vera terapia, ma che vuole essere un invito a riflettere attraverso dei versi selezionati, attraverso la poesia che è parola esatta, scelta con la massima attenzione, per esprimere un determinato pensiero. La nostra idea nasce, non a caso, come pagina social, un ambiente che permette la condivisione e la circolazione delle idee, partendo anche dal piccolo, da un singolo individuo. Fra le nostre immagini, infatti, ci sono spesso anche le poesie dei lettori, scritte magari in momenti difficili e terapeutiche anche per il solo motivo di essere state messe su carta. Su quali basi vi muovete per stabilire questo connubio? Il binomio poesia-terapia implica l’attribuzione di un potere curativo alla parola poetica. I versi poetici racchiudono significati che trascendono il senso dei singoli termini utilizzati. Le parole assumono valore di simboli. Questo permette al poeta di muoversi lungo una linea di confine, tra realtà e immaginazione, tra coscienza e inconscio. La parola poetica permette di racchiudere significati che vanno oltre il linguaggio della razionalità, accedendo alle immagini, a quanto è indicibile, accedendo all’inconscio come fanno i sogni. Il valore terapeutico della poesia è riconosciuto nella psicologia. Tra le cosiddette arti terapie, che utilizzano tecniche 56 creative nei percorsi terapeutici, troviamo anche l’utilizzo della scrittura poetica e della lettura di poesie, con finalità di consapevolezza e supporto alle emozioni e all’intelletto. La poesia diventa uno strumento per la crescita ed il benessere psicologico di una persona. Siete partite da un vostro comune sentimento o vi rifate a una letteratura teorico-scientifica? La pagina nasce da un desiderio di divulgare l’importanza dell’utilizzare, tra altre attività creative, anche la poesia come canale di conoscenza di sé, poiché la consapevolezza di se stessi, riuscire a essere chi veramente siamo, è fondamento necessario per il benessere. Tuttavia, a supportare l’idea che la poesia abbia un suo valore terapeutico sia nella sua forma attiva, di scrittura di versi, sia nella lettura di versi scritti da altri, ci sono numerose ricerche. Ad es. nel testo “Tempi di vita e spazi di Poesia” (Clara Capello , Barbara De Stefani , Fabrizio Zucca) troviamo percorsi di ricerca legati all’uso della poesia in alcuni contesti particolari: la malattia e la vecchiaia. Il lavoro degli autori porta la poesia nell’indagine scientifica dove si fa analisi e riflessione di alcune condizioni di vita particolari. Quali sono i criteri di selezione dei testi che pubblicate? Ogni giorno selezioniamo versi particolarmente indicati per un’ampia gamma di problematiche assai frequenti: dal lutto all’abbandono, dalla timidezza alla difficoltà di relazionarsi con gli altri, dalla solitudine alla depressione. Ma anche versi espressione di felicità, che aiutino ad assaporare meglio ciò che di positivo ci sta accadendo. Accanto a questi versi, si affiancano i versi che ogni giorno ci inviano il pubblico e che ci regalano, talvolta, bellissime sorprese. e delle immagini? Questa domanda ci fa particolarmente piacere: si potrebbe pensare che le immagini vengano scelte solo e unicamente come commento al testo. In realtà cerchiamo anche di utilizzare qualcosa che predisponga alla comprensione e assimilazione delle parole sovraimpresse: dai colori, alla composizione visiva, al soggetto ritratto nulla è lasciato al caso, ma scelto sempre con l’occhio attento di Poesia-Terapia Ci sono autori che prediligete? Spaziamo molto, ma probabilmente tendono a essere più ricorrenti autori dissacranti quali Alda Merini, da noi molto amata, o autori contemporanei meno conosciuti dal pubblico: doppia occasione quindi per cogliere un momento terapeutico di benessere e di conoscenza di una nuova penna. E poi ci sono sempre i classici, amati da tutti e magari da rileggere sotto la luce nuova di un approccio terapeutico. A quale pubblico vi indirizzate? Avete un target di lettori in particolare? Ovviamente più facile che approdino da noi poeti e amanti della poesia. Ma il pubblico è, con nostra somma felicità, eterogeneo: sarebbe splendido se tutti riuscissero 57 InDICAZIONI>>> InContro>>> a mettersi in contatto con il mondo della poesia, magari partendo proprio dalla scoperta delle sue possibilità terapeutiche. Qual è il vostro modus operandi? Vi siete date delle regole per quanto riguarda la frequenza di pubblicazione, le piattaforme di diffusione, etc? Stiamo partendo facendo un piccolo passo alla volta. La nostra pagina fb viene aggiornata quotidianamente con una media di 5-6 immagini terapeutiche al giorno. Ci atteniamo anche un po’ al calendario: celebrazioni di eventi particolari, gioiosi o dolorosi ma condivisi da tutti, ci portano spesso a creare delle immagini ad hoc, com’è stato 58 ad esempio per la ricorrenza della morte di Pasolini o per l’11 settembre. Ma anche