con la morte

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con la morte
ARTEMEDICA
Cari Lettori,
il bisogno di denaro in una società di benessere è incontestabile e ciò non è facilmente compatibile con il problema ecologico, poiché occorre risparmiare su tutto, senz’altro sul
consumo energetico, sull’acqua, dobbiamo ridurre l’inquinamento dell’aria, produrre meno rifiuti ecc., sempre meno e
ancora meno. Diventare spartani in una cultura di sprechi,
una cultura la cui economia è basata sul consumismo in cui
viviamo già da tanti decenni, non è un’impresa facile. Dobbiamo seguire l’esempio degli Harmish, oppure trovare nuove soluzioni ? Dietro queste cosiddette nuove soluzioni si nasconde spesso una cinica volontà di speculazione, come ce lo
DIREZIONE CULTURALE
descrive Vandana Shiva citando come esempio la fondazione
PAULETTE PROUSE
Bill Gates che nasconde le sue vere intenzioni dietro una
campagna mediatica con risonanza a livelli mondiali, supportata da mezzi economici illimitati. Dall’alto, ossia dai politici
prigionieri del mondo finanziario, si ha l’impressione di una lotta terribile per mantenere in sella un
sistema che non lascia alcuno spazio alla libertà dell’individuo. E’ solo da una nuova coscienza, retta da una forte e crescente società civile che può scaturire un cambiamento del sistema.
L’articolo di Iris Corberi sull’associazione culturale “ Intorno al Melo “ con il suo asilo steineriano
nel contesto dell’ agricoltura biodinamica, creato da poche persone con la stoffa pionieristica, è
una notizia che ci deve rallegrare. Sostenuto da un gruppo di persone, di genitori che danno importanza ad un’educazione creativa in cui il bambino viene educato a non essere solo un consumatore, ma diventa una parte attiva imparando ad usare le mani. Non gli viene tutto confezionato,
impacchettato: è una comodità che seduce momentaneamente, ma sta alla base di una grande
scontentezza e suscita un perenne senso di noia, ulteriormente alimentato da un uso sconsiderato
della televisione. Perché un bambino dovrebbe creare un aeroplanino se gliene viene regalato uno
già pronto e anche più bello? E’ un tipo di comodità che ha un prezzo alto.Non si può affrontare
l’autunno senza prendere maggiore contatto con i nostri cari amici defunti. Nella novella “ La morte di Ivan Ill’ich “, Tolstoj ha illustrato in modo eccezionale le varie fasi attraverso cui passa il morente. Quella che turbava maggiormente Ivan era la menzogna di coloro che gli stavano intorno,
che fingevano di non sapere che stesse morendo ed egli stesso faceva finta di credere loro, ma dopo
la rabbia , la depressione, Ivan entra in una fase di pace interiore, di accettazione e consenso e, per
la prima volta, ha un gesto di affetto nei confronti del figlio.
La musica può fungere da ponte tra il mondo fisico e l’aldilà, essa facilita il distacco dal corpo e
può trasformare i processi di malattia e di morte in un’esperienza animica. La musicoterapia agisce
anche nel postmortem.
L’antroposofia non ha solo un aspetto contemplativo, ma è anche e soprattutto un movimento dinamico di attività sociale, artistica e di rinnovamento scientifico come c’è lo illustra l’articolo dell’architetto Stefano Andi “ Flows Forms” , in cui ci presenta insieme ad un gruppo di personalità
attive nella ricerca cosa significa architettura “organica vivente”. Con quest’espressione Steiner
intende un’architettura che si esprime attraverso forme, colori e illuminazioni quali giochi di ombra
e luce in modo da creare uno spazio che rispecchi la personalità di chi vi abita. E’ un’architettura
che mira a creare luoghi per vivere e lavorare che diano un supporto alla salute e al benessere psicologico. Il gruppo di professionisti “ Forma e Flusso” dello studio di Stefano Andi non si dedicano
solamente agli incarichi professionali, ma svolgono un importante lavoro di ricerca. Una ricerca
che ha messo in luce come l’architettura organica vivente sia in connessione e abbia origine dalle
grandi correnti spirituali come per esempio le confraternite dei costruttori delle cattedrali di cui lo
stile Gotico ne è un grandioso esempio, con l’impulso religioso, sociale e politico dei Templari.
Artemedica sta rinnovando il suo sito e invitiamo i nostri amici lettori a dare nuova vita consultando
www.artemedica.it.
Paulette Prouse
Autunno 2011 - Numero 23
Editoriale
1
ARTEMEDICA
Autunno 2011 - Numero 23
2
NEWSLETTER
ANTROPOSOFIA OGGI
n. 23 - Autunno
iscritta al tribunale di Milano al n. 773
registro stampa, il 12.10.2005
Direttore Responsabile
Lucia Abbà
Direzione Culturale
Paulette Prouse
Redazione
Cristina Vergna
Grafica e Copertina
Joint Design sas
Traduzioni
Paulette Prouse
In copertina
Scuola di infanzia “La Libellula”
Novi Ligure - Alessandria
Stampatore
Mediaprint S.r.l.
via Mecenate, 76 - 20138 Milano
LA PUBBLICITÀ SU ARTEMEDICA
È ECONOMICA E EFFICACE
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fax 02 67116222
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INFORMAZIONI
[email protected]
Forma e flusso
pag.
4
La morte come passo
di trasformazione
pag.
8
La morte mi sveglia!
E scopro il senso della vita
pag.
18
Preghiera per i defunti
pag.
22
Un’arringa per la terra
pag.
24
Fare scuola
in natura si può!
pag.
28
Energia rinnovabile
dalle infrastrutture
La soluzione c’è!
pag.
32
Dermoriflessologia®
Una rivoluzione
costruttiva
pag.
34
La casa è uno
spazio“sacro”:
Il Genius loci
pag.
38
Angelo: di nome
e di fatto
pag.
42
Il percorso dell’Eroe
nel Regno della Materia
pag.
46
Libri
pag.
48
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Autunno 2011 - Numero 23
SOMMARIO
3
ARTEMEDICA
Autunno 2011 - Numero 23
8
LA MORTE COME
PASSO
DI TRASFORMAZIONE
NELL’INTERVISTA CHE SEGUE MARKUS
TREICHLER DESCRIVE DIVERSI ASPETTI
DELL’INCONTRO CON LA MORTE, NELLA
SUA VITA PERSONALE E NEL LAVORO
ALLA FILDERKLINIK.
TRATTO DA “CONFRONTARSI CON LA MORTE”
QF5 DI EDITRICE NOVALIS
Markus Treichler
m
Intervista di Klaus-Dieter Neumann
a Markus Treichler
arkus Treichler è nato
nel 1947 a Stoccarda;
è stato allievo d ella
Scuola Waldorf, è sposato e ha un figlio.
