Il ruolo del progresso tecnico
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Il ruolo del progresso tecnico
Economia Internazionale Economia dello Sviluppo Lezione 7 Teorie della crescita endogena: i modelli di Romer A.A 2007-2008 Stefano Usai Il ruolo del progresso tecnologico • Nel modello di Solow (con p.t.) tutta la crescita del reddito procapite di lungo periodo è guidata dal progresso tecnologico esogeno. • Nel modello di crescita endogena basato su capitale fisico e umano invece la crescita dipende dal tasso di accumulazione dei due fattori produttivi (vedi H-D) • Il progresso tecnologico diventa essenziale per generare crescita di l.p. se i rendimenti associati ai fattori accumulabili sono decrescenti [vedi Solow) • NOTA BENE: Nel modello augmented l’insieme dei fattori accumulabili ha rendimenti costanti non decrescenti 2 Il ruolo del progresso tecnico • Il progresso tecnologico dipende dalle decisioni degli agenti economici. • Gli agenti economici investono ingenti somme nella attività di ricerca e sviluppo (R&S) con l’esplicito proposito di favorire la creazione di nuove idee per nuovi prodotti o nuovi processi produttivi • Obiettivo: “modellare” quest’azione deliberata degli agenti economici ed i suoi effetti sul tasso di crescita 3 Il ruolo del progresso tecnico • Il progresso tecnologico si può classificare in due categorie – 1) ci sono i miglioramenti del livello di conoscenza tecnica dovuti direttamente agli investimenti in ricerca. Si parla in questo caso di innovazioni di prodotto o di processo. – 2) ci sono i trasferimenti di conoscenza tecnologica dalla impresa innovatrice verso il resto del mondo. Tale diffusione a sua volta può essere di due tipi: – 2.1) Altre imprese “imitano” la tecnologia innovativa introdotta dall’impresa innovatrice; – 2.2) Altre imprese “imitano” la tecnologia innovativa e la migliorano, ovvero ne fanno il punto di partenza per ulteriori innovazioni. 4 • E’ importante notare che gli effetti 2.1 e 2.2 sono esterni all’impresa innovatrice • In altri termini si tratta di esternalità positive dovute all’impresa innovatrice: l’impresa innovatrice non viene remunerata per il fatto di generare questi effetti esterni positivi sulle altre imprese. • L’effetto è una riduzione degli incentivi ad innovare. Il mercato da solo non raggiunge l’equilibrio perché i benefici sociali non corrispondono ai benefici privati. 5 Il ruolo del progresso tecnico: il modello di Romer (1990) • Il primo passo verso la costruzione di un modello di progresso tecnologico deliberato è quello fatto da Romer (1990). • Un’assunzione fondamentale del modello e’ che l’economia abbia un dato ammontare di capitale umano, che indichiamo con H. • Il capitale umano può essere utilizzato sia nel settore della produzione dei beni finali che nel settore della ricerca per la produzione di conoscenza. 6 • L’interpretazione data al concetto di conoscenza è particolare: – Il modello assume che per produrre beni finali si utilizzino macchinari e lavoro (incluso lavoro qualificato sotto forma di capitale umano). – Immaginiamo che tutte le macchine, esistenti e ancora da inventare, siano disposte su una ipotetica linea. – Alcune macchine esistono già ed il progetto sulla base del quale sono state costruite, detto “blueprint”, e’ pubblico dominio. 7 – La ricerca può essere intesa come l’attività che ci consente di muoverci lungo la linea (verso destra) alla scoperta di nuove macchine e quindi di nuovi blueprints. – Quali sono gli effetti di un’innovazione sulla produzione? Da un lato i nuovi blueprint ci consentono di produrre macchinari migliori e dunque i nuovi progetti fanno uscire dal mercato i macchinari basati sui vecchi progetti. – Dall’altro le nuove macchine possono aggiungersi alle vecchie rendendo disponibile una maggiore varietà di macchine per la produzione e garantendo così un più alto livello di produttività. 