Incontri biblici del Giovedì Chiaroscuri tra Abramo e Dio

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Incontri biblici del Giovedì Chiaroscuri tra Abramo e Dio
BASILICA PARROCCHIALE S. FRANCESCO
P.ZA S. FRANCESCO ALLA ROCCA N.6
01100 VITERBO
Incontri biblici del Giovedì
Chiaroscuri tra Abramo e Dio
Tel.: 0761-341696
Fax: 0761-347287
Sito Web:
www.sanfrancescoviterbo.
Scheda n.13
Ricavata da vari testi di Gianfranco Ravasi
Chiaroscuri tra Abramo e Dio
18: Intercessione di Abramo
In Gn 18 c’è il bellissimo dialogo tra Abramo che intercede e Dio. È una vera preghiera dell'intercessione. Nella lettura cerchiamo di vedere il crescendo: Dio è pronto a perdonare in qualsiasi maniera a Sòdoma, è pronto a perdonare se ci sono cinquanta giusti, se ce ne sono quarantacinque, quaranta, trenta, venti, dieci, in una progressione scalare, quasi verso lo zero. Basta
che ci sia soltanto una scintilla e Dio è pronto sempre a perdonare.
Attraverso la figura di Abramo si presenta davanti a noi colui che intercede, come se fosse un grande parafulmine: è il giusto
che si presenta davanti a Dio, facendo quasi affiorare dal cuore di Dio la misericordia. Ma alla fine Dio deve lasciar libero corso
alla giustizia. Il Dio della promessa, il Dio dell'amore, è anche il Dio inesorabile. Il Dio troppo facile, comodo che riproduciamo secondo le nostre istanze e le nostre esigenze, rivela, quando noi non lo desideriamo, anche il suo volto serio. E di questo
volto serio dobbiamo aver paura, come avrebbero dovuto aver paura i figli di Sòdoma.
19: Distruzione di Sodoma e Gomorra
E perciò giungiamo alla notte del giudizio che è rappresentata in maniera altamente drammatica. Dio rivela anche il suo volto
terribile, implacabile, inesorabile. Leggiamo nel cap. 19 della Genesi il crudo episodio scatenante la distruzione delle due città:
«I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot, il nipote di Abramo, stava seduto alla porta di Sòdoma. Non
appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. E disse: "Miei signori, venite in casa del
vostro servo: vi passerete la notte, vi laverete i piedi e poi, domattina, per tempo, ve ne andrete per la vostra strada".
Quelli risposero: "No, passeremo la notte sulla piazza". Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa.
Egli preparò per loro un banchetto, fece cuocere gli azzimi - il pane del deserto sulle lastre di pietra scaldate - e così mangiarono. Non si erano ancora coricati, quand'ecco gli uomini della città, cioè gli abitanti di Sòdoma, si affollarono intorno alla casa
- siamo nella notte fonda - giovani e vecchi, tutto il popolo al completo. Chiamarono Lot e gli dissero: "Dove sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi, perché possiamo abusarne!". Lot uscì verso di loro sulla porta e,
dopo aver chiuso il battente dietro di sé, disse: "No, fratelli miei, non fate del male! Sentite, io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; lasciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace, purché non facciate nulla a questi uomini, perché - il principio della santità dell'ospite è totale, il delitto sommo è questo: fare del male all'ospite - sono entrati all'ombra del
mio tetto". Ma quelli risposero: "Tirati via. Quest 'individuo è venuto qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te
peggio che a loro!". E spingendosi violentemente contro quell'uomo - cioè contro Lot - si avvicinarono per sfondare la porta.
Allora dall'interno quegli uomini sporsero le mani, trassero in casa Lot e chiusero il battente; quanto agli uomini che erano
alla porta della casa, essi li colpirono con un abbaglio accecante dal più piccolo al più grande, così che non riuscirono a trovare la porta».
E’ una notte drammatica, che ricorda la famosa notte della violenza alla donna, moglie del levita, raccontata in Gdc 19. Un racconto macabro, che ci fa pensare spontaneamente al peccato di «sodomia». Però dobbiamo chiarire il tutto.
Per lo scrittore della Bibbia e per l’orientale in genere, il peccato di Sodomia ha una valenza molto più complessa che per noi
moderni.
Il peccato di Sodomia è il delitto peggiore non primariamente per l’aspetto sessuale, ma perché coinvolge una duplice problematica per così dire verticale ed orizzontale, molto ben compresa dal pio ebreo. E’ verticale perché si pecca contro Dio cercando di violentare gli ospiti.