Ha studiato teatro, filosofia, psicologia e medicina. Dopo l’Esame di
Stato e la specializzazione è attivo, quale medico,in psichiatria pediatrica e geriatria, medicina interna,neurologia, psicosomatica e psicoterapia in diverse cliniche.
Fin dai tempi dell’università è impegnato in un allargamento antroposofico e spirituale della medicina e della
psicologia.
Dal 1987 è responsabile della medicina psicosomatica,
arteterapia ed euritmia alla Filderklinik, nei pressi di
Stoccarda. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni e
tiene seminari e conferenze nell’ambito della medicina
antroposofica, della psicoterapia e dell’arteterapia.
Libri pubblicati: “Sprechstunde Psychotherapie. Krisen –
Krankheiten an Leib und Seele. Wege zu ihrer Bewältigung“ (Stuttgart 1993); „Biographie und Krankheit“ (Hg.,
Stuttgart 1995); „Den Sinn des Todes fassen. Mut zur Begleitung Sterbender“ (Hg., Stuttgart 1996); „Mensch Kunst - Therapie“ (Stuttgart 1996).
Il nostro comportamento con un morente, la nostra disponibilità ad aiutarlo, o l’accettazione del suo stato dipende anche dall’immagine che abbiamo della morte. Se
la concepiamo solo come una conclusione, allora la morte e la perdita di una persona amata può diventare indicibilmente difficile. Se la prendiamo, però, come una trasformazione, la sua gravità può essere mitigata, e dentro
di noi può nascere la forza di trasformare il dolore e continuare a coltivare una relazione con il morto.
Nell’intervista che segue Markus Treichler descrive diversi aspetti dell’incontro con la morte, nella sua vita personale e nel lavoro alla Filderklinik.
Parla delle fasi della morte, dei passi concreti dell’accompagnamento del morente e della elaborazione del
lutto da parte di chi rimane in vita.
Evidenzia che la comprensione del significato della morte come momento di trasformazione non è solo importante per il nostro rapporto con essa e con il lutto, ma illumina la nostra vita.
D. Qual è stato il Suo primo incontro con la
morte?
Nel corso della mia vita ho avuto alcuni incontri con la
morte, che mi hanno toccato da vicino. Il primo è stato in
occasione della morte di mio nonno, che ho amato e venerato molto. È stato, per me, il primo evento che mi ha
fatto riflettere coscientemente sul fenomeno della morte.
Non ho pensato alla mia morte, ma mi sono occupato dell’esistenza post mortem di mio nonno e di ciò che allora
era, per me, la vita spirituale. Presi intensamente coscienza delle due diverse qualità della vita: da un lato la
vita terrena che conduciamo fino alla morte e, dall’altro,
la vita dopo la morte.
D. Quanti anni aveva allora?
Avevo 25 anni. Mi sono occupato altre due volte in modo
così intenso della morte di una persona a me molto vicina: quando morì un amico, a causa di un incidente, e il
suicidio di un’amica. Queste tre esperienze furono, in
ogni caso, molto profonde e toccanti.
D. Lei è responsabile del reparto di medicina psicosomatica,arteterapia ed euritmia della Filderklinik. Come viene confrontato con la morte nella
sua attività di medico?
Nel mio lavoro di psichiatra e psicoterapeuta la incontro
in vari modi. Il primo è l’accompagnamento alla morte
delle persone fisicamente malate e morenti.
A causa della loro malattia lottano con la morte, alla quale si stanno avvicinando.
Il mio compito è, allora, quello di aiutarli ad andare incontro alla morte, operando nella loro vita animicospirituale, e a prepararli occupandomi insieme con loro di ciò
che ne pensano, sentono, temono o sperano. L’accompagnamento alla morte è un aiuto al distacco dell’animico
spirituale, che si annuncia con la malattia e con l’avvicinarsi della morte.
Un altro aspetto, molto diverso, è il lavoro con persone
portatrici di malattie psicosomatiche: persone depresse,
stanche di vivere e a rischio di suicidio.
Qui il compito consiste nell’aiutare queste persone ad
entrare di nuovo in relazione con la loro vita, a superare la
loro paura e la loro debolezza e trovare, così, nuovo coraggio. Un terzo aspetto è il lavoro con coloro che hanno perso una persona cara, e non riescono a superare la perdita
e il lutto.
Un quarto aspetto è l’ausilio psichiatrico e psicoterapeutico per le persone che, pur senza minaccia acuta di morte,
vivono con la paura permanente di morire.
Soffrono di tanatofobia al punto che non sanno più vivere
veramente. La loro continua paura della morte toglie loro
la possibilità di continuare a vivere, ed hanno quindi bisogno di un aiuto psicoterapeutico.
Questi sono i quattro aspetti essenziali della mia relazione
professionale con la morte da psichiatra e psicoterapeuta,
come la incontro e come me ne occupo.
La relazione con il morente e con i suoi cari, anche quale
elaborazione del lutto dopo la morte, è ogni volta un’esperienza speciale,e un incontro intenso con la morte.
D. Qual è il senso della morte e come lo si può cogliere
Quando si pensa alla morte si può pensare sempre anche
al senso della vita. È una domanda molto ampia, alla quale è difficile rispondere. A prescindere da tutto ciò che è
individuale nella vita e nella morte, ci sono anche aspetti
comuni. Al riguardo direi che la morte è un momento di
trasformazione esistenziale, perché cambia la nostra vita
radicalmente. La morte conclude l’esistenza fisico corporea terrena e dà inizio alla vita dopo la morte, che prosegue in maniera totalmente differente, perché non si
basa più sul corpo fisico materiale.
D. Se il senso della morte è quello di trasformare
la vita, allora non si può capire, nella sua totalità,
il senso della vita senza riconoscere la morte?
Sì, questa relazione diventa evidente, se non si considera
più la morte come compimento e termine, ma come passo di trasformazione, tramite il quale la nostra vita cambia radicalmente e totalmente, e lo fa in modo tale che
noi possiamo vivere, dopo la morte, in un’altra forma. Durante la vita terrena non abbiamo né idee concrete né
esperienze di una vita dopo la morte, né ricordi della nostra esistenza prenatale. Tuttavia esiste una stretta relazione, e portiamo molto della vita attuale nell’esistenza
dopo la morte, così come abbiamo portato qualcosa dalle
incarnazione precedenti e dalla vita spirituale tra la morte e la nuova nascita nella vita terrena di adesso.