per il “semplice” inizio dell’autunno, di una nuova stagione che ci porta, anche inconsciamente, a fare bilanci ma soprattutto nuovi programmi e buoni propositi a volte caricandoci di entusiasmo, a volte pretendendo troppo da noi stessi. Il pubblico della rete come sta rispondendo a questo progetto? Avete già avuto dei feedbacks? Il “pubblico” è stato inizialmente quello degli amici più stretti cui abbiamo presentato questo nostro progetto e sta pian piano crescendo “genuinamente”, portato dalla nostra passione e dall’interesse di chi decide di seguirci. Un feedback importante sono anche gli invii di poesie da parte dei poeti stessi che dimostrano interesse anche a questo “utilizzo” della poesia, oltre ovviamente alle condivisioni dei post. Quali sono i passi successivi che intendete intraprendere? Pensate di estendere il progetto ad altre piattaforme o organizzare delle iniziative sul territorio? Al momento stiamo implementando un piccolo blog https:// curaletteraria.wordpress.com/ dove trattare l’argomento poesia e terapia in maniera più estesa, anche con articoli specifici scritti da Tiziana o da altri autori specializzati che, di volta in volta, inviteremo a pronunciarsi sull’argomento. Ovviamente non solo psicologi e psicoterapeuti, ma anche poeti. Ma il nostro piccolo sogno nel cassetto a cui stiamo lavorando è esportare il tutto off-line, partendo da incontri terapeutici – in librerie, sale da tè, centri culturali etc - con reading per parlare più a fondo di argomenti specifici e fare quello che sui social non si può fare e che è a volte la cosa più terapeutica di ogni altra: creare nuove occasioni di incontro dal vivo fra esseri umani. Il viaggio per il quale siamo chiamati all’Imbarco Immediato vede un nuovo pilota alla guida del mezzo supersonico che ci condurrà attraverso i vasti orizzonti della letteratura. Siamo lieti di aprire con questo numero la collaborazione con Antonella Rizzo, poeta e performer di fine sensibilità e dalla penna acuta e prolifica. Ci auguriamo che i nostri lettori apprezzino come noi le proposte di lettura di Antonella. Flavio Scaloni 59 <<<InDICAZIONI InDICAZIONI>>> Cammino orgogliosa per la mia strada di Wallada Bint Al-Mustafki Una vera rarità l’ultimo nato in casa Fusibilia Edizioni: “Cammino orgogliosa per la mia strada” di Wallada Bint Al-Mustafki, traduzione a cura di Claudio Marrucci con un saggio di Antonio Veneziani. Principessa e poetessa araba (994 d.c.-1901 d.c.) e appartenente alla nobile dinastia degli Omeya che aveva conquistato l’Andalusia, non si sposa per un desiderio innato di indipendenza e crea un cenacolo di poesia frequentato da sole donne tanto da essere chiamata la Saffo andalusa. Spogliandosi dalla prescrizione del velo e dai pregiudizi di ogni sorta vive amori passionali e impudici, immortalati in versi suoi e delle sue allieve che suonano come editti di passionalità e autodeterminazione. La sua figura, un’icona in terra di Spagna, era sconosciuta in Italia e in Europa fino a che lo scrittore e ispanista Claudio Marrucci ne scopre l’esistenza da un vecchio libro scovato tra le bancarelle di Madrid. La raccolta poetica è un miracolo apocrifo vissuto a cavallo tra il primo e il secondo millennio dopo Cristo, quando le profezie nefaste condannavano l’uomo alla totale estinzione. E come i fiori nel deserto, rabbiosi e superbi tentativi della natura di sopravvivere alla mancanza di nutrimento così si affermano i flussi di coscienza più potenti, quelli comuni ai mistici o alle prostitute sacre del mondo pagano. Ci sono uomini e donne che trasportano il soffio della vita e avvertono come predestinato il compito di tracciare sentieri e patrocinare ribellioni, consci dell’eccezionalità della loro missione. Ebbene, Wallada è una di quelle donne sfuggite alla sottomissione tribale della cultura della dominanza. Epicurea nella convinzione di assomigliare alla divinità da cui viene creata per mezzo della carne e non dal soffio vitale dello spirito, ella rinnova con la sua modernità senza 60 Palazzo e il nostro mondo. Persino nelle descrizioni esplicite delle parti intime e del loro florilegio passionale non si avverte traccia di prosaicità, di esibizionismo. Wallada e le sue donne, allieve liberate e istruite alla pratica poetica sono una perla rara nella letteratura femminile di tutti i tempi e la loro scoperta ha una valenza estremamente importante sul piano culturale, filologico, storico e sociale. L’intuizione di Claudio Marrucci, ispanista eccellente, di approfondire una scoperta confinata al solo territorio di appartenenza e la cornice preziosa in cui Antonio Veneziani incastona e contestualizza l’opera rappresenta un’operazione culturale di prim’ordine. Poche ma significative liriche che testimoniano la presenza di un livello superiore di coscienza che si sgancia dalla morale comune per affiorare, a dispetto delle norme