8 Romer (1990) • Se definiamo E(t) lo stock di progetti disponibili al tempo t (pari allo stock di conoscenza tecnica), l’effetto dell’attività di R&S e’ quello di far avanzare lo stock di conoscenza tecnica 9 Il modello di Romer • Assumiamo che, dato lo stock di progetti, E(t), per ogni progetto si possa costruire un macchinario utilizzando una unità di capitale. • Quest’interpretazione ci consente di interpretare lo stock di capitale K(t) come lo stock di macchinari • Lo stock di conoscenza tecnologica e’ invece dato dalla produttività congiunta di tutti i blueprints disponibili al tempo t, E(t) 10 Romer (1990) • Capitale fisico K(t), conoscenza tecnica E(t) e capitale umano H vengono combinati per la produzione di beni finali in base alla seguente funzione di produzione • Y(t) = E(t)γ K(t)α [uH]1-α (1) • Dove u indica la frazione dello stock di capitale umano (lavoro qualificato) che viene destinata alla produzione di beni finali 11 • Nell’economia esiste un secondo settore produttivo: quello della ricerca e sviluppo • La R&S e’ basata sulla combinazione dello stock di conoscenza tecnica già accumulata E(t) e del capitale umano impiegato in questo settore (1-u)H • La funzione di produzione di questo settore viene ipotizzata tale per cui il flusso di innovazioni del periodo t, e(t) e’ dato da • e(t) = E(t+1) - E(t) = E(t)a(1-u)H 12 Romer (1990) • Cosicché il tasso di crescita dello stock di conoscenza tecnica e’ dato da • e(t)/E(t) =g[E(t)] = a(1-u)H (3) • Il capitale fisico cresce invece in funzione del risparmio (non c’è ammortamento): • K(t+1)-K(t) = sY(t) (4) 13 Il modello di Romer (1990): conclusioni • Questa struttura può ricordare quella del modello di Solow, ma in effetti ci sono importanti differenze: – Il progresso tecnologico cresce secondo la dinamica di E ma questa volta la parte a destra della equazione è endogena. Sia la quota (1-u) impegnata nel settore della ricerca sia H dipendono da decisioni dei soggetti economici. Ma c’è un problema: chi decide il livello di u? 14 Il modello di Romer (1990): conclusioni • Se ci fosse un pianificatore sociale, egli/ella potrebbe decidere il livello u in modo da massimizzare il benessere sociale in un tentativo di risolvere il trade-off tra benefici presenti (uso di H per la produzione) e benefici futuri (uso di H per accumulare conoscenza e ottenere incrementi di produttività). • Nota bene che il pianificatore sociale può internalizzare le esternalità perché il suo è l’interesse di tutti gli agenti economici. 15 Il modello di Romer (1990): conclusioni • Il problema è che il pianificatore sociale è per lo più un artificio didattico e la decisione su u è il risultato delle decisioni degli agenti economici privati che mirano al proprio benessere. • A questo punto diviene rilevante la discussione sul livello di appropriabilità della tecnologia e sul relativo processo di diffusione verso gli esterni. • Il punto è che gli innovatori devono poter avere qualche diritto sui maggiori profitti garantiti dall’innovazione, non tanto per questioni morali ma per motivi strettamente pratici: senza di essi non ci sarebbe incentivo a innovare. 16 Il modello di Romer (1990): conclusioni • Da questo ragionamento si deduce che l’ipotesi di concorrenza perfetta che postula la perfetta informazione e quindi la piena diffusione della conoscenza tra agenti economici non è sostenibile in un modello con progresso tecnologico deliberato. Un certo potere monopolistico, per quanto temporaneo, deve essere garantito. 17 Il progresso tecnico come esternalita’ positiva (Romer, 1986) • Definiamo esternalità l’effetto di un azione economica che si estende a un terzo non direttamente coinvolto nell’azione (sia essa di scambio, produzione o consumo). • L’equilibrio di mercato in presenza di esternalità sappiamo non è ottimale perché costi e utilità private non coincidono con i costi e le utilità sociali (es.: inquinamento). • In altre parole, gli effetti esterni negativi o positivi non vengono rispettivamente risarciti o remunerati. 18 Romer (1986) • Romer considera la seguente funzione produzione della singola impresa i • Yi(t) = Ei(t) Ki(t)α [Li(t)]1-α (5) – dove K(t) e’ capitale fisico, L(t) e’ lavoro e E(t) e’ una misura di produttività, un fattore comune alla funzione di produzione di ogni impresa (tutte le imprese nel modello sono tra loro identiche e hanno una funzione di produzione uguale alla (5)) – lasciamo perdere il pedice i 19 Romer (1986) • L’idea di Romer e’ che il parametro di produttività E(t) sia funzione dello stock di capitale procapite medio accumulato dall’intera economia, cioè: k • km(t) = ΣKi(t)/ΣLi(t) = ΣKi(t)/ΣNi(t) – [assumiamo L(t) = N(t)] • Più precisamente, si ipotizza che: • E(t) = akm(t)β (6) 20 Romer (1986) • Il “problema” è che ogni impresa fa le proprie scelte di investimento ed accumula K(t) senza considerare gli effetti