Sappiamo tutti che siamo nati, pur senza ricordarcelo,
perché il nostro ricordo inizia più o meno nel terzo anno
di vita. Naturalmente nessuno dubita del fatto che tutti
gli uomini siano nati, perché possiamo osservare la nascita di altre persone. Sappiamo, però, che anche questi
primi tre anni di vita, dei quali non ci ricordiamo più, possono avere influssi decisivi sulla nostra personalità e sulla nostra biografia. Oggi sappiamo persino che già prima
della nascita, nella fase prenatale, hanno luogo esperienze essenziali.
Accettiamo questa conoscenza, sebbene il nostro ricordo non ci arrivi. E se non possiamo ricordarci di ciò che
è successo nei primi tre anni di vita e nei nove mesi di
gravidanza, e a quali influssi decisivi eravamo esposti, ci
può perlomeno sembrare possibile – e così è – che ci sia
ancora un periodo anteriore, di cui non ci possiamo ricordare, molto importante per l’evoluzione del nostro essere.
La vita dopo la morte è un cammino a tappe, una salita e
una discesa che porta di nuovo ad una esistenza prenatale, ad una nuova nascita e una nuova incarnazione terrena.
Anche prima dell’incarnazione attuale siamo passati attraverso la vita tra la morte ed una nuova nascita. Non ci
ricordiamo di quel periodo. Dovremmo, però, essere intellettualmente onesti e, almeno ipoteticamente, partire
dal fatto che esista questo periodo, e che abbia influenze
molto importanti sulla nostra personalità. Cogliere il
senso della morte, perciò, significa accettare che esista
quest’altra esistenza, che è molto importante per lo sviluppo dell’individuo e ha un notevole influsso sulla nostra vita terrena e sulla nostra personalità.
ARTEMEDICA
Cogliere il senso
della morte
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Aspetti dell’incontro
con la morte
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ARTEMEDICA
Autunno 2011 - Numero 23
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L’accompagnamento del
morente come lezione di vita
D. Quali conseguenze positive può avere, sulla
propria vita, l’aprirsi alle esperienze della morte,
ad esempio accompagnando una persona che sta
per morire?
Quando si accompagna il morente si può imparare molto. Ciò vale anche nel caso di persone che non sono ancora in agonia ma sanno, a causa della loro malattia,
che si stanno avvicinando alla morte.
Si può verificare in loro una percezione della vita più
intensa e più profonda e, soprattutto, si può vedere che
le persone morenti e le persone gravemente malate, che
si avvicinano con coscienza alla loro morte, riescono a
distinguere con molta più lucidità l’essenziale dalle cose secondarie. Questo è molto importante.
Se teniamo presente quanto raramente, nella vita quotidiana, ci poniamo la domanda sull’essenziale, quanto
poco portiamo chiaro nella coscienza l’essenziale, lo
sentiamo o presagiamo e poi, stando vicino al morente,
vediamo come egli riesca bene a distinguerlo, allora
questa è un’esperienza impressionante, che agisce anche nella nostra vita.
Qui i morenti sono migliori di noi, e questa esperienza
può essere una sfida per noi.
Quando parlo con un morente sento sempre che qualcosa della domanda che il morente mi pone riguarda
anche me: cos’è autentico in te? Cosa proviene solo dal
tuo mestiere, dalle cose che hai lette e studiate e che
cos’è, invece, davvero autentico? Il morente vive con la
domanda di ciò che è autentico in lui, di ciò che è stato
essenziale nella sua vita, e cerca di scoprirlo e sperimentarlo sempre più profondamente.
E con questa esperienza esistenziale guarda anche gli
altri. Tutto questo ci colpisce, e perciò si cambia accompagnando un morente.
Per la propria vita questa esperienza è molto preziosa,
perché si viene interpellati sull’essenziale, sull’autentico nella propria interiorità. Ci si può arricchire molto.
D. Ci sono altre esperienze positive che vorrebbe
comunicare?
Ci sono molte qualità positive nell’esperienza di chi accompagna una persona che sta in punto di morte. Non
dobbiamo pensare che gli possiamo insegnare qualcosa,
ma dobbiamo permettergli di comunicarci qualcosa.
Nell’incontro si ha, spesso, un sentimento quasi inspiegabile di felicità, di sublimazione e di bellezza, e più tardi
si sperimenta l’arricchimento che si è acquisito tramite
questa esperienza. Uno di questi effetti positivi è che si
vede più chiaramente, si ha l’occhio più aperto per l’essenziale. Le molteplici qualità di questo incontro si lasciano difficilmente esprimere in parole.
D. Vuol dire che si accoglie con maggior lucidità
la propria morte nella vita, come dicono le parole
di Angelus Silesius: “Chi non muore prima di morire si perde quando muore.”?
Sì, ma questo si può intendere in vari modi. Da un lato si
potrebbe capire che bisogna pensare sempre alla propria
morte ed essere costantemente coscienti che la vita un
giorno finirà. Ma questo lo ritengo relativamente improduttivo. Dall’altro lato si può intendere così – e così avrà
pensato anche Angelus Silesius – che il passo di trasformazione che si compie con la morte, bisogna farlo già
nella vita. Anche nella vita dobbiamo fare sempre passi
di trasformazione, cambiamenti, commiati, esperienze di
morte. Ogni sviluppo contiene anche un’esperienza di
morte, dalla quale possiamo uscire trasformati. Accogliere la propria morte nella propria vita in questa maniera è certamente necessario per diventare coscienti; l’accompagnamento di una persona morente può essere
molto utile. Ma questo dipende molto dall’immagine che
abbiamo della morte.
Perciò la dobbiamo vedere come trasformazione e non
come conclusione di qualcosa.
D. Che relazione c’è tra conoscenza e morte?
Questa è una domanda interessante, che rimanda a vari
livelli. Se si prende la Genesi, la biologia, la psicologia o
la neurofisiologia, dappertutto si trova l’affermazione del
legame che c’è fra la conoscenza e la morte. Nella Genesi
la relazione tra la conoscenza e la morte viene stabilita
nell’ammonimento: “Se mangerai dall’albero della conoscenza morirai” (Gn. 2,17). Questo non vuol dire soltanto
che l’uomo diventa mortale, ma che incorporerà un processo continuo di morte, il quale è, a sua volta, la base per
il processo di conoscenza. Ciò si esprime anche nella devitalizzazione del nostro sistema nervoso centrale. A differenza di tutte le altre cellule del corpo, le cellule cerebrali, formatesi nel periodo embrionale, non si moltiplicano, non si dividono più. E nel corso della vita umana le
cellule cerebrali muoiono gradualmente. Abbiamo abbastanza cellule cerebrali perché questo processo di morte
non abbia delle conseguenze dannose, ma grazie al fatto
che perdono la loro vitalità e forza rigeneratrice viene
creata la base della capacità conoscitiva. Solo tramite
questa rinuncia, cioè l’annullamento dei processi vitali
nel sistema nervoso, è possibile la conoscenza. Siamo
debitori della capacità conoscitiva al continuo processo
di morte. Dalla biologia sappiamo che si può parlare di
morte di un essere solo quando si tratta di organismi che
hanno sviluppato un sistema nervoso. Le piante possono
morire, ma continuano a vivere in altre piante. Non c’è
una morte individuale nel regno delle piante. E anche nel
regno degli animali continuano a vivere organismi semplici, rinunciando alla propria esistenza tramite la divisione delle cellule. Ciò è possibile, però, soltanto negli organismi animali più semplici. Tutti gli altri animali muoiono di una morte specifica. E quanto più elevato e differenziato è il sistema nervoso di un essere vivente tanto
più specifica ed individuale è la sua morte. Nell’uomo,
che dispone del sistema nervoso più sviluppato come organo di conoscenza, la morte è la più individuale.