Noi non possiamo cogliere un'allusione che invece i lettori di allora raccoglievano. Nell'interno dei santuari pagani, cioè cananei, oltre alle prostitute sacre, che si riteneva trasmettessero il fluido divino della vita, c'erano anche quelli che la Bibbia chiama
i kelavìm, cioè «i cani», un termine spregiativo. Erano alcuni sacerdoti pagani prostituti, i quali avevano la funzione di assicurare, attraverso rapporti omosessuali, la forza magica della divinità. Il giudizio di Dio, in questa pagina biblica, non tanto va
riferito su la questione sessuale, ma su la questione di fondo, cioè di idolatria, in altre parole contro la scelta di un'assurda divinità, la scelta di un'idolatria folle.
Inoltre il delitto ha anche una dimensione orizzontale, la violazione del rispetto dell' ospite, in quanto violazione della giustizia e della carità, poiché richiesto dall’alleanza tra Dio e l’uomo per il rispetto dei più deboli. Per questo il giudizio di Dio si
scatena, perché l’ospite è sacro.
Basilica Parrocchiale S. Francesco
P.za S. Francesco ALLA Rocca n.6
- 01100 Viterbo
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Ed ecco la scena terminale della distruzione di Sòdoma. Di questa città si aveva un ricordo antichissimo relativo ad un cataclisma. Di fatto si trovava sulla costa sud-occidentale del Mar Morto, ora paesaggio completamente lunare, tutto avvolto nel sale,
con sprofondamenti dovuti anche alla situazione geologica della zona. È una scena lugubre, quella del giudizio, un segno inesorabile: il segno dello zolfo, il segno quasi di un fungo atomico, quello che si leva da Sodoma.
L'archeologia ci dice che quest'area non fu più abitata a partire da circa il 1900 a.C. Ciò si deve forse a questa catastrofe, provocata probabilmente da un terremoto e dall'esplosione di gas. Ora le basse acque meridionali del Mar Morto coprono le città.
Niente poteva salvarle dal giudizio di Dio, anche se per amore di Lot egli risparmia Zoar e tramanda il cataclisma fin quando
Lot sarà in salvo. «Fuggi là, perché io non posso far nulla, finché tu non vi sia arrivato» (19,22). La moglie di Lot parte di malavoglia, si ferma per guardare e muore. Secondo la tradizione locale alcune colonne di sale situate vicino al Mar Morto portano
il suo nome.
20: Abramo e il re Abimelech
La ripetizione del medesimo peccato in circostanze simili non fa necessariamente di questo passo un duplicato di 12, 10-20.
Abramo non è stato l'unico a mancare due volte di fronte a coloro che egli considerava non guidati dal «timor di Dio» nelle loro
azioni (su Abimelech, vedi Gen.26,1).
21,1-21: nascita di Isacco: Agar e Ismaele partono
Venticinque anni sono intercorsi tra la promessa e il suo adempimento. Gli anziani genitori di Isacco hanno ragione di gioire per
la sua nascita. E’ molto triste la richiesta di Sara di mandare via Agar e Ismaele verso il deserto e una vita di stenti.
22: La prova suprema: il sacrificio del Figlio Isacco
Siamo al c. 22, il celebre capitolo del viaggio di circa 80 km, un viaggio di tre giorni.
Il viaggio di Abramo è un viaggio dello spirito che non deve essere compiuto soltanto tenendo presente la mappa della Palestina. Ma se vogliamo tener presente la mappa della Palestina abbiamo una curiosità. C'è un'indicazione proprio nel v. 2: «Va' nel
territorio di Moria».
Su questa indicazione la tradizione è andata a cercare questo monte e la roccia del sacrificio.
La tradizione popolare giudaica, cristiana e islamica, ha identificato questa roccia con la roccia di Sion, ancora oggi conservata e
protetta da quel capolavoro dell'arte islamica che è la moschea di Omar, che gli arabi non chiamano moschea di Omar (anche
perché non è stata costruita da Omar), ma Qubbet-ha-sakhrà, che vuol dire la cupola della roccia, perché è a quella roccia che
si connette la fede delle tre grandi religioni monoteistiche. Non c'è nessuna identificazione logico-storica probabile, è un'identificazione spirituale.
A quella roccia subito gli ebrei hanno collegato l'altare dei sacrifici del tempio di Salomone. Hanno immaginato che quella roccia, coperta ora dalla cupola dorata della moschea di Omar, fosse stata la stessa pietra sulla quale colava il sangue dei sacrifici
del tempio di Salomone.