coercitive del despota di turno, in ogni epoca. Antonella Rizzo tempo l’antitesi luciferina dell’angelo bello e carnale. Ma stavolta, senza strisciare col ventre sulla nuda terra per avvertirne l’eros vivificante la principessa si mostra fiera del suo incedere, a testa alta sottolinea, in un groviglio di popoli e di efferatezze, di opulenza e di mortificazione. Mi pare una Sarajevo prebellica questo melt’in pot di razze e religioni, uno scenario dal controllo precario ma dal fascino meticcio della contaminazione, questa Andalusia dai seni esposti e labbra turgide, una libertà consumata senza pudore nel recinto temporale di un gineceo dove l’opera pedagogica della poetessa araba ha il fine della condivisione e della continuità. Non ci è dato sapere la vera natura dell’indipendenza di questa donna straordinaria, la sua opera mantiene nei versi raffinati e ipnotici quel riserbo iniziatico che segna un limite ideale tra la porta del TITOLO Cammino orgogliosa per la mia strada AUTORE Wallada Bint Al-Mustafki A CURA DI Claudio Marrucci EDITORE FusibiliaLibri PREZZO DI COPERTINA 13,00 € PAGINE 120 ISBN 9788898649204 61 <<<InDICAZIONI InDICAZIONI>>> Tutto così regolare, tutto così prevedibile di CLAUDIO GIOVANARDI È in libreria l’ultimo libro di narrativa di Claudio Giovanardi “Tutto così regolare, tutto così prevedibile”, una serie di racconti per la casa editrice Manni che segue di due anni la pubblicazione di “Mamma ricordi” per le stesse edizioni. Giovanardi è un intellettuale romano, Professore Ordinario di Linguistica Italiana presso l’Università Roma Tre, ateneo della capitale. Ha al suo attivo decine di pubblicazioni accademiche sulla lingua italiana e tiene conferenze nelle sedi culturali più prestigiose in Italia e all’estero. Il volume supera brillantemente il confronto con la precedente pubblicazione, nonostante la differenza dell’impianto narrativo e la caratteristica di aulicità che connota invece “Mamma ricordi”. Anche in questo caso il lettore può comprendere empiricamente la linea di demarcazione tra una pubblicazione di facile successo editoriale e un’opera di Letteratura vera e propria. Si ritrova, qualità sempre più dismessa, il segno distintivo dello scrittore di razza che sa tracciare con intensità anche scenari di ordinaria amministrazione: verità conclamate, incertezze cosmiche, tentativi di fuga, sentimenti profondissimi, disincanto. Tutto ciò che lo scibile umano per una volta si trova ad affrontare è racchiuso in parole-gioiello, costruzioni perfette ma fuori dalla rigidità del purista. Un lavoratore accademico atipico definirei lo scrittore, colui che non immagazzina concetti cattedratici ma che vive una dimensione sociale di testa, carne e sangue, come un organismo animale che si riproduce attraverso il rilascio delle conoscenze: questa è la Cultura. Rischio la retorica affermando che è facile commuoversi durante la lettura ma non è il sentimento a basso prezzo che inchioda il raziocinio ma il paradosso continuo, tenero e letale della quotidianità, i desideri abortiti, la pantomima dell’assurdo, la felicità felliniana e giostraia che fanno precipitare le inibizioni e ci procurano quel sottile e piacevole 62 ennui che tanto occorre a farci sentire vivi. Si percepisce la sensazione dell’assenza di un tempo cronologico nelle descrizioni, nulla è prima o dopo ma gli avvenimenti sembrano frutto di una inevitabile e rassegnata sincronicità degli eventi che si rivelano invece di manifestarsi. Tutto questo grazie al ritmo equamente ripartito dei periodi cesellati ad arte che mantengono in questo modo costante la tensione narrativa anche in assenza di dialoghi. La parola si fa estetica della vita in tutta la sua potenza medianica ed assolve il suo compito privilegiato: quello di evocare, curandera dei nostri giorni, la Bellezza in una dimensione esistenziale laica altrimenti priva di senso. Un costrutto sostenuto da un’abilità scontata per le competenze del romanziere ma sorprendente per la profondità dell’uomo, che si rivela in uno specchio lacaniano senza connotazione di bene e di male ma piuttosto nella sensualità dell’animale notturno che trasgredisce per coerenza al proprio destino biologico, quindi senza traccia di colpevolezza. L’infanzia, una goccia d’acqua persecutoriamente kafkiana, la donna e uno stralcio di cielo, tutto rappresenta la speranza e nel contempo il rifiuto aristocratico del vivere quotidiano: una dimensione autentica e struggente preclusa agli occhi curiosi della folla che non si accorge della complessità dell’anima e crede che tutto sia così regolare, così prevedibile. Uno dei libri migliori che io abbia letto. Antonella Rizzo TITOLO Tutto così regolare tutto così prevedibile AUTORE Claudio Giovanardi EDITORE Manni PREZZO DI COPERTINA 12,00 € PAGINE 134 ISBN 978-88-6266-656-5 63 InCHINA>>> Mario lucio -themarius- falcone in omaggio a Parigi 64 65