L’uomo può lottare con la sua morte, e possiamo osservare in lui, nel processo di morte, trasformazioni del suo
essere che non possiamo osservare nell’animale. Un animale può soffrire e noi soffriamo con lui, ma non può
compiere gli stessi passi di trasformazione.
Rispettare la dignità
della persona morente
D. Cosa intende con l’espressione “morte dignitosa”?
Se rispettiamo una persona nella sua dignità, significa
che la accettiamo con tutte le sue debolezze, difficoltà,
speranze e paure, anche nel periodo in cui va incontro alla morte e nel suo modo di lottare contro di essa. Permettere una morte dignitosa significa accettare senza condizioni né pregiudizi la persona com’è, mentre si avvicina a quel momento, sia che lo accetti o che lo tema. Ciò
significa anche mettere da parte tutti i buoni propositi di
volerle insegnare qualcosa. Se vogliamo rispettare il morente nella sua dignità, come minimo dobbiamo accet-
D. Spesso con la formula “morte dignitosa” si vuol
tenere il morente lontano dai dolori tramite medicinali, oppure gli viene somministrato un aiuto
attivo o passivo alla morte. Cosa pensa di questa
interpretazione?
Se una persona debba essere liberata dai dolori, lo si può
capire solo dall’incontro con lei. Se una persona desidera
la liberazione dal dolore, se ne ha bisogno, si cercherà un
trattamento adatto. È una misura sensata se parte dal
contatto con la persona. Se il morente non può più esprimere la propria volontà diventa più difficile. Il concetto
dell’aiuto alla morte per me è problematico quando viene
applicato alle misure che accelerano il processo di morte. Perché aiuto alla morte significa per me aiutare la persona morente nel cammino verso la soglia animico-spirituale, e sostenerla nella morte individuale. E ciò significa accettare quello che accade durante il processo della morte, ed aprirsi a ciò che accade nella sua anima e
nella sua coscienza. Occuparsi dei processi corporei non
è la cosa più importante. E nell’accelerare il processo di
morte io vedrei persino il contrario dell’aiuto alla morte,
perché la persona può non essere ancora pronta nel suo
animico-spirituale. Magari interiormente non ha ancora
compiuto le diverse fasi e i passi necessari, e le si potrebbe sbarrare il suo cammino di sviluppo accelerando il suo
processo di morte corporea.
Le cinque fasi della morte
D. Elisabeth Kübler-Ross ha descritto cinque fasi
della morte: 1. non accettazione ed isolamento, 2.
rabbia e lotta, 3. trattativa, 4. depressione, 5. consenso. Può chiarire queste fasi?
Queste fasi sono abbastanza conosciute. Nella prima fase il morente non vuole accettare che la morte si avvicini. Rinnega, ad esempio, la gravità della sua malattia e
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tarlo così com’è, senza voler qualcos’altro da lui. Nel momento della morte questo è particolarmente importante,
perché è un processo esistenziale ed irrepetibile. Al contrario di molte altre situazioni della vita, quando arriva la
morte non possiamo dire che la prossima volta la vivremo meglio. Perciò si tratta, nell’accompagnamento del
morente, di esser consapevoli dell’unicità esistenziale
della situazione della morte, e tutto ciò lo esprimiamo
con la nostra stima e il nostro rispetto. Se il morente ha
la possibilità di avere con sé una persona, un membro
della famiglia oppure una figura professionale che sia veramente in grado di accettarlo completamente,questa
certezza gli fa bene. L’accompagnamento alla morte dovrebbe aver luogo con chiarezza, sincerità, e anche con
una certa naturalezza, senza routine, finzione o falsità.
Non bisogna neanche essere falsamente tristi, ma ci si
deve concentrare sulla situazione concreta che si vive
con quella persona. Ci possono essere momenti molto
belli ed allegri, che possono essere liberatori e sfatare il
pregiudizio secondo il quale attorno al morente ci debba
solo essere tristezza e depressione. Non deve essere così. Bisogna avvicinare ogni singola persona con la più
completa apertura. Ecco cos’è una morte dignitosa dal
punto di vista umano. Nel modo in cui si incontra un morente, si può sviluppare dignità.
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La relazione tra
conoscenza e morte
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gli insuccessi terapeutici, mentre la malattia lo isola
sempre più dagli aspetti gradevoli della vita. Nella seconda fase reagisce con rabbia ed aggressività all’idea di dover morire. Lo troverà anche ingiusto rispetto agli altri, che
possono continuare a vivere. Nascono, così, invidia e rabbia. Poi viene la fase della trattativa, nella quale la persona
non può più rinnegare la malattia, ma ha ancora la speranza che tramite il suo atteggiamento o tramite un miracolo
della medicina ci possa essere una svolta, e che la morte
possa ancora aspettare. Magari spera ancora in altre misure terapeutiche particolari o implora interiormente un
cambiamento, e così tratta, in quel periodo, con l’irrevocabile destino della sua morte. Siccome tutto questo non
succede, allora si rassegna: si sviluppa, nella quarta fase
del morire, una depressione. Adesso è cosciente che nulla
è servito, e che ogni tentativo di tener lontana la morte è
inutile. Tutto è perduto. Questa depressione può avere vari contenuti. Ripensando alla vita passata possono sorgere sensi di colpa, tristezza per la perdita della bellezza della vita o anche paura di ciò che verrà. Ma viene il momento
in cui anche questa rassegnazione e depressione se ne
vanno, e il morente entra in una fase di pace interiore, accettazione e consenso. Ha accettato il suo destino ed è
d’accordo con la morte. Per alcuni questo succede solo
immediatamente prima della morte, per altri anche prima.
In genere queste fasi sono individuali, di varia durata ed
intensità. Non necessariamente c’è una chiara delimitazione. Queste fasi, che Elisabeth Kübler-Ross ha descritto
per la prima volta sistematicamente e che sono state confermate da altri ricercatori, non sono un’invenzione della
tanatopsicologia; si può leggere la loro descrizione già
nella novella di Leo Tolstoj “La morte di Ivan Il’i”. Tolstoj
le ha illustrate circa cento anni fa in modo meraviglioso. Il
poeta era cento anni avanti rispetto alla tanatopsicologia
moderna. Penso che questo libro sia ancora uno degli aiuti
migliori per l’accompagnamento del morente.