Su quella roccia i cristiani, quando hanno conquistato Gerusalemme al tempo delle crociate, hanno costruito un altare trasformando la moschea di Omar in una chiesa perché lì si celebrasse il sacrificio eucaristico: sull'altare di Abramo e sull'altare di
Salomone, l'altare di Cristo. E hanno parlato della santa Sion, una nuova Sion che fosse sopra le altre due precedenti Sion.
La cultura islamica ha immaginato che in una notte, Maometto, dopo aver salutato la sua comunità, chiamato da Dio, sia salito
al cielo partendo proprio dalla roccia del padre della fede, Abramo. Siamo quindi all'interno di uno spazio sacro. Più che un viaggio geografico, è un viaggio nella geografia dello spirito.
Abramo vi è arrivato mentre aveva nell'interno del cuore una tempesta: l'assurdo e lo scandalo del credere. Arrivato su quella
roccia, egli ha cominciato quel rituale che tra poco ascolteremo in un racconto di grandissima tensione narrativa e spirituale.
Il testo ha alcune chiavi di lettura.
Prima di tutto il viaggio comprende un silenzio. All'inizio e alla fine, in sospensione, quasi come ai due estremi poli, secondo la
tecnica semitica dell'inclusione, c'è però un urlo che è, invece, la Parola di Dio. All'inizio ed alla fine c'è: «Dopo queste cose,
Dio mise alla prova Abramo e gli disse: "Abramo, Abramo!". Rispose: "Eccomi"».
Da questo momento in avanti la vita di Abramo è distrutta. Quando arriviamo alla fine, risentiamo ancora la stessa parola di
Dio: “Abramo, Abramo” e all'improvviso scopriremo il senso di quella parola strana, assurda, sconcertante.
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Nell'interno c'è silenzio: Dio, dopo che ci ha provato, dopo che ci ha buttato nell'assurdo se ne va, scompare, egli non e più tra le
nostre esperienze quotidiane, nell'interno delle nostre strade.
Quando ormai il viaggio ha accumulato tensione a sufficienza, gli uomini parlano tra di loro. Parleranno Abramo e suo figlio, e
il loro discorso è un discorso di estrema tenerezza.
Ormai sono padre e figlio, soli e disperati contro un Dio implacabile. Si sente nel dialogo: «Padre mio», «Figlio mio», parole
che continuamente si rimandano, quasi mettendo in luce, in primo piano, quella paternità che sta per essere demolita e devastata.
«Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l'olocausto e si mise
in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. Allora
Abramo disse ai suoi servi: "Fermatevi qui con l'asino; io e il ragazzo andremo fin lassù, ci prostreremo e poi ritorneremo da
voi"».
Abramo non chiede nulla a un Dio che si contraddice. Dio gli ha dato un figlio come segno della sua promessa ed ora vuole
che glielo uccida, che uccida la sua stessa promessa, la sua parola. «Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio
Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme.
E qui il silenzio si squarcia, ma soltanto tra gli uomini -. Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: "Padre mio!. Rispose:
"Eccomi, figlio mio". Riprese: "Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per 1'olocausto?". Abramo rispose: "Dio stesso
provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!". Proseguirono tutt'e due insieme; così arrivarono al luogo che Dio gli aveva
indicato».
E da questo momento in avanti comincia un grande rituale. Abramo appare come un sacerdote; tutti gli atti sono descritti nei
particolari. La Bibbia qui, probabilmente, vuole anche polemizzare sottilmente con i sacrifici dei primogeniti. Dio apparentemente sembra avere il volto del mostro idolatrico.
L'esperienza che Abramo aveva fatto di Dio non doveva certo averlo indotto a pensare che egli gradisse sacrifici di bambini. Né
questa pratica era generale in quel tempo. Per di più Dio gli aveva specificamente promesso dei discendenti attraverso Isacco, e
questi non era ancora sposato.
La spiegazione non può essere che quella data da Ebrei 11,19: Abramo aveva tanta fede nella parola di Dio fino a credere che
questi sarebbe stato capace di richiamare in vita suo figlio.
Il parallelismo tra il sacrificio di Abramo e quello più grande del Figlio di Dio è sorprendente, anche se la lezione che la lettera
agli Ebrei trae da questo capitolo è una lezione di fede.