esterni che queste sue azioni hanno sul parametro di produttività E(t) • Di conseguenza, in questo modello, si ha un fenomeno di sottoaccumulazione di capitale 21 Romer (1986) • Il modello puo’ generare crescita? • Assumiamo che tutte le imprese siano identiche cosicché ki(t) = km(t) per tutte le imprese i • Una volta che tutte le imprese hanno fatto le proprie scelte di accumulazione, al tempo t, il valore di E(t) e’ • E(t) = ak(t)β (7) 22 Romer (1986) • Sostituendo nella funzione di produzione: • Y(t) = ak(t)β K(t)α [L(t)] 1-α (8) • In termini pro capite, dividendo tutto per L(t) y(t) = ak(t)β k(t)α = ak(t)β+α (9) • Assumiamo un livello costante di popolazione: L(t) = L per ogni t. Il saggio di risparmio sia s ed il deprezzamento del capitale pari a zero. • L’equazione di accumulazione sara’ • k(t+1) = k(t) +s ak(t)β + α 23 Romer (1986) • Dividendo tutto per k(t) e portando k(t) al lato sinistro abbiamo che: • [k(t+1) - k(t)] /k(t)= +s ak(t)β + α /k(t) • Da cui ricaviamo che il tasso di crescita dello stock di capitale pro capite (pari al tasso di crescita del prodotto pro capite) è – gk(t) = sak(t)β+α−1 (10) 24 Romer (1986) • Se β + α = 1, il tasso di crescita sarà costante e pari a as • Se β + α > 1, il tasso di crescita sarà crescente (esplosivo). Ci sono rendimenti crescenti. La crescita accelera (così crede Romer). • Se β + α < 1, il tasso di crescita sarà decrescente e dunque l’economia convergerà verso uno stato stazionario caratterizzato da un tasso di crescita pari a zero 25 Equilibri nel modello di Romer (1986) g(t) α+β>1 α+β=1 k(t) α+β<1 26 Complementarieta’ • Un tipo molto particolare di esternalità o di “quasi esternalità” e’ il concetto di complementarietà • Per illustrare questo concetto e le sue implicazioni, torniamo al modello di Romer (1986) • In questo modello si assume che ogni impresa, nel decidere quanto capitale accumulare, consideri come dato il livello di E(t), ovvero non internalizzi il fatto che il livello di E(t) dipende dalle sue strategie di investimento così come dalle strategie di investimento delle altre imprese 27 Complementarieta’ • Alternativamente potremmo pensare ad una visione più strategica da parte dell’impresa, che tiene conto del fatto che la sua produttività dipende dal livello di capitale investito dalle altre imprese attraverso il parametro E(t) • L’impresa in altre parole è consapevole che la profittabilità dell’investimento in capitale fisico è influenzata positivamente dal parametro di produttività E(t) 28 Complementarieta’ • E’ chiaro che più la singola impresa si aspetta che sia alto il livello di investimento da parte delle altre imprese (che corrisponde a un alto valore di E(t)) più sarà spinta ad investire (il suo guadagno è infatti maggiore in termini di produttività) • Esiste una relazione di complementarietà tra le scelte di investimento delle imprese 29 Complementarieta’ • Supponiamo che l’impresa corrisponda a una famiglia, o al limite un individuo, e che quindi la sua propensione al risparmio s equivalga alla sua propensione all’investimento • In base a quanto detto s della singola impresa sarà più alto tanto più alto e’ l’s medio atteso, che indichiamo con E(s) 30 Complementarieta’ • Dato che la produttività dell’investimento del singolo individuo dipende da quanto egli si attende facciano gli altri, assumiamo che l’individuo scelga s in funzione di E(s), pari al tasso di investimento medio atteso: • s = f[E(s)] • Supponiamo quindi che tutti gli individui siano uguali, e definiamo equilibrio la situazione in cui • s = E(s) 31 Il caso degli equilibri multipli s Gli equilibri sono definiti non solo in termini di azioni ma anche di aspettative s1 s3 s2 E(s) 32 Conclusioni • L’esistenza di equilibri multipli in presenza di complementarietà sarà ancora oggetto di analisi. • L’analisi suggerisce che due economie identiche possono crescere a tassi differenti semplicemente perché il loro passato (per esempio) giustifica differenti atteggiamenti in termini di ottimismo o pessimismo…è una questione di aspettative. 33 Due parole su TFP o residuo di Solow • Come possiamo misurare il progresso tecnologico di cui si è parlato finora? • Una misura comunemente utilizzata negli studi cross countries è quella della total factor productivity basata sulla funzione di produzione cobb-douglas (trasformata in tassi di crescita): • Y(t) = A(t)K(t)α [L(t)] 1-α 34