D. Ogni uomo attraversa queste fasi?
Non direi che ognuna di queste fasi si debba attraversare, anche perché esistono vari tipi di morte. Esistono le
morti improvvise, ad esempio le morti per incidenti, le
quali strappano repentinamente le persone dalla vita.
Poi esiste anche una grande differenza tra il morire in seguito ad una grave malattia o per vecchiaia. Nella malattia grave credo che ognuno attraversi queste fasi, anche
se chi le osserva non sempre le percepisce con chiarezza. Il passaggio attraverso queste fasi fa parte piuttosto
degli aspetti generali della morte, e la loro descrizione ha
importanza soprattutto per i parenti, gli amici e le persone che assistono un morente. Conoscerla aiuta ad interpretare meglio alcuni comportamenti del morente, e saperli trattare in modo più adeguato. Si pensi alle aggressioni del morente verso chi lo assiste. In esse si esprime
una determinata fase del processo di distacco. L’essenziale è, però, come il morente attraversa queste fasi, cosa
può fare e come si può trasformare.
Costruire dei ponti
L’accompagnamento alla
morte nella Filderklinik
D. Cosa si fa nella Filderklinik concretamente per
un morente?
Guardiamo alla morte come passaggio dal fisico-corporeo alla vita spirituale, e ci impegniamo a prepararla in
modo adeguato. Rendiamo l’ambiente e tutta la situazione del morente calma e gradevole, in modo tale che
sia isolato dal movimento e dalla frenesia che, a volte, si
incontra in una clinica. Cerchiamo di creare le condizioni perché possa trovare la calma interiore. Ciò si esprime
anche nell’organizzazione della stanza, trasferendo gli
altri pazienti. Qui può avere visite dei parenti, che possono rimanere anche a lungo e dormirci.
L’ambiente viene organizzato in modo tale da risultare
gradevole per il morente e per i suoi parenti. Egli ha inoltre la possibilità di fare i colloqui che desidera e che sono
importanti per lui, quali quello con il medico o con il sacerdote. Facciamo anche la musicoterapica, grazie alla
quale abbiamo avuto buoni risultati.
Sperimentiamo, ogni volta di nuovo, che la musicoterapica può fungere da ponte tra il mondo fisico e l’aldilà.
La musica facilita il distacco dal corpo, e la trasformazione dei processi di malattia e di morte in un’esperienza
animica. Essa è specialmente adatta ad esercitare questi
processi senza dover ricorrere a parole o concetti.
Dopo la morte segue il trasferimento della bara in stanze
apposite.Anche durante questi giorni si può avere ancora un accompagnamento musicoterapeutico, e, naturalmente, la presenza dei parenti e del sacerdote.
Questo tempo, fino al funerale, viene organizzato in maniera particolare, anche con la partecipazione delle persone quali medici ed infermieri, che si sono occupate del
defunto, così che qui si formi, ancora una volta, una comunità di tutte quelle persone che alla fine della sua vita
ebbero a che fare con lui.
Le preoccupazioni per la persona non smettono con l’ultimo battito del cuore, ma oltrepassano la soglia della
morte, continuano nei giorni in cui si svolgono essenziali
processi di distacco e di trasformazione del morto. Questo è molto importante.
D. Qual è la Sua attività quale terapeuta nell’accompagnamento del morente?
Varia. Non sempre sono i parenti ad interpellarmi quale
psichiatra o psicoterapeuta, spesso lo fanno gli altri medici, gli infermieri, il sacerdote.
Nei casi in cui mi interpellano, e ciò avviene già prima
del processo di morte, per accompagnare i malati gravi o
morenti, faccio parte semplicemente del team come tutti
gli altri.
ARTEMEDICA
Errori tipici
a contatto con i morenti
D. Esistono errori tipici a contatto con i morenti?
Sì, alcuni errori sono da rilevare. Secondo la mia esperienza un errore tipico, frutto della propria insicurezza, è
quello di pensare di dover fare qualcosa e, quindi, cadere
in un falso attivismo che impedisce la quiete. Questi errori sono il risultato della propria inquietudine e paura,
quando non si sa come ci si debba comportare con un
morente.
Un altro errore è quello di dire luoghi comuni. Non si arriva ad un autentico incontro con il morente. Frasi fatte,
verità lapalissiane, banalità e modi di dire sono gli errori
più gravi che si possono fare nel dialogo con il morente,
perché non si tratta di dire qualunque cosa, ma di essere
veramente presenti come esseri umani. Bisogna essere
presenti con la propria vera essenza e presenza di spirito, perché è questa che il morente sente, e di questa ha
bisogno.
Non si deve agire o parlare sempre. Se si è davvero presenti allora si può essere fiduciosi che nel momento del
bisogno si fa o si dice la cosa giusta. E così, qualche volta, ci si avvicina al morente, gli si tiene la mano, gli si dice
qualcosa. Si può dialogare anche nel silenzio, sentire e
capire ciò che lui vive. La bugia è, per il morente, una particolare tortura
D. Nel libro: “Den Sinn des Todes fassen” (Stuttgart 1996) Lei nomina, tra gli altri errori, la bugia.
Anche nella novella di Tolstoj si dice che i parenti
hanno la tendenza a mentire alla persona morente
e a nasconderle la gravità della malattia. Non considerano la morte, non hanno compassione e non
si interessano. Questo è, secondo Tolstoj, un dolore particolare per il morente.
Sì, è vero. Ci accorgiamo spesso che i parenti rimuovono
la morte e dicono al morente cose che non corrispondono alla realtà. Anche nella pratica medica si conosce
questo fenomeno; i medici lasciano a lungo il morente all’oscuro della sua situazione, perché non lo vogliono opprimere e, magari, anche perché loro stessi non vogliono
occuparsi della morte. L’esperienza mostra, e ciò emerge
anche da analisi di Elisabeth Kübler-Ross e di altri ricer-
catori, che i morenti sanno spesso prima dei parenti che
devono morire. Allora, naturalmente, non è per loro assolutamente un sollievo quando gli altri ignorano la cosa;
al contrario: così facendo si può fare molto male alla persona morente, perché essa si sente ignorata nel suo essere e nella sua dignità.
Perciò è piuttosto un sollievo quando si parla della morte
vicina o quando, con il comportamento, con lo sguardo o
i gesti si dà da intendere che si sa che questa persona si
avvicina alla morte, e che le si è vicini. Non bisogna necessariamente esprimerlo verbalmente, ma il morente e
i parenti sanno che ognuno di loro è cosciente della situazione. Non si deve aver paura di parlare della morte.