In realtà qualche volta gli archeologi hanno trovato sotto le fondazioni di alcuni palazzi delle urne: erano anfore che contenevano nell'interno lo scheletrino di un bambino, il primogenito magari. Ricordate Iefte che per celebrare la vittoria dice: «La prima
persona che mi viene incontro la sacrificherò a te, o Dio» (cf. Gdc 11,31). E Iefte avrà la sfortuna di vedere sua figlia che s'avanza per festeggiarlo. Qui la Bibbia intenzionalmente vuole portare il lettore a stupirsi
Ecco comunque il rito: «Abramo costruì l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull'altare, sopra la legna.
Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio». Ora però la voce di Dio ritorna, violenta ma ormai liberatoria: «Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: "Abramo!". Rispose: "Eccomi!".
L'angelo disse: "Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato il
tuo figlio, il tuo unico figlio ".
“Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio, io ti
benedirò con ogni benedizione e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è
sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Saranno benedette per la tua discendenza tutte le
nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce”.
Questo racconto è il paradigma dell'esperienza di fede, profonda e totale che deve arrivare fino a quell'ultimo vertice in
cui l'uomo non soltanto si spoglia di tutti i suoi appoggi umani, di tutte le sue logiche, ma si spoglia persino della logica
apparente di Dio.
23: Morte e sepoltura di Sara
“Gli anni della vita di Sara furono centoventisette: questi furono gli anni della vita di Sara. Sara morì a Kiriat- Arba, cioè Ebron, nel paese di Canaan, e Abramo venne a fare il lamento per Sara e a piangerla.
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Poi Abramo si staccò dal cadavere di lei e parlò agli Hittiti: “Io sono forestiero e di passaggio in mezzo a voi. Datemi la proprietà di un sepolcro in mezzo a voi, perché io possa portar via la salma e seppellirla”.
Allora gli Hittiti risposero: “Ascolta noi, piuttosto, signore: tu sei un principe di Dio in mezzo a noi: seppellisci il tuo morto nel
migliore dei nostri sepolcri. Nessuno di noi ti proibirà di seppellire la tua defunta nel suo sepolcro”. Abramo si alzò, si prostrò
davanti alla gente del paese, davanti agli Hittiti e parlò loro: “Se è secondo il vostro desiderio che io porti via il mio morto e lo
seppellisca, ascoltatemi e insistete per me presso Efron, figlio di Zocar, perché mi dia la sua caverna di Macpela, che è
all’estremità del suo campo.
Me la ceda per il suo prezzo intero come proprietà sepolcrale in mezzo a voi”.Ora Efron stava seduto in mezzo agli Hittiti. Efron l’Hittita rispose ad Abramo, mentre lo ascoltavano gli Hittiti, quanti entravano per la porta della sua città, e disse:
“Ascolta me, piuttosto, mio signore: ti cedo il campo con la caverna che vi si trova, in presenza dei figli del mio popolo te la
cedo: seppellisci il tuo morto”. Allora Abramo si prostrò a lui alla presenza della gente del paese.
Parlò ad Efron, mentre lo ascoltava la gente del paese, e disse: “Se solo mi volessi ascoltare: io ti do il prezzo del campo. Accettalo da me, così io seppellirò là il mio morto”.
Efron rispose ad Abramo:“Ascolta me piuttosto, mio signore: un terreno del valore di quattrocento sicli d’argento che cosa è
mai tra me e te? Seppellisci dunque il tuo morto”. Abramo accettò le richieste di Efron e Abramo pesò ad Efron il prezzo che
questi aveva detto, mentre lo ascoltavano gli Hittiti, cioè quattrocento sicli d’argento, nella moneta corrente sul mercato.
Così il campo di Efron che si trovava in Macpela, di fronte a Mamre, il campo e la caverna che vi si trovava e tutti gli alberi
che erano dentro il campo e intorno al suo limite, passarono in proprietà ad Abramo, alla presenza degli Hittiti, di quanti entravano nella porta della città.
Dopo, Abramo seppellì Sara, sua moglie, nella caverna del campo di Macpela di fronte a Mamre, cioè Ebron, nel paese di Canaan. Il campo e la caverna che vi si trovava passarono dagli Hittiti ad Abramo in proprietà sepolcrale.
Gli Hittiti erano antichi emigrati provenienti dall'impero hittita della Turchia (fondato verso il 1800 a.C.). Tutta la transazione di
vendita è conforme alla legge hittita che conosciamo (menzione degli alberi, pesatura dell'argento secondo le misure correnti sul
mercato e proclamazione in presenza di testimoni alla porta della città). Anche le tombe di famiglia, consistenti spesso in grotte
o scavate nella roccia, erano abituali.
Nel luogo tradizionale della grotta sepolcrale di Ebron sorge oggi una moschea.
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