Troppo spesso si rimuove o si ignora la morte, e ciò fa
male al morente. Anche questo errore ha a che fare con
la propria insicurezza, la propria paura e la propria immagine della morte.
Bisogna trattare le persone prive di coscienza come se
fossero presenti.
D. Al reparto di cure intensive i pazienti vengono
spesso ricoverati privi di coscienza ed i medici,
generalmente, hanno spesso a che fare con persone in coma. Quali possibilità ci sono ancora di
trattare il morente in modo adeguato?
I colleghi che lavorano nella medicina intensiva devono
naturalmente, prima di tutto, agire per mantenere la vita,
anche quando la vittima di un incidente viene ricoverata
priva di coscienza. Ed è importante che in questa situazione ci si apra, e non ci si nasconda dietro alla propria
attività, alle apparecchiature ed ai medicinali. I colleghi
del reparto di cure intensive dicono che, nonostante tutte le attività e gli apparecchi, è possibile percepire qualcosa dell’essere di questa persona. Allora si può anche
sentire, qualche volta, in quale direzione si andrà, se la
vita potrà essere salvata o no. Queste percezioni possono rappresentare un aiuto decisivo per il lavoro successivo. Quando ci si apre, il paziente emana qualcosa che
si può percepire e che aiuta. Naturalmente nel team curante non sempre c’è sintonia, ma tramite lo scambio di
percezioni e giudizi, il team si mette d’accordo e prende
le decisioni sulle prossime misure.
D. Jörg Batterle, che lavora come infermiere al reparto di cure intensive della Filderklinik, descrive nel suo contributo al già nominato libro “Den
Sinn des Todes fassen”, che ci sono sempre casi di
persone risvegliatesi dallo stato di incoscienza
che si possono ricordare delle percezioni avute
durante questo. Di conseguenza al reparto di cure
intensive della Filderklinik si parla con i pazienti
privi di coscienza per illustrare le misure o le procedure che si stanno attuando.
Sì, è vero. Qui abbiamo avuto l’impressione che la coscienza non è più localizzata nel corpo, come nel caso
della normale coscienza nello stato di veglia, ma che
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D. Oltre alla musicoterapica ci sono altri modi per
andare incontro alla morte?
Sì, ma questo dipende sempre dalla personalità del morente. Penso, per esempio, all’accompagnamento religioso, alla presenza dei parenti e delle persone che lo curano ecc. Tutto ciò accade, naturalmente, in base a scelte
individuali. A seconda di come abbiamo conosciuto la
persona, cerchiamo di operare, insieme ai parenti, in modo consono ai desideri del morente.
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qualcosa si sia staccato dal corpo e vada verso la periferia. Perciò la persona non sente più il suo corpo, ma può
ancora percepire ciò che succede attorno, nella stanza.
Ed alcuni ricordano veramente queste percezioni, che
vengono confermate anche da chi era presente nella
stanza in quel momento. Perciò è anche importante dire
che si è lì, e comunicare ciò che si vuol fare, perché la
persona percepisca questo da chi la circonda piuttosto
che dall’attività dei medici e degli apparecchi sul suo
corpo. Dobbiamo imparare ad occuparci di questa coscienza periferica, libera dal corpo, che si manifesta nei
casi in cui c’è stato già un allentamento delle membra ed
un inizio della liberazione dal corpo.
Quando è morto l’uomo
D. In relazione alla legge sul trapianto degli organi, la definizione della morte dell’uomo ha avuto
un ruolo importante. Quando è morto l’uomo?
Bisogna partire dall’esperienza. Prima si stabiliva il momento della morte sempre in relazione a parametri che si
ritenevano oggettivi: la cessazione del battito e del respiro, il raffreddamento ecc. Ciò si poteva percepire
chiaramente e, naturalmente, è così ancora oggi. L’attuale discussione se l’uomo sia già morto quando è avvenuta la morte celebrale è finalizzata ad intendimenti
precisi. Il cervello è l’organo che muore per primo, ma si
deve sapere che la sua morte è un processo iniziato fin
dalla nascita. Poiché il cervello non ha una propria vitalità, ma deve essere stimolato continuamente. Quando
muore il cervello siamo di fronte all’inizio del processo di
morte dell’uomo. Ma l’essere umano, con ciò, non è ancora morto. Quando questo organo, che è sempre il più
vicino alla morte, muore completamente, allora l’uomo è
morente, e noi possiamo partire dal presupposto che anche gli altri organi moriranno, ma ci vorrà ancora del
tempo. E durante l’ulteriore processo di morte egli ha bisogno sostanzialmente di aiuto e di accompagnamento.
Organi morti non si possono trapiantare.
D. In effetti gli organi di un essere umano possono
essere utilizzati per un trapianto solo se sono vivi.
Sì, organi morti non possono essere trapiantati. È evidente che, allora, una persona non può essere completamente morta, quando le si vogliono prelevare gli organi
per un trapianto. Il suo cervello è morto, ma gli organi devono essere vivi. Perciò si fa questa differenziazione e si
dichiara la morte del cervello morte dell’uomo.
D. Ne consegue, allora, che un prelevamento di organi, dal punto di vista etico, potrebbe essere effettuato solo in presenza di una precisa volontà
del donatore
Questa sarebbe per me, chiaramente, la soluzione adatta.
D. Possono esserci dei problemi per una persona
morente, oppure può nuocere al processo di morte, il prelevamento di un organo?
Lo ritengo possibile. Questi nessi non sono stati studiati
abbastanza, ma sembra possibile, soprattutto se la persona non ha preso la decisione prima, dichiarando il suo
consenso alla donazione.
D. Il Suo punto di vista personale: donerebbe organi?
In questo momento non vorrei né ricevere né donare organi. Posso rappresentarmi la possibilità che insorga,
nella mia vita, una grave malattia. Questa possibilità la
accetto e, nel caso, non vorrei un prolungamento della
mia vita tramite il trapianto di un organo. Posso però rispettare che altri lo vogliano, e non intendo certo polemizzare con coloro che effettuano trapianti di organi. Per
il momento non vorrei né donare né ricevere organi. Ha
a che fare con il mio sentimento ed il mio vissuto personale il fatto di voler rinunciare al dono di un organo.
Permettere il lutto
e trasformarlo
D. Prima ha già parlato dell’elaborazione del lutto
da parte delle persone che rimangono. Qual è il
Suo pensiero fondamentale al riguardo?
Ritengo importante che le persone che hanno perso un
loro caro ricevano aiuto nel loro lutto. Soprattutto è importante che diano spazio al lutto. Bisogna comunicar
loro che possono essere tristi, che non devono passare
sopra il loro dolore o allontanarlo. Perché il lutto non è
per nulla malsano,ma è sensato e positivo.
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D. Cos’è il lutto, se lo si vuole caratterizzare più
da vicino? Può descrivere lo stato di una persona
in lutto profondo?
Il lutto, intanto, è un sentimento pesante ed oscuro, che
normalmente arriva inaspettato e si stabilisce nell’anima
della persona. Entra nello spirito dell’uomo e scaccia la
sua leggerezza, la sua gioia e il suo stato d’animo quotidiano. Tramite il lutto, gli interessi si limitano e l’uomo
viene riportato su se stesso e sulla ragione della sua tristezza. Siccome la perdita è una esperienza indubbiamente reale, è importante vivere la ragione del lutto e del
dolore per rendersi conto che il lutto ha a che fare con se
stessi, ma anche con la persona perduta e con il rapporto
con essa. Permettendo il lutto e le domande che esso fa
sorgere, si può arrivare molto più lontani nell’esperienza
animico-spirituale e nella relazione con l’altra persona.
Se però reprimiamo il lutto perché è doloroso e sgradevole, perché ci limita e ci ostacola nella nostra normale
allegria superficiale, allora rimuoviamo qualcosa che ci
ha toccati nel nostro intimo. E non può essere giusto se
rimuoviamo un avvenimento che ci ha toccati nella nostra interiorità. In seguito ad un lutto rimosso, può comparire qualcosa di pesante, cioè una vera depressione
che, allora, come malattia, rende evidente che la persona
colpita non ce l’ha fatta da sola, ed ha bisogno di aiuto
adesso. Il depresso ha bisogno di aiuto perché non è riuscito a permettere il lutto e a comprenderne l’importan-
za, soprattutto in riferimento alla relazione col defunto.
Trovare l’altro tramite il lutto. Tramite il lutto possiamo
riconoscere qualcosa dell’altro.
Quando si tratta di tristezza per una morte, è importante
che non restiamo con noi stessi e viviamo il lutto solo
perché adesso siamo soli. Se restasse così sarebbe un
lutto infruttuoso, egocentrico. Se attraverso il lutto approfondiamo una relazione, possiamo finalmente costruire questa anche con una persona morta. Il lutto allora si trasforma in un rapporto col defunto. Non è necessario vestirsi di nero ed avere l’aspetto triste, ma si inizia
a sentire e a vivere ciò che vive il morto. Allora non sta
più al primo posto la perdita o la sensazione di essere abbandonati, ma c’è una trasformazione e un rinnovamento della relazione concreta con questa persona.
D. Ci sono varie fasi del lutto?
Sì. Dapprima si vive il dolore. Poi si lotta contro di esso e
possono apparire anche aspetti negativi. Alla fine tutto
ciò deve mutare e far sì che la relazione e l’essere dell’altro diventino sempre di più un’esperienza. L’ego non deve restare al centro del lutto. Secondo me queste fasi non
devono essere messe in relazione con una certa durata
di tempo. Ci sono esperienze che variano a seconda del
livello culturale, dell’età e della causa del lutto. Più importante è che si consideri il lutto come processo di sviluppo, nel quale il dolore si trasforma e porta a riconosce-
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re l’individuo per il quale si è in lutto. Quando il lutto si
trasforma va bene. Se invece ci si irrigidisce e si resta fermi nel lutto allora è bene che qualcuno aiuti a superarlo.
D. Quali passi concreti possono essere d’aiuto?
Può essere utile, ad esempio, quando ci si crea lo
spazio e l’occasione per ricordare l’indole di questa persona e le cose vissute insieme?
È sicuramente bene ricordare la vita e le esperienze comuni e tenerle vive nella propria coscienza. Così mi allontano da me ed è un passo importante verso l’altro.
Non bisogna necessariamente fare questo passo da soli;
spesso è più semplice rivivere il ricordo parlandone con
altri parenti o amici. Inoltre si può ricercare anche il colloquio con un sacerdote, un terapeuta o un’altra persona
che tratti professionalmente questi problemi, e ricevere
un ulteriore aiuto o impulsi per elaborare il lutto e trasformarlo.
L’incapacità di essere
in lutto
D. Cosa succede se le persone non riescono a superare la morte di una persona cara?
Nella maggior parte dei casi insorgono malattie depressive. Poi sono possibili altre malattie psicosomatiche,
che sono in relazione agli stati depressivi. A seconda del
temperamento e del carattere della persona colpita, possono assumere le forme più diverse, quando la perdita ed
il dolore non siano superati o vissuti in maniera adeguata. In ogni caso è utile, allora, un aiuto psicoterapeutico.
Nella terapia si tratta, intanto, di condividere la situazione e scoprire perché la persona è travolta nel suo abbattimento, quali sentimenti prevalgono, perché non riesce
a superare il lutto, o perché non può essere in lutto.
Ci si deve chiedere se hanno un ruolo determinati ricordi, sensi di colpa, paure. Spesso nel vissuto delle persone
che rimangono in vita hanno un peso eccessivo i sensi di
colpa, che non sono accettati o che non possono essere
superati. Si tratta, dunque, di trovare ciò che ha portato
la persona alla sua situazione disperata, portarlo a coscienza, guardarlo in faccia ed elaborarlo. Pur con tutta
la diversità delle ragioni individuali, il cammino dovrebbe condurre, allora, lontano dal proprio dolore, verso una
relazione reale con la morte.
Sogni di morti
D. L’uomo può entrare in relazione con il morto in
vari modi, sia tramite la preghiera o la lettura, sia
ponendogli delle domande. Il morto, da parte sua,
è spesso vicino ai vivi e vorrebbe esprimersi, ad
esempio mediante i sogni. Conosce casi in cui i
morti appaiono ai parenti e amici nei sogni e si
esprimono?
Sì, conosco molti casi, sia per esperienza diretta che in
relazione a pazienti che me ne parlano. È una possibilità
che dimostra come possa continuare ad esistere questa
relazione. Questi sogni non sono insoliti e, soprattutto,
non sono patologici, ma sono l’espressione della relazione intensa tra le due persone e che permane.
D. Conosce esempi di morti che sono intervenuti
nella vita dei loro cari, aiutandoli?
Sì. Succede, ad esempio, che nei sogni si mostrino certe
situazioni di vita che sono molto importanti per le persone. L’avvenimento sognato, a volte, è la risposta alle proprie domande, può diventare un incoraggiamento o un
ammonimento. Può incoraggiare qualche decisione o
evidenziare alcuni nessi ai quali non avevamo pensato.
D. Possono esserci illusioni, con conseguenze negative?
Dipende dalla persona. È possibile, ad esempio, che questi sogni occupino troppo spazio, che il tutto si renda più
o meno autonomo e che ci siano delle confusioni nella
coscienza e nell’esperienza della persona. Ciò vale non
solo per i sogni ma anche per le esperienze con il morto
nello stato di veglia. Anche lì possono apparire illusioni,
immaginazioni e distorsioni. Bisogna tener conto che si
esprimono anche i propri desideri, necessità e paure.
Non sempre è il morto che si esprime in questi sogni o
percezioni.
D. Come si può arrivare alla chiarezza nel giudizio?
È difficile. Nel mio lavoro, in generale, mi astengo dal giudizio. Nel dialogo con una persona che ha questi sogni e
percezioni, cerco di discuterne in modo tale da chiarire
il significato e il contenuto di queste esperienze. Un giudizio da parte mia è necessario solo se queste esperienze
hanno un carattere patologico evidente.
D. Si fa qualcosa per il morto se nel ricordo si ripercorre la sua vita e le esperienze vissute insieme?
Se si rievoca la biografia del morto e la sua personalità gli
si offre, in uno specchio terreno, un aiuto alla percezione
ed alla conoscenza di sé. Il morto può, grazie ai pensieri
dei suoi cari, completare la sua conoscenza di sé. È di
grande aiuto per il morto nel primo periodo della sua
nuova esperienza, durante la quale egli si occupa della
sua vita terrena e la porta a coscienza.
■
Artemedica consiglia:
“LA MORTE
DI IVAN ILL’ICH”
DI LEON TOLSTOJ
“OSCAR E LA
DAMA IN ROSA”
DI ERIC
EMMANUEL
SCHMITT
Preghiera per i defunti
data da Rudolf Steiner
Voi che vegliate sulle anime nelle sfere
del cosmo,
Voi che tessete la sostanza nelle anime
del cosmo,
Voi sorti dalla saggezza per agire
nell’amore,
Voi che proteggete l’essere umano reso
allo stato di anima,
Spiriti, guardate al nostro amore,
ascoltate le nostre preghiere
che desiderano unirsi al fiume delle
vostre forze soccorritrici per meglio
presentire lo Spirito ed irradiare
l’amore.
Dallo Spirito proviene ogni esistenza,
nello Spirito è radicata ogni vita,
verso lo Spirito evolvono tutti gli esseri.
Dirigiamo verso le sfere spirituali
Il fedele amore che noi abbiamo
concepito per unire le nostre
anime alla tua, caro…*
Tu devi incontrare con amore
i nostri pensieri allorché, dalla regione
luminosa in cui tu aleggi,
il tuo desiderio si orienta verso
le nostre anime
per trovarvi ciò che tu attendi da esse;
che il nostro amore, offerto a te, caro…*
Si unisca a ciò che ora Ti avvolge,
rinfrescando ciò che ti può bruciare,
riscaldando ciò che ti può far gelo.
Sollevato dall’amore, compenetrato
di luce, sali verso le altezze.
Dallo Spirito proviene ogni esistenza,
nello Spirito è radicata ogni vita,
verso lo Spirito evolvono tutti gli esseri.
Ciò che vive nell’universo esiste solo
creando in sé i germi di una nuova vita.
L’anima cede alla morte
solo per evolvere in uno slancio
immortale;
va verso forme di vita senza posa
rinnovate.
Ricevono Angeli, Arcangeli, Archai,
nel tessere dell’etere,
la rete del tuo destino, caro…*
Diventano essenza nelle Exusiai,
Dynameis, Kyriotetes,
nel sentire astrale del cosmo,
le giuste conseguenze della tua vita
terrena, caro…*
risorgono nei Troni, Cherubini,
Serafini,
come di loro essenza operosa,
le azioni creatrici della tua vita
terrena, caro…*
Protettori della sua anima, guardiani
vigilanti, che la vostra ala porti
l’amore implorante delle nostre anime
agli esseri umani che nelle sfere
sono rimessi alla vostra
custodia,affinché le nostre
preghiere unite al vostro
potere soccorrano col loro irradiare
coloro che con amore esse cercano.
Dallo Spirito proviene ogni esistenza,
nello Spirito è radicata ogni vita,
verso lo Spirito evolvono tutti gli esseri.
Eleviamo il nostro sguardo verso di te,
caro…*
nel mondo spirituale in cui tu sei,
caro…*
che il nostro amore calmi ciò che
ti può bruciare, che il nostro amore
temperi ciò che ti può far gelo,
che esso ti penetri e ti assista,
mentre dalle tenebre dello Spirito
tu ti avvii verso la luce dello Spirito.
Possano le nostre anime seguirti,
caro…*
nelle regioni spirituali,
seguirti con l’amore che le colmava
sulla Terra quando i nostri occhi ti
vedevano ancora.
Possa il nostro amore essere un
balsamo
per ciò che ti brucerebbe,
per ciò che ti gelerebbe,
possa esso vivere nell’unione che
permane
oltre il passaggio della soglia.
Nella luce dei pensieri cosmici
agiscono ora le anime
che sulla Terra furono unite alla
nostra.
tutto è stato fatto per mezzo di Lui,
e senza di Lui niente è stato fatto
di tutto ciò che esiste.
In Lui era la Vita e la Vita
era la Luce degli uomini.
Alle origini era la forza del ricordo,
la forza del ricordo deve diventare
divina, un essere divino.
Tale sarà la forza del ricordo.
Tutto ciò che nasce dall’Io
deve diventare tale da generarsi
con il ricordo
trasformato dal Cristo,
trasfigurato da Dio.
In Lui la luce splendente e levantesi
dal pensiero che si ricorda
illuminerà la tenebra del presente.
Le tenebre di oggi possano afferrare
la luce del ricordo diventato divino!
Ero unito a voi, restate uniti in me.
Che l’ardente vita del nostro cuore
ti raggiunga come un soffio di calore
laddove tu puoi sentire freddo
di frescura
Laddove tu puoi bruciare.
Che i nostri pensieri vivano nei tuoi,
caro…*
Che i tuoi pensieri, caro…* vivano nei
nostri.
Ciò che vive nell’universo non esiste che
creando
in sé i germi di una nuova vita.
L’anima cede alla morte solo per
evolvere in uno slancio immortale; va
verso forme di vita
senza posa rinnovate.
Nel principio era il Verbo
ed il Verbo era presso Dio
ed il Verbo era un Dio.
Egli era in principio presso Dio:
Parleremo insieme il linguaggio della
vita eterna;
agiremo insieme laddove le azioni
hanno un effetto;
vivremo nello Spirito laddove i
pensieri umani
si incarnano nel Verbo dei pensieri
eterni.
Ex Deo nascimur
In Cristo morimur Per Spiritum
Sanctum reviviscimus.
’Amen
〜
*Qui si pronuncia il nome del defunto
o dei defunti